l’architettura militare nell’età di leonardo · nato da una sorella e che proseguirà la loro...

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www.istitutocastelli-toscana.org 1 L’architettura militare nell’età di Leonardo Guerre milanesi e diffusione del bastione in Italia e in Europa Atti del Convegno Internazionale di Studi, Locarno, Scuola Magistrale, 02-03 giugno 2007, pp. 231-253. Giuliano e Antonio da Sangallo 1 La nuova architettura militare Francesco di Paulo Giamberti (Francesco di Bartolo di Stefano) il quale fu ragionevole architetto al tempo di Cosimo de’ Medici, e fu da lui molto adoperato, ebbe due figlioli, Giuliano (1445-1516) e Antonio (1453-1534), i quali mise all’arte di intagliare il legno, e col Francione (Francesco di Giovanni di Matteo 1425-1495) legnaiolo, persona ingegnosa…… così inizia a parlare il Vasari, nel suo Trattato al tomo IV, circa la vita dei due Sangallo. I due ragazzi insieme con altri come Baccio Pontelli, i fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano con altri collaboratori come Paolo di Francesco, la Cecca, Domenico detto il Capitano, e Luca del Caprina da Settignano, in questa bottega imparano l’arte del falegname e dell’intarsio (….). Oltre che l’arte del lavorare il legno imparano anche quella di maestro d’ascia (carpentiere) per fare ponteggi, per costruire grosse carpenterie o per spostare pesi nei grandi cantieri. E’ corretto ricordare che quanto nasce Antonio (detto il Vecchio per distinguerlo dal nipote nato da una sorella e che proseguirà la loro arte dalla prima metà del ‘500) avviene la caduta dell’Impero Romano d’Oriente in conseguenza di un assedio dove per la prima volta vengono adoperate alcune grosse artiglierie (quattro bombarde dette maomettane). Questo episodio e questa nuova tecnica d’assedio con armi potenzialmente assai micidiali, farà non poco scalpore nel mondo occidentale, tanto che, pur conoscendo ormai da vari decenni la polvere da sparo e alcune piccole applicazioni per nuove armi (bombardelle manesche o scoppietti), solo dopo questo importante episodio verrà compreso la portata distruttiva e le straordinarie applicazioni che tali armi potevano avere sul campo di battaglia e nel teatro di un assedio. Su tale conoscenza e ancor più su questa applicazione, al di sopra delle sempre più sofisticate tecniche di fusione (ad esempio le prime artiglierie cerchiate e in seguito fuse in un solo pezzo, oppure i calibri più diversificati sia in pietra che in ferro, misurati in libbre), si comprese come non solo il sistema di fare gli assedi alle città o ai castelli, stesse velocemente cambiando, ma che nelle architetture fortificate dove vi erano ormai tecniche codificate per una difesa/offesa a carattere piombante e ficcante (alte e snelle murature e alte torri) sarebbe sopravvenuta una difesa/offesa con armi a tiro teso e assai dirompenti sulle murature. Questo portava alla necessità di cambiare molto velocemente il sistema costruttivo delle fortificazioni: si cominciarono a costruire murature più basse e con superfici “arrotondate”. I Sangallo, quasi ventenni, già alla bottega del Francione, dovettero affrontare questo problema e in maniera particolare poiché erano specialisti d’ascia e quindi carpentieri di grandi opere; essi misero la loro spiccata creatività al servizio della costruzione di fortificazioni secondo le nuove esigenze. La prima occasione che si presentò, fu a seguito della nomina del Francione a Provveditore delle opere di fortificazione e di difesa della Repubblica di Fiorenza (dopo la congiura dei Pazzi del 1478) poiché il Principe Piero e poi anche Lorenzo il Magnifico compresero che per poter dominare e difendere il territorio circostante avrebbero dovuto costruire o rafforzare tutti quei manufatti fortificati, strumento di salvaguardia della loro economia e della loro leadeship. E’ necessario anche ricordare, per poi comprendere i cambiamenti dovuti alla potenza distruttiva di queste nuove “macchine” da guerra fisse nel territorio o poste nella muratura (artiglierie),

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L’architettura militare nell’età di Leonardo Guerre milanesi e diffusione del bastione in Italia e in Europa

Atti del Convegno Internazionale di Studi, Locarno, Scuola Magistrale, 02-03 giugno 2007, pp. 231-253. Giuliano e Antonio da Sangallo

1 La nuova architettura militare

Francesco di Paulo Giamberti (Francesco di Bartolo

di Stefano) il quale fu ragionevole architetto al tempo di

Cosimo de’ Medici, e fu da lui molto adoperato, ebbe due

figlioli, Giuliano (1445-1516) e Antonio (1453-1534), i quali

mise all’arte di intagliare il legno, e col Francione

(Francesco di Giovanni di Matteo 1425-1495) legnaiolo,

persona ingegnosa…… così inizia a parlare il Vasari, nel

suo Trattato al tomo IV, circa la vita dei due Sangallo. I

due ragazzi insieme con altri come Baccio Pontelli, i

fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano con altri

collaboratori come Paolo di Francesco, la Cecca,

Domenico detto il Capitano, e Luca del Caprina da

Settignano, in questa bottega imparano l’arte del

falegname e dell’intarsio (….).

Oltre che l’arte del lavorare il legno imparano

anche quella di maestro d’ascia (carpentiere) per fare

ponteggi, per costruire grosse carpenterie o per spostare

pesi nei grandi cantieri. E’ corretto ricordare che quanto

nasce Antonio (detto il Vecchio per distinguerlo dal nipote

nato da una sorella e che proseguirà la loro arte dalla prima metà del ‘500) avviene la caduta

dell’Impero Romano d’Oriente in conseguenza di un assedio dove per la prima volta vengono

adoperate alcune grosse artiglierie (quattro bombarde dette maomettane). Questo episodio e questa

nuova tecnica d’assedio con armi potenzialmente assai micidiali, farà non poco scalpore nel mondo

occidentale, tanto che, pur conoscendo ormai da vari decenni la polvere da sparo e alcune piccole

applicazioni per nuove armi (bombardelle manesche o scoppietti), solo dopo questo importante

episodio verrà compreso la portata distruttiva e le straordinarie applicazioni che tali armi potevano

avere sul campo di battaglia e nel teatro di un assedio.

Su tale conoscenza e ancor più su questa applicazione, al di sopra delle sempre più sofisticate

tecniche di fusione (ad esempio le prime artiglierie cerchiate e in seguito fuse in un solo pezzo,

oppure i calibri più diversificati sia in pietra che in ferro, misurati in libbre), si comprese come non solo

il sistema di fare gli assedi alle città o ai castelli, stesse velocemente cambiando, ma che nelle

architetture fortificate dove vi erano ormai tecniche codificate per una difesa/offesa a carattere

piombante e ficcante (alte e snelle murature e alte torri) sarebbe sopravvenuta una difesa/offesa con

armi a tiro teso e assai dirompenti sulle murature. Questo portava alla necessità di cambiare molto

velocemente il sistema costruttivo delle fortificazioni: si cominciarono a costruire murature più basse e

con superfici “arrotondate”.

I Sangallo, quasi ventenni, già alla bottega del Francione, dovettero affrontare questo problema

e in maniera particolare poiché erano specialisti d’ascia e quindi carpentieri di grandi opere; essi

misero la loro spiccata creatività al servizio della costruzione di fortificazioni secondo le nuove

esigenze.

La prima occasione che si presentò, fu a seguito della nomina del Francione a Provveditore

delle opere di fortificazione e di difesa della Repubblica di Fiorenza (dopo la congiura dei Pazzi del

1478) poiché il Principe Piero e poi anche Lorenzo il Magnifico compresero che per poter dominare e

difendere il territorio circostante avrebbero dovuto costruire o rafforzare tutti quei manufatti fortificati,

strumento di salvaguardia della loro economia e della loro leadeship.

E’ necessario anche ricordare, per poi comprendere i cambiamenti dovuti alla potenza

distruttiva di queste nuove “macchine” da guerra fisse nel territorio o poste nella muratura (artiglierie),

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che in questo periodo (seconda metà del ‘400) in coincidenza a rapporti turbolenti tra i piccoli Stati

Italiani, si alternarono una serie di avvenimenti importanti: dalla congiura dei Pazzi promossa dal

papato e da Siena per abbattere la Signoria dei Medici, al rafforzamento dello Stato di Federico II

d’Urbino con la necessità quindi, di fortificare buona parte del territorio delle Marche. Ed anche dalla

politica espansionista di Papa Alessandro Borgia che cercò, con il figlio Valentino, di costruire un

nuovo Stato al centro dell’Italia, al Ducato di Milano in continua espansione dei propri confini a spese

della Toscana (o del Dogato di Genova o della Serenissima Repubblica).

Epoca questa in forte trasformazione politica ed economica anche a causa delle mire

espansionistiche della piccola e potentissima Signoria Fiorentina. Si potrebbe portare ad esempio, il

forte desiderio di conquista di nuovi territori che potessero aprire una via verso il mare, in modo da

sviluppare i commerci fiorentini. Con la politica estera (diplomatica) aggressiva e di guerra attuata da

Lorenzo dei Medici, i fiorentini riuscirono a conquistare buona parte del nord della Toscana fino quasi

a Lerici e La Spezia e molti territori ad est fino a Forlì, Castrocaro, Dovadola, Modigliana (Romagna

fiorentina).

Politica del resto già iniziata da Cosimo, suo nonno, con l’acquisto del piccolo villaggio sul mare

di Livorno, ancora però difficilmente raggiungibile a causa della paludi circostanti.

Questi anni furono caratterizzati da grandi contrasti e da guerre continue, malgrado la ricerca

di un equilibro politico promosso dal Signore di Firenze. Fu anche l’epoca della formazione di grandi

personaggi specialisti in differenti arti (dalla pittura alla scultura, dalla letteratura alla architettura, alla

filosofia, etc.) appartenuti a quel periodo che poi gli Storici chiameranno Rinascimento; periodo in cui,

non a caso, avvenne anche la scoperta del nuovo mondo.

