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52 N ato a Genova nel 1911, Pino Levi Cavaglione intra- prese la sua militanza poli- tica antifascista nella sua città, aderendo al Movi- mento “Giustizia e Libertà”, riconoscendosi nelle idee dei fratelli Nello e Carlo Rosselli. Di quest’ultimo sarà ospite, a Parigi, nel 1937. Nel 1938, dopo aver tenta- to di arruolarsi nell’eserci- to repubblicano spagnolo, in primavera venne arrestato e da quel momento conob- be il confino di polizia, dap- prima a San Severino Rota (dal 1945 Mercato S. Severino (Sa), poi a Fus- caldo e a Nocera Inferiore. Prosciolto con la condizio- nale nel 1940, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, di nuovo arre- stato e confinato, via via, a Orbisaglia, Forzacosta, Apecchio, Sasso Corsaro, Gioia del Colle, Isola del Gran Sasso, San Leo, Pen- nabilli, Macerata Feltria. Liberato solo il 27 luglio 1943, dopo la caduta del fa- scismo. A fine luglio rientrò a Genova, e finalmente, do- po sei anni, gli fu possibile rivedere i suoi genitori. Nella sua città lo trovò l’in- fausto 8 settembre. Già dal- le prime ore di quella gior- nata, cercò di mettersi in di Aldo Pavia Le nostre storie L’Aned di Roma e le celebrazioni del 25 aprile Pino Levi Cavaglione e la “Guerriglia nei Castelli Romani” contatto con i compagni del Partito comunista, per ve- dere cosa fare in una città percorsa dai camion tede- schi, dall’inquietudine dei fascisti e dalle voci di un imminente sbarco degli in- glesi. Vide costernato i mi- litari italiani ed i marinai del porto lasciarsi disarma- re dai tedeschi, senza op- porre un minimo di resi- stenza. Tuttavia qualche at- to di resistenza, qualche scontro a fuoco vi era sta- to. A Pino fu possibile ve- dere due cadaveri italiani sul molo delle Grazie, un marinaio agonizzante vici- no ad un capannone, sotto lo sguardo indifferente di un tedesco, preoccupato solo di allontanare qualsiasi pos- sibile soccorritore. Nella sua famiglia, diversi gli atteggiamenti: mentre il padre era ottimista, sua ma- dre era in ansia, temendo che i tedeschi potessero pro- cedere all’arresto degli ebrei ed ancor più che il figlio, indiziato per la sua attività politica, potesse avere guai. Il 15 settembre, verso sera, il capo dell’ufficio politico della questura, che sei an- ni prima lo aveva arrestato, fece in modo di avvisare i Levi che il mattino succes- sivo, su preciso ordine del- le autorità tedesche, Pino sarebbe stato di nuovo arre- stato. Un libro di memorie di Pino Levi Cavaglione: Gli ebrei nella Resistenza romana Per le celebrazioni del 25 aprile, la sezione Aned di Roma ha ritenuto essere importante ricorda- re il prezioso contributo che gli ebrei italiani hanno portato alla Resistenza e sfatare quei pre- giudizi che ancora oggi, purtroppo, sembrano essere radicati in teste tanto ignoranti quanto scioccamente prevenute e che vedono negli ebrei “vittime assolutamente passive”, esseri estranei alla vita ed alle lotte dei popoli e dei paesi che, in realtà, hanno sempre considerato loro, arric- chendone il patrimonio culturale, politico, so- ciale. Per questo l’Aned romana ha organizzato pres- so la Casa della Memoria e della Storia un in- contro prendendo lo spunto dalla nuova pubbli- cazione del libro – diario di Pino Levi Cavaglione Guerriglia nei Castelli Romani (Il melangolo). Alla presenza di Maura, figlia di Pino e dei nipoti, si è ricordata la figura dell’antifascista, del con- finato e del comandante partigiano, grazie an- che alla testimonianza di Alberto Terracina, ebreo romano che con lui ha combattuto e a Pupa Garribba che, anche con rari e preziosi docu- menti familiari, ne ha ricostruito l’immagine più privata. L’incontro, che ha avuto momenti di grande attenzione e di intensa partecipazione, ha permesso di ricordare non solo la Resistenza romana ma anche i circa mille partigiani ebrei e le sette medaglie d’oro a loro conferite e si è chiuso con la proiezione del film di Nanni Loy Un giorno da leoni , ispirato al regista proprio dal diario di Pino Levi Cavaglione. Di lui e della sua avventura umana diamo qui il profilo redatto per l’occasione.

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Nato a Genova nel1911, Pino LeviCavaglione intra-

prese la sua militanza poli-tica antifascista nella suacittà, aderendo al Movi-mento “Giustizia e Libertà”,riconoscendosi nelle ideedei fratelli Nello e CarloRosselli. Di quest’ultimosarà ospite, a Parigi, nel1937. Nel 1938, dopo aver tenta-to di arruolarsi nell’eserci-to repubblicano spagnolo,in primavera venne arrestatoe da quel momento conob-be il confino di polizia, dap-prima a San Severino Rota(dal 1945 Mercato S.Severino (Sa), poi a Fus-caldo e a Nocera Inferiore.Prosciolto con la condizio-nale nel 1940, al momentodell’entrata in guerradell’Italia, di nuovo arre-stato e confinato, via via, aOrbisaglia, Forzacosta,Apecchio, Sasso Corsaro,Gioia del Colle, Isola delGran Sasso, San Leo, Pen-nabilli, Macerata Feltria.Liberato solo il 27 luglio1943, dopo la caduta del fa-scismo.A fine luglio rientrò aGenova, e finalmente, do-po sei anni, gli fu possibilerivedere i suoi genitori.Nella sua città lo trovò l’in-fausto 8 settembre. Già dal-le prime ore di quella gior-nata, cercò di mettersi in

di Aldo Pavia

Le nostrestorie

L’Aned di Roma e le celebrazioni del 25 aprile

Pino Levi Cavaglionee la “Guerriglianei Castelli Romani”

contatto con i compagni delPartito comunista, per ve-dere cosa fare in una cittàpercorsa dai camion tede-schi, dall’inquietudine deifascisti e dalle voci di unimminente sbarco degli in-glesi. Vide costernato i mi-litari italiani ed i marinaidel porto lasciarsi disarma-re dai tedeschi, senza op-porre un minimo di resi-stenza. Tuttavia qualche at-to di resistenza, qualchescontro a fuoco vi era sta-to. A Pino fu possibile ve-dere due cadaveri italianisul molo delle Grazie, unmarinaio agonizzante vici-no ad un capannone, sotto losguardo indifferente di untedesco, preoccupato solodi allontanare qualsiasi pos-sibile soccorritore.Nella sua famiglia, diversigli atteggiamenti: mentre ilpadre era ottimista, sua ma-dre era in ansia, temendoche i tedeschi potessero pro-cedere all’arresto degli ebreied ancor più che il figlio,indiziato per la sua attivitàpolitica, potesse avere guai.Il 15 settembre, verso sera,il capo dell’ufficio politicodella questura, che sei an-ni prima lo aveva arrestato,fece in modo di avvisare iLevi che il mattino succes-sivo, su preciso ordine del-le autorità tedesche, Pinosarebbe stato di nuovo arre-stato.

