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L’ARCHITETTURA AMERICANA DAGLI ANNI TRENTA
AL DOPOGUERRA: FRANK LLOYD WRIGHT E
I MAESTRI EUROPEI
Prof. Raffaele Giannantonio
Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e PescaraDIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA
CORSO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA Ia
A.A. 2017-2018
FRANK LLOYD WRIGHT TRA LE
DUE GUERRE.
F. Ll. Wright tra le due guerre compie un
percorso opposto rispetto a quello
perseguito dagli architetti in Europa:
anziché la sottrazione, la selezione e la
rottura con la storia, egli si inoltra nel
progressivo arricchimento della sua
poetica, attento a captare il carattere
originale americano.
Il colloquio con la storia si rivolge verso
la rilettura della cultura precolombiana
del Centro America e verso
l’interessamento della tradizione nomade
dei nativi americani (i “pellirossa”).
Accanto a ciò c’è l’approfondimento
delle culture orientali, soprattutto
giapponesi, con le quali Wright si è
trovato in singolare sintonia filosofica
per quanto riguarda il concetto di spazio,
agli antipodi rispetto alla tradizione
europea.
Ennis House (1923-24), Storer House (1923-24), Freeman House (1924)
THE TEXTILE BLOCKS
In questo libro FLW manifesta la
sua sfiducia nella sopravvivenza
delle città antiche che egli definisce
come “una sorta di tumore maligno
(…) una minaccia per il futuro
dell’umanità”. FLW riteneva che le
città in quanto progressivamente
abbandonate sarebbero scomparse.
Non riteneva però che dovessero
essere distrutte ed era fortemente
attratto dalla bellezza delle città
europee che riteneva potessero
sopravvivere per il loro differente
modello culturale. Pensava
semplicemente che in USA la gente
fosse libera di muoversi
liberamente attraverso l’automobile
e i nuovi mezzi di comunicazione.
1934: FLW espone un progetto di città ideale chiamata Broadacre. Ogni cittadino ha un
acro di estensione (circa 4.000 mq.) ed ogni famiglia è isolata in una zona verde in
modo da non dover subire alcuna soggezione dai vicini. La città tradizionale si riduceva
a un luogo di lavoro «invaso alle 10 ed abbandonato alle 16, per tre giorni alla
settimana», mentre la vita associativa si svolgeva in appositi centri, più numerosi degli
attuali e sparsi nel territorio; gli spostamenti erano affidati alle automobili, mentre un
gran numero di contatti e di spettacoli sarebbero ricevuti a distanza, attraverso i mezzi
moderni di telecomunicazione; «mediante tali doni della scienza cercheremo di
associarci più intelligentemente, e quindi sempre di meno».
A Broadoacre quel che si guadagna in libertà spaziale si perde in costrizione temporale;
FLW dice: «tra l'ascensore e l'automobile scelgo l'automobile», che consente di
spostarsi dove si vuole, ma non quando si vuole; condanna la città verticale alla LeC
perché fissa il luogo di ogni attività umana, non vedendo che Broadacre conduce a
fissare i tempi di ogni attività, compresi i divertimenti.
Broadacre non è un programma urbanistico ma l'illustrazione di un principio: è il tipo di
città compatibile con l'architettura di FLW che ha precise esigenze di spazio, mentre
vive in un tempo mitico, immaginario.
Se Broadacre è scambiata per un programma concreto può portare solo confusione;
se è riconosciuta come un'allegoria astratta, ha un importante valore di stimolo,
perché rappresenta unilateralmente un'esigenza urbanistica reale.
Jacobs House, Madison, Wisconsin, 1936
Jacobs House, Madison, Wisconsin (1937)Willey House, Minneapolis (1933)
LE CASE USONIANE. Nel 1934 FLW mette a punto un tipo di abitazione più
consona alla crisi economica del periodo: le case “usoniane” (da “USA”). Si
tratta di abitazioni a basso costo ottenuto variando le disposizioni interne e
usando materiali poco cari, ma mantenendo il carattere di abitazione organica.
