l’avventura delle idee -...
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Numero centoquattro – Aprile 2015
Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
DISTRIBUZIONE GRATUITA
www.socratealcaffe.it
la Feltrinelli a Pavia,
in via XX Settembre 21.
Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30
pochi giorni
dall’apertura
dell’ Esposizione
universale,
devo
confessare
che
l’avventura di idee che ha coinvolto negli
ultimi anni i grandi temi di
Expo 2015 è stata
affascinante e paradigmatica.
Il fascino deriva dal coinvolgimento di centri di
ricerca nel mondo e di
istituzioni accademiche nel
confronto delle idee a
proposito delle dimensioni
plurali che i contenuti e le implicazioni di “Nutrire il
pianeta. Energia per la vita”
chiamano in causa. Il
paradigma che si è venuto via
via mettendo a fuoco è quello di un approccio sistemico e
multidimensionale alle grandi
e radicali questioni della
nutrizione in un mondo
globalizzato e attraversato da
severe contraddizioni e ingiustizie, tanto quanto da
opportunità luminose. Penso
alla complessa esperienza dei
lavori di Laboratorio Expo
della Fondazione Feltrinelli
che con Società Expo ha costruito a partire dal 2013
una sorta di Accademia
multidisciplinare, immersa in
una rete di ricerca globale. E
ha messo a fuoco le dimensioni della sostenibilità
(Continua a pagina 2)
GIORGIO FORNI Alle pagine 3-4-5
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
L’EDITORIALE
L’avventura delle idee
di Salvatore Veca
FONDART RENDE OMAGGIO A
GHINZANI
MELOTTI INCONTRA BOZZOLA
A proposito di un recente libro. Riflessioni sul rapporto con l’Islam dopo Charlie Hebdo
Luciano Musselli
ALLE PAGINE
6-7-8
LA COMUNICAZIONE EF-
FICACE
GAIA VICENZI A pagina 2
Pagina 2 Numero centoquattro - Aprile 2015
Ecco dove viene distribuito gratuitamente Il giornale di Socrate al caffè
Il giornale di Socrate al caffè Direttore Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra Editore
Associazione “Il giornale di Socrate al caffè” (iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)
Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia 0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected]
Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia
Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002
I PUNTI SOCRATE
in rapporto al fare cibo, alla
connessione fra cibo e culture, alle
ineguaglianze dei titoli e nell’accesso
al cibo, all’energia e al bene comune dell’acqua nella gran città del genere
umano, in cui da pochi anni, per la
prima volta nella storia del pianeta, la
popolazione urbana ha superato la
popolazione rurale. Mi piace ricordare, in proposito, che la prima
idea di Laboratorio Expo mi fu
suggerita qualche anno fa da Roberto
Schmid, quando lavoravamo insieme
all’avvio dell’esperienza dello IUSS.
Penso al lavoro di ricerca di molti
giovani delle nostre Università e al confronto fra idee e prospettive, fra
teorie, esperienze, pratiche e agenda
con i loro colleghi senior e junior di
Università e Istituti di tutto il mondo.
Il Patto della scienza, che emerge da
quasi tre anni di lavoro, è l’esito di questa avventura di idee, affascinante
e paradigmatica. E costituisce una
delle tessere del mosaico della Carta
di Milano, la legacy immateriale di
Expo 2015 a Milano. Un documento
di global citizenship che, muovendo
dalla convinzione secondo cui il diritto al cibo è un diritto umano
fondamentale, chiede un’assunzione
di responsabilità condivisa nei
confronti degli impegni per l’obiettivo
di un mondo senza fame. Impegni che coinvolgono donne e uomini, cittadini
di questo pianeta, la società civile, le
imprese e che chiamano in causa la
responsabilità delle istituzioni, dai
livelli nazionali al livello
internazionale e transnazionale. Penso a un semestre Expo, in cui
l’agorà si trasformi in uno spazio
pubblico globale per il confronto delle
idee, per la discussione pubblica, per
la partecipazione e la divulgazione dei grandi temi
al centro
della ricerca.
E,
soprattutto, mi sembra non solo
importante ma in certo senso
doveroso pensare a Expo come al terminus a quo di una ricerca che miri
agli obiettivi, difficili ma ineludibili, di
un futuro più degno di lode, di un
futuro sostenibile perché equo. I
cantieri dell’Expo delle idee sono
sempre in corso e proseguono dopo l’Expo. Questo non è un optional. È
un must, dettato dalla semplice
responsabilità intellettuale e civile. Salvatore Veca
(Continua da pagina 1)
el mio libro “La comunicazione Efficace” (ed. Dissensi),
propongo una serie di esercizi pratici per imparare a comunicare con gli altri rispettando loro ma anche noi stessi, con l’obiettivo ultimo di sentirci soddisfatti di noi, del nostro modo di pensare, del nostro modo di fare, del nostro modo di vivere nella società. Tra le abilità che sono necessarie per rendere le relazioni interpersonali di qualità, vi sono la capacità di iniziare un discorso, di intervenire in esso quando già avviato e di concluderlo quando il tempo o l’interesse a disposizione sono mancanti. Avere a disposizione una serie di “strategie” per mettere a punto questi tre importanti momenti della conversazione aiuta a vivere
serenamente la stessa e la sua conduzione. È anche importante sapere formulare critiche costruttive e non distruttive, così come è assolutamente necessario saper gestire le critiche, accogliendo con serenità quelle che riteniamo vere, ma gestendo con altrettanta calma quelle che consideriamo infondate. Contraltare delle critiche sono i complimenti: farli e riceverli richiede ugualmente un’abilità. Spesso dire cose positive ci imbarazza, nella paura che il commento gradevole sia letto con finalità strumentali e adulatorie. Vero è che è ugualmente difficile (se non di più), ricevere apprezzamenti: spesso tendiamo a sminuirli e a minimizzarli. L’effetto di una costante, esplicita sottovalutazione dei rinforzi che riceviamo dall’esterno porta i nostri
interlocutori a diminuirne l’emissione, impoverendoci e privandoci della possibilità di avere feedback su quanto facciamo. È ugualmente un’abilità quella di sapere fare domande che aiutino l’altro ad aprirsi, così come è una capacità quella di comprendere i limiti in cui fermare le proprie richieste. Un’importante dogma che può essere utile ricordare quando ci troviamo nella necessità di chiedere qualcosa è quello di pensare di poter chiedere quasi tutto purché sia riconosciuto all’altro il diritto di dirci di no. Infatti, anche il “dire di no” senza sentirsi in colpa è una competenza che va appresa ed esercitata. Infine, qualche pagina sottolinea l’importanza dell’ascolto e della capacità di gestire il silenzio, nelle infinite sfaccettature che esso può avere.
