l’ambiente nei 150 anni dell’unità d’italia

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L’AMBIENTE NEI 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA Acque vive del Piemonte, acque nostrane, patrimonio di casa, gloria di famiglia, voi non siete il confine che deve dividere, ma la speranza che ci fa tutti uguali: siete la forza nuova e il nuovo lavoro, acque sane, acque fresche, acque pulite… Nino Costa

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Relazione sullo Stato dell'Ambiente in Piemonte 2011 - presentazione

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L’AMBIENTE NEI 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA

Acque vive del Piemonte, acque nostrane,

patrimonio di casa, gloria di famiglia,

voi non siete il confine che deve dividere,

ma la speranza che ci fa tutti uguali:

siete la forza nuova e il nuovo lavoro,

acque sane, acque fresche, acque pulite…

Nino Costa

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L’AMBIENTE NEI 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA

Ing. Salvatore De Giorgio

Torino, e il Piemonte tutto, è stata una vera protagonista dei festeggiamenti per il 150° an-niversario dell’Unità d’Italia.

Quella che fu la prima capitale ha creduto a queste celebrazioni, dimostrando una straordi-naria e sentita partecipazione da parte non solo delle sue Istituzioni, ma di tutti i suoi abitanti alle innumerevoli manifestazioni che si stanno susseguendo da mesi e che ripercorrono la storia della nascita della nostra Nazione nei suoi più diversi aspetti politici, sociali, culturali, artistici per scoprire e capire il passato, vivere il presente e progettare il futuro del Paese.

In questo clima non può essere ignorata una riflessione su come sia cambiato in questi 150 anni l’Ambiente che ha accompagnato, e spesso determinato, la storia di questi anni, la per-cezione del valore delle sue risorse naturali, il loro uso a volte spregiudicato, la nascita di una cultura di protezione, la ricerca di qualità della vita e la percezione dell’importanza di un’ar-monica coesistenza tra natura e uomo.

Un breve excursus dell’evoluzione del concetto di Ambiente, partendo dalle ca-ratteristiche più salienti del Piemonte, certamente non esaustivo e approfondito come meriterebbe, può aiutare a focalizzare come si sono succedute concezioni religiose, incentrate su un mondo creato da Dio e di un uomo fatto ad immagine e somiglianza di esso che può liberamente disporre dell’ambiente, scientifiche che interpretano l’idea della scienza come branca del sapere posta al di sopra di tutto, economiche che autorizzano a ritenere l’ambiente come una risorsa da impiegare per produrre ricchezza e benessere fino alla ricerca di nuove forme di contemperazione tra sviluppo e conservazione dell’ambiente che si sono tradotte nel concetto di “sostenibilità”.

La storia dell’Ambiente, il cui termine deriva dal latino ambiens, participio pre-sente del verbo ambire, che significa “circondare”, rappresenta quindi la storia del

rapporto tra uomo e natura nei suoi aspetti fisiologici, socioeconomici, politici e culturali: in qualche modo le nostre radici e la nostra base culturale. Un legame indissolubile quello tra uomo e ambiente perché se è vero che l’uomo con i suoi interventi ha modificato l’ambiente, è altrettanto vero che quest’ultimo ha però determinato e modificato gli interventi umani, imponendoli e consentendoli in talune aree, impedendoli o vanificandoli in altre.

Alla vigilia dell’unificazione, l’ambiente della nostra penisola presenta una connotazione squisitamente agricola, scarsamente popolata, con un tasso di mortalità elevato connesso ad arretrate condizioni igienico-sanitarie, con alcuni settori manifatturieri in crescita quali quel-lo tessile e, in particolare, quello della seta.

È significativo, per le nostre riflessioni, ricordare come importanti fattori di sviluppo siano potuti crescere in presenza di condizioni ambientali favorevoli, quali la ampia disponibilità di corsi d’acqua dalla quale ricavare altresì la forza motrice necessaria agli opifici.