Sono piccole residenze per la classe media in materiali naturali (legno, muratura,
acciaio, vetro) che raprono a 36°° le possibilità compositive fin qui esperite.
Il progetto per la Willey House, una delle rare costruzioni di quegli anni,
annuncia la casa usoniana.
Sturges House, 1939
THE NATURAL
HOUSE: la casa che
sorge dalla terra e ne
segue la viva forza
generatrice
dispiegandovi le
funzioni dell’uomo
nella bellezza
Casa sulla cascata (falling water),
per Edgar J. Kaufmann, Mill Run,
Pennsylvania, 1935
Proprio mentre era alle prese con la ricerca di soluzioni nuove per la pianificazione urbana e
di sistemi di costruzione che consentissero di ridurre i costi dell’abitazione per la famiglia
media americana, Wright ricevette inaspettatamente l’incarico per un progetto insolito, dal
quale nacque quello che sembra il risultato di una enorme energia creativa repressa. Uno
degli apprendisti della Taliesin Fellowship era Edgar J. Kaufmann jr., figlio del proprietario
di un avviato grande magazzino di Pittsburgh. Edgar persuase il padre a finanziare la
costruzione del modello che doveva poi essere esposto in tutto il paese.
Due sono gli elementi su cui si fonda la disposizione della Casa sulla cascata: il torrente e le
cascatelle che scorrono proprio sotto alla casa, dalla quale si gode anche un’ampia vista sui
pendii della collina, e i cornicioni di roccia ai quali essa è ancorata. L’edificio si sviluppa
lungo le rocce e la pianta è movimentata da un gioco di aggetti e rientranze alternati che
riprendono il motivo delle cornici rocciose e creano la sensazione di un rifugio, quasi di una
grotta; Ma, immediatamente sopra le cascate e in faccia alla valletta e alla vegetazione,
l’edificio è spettacolarmente aperto verso la natura, grazie alle ampie vetrate, di finestre e
porte-finestre che danno su terrazze aggettanti, a sbalzo.
F.Ll.Wright, Princeton, 1930: “Io vi chiedo: vi siete resi conto del cambiamento che si
è veificato là, nella linea che separa gli edifici dal cielo, lo skyline degli architetti?
Guardateci bene! Il cielo sembra più vicino! La cornice è sparita”
Nel 1937, dopo una polmonite,
FLW decide con Olgivanna di costruirsi
una casa con relativo studio di Taliesin
West, fortemente ispirato dal luogo e
costruito con le locali pietre colorate e
con la sabbia dei fiumi prosciugati sul
posto. Pensato inizialmente come un
accampamento, venne via via
trasformato, ingrandito e reso più solido.
Qui FLW trasferisce la sua scuola nel
1938. Il tema del deserto, con i suoi
ampi scenari dalla infinita linea
orizzontale, ispira a FLW una
originalissima architettura fatta di pietre,
legno e tela. Questa volta l’architettura si
spoglia completamente della
decorazione incisa sul materiale, che
vibra solo della sua naturale tessitura e
del suo colore, dissolvendosi quasi nel
paesaggio.
La forza imprigionata nella pianta, impressa nella rotazione a 45° della sua maglia
ortogonale, esplode nella struttura lignea della sala da disegno, una sorta di “foresta
astratta” dagli intrecci diagonali, tra i quali sono tesi pannelli di tela bianca che diffondono
la luce del deserto: ancora il tema della tenda.
Frank Lloyd
Wright nel 1940
Es. Sperimentazione sulla spirale: Frank Lloyd Wright,
The Gordon Strong Automobile Objective and Planetarium
(1924-25)
L’architettura di FLW,
dagli anni Quaranta in poi,
sembra quasi portare una sfida a se
stessa. La spazialità organica diviene
avventura iperbolica. FLW utilizza al
limite le valenze di geometrie dal
complesso intreccio di angolazioni e di
volumetrie basate sull’intersezione tra
le forme triangolari e il cerchio,
mentre la spirale diviene la chiave
di un’inventività geniale e
personalissima.