Il libro si conclude con due capitoli su due specifiche forme di comunicazione: la comunicazione efficace mentre si parla in pubblico e l’assertività adattata ai messaggi di Facebook, Whatsapp e all’utilizzo del cellulare. Così apro il capitolo sul parlare in pubblico: Se nella conversazione in coppia o in piccoli gruppi il pensiero “che cosa penserà di me chi mi ascolta?” è ticchettante, nei discorsi pubblici lo stesso pensiero è assordante. In effetti, lo scoglio principale da superare quando occorre esprimere le proprie idee davanti a un uditorio ampio è l’ansia. Ansia di non saper dire le cose, ansia di dire cose sbagliate, ansia di dire cose non interessanti. La buona notizia, in questi casi, è che l’ansia è gestibile e nelle righe di questo libro offro qualche spunto per imparare come.
Quanto all’ultimo capitolo, quello sull’assertività nei nuovi social media, il punto principale che sottolineo è che è necessario avere regole di “buona educazione” nella gestione di tali mezzi di comunicazione. Qualcuno ha provato a stilare un galateo di Internet per insegnare a “stare in rete” con eleganza. Io aggiungo a questi spunti alcune riflessioni su certi comportamenti che andrebbero evitati e su certi altri che andrebbero appresi e sui quali, invece, c’è ancora poca dimestichezza. Nel leggere il mio libro, trovando in esso strumenti pratici per rendere più efficace la propria comunicazione, vorrei potesse arrivare chiara l’idea di come, imparando a comunicare meglio, si impari anche a vivere meglio.
Tra le forme di ricchezza di cui disponiamo, il “capitale relazionale” è sicuramente un patrimonio importante.
Dalle relazioni con gli altri nascono tesori che sono elemento essenziale del benessere. L’uomo è “animale
sociale”; ma è anche vero che la socialità, per essere foriera di benessere, deve essere fonte di positività,
vissuta come costruttiva, serena. Le “abilità interpersonali” sono annoverate tra le abilità di vita - le
così dette life skills - ovvero quelle competenze cognitive, emotive e relazionali che rendono possibile affrontare con efficacia le richieste del
mondo quotidiano. L’assertività è una di queste, ovvero la capacità di esprimere se stessi, in modo autentico, senza provare disagio, ritenendo
ugualmente importante il diritto dei nostri interlocutori di comunicare essi stessi le proprie idee.
di Gaia Vicenzi
L’avventura delle idee
L’EDITORIALE
Aprile 2015 - Numero centoquattro Pagina 3
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FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
i sono stato con Marco Savio («è bravo come Vandrasch ..., ma più economico», Alberto diceva) per fotografare alcune opere pronte per la
mostra di Bellinzona, inaugurata pochi giorni prima della scomparsa dell’amico. Alberto era in ansia per lo spazio imponente da affrontare, anche con sculture di grandi dimensioni. Il grande non era la sua cifra più congeniale, proprio come per Melotti, guarda il caso, occasione di questi ricordi su Socrate. Ho insistito per alcune pose di lui autore sovrapposto, quasi in trasparenza, sui suoi lavori. Immagini belle, nel casino grande dello studio, pieno di opere da terminare, materiali grezzi, colori, bozzetti su fogli appiccicati con pezzi di nastro alle pareti. Appunti. Atmosfera creativa nel capannone illuminato dal sole al tramonto che
entrava dalle vetrate sulla campagna lomellina. Mi ricordava una foto dello studio di Giacometti. Ancora non a caso. Alberto cercava dei poster e cataloghi di sue mostre passate per il nostro archivio in aggiornamento/integrazione … e un disegno da dedicarci, compenso per le riprese fotografiche appena fatte. Dediche affettuose che leggo su altre carte mentre le appendo a parete. A Loriana e me sposi, per i nostri 60 anni, per il matrimonio di Ginevra, ai nipotini (ad ognuno il suo ...). La piccola incisione per gli auguri del natale 1981, da primo presidente del nostro Centro Studi ... Tutti segni di un rapporto di amicizia e lavoro comune per la promozione della cultura visiva nei nostri luoghi. Ma con l’accento emozionale e partecipativo di … uno di famiglia. Storia per accenni di oltre trent’anni
di strette relazioni e collaborazioni a progetti discussi e vissuti insieme.