Questo secolo si concluse con la discesa di Carlo VIII di Francia che, dopo aver conquistato il

Ducato di Milano, si diresse verso il Regno meridionale con la presa di Napoli adoperando - cosa che

fece molto scalpore - proprio delle piccole artiglierie (colubrine).

Questi avvenimenti avvennero proprio quando le artiglierie (le nuove armi da guerra e di

assedio) fecero la loro comparsa; infatti e al di sopra di continue sperimentazioni esse furono la causa

principale non solo della trasformazione del modo di fare le battaglie, ma anche dell’organizzazione di

nuovi assetti urbani per la difesa delle città e dei castelli. Questo periodo storico è chiamato da molti,

di transizione, intendendo con questo termine il passaggio tra la difesa/offesa piombante e ficcante

tipica dell’epoca precedente (medioevale) e un nuovo modo di fare gli assedi e di condurre una

battaglia.

Il nuovo modo di proporre architettura fu possibile per le capacità intuitive e creative di

straordinari personaggi, che nella ricerca di soluzioni progettuali e nuovi sistemi distruttivi crearono

quegli elementi fondamentali tali che potessero assicurare la sicurezza dell’esistere di uno Stato

(economia e civiltà) rispetto ad un altro.

La bottega del Francione con tutti i suoi componenti si trovava al centro di tale trasformazione

e dette un notevole apporto all’evoluzione dell’architettura fortificata di questo periodo. Si può dire che

con il contributo di altri architettori al servizio di diversi Stati, (da Francesco di Giorgio Martini al

Laurana, da Bramante a Michelangelo, per non citare Leonardo da Vinci) furono gli artefici del

cambiamento nell’architettura militare che vide il passaggio tra un sistema ormai obsoleto di

difesa/offesa a un nuovo modo di operare (la sicurezza dell’esistere) che arriverà quasi fino ai nostri

giorni, conclusosi con la bomba di Hiroschima del 1945.

Molti sono i libri e i saggi su Antonio da Sangallo il Vecchio e su suo fratello Giuliano; la loro

produzione e in particolar modo quella in campo militare fu di notevole spessore. Forse il più noto tra i

due è da considerarsi Giuliano, poiché sono a lui attribuite opere importanti del Rinascimento come ad

esempio la chiesa a pianta centrale di Santa Maria delle Carceri a Prato o la redazione del Taccuino

senese (1485) che è giunto autografo e intatto sino alla nostra epoca.

Tuttavia è assai difficile in molte opere di architettura militare distinguere il reale apporto e la

creatività di Giuliano rispetto a quella di Antonio, tanto che molte volte è consuetudine affermare,

come per la cittadella di Pisa o quella di Livorno, che il disegno (progetto) sia di Giuliano e la

realizzazione di Antonio. In realtà l’osmosi creativa tra i due fratelli e le capacità intellettuali erano

talmente integrate e ad alto livello, che anche dopo la morte di Giuliano avvenuta nel 1516, Antonio

completò tutte le opere iniziate e continuando a fare cose straordinarie. Basterebbe pensare alla

costruzione della fortezza vecchia di Livorno o alle opere di difesa per l’assedio di Firenze del 1529

(per non citare Castrocaro, Ripafratta, Verruca, Sansepolcro, Pisa).

Al di sopra di innumerevoli esempi, il concetto assai importante che influenzò per forme e per

funzioni questa architettura specialistica, fu l’organizzazione del tiro teso delle artiglierie a difesa di

una muraglia e nascosto da essa. Le teorie del sistema del fronte bastionato con il tiro teso e di

radenza dalle e sulle murature, già indicato nel famoso trattato di Francesco di Giorgio Martini, era già

conosciuto dai molti che si occupavano di fortificazioni.

Il fronte bastionato o di radenza tra una postazione di artiglieria e l’altra non solo fu un cavallo

di battaglia creativo per Giuliano (e per Antonio), ma divenne la causa delle continue sperimentazioni

che furono applicate e verificate nel corso di cinquant’anni in tutte le architetture fortificate attribuibili

a due fratelli Sangallo (e non solo a loro).

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Due, in generale, erano i modi di rafforzamento degli spigoli dei perimetri fortificati delle città o

dei castelli: potevano essere costruiti elementi architettonici di forma quadrata che avevano come

modello principale, le murature presenti nell’ultima cerchia di mura di Roma della seconda metà del

terzo secolo, oppure di forma tonda, applicati su esempio del mondo orientale e in particolare della

cultura bizantina. In seguito in Europa, dall’esperienza delle Crociate e dal mondo Franco (donjon),

aveva predominato, quale forma ottimale specie se posta agli spigoli dei perimetri delle città o delle

fortificazioni, quella tonda, dando luogo alla costruzione di grandiosi torrioni o rondelle.

Questo manufatto, tanto applicato da Francesco di Giorgio che dal Laurana, divenne un punto

di riferimento anche per il Francione e la sua bottega. La forma tonda aveva la possibilità di offendere

in modo radente dalla parte media e superiore dello spalto e la possibilità di far scorrere l’eventuale

proiettile (in ferro o in pietra) sulla muratura. Forma assai usata nel mondo orientale in quanto l’uso

sistematico della balestra dava la possibilità di una offesa ficcante dagli spalti e dalla parte superiore

delle cortine di perimetro.

Le prime architetture vennero costruite con forme assai innovative. In seguito la continua

ricerca e la maturità costruttiva dei Sangallo, trasformò questo concetto, in un sistema a puntoni

(rondelle a punta o a forma di cuore - cfr. Sansepolcro) tali da non avere nessun punto morto nel tiro

radente e nelle geometrie contrapposte del fronte bastionato.

Inoltre questa continua ricerca portò ad inserire le artiglierie in uno spazio tra rondella e cortina

di perimetro, chiamato gola (del puntone) che corrispondeva a delle troniere sovrapposte a cielo

chiuso inserite nelle murature (cfr. Nettuno, Sansepolcro, Arezzo). La creazione della gola del

puntone nascosta dalla rotondità della rondella verso la cortina e in seguito del puntone (cfr. Nettuno,

Ostia, Sansepolcro), con una parte chiamata in seguito traditore, divenne una delle sperimentazioni

tipiche delle architetture dei Sangallo e fu, a buon diritto, la soluzione progettuale finale applicata

anche dal nipote Antonio il Giovane, con l’inserimento delle artiglierie nella gola del puntone a cielo

aperto dopo il traditore del bastione. Essa divenne una caratteristica fondamentale dell’architettura di

mano sangallesca (cfr.Fortezza di San Giovanni detta da Basso a Firenze) e anche per molto tempo

l’elemento di identificazione dell’architettura fortificata nei suoi stilemi architettonici formali e

funzionali di radenza di scuola italiana, tanto che si distinguerà da altri modi di costruire, come per

esempio quelli di Scuola Spagnola prima (inserimento delle artiglierie non nella gola ma in una

superficie perpendicolare alla cortina cfr. Bari, Barletta, Forte Filippo all’Argentario più tardi) e di

scuola francese poi nella seconda metà del ‘500 e nel ‘600.

2 Il bastione poligonale e i Sangallo

Anche la forma del puntone, elemento sviluppatosi dalla rotondità della rondella che già si

presentava senza aree morte nella parte rivolta verso l’esterno, si svilupperà in una forma poligonale,

dando origine a quello che verrà chiamato dalla seconda metà del ‘500 il bastione a punta con angolo

acuto. L’insieme del bastione e con la tecnica del posizionamento delle artiglierie dietro il traditore

prima della gola a cielo chiuso, era stato verificato già nel 1484 nel perimetro fortificato del Castello di

Brolio, nel 1488 nella cittadella di Poggio Imperiale a Poggibonsi e successivamente con forme più

morbide a Pisa e a Livorno.

Questa trasformazione avverrà nel corso di quarant’anni; gli esempi sono molteplici da Colle Val

d’Elsa, San Gimignano, Volterra, fino a Sarzana e Sarzanello per essere sperimentata più volte a

Castrocaro, Sansepolcro, Ripafratta, Arezzo, Pisa e Livorno, solo per citare alcune delle opere

attribuite ai Sangallo.

La novità formale e funzionale che i Sangallo applicarono in moltissime architetture fortificate,

divenne elemento caratterizzante che influenzò le opere coeve e successive.

Lo stesso Leonardo, che conosceva bene l’opera del Francione e ancor più quella di

Francesco di Giorgio Martini (lo aveva incontrato a Milano insieme con Giuliano da Sangallo e

Bramante alla corte dello Sforza), venne influenzato dalla forma tonda dei manufatti di spigolo (fece

esperienza nelle Marche e nella Toscana del sud a seguito di Cesare Borgia detto il Valentino), tanto

che nei suoi disegni sull’architettura fortificata e sulle artiglierie, riportava spesso le esperienze

costruite dal Martini e dal Francione.

Tuttavia Leonardo doveva conoscere bene anche le sperimentazioni e le opere dei Sangallo ed

in particolare l’applicazione della forma poligonale del puntone (cfr. disegni del Taccuino Senese).

Infatti, potrebbe risultare plausibile, che nel perimetro delle fortificazioni di Locarno nel progettare e

costruire il grandioso rivellino a difesa della città e del porto (ormai con grande esperienza acquisita

nelle numerose guerre e assedi che si erano svolti in Italia) abbia optato, così come fece per il

rivellino del castello Sforzesco a Milano, per questa “nuova” soluzione inserendo proprio una forma

poligonale sulla cortina e non una “grandiosa” rondella.

Le opere importanti che precedono l’attività del Francione e la sua bottega cui possiamo fare

riferimento, al di sopra della cultura del tempo, sono sicuramente la Rocca Costanza a Pesaro di

Antonio Marchesi da Settignano (1474 -1479), la Rocca di Forlimpopoli (1471-1480), la Rocca di

Rivaldino a Forlì (1472-1482) e quella di Imola (1472-1482). Ma si possono citare anche opere di

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Francesco di Giorgio Martini dal palazzo di Urbino (progettato insieme con il Laurana), San Leo,

Fossombrone, Cagli, Sassocorvaro (1475) in buona parte descritte e teorizzate nel suo famoso

Trattato sull’architettura Militare.