Un libro di memorie di Pino Levi Cavaglione:

Gli ebrei nella Resistenza romana

Per le celebrazioni del 25 aprile, la sezione Aneddi Roma ha ritenuto essere importante ricorda-re il prezioso contributo che gli ebrei italianihanno portato alla Resistenza e sfatare quei pre-giudizi che ancora oggi, purtroppo, sembranoessere radicati in teste tanto ignoranti quantoscioccamente prevenute e che vedono negli ebrei“vittime assolutamente passive”, esseri estraneialla vita ed alle lotte dei popoli e dei paesi che,in realtà, hanno sempre considerato loro, arric-chendone il patrimonio culturale, politico, so-ciale.Per questo l’Aned romana ha organizzato pres-so la Casa della Memoria e della Storia un in-contro prendendo lo spunto dalla nuova pubbli-cazione del libro – diario di Pino Levi CavaglioneGuerriglia nei Castelli Romani (Il melangolo).Alla presenza di Maura, figlia di Pino e dei nipoti,si è ricordata la figura dell’antifascista, del con-finato e del comandante partigiano, grazie an-che alla testimonianza di Alberto Terracina, ebreoromano che con lui ha combattuto e a PupaGarribba che, anche con rari e preziosi docu-menti familiari, ne ha ricostruito l’immagine piùprivata. L’incontro, che ha avuto momenti digrande attenzione e di intensa partecipazione,ha permesso di ricordare non solo la Resistenzaromana ma anche i circa mille partigiani ebrei ele sette medaglie d’oro a loro conferite e si èchiuso con la proiezione del film di Nanni LoyUn giorno da leoni, ispirato al regista propriodal diario di Pino Levi Cavaglione. Di lui e della sua avventura umana diamo qui ilprofilo redatto per l’occasione.

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Da questo libro Nanni Loy ha tratto il film “Un giorno da leoni”

Non gli restò quindiche cercare un rifu-gio, che trovò in un

convento di frati. Trovò tran-quillità ed affetto, ma nonerano il suo carattere, le sueidee ed il suo impegno talida permettergli una simile,seppur piacevole, inattività. Decise quindi di partire, ver-gognandosi al pensiero chemolti giovani si stavano or-ganizzando in gruppi parti-giani, per opporsi con le ar-mi ai nazisti. Si unì così ad un amico checercava di raggiungere Romadove conosceva i capi dellaResistenza. Dopo una breve sosta aFirenze, e dopo aver assisti-to ad un attentato ad un mi-lite fascista, dei battaglioni

“M” alla stazione ferrovia-ria di Orte, raggiunse Roma.Entrato finalmente in con-tatto con esponenti delPartito comunista, dopo aversubito un lungo ed insisten-te interrogatorio, venne in-viato ai Castelli Romani, en-trando, l’ultimo giorno disettembre, a far parte di unabanda di partigiani nella zo-na di Genzano. Più precisa-mente a Tor Palazzo. È dal suo diario che ci è pos-sibile conoscere non solo ilsuo operato nei mesi suc-cessivi ma anche la genesidella resistenza nell’area deiCastelli.La sua squadra era inizial-mente composta di sette par-tigiani, al comando di Or-lando Gabbarino.

Tre i romani e tra que-sti gli ebrei AlbertoTerracina e Marco

Moscati (“marescialloMoscato”) al quale, da quelmomento, rimarrà legato daprofonda amicizia. Pino do-vrà procurarsi le armi e nel-l’unico modo possibile inquel momento: prendendo-le ai tedeschi.Gli viene affidato, essendostato ufficiale del regio eser-cito, il compito di istruttoremilitare, per insegnare aisuoi compagni l’uso dellearmi che in un primo mo-mento venivano recuperatetra quelle abbandonate daimilitari italiani sbandati. Le giornate trascorrono tral’impegno del trovare armi,l’addestramento dei com-

pagni, la ricerca di cibo, losfuggire ai rastrellamenti eil mettere in atto tutta unaserie di azioni di disturbo edi sabotaggio delle instal-lazioni militari nazifasci-ste.Il 18 ottobre 1943 lo rag-giunge la notizia del ra-strellamento degli ebrei diRoma. Mentre MarcoMoscati si reca, con grandirischi, a Roma per saperequalcosa dei suoi e per ca-pire meglio ciò che era ac-caduto, Pino è angosciatoal pensiero che identica sor-te possa essere toccata aisuoi genitori, alla sua fa-miglia. Due giorni dopo i suoi ti-mori si riveleranno infon-dati. Riceve infatti una let-

Un rifugio nel convento per sfuggire alla cattura

L’addestramento con i partigiani nella zona dei Castelli

Le azioni partigiane davano grande importanza al sabotaggio dei trasporti ferroviari dei tedeschi. In alto: partigiani in azione.

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tera del padre e della ma-dre. Ed una del fratello che loinforma di essere riuscito adavere documenti falsi e disentirsi così più tranquillo.Al ritorno da Roma, MarcoMoscati porta notizie tre-mende e gli racconta conquale ferocia i nazisti ab-biano caricato sui camiongli ebrei romani. Indifferenti,spesso infuriati davanti abambini, donne incinte e vec-chi paralizzati. Il 26 ottobrePino si trova ad affrontare laprova più drammatica per unuomo: uccidere un altro es-sere umano.“Non avevo mai sparato invita mia contro nessun es-sere vivente, perché la cac-cia non mi piace e non im-maginavo proprio che fos-se così facile ammazzare unuomo. Ma i tedeschi sonouomini? […] Ma sentivo glisguardi dei miei due com-pagni pesare così fortementesu di me, che finalmente ilmio dito ha ubbidito non giàalla mia volontà, che in quelmomento era assente, ma alproposito, formulato nel po-meriggio e rafforzatosi inquelle due ore di attesa alfreddo della notte, di far fuo-ri il primo tedesco che ca-pitasse a tiro. Il rombo delfucile mi ha rintronato leorecchie e mi ha inaridito lagola; il tremito e il freddo,che fino a quel momento miavevano soggiogato, sonoscomparsi e un calore in-tenso e piacevole si è diffu-so per le vene. Ho sparatoda meno di due metri, ver-so la macchia chiara del vi-so […]. Siamo rimasti perqualche secondo immobili