Così nelle terre piemontesi ricche di acqua hanno potuto nascere moltissime industrie tes-sili di lavorazione della seta, della lana e del cotone, prodotti che fino alla prima Guerra Mon-diale hanno costituito il principale prodotto di esportazione italiano, la cui produzione ha rappresentato un anello di congiunzione tra agricoltura e industria.

All’indomani dell’Unificazione il governo Italiano dedica significativi contributi per soste-

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nere la crescita dell’industria con la creazioni di un efficiente sistema di infrastrutture ferro-viarie, stradali, di comunicazione.

Il nostro territorio è ancora oggi testimone di un’imponente infrastruttura irrigua, il Canale Cavour, realizzata tra il 1863 e il 1866, ideata dall’agrimensore vercellese Francesco Rossi e riprogettata dall’ispettore delle finanze Carlo Noè, per incarico di Camillo Benso Conte di Cavour, eccellenza dell’ingegneria idraulica italiana ed europea che costituisce ancora oggi la più grande opera di ingegneria idraulica mai compiuta in Italia.

Il Canale Cavour rappresenta una sorta di “spina dorsale” di un’estesa rete di canali che ha consentito la trasformazione e lo sviluppo di un vasto territorio, dell’estensione di circa 300.000 ettari, compreso fra i fiumi Dora Baltea, Ticino e Po. La sua creazione ha inciso pro-fondamente sull’idrografia naturale, ha dato origine ad un particolare e suggestivo paesaggio, ha creato veri e propri ecosistemi quali quelli delle risaie, ha sviluppato un nuovo sistema di approvvigionamento irriguo, ha consentito la diffusione dell’intensiva coltivazione di riso e l’apporto di energia elettrica indispensabile nella trasformazioni dei prodotti.

Un intervento sul territorio rivelatosi determinante motore di sviluppo agricolo e industriale.

Se gran parte del territorio piemontese è stato per decenni caratterizzato da un’economia prettamente agreste, nella quale il concetto di ambiente e natura è strettamente legato alla produzione agricola soggetta alle bizzarrie climatiche dell’alternarsi di stagioni siccitose e di devastanti alluvioni, iniziano a popolarsi gli agglomerati urbani nei quali centrale diviene la questione igienico sanitaria. Spinti da tali necessità, trovano sviluppo i servizi di igiene urbana che consentono di debellare le malattie e le epidemie, prima causa di mortalità dei tempi.

È del 1888 la legislazione sanitaria che impone ai Comuni “l’obbligo di fornire acqua pota-bile riconosciuta pura e di buona qualità”, ma già dal marzo 1859 gli abitanti di Torino pos-sono approvvigionarsi di eccellente acqua potabile grazie alla realizzazione dell’impianto di Sangano che, con gallerie d’attingimento dal torrente Sangone e dalla sorgenti Lilla, dà origine ad un sistema di canali, serbatoi e condotte che garantisce la fornitura di 66 litri al giorno per ciascun abitante della città, portando l’acqua della Val Sangone fino allo zampillo della fontana di piazza Carlo Felice.

L’eco europeo delle nuove scienze di studio della natura arriva presto in Piemonte e trova

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terreno fertile tra gli studiosi piemontesi. Nel 1864, a Torino, lo zoologo Filippo De Filippi in-troduce per la prima volta in Italia il darwinismo, ad appena cinque anni dalla pubblicazione de “L’origine delle specie”, e il suo successore, il medico Michele Lessona nato a Venaria Reale, diventa uno strenuo assertore delle teorie evoluzionistiche, dedicandosi alla pubblicazione di una serie di trattati di Scienze Naturali per le scuole e alla divulgazione del darwinismo in Italia.

Cresce e si sviluppa altresì l’attenzione e lo studio delle diverse componenti naturali: così, l’Orto Botanico fondato nel 1729 con il Decreto emanato da Vittorio Amedeo II che elevava l’insegnamento di materie botaniche già presente in Torino dal 1560 a dignità di cattedra uni-versitaria, si implementa e si evolve passando dalle 1.200 entità botaniche coltivate nell’Orto intorno alla seconda metà del ‘700 a circa 12.000 alla fine dell’800.