Gli avvenimenti conseguenti alla guerra dell’allume e il sacco di Volterra (1471) dovuto alle

truppe di Federico II al soldo di Lorenzo dei Medici, portarono alla costruzione da parte del Francione

della rocca di Volterra (1472-1474). Una fortificazione quadrata con agli spigoli grosse rondelle e con

al centro un torrione a mo’ di mastio (o dongione).

La guerra di invasione delle truppe papali a seguito della congiura dei Pazzi oltre all’assedio di

Castellina, cui sicuramente Giuliano da Sangallo partecipò e dove dette luogo anche a veloci

trasformazioni nel perimetro murario nei “torrini” di spigolo delle muratura della terra murata (cfr. D.

Taddei……”Nel poco tempo a disposizione inserì ai lati delle torri di rompitratto (torrini) alcune

bombardiere a chiave rovesciata, cercando “disperatamente” di risolvere il tiro teso di offesa per un

inevitabile assedio”).

In seguito insieme al maestro Francione e a tutta la bottega, partecipò come carpentiere al

rafforzamento di alcune città come la cinta murata di Colle Val d’Elsa (1479) e la costruzione della

porta volterrana (o del sale) insieme alla costruzione delle rondelle di perimetro nella città murata di

San Gimignano.

E’ possibile far risalire proprio all’esperienza di Colle Val d’Elsa gli inizi del “giovane” architettore

Giuliano da Sangallo (aveva quasi trent’anni e per allora era già un uomo fatto) che come riporta il

Vasari venne impegnato come maestro d’ascia.

Tuttavia, che Giuliano da Sangallo fosse stato presente per la prima volta a Colle Val d’Elsa o

che invece fosse stato presente anche all’assedio di Castellina in Chianti (furono in quella occasione

tirate le famose palle medicate), poco importa poiché risulta evidente la perfetta applicazione non solo

delle forme e delle funzioni dell’epoca, ma anche il giusto inserimento delle artiglierie all’interno dei

manufatti, attraverso una serie di bombardiere e bocche di volata a chiave rovesciata, caratterizzanti

proprio l’uso di certe armi (colubrine, spingarde, bombarde e bombardelle, cerbottane) di questa

epoca.

In queste occasioni vennero anche costruite le postazioni delle artiglierie all’interno delle

rondelle (Colle Val d’Elsa e Sansepolcro – puntone Santa Maria) e poi in seguito sulla gola (Nettuno)

che daranno non pochi problemi di funzionamento per l’espansione dei fumi di volata (neri e densi)

durante gli spari.

L’opera fortificatoria iniziale dei due fratelli Sangallo fu caratterizzata proprio dagli stilemi

architettonici formali e funzionali che appartenevano non solo alla bottega cui facevano parte, ma al

modo di ragionare e di proporre architettura dell’epoca in funzione delle artiglierie a disposizione.

Vorrei ricordare che Baccio Pontelli nella costruzione della rocca di Ostia e Benedetto da

Maiano nella rocca di Monte Poggiolo (entrambi appartenenti alla bottega del Francione) riportarono le

forme e le caratteristiche architettoniche ottimali per l’epoca, in rapporto alla cultura e alle esigenze

delle armi che venivano costruite.

E’ importante osservare che in questi anni l’uso della forma tonda o quella poligonale agli

spigoli, non ha una linea precisa di applicazione. Il Francione puntava decisamente alla forma tonda;

basterebbe guardare il doppio quadrato di Sarzana (1487) e lo straordinario forte triangolare di

Sarzanello (1492). Tuttavia anche i Sangallo applicavano queste caratteristiche; esempi sono

Castrocaro, Ripafratta, la Verruca vicino Pisa, Sansepolcro anche se rappresenta forse una via di

mezzo tra forma tonda (puntone a cuore) e quella poligonale fino ad arrivare a Poggio Imperiale a

Poggibonsi (1488-1511) dove i puntoni sono decisamente a forma poligonale. La differenza tra i

Sangallo e il loro Maestro sta nel fatto che i primi propongono un’architettura fortificata in continua

sperimentazione, senza dare per scontato una forma o una funzione, ma cercando in ogni modo di

ottimizzare i sistemi incrociati del tiro teso. Basterebbe citare la fortezza di Sansepolcro dove le

continue variazione avvenute durante la costruzione dei puntoni, rappresentano nelle loro diversità,

una continua ricerca della forma e della funzione migliore in funzione delle artiglierie sempre più

evolute e sofisticate.

Questi problemi di forma e di funzionamento (sia del tiro teso, sia dei fumi che le artiglierie

sprigionavano) assillavano i vari architettori nella ricerca del miglior risultato durante eventuali assedi.

Tali problematiche sono ben rappresentate anche nel Taccuino Senese di Giuliano da Sangallo in cui

alcuni progetti di fortezze sono disegnati contemporaneamente con entrambi i sistemi di difesa

(rotondo e poligonale) proprio ad evidenziare i dubbi e le incertezze che creavano entrambe le

soluzioni da applicare a questo tipo di architettura.

La rocca è la costruzione fortificata tipica del periodo di transito. Essa non è più una

costruzione fortificata di residenza, ma è un edificio complesso adibito solo per ragioni di difesa e di

offesa a carattere “militare” a controllo di un vastissimo territorio o a controllo di una città. Al suo

interno non vive il “Signore” o il “castellano”, ma un presidio militare costituito da un capitano e dai

suoi subalterni.

La rocca è anche, specie nella politica della Repubblica Fiorentina, anche una costruzione

fortificata che rappresenta la presenza del potere fiorentino sul territorio e sulla città in modo

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inequivocabile: molte volte le sue artiglierie oltre alla difesa di radenza di se stessa sono rivolte contro

la popolazione in modo da essere considerata anche come forte deterrente per possibili ribellioni

contro potere centrale.

Non è possibile unificare in stilemi unitari le rocche sparse in Toscana in questo periodo in

quanto rappresentano una continua sperimentazione per forme e per funzioni e quindi una continua

evoluzione nella ricerca del sistema ottimale di difesa e di offesa in funzione delle artiglierie.

A nuove architetture corrispondono sempre più sofisticate armi (nuove forgiature e nuove

fusioni di bronzo) e viceversa, che incidono sulle soluzioni costruite e molte volte queste

trasformazioni e adeguamenti avvengono durante la stessa costruzione (Castrocaro, Sansepolcro).

3 Le rocche dei Sangallo

Le rocche in Toscana (e anche fuori da essa) salvo alcune eccezioni (Poggibonsi o Nettuno

nel Lazio) sono sempre delle ristrutturazioni di opere già esistenti sul territorio. Inoltre i vari

“architettori”, specie all’inizio di questa trasformazione, risentono delle preesistenze ormai consolidate

della fortificazione piombante e pertanto in molte di esse si trova una frammistione formale e stilistica

(e funzionale) tra il nuovo sistema di applicazione della difesa “bastionata” rispetto a quella

decisamente “antica”, appunto, a carattere piombante.

Un esempio fra i molti è rappresentato dal coronamento superiore di queste architetture e

dalla forma delle opere di difesa degli spigoli del recinto fortificato.

Il coronamento superiore di solito costituito da beccatelli sporgenti con archi a tutto sesto o

a sesto acuto su mensole di pietra o in mattoni per il camminamento di ronda e per la posizione delle

caditoie (difesa piombante) avrà grosse difficoltà ad essere abbandonato in funzione delle nuove armi

a “tiro teso” e in molte costruzioni verrà riproposto con le stesse funzioni (Volterra, Colle Val d’Elsa,

Montepoggiolo, Castrocaro) fino a sparire completamente nelle ultime architetture di transizione

(Poggibonsi, Sansepolcro, Pisa, Livorno). In realtà per con il tiro teso delle nuove armi diverrà

nell’architettura del ‘500 un sistema anacronistico e non più necessario.

Anche il grande problema delle difese dello spigolo del perimetro avrà una straordinaria

evoluzione: forme rotonde o poligonali. All’inizio di questa sperimentazione (sia dal Francione, dal

Laurana, dal Pontelli e dagli stessi Sangallo, per taluni aspetti anche da personaggi come il Bramante

e Leonardo) verranno proposte fortificazioni in forme rotonde (le rondelle) con proporzioni grandiose

(Volterra, Sarzana, Sarzanello, etc.).

La forma rotonda sembrava la più opportuna sia per far meglio sgusciare i tiri delle artiglierie

dall’esterno sulle cortine inclinate e per l’applicazione del tiro incrociato dall’interno delle troniere delle

“fortezze” (fronte bastionato), sia per attutire l’eventuale crollo delle muraglie dovuto allo scoppio e ai

crolli nell’applicazione della tecnica d’assedio della “guerra di mina” che in quest’epoca diventa

particolarmente usata e micidiale (Francesco di Giorgio conquista Castel dell’Uovo a Napoli proprio

con una mina e ci prova anche nell’assedio del forte di Sarzanello).

In seguito, nell’evoluzione delle armi e in funzione della posizione delle artiglierie nelle

rondelle all’interno delle troniere a cielo chiuso, si capirà che per ottimizzare il tiro teso in funzione del

“fronte bastionato”, la forma più opportuna del puntone sarà quella a “cuore” (Pisa e Livorno) non

trascurando in alcune importanti occasioni la forma poligonale (spigolo acuto esterno) (Brolio e

Poggibonsi), dove il sistema delle radenze dei tiri dell’artiglieria dall’interno delle troniere sovrapposte,

darà forse i migliori risultati di offesa.

Un altro elemento architettonico (forma-funzione) che creava non pochi problemi era la “gola

del puntone o della rondella” (la parte tra la curvatura della rondella e la superficie della cortina delle

muraglie). La “gola del puntone”, nascosta dietro al “traditore” del puntone, serviva per posizionare le

“bocche di volata” delle artiglierie che erano sistemate all’interno delle troniere (a cielo chiuso).