Il Guggenheim Museum fu l’apoteosi
della filosofia organica di Wright, nella
quale le idee di pianta, sezione e
prospetto - proprie della sua precedente
sperimentazione - si univano in un
convincente tessuto tridimensionale di
forma, spazio e astrazione. Soltanto una
spirale di calcestruzzo avrebbe potuto
incarnare l’intera gamma delle sue
intenzioni, poiché questa forma
combinava centralità e sequenza,
equilibrio e movimento, e un implicito
senso di crescita e aspirazione. L’edificio
era una specie di “organismo”; un
antidoto contro la brutalità e
l’uniformità della griglia della città
industriale americana. Gli immediati
successori di Wright cercarono di imitare
gli effetti superficiali del suo stile, senza
però coglierne i principi generatori,
tanto che l’influenza immediata
sull’architettura americana nel suo
complesso fu scarsa.
Il concetto di grattacielo di Wright
comportava il netto rifiuto dell’idea di
scatola/telaio/griglia modulare in favore
di un nucleo con solai
a sbalzo estensibili, che consentiva
la creazione di alcuni spazi a doppia altezza con
mezzanini. L’analogia essenziale era quella
dell’albero; un organismo piuttosto che un
meccanismo.
La Price Tower combinava appartamenti e uffici e
si estendeva su una pianta a raggi.
La sezione stratificata e la complessa
geometria della pianta erano direttamente espresse
all’esterno.
Riprendendo il concetto della «struttura ad albero»
messa a punto nella torre
della Johnson Wax, egli inventa un
organismo basato sulla rotazione a 45 gradi
di due quadrati, innervati su quattro pilastri
triangolari che sostengono i piani degli uffici
e gli appartamenti duplex con la forza centrifuga
dello sbalzo dei solai.
“Come la luce solare cade sull’oggetto
impotente, rivelandone forma ed aspetto,
così una corrispondente luce, della quale
il sole è come il simbolo, risplende
nell’opera ispirata dell’umanità. Questa
interna luce fa certi che l’Architettura,
l’Arte e la Religione dell’uomo sono una
cosa sola, sono i suoi simbolici emblemi.
Potremo chiamare appunto umanità la
luce che non viene mai meno. Gli
elementi fondamentali dell’uomo sono
soggetti a questo miracolo della luce
stessa. Alba e tramonto sono gli
appropriati simboli del vivere dell’uomo
sulla terra (...). Il cielo può essere
simbolo di questa luce delle luci solo
in quanto, come cielo, sia anche
rifugio”
(Frank Lloyd Wright, A testament, 1957)
Il grattacielo ha il nome di un intero
Stato, “The Illinois”, e i suoi 528 piani
sono destinati ad accogliere 130.000
abitanti, con un parcheggio per 15.000
macchine e terrazze di atterraggio per
150 elicotteri. È una città verticale, con
la stessa impostazione della Torre Price,
ma moltiplicata al limite
dell’inverosimile. La struttura è in
acciaio con le pareti esterne tenute in
sospensione da cavi metallici. Gli
ascensori sono ad energia atomica.
La pianta a «tripode» garantisce un
perfetto bilanciamento alla spinta del
vento, così come l’immensa cuspide è
pensata come una mitica spada la cui
elsa è affondata nel terreno.
FLW la chiama “Città-cielo”,
ponendola come conclusione del suo
libro Testamento, nelle cui ultime pagine
si legge la sua fede suprema nel lavoro
che ha scelto.
I MAESTRI EUROPEI NEGLI STATI UNITI
L’emigrazione di alcuni maestri moderni aggiunse un’importante
dimensione al processo di cambiamento. L’esodo dei protagonisti
dell’architettura moderna europea negli Stati Uniti provoca uno
scambio importantissimo di esperienze tra vecchio e nuovo mondo. I
Maestri europei trovano in America una formidabile organizzazione
del lavoro, la fiducia di prestigiosi istituti universitari che li chiamano
all’insegnamento, occasioni professionali e possibilità di sperimentare
nuove tecniche costruttive, da confrontare con la propria poetica.