Parallelamente si sviluppano in quegli anni le esi-genze di “preservare” alcune aree del territorio e alcu-ne specie animali. Già nel 1856 il re Vittorio Emanuele II aveva dichiarato Riserva Reale di Caccia le mon-tagne del Gran Paradiso, salvando in questo modo dall’estinzione lo stambecco che in quegli anni ave-va ridotto la sua popolazione a livelli allarmanti. Nel 1919 il re Vittorio Emanuele III si dichiara disposto a regalare allo Stato italiano i 2100 ettari della riserva di caccia, purché vi creasse un parco nazionale e così, il 3 dicembre 1922 è istituito il Parco nazionale del Gran Paradiso, primo parco nazionale italiano.

I primi decenni dell’Unità vedono inoltre focalizzarsi l’attenzione sull’estensione di ambiti di protezione, con il susseguirsi di una serie di azioni volte a definire un sistema di tutela dei monumenti della nazione, che danno origine alla nascita delle prime Soprintendenze, cui si affiancano strumenti di difesa del paesaggio, nella consapevolezza del valore delle bellezza naturali e del rischio della loro compromissione.

Le origini degli strumenti di difesa del paesaggio possono essere rintracciate in alcuni provvedimenti risalenti ai primi anni del secolo che tutelano le vil-le, i parchi e i giardini di interesse storico-artistico, per giungere fino alla più complessa legge n. 778 del 1922, la cosiddetta legge Croce - allora ministro della Pubblica Istruzione - che pone sotto tutela le bellezze naturali, frutto di una concezione estetico-culturale che permeava in quegli anni la questione della tutela della natura.

Nasce così il concetto di bene culturale e paesaggistico, formatosi e accresciuto nel tempo, variegato ma anche organico nel suo insieme, per il quale diviene centrale la funzione conser-vativa e di protezione.

Il novecento è sicuramente caratterizzato da un’imponente industrializzazione del Piemon-te, che dalla struttura agraria tradizionale del regno sabaudo, si avvia ad un rapido processo di modernizzazione fino a diventare un’area rilevante del triangolo industriale di traino del decollo economico italiano.

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Ad Alba, nel 1884, nasce la Miroglio, ancor oggi grande gruppo italiano nel settore del tes-sile, filatura e abbigliamento. La Manifattura lane Borgosesia (oggi parte del gruppo Zegna) è attiva sin dal 1850. Nuove società sorgono anche in altri settori, come la Cartiera Italiana. Nell’industria vinicola si segnalano la Martini & Rossi, la Gancia e la Cinzano nella produ-zione e commercializzazione di spumanti e vermouth, che testimoniano una generalizzata trasformazione ed espansione della produzione di vini nella regione.

Già alla fine dell’Ottocento il piemontese France-sco Cirio coglie le opportunità legate alla spedizione a lunga distanza di prodotti alimentari ortofrutticoli utilizzando la nuova rete ferroviaria in costruzione per collegare il proprio laboratorio di produzione ai mercati continentali.

Ricca e radicata sul territorio e anche la tradizione dolciaria piemontese che, con la trasformazione dei laboratori artigianali in aziende, dà origine alla pri-ma industria della cioccolata con le eccellenze ancora oggi rappresentate da Baratti&Milano, Venchi &C., Talmone, Peyrano e Streglio.

Dalla nota società dolciaria torinese Caffarel nasce nel 1865 il Gianduiotto, cioccolatino che prende il nome dalla maschera torinese Gianduia e diventa simbolo del Piemonte. Il prodotto ha una curiosa e significativa storia: a causa del blocco napoleonico sono ridotte le quantità di cacao che riescono a raggiungere l’Europa e Michele Prochet decide di sostituire in parte il cacao con la Nocciola tonda gentile delle langhe, risorsa presente e largamente diffusa sul territorio.