All’inizio della sperimentazione questo elemento era posizionato sulla curvatura della rondella

(Sansepolcro, San Gimignano, Castrocaro, etc.) per poi essere sistemato decisamente su un piano

perpendicolare alla cortina (Poggibonsi, Nettuno, etc.). Successivamente divenne uno spazio

semiaperto come a Pisa e a Livorno, e poi uno straordinario elemento di posizione delle artiglierie con

inseriti elementi costruiti a “barbetta” in lato e “feritoie da fucileria” in basso (Fortezza da Basso, San

Piero a Sieve, Forte del Belverdere etc.).

Il sistema poligonale (a “spigolo acuto”) che, come vedremo, sarà ripreso nelle architetture

di radenza dalla seconda metà del ‘500 (dalla Fortezza da Basso al Forte del Belvedere, da San Piero

a Sieve a Terra del Sole, da Grosseto a Pistoia, Siena, Livorno, etc.), sarà una delle importanti

caratteristiche dell’”architettura” poi detta di “scuola italiana” (o sangallesca) che influenzerà per forme

e per funzioni le fortificazioni di tutta l’Europa.

All’inizio di questo processo di sperimentazione nessuno aveva mai affrontato tali problemi

ne vi erano esempi cui guardare. Gli “architettori” e gli “ingegneri” militari, i “maestri d’ascia”, i “mastri

bombardieri o archibugieri”, nella costruzione delle nuove rocche trovarono molto difficile abbandonare

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alcuni elementi formali e funzionali dell’architettura “piombante” in quanto i “nuovi” erano ancora tutti

da verificare.

Grandi altezze delle muraglie di perimetro, spessori dei muri molto esili, alte torri,

coronamento in beccatelli e camminamenti di ronda coperti con ventiere in cima alle torri quadrate o

rotonde, elementi a sporgere come bertesche e caditoie, grandiose porte di accesso ai fortilizi o alle

città, ponti levatoi inseriti al centro delle cortine di perimetro dei castelli e delle città, convivono, nella

seconda metà del XV secolo, con le nuove forme cilindriche delle rondelle, con le forme a cuore e con

i puntoni poligonali agli spigoli delle “nuove” fortificazioni dette di “transizione”.

Gli architettori all’inizio di questo processo avranno non poche remore a eliminarli del tutto e

a comprendere che saranno, rispetto alle nuove armi dei manufatti superati dal tiro teso delle

artiglierie. Tuttavia inseriscono questi elementi architettonici in molte loro costruzioni che in alcuni

casi condizioneranno perfino con sistemi arcaici le vie di accesso di alcune rocche. Basterebbe

ricordare, uno tra i tanti, gli elementi a sporgere della Rocca di Volterra o quelli di Sarzana e

Sarzanello del Francione, o il sistema di accesso della rocca di Castrocaro o quello di Ripafratta,

opere di Antonio da Sangallo il Vecchio, dove l’ingresso alla rocca ricalca fedelmente l’ingresso “a

mano destra” di entrata in un fortilizio “piombante” che risale non solo al sistema canonico e codificato

delle difese del periodo medioevale (piombante), ma si può far risalire al sistema antico della

posizione delle porte d’ingresso di molte costruzioni Crociate in Terra Santa (Krac dei Cavalieri o

Soune, etc.) e conosciuto e attuato persino nell’antichità (cfr. la “porta di Paride” dell’antichissima

città di Troia).

Queste caratteristiche e questi stilemi funzionali e formali, sono presenti nella “nuova” rocca

(fortezza) di Volterra che Francesco di Giovanni di Matteo detto il Francione (1425-1495) progettò e

costruì a seguito della politica di controllo (guerra dell’allume) delle risorse e del territorio da Lorenzo

dei Medici.

La rocca di Volterra (1472) costruita forse con la consulenza di Federico da Montefeltro,

comandante delle schiere fiorentine durante la riconquista di Volterra, ha forma quadrata con agli

spigoli grossi torrioni tondi e al centro del cortile quadrato si trova una grossa e alta torre tonda a mo’

di “mastio” (o “torre maestra”). Presenta un importante coronamento superiore a sporgere in tutto il

perimetro con beccatelli ad arco acuto per il camminamento di ronda con caditoie.

Il “mastio” centrale, anch’esso con coronamento a sporgere, forse doveva essere coperto

al limite della merlatura. Questa straordinaria costruzione era completata, opera forse dello stesso

Francione, da due muraglie parallele, oggi adibite all’interno a carcere, con le stesse caratteristiche

della rocca quadrata (stesso coronamento e stesse proporzioni altimetriche tra scarpatura e forma

cilindrica superiore) e collegate più a valle con una preesistente costruzione ristrutturata per

l’occasione in forme poligonali e con forme rotondeggianti in modo da creare un recinto con due

caposaldi contrapposti.

La nuova cittadella teneva conto del nuovo sistema di difesa e all’interno di ogni rondella si

trovavano su due piani sovrapposti delle troniere (camere interne) a “cielo chiuso” per il

posizionamento delle artiglierie (colubrine, o piccole bombarde). All’esterno sulla rotondità delle

superfici si aprono le “bocche di volata” a “chiave rovesciata” per il tiro incrociato esterno in

applicazione della tecnica del fronte bastionato applicato e teorizzato in un famoso trattato anche da

Francesco di Giorgio Martini in molte rocche dell’Urbinate.

In Toscana si trovano moltissimi esempi di queste ristrutturazioni che avvengono specie

dopo gli avvenimenti del 1478 (congiura detta dei Pazzi) quando la politica fiorentina di rafforzamento

dei confini, fece trasformare moltissime architetture medioevali di perimetro delle città e di alcuni

castelli.

Basterebbe ricordare a questo proposito la porta Volterrana o del sale a Colle Val d’Elsa, le

ristrutturazioni di San Polo in Rosso, quelle al castello di Meleto e molte altre anche dei primi anni del

‘500, dove vengono inserite o inglobate torri di spigolo quadrate in forme rotonde (cilindriche) e dove

vengono inserite internamente anche camere per il posizionamento delle artiglierie o per l’uscita dei

fumi di volata.

Un esempio straordinario e anomalo, da un punto di vista formale di questa trasformazione,

è il castello di Brolio che molti attribuiscono al “modello” di Giuliano da Sangallo fin dalla sua

ristrutturazione del 1484.

La cinta muraria di Brolio che oggi racchiude un “castello” in stile new-gotico della fine

dell’800, è costituita da un sistema di cortine chiuse agli spigoli e da puntoni a forma poligonale acuta

che nascondono all’interno troniere oggi in buona parte interrate. Non presenta coronamento a

sporgere anche se si può ipotizzare possa essere stato demolito nella ristrutturazione della fine del

XIX secolo. Questa costruzione e questi diversi sistemi di progettare una architettura fortificata

verranno ripresi dallo stesso Sangallo nella cittadella di Poggio Imperiale a Poggibonsi e se all’epoca

rappresenta una costruzione atipica rispetto alla ricerca e al panorama degli esempi a forma tonda

(rondelle e torrioni) in Toscana (Volterra, Sarzanello, Sarzana, Castrocaro, etc.) e anche in altri “Stati”

come il palazzo ducale di Urbino, la rocca d’Ostia, quella di Pesaro, di Senigallia , etc., diverrà in

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seguito, il sistema formale e funzionale applicato a tutta l’architettura fortificata della seconda metà

del ‘500.

Sulla scia di queste ristrutturazioni si colloca in Toscana (oggi in Romagna) la piccola rocca

di Montepoggiolo costruita su “modello” di Giuliano da Maiano tra il 1482 e il 1490.

Siamo agli estremi confini della Repubblica/Signoria di Firenze che insieme alla Rocca di

Castrocaro rappresentava un avamposto importante per la conquista, a spese della Repubblica

Veneta e di altri stati (Rimini, Urbino la Stato della Chiesa) di un accesso verso il mare Adriatico.

La Rocca di Montepoggiolo è costruita interamente in mattoni ed è di forma romboidale con

su uno spigolo del perimetro un torrione cilindrico di grandiose proporzioni che rappresenta il mastio di

tutto il complesso fortificato.

Montepoggiolo rappresenta proprio la tipologia della rocca nelle costruzioni fortificate a

controllo armato del territorio e adibita esclusivamente ad avamposto militare: vi erano scarsi addetti

all’interno, ma il sistema difensivo era capace di trasformare la rocca in una “macchina da guerra”

fissa sul territorio.

Vicino a questa rocca si trova quella di Castrocaro. Ristrutturata in varie epoche su

preesistenze medioevali (molto originale il mastio poligonale con coronamento in mensole di cotto

quasi completamente distrutto) rappresenta nel panorama delle architetture di transizione in Toscana,

quella dove i sistemi di sperimentazione sono applicati più volte anche nel corso delle numerose

ristrutturazioni. Situata su un poggio dominante una valle percorsa da un fiume e da una strada

importante, è costituita da tre perimetri murari sovrapposti (“gironi”) costruiti in varie epoche e

completati agli spigoli esterni da torrioni tondi. Ristrutturata su “modello” di Antonio da Sangallo il

Vecchio già fin dal 1504, in seguito fu abbandonata nella seconda metà del ‘500 con la costruzione

della “città ideale” di Terra del Sole (Eliopoli) .

Di particolare importanza la parte delle cortine esterne a sud, dove la ricerca della soluzione

funzionale e formale ha portato alla costruzione di un interessante sistema costruito molto sofisticato

nell’ambito delle fortificazioni di un settore della rocca. La necessità di costruire una muraglia per

sostenere una estesa scarpata, l’esigenza di risolvere il problema della guerra di mina (gallerie interne

longitudinali alla cortina), il posizionamento di grandi “pezzi di artiglieria” su due piani interni per il tiro

teso dalla cortina e di radenza su un lato del perimetro e la posizione di grosse artiglierie a cielo

coperto, la creazione di spalti superiori per la manovra di altre artiglierie e la creazione di una porta di

soccorso, compreso la soluzione, con l’inserimento di un piccolo torrione cilindrico integrato ad una

stretta gola rastremata in basso perpendicolare ad un lato del perimetro, ha creato un complesso

veramente originale e straordinario (costruito tutto in mattoni) nel cui interno si sviluppa uno spazio a

volta a botte dalle proporzioni grandiose e dai sistemi di difesa a tiro teso e diretto di particolare

efficienza.