Le nostrestorie

e silenziosi. Immobile e si-lenzioso era pure il buio del-la campagna dopo il frago-re della motocicletta e losparo. Poi un cane ha co-minciato a latrare. Lon-tano”.Anche in questo frangenteè al suo fianco MarcoMoscati, che lo aiuta a re-cuperare gli scarponi ed ilrevolver del tedesco ucciso.Scarponi assolutamente ne-cessari per potersi muoverecon minore difficoltà nel fan-go dei boschi, intrisi di piog-gia. Il giorno dopo Pino sitrova a pensare quale sarà lostupore di suo padre quan-do gli racconterà questa av-ventura.Il 30 ottobre, sulla via Appia,tra Genzano e Velletri, la suacon altre squadre provve-dono al lancio dei chiodi aquattro punte. Quei famosichiodi, forgiati furtivamen-te, che cadendo al suolo la-sciavano sempre una puntain grado di danneggiare leruote dei camion e con i qua-li la resistenza romana cau-sò fastidi e danni insospet-tabili ai nazifascisti, osta-colando soprattutto i trasportidi uomini e materiali bellici.Saranno soprattutto i pilotidella Royal Air Force bri-tannica a sollecitare questo ti-po di azioni di sabotaggio,che rendevano loro più faci-le colpire le colonne naziste,una volta immobilizzate.Il 2 novembre gli viene af-fidato il comando militaredi tutte le squadre, assiemea Fabio Braccini e FerruccioTrombetti. Affronterà subi-to la riorganizzazione dellesquadre, incontrando non

poche difficoltà. Un proble-ma non da poco è rappre-sentato dalla indisciplina dialcuni partigiani, di alcunicapisquadra che non si cu-rano degli ordini ricevuti.Soprattutto scontrandosi conun malcompreso concetto diautonomia che porta ad inop-portune azioni individuali,non concordate e a rischiodi esporre le squadre a ine-

vitabili azioni di rappresa-glia dei nazifascisti.Intanto si viene organizzan-do quella che avrebbe do-vuto essere la più importan-te azione partigiana, in quel-le giornate autunnali: l’at-tacco dinamitardo, sulle li-nee ferroviarie Roma -Formia e Roma - Velletri, adue convogli militari tede-schi.

L’attacco avrà luogo lanotte dell’11 novem-bre. Due squadre, ap-

positamente create, conl’aiuto di minatori diMarino, sistemano l’esplo-sivo nei binari, ma il suc-cesso non arriderà, a causadell’imperfetto funziona-mento dell’innesco, a Pinoed ai suoi compagni, ope-ranti lungo la linea Roma -Velletri. Il 23 novembre Pinosi reca a Roma dove ap-prende dal fratello che i ge-nitori sono stati catturati daitedeschi. La notizia era sta-ta portata a Roma da unozio, sfuggito ai nazisti. Pinoe suo fratello non li rive-dranno mai più.Aronne Nino Levi e EmmaCavaglione, arrestati aGenova il 16 novembre, im-prigionati nel carcere dellaloro città e poi in quello diMilano, deportati il 6 di-cembre, verranno assassi-nati al loro arrivo adAuschwitz-Birkenau, l’11dicembre 1943.Il 2 dicembre 1944, si uni-scono ai partigiani deiCastelli venti prigionieri rus-si provenienti da una bandaoperante a Monterotondo,sfuggiti ad un rastrellamentotedesco. Pino farà così la co-noscenza di Wassily, un si-beriano che porta sulla schie-na le cicatrici molto evidentidelle scudisciate ricevutedai tedeschi.“Enorme, ha la faccia an-golosa rasata, capelli bru-

ni e naso un po’ largo. Nonsorride mai; quando parladei tedeschi il suo viso sicontrae in una smorfia diodio. Se fossi un tedesco nonvorrei trovarmi a tu per tucon lui”.I russi entreranno subito inazione e saranno tra i più va-lidi combattenti e collabo-ratori di Pino, che a stento,più volte, riuscirà a frenarela loro estrema determina-zione.Intanto, tra continue azionidi sabotaggio, con le squa-dre di Marino e di Frascati,si va organizzando una ope-razione ad alto rischio madi fondamentale importan-za: colpire un trasporto mi-litare.Si tratta di colpire il PonteSette Luci, nel momento incui transiterà un trasportodi soldati. Una secondasquadra colpirà il nemicolungo la linea ferroviariaRoma - Cassino.L’azioneprende il via nella notte trail 19 ed il 20 dicembre. I partigiani si sentono piccolidavanti ai piloni del PonteSette Luci, in preda allosconforto, pervasi da un sen-so di inutilità. Tuttavia, po-co dopo la mezzanotte, i bi-nari sul ponte sono minati.Resta solo da aspettare.Quando il treno, che vienedal sud, arriva sul ponte,tutti si trovano preda del-l’ansia, nel timore che an-che questa volta l’azionepotesse fallire.

Pino Levi Cavaglionee la “Guerriglianei Castelli Romani”

Due squadre partigiane,con l’aiuto dei minatori...

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Poi un boato terribile.La locomotiva si im-penna e scompare e il

convoglio è invaso dallefiamme. Esplosioni conti-nue e altre fiamme mostra-no i vagoni contorti e rove-sciati.Da dietro le colline arriva unaltro rombo: anche all’altrasquadra il colpo è riuscito,distruggendo un treno cheportava munizioni e carbu-rante al fronte di Cassino.Scriverà Pino nel suo diario:“No, dannati tedeschi, que-sta volta il colpo non vi è ve-nuto dal cielo, non vi è ve-nuto dagli aviatori inglesi. Viè venuto da noi! Da noi chein questo momento ci sen-tiamo orgogliosi di essereitaliani e partigiani e noncambieremmo i nostri lace-ri abiti bagnati e fangosi pernessuna uniforme”.Esplodendo nell’invettiva:“Vi odiamo. Vi odiamo amorte”.Sul Ponte Sette Luci i tede-schi perderanno, tra morti eferiti, circa 400 uomini.Di giorno in giorno le azio-ni partigiane si intensificano,con l’intento di disturbare,se non bloccare, le colonnedi rinforzi che i tedeschi fan-no affluire alla volta diCassino.Purtroppo il 27 gennaio vie-ne colpita e duramente dalfuoco dei grossi calibri del-l’artiglieria inglese. Case di-strutte e morti sotto le ma-cerie. E nel pomeriggio bom-

bardamento degli anglo-americani. E i tedeschi diuna colonna motorizzata, intransito, che ridono alla vi-sta di rovine e morte.Verso la metà di febbraio,spostatosi a Palestrina, Pinoha modo di conoscere AldoFinzi, l’ebreo che era statosottosegretario agli Interninei giorni del delitto Mat-teotti. Pino era già a cono-scenza che Finzi faceva per-venire ai partigiani russi ta-bacco e generi alimentari.Gli era stato però detto dievitare di incontrarlo per ilsuo passato.Pino lo incontrerà nella suabella villa, ottenendo la pro-messa che il Finzi avrebbeintensificato i rifornimentie avrebbe fornito notizie suimovimenti delle truppe te-desche. Sollecitato, forsecon poca sensibilità, a parlaredell’assassinio di Matteotti,Finzi, scotendo il capo, glidirà:“Dopo la liberazione potròpubblicare come stanno ve-ramente le cose. Io non honessuna colpa”. Al consiglio di lasciarePalestrina, facendo spalluc-ce, rispose che sarebbe sta-to peggio. Su di lui non c’e-rano sospetti e così potevacosì dare un qualche aiutoai resistenti. Ma della sua clandestina at-tività, invece, si accorsero eFinzi finì i suoi giorni alleFosse Ardeatine, il 24 mar-zo 1944.

