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L'arte nel Mar Egeo
IntroduzioneQuesto idoletto convenzionalmente chiamato
«suonatore di lira» è l’esempio più noto della
cosiddetta «arte cicladica». Con questo termine si
intende l’arte fiorita in alcune isole, chiamate
Cicladi, nel mar Egeo tra il III e il I millennio a.C.
Sono queste alcune tra le più antiche
manifestazioni artistiche in quell’area, detta
«egea», in cui fioriranno prima le civiltà cretese e
micenea e poi quella greca classica. Rappresenta,
in un certo qual senso, la preistoria dell’arte greca. L’arte che fiorisce in queste isole ha le
stesse peculiarità di molta arte del tardo neolitico e
delle prime età storiche: una notevole
schematizzazione tesa più all’essenzialità
geometrica che non alla mimesi naturalistica. In
questo suonatore di lira la composizione appare
molto articolata e l’insieme che ne risulta è di grande equilibrio. La sua levigatezza e il suo
candido colore ne fanno un prototipo notevole di quella tendenza geometrizzante che
ritroveremo ancora agli inizi dell’arte greca.
Arte creteseMentre in Egitto si sviluppava una delle più grandi civiltà del mondo antico, nel Mediterraneo
orientale una diversa cultura artistica sorgeva in alcune isole e in alcuni territori della penisola
greca.
Fu soprattutto dall’isola di Creta che vennero le più originali novità, ed è qui che si sviluppa
quella cultura figurativa definita anche «minoica» dal nome del mitico re Minosse.
Le prime manifestazioni si datano al 2.500 a.C., quando in Egitto sono già sorte le grandi
piramidi. Da questa data, la periodizzazione più diffusa dell’arte cretese individua tre principali
periodi:
• periodo protopalaziale (o minoico antico): dal 2.000 al 1.7000 a.C.
• periodo neopalaziale (o minoico medio): dal 2.000 al 1.700 a.C.
• periodo postpalaziale(o minoico tardo): dal 1.700 al 1.350 a.C.
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Il periodo antecendente al 2000 a.C. Secondo alcuni autori si chiama prepalaziale. La
periodizzazione, come si desume dai nomi, viene riferita alla datazione dei grandi palazzi che
caratterizzarono la vita civile dell’isola. In pratica, a partire dal 2.000 a.C., nell’isola sorsero
grandi complessi architettonici, la cui morfologia era molto varia e articolata: essi si
componevano di centinaia di ambienti tra loro connessi da passaggi, corridoi e cortili che
dovevano avere l’aspetto di un labirinto. Da questi palazzi, così complessi, nacque forse il mito
del labirinto di Creta, costruito da Dedalo, e nel quale Minosse nascose il Minotauro, mostro
metà toro e metà uomo.
Oltre a quello di Cnosso (il più famoso) altri palazzi sorsero nell’isola: quelli di Festo, di Haghia
Triada, di Mallia. I primi palazzi (quelli del periodo prepalaziale) furono probabilmente distrutti
da un terremoto che avvenne intorno al 1.700 a.C. La loro ricostruzione nel periodo minoico
medio corrisponde al periodo di massimo splendore, che termina quando nel minoico tardo
l’isola non viene conquistata da parte delle popolazioni micenee.
Rispetto all’antico Egitto, a Creta si sviluppò una civiltà dai caratteri più liberi e fantasiosi,
meno condizionata da poteri forti, e, forse, data la sua condizione insulare, meno angosciata
da guerre e da saccheggi, e quindi meno oppressa dalla militarizzazione della propria società.
La vita si svolgeva nei grandi palazzi, che avevano la dimensione di un intero villaggio. I
palazzi di Creta vengono anche denominati città-palazzo. Qui l’architettura aveva innanzitutto
il compito di plasmare l’habitat di vita senza forzature eccessive. La composizione dell’edificio
avveniva adattandosi al luogo, con varietà planimetrica ed altimetrica, sconosciuta, ad
esempio, all’architettura egizia o sumera.
Le costruzioni egizie erano improntate ad un criterio compositivo di simmetria. Una costruzione
simmetrica ha un asse verticale che divide l’edificio in due parti esattamente uguali. Inoltre gli
edifici egizi si impongono sul paesaggio circostante rappresentando un segno ben visibile
dell’intervento umano.