La rocca di Castrocaro inoltre presenta nella parte esterna del terzo girone il sistema

d’accesso carraio e pedonale costituito da una porta d’ingresso e da una strada adiacente alla

muratura di perimetro (lo stesso sistema è presente anche all’interno tra il terzo e il secondo girone)

che accede ad una seconda porta armata: questo sistema, che abbiamo precedentemente già citato,

non è altro che il meccanismo d’ingresso a “mano destra” tipico degli ingressi ai “casseri” e ai castelli

di epoca medioevale (chi entrava doveva aveva lo scudo a sinistra e il fianco destro, non protetto,

rivolto verso la muraglia in modo da essere facilmente identificato e colpito). In questo specifico caso,

come vedremo anche in Ripafratta e alla Verruca presso Pisa, pur nella tarda ristrutturazione (siamo

agli inizi del ‘500), con già presenti artiglierie potenti e precise, viene attuato dal Sangallo (Antonio il

Vecchio) come ultima reminescenza di un sistema di difesa difficile da abbandonare, (sempre presente

nelle fortificazioni Crociate) in quanto ancora non era stato ben compreso che la porta di accesso con

il tiro teso delle artiglierie (nel ‘500 protetto da grandiosi “rivellini” in muratura o da “lunette” costruite in

terra) doveva necessariamente essere spostato dietro l’orecchione traditore del puntone (Forte del

Belvedere a Firenze) in modo non solo da non essere visto, ma da non essere preso dall’infilata da

nessun tiro delle artiglierie posizionate in campagna.

4 Castelli, rocchette, cittadelle

All’epoca non vengono ricostruite solo rocche, ma ristrutturati anche alcuni castelli come

quello di Cafaggiolo da parte di Michelozzo nella prima metà del ‘400 o quello del Trebbio in Mugello.

In questo caso la ricerca formale di queste “ville”, come venivano chiamate all’epoca, non

essendo delle architetture decisamente a carattere militare di difesa, ma delle residenze protette,

seguivano ancora canoni funzionali e formali del periodo medioevale.

Il castello di Cafaggiolo è una costruzione quadrata con due torri quadrate una a mo’ di torre

maestra (oggi scomparsa perché demolita nel ‘700 a seguito di un terremoto - si può riscontrare in un

famoso dipinto dell’Utens) e una torre-porta-ponte sull’ingresso principale. Questa famosa architettura,

come del resto quella del Trebbio presenta un apparato a sporgere in beccatelli a tutto sesto molto

eleganti con caditoie e merlature coperte da una copertura a falde (doveva avere anche delle

“ventiere” tra un merlo e l’altro).

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Rappresenta in realtà la risposta dell’architettura fortificata in ambito residenziale come (il

castello) la Villa di Careggi o quella di Castello, dove gli elementi architettonici medioevali diventano

l’elemento “antico” di celebrazione del potere nella sicurezza, rappresentando il censo e l’importanza

di una famiglia e tipici di un modo di vivere e di operare. Si forma già fin da questa epoca quello che

poi diverrà nella definizione corrente la vera e propria tipologia del “castello” che rimane una

architettura fortificata con elementi e stilemi architettonici inseriti nella costruzione più a livello formale

e decorativo che veri e propri sistemi fortificati per sostenere realmente un assedio.

Su questa scia culturale e sperimentativa si pone la “rocchetta di Pietrasanta” costruita sul

modello presentato dal Francione e dalla sua bottega tra il 1485 e il 1488. Questa architettura oggi in

buona parte interrata e in cattive condizioni d’uso, era il ricetto-porta - mastio - torre d’ingresso della

“terra nuova” di Pietrasanta. Essa è costruita con forme rettangolari (scarpa - redondone - elemento

verticale e coronamento in beccatelli con eleganti mensole in marmo bianco e l’inserimento di

archibugiere a forma di chiave rovesciata, tipiche del periodo di “transito”) e non in forme rotonde

come invece volevano alcune “tendenze” dell’epoca. Questo forse, per recuperare gli stilemi

architettonici Michelozziani del castello di Cafaggiolo e di altre architetture residenziali “fortificate”, ma

anche per smorzare il carattere “militare” dell’ingresso fortificato di questa città, le cui proporzioni

urbane rimangono ancor oggi uno dei sistemi più eclatanti dell’architettura e dell’urbanistica

rinascimentale.

Dalla torre quadrata “maestra” più alta della “rocchetta”, oggi scomparsa, si vedeva il mare e

con i caposaldi di traguardo visivo della torre del Cinquale e quella di Motrone - anch’esse scomparse

– e si poteva controllare quasi tutta la costa della Versilia (da Livorno a Bocca di Magra).

L’iniziativa più importante costruita al tempo della signoria del Magnifico per il rafforzamento

dello stato e per la propria sicurezza dell’esistere rimane la fortezza-cittadella - rocca di Poggio

Imperiale a Poggibonsi, non solo per quello che è rimasto (la cittadella e parte del perimetro della

“città”), ma per i presupposti di elaborazione culturale scaturiti nella seconda metà del XV secolo che

influenzeranno il secolo successivo del pieno Rinascimento.

In questo caso la costruzione (una delle rare architetture fortificate non dovute ad una

ristrutturazione) rappresenta la progettazione di una vera e propria città (fortificata) che doveva

seguire quella aspirazione intellettuale della “città ideale”, i cui riferimenti dimensionali e proporzionali

(urbanistici e architettonici) furono studiati fin dal 1461 nei ritrovati Trattati di Vitruvio, e indicati anche

nel Trattato sull’Architettura di Leon Battista Alberti nel 1485. Teorie e canoni applicati in parte nel

nuovo disegno urbano di Ferrara prima con Borso d’Este (1471) e poi con Ercole d’Este (1483-1492),

nell’”addizione erculea” a Ferrara da Biagio Rossetti e già teorizzati dal Filarete (1461-1464) nella

“città ideale” di Sforzinda.

Gli stessi “ideali” furono attuati in parte da Bernardo Rossellino a Pienza e saranno il filo

conduttore di un’epoca (dalla filosofia platonica del Ficino all’applicazione della “divina proporzione” di

Luca Pacioli, dalle esperienze del “palazzo-città” dei Montefeltro ad Urbino del Laurana e di Francesco

di Giorgio Martini e indicati in alcuni disegni di Leonardo fino alle esperienze romane di Bramante).

Essi riscoprono l’uomo e le sue proporzioni e i rapporti che esso ha con l’Architettura compreso quella

fortificata. Infatti si possono fare molti esempi dall’iscrizione della forma umana nel perimetro

fortificato di una “ideale cittadella” a torrioni tondi descritta nel Trattato di Francesco di Giorgio Martini

alle esperienze dei Sangallo fino a teorizzare la forma pentagonale di una cittadella fortificata iscritta

in un “uomo” con le braccia aperte e le gambe divaricate del Trattato di Cornelio Agrippa detto il

Valeriano o alle rappresentazioni della “città del principe” di Pietro Cataneo fino ad arrivare ai disegni

delle città ideali di Vasari il Giovane (tutte teorizzando la forma pentagonale di una “cittadella” iscritta

in una forma umana).

“…E volendo il Magnifico Lorenzo per utilità pubblica e ornamento dello stato, lasciar fama e

memoria.........fare la fortificazione di Poggio Imperiale sulla strada di Roma, per farci una città, non

volle disegnare senza consiglio e disegno di Giuliano.........” secondo i canoni di proporzione e di

fruibilità riferibili ai concetti e ai riferimenti classici della “città ideale”.

A Poggibonsi di tutto questo enorme potenziale di cultura e di elaborazione intellettuale non

è rimasto nulla in quanto alla morte di Lorenzo nel 1492 la costruzione del perimetro e della città si

interruppe (iniziata nel 1488).

E’ rimasta costruita solo la cittadella che molti studiosi attribuiscono, proprio per questo

importate riferimento intellettuale agli studi sulla forma antropomorfa già teorizzata nel trattato di

Francesco di Giorgio Martini e in questo caso applicata da Giuliano da Sangallo. Il Sangallo inserisce

agli spigoli del perimetro, puntoni a forma strettamente poligonale con la collocazione al loro interno di

un doppio ordine di troniere circolari (con calotta sferica in mattoni a “spina pesce” alla fiorentina a

cielo chiuso e l’inserimento di bocche di volata sulla gola nella radenza delle cortine).

I contenuti fortificatori di applicazione del “fronte bastionato” in Poggibonsi sono già molto

“maturi” e le proporzioni sono molto accentuate specie tra la scarpatura inclinata e l’elemento

verticale; viene tolto decisamente ogni elemento a sporgere superiore sostituendolo con un importante

cornicione in travertino per il camminamento di ronda, più di influenza stilistica “romana” che di una

modanatura decorativa alla “fiorentina”.

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In Poggibonsi è presente, nella parete del puntone perpendicolare alla cortina muraria, l’idea

formale e funzionale della “gola del puntone”, che diverrà elemento trainante nelle caratteristiche

fortificatorie proprie delle capacità creative e interpretative del Sangallo, punto importante di

riferimento stilistico per quasi tutta la sua produzione: da Sansepolcro in val Tiberina, a Nettuno nel

Lazio, o nella cittadella di Arezzo o in quella di Pisa.

L’apparato murario di rivestimento nella fortezza di Poggibonsi è costituito interamente in

“mattoni faccia vista” con delle “fascie a risega” murate ad intervalli modulari; stesso sistema che

verrà usato nelle muraglie di Pisa e in quelle di Livorno dovute forse all’ esperienza costruttiva di

Antonio da Sangallo il Vecchio.

La grandiosa rocca - fortezza di transizione di Sarzana (detta anche di Firmafede) costruita

con un doppio recinto con torrioni tondi (rondelle) inseriti agli spigoli dei quadrati, presenta al centro

del primo quadrato un torrione tondo a mo’ di mastio o torre maestra (molto simile al sistema attuato a

Volterra).