Viaggi, scorribande in luoghi improbabili (chiesette abbandonate, cappelle di cimiteri ...) alla scoperta di pezzi di passato dimenticato e negletto. Sculture o affreschi da documentare e restaurare, siti da segnalare, itinerari da costruire. Reti, appunto, tra enti e luoghi, da unire in percorsi di conoscenza. Alberto era questo e altro. Un’anima poetica, anche nella scrittura, meno nota delle espressioni plastiche per le quali è amato e apprezzato. Di noi per dopo è il titolo di 12 acqueforti con altrettante piccole note poetiche a fronte, stampate a Udine con Corrado Albicocco, appena tornate da una mostra alla Biblioteca Nazionale di Minsk. Altri fogli appendo, tutti venati da una sottile malinconia esistenziale che sottende a tutto
il suo lavoro. Anche in forme tangenti al filone principale, nei
gioielli, fusi dalla cera persa con gli orafi di Valle e Sartirana, che furono la miccia di innesco alla nascita della nostra collezione di ornamenti d’artista. Con il coinvolgimento di Melotti, ecco un altro intreccio, di Arnaldo Pomodoro e Benevelli, Consagra, Uncini e Maestri, quali Staccioli e Cavaliere, Bozzola (altro intreccio), idea sposata da un altro grande amico, Luciano Soletti, che non c'è più. Come Ivo Misani, sponsor generoso della prima mostra realizzata con i prototipi appena fusi (sotto l’occhio vigile del sempre presente Notaio Ugo Reitano). La chiamammo “disegnare l’oro” e avemmo Ornella Vanoni come madrina ... Potrei continuare, tanti sono gli spunti e le occasioni da approfondire, ancora per molto. Ma il racconto (lo dicevano Chatwin e altri che la sapevano lunga ...) non spegne la pena. Solo affievolisce, diluendoli, l’amarezza e il rimpianto.
ALBERTO GHINZANI, scultore
di fama internazionale e direttore
della Permanente di Milano, è mancato
il 5 aprile scorso nel capoluogo lombardo. Era nato a Valle Lomellina
nel 1939. Il ricordo
di GIORGIO FORNI
Da sinistra: MEMORIALE, STELE, ARMADIO DELLA MEMORIA; una delle acqueforti in Di noi per dopo; SPILLE, PAGINA BIANCA. Qui sotto: FIGURA CHE SI INOLTRA.
Pagina 4
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
bbiamo anticipato ai giorni delle feste pasquali l’ultimo ciclo di presentazioni a Sartirana con un intreccio tra la ricerca di Bozzola e le opere, da tempo non esposte, di
Fausto Melotti. Si rincorrono quindi sulle pareti le lastre incise e i dipinti anni ‘50 del Maestro di Galliate con le acqueforti (tirate in via Giannone dal grande Franco Sciardelli, altro amico appena scomparso) e le tempere, delicate e progettuali, dell’antico proprietario del castello.
Di Melotti sono in mostra anche una serie di gessi dipinti (anni ‘60) e una piccola selezione di sculture, multipli in ottone, acquisite nel tempo direttamente dal Maestro o dalla figlia Marta. Ritorno atteso, questo delle opere di Melotti, da una lunga serie di presentazioni in Turchia e Libano, poi in molti Paesi sudamericani. Sempre con immenso successo. Ritorno felice e a un tempo mesto, quasi a segnare un destino, se leggiamo gli accadimenti. Con Alberto Ghinzani preparavo la grande antologica di Melotti che inaugurammo nei giorni della
scomparsa del Grande Maestro, quasi trent’anni fa. E mentre nei giorni scorsi aprivo le casse giunte da oltreoceano, con gli ottoni filiformi e musicali, tintinnanti di catenelle e campanellini, per riallestirli e iniziare la stagione … giunge la notizia della morte di Alberto. Che aspettavo nei giorni delle vacanze pasquali, dopo l’apertura della sua grande mostra a Bellinzona. Per criticare e suggerire, modificare o aggiungere, come era solito fare. In ogni occasione dei lunghi e fantastici anni di vivace e intensa gara a chi le progettava … più belle/impossibili/difficili ... Invece Alberto non è venuto.
Costringendomi a smontare di notte la sala di Scanavino per dedicare a Lui, ad Alberto assente, una sorta di felice e sontuosa sala di commiato. Non una celebrazione, un ricordo vibrante, piuttosto. Con le sue opere su carta, le sue Lomelline , i muri, le porte, i ponti , le incisioni e le piccole sculture, i disegni, i gioielli. Un bronzo tra tutti. Quello che Alberto chiamò “Figura che si inoltra” … , nell’ombra. Allusione di sapore egizio /etrusco a un viaggio dell’anima. Che oggi ha preso concretezza. Senza ritorno.
di Giorgio Forni
NELLE FOTO I GESSI DI FAUSTO MELOTTI: 1 - 3B, 1978 (27,5x42,5) 2 - 13B, 1981 (26x23,5) 3 - 16B, 1974 (33x24) 4 - 19E, 1974 (26x24) 5 - 24B, 1973 (33x24) 6 - 30B, 1977 (26x24) 7 - 32B, 1977 (26x24)
○1
○2 ○3
○4
○5 ○6 ○7
Pagina 5
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
bbiamo anticipato ai giorni delle feste pasquali l’ultimo ciclo di presentazioni a Sartirana con un intreccio tra la ricerca di Bozzola e le opere, da tempo non esposte, di
Fausto Melotti. Si rincorrono quindi sulle pareti le lastre incise e i dipinti anni ‘50 del Maestro di Galliate con le acqueforti (tirate in via Giannone dal grande Franco Sciardelli, altro amico appena scomparso) e le tempere, delicate e progettuali, dell’antico proprietario del castello.