Mies van der Rohe e Walter Gropius arrivarono entrambi negli Stati
Uniti nel 1937, Mendelsohn nel 1941. Essi portarono con sé filosofie e
linguaggi maturi e il loro arrivo recò immenso prestigio al Movimento
Moderno internazionale nel Nord America. Tuttavia si inserirono in
una cultura piuttosto estranea ai loro obiettivi originari; la
modificarono, ma ne vennero a loro volta cambiati. Mies van der
Rohe, Gropius, Mendelsohn, Neutra, Breuer, reagiscono in modo
diverso a questa favorevole condizione.
Mies van der Rohe sembra avere avuto meno problemi di adattamento nella diaspora rispetto a
Gropius. In realtà, il suo arrivo a Chicago, la patria del telaio in acciaio, sembra essere stato
congegnato dal fato. Un campus universitario, una casa individuale, due complessi residenziali,
un grattacielo, sono i punti di applicazione più teorematici di questo metodo.
È Wright a raccomandare Mies all’Illinois Institute of Technology
(ITT), per il quale, dal 1938 al 1958, l’architetto tedesco progetta la
sede secondo la legge del «minimo» eletto a sistema. Le funzioni
principali erano raggruppate in scatole rettangolari, con struttura in
acciaio, collocate su un podio, in una composizione che combinava
assialità neoclassica e le idee della progettazione asimmetrica degli
anni Venti. In una sorta di astrazione industrializzata, gli edifici più
bassi nella gerarchia assomigliavano a eleganti fabbriche.
Un modulo unitario, inteso come principio di ordine che procede per
progressione razionale guidando la relazione delle parti con
l’insieme, elementi costruttivi come il ferro, il vetro, il mattone,
levigati ed esibiti nella loro essenziale perfezione - la travetta a
doppio T e il pannello - sono la declinazione poetica di poche, certe,
parole, sempre le stesse.
Nella Crown Hall del Campus tutto ciò diviene sintesi estrema.
Mies: «Less is more»
L’atteggiamento di Gropius è
completamente diverso rispetto a
quello di Mies. La sua ostinata
negazione dello stile, il suo
prediligere il metodo, l’analisi
dei problemi, il lavoro di gruppo,
fa sì che egli rinunci a
presentarsi negli USA come un
protagonista assoluto, per
fondare invece assieme ai propri
allievi della Harvard Un. dove
insegna, uno studio associato
(TAC), autore di tutti i lavori del
dopoguerra. Ciò causa un
progressivo slittamento verso
una pratica eclettica più attenta
all’individuazione della tipologia
e al funzionamento dell’edificio
piuttosto che al valore artistico
dell’opera e che talvolta conduce
Gropius verso clamorosi errori
urbanistici e di gusto.
Walter Gropius, PAN-AM Building, New
York (attuale Met-Life Building, 1958-63) )
Bruno Zevi: “Nulla è più doloroso della stanchezza che coglie i nostri vecchi maestri.
Walter Gropius, l’animatore del bauhaus, non è stato un grande artista creativo,
ma l’appassionata vocazione didattica e la fedeltà ai principi dell’urbanistica e
dell’edilizia moderna bastavano a farne un sicuro punto di riferimento etico. (…)
Oggi anche il mito di Gropius decade. Il Pan Am Building costruito a New York
sopra la Grand central Station è un’assurdità urbanistica che nessuna
argomentazione dialettica riuscirà a giustificare”.
Walter Gropius: “L’architetto o l’urbanista non ha quasi mai ricevuto un mandato
dalla popolazione per ideare la migliore cornice possibile e adeguata a un auspicabile
modo di vita. Quanto egli riceve, di norma, non è altro che una semplice commessa
individuale, e con obiettivi molto limitati, da una parte di singoli clienti che si sono
finalmente decisi a crearsi un loro posto al sole”
Quella di Gropius è la resa incondizionata dell’AM di fronte a una società, in
particolare quella USA, che traduce lo spazio urbano (lo spazio della socialità) in
termini puramente economici. Con cinico realismo Gropius toglie i panni
dell’intellettuale europeo e in USA chiude il sogno modernista si una società
liberata dalla tecnica.