Il 20 febbraio Pino sfuggefortunosamente alla catturae il 27 febbraio si trasferi-sce definitivamente a Pa-lestrina, dove ritrova, congrande sorpresa, MarcoMoscato.Il 4 marzo viene arrestato datre tedeschi mentre si trovanella casa di un contadino,ma riesce a fuggire, na-scondendosi per una interanotte in un canneto. Decisoa raggiungere Frascati, in-cappa di nuovo nei tedeschi.Portato in una casetta, neipressi di San Cesareo, deci-de che morto per morto tan-to valeva tentare ancora diliberarsi. Gettatosi da unafinestra, in preda alla paura,si butta per la campagna, sen-za nemmeno guardarsi allespalle, nemmeno per unavolta. Lo soccorrerà un car-rettiere che, dopo avergli of-ferto una sigaretta e del pa-ne con del salame, lo por-terà fino alle porte di Roma,prima del coprifuoco. Potràriposare a casa dell’amicoLoris, rinfrancato anche daun bicchierino di cognac.Nel suo diario, tutto ciò ac-cade alla data del 4 marzo1944. Troverà rifugio nelconvento di S. Onofrio, do-ve lo raggiungerà la notiziadell’eccidio delle FosseArdeatine. Con profondo do-lore apprenderà che tra levittime c’è il fraterno ami-co Marco Moscati.Sfuggirà, per vero miraco-lo, alla razzia del Quadraro.“Poi una notte uscimmo infesta per salutare il primocarro armato americano checi comparve davanti…”Alla fine della guerra, tornò

nella sua città natale, ini-ziando la professione di av-vocato. Nel 1961 il registaNanni Loy, ispirandosi an-che e in particolare ai ricor-di partigiani di Pino LeviCavaglione, realizzerà il filmUn giorno da leoni. Levi Cavaglione è decedutonel 1971. Poco prima di mo-rire, in occasione della pub-blicazione del suo diario daparte dell’editore La NuovaItalia, scrisse una breve in-troduzione, riandando conil ricordo a quegli anni cru-deli, facendo conoscere i mo-tivi, le tensioni che lo por-tarono alla lotta armata.

“Se gli italiani non avesse-ro provato un brivido di sde-gno alle notizie delle ucci-sioni di massa e della de-portazione degli ebrei, e dislavi e di altre popolazionisoggiogate; se negli ebrei,negli antifascisti, nei reni-tenti alla leva fascista nonfosse insorto il terrore di fi-nire nei campi di concen-tramento, di venir tortura-ti o bestialmente uccisi, nonvi sarebbe stata quellaesplosione spontanea e im-provvisa di energie umanee di elementi oscuri e sel-vaggi che, unitamente al-l’istinto di conservazione edi difesa, spinse molti adandare alla macchia percombattere”.[…] Io ho lottato perchésentivo di non aver più ri-paro nel passato, né ga-ranzia, né impegni: perchévolevo vendicare mia ma-dre e mio padre e le innu-merevoli vittime dei tede-schi e dei fascisti”.

... e con un boato esplode la locomotiva sul ponte

Le nostrestorie

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Francesco Fausto Nitti,figlio di un pastoreevangelico, imbocca

decisamente la strada del-l’opposizione al fascismo,nel novembre del 1922 quan-do una spedizione di cin-quecento squadristi invadea Roma il villino del suo pro-zio, l’ex presidente delConsiglio Francesco FaustoNitti, distruggendolo sottogli occhi dei poliziotti cheavrebbero dovuto proteg-gere l’abitazione.Per il giovane Nitti, che ave-va allora 23 anni, era il segnoche il fascismo doveva es-sere combattuto con ognimezzo per riportare la de-mocrazia in Italia.Da quel momento la vita diFrancesco Fausto Nitti èquella di un antifascista, per-

Una rigorosa biografia di un grande combattente antifascista

Francesco Fausto Nitti:l’uomo che beffòHitler e Mussolini

seguitato dal regime diMussolini. Condannato nel1926 a 5 anni di confino “peraver svolto opera sovversi-va contro gli ordinamentidello Stato” e per “avere ma-nifestato più volte il propo-sito di abbattere con la vio-lenza questi ordinamenti”,viene rinchiuso nell’isola diLampedusa prima e quindi aLipari.Qui tenta una prima volta lafuga rubando una barca as-sieme a Giobatta Domaschi,Giovan Battista Canepa (chesarà poi garibaldino diSpagna e il comandante par-tigiano “Marzo” nella suaLiguria) Alfredo Miche-langioli e Mario Magri, tru-cidato alle Fosse Ardeatine,ma vengono catturati e per-cossi.

Pietro Ramella è diventato uno storico quasi percaso. Per alcuni decenni è stato funzionario di unimportate istituto di credito e, una volta in pensio-

ne, si è laureato in scienze politiche all’Università di Pavia.

Nel corso di questi studi si è appassionato di storiae la sua tesi di laurea sulla guerra è stata trasfor-mata in un libro dal titolo “La retirada – Odissea di

500.000 repubblicani spagnoli esuli dopo la guerra civile”(1939-1945).

Ha quindi pubblicato il volume “In nome dellalibertà”, dal diario della guerra di Spagna delcomandante garibaldino Aldo Morandi e collabo-

rato assiduamente a riviste d’indirizzo antifascista, tra lequali “Triangolo Rosso”.

Ora appare nelle librerie un nuovo lavoro di PietroRamella, dedicato alla figura di Francesco FaustoNitti. È stato proprio nel corso delle sue ricerche

sulla guerra di Spagna che l’autore si è appassionato dellavita avventurosa di questo antifascista, troppo prestodimenticato nell’Italia di oggi.

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L’alzamiento del generaleFranco contro il legittimogoverno di Madrid lo cogliea Pégueux e Nitti sente co-me suo dovere correre in di-fesa della repubblica spa-gnola. Sul finire del 1936 ègià in Spagna, dove com-batte con i repubblicani finoalla sconfitta per passarequindi in Francia. Sono forse questi i capitolipiù interessanti del libro diRamella, acuto studioso del-la guerra di Spagna e dellaretirada. Anche questa scon-fitta non piega la volontà an-tifascista di FrancescoFausto Nitti. Ramella de-scrive ancora la sua depor-

Questo fallimento non ab-batte il giovane Nitti, malo stimola nella ricerca dinuove possibilità di fuga.Fallisce anche un tentati-vo compiuto con un moto-scafo assieme a CarloRosselli, Emilio Lussu eGiacchino Dolci. Nel luglio del 1929 unanuova fuga finalmente rie-sce: un motoscafo con al-la guida Italo Oxilia si ac-costa di notte all’isola,prende a bordo Nitti,Lussu, Rosselli e PaoloFabbri, un socialista diConselice e dopo una for-tunosa navigazione rag-giunge la Tunisia. Nitti tor-na così libero, si reca inFrancia e riprende dall’e-silio la sua lotta contro infascismo.

tazione in Germania, la suanuova fuga per raggiunge-re la Resistenza francese chelo vede impegnato neiMaquis dell’Haut Marne equindi, finalmente, il ritor-no in Italia nell’estate del1945. L’impegno politico diFrancesco Fausto Nitti nontermina con la caduta del fa-scismo. Il governo Parri gliassegna un alto ruolo primanel ministero per l’As-sistenza post-bellica e quin-di nel ministero del Lavoro.Nello stesso periodo vieneeletto al Consiglio comu-nale di Roma nella lista disinistra “Blocco del Popolo”,partecipa alle elezioni del

1948 nel Fronte democrati-co popolare, fa parte delladirezione del Psi, è vice pre-sidente dell’Anpi e per qua-si 20 anni lavora all’Inca-Cgil. Francesco Fausto Nittimuore a Roma il 28 maggio1974, il giorno stesso dellastrage fascista di Brescia,compiuta dagli epigoni diun regime che lui aveva pertutta la vita combattuto.Pietro Ramella illustra nelsuo libro la figura di un de-mocratico la cui vita do-vrebbe essere di insegna-mento per le giovani gene-razioni e per tutti coloro chehanno a cuore la democrazianel nostro paese, conquistataattraverso l’impegno e il sa-crificio di uomini comeFrancesco Fausto Nitti.