A Camillo Benso conte di Cavour, a cui va il merito dell’attivazione dei primi zuccherifi-ci grazie alle ricerche che portano ad estrarre zucchero dalle barbabietole, sono dedicate le gommose alla violetta, presto ribattezzate in suo onore “senateurs”, della confetteria di Luigi Leone, nata ad Alba nel 1857.

Fiat viene fondata nel 1899, l’Olivetti, la prima fabbrica italiana per la produzione di mac-chine per scrivere, nel 1908 e anche le industrie di prodotti tradizionali, come le stoffe di coto-ne e di lana o quelle alimentari, mutano il proprio assetto diventando più grandi e complesse. La Società Nazionale delle Officine Savigliano, fondata nel 1881, con il nuovo secolo vede crescere la produzione di materiale ferroviario e materiale elettromeccanico.

L’ascesa dell’industria meccanica nella regione è ormai avviata, si va imponendo a livello internazionale un nuovo sistema dominato dai principi della meccanizzazione e della velo-cità che porta ad una massiccia introduzione dell’uso di macchinari in ogni ambito della vita quotidiana.

Le città, intanto, cambiano volto: fabbriche e uffici, case operaie e tramway, biciclette e il-luminazione elettrica. Con il miglioramento del tenore di vita e l’aumento della produzione - riscaldamento, illuminazione, fornaci, concerie e fonderie – crescono gli impatti sulle com-ponenti naturali e si fanno sentire le prime conseguenze dell’inquinamento, in particolare dell’aria. Nel 1905 viene coniato il termine inglese “smog”, contrazione di “smoke” (fumo) e “fog” (nebbia) per indicare l’inquinamento chiamato di tipo londinese caratterizzato da eleva-te concentrazioni di biossido di zolfo associate ad un grande numero di particelle carboniose

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che si manifesta, anche nelle nostre città, in occasione di situazioni meteorologiche che favo-riscono la stagnazione dell’aria.

Con lo scoppio della II guerra mondiale le grandi imprese si sviluppano grazie all’intervento dello Stato rivolto a sostenere l’approvvigionamento di materiale bellico. Durante il conflitto gravi danni sono registrati nei confronti delle infrastrutture e del patrimonio abitativo, delle coltivazioni, boschi, prati, pascoli e seminativi, mentre gli impianti industriali sono in parte risparmiati dalla furia bellica.

Nel dopoguerra l’industria manifatturiera ricomincia a crescere nonostante i consumi pri-vati siano molto bassi. La produzione industriale cresce a un ritmo superiore al 13% annuo, grazie anche ai sussidi americani previsti dal Piano Marshall che offrono un volano alla ripre-sa delle industrie attraverso la concessione di materie prime e di macchinari dalle tecnologie moderne. Nella penisola il consumo industriale di energia elettrica cresce, tra il 1951 e il 1960, del 125% e aumenta la produzione di settori di base, mentre i settori tradizionali, come l’abbi-gliamento e l’alimentare, acquisiscono i caratteri propri di una industria moderna.

Dopo la guerra ha una larga diffusione a Torino l’in-dustria automobilistica e quella meccanica, il compar-to chimico e quello della gomma. In quegli anni la Fiat aumenta sensibilmente la produzione di autovetture nello stabilimento del Lingotto, costruito su cinque piani di altezza, con una pista di prova sul tetto e im-postato, secondo i più moderni criteri dell’epoca, per la lavorazione alla catena di montaggio. Alle grandi aziende si affiancano nel torinese numerose altre re-altà industriali correlate, come le carrozzerie Garavini, Bertone, Ghia, Pininfarina o la Ceat.

Negli anni 1960 nel gruppo di testa delle pochissime grandi imprese manifatturiere italiane vi sono le piemontesi Fiat e Olivetti. Torino, in seguito alla forte espansione industriale, divie-ne la meta di un esodo della gente proveniente dal Sud Italia e da altre regioni settentrionali in cerca di lavoro; un fenomeno senza pari nella storia del nostro paese, che determina tensioni sociali, situazioni di sovraffollamento urbano, spopolamento dalle campagne, intensificazione degli inquinamenti e delle pressioni ambientali.