Di Melotti sono in mostra anche una serie di gessi dipinti (anni ‘60) e una piccola selezione di sculture, multipli in ottone, acquisite nel tempo direttamente dal Maestro o dalla figlia Marta. Ritorno atteso, questo delle opere di Melotti, da una lunga serie di presentazioni in Turchia e Libano, poi in molti Paesi sudamericani. Sempre con immenso successo. Ritorno felice e a un tempo mesto, quasi a segnare un destino, se leggiamo gli accadimenti. Con Alberto Ghinzani preparavo la grande antologica di Melotti che inaugurammo nei giorni della
scomparsa del Grande Maestro, quasi trent’anni fa. E mentre nei giorni scorsi aprivo le casse giunte da oltreoceano, con gli ottoni filiformi e musicali, tintinnanti di catenelle e campanellini, per riallestirli e iniziare la stagione … giunge la notizia della morte di Alberto. Che aspettavo nei giorni delle vacanze pasquali, dopo l’apertura della sua grande mostra a Bellinzona. Per criticare e suggerire, modificare o aggiungere, come era solito fare. In ogni occasione dei lunghi e fantastici anni di vivace e intensa gara a chi le progettava … più belle/impossibili/difficili ... Invece Alberto non è venuto.
Costringendomi a smontare di notte la sala di Scanavino per dedicare a Lui, ad Alberto assente, una sorta di felice e sontuosa sala di commiato. Non una celebrazione, un ricordo vibrante, piuttosto. Con le sue opere su carta, le sue Lomelline , i muri, le porte, i ponti , le incisioni e le piccole sculture, i disegni, i gioielli. Un bronzo tra tutti. Quello che Alberto chiamò “Figura che si inoltra” … , nell’ombra. Allusione di sapore egizio /etrusco a un viaggio dell’anima. Che oggi ha preso concretezza. Senza ritorno.
di Giorgio Forni
NELLE FOTO LE SCULTURE DI FAUSTO MELOTTI:
8 - I pendoli; 9 - Scultura 26; 10 - Cubo alfabeto; 11 - I magnifici sette; 12 - Il giudizio di Paride; 13 - Le nuvole;
14 - La luna al sole; 15 - Tema e variazioni n° 20; 16 - Tema e variazioni n° 6;
17 - Il triangolo; 18 - Insonnia
FAUSTO MELOTTI (foto Ugo Mulas)
○8 ○9
○10
○12
○11
○13 ○14
○15 ○16 ○17 ○18
Pagina 6 Numero centoquattro - Aprile 2015
IMPRESA CALISTI PAVIA
1928-2015
TRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVOTRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVOTRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVO DI EDIFICI E MONUMENTI STORICIDI EDIFICI E MONUMENTI STORICIDI EDIFICI E MONUMENTI STORICI
Già nell’ultimo decennio del
secolo scorso Houellebecq si è
affermato come una delle voci
più originali della
letteratura francese
contemporanea. Narratore sempre in
bilico tra la
descrizione precisa
della realtà - quasi
anatomica nei suoi momenti di crudo realismo -,
l’analisi della solitudine
esistenziale e della tristezza
dell’homo urbanus contemporaneo (frustrato,
anaffettivo o addirittura oltre i limiti della psicosi, come ne
Le particelle elementari e La carta e il territorio), la fantasia
e la fantascienza
(fantabiologia compresa, come
ne La possibilità di un’isola),
nel suo lavoro più recente lo scrittore ha applicato le sue
doti a un esperimento nel
quale i temi consueti si
intrecciano con la
fantapolitica.
Houellebecq è oggi divenuto celebre, anche presso il vasto
pubblico, per una ipotesi che
nessuno, fra gli scrittori
odierni, aveva neppure osato
concepire. Nel 2022 la sfida (la vera e propria lotta, anzi,
se si considera il contesto di
violenza e di degrado sociale
che costituisce lo scenario del
romanzo) per le Presidenziali
vede protagonisti Mohammed Ben Abbes, leader carismatico di un partito
espressione della Fratellanza
Mussulmana, e Marine Le
Pen, a capo del Fronte
Nazionale. Per quanto sia a capo di una formazione di
minoranza, grazie alle lotte
interne fra i partiti del “fronte
repubblicano” (PS e UMP) Ben
Abbes riesce a diventare l’ago della bilancia. Le sinistre e il
centro-destra, infatti, pur di
non consegnare la vittoria al
Front e alla sua visione vicina
ai movimenti identitari
nazionalisti scelgono di appoggiare il candidato
islamico. Ben Abbes è un
politico capace e avveduto: assegna la presidenza del
Consiglio dei Ministri a un
vecchio politico centrista e
cattolico, François Bayrou (un
personaggio tratteggiato con
toni caricaturali) e promuove una islamizzazione di fatto del
Paese, condotta passo dopo
passo, facendo estrema
attenzione a non forzare i
margini sempre più ampi di tolleranza della nazione
francese. Il tutto mentre gli
ultimi ebrei, compresa la
giovane amata dal
protagonista (sulle cui
capacità amatorie Houellebecq indugia spesso),
lasciano la Francia. Sugli
aspetti narrativi tornerò in
seguito.
Come si è detto, l’opera ha avuto purtroppo vastissima
risonanza per il fatto che il
giorno della sua
presentazione ha coinciso con
la terribile strage di Parigi, in
cui ha perso la vita quasi l’intera redazione del
settimanale satirico Charlie Hebdo. L’evento reale ha
ingenerato un clima di
straniamento, già vaticinato da alcune tetre descrizioni
che si trovano nel romanzo,
dove peraltro si racconta di
una Parigi in preda ai
prodromi di una guerra civile, taciuti per comodità dai mass media. La presa di potere
islamica, anche per effetto
della capacità di controllo
della nuova élite sui
correligionari delle banlieu, fa
immediatamente cessare tale
stato di violenza mai riconosciuta, riconducendo la
vita francese a una normalità
solo apparente.