A differenza degli edifici egizi le costruzioni cretesi evitano qualsiasi imposizione di simmetria – che costringerebbe a fare una metà dell’edificio uguale all’altra – per cui i palazzi
cretesi si inseriscono nel paesaggio con naturalezza ed organicità. Di dimensioni mai eccessive,
ma proporzionate alle funzioni che devono svolgere, questi palazzi hanno una immagine varia
e movimentata.
La loro decorazione presenta poi un carattere di assoluta novità: non si affida alla decorazione
plastica di sculture a tutto tondo o a basso rilievo inserite in parti dell’edificio, ma al colore
delle superfici. Non solo le pareti interne sono decorate con affreschi dai toni vivaci, ma anche
le parti esterne dell’edificio, quali le colonne, sono arricchite di colorazioni intense. A differenza
dell’architettura egizia, che cerca di impressionare per la maestà e la grandiosità delle
proporzioni, l’architettura cretese si presenta con caratteristiche di maggior intimità a
dimensione di una serena e quasi gioiosa fruibilità.
In questi palazzi, l’arte figurativa giocava un ruolo, fino ad allora, inedito: quello della
decorazione. Le immagini, cioè, non venivano utilizzate per rappresentare concetti da
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comunicare, come nell’arte egiziana, ma venivano utilizzate per abbellire i luoghi di vita. E,
quindi, il carattere richiesto ad un’arte così intesa, è, ovviamente, la bellezza. Il fine è quello
del godimento estetico. Fu proprio in questo momento, che nacque il concetto che arte è sinonimo di bello. Concetto poi trasmesso all’arte greca, e di qui, giunto fino a noi, anche se
più come preconcetto, visto che, oggi, non coincide, se non a livello popolare, con in nostro
giudizio sull’arte.
L’arte cretese, rispetto a quella egiziana, appare più libera e spontanea. Ha caratteri di
freschezza rappresentativa, che riescono a cogliere la realtà con immediatezza e felice sintesi.
È un arte, quindi, di tipo naturalistico, anche se non esente da qualche tecnica
antinaturalistica. Le figure si affidano soprattutto al disegno della linea di contorno; i colori
sono stesi senza effetti chiaroscurali, ma con campiture uniformi e vivaci, che finivano per
esaltare il valore decorativo, rispetto a quello mimetico, di queste immagini.
L’arte, sia come architettura che come pittura, nella cultura cretese, appare come un’unica
attività tesa al bello. Nel suo caso, arte e artificio tendono a coincidere, in quanto tutta la
produzione umana viene a soddisfare la identità domanda di qualità.
Il palazzo di CnossoQuale esempio di arte minoica (cretese)
si può considerare il palazzo di Cnosso
(L.T. Figura 3.6 pag 42). Vasto
1800x1500 metri si si è sviluppato per
ampliamenti successivi e senza un piano
organico.La sua pianta (L.T. Figura 3.7
pag 43) evidenzia la più totale assenza
di simmetria. Al contrario la pianta
appare tanto caotica da aver
probabilmente dato adito al mito del
labirinto di Dedalo.
L'edificio presentava un ampio cortile
centrale, attorno al quale si sviluppava
tutto il palazzo.
Sui suoi lati si disponevano il quartiere
di rappresentanza (inclusa la cosiddetta sala del trono) e i magazzini a ovest, gli appartamenti
privati e residenziali a est, l'ingresso monumentale a sud e le stanze di servizio a nord.
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Il palazzo si ergeva su due piani: quello superiore, adibito anch'esso a funzioni di
rappresentanza, poggiava su una serie di inconsuete colonne a "rastremazione inversa", che
andavano cioè restringendosi non al vertice, ma alla base (L.T. Figure 3.9-3.10 pag 43).
Queste colonne, che sorreggevano gli architravi erano tinte vivacemente. Al palazzo mancano
totalmente le mura dfensive, poiché quella cretese era una civiltà fiorente e pacifica.