Emerge in alcuni ambienti la necessità di riconsiderare la crescita economica alla luce delle sue pesanti ripercussioni sull’ambiente e sulla qualità della vita, pur nella convinzione che scienza e tecnica siano comunque in grado di risolvere i problemi.

È di quegli anni l’industrialismo innovativo di Adriano Olivetti, fondato su una concezione del lavoro che mette al centro gli aspetti sociali e che pone l’accento sui problemi dell’ambien-te e della tutela del territorio, sulla natura non infinita delle risorse naturali. Ivrea diventa un laboratorio di sperimentazione di una nuova concezione degli spazi industriali dove, alla presenza della fabbrica, si uniscono le case per gli operai e i dirigenti, gli asili, le scuole, le colonie diurne, una progettazione e un’organizzazione degli ambienti e del territorio capa-ci di far coesistere bellezza formale e funzionalità, miglioramento delle condizioni di lavoro nell’impresa e della qualità di vita fuori dalla fabbrica. Un modello, quindi, in cui la crescita economica non viene valutata in termini solo quantitativi, ma acquista valore per l’incidenza che effettivamente produce sull’ambiente e sulla qualità della vita.

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Con la fine del miracolo economico le piccole e le medie imprese tendono ad agglomerarsi all’interno di aree territoriali omogenee fino a formare distretti industriali al cui interno i pic-coli imprenditori trovano la convenienza a produrre grazie alla suddivisione delle varie fasi di lavoro tra unità indipendenti.

Nel Biellese si concentra il più importante e il più antico distretto industriale piemontese noto a livello mondiale per le produzioni di stoffe di lana e di maglieria, Zegna, Cerreti, Lia-bel, che grazie alle nuove tecnologie riescono a differenziare la produzione di stoffe di alta qualità secondo le esigenze dei mercati internazionali.

Nel verbano, intorno ad Omegna, si sviluppa il più tradizionale distretto dedito alla produ-zione di utensili da cucina: Bialetti, Alessi, Lagostina.

Lungo il versante sud occidentale del lago d’Orta si localizza uno dei poli più importanti specializzato nella produzione delle cosiddette rubinetterie, che trova origine da una antica esperienza locale nella lavorazione del bronzo, e in particolare nella realizzazione delle cam-pane per le chiese. La concentrazione di queste produzioni determina significativi fenomeni di immissioni in acque superficiali e sotterranee di acido cromico derivanti dai reflui dei pro-cessi galvanici.

L’incremento degli effetti negativi delle attività pro-duttive richiamano l’esigenza di regolamentazioni giuridiche che contengano le immissioni e gli inqui-namenti sulle risorse naturali.

Un grave ed emblematico esempio di inquinamento sul nostro territorio è costituito dalla storia dell’ACNA di Cengio, acronimo di Azienda Coloranti Nazionali e Affini. Nata all’inizio del secolo per la produzione di esplosivi, l’ACNA aggiunge negli anni la produzione di acido solforico, nitrico, fenolo. Il primo problema ambientale viene già rilevato nel 1922, dopo manife-stazioni popolari di protesta, con la chiusura di un ac-quedotto limitrofo, per ordine del pretore.

È negli anni 70 che però esplode il problema dell’inquinamento del fiume Bormida, recet-tore dei reflui della produzione congiuntamente ai terreni circostanti la fabbrica. A seguito di lunghe battaglie degli abitanti, degli agricoltori e delle Amministrazioni locali, non viene più sottaciuto il degrado della valle che viene riconosciuta come “zona ad elevato rischio di crisi ambientale”.

Alla sospensione della produzione seguono gli interventi per la bonifica delle acque e dei terreni, e si alternano negli anni le soluzioni per il recupero ambientale, dall’ipotizzato ince-neritore per il recupero dei solfati (RE-SOL) all’istituzione di una struttura commissariale che segue le opere di contenimento del percolato, la messa in sicurezza dei rifiuti altamente tossici e nocivi e la bonifica dei terreni.