Un clima quasi da «cronaca di
una morte annunciata», dunque, che conferma gli
spunti che già emergono da
altre opere contemporanee di
ben diversa impostazione
argomentativa e ideologica.
Ne offrono due ottimi esempi Le suicide français di Éric
Zemmour (Albin Michel, Paris
2014, pp. 502) e L’identità infelice, di Alain Finkielkraut
(Guanda, Parma 2015, pp.
191), che affronta anche il
tema del pericolo
rappresentato dalle periferie
delle città, oramai islamizzate e di fatto ingovernabili.
Quanto alla letteratura
precedente, una ipotesi di
conformazione ai precetti
coranici di una nazione
occidentale si trova solo in un’opera dell’inizio del
Novecento. Ne L’osteria volante (The flying inn, 1914),
Gilbert Keith Chesterton
immagina che dei ricchissimi
plutocrati islamici ottengano dal Governo di Sua Maestà
che vengano messe al bando
tutte le bevande alcoliche, in
ossequio alla sharia. Alcuni
personaggi, strampalati e
coraggiosi, dichiarano allora guerra a un simile divieto.
Essi si spostano di continuo,
sfuggendo alle autorità con
l’aiuto di nuovissime carrozze
automobili, sulle quali hanno installato capienti botti di
birra con cui irrigare la
resistenza al nuovo regime:
l’osteria volante, insomma.
Ma si trattava, all’epoca, delle
ironie di un intellettuale dalla nota vena umoristica, che si
serviva del divieto esotico di
una religione lontana dal suo
contesto sociale per ironizzare
sulla società della sua epoca.
Qui, invece, ci
troviamo di fronte
alla descrizione, peraltro
angosciosamente
ambigua sul crinale
fra la fotografia
dell’oggi e l’ipotesi sul
domani, dell’abdicazione ai propri principi da parte di
una odierna democrazia laica.
Una democrazia nata
dall’illuminismo, che muore
di inedia e carenza di valori di
fronte alle (rozze, se si vuole) ma incrollabili certezze
religiose veicolate da folle
sempre più vaste di fedeli,
nell’acquiescenza silenziosa di
una società quasi completamente laicizzata,
ormai talmente frammentata
e individualista da risultare
politicamente irrilevante.
Grazie alle liti feroci tra la
destra identitaria e la sinistra multiculturale e
terzomondista (tra il partito
del sé e il partito dell’altro,
direbbe Finkielkraut), l’evento
che aleggia su tutta la prima
parte del romanzo prende finalmente forma, e la cosa
più inquietante per il lettore è
che, a questo punto, non si
tratta più di un trauma per il
protagonista o per la sua società: è anzi un evento,
(Continua a pagina 7)
UNO SCRITTORE, UN’OPERA, UN’EPOCA
Uno scrittore intellettualmente libero, un romanzo e l’ipotesi della presa di potere dell’Islam in Francia. Come è noto a tutti, al nuovo libro di Michel
Houellebecq è toccato il triste destino di raggiungere la fama non per la
padronanza della lingua e la maestria narrativa del suo Autore, ma per la
strage compiuta da terroristi islamisti presso la redazione del settimanale
satirico Charlie Hebdo il giorno stesso della sua uscita nelle librerie francesi.
PER L’OCCIDENTE
Riflessioni sul rapporto con l’Islam dopo Charlie Hebdo
A proposito di un recente libro
di Luciano Musselli
Aprile 2015 - Numero centoquattro Pagina 7
ancora una volta, assorbito in
una apparente normalità.
MICHEL HOUELLEBECQ
Prima di addentrarci nel
romanzo è opportuno
chiederci chi sia, e quale sensibilità manifesti, l’autore
di un’opera così significativa
per la sua capacità di toccare
i nervi scoperti della nostra
società. A nessuno dice niente il nome
di Michel Thomas, nato
nell’isola della Réunion nel
1956. Houellebecq è infatti il
cognome della nonna
materna dello scrittore. Dopo la crisi coniugale dei genitori,
Michel fu affidato alla nonna
normanna, della quale in
seguito decise di assumere il
nome di famiglia. Il trauma dell’abbandono segnerà il
giovane con un marchio di
infelicità e carenze affettive,
destinate ad accrescersi per
effetto di un lavoro non
gratificante, prima nel campo della sua laurea in agraria e
poi in ambito informatico
(situazioni trasposte in
Estensione del dominio della lotta). Un margine indelebile
di solitudine, di difficoltà relazionale e comunicativa;
stati d’animo che pervadono
sia le sue poesie che i suoi
romanzi. Opere, come si è
detto, che spesso hanno per palcoscenico gli scenari in cui
tali tematiche emergono con
maggiore evidenza: la
metropoli, un futuro prossimo
e al tempo stesso incombente, post-moderno o addirittura
post-umano. Il trauma
dell’abbandono torna
puntualmente anche in
Soumission, dove il narratore
descrive con freddezza e distacco la morte dei suoi
genitori: la sepoltura solitaria
della madre e la sorprendente
scoperta di una seconda vita
del padre, fino ad allora
completamente ignorata. Le difficoltà umane di
Houellebecq, a un certo
punto, sembravano in parte
appianate. Con i lauti
proventi dei suoi primi libri, infatti, egli ha potuto
abbandonare il suo
insoddisfacente lavoro. Esse
riappaiono però bruscamente
a causa di un processo
intentatogli, su istanza di alcune associazioni islamiche
e antirazziste, per una
definizione sprezzante nei
confronti dell’Islam, che lo
scrittore aveva dato in una intervista in occasione della
diffusione del suo romanzo
Plateforme (2001). Anche se
assolto nel merito, lo scrittore
è stato fatto oggetto di ostilità
e minacce (che gli sono valse, anche prima degli eventi del
gennaio scorso, una vita sotto
scorta). Lascia Parigi e vive a
lungo in Irlanda e in Spagna.