B.E.

In Spagna a combattere, poi in Francia tra le file del Maquis

Pietro Ramella,Francesco Fausto Nitti. L’uomo che beffò Hitler

e Mussolini,Aracne editore,

euro18.00

Due immagini di Nitti in divisa e durante laconvalescenza in Spagna.

Il ibretto militarespagnolo (asinistra) di Nitti.Finita la guerraantifranchistaripara in Francia:ecco a destral’attestato dipartecipazione alla Resistenzafrancese.

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Afar politica attiva-mente Jenide iniziadopo che ha cono-

sciuto un giovane, Renato,che fa il partigiano nellaBrigata Garibaldi operante aVilladossola.Renato frequenta la casa diJenide, molto spesso in com-pagnia di un altro giovane,Egisto Rubini, che diventeràresponsabile Gap di tuttaMilano.Il contatto con i due giova-ni favorisce la maturazionepolitica di Jenide che, nel-l’ottobre del 1943 diventeràstaffetta partigiana. Suocompito è quello di fornirearmi e munizioni alla BrigataGaribaldi dove opera il fi-danzato.Tutto funziona per-fettamente, fino a quandoun membro della 3a Gap co-mincia a parlare e a fare inomi dei componenti la bri-gata.Jenide viene catturata il 18febbraio 1944 in via Aselli,

di Roberto Cenati*

Le nostrestorie

Jenide Russo, staffetta partigiana torturata emorta a Bergen Belsen

mentre stava portando unaborsa contenente nitrogli-cerina, ai partigiani operan-ti a Villadossola.Sette giorni dopo, il 25 feb-braio 1944, viene catturatoin piazza Lima, il coman-dante Egisto Rubini che siimpiccherà nel carcere diS.Vittore, dopo essere statosottoposto ad atroci torture.Jenide, arrestata dai fasci-sti, viene portata a Monza.Lì è percossa e torturata. Leviene, fra l’altro, rotta unamascella che poi le sarà riag-giustata in qualche modo.Da Monza Jenide è trasfe-rita a S.Vittore, nel raggiodei politici. A San Vittore ri-ceve maltrattamenti.Secondo le testimonianzedelle sue vicine di prigio-nia, questa circostanza è pro-vata dal fatto di aver visto, ungiorno, Jenide con la sotto-veste sporca di sangue.Nonostante le botte e le tor-ture ricevute Jenide non par-

A Jenide Russo, staffetta partigiana, deportatanei lager di Ravensbrück e Bergen Belsen, dovemorì il 26 aprile 1945, all’età di 27 anni per esau-

rimento e tifo petecchiale, è dedicata una lapide in viaPaisiello 7, a Milano, dove abitava con la madre e le duesorelle.

Nasce a Milano il 23 giugno 1917. Operaia.Durante il fascismo Jenide non si interessa di

politica, pur mantenendo, come la madre e le due sorel-le, una posizione di ostilità al regime.

la. I suoi torturatori si stu-piscono per la resistenza dalei dimostrata, soprattuttoin quanto donna, e insistonoperché faccia i nomi dei suoicompagni.Jenide però non cede. In unalettera inviata clandestina-mente alla mamma, dal cam-po di concentramento diFossoli, datata 11 maggio1944, scrive a proposito deigiorni trascorsi a Monza e aSan Vittore: “Siccome nonvolevo parlare con le buo-ne, allora hanno cominciatocon nerbate e schiaffi. Mihanno rotto una mascella

(ora è di nuovo a posto.) Ilmio corpo era pieno di livi-di per le bastonate; però nonhanno avuto la soddisfazio-ne di vedermi gridare, pian-gere e tanto meno parlare.Sono stata per cinque gior-ni a Monza, in isolamento, inuna cella, quasi senza man-giare e con un freddo da ca-ni. Venivo disturbata tutti igiorni perché volevano cheio parlassi. Ma io ero più du-ra di loro e non parlavo. Dìpure che ho mantenuto laparola di non parlare: credoche ora saranno tutti con-tenti di me”.

Alla fine di aprile del1944 Jenide è trasfe-rita nel campo di con-

centramento di Fossoli, vi-cino a Carpi, dove i prigio-nieri venivano radunati peressere poi deportati nei va-ri lager nazisti dislocati inEuropa. Il 2 agosto 1944 ar-riva l’ordine di partenza perRavensbrück, per Jenide edaltre detenute.Nel clima apocalittico e di-sumano di Ravensbrück c’èspazio per momenti di uma-na comprensione e solida-rietà, come quello dell’in-contro tra Jenide e MariaArata Massariello descrittanel libro Il Ponte dei corvi.«Ti ricordo così affettuosa,così incoraggiante – scrive

Maria Arata – in questo no-stro incontro fugace quan-do, dopo la crisi dell’appel-lo, mi sentivo tanto depres-sa. Mi dici che hai un tesoro na-scosto da farmi vedere, miconduci in un angolo, al ri-paro da sguardi indiscreti emi mostri una tua piccolafotografia a Milano in vialeGran Sasso. È questa via il comune cen-tro della nostra vita e rap-presenta tutto il mondo deinostri affetti.In questa piccola fotografiac’è tutto quello che abbia-mo lasciato e che non rive-dremo forse più.Grosse lacrime riempiono inostri occhi. È un attimo.

Il tesoro nascosto: una sua fotografia scattata a Milano

Jenide Russo, milanese, deportata nei lager di Fossoli a 27

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Sentiamo l’urlo della blo-ckova “Aufsteben” (alzarsi).Eneidina rapidamente fuggelasciandomi nelle mani unpaio di calze che è riuscita ad“organizzare” magari sacri-ficando la sua razione di pa-ne. Così scompare questafugace, gentile visione del-la mia vita del lager, la cuiimmagine però conservo ge-losamente nel cuore».Jenide per le condizioni igie-niche disastrose si ammaladi tifo a Ravensbrück. Riescetuttavia a superare la graveforma di malattia che l’ha

colpita. Ma verso la fine del1944 arriva l’ordine di par-tenza per Bergen Belsen. Iltrasferimento a BergenBelsen avviene in condizionidisumane su carri bestiame.Le condizioni igieniche e diconvivenza a Bergen Belsenerano insostenibili. Scoppiaancora una volta un’epide-mia di tifo, che non si riu-sciva a controllare.Jenide si riammala di tifo eviene ricoverata nell’infer-meria del campo. Il crollofisico è accompagnato da uncedimento di carattere psi-

cologico. Jenide si lascia an-dare, perde quella fiducianella vita, quella speranzain un mondo migliore, quel-lo slancio, quella vivacitàche l’aveva sostenuta neilunghi mesi di detenzione.Ed è forse questo crollo psi-cologico , più ancora di quel-lo fisico, che le dà il colpo digrazia.I familiari apprendono la no-tizia del decesso di Jenidepoche settimane dopo il 25aprile 1945, da due prigio-niere, Sacerdoti Valeria eMontuoro Maria. Le lettere

inviate da Jenide dal campodi concentramento di Fos-soli sono l’ultima sua testi-monianza diretta prima del-la partenza per la Germania.Accanto alla corrisponden-za ufficiale, sottoposta a cen-sura, Jenide era riuscita, gra-zie a mani amiche, a far per-venire ai familiari altre let-tere.Da esse traspare la sua preoc-cupazione costante di rassi-curare i familiari e soprat-tutto la madre circa il pro-prio stato di salute e le pro-prie condizioni di vita, (“io

anni, poi a Ravensbrück e Bergen Belsen

Donne a Ravensbrück. Qui Jenide arrivò nell’agosto del ’44. Fu trasferita a Bergen-Belsen alla fine del ‘44.