La fortezza di Sarzana fu costruita da Giovanni di Matteo detto il Francione tra il 1488 e il

1492 insieme alla sua bottega (Bernardo di Tommaso Corbinelli, Francesco d’Angelo detto la Cecca,

Luca del Caprina da Settignano e Domenico di Francesco detto il Capitano) e rappresenta il massimo

punto di arrivo nella progettazione di una fortificazione che attua le regole del fronte bastionato a

forma rotonda e non poligonale. Molto interessanti anche gli apparati di difesa e di controllo esterno

costituiti da un fossato lobato e da rivellini triangolari in muratura ancor oggi visibili e che fanno parte

del complesso fortificatorio sul territorio.

In questa “cittadella” vengono costruiti ancora gli apparati a sporgere con beccatelli ad arco

acuto che sostengono una merlatura quadrata a difesa dei camminamenti di ronda e delle “piazze

circolari” superiori (delle rondelle) per la posizione delle artiglierie (piccole bombarde o colubrine) a

cielo aperto con la bocca di volata a chiave rovesciata inserita sui “pettorali” di perimetro. All’interno di

ogni torrione di spigolo sono posizionate due ordini di troniere a cielo chiuso per le artiglierie di

“radenza” e il sistema di ingresso alla fortificazione viene inserito al centro della cortina - tra due

torrioni - ed é costituito da una porta carraia con ponte levatoio a doppia stanga di legno con a fianco

una piccola porta pedonale anch’essa a bilico di legno.

Vicino a Sarzana il piccolo forte triangolare di Sarzanello anch’esso attribuito al modello del

Francione e della sua bottega. Sarzanello rappresenta la sperimentazione della forma geometrica

triangolare già teorizzata nel Trattato di Francesco di Giorgio e inserita negli appunti del Taccuino

Senese di Giuliano da Sangallo (redatto tra il 1484-1485). Anch’essa rappresenta una ristrutturazione

su una precedente costruzione del XIII secolo, dovuta a Castruccio Castracani, Signore di Lucca. In

questo caso la torre quadrata principale con coronamento in eleganti beccatelli su mensole di marmo

bianco trilobate viene lasciata come torre maestra dell’intera fortificazione. Agli spigoli del triangolo si

trovano grossi torrioni rotondi e su di un lato è posizionata la porta di accesso, raggiungibile con un

ponte a varie arcate, che ha davanti la muraglia di un grandioso rivellino triangolare dalla scarpatura

molto accentuata per la difesa dei tiri d’infilata dall’unico spiazzo piano esterno alla fortificazione

dominante da un poggio una vastissima area. Il grandioso rivellino triangolare, collegato in alto da un

passo (ponte) pedonale murato e vuoto all’interno con il triangolo della costruzione per inserire varie

troniere a cielo chiuso per il posizionamento delle artiglierie, è stato costruito (1502) dopo la morte del

Francione, forse su suo modello, dalla Repubblica Genovese.

Tutto il perimetro del forte di Sarzanello ha un coronamento superiore in beccatelli per il

camminamento di ronda e in alcune parti, specie sulle grosse rondelle, si presentano delle “bocche di

volata a barbetta” a cielo aperto dovute ad una ristrutturazione in epoca posteriore alla sua

costruzione (per più grosse artiglierie).

Le accentuate proporzioni della scarpatura inclinata rispetto alla rotondità superiore delle

rondelle, lo straordinario e intatto fossato asciutto lobato e la sua forma triangolare, lo inseriscono

nelle sperimentazioni tipiche del periodo di transizione a completamento delle esperienze non solo di

Francesco di Giorgio Martini nell’Urbinate (Mondavio, San Leo, la distrutta Rocca di Cagli), ma in

esempi importanti come la Rocca di Ostia del Pontelli o la Rocca-forte di Montepoggiolo del Maiano.

Questa architettura è di particolare importanza, anche perché tutta la costruzione è stata

recentemente restaurata e pertanto sono visitabili e percorribili, essendo in ottimo stato

conservazione, le “gallerie di contromina” che si svolgono lungo tutto il perimetro interno del forte.

Lunghi e stretti corridoi a volta a botte sono costruiti sotto le cortine murarie in tutto il perimetro

triangolare che si allargano in grandiosi “vuoti circolari” a volte emisferica (in mattoni a spina pesce)

in corrispondenza del torrioni rotondi degli spigoli.

Anche le fortificazioni di Firenzuola e di Marradi a nord di Firenze si riferiscono all’epoca

della Signoria Medicea, durante la politica di rafforzamento dello Stato e al tempo della Repubblica

Fiorentina del Savonarola e del Sederini. Se della seconda poco rimane, delle fortificazioni di perimetro

della “terra murata” di Firenzola rimangono larghi tratti di mura e la ristrutturazione del cassero al

centro dell’abitato (anche se molto rimaneggiato in epoca recente). Anche in questo caso le opere di

fortificazione sono attribuite (1495-1499) al modello di Antonio da Sangallo il Vecchio il quale

inserisce le “troniere di volata” all’interno di puntoni poligonali (molto rovinati) del perimetro quadrato

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della “terra”, recuperando quella sperimentazione continua nell’applicazione di forme tonde o poligonali

tipiche di questa epoca.

Sempre ad Antonio il Vecchio, alla fine del secolo (1498-1504), viene attribuita la

ristrutturazione dell’arcaica fortificazione di Libafratta (o Ripafratta), già in epoche alterne ristrutturata

da Pisa e da Lucca. Ripafratta è un recinto fortificato a controllo non solo di un vasto territorio in

quanto situata su un poggio proprio al confine tra le due Repubbliche, ma a controllo di una strada

(Pisa-Lucca) e di un ponte sul Serchio in fondo valle. Essa è corredata nelle colline intorno da

un’incredibile serie di torri che servivano da punti di controllo e di “traguardo” del territorio che aveva

come fulcro strategico la rocca.

Il Sangallo in questo caso progetta e costruisce un nuovo percorso di accesso per

l’ingresso (quello medioevale) poiché se lasciato nella sua posizione originale risulta troppo scoperto

per i “tiri” da lontano (in funzione delle nuove armi); inserisce sulla muratura, da un lato una grande

scarpata con una inclinazione molto accentuata con all’interno una piccola troniera per archibugio o

colubrina, e dalla parte opposta un’altra doppia porta inserita in un torrione rotondo armato di varie

bocche di volata d’archibugio tra di loro “d’infilata” e di radenza rispetto alla muraglia e alla cortina

inclinata, e posizionate in modo che il percorso (strada) di accesso sia con il fianco dell’assalitore a

destra scoperto, applicando lo stesso sistema che stava attuando a Castrocaro.

La rocca di Libafratta, recentemente interessata da uno scavo archeologico al suo interno,

doveva essere il ricovero di una guarnigione; sono state infatti trovate varie costruzioni di resede e di

deposito. Oltre alla torre quadrata, al centro del recinto presentava su un lato un antico torrione

poligonale (quasi completamente distrutto) che serviva “da torre maestra” per l’intera fortificazione, e

su un altro lato un’altra torre quadrata in modo da costituire all’interno una difesa fiancheggiante tra i

vari caposaldi. Anche in questo caso, la fortificazione è assai rovinata, essa rappresenta il passaggio

tra il sistema medioevale (alte e snelle murature di perimetro) e il sistema di transizione (applicazione

quasi assillante del “fronte bastionato”).

Con gli stessi presupposti può essere citata la rocca-fortezza della Verruca situata su un

inaccessibile poggio a controllo delle strade che dal sud conducevano a Pisa. La rocca della Verruca,

già arcaico caposaldo pisano, venne ristrutturata nel 1509 da Antonio da Sangallo a cui vengono

attribuiti i puntoni poligonali (a cuore) di una parte del perimetro e da Luca del Caprina, della bottega

del Francione, a cui viene attribuita la grossa torre cilindrica su uno spigolo del perimetro. Si ha una

frammistione di forme e di funzioni e una continua sperimentazione in funzione delle armi e delle nuove

tecniche di assedio. Nel caso della Verruca, dato la sua posizione, si può affermare che le opere di

fortificazione furono esclusivamente fatte in funzione della sua difesa e non per salvaguardare le

murature da eventuali tiri esterni “d’infilata” delle artiglierie.

5 Le grandi fortezze

Di particolare importanza, nel periodo della Repubblica Fiorentina dopo la Signoria Medicea,

si colloca la ristrutturazione della grande fortezza di Sansepolcro dovuta al modello di Giuliano da

Sangallo (1500-1504) e alla direzione del cantiere di Antonio il Vecchio. Sansepolcro è assai

importante nell’ambito dell’architettura fortificata in Toscana, in quanto in essa si trovano presenti e

ancora facilmente leggibili le varie epoche della sua costruzione e i sistemi fortificatori si sviluppano

dalla fine dell’IX secolo fino alla seconda metà del XVI secolo.

Anticamente, su un piccolo rialzamento del terreno al margine sud della Val Tiberina, su

uno spigolo del recinto fortificato del borgo, a controllo di una importante strada, venne costruita una

torre quadrata (“guardingo” IX-X secolo), forse ristrutturata più volte, che rappresenta oggi il cuore del

sistema fortificato. In epoca malatestiana è attribuibile invece la costruzione di un cassero – recinto -

castello quadrato fortificato intorno all’antica torre (forse con torri di spigolo), con beccatelli sorretti da

mensole in pietra arenaria e merlatura quadrata e con una porta torre. Questo complesso ha

rappresentato poi il mastio fortificato nella ristrutturazione dei primi del ‘500. In seguito, prima

dell’intervento dei Sangallo, sono da attribuire la costruzione di grandiose torri tonde (rondelle) agli

spigoli del recinto che inglobano il “castello” e parte del perimetro della Città.