Le sue vicende biografiche
entrano così a fare parte, ancora più profondamente,
della sua opera, con raccolte
di riflessioni (La ricerca della felicità) o in visionari racconti.
In Lanzarote Houellebecq fa
di se stesso il protagonista della narrazione; ne La carta e il territorio giunge
addirittura a immaginare e
descrivere il proprio
assassinio da parte di un
personaggio che ha tutta l’aria di rappresentare le sue
ossessioni letterarie e umane.
L’influsso della fantascienza,
secondo un filone che risale a
Howard Phillips Lovecraft (al
quale egli ha dedicato anche un saggio), è evidente nella
sua opera, così come
l’ascendente dei classici
ottocenteschi, che gli ispirano
accuratissime descrizioni, e anche - a mio avviso - quello
di Albert Camus (il Camus de
L’étranger). Nei suoi libri, ormai oggetto di
culto, vanno annoverati
anche componimenti poetici, a ricordare che Houellebecq,
ora tornato (non si sa quanto
stabilmente) a Parigi, inizia la
sua carriera letteraria come
poeta e continua tutt’oggi
lungo questo filone artistico. Nelle sue poesie più recenti si
può cogliere un ripensamento
delle sue tematiche
esistenziali e forse persino un
riavvicinamento alla sensibilità religiosa. Anche
sotto questo profilo, dunque,
il protagonista di Soumission esprime i tratti autobiografici
in fieri del suo
creatore.
IL LIBRO
Il libro qui
presentato, Soumission
(Flammarion
2015, o
Sottomissione,
nella buona
traduzione
italiana edita da Bompiani)
ripete il suo
titolo dal significato letterale
della parola Islam.
Sottomissione morale e
sociale al volere di Allah, in quel caso; sottomissione -
prima ancora che all’Islam - a
una realtà incombente e
annichilente, nel caso della
vicenda raccontata. È la storia di un uomo e della sua
nazione, la Francia, a cavallo
tra il secondo e il terzo
decennio del secolo in cui
viviamo.
Il protagonista di Sottimissione è, come in altri
romanzi di Houellebecq, un
uomo a cui il successo
professionale non ha portato
soddisfazioni durature e che
nella propria vita riconosce essenzialmente un
susseguirsi di vuoti.
Professore universitario di
letteratura francese, François
(si può forse individuare un intento allegorico nella scelta
del nome?) racconta la sua
vicenda umana in un mélange
di apatia, rassegnazione e
indeterminati sussulti di
rigenerazione destinati a cadere nel nulla. La sua
vicenda umana si rapporta in
continuazione con la persona
e l’opera di Joris Karl
Huysmans, lo scrittore
simbolo del decadentismo francese che, alla fine
dell’Ottocento, fece uscire il
romanzo dal solco del verismo
e del naturalismo con À rebours. Il rapporto fra
François e Huysmans, fra lo studioso e l’oggetto del suo
studio, è un tratto ricorrente
del volume e ripercorre in un
elaborato gioco di rimandi il
rapporto fra i due personaggi,
fra le rispettive opere e tra le due società che essi
rappresentano.
All’inizio del romanzo si
descrive la vita del
protagonista, dedito agli studi, al cibo, all’alcool e a
scostanti relazioni sessuali.
Prima studente di lettere alla
Sorbona, poi maître de
conference, grazie alla sua
lodatissima tesi su Huysmans
diviene professore in un’altra
Facoltà parigina. A un certo punto della sua vita appare
Myriam, una giovane e
bellissima ragazza ebrea che
per un poco scuote François
dall’apatia esistenziale. Nel frattempo lo scenario politico
e sociale si trasforma, senza
che nessuno sembri
accorgersene. Si assiste a una
lotta sotterranea tra i fautori
dell’identità francese e gli islamici; l’esito del conflitto
viene suggerito ben presto
dalla crescita progressiva
(come nell’odierna Turchia di
Erdogan) del numero di donne e anche di studentesse
velate. A questo fanno da
contorno avvenimenti strani,
ancora più inquietanti perché
lasciati in sordina da una
tacita e diffusa accettazione: controlli degli accessi alle
aule da parte di islamici, pur
cortesissimi; la progressiva
emigrazione degli ebrei
(un’ipotesi che si limita ad accentuare il processo oggi
realmente in corso in
Francia), compresa la focosa
amante del nostro professore.
Nel frattempo l’estrema destra del Front National sembra
incitare e preparare la guerra
civile contro gli islamici, un
trauma ritenuto ormai
indispensabile per salvare il
potere politico e la laïcité
tramite l’uso dell’esercito, ancora formato da giovani
identitari. La sinistra,
fiaccamente guidata da un
sempre più svuotato e
distante presidente Hollande,
persevera invece nei suoi ritualismi democratici senza
più sostanza o credibilità.