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qui tante volte passo dellebelle giornate” dirà in unadelle sue lettere) anche quan-do, nelle ultime lettere ap-pare evidente ormai tuttal’angoscia per l’imminentepartenza per la Germania.Emerge da queste testimo-nianze un grande senso diserenità e tranquillità, an-che quando la speranza sem-bra svanire. Quella stessaserenità e tranquillità concui Jenide affronta l’emer-genza quotidiana, i disagi,gli stenti, il freddo, i bom-bardamenti.Per raggiungere tale diffici-le equilibrio interiore ungrande aiuto le sarà senz’al-tro derivato dal suo vivacee forte carattere, ma anchedalla consapevolezza di ave-

re compiuto il proprio do-vere di patriota e di essersibattuta per un nobile idea-le: la liberazione dell’Italiadal nazifascismo, la rina-scita del Paese e la costru-zione di una società più giu-sta.In una delle ultime lettererecapitate al fidanzato scri-verà: “Qui i tuoi compagnimi dicono che sono un buonelemento e questo per me si-gnifica molto.Tu mi dicevi che non bisognamai dire niente alle donne;ma dovevi sapere a che don-na parlavi”.

*presidente Anpi di PortaVenezia (Milano)

Jenide Russo staffetta partigiana torturata emorta a Bergen Belsen

A guerra conclusa gli alleati espongono nelle vie delle cittàtedesche le foto delle atrocità nei campi.

Le lettere scritte da Fossoli

11 maggio 1944

Mammina amatissima, tu non potrai mai sapere eimmaginare la gioia e la felicità che ho provatoieri nel vederti. Oh che felicità il Signore mi ha

concesso! Quando mi hanno chiamata per dirmi che eritu, non ci credevo, non potevo credere che tu respirassi l’a-ria che respiravo io! Sono corsa come una pazza e quan-do ti ho visto il cuore mi si spezzava dalla gioia. Credevoche nelle lettere che mi scrivevate non mi dicevate la veritàe che tu eri ammalata.Invece ti ho vista e stai bene. Figurati che gridavo a tutti lamia contentezza. Insomma, nessuno può immaginare lamia felicità.Mi dispiace tanto che non mi hanno chiamato ieri mattina,ma ci sono diversi Russo e probabilmente c’è stata qualchedifficoltà. Mi è bastato di vederti per cinque minuti. So chetu stai bene ed altro non m’importa, anche se dovessi rimanerequi per un tempo indeterminato. Sono contenta che anchele mie sorelle stanno bene e che Sergio è molto bravo ascuola; digli, a nome mio, di continuare sempre così e di scri-vermi, qualche volta. Avrei tanto desiderio di vedere an-che le mie sorelle; se potete, non negatemi questo mio de-siderio. Ti ringrazio infinitamente per il pacco che mi haimandato e ti prego, cara mamma, di non spendere tantisoldi per me; mi rimorderebbe la coscienza se sapessi chevoi siete senza per me. Maria, ti ringrazio del golf; te ne seiprivata tu. In quanto al vestito, mi ricorda casa nostra eciò mi fa tanto piacere. Insomma, vi ringrazio di tutto quel-lo che fate per me e, soprattutto, mamma, per essere venu-ta a trovarmi: questa è la cosa più bella accadutami negliultimi tre mesi. Sento che mia cognata viene sempre a tro-varvi e questo mi fa tanto piacere. Quando viene, salutalatanto tanto e baciala, da parte mia. Salutami tutti quelliche domandano di me, bacia i miei cugini.

Eora ti racconto come sono stata arrestata. Sono par-tita alle 8,30 di casa, ti ricordi ? Sono andata a pren-dere delle cose e poi sono andata a portarle a desti-

nazione. Intanto che davo la roba, mi sono sentita dietro ot-to persone con rivoltelle spianate; mi hanno perquisita.Poi mi hanno portata in macchina fino a Monza, e li mihanno interrogata. Siccome non volevo parlare con le buo-ne, allora hanno cominciato con nerbate e schiaffi (nonspaventarti). Mi hanno rotto una mascella (ora è di nuovoa posto). Il mio corpo era pieno di lividi per le bastonate;però non hanno avuto la soddisfazione di vedermi grida-re, piangere e tanto meno parlare. Quello che più mi preoccupava era il fatto che volevanovenire a casa a perquisire. Sono stata per cinque giorni aMonza, in isolamento in una cella, quasi senza mangiaree con un freddo da cani. Venivo disturbata tutti i giorni,perché volevano che io parlassi. Ma io ero più dura di lo-

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ro e non parlavo (nel pacco avevo dinamite). Poi mi han-no portata a San Vittore. Non spaventarti per quello chesto per dirti: ero destinata alla fucilazione, ma invece tut-to è andato per il meglio e il più è passato. Ora sto benis-simo e sono in buona compagnia. Scusatemi se forse vi rat-tristo con questo mio racconto, ma volevo dirvi quello chemi era successo. A San Vittore stavo bene, non mi manca-va niente e qui sto ancora meglio. Di’ pure che ho mante-nuto la parola di non parlare; credo che saranno tutti con-tenti di me. Ora che la mamma mi ha visto credo che saràsoddisfatta, vero? Di’ad Aldina di scrivermi sempre e di dar-mi qualche notizia in merito a Renato. Ti prego di salutar-mi tutti e, quando hai letto questa mia, ti raccomando tan-ti bacioni grossi grossi.

Jenide

Fossoli, 7 giugno 1944

Carissima Suor Radegonda, mi permetto di mandar-le i miei più cari saluti. Mi meraviglio perché non harisposto ad una cartolina che le scrissi la prima set-

timana che arrivai qui. Io sto bene, come pure la mia com-pagna e così spero di lei e delle sue sorelle. Spero che nel-le sue preghiere si ricordi di me, anche se ne sono sicura ela ringrazio. Vorrei tanto sapere se la Ida e la Clara sonostate scarcerate. Le sarò grata se vorrà rispondere a que-sta mia. Le rendo noto che ho potuto vedere mia madre e miasorella. E di questo posso ringraziare il nostro SignoreIddio. Lei non può immaginare come sono contenta orache ho visto i miei e che ricevo posta. Vuole essere così gen-tile da salutarmi tutte le compagne che sono rimaste ?Gianna, Carlotta, Luisella. Abbiamo visto arrivare il me-se scorso la Vittorina e, dopo due giorni, è partita con unconvoglio di ebrei; chissà dove saranno ora! Salutatemi ericordatemi alla Madre Superiora e a tutte le sue sorelle.Ha poi trovato una mia sostituta nel lavare? Forse più bra-va di me, vero? Io mi ricordo sempre di lei e sempre la ri-corderò. In attesa di una sua risposta permettete che lemandi un grosso bacio. Tanti auguri e pregate per me.