Queste fortificazioni medioevali agli inizi del ‘500, nella ristrutturazione Sangallesca,

vengono di nuovo trasformate in una vera e propria “macchina da guerra” inserendo agli spigoli del

quadrato, in parte costruendo e in parte inglobando i torrioni, dei grossi puntoni a “forma di cuore”

(Santa Maria e San Casciano quelli di san Leo e del Belvedere sono stati in seguito ristrutturati in

epoca cinquecentesca). Infine al tempo del Granducato, su modello dell’Alberti, con una nuova

ristrutturazione, verrà ampliato e trasformato, in funzione di nuove armi, uno dei puntoni del quadrato

della cittadella, quello del Belvedere, in forme poligonali assai grandiose, interamente rivestito di

mattoni, con una piazza di manovra delle artiglierie sugli spalti superiori; forse è da attribuire a questa

epoca l’interramento interno di tutta la fortificazione. La fortezza di Sansepolcro è costruita

interamente in pietra scolpita o in pillole di fiume salvo la parte del finto coronamento (false mensole

in pietra) che è costruita in mattoni murati per coltello.

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Il Sangallo, in Sansepolcro non progetta nelle parti a lui attribuite nessun apparato a

sporgere, se non un parte sporgente che lo ricorda più con un carattere formale e stilistico che

realmente funzionale. Tutto il perimetro era percorso da una galleria a volta a botte di contromina

armata da numerose archibugiere a chiave rovesciata, oggi completamente interrate all’interno e

facilmente visibili all’esterno, subito sopra il redondone in pietra arenaria. Veramente straordinario il

cortile interno dove si possono leggere le varie superfetazioni che insieme alla residenza, al deposito,

agli arsenali, al mastio, ai corridoi, alle gallerie, etc. fanno di questa costruzione una delle più

grandiose del periodo di “transizione” costruite in Toscana. Recenti studi e restauri hanno individuato

l’esistenza, inglobate nei puntoni a forma a cuore, di torrioni (rondelle) che erano costruiti interamente

in mattoni (puntone di San Leo e di Santa Maria).

Una particolare attenzione va riposta nel puntone verso la via Tiberina detto di San

Casciano dove la ricerca di adattamento e inglobamento del preesistente torrione rispetto alla forma a

cuore sangallesca e la necessità di inserire nella curvatura del traditore del puntone le bocche di

volata, insieme con il coronamento superiore del camminamento di ronda, preludono alle esperienze

formali e funzionali (arco di raccordo) che troveremo applicate sia nella fortezza-cittadella di Pisa sia

in quella di Livorno e per molti aspetti sono l’inizio della ricerca sulla ottimale forma della “gola del

puntone” che il Sangallo progetta a Nettuno in forme semplici e applicherà nella cittadella di Arezzo

inserendo (come poi a Livorno) la forma concava nella gola tra il puntone e la cortina.

Anche le tre porte della fortezza rivestono una particolare attenzione: una è posizionata

sulla parte esterna del perimetro della Città - sempre a mano destra rispetto alla posizione dei puntoni

tra quello di Santa Maria e il puntone (baluardo) del Belvedere - raggiungibile con un ponte oggi in

muratura (anticamente con ponte levatoio corredato con una piccola bertesca superiore), un’altra

rivolta verso la Città, forse attribuibile alla ristrutturazione e all’innalzamento del piano di vita interno

della “fortezza” nella seconda metà del ‘500 e la terza detta di “soccorso” facente parte dell’antico

sistema medioevale di ingresso al recinto antistante il “castello” di epoca “malatestiana” e posizionata

tra la costruzione facente funzione di “cassero” e il puntone di San Leo.

Di particolare importanza in Sansepolcro sono le troniere a cielo chiuso inserite nei puntoni,

alcune a forma cilindrica con cupola emisferica (puntone di San Leo) e le altre, forse condizionate dal

precedente “vuoto” dei torrioni, risolte con delle volte a spicchi ottagonali in mattoni di particolare

eleganza formale e accurata tecnica costruttiva. Da studi, restauri e scavi recenti, nel puntone di

Santa Maria è stato scoperto che gli spazi interni delle troniere, e le relative bocche di volata interne

per i tiri di radenza sulle cortine, non sono su due livelli come negli altri puntoni, ma su tre livelli:

sistema questo veramente inusuale per il tipo di costruzioni e che possiamo riscontrare solo nella

fortezza di Civita Castellana attribuita a Antonio da Sangallo il Vecchio (1495) o nella “arcaica”

fortezza della Brunella in Lunigiana (Aulla) di autore ignoto, anche se attribuibile al sistema “culturale”

o alla bottega sangallesca.

In Toscana si trovano altre due grandiose architetture fortificate di “transizione” costruite

dopo gli avvenimenti seguenti la caduta della Signoria dei Medici a seguito della calata in Italia di Carlo

VIII e dopo la meteora moralista e repubblicana del Savonarola, proprio durante la piena riaffermazione

della Repubblica a Firenze del Soderini.

Dopo la seconda conquista fiorentina della Repubblica di Pisa del 1509 (la prima avvenne

nel 1406), la politica egemonica di Firenze diede inizio alla ristrutturazione della cittadella dalla parte di

terra.

La “nuova” cittadella a Pisa dopo un primo modello presentato da Antonio da Sangallo il

Vecchio venne definitivamente “allogata” al fratello Giuliano il quale intervenne su una fortificazione

esistente. Anche in questo caso si tratta di una ristrutturazione avvenuta su un quadrato fortificato

vicino all’Arno.

Questa fortificazione quadrata già iniziata dai fiorentini nel 1440 era collocata dalla parte di

terra di Pisa per una maggiore facilità di accesso (Firenze) ed era stata in costruzione fin’oltre il 1468.

Aveva agli angoli torri tonde che vennero, insieme al perimetro, inglobate nella cittadella nuova del

Sangallo. Questo quadrato dalla tipologia fortificata medioevale doveva essere molto simile a quello

costruito dai Pisani a Livorno (1376) e inglobato poi nella cittadella progettata dallo stesso Sangallo

nella prima metà del ‘500. Il sistema di ristrutturazione di inglobamento di precedenti torrioni e la

costruzione di “nuovi” puntoni è molto simile a quello che era successo a Sansepolcro pochi anni

prima.

Al di sopra delle difficoltà oggettive, data l’epoca, di distruggere o demolire questi grossi

torrioni tondi o quadrati situati negli spigoli dell’apparato fortificato, vi era la necessità di risolvere il

problema interno dell’uscita veloce dei fumi di volata che si sviluppavano all’interno delle troniere a

"cielo chiuso" e in molte occasioni (lo stesso succede nella rocca di Imola inglobando torri quadrate o

come già citato in Sansepolcro) dove non si costruiscono nuove camere con volte emisferiche o

poligonali (Sarzanello, Sarazana, Sansepolcro, etc.), ma si sfrutta o si ristruttura queste torri, che

all’interno sono sempre vuote o con piani di legno facilmente smontabili.

A Pisa il Sangallo mette in “modello” quello che troviamo disegnato nel suo famoso

“Taccuino” della Biblioteca di Siena: una fortificazione quadrata con puntoni a cuore di enormi

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proporzioni e con un spigolo del quadrato collegato non con un puntone, ma con un recinto poligonale

che doveva arrivare fino all’Arno in modo da divenire un complesso fortificato a “cavaliere” del fiume

per il controllo della Città.

Purtroppo la cittadella è molto rovinata e alcune parti (un intero puntone) sono state

demolite per il passaggio di una strada; tuttavia quello che rimane ci da una reale informazione di

come queste ultime architetture di transizione ormai preludano ad un sistema bastionato più maturo e

ad una sperimentazione ormai arrivata a canoni fissi di impostazione formale e funzionale.

Fiancheggiamento e radenza delle artiglierie seguono geometrie rigorose integrate da una serie di

grosse bocche di volata inserite sia sulle gole sia in basso sulle cortine a “pelo” dell’acqua del

fossato.

Al di sopra della forma elegante dei puntoni, sia in pianta che negli alzati, basterebbe

guardare il sistema di posizionamento della “gola” del puntone posizionata su una superficie concava

e decisamente nascosta dalla rotondità del traditore del puntone. I due puntoni a cuore rimasti, (e

sicuramente così doveva essere anche il terzo) sono perfettamente uguali, interamente costruiti in

mattone con risegature in marmo bianco di controventatura e irrobustimento del manto della cortina (le

murature sono a camicia rivestita), senza coronamento a sporgere, ma interessati da una importante

cornice superiore di chiusura (nasconde a raso le piazze superiori degli spalti attrezzate per il

posizionamento delle artiglierie con apparati a "barbetta)" e da un grosso "redondone" di separazione

tra la parte inclinata della scarpa (ancor oggi molto accentuata anche se in parte interrata) e la parte

superiore verticale. Tutto il sistema era protetto da un largo fossato che interessava anche le acque

del fiume (Arno) in modo da essere una fortificazione isolata completamente verso terra (molto simile a

quanto verrà attuato a Livorno (1519) con la costruzione di un canale scavato verso terra essendo

questa fortezza situata sul mare).

Una vera e propria “macchina da guerra” fissa sul territorio non solo a difesa della Città, ma

a rappresentare un straordinario deterrente “armato” qualora la popolazione pisana avesse avuto

ancora l’idea di ribellarsi al potere Fiorentino.

La rocca (poi cittadella) e oggi indicata come fortezza di Arezzo fu costruita su modello di

Giuliano da Sangallo dopo la ribellione della Città al potere fiorentino del 1502 - 1503. In seguito

all’incarico, nel 1504, fu presentato anche un modello di Antonio il Vecchio suo fratello.

La rocca di Arezzo costruita sull’"arce" al posto di un antico fortilizio medievale di cui non è

rimasta traccia, è a forma pentagonale con agli spigoli quattro puntoni e il quinto dalla forma a

triangolo a mo’ di “saliente” che protegge la porta d’ingresso. E’ coeva a quella di Sansepolcro e a

numerosi progetti e modelli che si svilupperanno in poco meno di dieci anni come quello di Pisa, di

Castrocaro e in seguito di Livorno.