A questi ultimi epigoni della
Quinta repubblica si
contrappone, come si è detto, Mohammed Ben Abbes,
fautore di un modello
islamista dalle sembianze
moderate. Sotto le insegne
(Continua da pagina 6)
(Continua a pagina 8)
Associazione Amici dei Musei Pavesi
L’Associazione Amici dei Musei e Monumenti Pavesi propone per il mese di aprile
le seguenti iniziative culturali:
SABATO 9 MAGGIO - Visita alla mostra “Il Palma. Una prima mondiale”
Bergamo - GAMeC e ai pittori coevi nell’Accademia Carrara
SABATO 16 MAGGIO - PERCORSI IN PAVIA ANTICA: Palazzo Mezzabarba
a cura di Jessica Maffei - Ritrovo in piazza Municipio, ore 10,30
VENERDÌ 22, SABATO 23, DOMENICA 24 MAGGIO - Visita a Trieste e dintorni
Informazioni presso la segreteria di Santa Maria Gualtieri il martedì e il giovedì
dalle ore 16.30 alle ore 18.00 - email: [email protected]
NELLE FOTO - In prima pagina La moschea di Parigi. A pagina 6 in alto Michel Houellebecq ritratto da Filippo Pellini (www.rivistastudio.com); sotto La copertina dell’edizione italiana Sottomissione edita da Bompiani. Qui sopra, a sinistra lo scrittore francese Joris Karl Huysmans (1848-1907);
a destra Bataille de Poitiers di Charles de Steuben (1788-1856). A pagina 8 La copertina del numero di Charlie Hebdo dedicata a Houellebecq.
Pagina 8 Numero centoquattro - Aprile 2015
dell’economia sociale di
mercato e di una transizione ai valori tradizionali
dell’Islam, che promettono di
sanare anche le ferite aperte
del modello di vita occidentale
e secolarizzato, il partito di
Ben Abbes si afferma non soltanto per effetto
dell’accresciuto numero di
elettori mussulmani, ma
anche grazie alla sostanziale
acquiescenza di una società francese che non sembra più
intenzionata a perpetuare il
proprio modello culturale.
I mussulmani, fermati un
millennio prima da Carlo
Martello a Poitier, cercano la loro rivincita. Non a caso il
protagonista, a un certo
punto, compie un viaggio
verso questa città, per
ritrovare gli ultimi brandelli del cattolicesimo medioevale a
Rocamadour. François vive
questa esperienza come un
turista straniero che si rechi
in luoghi remoti e
culturalmente estranei; qui - per ironia, o meglio per quello
che André Breton avrebbe
definito humour nero - attende
in un isolamento quasi
mistico l’annuncio della
vittoria del partito islamico. A un certo punto sembra quasi
che, davanti alla Madonna
Nera, il suo animo venga
toccato dalla conversione, ma
è un tentativo inutile. Malgrado i suoi desideri e i
suoi aneliti, tutto muore,
dentro di lui, come prima di
allora erano morte le relazioni
sentimentali e i rapporti
umani con amici e colleghi. Nel frattempo gli islamisti
occupano silenziosamente le
periferie, per poi insediarsi,
nel pieno rispetto della
legalità formale, al potere. All’elezione segue il silenzio.
Nulla sembra più accadere e,
plasticamente, pare che cali
una cortina di ferro tra il
presente e l’immediato
passato. François coglie il primo segno
delle mutate condizioni
soltanto quando riceve dalla
sua Università una proposta
di congedo, in quanto non mussulmano, con condizioni
favorevolissime. Tornato a
Parigi, si vede poi affidare la
cura dell’edizione critica
dell’opera di Huysmans per la celebre collana Pléiades, che
gli viene dal nuovo rettore
della Sorbona. L’Università
erede della tradizione
cristiana e medievale ora è
stata simbolicamente
trasformata nella prima università islamica di Francia
per volontà dello stesso Ben
Abbes. Il rettore Rédiger,
convertito all’Islam e fornito
perciò di una splendida casa
e di giovanissime mogli, propone a François una
cattedra, con altissimo
stipendio e ogni altro benefit di rango riconosciuto dalla
nuova religione della République, con giovani mogli
annesse.
L’atto di sottomissione del
protagonista, all’esito di una
narrazione ancora più
sconvolgente proprio in quanto condotta con distacco,
a questo punto non risulta
più essere né un gesto
spontaneo né un gesto
coartato. È solo un atto di
rassegnazione completa, un’abdicazione liberatoria che
tuttavia ha il prezzo della
rinuncia a se stessi. Una
rinuncia tanto meno gravosa, in realtà, proprio in quanto
ciò che richiede è di lasciare
una esistenza poco o nulla
definita, slegata da affetti,
convinzioni morali o etiche.
Quello che il protagonista ottiene in cambio della
rinuncia a intrattenere
relazioni irregolari con le
studentesse - che poi
puntualmente lo lasciavano quando «incontravano
qualcuno» - è una situazione economicamente e
affettivamente solida; giovani
donne che si sentiranno
onorate di dividere il suo
letto; la stima della comunità di riferimento; un aiuto, in
fondo, a costruire su basi
estrinseche quell’amore di sé
che fino a quel momento egli
si era negato o non era stato
capace di raggiungere. Gli si offre, insomma, la chance d’une deuxième vite, sans grand rapport avec la précédente. François
commenta, laconico: Je n’aurais rien à regretter. Così si conclude, con l’abbandono dell’ultima larva
dell’ideale laico di vita, ridotto
a consumismo e solitudine, il
libro tutto centrato sulla
Francia e su Parigi. Una visuale alla francese, come è
stato ben notato da Gian
Arturo Ferrari, come se
null’altro di veramente
importante esistesse al
mondo oltre alle peculiarità della sfera etica e sociale
d’Oltralpe. Ma sono
osservazioni che non
scalfiscono l’importanza allegorica dell’opera. L’Europa
fa da contorno alla vicenda ed
è pronta a seguire l’esempio
della sua prima nazione,
come già fece al tempo di
Napoleone (ed è, questa del mutamento epocale che taglia
le radici con il passato,
un’idea che Houellebecq
aveva già esposto nel
preambolo a Le particelle elementari). Ben Abbes,
infatti, si intravede già come il nuovo imperatore; fa entrare
nell’Unione Europea non solo
la Turchia ma anche Algeria,
Tunisia ed Egitto. È il futuro
di un’Euroarabia che fonde in
sé, nella visione dello scaltro presidente, i fasti dell’Impero
Romano e la rivelazione
dell’Islam.