Jenide Russo

Salutatemi tutti

21 giugno 1944

Carissimo Renato, sono passati parecchi giorni, maancora non ho ricevuto tue nuove, come mai? Noncredo che tu mi abbia dimenticato. E siccome non so

quando potrò vederti, ti prego di scrivermi una lettera,perché così partendo per ignota destinazione avrò un tuoricordo. Renato, ieri sono partiti più di 1000 uomini perla Germania e noi siamo qui in attesa. È per noi un’ago-nia non saper niente. Ogni giorno ci sono adunate. Devisapere che abbiamo i nervi tesi e che si sta male solo al pen-siero di lasciare la nostra cara Italia. Perciò ti prego: senon mi hai ancora scritto, scrivimi subito! Ho saputo chedomenica sei andato a Musocco con le mie sorelle a tro-vare Gabriele. Sulla pietra che nome c’è? Non credo chesia con il suo vero nome. Hai mandato Maria a Bologna.Sarà un compito nostro avvisare la sua famiglia. Quandoverrò a casa andrò io se non ci sarà ancora andato nes-suno. Certo sua madre non lo verrà mai a sapere perchéne morrebbe. Invece sua sorella mi ha detto di riferirequalsiasi cosa. Renato, quello che mi preoccupa è di sa-perti sempre in pericolo. Non potrai tanto uscire di casa.Cerca di stare in guardia. Io ti penso sempre e sempre tiricordo, con la speranza di essere ricordata anch’io da te.Quanto mi piacerebbe tornare a casa e stare un po’a chiac-chierare con te ed Aldina. Spesse volte mi viene la nostal-gia di casa tua. Ricordo i giorni lieti passati con te e an-che però le belle sgridate che mi facevi. Qui i tuoi compagnimi dicono che sono un buon elemento e questo per me si-gnifica molto. Tu mi dicevi che non bisogna mai dire nien-te alle donne; ma dovevi sapere a che donna parlavi. Tu cer-to non lo sapevi. Ad ogni modo quando verrò a casa ne ri-parleremo. Ti mando tanti, tanti grossi bacioni, in attesadi ricevere tue notizie. Salutami i tuoi fratelli, un bacio adAdelina, uno a Luciano e uno grosso a te.

Tua Jenide

Fossoli, 1 agosto ‘44

Carissima mammina, mancano poche ore alla par-tenza. Io parto per la Germania come già ti horiferito nelle lettere che riceverai. E ora siamo

agli sgoccioli. Non preoccuparti: vedrai che non misuccederà niente di grave. Non pensarci; state allegrie speriamo che tutto finisca presto, per poter ritorna-re presto tra di voi. Io vi ricorderò sempre, ovunqueandrò, con la tua benedizione, cara mamma. Ricordatisempre e prega sempre per me. Appena mi sarà possi-bile ti scriverò e ti farò sapere mie notizie. Ti racco-mando di non piangere e di non disperarti. Senti, mam-ma, non sgridarmi e non farti una cattiva opinione dime. Guarda che ho fatto un errorino. Ero a casa e non avevo soldi e siccome ne avevo biso-gno ho impegnato la mia borsina rosa e un lenzuolo. Lepolizze sono nel secondo cassetto nel pacco di letteredi Franco. Non volevo dirtelo, ma siccome parto, mispiacerebbe perdere questi oggetti. Se non dovessi ritornare ne potranno godere le mie so-relle. Vi abbraccio forte forte e vi bacio tanto tanto.Scusatemi tanto e baciatemi Renato e ditegli che glivorrò sempre tanto bene.

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L’eccidio di SantaCecilia prende l’av-vio da un tentativo di

violenza (non riuscito daparte di un soldato tedesco)ai danni di una sedicenne,sfociato in tragedia, con lamorte del molestatore.Carmela Gattone, la ragaz-za che subì la tentata vio-lenza, ha raccontato inun’intervista molti anni do-po a Giuseppe Iacone, la tri-ste vicenda. Ne riportiamouna sintesi.La mattina del 30 dicem-

bre 1943, mentre i tedeschifacevano sfollare i contadi-ni dalla collina di SantaCecilia verso la città diChieti, la ragazza cercò, in-sieme agli altri familiari, direcuperare delle masserizie

di Romolo Vitelli

Le nostrestorie

64 anni fa a Francavilla al Mare (Chieti) furono trucidati 20

Una strage nazistain seguito aun tentativo di stupro

per nasconderle al sicuro inuna casetta semi-nascostain fondo ad un vallone.Mentre faceva alcuni viag-gi si accorse che un giova-ne tedesco a cavallo la sta-va osservando e la seguivacon intenzioni poco rassi-curanti. La ragazza allora si nasco-se, assieme alla madre e al-la sorella nella stalla, ma iltedesco ubriaco fradicio,imprecando ed urlando en-trò nel locale, afferrò per unbraccio la povera sventura-ta trascinandola con sé. La giovinetta dimenandosie urlando, si aggrappò a unaringhiera, chiedendo aiuto.Il padre richiamato dalle ur-la della figlia giunse trafe-lato nella cascina e pregò

l’aggressore di lasciarla.Visti vani i tentativi per in-durlo a desistere dall’insa-no gesto, andò in cucina epreso un coltello vibrò unacoltellata alla gola del gio-vane. “Il sangue sgorgava afiotti, ma il tedesco non mol-lava la presa”– anzi raccontala ragazza nell’intervista:[..]“le sue mani erano diven-tate in quell’attimo due mor-se d’acciaio che si stringe-vano sempre di più e fu pro-prio in quell’attimo che miopadre gli sferrò altri colpicostringendolo a lasciarmi”. Ma il tedesco non ancoracolpito mortalmente cercòdi scappare, urlando per ri-chiamare in suo aiuto i com-militoni; allora il padre im-paurito gli sferrò un’altracoltellata, quest’ultima fa-tale e il tedesco fatto un cen-

tinaio di metri si accasciòal suolo privo di vita.Alla vista del giovane mor-to i familiari scapparonoverso il bosco, temendo lareazione dei commilitonidel soldato. Reazione chepurtroppo non si fece at-tendere. Il comando tede-sco scatenò subito una fe-roce rappresaglia, “secon-do la barbara consuetudinedi guerra dell’esercito na-zista”. Vediamo come si svolsero ifatti nel racconto di AntonioLorito, uno dei sopravvis-suti, invalido della Previ-denza sociale, calzolaio agiornata, con il quale tor-nammo trent’anni dopo incontrada S. Cecilia, nei luo-ghi che videro 20 cittadiniinermi di Francavilla, fal-ciati dalla ferocia nazista.