Nella parte nord del piano terreno trova posto
anche un teatro, dotato di gradinate simili al
kóilon dei teatri greci o alle cavee romane dove
si riuniva la folla che assisteva alla celebrazione
di attività rituali di vario tipo e per i giochi
acrobatici con i tori (L.T. Figura 3.11 pag 44) . Il
salto sul toro faceva parte del culto religioso
minoico, con il significato della vittoria
dell'abilità e dell'intelligenza umane sulla forza
bruta della bestia. L'esercizio, pericolosissimo,
praticato da atleti di entrambi i sessi, consisteva
nell'attendere, fermi, il toro, scavalcandolo poi
con un salto mortale e ricadendogli alle spalle.
L'effresco mostra queste fasi, come in una
sequenza cinematografica, con tre distinte
figure, una maschile, centrale rappresentata con
carnagione scura secondo un uso convenzionale
nella pittura di molte civiltà antiche), le altre femminili, rappresentate con carnagione chiara.
La presenza di figure femminili in questi giochi testimonia
una cultura nella quale la donna godeva di un certo prestigio
sociale, a differenza di quelle vicino-orientali.
Gli affreschi minoici (o cretesi)L’arte cretese trova la sua più felice espressione nella
decorazione parietale. Quasi assente è infatti la produzione
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Trono del palazzo di Cnosso: ricavato da un unico blocco di alabastro, è fatto a imitazione di un seggio ligneo
scultorea, del tutto assente quella monumentale, limitandosi a piccoli oggetti e alla produzione
ceramica. Nella pittura parietale abbiamo invece le testimonianze più cospicue del gusto
estetico della cultura cretese, diffuso, oltre che sull’isola madre, su molte altre isole delle
Cicladi e sul Peloponneso.
Le pitture parietali rinvenute testimoniano vivacità e capacità di interpretare la realtà come si
vede dalla fanciulla di Cnosso: la parigina. La figura bidimensionale, ripresa di profilo,
denuncia chiare influenze egizie ed è caratterizzata dal grande occhio marcato dal sopracciglio.
I colori sono stesi in campiture delimitate da una spessa linea nera. L'acconciatura articolata ed
il trucco testimoniano la libertà goduta dalle donne nella società cretese.
Anche negli affreschi provenienti da Thera
sull’isola di Santorini, vicino Creta, che
possono datarsi agli inizi del minoico
tardo, le immagini sono di grande vivacità e comunicano una sensazione di
grande freschezza e verità: quasi delle
istantanee della vita reale. Essi
raffigurano una scena di pugili e due
composizioni di animali.
Nella scena dei due pugili grande è il
dinamismo potenziale che comunicano
le due figure, ed in ciò la distanza
dall’arte figurativa egiziana coeva è
proprio notevole. Anche se qualche
elemento di confronto non manca: si
osservi l’unico occhio che le figure di
profilo presentano in posizione frontale.
Tutta la costruzione è affidata alla linea di
contorno, mentre la campitura
assolutamente uniforme non concede
nulla alla simulazione tridimensionale
(cioè è assente i chiaroscuro).
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Ma il valore espressivo della linea giunge a risultati eccezionali soprattutto nell’immagine con le
due capre. Il diverso spessore della linea riesce a dare corpo e volume alle due figure in modo
mirabile. Notevole sono anche le campiture colorate che circondano le figure. Oltre al valore
decorativo, esse arricchiscono le immagini di una spazialità ideale molto originale.Pittura vascolare: Brocchetta di Gurnià a confronto
Questa piccola brocca è una delle opere d’arte più celebri della produzione cretese. La sua
fama non è immeritata. Nella sua apparente semplicità l’opera ha un fascino indiscutibile.
Sulla superficie sferica ad essere rappresentato è il fondale marino, con alghe e coralli, nel
quale appare un vivace polipo, talmente verosimile che sembra ci guardi. I suoi tentacoli si
dispongono ad occupare buona parte dello spazio, creando un connubio così felice con la
sfericità della brocchetta che la superficie sembra quasi sparire. Questo naturalismo così
accentuato, non solo testimonia della capacità di osservazione degli artisti cretesi, ma
testimonia anche della loro capacità di sintesi tale da giungere con pochi tratti a risultati
straordinari.