SOUMISSION
LA REALTÀ FRANCESE E I VALORI DELL’EUROPA
Fin qui l’autore e il suo libro.
Ma che rapporto ha
quest’opera con la realtà francese di oggi?
Se si assume come punto di
vista quello dell’ordinamento
giuridico, direi piuttosto poco.
La Francia è il primo Paese
che, nel 2004, ha proibito alle studentesse islamiche di
portare il velo a scuola, così
come in generale altri “segni
religiosi ostensivi”. Nel 2010
ha inoltre posto in essere il generale divieto di indossare
il velo integrale, anche se
l’applicazione di questo
secondo divieto non ha avuto
sempre vita facile. Il già ricordato libro di Finkielkraut
spiega con ricchezza di
argomentazioni filosofiche e
sociali il significato centrale di
questi provvedimenti.
Dal punto di vista sociale, le cose si fanno più sfumate. Sia
la moschea di Parigi, con il
suo storico rettore Danil
Boubaker, che il Conseil du Culte Musulman hanno
condannato senza mezzi
termini l’attacco a Charlie Ebdo. Tuttavia la stampa
francese ha riportato molti
casi di alunni di origine
mussulmana che, nei temi e
nelle discussioni in classe,
hanno difeso apertamente la
strage e i suoi autori. Da un lato si è trovato il coraggio, si
spera non effimero, di
stampare il numero
successivo del settimanale in
milioni di copie, di fronte a una strage che ha assunto
una valenza censoria di una
violenza e di una gravità con
pochi precedenti nella storia.
Dall’altro lato, la
manifestazione indetta a Parigi a favore della libertà e
della laicità rimarrà un
episodio importante, ma non
sembra avere indotto una
concreta volontà di rivisitare le politiche delle nazioni
europee nei confronti dei
fenomeni di estremismo
religioso. La destra nazionale,
che con un gesto di debolezza
e divisione si è deciso di lasciare fuori dalla
manifestazione del “fronte
repubblicano”, si spinge
invece a concepire apertis verbis la réimmigration, vale a
dire la pratica di rinviare nei
Paesi d’origine gli immigrati
non intenzionati a integrarsi
pienamente nel tessuto
sociale ospitante. Una
soluzione oggi adottata solo in caso di comportamenti
socialmente gravi, nei
confronti di soggetti sospettati
di terrorismo o in caso di
persistenza nella coabitazione poligamica.
La strage di Parigi ha avuto
un effetto di rilievo anche
negli ambienti liberal-radicali
che si richiamano al retaggio
dell’illuminismo, ponendo in maggior rilievo anche presso
tali studiosi e opinionisti la
necessità di tutelare i valori
repubblicani a livello del
dibattito pubblico e della coscienza sociale, pur senza
usare necessariamente leggi o
mezzi straordinari.
Nell’interpretazione di altri
autori, orientati a destra, la
strage e gli altri recenti attentati sarebbero la prova
eclatante di una strategia di
destabilizzazione messa in
atto per assoggettare la
Francia e l’Occidente in generale all’Islam.
Un’operazione colposamente
facilitata dalla politica
terzomondista e
autolesionista delle sinistre e
dei liberal-radicali, colpevoli di un “tradimento” della
République e della svendita
dei suoi valori fondativi.
Soumission si è inserito con la
perentorietà dell’atto artistico
in questo dibattito. Sia la stampa francese che
quella straniera, e italiana in
particolare, riconoscono ad
Houellebecq il merito di aver
messo il dito sulla piaga e di
aver ribadito una verità evidente ma così scomoda da
venire spesso rimossa dalla
coscienza collettiva: che il
modello di civilisation
francese non funziona più,
nel senso che ha cessato di comunicare i valori
occidentali e illuministici agli
immigrati, in particolare a
quelli di fede islamica.
Soprattutto nelle periferie, dove queste comunità
formano ormai un corpo
sociale distinto e ostile (lo
dimostrano ormai dieci anni
di recrudescenze periodiche delle sommosse nelle banlieu con slogan islamisti), pronto
nelle sue frange più
estremizzanti a lanciarsi in
imprese all’estero o anche
all’interno del Paese.
Il volume di Houellebecq, in questo senso, più che una
descrizione dell’inevitabile è
una provocazione bellissima e
salutare. È un messaggio
forte, che ci invita a
riappropriarci di valori, quelli dei diritti umani e
fondamentali, che oggi
soffrono proprio a causa della
tendenza ad abusarne e a
darli per scontati. Per la loro tutela, dunque, vi è bisogno
di un risveglio di
consapevolezza e della
testimonianza forte, anche
sul piano del diritto e delle
istituzioni, di chi in questi valori intensamente crede, sia
egli di impostazione religiosa,
agnostica oppure atea.
Luciano Musselli
(Continua da pagina 7)