«Nel dicembre del1943 ero statopreso dai tede-

schi e costretto a lavorareper loro. Ero stato portatoin contrada Santa Cecilia.Ricordo che mentre parlavodel più e del meno insiemeagli altri amici e conoscen-ti, sopraggiunse una pattu-glia di tedeschi paracaduti-sti che si arrestò piazzan-dosi dinnanzi a noi con i mi-tra spianati. Dalla pattugliasi staccò un graduato checon tono minaccioso urlò:“Alle Kaputt!”-“Sì propriocosì: “Italiani traditori, tut-

ti kaputt, rauss”, gridavaspingendoci avanti. “Ci chiusero in una stalla”–aggiunge - “e ci perquisi-rono dalla testa ai piedi.Verso mezzogiorno ci fu ungran trambusto: non si capìbene cosa fosse; l’unica co-sa che avvertimmo fu il pas-so cadenzato di una pattu-glia nazista che si avvici-nava. Istintivamente alcunidi noi si misero a correreverso una di quelle case chec’erano lì vicino in cerca diun nascondiglio sicuro.Quando i tedeschi arriva-rono ad una trentina di me-

Raffiche di mitra,scoppi di bombe, un inferno

Perché riproporre oggi, a 64 anni di distanza,l’eccidio nazista che ha colpito 20 cittadini iner-

mi di Francavilla al Mare, una ridente cittadina abruz-zese in provincia di Chieti, sul mare Adriatico?

È il bisogno di non dimenticare che mi spinge arichiamare all’attenzione dei più un tragico

evento in quanto penso con il premio Nobel per la pace,E. Wiesel, che: “Se qualcosa potrà salvare l’umanità,sarà il ricordo: il ricordo del male servirà da difesacontro il male; il ricordo della morte servirà da difesacontro la morte”.

Mi avvarrò della testimonianza di uno deisopravvissuti all’eccidio, ora scomparso, resaminel 1974 e pubblicata da Abruzzo d’Oggi, quindi-

cinale per il quale scrivevo e che ripropongo, conaggiunte e piccole modifiche.

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0 cittadini inermi dopo che i genitori della ragazza avevano ucciso l’aggressore

Perché fu distrutta Francavilla:una ricerca storica sul martirio

Dall’alto in basso: Angelo D’Argento, Antonio Lorito, MarioAngelucci, Fernando Calvi, Mario Iacone, Vincenzo Selvaggi,Marcello Montanaro. Dei superstiti all’eccidio vive ora soloMario Iacone, cavaliere della Repubblica, di 92 anni.

tri da noi si fermarono e su-bito degli ordini concitatirisuonarono nell’aria.Immediatamente seguiti dascoppi di bombe a mano,raffiche di mitra, colpi dipistola, invocazioni d’aiuto,lamenti, un inferno insom-ma». Ma tu - chiedo- come ti seisalvato”?. “Un miracolo, unpuro caso – seguita con vo-ce visibilmente emoziona-ta. Eravamo in tre: io, Mon-tacci Ugo e Carlotti Aldo(quest’ultimo un ragazzo diappena 17 anni, che per ilterrore divenne pazzo e dilì a qualche anno morì n. d.r.) e ci eravamo rifugiati inuna stanza nascondendocisotto un letto matrimoniale.Fu la nostra salvezza. In tutto 20 francavillesi:operai, contadini, studenti,

tutta gente del popolo.La pattuglia tedesca era an-cora lì ferma con le armi inpugno. Pensavo tra me:“oratocca a noi!”.Ci ordinarono di prenderele forche e le pale e ci spin-sero dietro la casa dove c’e-ra una fossa di letame. Cifecero togliere il letame enella fossa allineammo icorpi straziati dei nostricompagni coprendoli conun palmo di terra». Ma vorrei riprendere, an-che per inquadrare storica-mente la vicenda dell’ecci-dio di Santa Cecilia con al-cune questioni ed eventi diquel periodo buio diFrancavilla, che hanno ap-passionato la ricerca stori-ca e alimentato un interes-sante dibattito.

Le problematiche so-no: il perché della di-struzione di quella

che fu una ridente cittadinaadagiata sulla costa adria-tica; il ruolo delle bandepartigiane nel quadro piùgenerale della lotta di libe-razione; ed infine la lungalotta per il riconoscimentodi Francavilla come cittàmartire.Ci faremo aiutare in questaricerca dal caro amicoGiuseppe Iacone, che suqueste ed altre interessan-ti tematiche ha fatto studie ricerche minuziose ed ap-

profondite, in Italia e al-l’estero, pubblicando varitesti, valga per tutti: Ka-putt, che ha dato un contri-buto essenziale alla lottaper il giusto riconoscimen-to del martirio diFrancavilla.

C’è una questione che sto-rici, politici e militari han-no dibattuto a lungo: ilperché della distruzionedi Francavilla; cosa cipuoi dire in proposito?Pochi giorni dopo l’ecci-dio di Santa Cecilia, ebbeinizio l’integrale distru-

zione della cittadina diFrancavilla per mezzo delbrillamento di mine, a par-tire dai quartieri dellaspiaggia verso il fiume Foroa sud. Il 23 dicembre ‘43 iguastatori attaccarono l’a-bitato ancora dalla partedel fiume Alento, a nord.Nel 1944 i guastatori ra-sero letteralmente al suolol’intero quartiere della ma-rina, e distrussero tutti i re-stanti edifici del paese alto,sebbene la loro opera fos-se resa difficile dalla stes-sa struttura urbanistica diuna cittadina medievale,con schema viario“a spinadi pesce”. Nessun edificiofu risparmiato: crollaronocosì la Chiesa di S. MariaMaggiore, monumento na-zionale, e vari antichi pa-lazzi del sec. XIV, XVI eXVII. Dall’alto il panorama del-la distruzione di Francavillaera desolante. Le distruzio-ni accertate nel dopoguer-ra risultarono del 98,80 percento dell’abitato!

A proposito della lottapartigiana a Francavillaal Mare che cosa ci puoidire?Nonostante il divieto daparte degli occupanti tede-schi di possedere armi pe-na la perdita di vite umaneanche a Francavilla si andòcostituendo una banda par-tigiana, formata prevalen-temente da soldati e mari-nai del luogo tornati in pae-se dopo l’armistizio; ad es-si si aggiunsero militari chesi trovavano di stanza a

Francavilla e altri sban-dati, inoltre ex prigionieriinglesi, americani, iugo-slavi fuggiti dai campi diconcentramento della zo-na.Questi partigiani, detti inun primo tempo “ribelli,”poi “patrioti,” svolgevanoquel tipo di lotta che un ter-ritorio per lo più pianeg-giante come il nostro pote-va consentire: soprattuttoquindi attività di sabotag-gio per impedire i movi-menti operativi tedeschi, didisturbo delle comunica-zioni, nonché di aiuto aiprigionieri e ai paracadu-tisti alleati.

I partigiani erano in con-tatto con gli alleati ? Qualifurono le azioni più im-portanti?Sì, erano in collegamentocon gli alleati: con un ca-pitano scozzese e un sot-tufficiale inglese, che era-no stati paracadutati alloscopo di organizzare gli im-barchi notturni degli ex pri-gionieri alleati, che veni-vano raccolti da un sotto-marino presso la foce delfiume Foro. Durante un’o-perazione del genere in unanotte di novembre, avvenneuno scontro a fuoco traun’imbarcazione germani-ca in servizio di perlustra-zione e i partigiani: due uf-ficiali tedeschi rimasero uc-cisi.Tra le imprese più notevo-li fu la cattura del presidiodella Wehrmacht in servi-zio alla stazione radar diS. Maria della Croce.