Particolarmente originali sono i puntoni dove viene applicata nelle gole, la forma concava

protetta dal traditore rotondo (Castrocaro-Pisa) e dall’impostazione della parte esterna del puntone non

in forme rotondeggianti (Sansepolcro nel puntone di Santa Maria o in quelli di Pisa etc.), ma a forma

decisamente acuta. Questo sistema dell’angolo acuto del puntone nella parte esterna risolveva in

maniera ottimale i tiri di radenza senza lasciare nessuna zona d’ombra: diverrà una delle

caratteristiche peculiari delle novità funzionali e formali create dalla bottega dei Sangallo (continua

sperimentazione di forme e funzioni tra loro fortemente integrate) e in special modo dalla creatività di

Giuliano (cfr. il Taccunio senese), già sperimentata nella cittadella di Poggio Imperiale a Poggibonsi (e

se diamo a lui l’attribuzione del modello) e della cinta bastionata di Brolio.

La cittadella di Arezzo nella prima metà del ‘500, insieme a Cortona, specie per la

ristrutturazione delle piazze interne dovute alla necessità di usare artiglierie ippotrainate, verrà più

volte ristrutturata in periodo Granducale, ma la forma dei puntoni appartiene sicuramente al periodo di

transizione.

La cortina esterna in pietra non ha coronamento superiore e le troniere interne ai puntoni

presentano una tecnologia muraria delle costruzioni in mattoni a "spina pesce" alla fiorentina. Molto

imponente anche, se ristrutturata, la porta e il sistema di accesso in galleria che ricorda quello

protetto e armato dell’ingresso di Poggibonsi.

6 Gli artefici e le tecniche

Sembra opportuno per una migliore conoscenza di queste architetture di transizione, al di

sopra della continua sperimentazione e delle continue soluzioni, fare due considerazioni: la prima

riguarda, specie in quest’ultime fortificazioni, comprendere quale è stato l’apporto di Giuliano rispetto

al fratello Antonio. Problema assai difficile determinare sia da un punto di vista formale sia funzionale.

In questo momento i due Sangallo oltre ad essere divenuti i massimi esperti di fortificazione (tante

altre opere fortificate fuori dalla Toscana: dal bellissimo forte di Nettuno attribuito a Giuliano a quello

di Civita Castellana attribuito ad Antonio) hanno una delle più organizzate “bottege” di Firenze

(avevano bottega in Borgo Pinti) e inoltre in questi anni hanno anche “bottega” a Roma interessandosi

di ogni problema di architettura civile e religiosa e militare, compreso scultura, decorazione, etc.

insieme alla loro numerosa parentela (nove Sangallo) e interessandosi anche della costruzione del

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modello di San Pietro in Roma specie dopo la morte del Bramante e prima del modello di Raffaello e di

Antonio da Sangallo il giovane. (All’epoca dovevano essere talmente “invadenti” che lo scorbutico

Michelangelo li identificava come la “setta sangallesca”).

Possiamo affermare che rappresentano un gruppo molto affiatato (oggi si direbbe uno

“studio” di architettura a livello internazionale) dove è molto difficile, dato la grande mole di lavoro e i

tanti cantieri sempre aperti, comprendere quale fosse decisamente l’apporto di Giuliano rispetto a

quello di Antonio anche in considerazione del fatto che se è vero che Giuliano ha una serie di

interessi maggiori del fratello, basterebbe ricordare la serie di appunti riportati nel Taccuino Senese, o

la costruzione di Santa Maria delle Carceri a Prato o la villa di Poggio a Caiano, sicuramente a lui

attribuibili, é anche vero che il modello e la costruzione della cittadella di Livorno o le opere idrauliche

di porta a Faenza prima dell’assedio di Firenze, sono attribuibili interamente ad Antonio, essendo il

fratello morto nel 1516. Non vi è dubbio che tra questi due importanti "architettori" del Rinascimento vi

sia stata una osmosi di pensiero e di attuazione veramente straordinaria tanto che ancor oggi dopo

tanti studi e comparazioni resta sempre molto difficile capire dove inizia e dove finisce l’apporto

creativo di Giuliano rispetto a quello di Antonio.

L’altra considerazione riguarda il sistema di costruzione di queste fortezze e l’uso specie

nelle ultime fortificazioni del mattone non solo sulle cortine esterne, ma anche nelle parti interne delle

troniere delle coperture a “cupola” e delle volte a botte (Poggibonsi, Pisa, Arezzo, Livorno).

Non vi è dubbio che la Repubblica Fiorentina in molte occasioni, nella costruzione delle

difese del territorio, usasse le maestranze dell’Opera del Duomo e non è difficile pensare che il

“mattone”, non solo fosse di più facile reperimento rispetto alla “pietra” (creazione di grandi fornaci

come poi verrà fatto nel pieno ‘500), ma anche un materiale che meglio si prestava a costruire

superfici “lisce” inclinate e verticali che avessero la possibilità di far sgusciare meglio i tiri di artiglieria

in pietra o in ferro.

D’altra parte l’uso del mattone, il lavoro e l’esperienza delle maestranze di Santa Maria del

Fiore portavano all’uso di una tecnica muraria ormai consolidata che proveniva dalla costruzione della

grande cupola del Brunelleschi dove, come riporta anche il Vasari e come è stato verificato da recenti

studi, è stato largamente usato il mattone e applicato largamente il sistema nella costruzione della

famosa "doppia cupola" a “spina pesce alla fiorentina”.

Questa tecnologia venne ripresa e applicata nella costruzione, specie nelle “calotte

sferiche” all’interno delle troniere di molte fortificazioni attribuite ai Sangallo; inoltre, questo materiale e

questa straordinaria tecnica muraria saranno uno dei punti di riferimento di quasi tutta l’Architettura

fortificata del Granducato, da Terra del Sole al perimetro di Grosseto, dalla fortezza di San Piero a

Sieve, alla nuova cinta bastionata di Livorno.

La cittadella o forte di Livorno venne costruita su un modello di Antonio da Sangallo il

Vecchio tra il 1519-1520 su un precedente progetto già impostato insieme al fratello Giuliano nel 1509.

Anche se, molto ristrutturata in varie epoche, fa parte del periodo di “transizione”.

In questo caso la cittadella é costituita da un quadrato irregolare con agli spigoli tre puntoni

a cuore ed é condizionata dalle preesistenze medioevali sia relativamente al "quadrato pisano"

fortificato già nel 1376, sia ancor più dalla grossa torre tonda (detta impropriamente di Matilde) che dal

lato verso mare funge da quarto puntone ("donjon") e da cerniera strategica (“mastio”) di tutto il

sistema fortificato.

I tre puntoni a cuore completamente rivestiti in mattoni collegano le varie cortine anch’esse

rivestite in mattoni e completate da "risegature" di irrobustimento in marmo bianco (questa tecnica

costruttiva del manto esterno lo troviamo anche a Poggibonsi e a Pisa).

Essendo ancor oggi in buona parte circondata dal mare (darsena vecchia), salvo una

piccola porzione (di fronte alla torre cilindrica e al “quadrato pisano”) verso l’odierno “porto mediceo”

presenta ancora le sue originali proporzioni altimetriche. Si può infatti leggere la straordinaria

grandezza ed eleganza formale dei puntoni e delle muraglie che rispecchiano fedelmente il sistema del

"fronte bastionato" di radenza. In questo caso le gole nei puntoni all’interno dei traditori sono di

straordinaria dimensione in funzione di armi sempre più grandi, e come in altre occasioni, l’armamento

della fortezza e la posizione delle artiglierie non erano rivolte solo per la difesa di se stessa o verso la

possibilità di contrastare un assedio dal mare, ma anche verso terra (il piccolo “villaggio” di Livorno),

come deterrente a qualsiasi possibilità di rivolta e alla salvaguardia della politica egemonica fiorentina.

La cittadella era completamente isolata da terra. Tra il 1522 e il 1523 era stato scavato un

canale in modo da isolarla completamente.

Si poteva raggiungere solo con un sistema a traghetto a corda fissa che collegava la porta

principale protetta dal puntone detto della “Cavaniglia” e la terra. All’interno, i puntoni progettati dal

Sangallo, sono su doppio livello con grandi troniere cilindriche a cielo chiuso coperte con volte

emisferiche in mattoni a “spina pesce” alla fiorentina. All’interno del recinto - ristrutturato e modificato

più volte nel corso dell’ampliamento della Città nella seconda metà del ‘500 sia dal Buontalenti sia dal

Medici - si trovano ampi spazi adibiti a deposito con cantine, pozzi, cisterne, gallerie di contromina e

ampi arsenali. Nell’antico quadrato pisano, recentemente restaurato, si trovavano le stanze della

guarnigione (quasi completamente dirute). Erano state costruite intasando l’interno del recinto con

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superfetazioni, come era nella tradizione delle costruzioni fortificate medioevali. In questo caso poi, il

sistema costruito era ancor più sofisticato e importante (varie costruzioni che dominavano l’intero

recinto fortificato con vista sul mare) in quanto in tempi diversi durante la seconda metà del ‘500 vi

furono costruiti sia il “palazzo” detto di Cosimo I, sia quello detto di Francesco, primo e secondo

Granduca di Toscana.

La cittadella non presentava coronamento superiore e l’attuale altezza e armatura a fucileria

(alto muro in mattoni) è dovuta alla conquista della cittadella in periodo napoleonico.

In questa fortificazione compare, al di sopra della gola del puntone, che ha forma concava

sinusoidale rispetto al traditore tondo del puntone, un grande arco in mattoni a protezione della bocca

di volata inferiore che serviva a dare continuità nei percorsi di posizionamento delle artiglierie sugli

spalti. Non vi è dubbio che questa ricerca formale, già attuata a Pisa e provata molto timidamente a

Sansepolcro nel puntone di San Casciano, qui a Livorno assume un aspetto, al di là della funzione,

decisamente strategico e di protezione del posizionamento delle artiglierie sottostanti e rappresenta

un incredibile proporzione ed eleganza sia nella forma che nel disegno con una forte ricerca stilistica

d’integrazione tra vari elementi architettonici.

Oltre a queste importanti fortificazioni sparse in Toscana vi è poi, sempre riferibile allo

stesso periodo e forse agli stessi autori o a componenti minori delle loro botteghe, un’altra grande

quantità di esempi più o meno importanti e conosciuti, tra cui il torrino detto di San Viene a Siena del

1528 attributo al progetto di Baldassarre Peruzzi, forse il più importante e quello che chiude questo

straordinario periodo.

Domenico Taddei

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