Fino alla soglia degli anni Settanta, manca un diritto dell’ambiente così come viene oggi inteso e la difesa dei valori costituzionalmente protetti, rappresentati dalla salute e dal paesag-gio, viene praticata dai cosiddetti “pretori d’assalto” che trovano, nelle pieghe delle leggi allora esistenti, i motivi per contrastare gli inquinamenti.

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Nel contempo cresce lo studio dei fenomeni di inquinamento: accanto a quelli classici che riguardano l’aria e l’acqua si vanno a focalizzare l’inquinamento del suolo, quello acustico, elettromagnetico, luminoso, termico, genetico, radioattivo e cresce la riflessione attorno al concetto di tutela dell’ambiente, riconoscendo la necessità di porre limiti all’azione umana per la conservazione della natura.

È del 1966 la legge sull’inquinamento atmosferico, del 1974 quella sulle sostanze pericolose, del 1976 la legge “Merli” sull’inquinamento idrico, del 1982 il decreto legislativo sui rifiuti.

Significativamente nel 1986, anno dell’incidente al reattore nucleare di Chernobyl, vede la luce la legge 349/86 istitutiva del Ministero dell’ambiente con com-pito di “assicurare, in un quadro organico, la promo-zione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conser-vazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inqui-namento”.

Sulla spinta degli effetti inquinanti dello sviluppo industriale nascono negli anni sessanta anche in Italia i primi movimenti ambientalisti ca-ratterizzati da forti elementi di contestazione del modello di sviluppo socio-economico che si trasformano nel tempo in vere e proprie associazioni: Italia Nostra, Fondazione Pro Natura, Legambiente, Greenpeace Italia, Wwf.

Nate per offrire una reazione alla minaccia rappresentata dal crescente deterioramento dell’habitat naturale, le Associazioni ambientaliste hanno operato, a volte con toni particolar-mente accesi, con l’obbiettivo di incidere sia sui comportamenti individuali, attraverso un’at-tività di sensibilizzazione ed informazione, sia sulla radice delle cause che stanno alla base di tale degrado.

Nel decennio 1986-1995, a fronte della globalizzazione di alcuni problemi ambientali che non conoscono confini geografici (l’effetto serra, l’assottigliamento della fascia di ozono, l’im-poverimento della diversità biologica, l’inquinamento marino, la distruzione di grandi aree naturali), si afferma altresì il diritto internazionale dell’ambiente come uno dei settori più importanti del diritto internazionale.

Dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambien-te tenutasi a Stoccolma nel 1972, che sconta ancora una connotazione prevalentemente settoriale e ripa-ratoria, nel solco di una politica ambientale non pre-ventiva, volta perlopiù al rimedio del danno prodotto, si giunge alla svolta del Summit di Rio de Janeiro del 1992 dove viene risolto il dualismo sviluppo-ambiente con la formula dello sviluppo sostenibile nella ricerca di un maggiore equilibrio tra lo sfruttamento delle ri-sorse naturali e la tutela delle stesse, i cui risultati non sono stati, ad oggi, del tutto soddisfacenti.

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Anche in Europa, con l’Atto Unico Europeo (1986), poi con il Trattato di Maastricht (1992), e ancora con il Trattato di Amsterdam (1997) e con il Trattato di Nizza (2001) si sono definiti gli obiettivi, i principi e gli strumenti della politica comunitaria in fatto di ambiente volta ad un “elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni della Comunità. Essa è fondata sui principi della pre-cauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul princi-pio “chi inquina paga”.

Ritornando nella nostra terra, la fine del XX secolo vede accrescere l’attenzione allo studio dei fenomeni di impatto sull’ ambiente dovuto all’agire umano.