Se paragoniamo questa brocchetta al vaso miceneo con polipo, riprodotto in alto a sinistra,
possiamo capire tutta la differenza di concezione che passa tra arte cretese e micenea, ma
possiamo anche meglio apprezzare la grande qualità della brocchetta di Gurnià. Il suo
naturalismo, opposto al freddo schematismo geometrico del vaso miceneo, ne fanno
un’opera sicuramente più affascinante.
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Arte miceneaMentre sull’isola di Creta di sviluppa il tardo minoico, sulla penisola greca una nuova civiltà
acquista importanza in campo artistico: è quella «micenea», così definita dalla città di Micene
che per prima fu riscoperta nel 1874 dal famoso archeologo Heinrich Schliemann. In questo
centro, come in quello di Tirinto e di altre città del Peloponneso, si sviluppò quella civiltà che
diede i natali agli eroi omerici protagonisti della guerra contro Troia.
La civiltà micenea, come quella cretese, viene suddivisa in tre periodi principali:
• miceneo antico: dal 1.800 al 1.500 a.C.
• miceneo medio: dal 1.500 al 1.400 a.C.
• miceneo tardo: dal 1.400 al 1.100 a.C.
La cultura artistica micenea subì grandi influenze da quella cretese, ma notevoli sono anche le
differenze.
Nell’architettura, il carattere aperto e disordinato dei palazzi cretesi, a Micene, non si ritrova. I
centri continentali non hanno le naturali difese che ha un’isola, così che le città devono avere
strutture più solide e adatte alla difesa. Pur non ricorrendo alla grandiosità dell’architettura
egizia, le costruzioni micenee sono improntate ad un severo senso di robustezza e gravità. Gli
edifici, realizzati con conci di pietra a vista di grosse dimensioni, denunciano già nel loro
aspetto il carattere di forza e inaccessibilità.
Le città micenee erano decisamente più piccole delle città-palazzo cretesi e a differenza di
queste erano fortificate con mura possenti. Ne sono un esempio le mura di Tirinto, spesse
fino a 17 metri e alte 10, al cui interno correva una galleria che consentiva lo spostamento
delle sentinelle (L.T.fig. 3.27 pag. 51). Risultavano talmente imponenti da alimentare la
leggenda che fossero costruite dai Ciclopi. Nella figura sottostante è rappresentata la
ricostruzione della città di Tirinto.
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I palazzi micenei, posti in posizione dominante su alture circondate da mura, hanno quindi
un aspetto più regolare ed ordinato rispetto a quelli cretesi. Al loro interno sorgeva un
ambiente, chiamato mègaron (L.T.fig. 3.28 pag. 51), che aveva una conformazione singolare.
Al centro sorgeva un grande camino circondato da un quadrato di quattro colonne. L’ambiente
era preceduto da due vestiboli (vestibolo e antisala), il primo dei quali era aperto sul lato
anteriore presentando due colonne in facciata. Dalla forma del megaron miceneo deriva
probabilmente la tipologia del tempio greco classico.
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Mègaron
Ma l’architettura micenea mostra altri caratteri di novità: essa comincia a sperimentare la
resistenza delle strutture curve, ma lo fa in modo ancora incerto. Oltre all'utilizzo di
colonne e architravi, i micenei sperimentano l'uso di elementi strutturali simili ad archi e volte
Essi sono in realtà pseudo-archi e pseudo-volte in quanto gli elementi costruttivi non si
sorreggono per mutuo contrasto, ma sono leggermente aggettanti uno rispetto all’altro, e
scaricano il peso secondo linee di forze verticali. Di particolare interesse è soprattutto la
famosa Tomba di Agamennone, anche chiamata Tesoro di Atreo, costituita da un tholos a
pseudo-cupola.
Pseudo-arco: Porta dei Leoni
Anche la città di Micene era fortificata, con mura
costituite da grosse pietre squadrate e
parallelepipedo. Esse esprimono forza, perchè la luce
che colpisce la faccia esterna del blocco si alterna
con decisione all'ombra dei giunti. Lo stesso ssenso
di forza maestosa esprime la porta che si apre in
esse, per l'essenzialità degli elementi con i quali si
costituisce: quattro poderosi monoliti, corrispondenti
a soglia, due stipiti e architrave. Una delle porte di
ingresso alla antica città è la porta dei Leoni.