A causa del riscaldamento globale nei ghiacciai alpini piemontesi in 150 anni è scomparso il 50% della superficie glaciale delle Alpi. Nel 2005 il 94% dei ghiacciai arretrava mentre il 6% era stazionario. Le masse gla-ciali alpine, importante risorsa idrica disponibile per usi irrigui, potabili e per la produzione di energia, continuano a diminuire negli anni, con situazioni più o meno accentuate a seconda delle caratteristiche climati-che dei diversi anni e a seconda degli apparati glaciali.

La crescita del consumo di suolo, nella nostra regione, è pari a 0.36 % in dieci anni e tra il 1990 e il 2008 si sono persi circa 24.000 ettari di suolo fertile. La sola Provincia di Torino ne ha persi quasi 7.500. Questo significa che in 18 anni si è consumato quasi il 20% di terreno fertile a disposizione, oltre 3,5 ettari al giorno, con le acclarate conseguenze in termini di perdita di terreni naturali e agricoli, spesso fertili, di aziende e produzioni agricole, di cultura e tradizio-ni rurali, di biodiversità, di paesaggio agrario, ecc., per non parlare degli impatti sul dissesto idrogeologico, sulle emissioni di gas serra e sui cambiamenti climatici.

Il 5 Novembre del 1994 il Piemonte è devastato da una catastrofica alluvione che miete in-calcolabili danni e causa pesanti perdite di vite umane. Non è la prima e ne seguiranno altre altrettanto funeste. Ci si interroga sulle cause, sulle conseguenze delle pesanti modificazioni del territorio che hanno consentito alle acque di raggiungere tanta furia e potenza devastante quali la mancanza di manutenzione dei corsi d’acqua, la riduzione delle aree di laminazione naturali, la costruzione nelle aree di divagazione dei fiumi e l’innalzamento di barriere inna-turali quali ferrovie, autostrade e argini, il disboscamento e le opere di cementazione fluviali.

Si evidenziano gli impatti del massiccio utilizzo in agricoltura di fertilizzanti chimici sintetici e di pesticidi, le conseguenze dell’allevamento intensivo sulle acque superficiali e sotterranee, il consolidarsi di produzioni idroesigenti in territori non ricchi di acqua, l’introduzione di specie animali e vegetali alloctone per non sottacere il grande dibattito nel 2003 suscitato in Piemonte dalle ordinanze regio-nali sulle coltivazioni di prodotti transgenici.

Nell’estate di quell’anno, un caldo torrido arroventa il Piemonte e tutto il nord Italia e la prolungata sic-cità mette in ginocchio gran parte delle produzioni agricole, l’approvvigionamento potabile di una gran-de fascia di popolazione e la produzione e fornitura di energia elettrica. Ancora un’occasione di riflessione

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sulla strategicità delle risorse naturali e la nostra dipendenza dalla loro disponibilità, ancora la ricerca delle cause e la responsabilità dell’azione umana nella determinazione dei cambia-menti climatici.

Proprio sul fronte del contenimento dell’effetto serra sono poste in essere importanti azioni di contenimento delle immissioni attraverso politiche per la riduzione delle emissioni delle attività produttive, per il miglioramento dei combustibili e dei carburanti, per il controllo ed il miglioramento delle caratteristiche delle emissioni e dei mezzi di trasporto, per la riduzione dei consumi dovuti alla mobilità, per la razionalizzazione del traffico, per il miglioramento dell’efficienza energetica nella produzione di calore e di energia.

Anche in materia di rifiuti, grazie all’impegno delle Amministrazioni e dei cittadini, continua il trend di decrescita della produzione di rifiuti in Piemonte e la raccolta differenziata ha raggiunto nel 2009 la soglia del 50%. Si sviluppano progetti di riduzione della pro-duzione di rifiuti di imballaggio, che rappresentano circa il 40% dei rifiuti urbani annualmente prodotti in Piemonte, di recupero dei materiali derivanti dalla raccolta differenziata, di diffusione di prodotti disim-ballati presso la grande distribuzione, di recupero di pasti non consumati nella ristorazione collettiva, di compostaggio domestico.