La luce netta della porta è di 3 m, la sua profondità
di 1,20m. Doveva sorreggere un muro alto più di 3
m al di sopra dell'architrave (solo l'architrave pesa
più di 20 t). Come avrebbe fatto l'architrave a
reggere un tale peso senza rompersi? I micenei inventano il principio costruttivo del triangolo.
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In pratica l'architrave regge solo il peso proprio e quello del masso triangolare su di esso,
quello decorato con le leonesse. Il peso del restante muro è come se scivolasse lungo i lati del
triangolo.
La porta reca l'unica decorazione del complesso architettonicao, che dà il nome alla porta: due
leoni (o meglio leonesse) affrontati (cioè posti uno di fronte all'altro) araldicamente (di profilo e
rampanti), davanti a una colonna sul cui basamneto appoggiano i piedi anteriori. Anche questa
decorazione è semplificata ed essenziale.
Pseudo-cupola: Tomba del cosiddetto "Tesoro di Atreo”
È una tomba ipogea a tumulo il cui ambiente principale, detto tholos (L.T. Fig. 3.22 pag 49), è
a pianta circolare con copertura a falsa cupola creata mediante la sovrapposizione di 33 anelli
di pietra concentrici sempre più ristretti, come anelli di diametro gradualmente decrescente
fino alla chiusura (soluzione simile a quella dei nuraghi sardi e nei trulli pugliesi). La tholos si
regge per gravità e non per mutuo contrasto.
La costruzione e il suo funzionamento sono sul L.T. Pag.48 “La Tholos” e lettura guidata
Fig.3.21.
N.B. Una tholos è una tomba a pianta circolare e cupola.
La tholos era originariamente decorata con rosette di bronzo a imitazione di un cielo stellato.
All'interno di questa volta c'è un senso cupo, ossessivo, drammatico, dovuto alla ripetizione dei
filari di pietra e al loro restringersi, particolarmente consono al tema funebre del monumento.
Alla tholos si accede percorrendo un lungo corridoio esterno (dromos) scavato nel terreno (L.T.
Fig. 3.23 pag 49), e attraversando una porta sormontata dal tipico triangolo di scarico.
La camera funeraria quadrangolare è collegata all'ambiente principale da un angusto
passaggio. All'interno è stata rinvenuta la maschera funeraria d'oro, ritenuta di Agamennone
(L.T. Fig. 3.20 pag 47), e altri preziosi oggetti. La maschera funearia, al pari della cupola,
rivela la stessa drammaticità latente, espressione di una società guerriera, nei sui tratti forti,
decisi, energici, dagli occhi chiusi nella terribile fissità della morte.
Le altre arti
In campo figurativo poche sono le differenze rispetto alla civiltà cretese, anche se manca
spesso il carattere di gioiosa libertà creativa di quest’ultima. Notevole è soprattutto la
lavorazione dell’oro, utilizzato spesso per un insolito uso: ricoprire di una lamina dorata i volti
dei defunti.
Ma la civiltà micenea, rispetto a quella minoica, è maggiormente influenzata dagli «eroi»: quei
principi achei che, tra l’altro, hanno combattuto la guerra contro Troia. L’esaltazione dell’eroe
guerriero, trovò la sua forma di rappresentazione preferita nei canti poetici. In quella lenta
elaborazione delle forme di scrittura e recitazione, da parte di aedi e rapsodi (poeti erranti che
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narravano le gesta degli eroi in guerra), che portò, alcuni secoli dopo, ai poemi omerici. Inizia,
in questa fase, l’uso della parola in forma artistica. L’espressione verbale, rispetto ad altre,
rimane più legata ad una immediata percezione del contenuto. L’elaborazione dei carmi eroici,
portò invece a perfezionare quelle tecniche di scrittura, in particolare la metrica, dando alla
poesia il suo valore di forma estetica.
In questo momento, in una cultura occidentale, le parole, anche nell’arte e non solo nella
comunicazione, acquisirono maggior importanza rispetto alle immagini. La successiva cultura
greca, erede delle civiltà minoico-micenea, sviluppando la filosofia ha di fatto ulteriormente
accentuato la distanza tra immagini e parole, tramandandola a tutta la cultura occidentale.
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