Aumenta la consapevolezza del valore della diversità biologica, sia come incommensurabile bene intrinseco, sia come fonte di beni, risorse e servizi indispensabili per la sopravvivenza e il benessere dell’umanità grazie ai servizi offerti dagli ecosistemi, quali la produzione di cibo, combustibile, fibre e medicinali, l’effetto regolatore sull’acqua, l’aria e il clima, il mantenimento della fertilità del suolo, i cicli dei nutrienti.

Si consolida la diffusione delle tecniche di ingegneria naturalistica, nelle quali il Piemonte ha da anni dedicato risorse e rappresentato un fondamentale punto di riferimento, impegnate ormai in moltissimi interventi di realizzazione di opere pubbliche, sistemazione idrogeologi-ca e consolidamento del territorio, creazione o ricostituzione di ambienti naturali, recupero ambientale e inserimento paesaggistico di luoghi e infrastrutture.

Nel 2006 a Torino e alle sue vicine montagne è offerta una grande opportunità di sviluppo e visibilità quali sedi dei XX Giochi Olimpici Invernali. La sfida viene colta con l’entusiasmo

Seggiovia La Coche – Serra

Granet – Colle Bercia – Claviere

La fase di costruzione e

l’intervento concluso comp-

rensivo delle opere di recupero

ambientale

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di tutta la popolazione che si risveglia orgogliosa e quasi stupita di tanta notorietà e, contra-riamente al suo carattere proverbialmente schivo e riservato, coinvolta e appassionata a tali festose manifestazioni.

È stata positivamente colta l’occasione per informare la realizzazione degli importanti in-terventi strutturali e infrastrutturali connessi ai Giochi a criteri di compatibilità ambientale, sottoponendo l’intero progetto alla Valutazione Ambientale Strategica al fine d’indirizzare l’esecuzione delle opere verso processi di radicamento nel territorio di comportamenti rispet-tosi della capacità di rigenerazione delle risorse ambientali in un quadro di sviluppo delle attività legate al turismo, allo sport, al tempo libero, sia in ambiente cittadino che montano e tenendo altresì conto della sostenibilità di tali interventi anche nel periodo post-olimpico.

Cresce e continua a svilupparsi il sistema delle conoscenze che ha visto realizzarsi in Pie-monte un polo di eccellenza del Sistema Informativo Regionale Ambientale con una fitta rete di monitoraggi, banche dati e catasti, un modello cooperativo di dati affidabili e condivisi rac-colti e utilizzati da una pluralità di Amministrazioni e operatori, supporto nei difficili processi di decisione e governo dell’Ambiente e utile strumento per la diffusione dell’informazione ambientale, sia all’interno della pubblica amministrazione sia verso il pubblico.

La coscienza dell’importanza di regole di convivenza tra uomo e natura e una diversa cul-tura di rispetto ambientale si è ormai radicata nelle istituzioni e nella società civile. Sono diventati consueti i concetti di compatibilità ambientale, sostenibilità, responsabilità in diver-si comparti: dall’agro-alimentare - con l’esplosione delle produzioni biologiche - al turismo, dagli acquisti verdi ai consumi equi e solidali.

Trovano sempre più consensi e proseliti le scelte di green economy, soprattutto in campo energetico, sono risultati vincenti gli orientamenti aziendali di certificazioni nelle aree am-biente e sostenibilità, l’ecocompatibiltà di prodotti e servizi è oggi ampiamente usata come leva di marketing e si consolida l’appeal nelle campagne pubblicitarie che sempre più si rivol-gono a consumatori attenti ed esigenti a tali istanze.

Questa diffusa sensibilità ad una visione positiva dell’ambiente deve trasformarsi da sugge-stione ad azione, deve permeare ogni scelta e intervento, diventare il principio ispiratore di ogni operatore che, nel disporre delle risorse e della natura, deve usare “la diligenza del buon padre di famiglia”, secondo una felice espressione del nostro codice civile per rappresentare lo spirito di chi amministra quello che è, e sempre più deve essere considerato, un patrimonio di tutta la collettività, del quale l’uomo ne è inscindibilmente parte.