le cicale

66

Upload: kurumuny

Post on 12-Mar-2016

244 views

Category:

Documents


4 download

DESCRIPTION

Oggi, la musica popolare perde quei connotati politici, per adattarsi ai canoni imposti dal terzo millennio ma queste voci possenti, rauche, cristalline costituiscono un esempio importante per la memoria collettiva.

TRANSCRIPT

Page 1: Le cicale
Page 2: Le cicale

VOCI SUONI E RITMI DELLA TRADIZIONECollana di musica salentina diretta da Luigi Chiriatti

Page 3: Le cicale
Page 4: Le cicale

KURUMUNY

a cura diLuigi Lezzi

CANTI SALENTINI DI TRADIZIONE ORALE

Page 5: Le cicale

Edizioni KurumunySede legale:Via Palermo n°13Tel. e Fax 0832.87539873021 Calimera – Leon line: www.kurumuny.itmail to: [email protected] 978-88-95161-05-1

Si ringraziano:Prof. Anna Merendino (Istituto Storia delle Tradizioni Popolari – Universitàdegli Studi di Lecce), Giovanni Chessa (Istituto Ernesto de Martino)

Progetto grafico: Erik Chilly

Provincia di Lecce

Comuni di:Alessano

CutrofianoMelpignano

Sternatia

© Edizioni Kurumuny – 2007

Page 6: Le cicale

Indice

Avvertenza p. 7di Luigi Chiriatti

Le Cicale e il canto salentino p. 11a para uce

Il canto a para uce p. 15Per un’analisi formaleLa melodiaL’armoniaIl ritmoIl timbro

La provenienza del materiale p. 25

I canti p. 33

Album fotografico p. 59di Raffaele Palermo

Page 7: Le cicale
Page 8: Le cicale

Avvertenza

Questa ulteriore raccolta di brani della musica tradizio-nale salentina testimonia, ancora una volta, che in ognicomunità esistono persone che più di altre ricordano; con-servano un particolare legame con la storia del territorio,con i suoi simboli, i suoi segni, le sue sonorità.

I personaggi e i canti di questa raccolta, per nostra fortu-na salvati dall’oblio definitivo, rappresentano solo una pic-colissima parte di ciò che il territorio conserva e ricorda.

Le poche note che seguono non pretendono assoluta-mente di essere esaustive delle emozioni che i canti quieseguiti possono trasmettere, ma servono solo a ricordare ea farci prendere coscienza e conoscenza della ricchezza edella bellezza che ci circonda e che il più delle volte oignoriamo o ci hanno insegnato a ignorare.

Sin da bambino sono stato abituato al canto salentino esoprattutto a quello a para uce. Più persone riunite nellecase o sulle aie, a un certo punto, si mettono a cantare. C’èsempre qualcuno che dice: comuncia ca nui te secutamu(comincia che noi ti seguiamo). Allora si alzano le voci: laprima, la seconda, la contro voce, i bassi, tanti bassi, natu-rale tappeto sonoro su cui tutte le altre voci si poggiano, siintarsiano e merlettano il canto così come i licheni e imuschi fanno con le pietre dei muretti a secco, disegnanotrame immaginarie e senza orizzonte.

7

Page 9: Le cicale

Paesaggi sonori di rara bellezza e bravura che traccianoun immaginario collettivo di dignità alla vita, che permet-te a tutti, anche ai più umili, di accedere alle categorie delbello, delle emozioni.

Prendere i suoni, fra queste voci – come dicevano letarantate quando si muovevano tra i musici dell’orchestrinaterapeutica – significa aprire il corpo, la mente e farsi qama-re da queste: voci addestrate al canto nel rispetto dei ruoli.

Cantori coscienti di possedere pienamente la grammati-ca del canto salentino e le sue infinite sfumature.Grammatica che è la sintesi di infiniti cantori che nel corsodella loro esistenza e di quella di altri e altri ancora hannoassimilato, personalizzato, fatta propria e tramandato digenerazione in generazione.

Cantare a para uce significa avere i canoni di tutta lapoesia popolare; non solo una bella voce. Quando si ascol-tano questi canti, e i cantori sono bravi, come nei brani pro-posti, senti la nonna che ti ninna mentre poggi la testa sulsuo grembiule, e non è più canto ma cuntu. Senti lu rusciudel mare, e non è più musica ma panorama di principi e ree regine di Spagna e Turchia. Sono i culacchi e gli aneddo-ti del monaco, figura archetipica e presente da sempre nellenostre comunità. Sono le passioni, gli amori e le ansie dellaquotidianità.

Quando prendi questi suoni, vedi questi cantori, vedi iloro volti, vedi i loro corpi. Volti e corpi come quelli rac-colti da Alan Lomax nel 1954 o come quelli ritratti daClara Longhini e Gianni Bosio nel 1968.

8

Page 10: Le cicale

Corpi e volti che ci permettono ancora di emozionarci edi stupirci.

Come le cicale che per un breve periodo dell’anno cistupiscono e ci avvolgono nelle loro sonorità così naturalie simili alla struttura del canto a para uce salentino: primavoce, contro voce, bassi, tanti bassi.

Luigi Chiriatti

9

Page 11: Le cicale
Page 12: Le cicale

Le Cicale e il canto salentino a para uce

Intorno al solstizio d’estate, ogni anno, nel Salentotorna il canto d’amore delle cicale. È un suono continuo,che si interrompe per qualche ora durante le notti più brevidell’anno e si arresta completamente solo quando tutte lecicale si sono accoppiate. Per circa un mese e mezzo incittà come in campagna, lungo le strade trafficate comelungo i litorali solitari, nessuno può fare a meno di ascol-tare questo continuo tappeto sonoro che fa da sottofondo atutte le attività umane, condizionandole forse in qualchemodo.

Uno stile di canto salentino, come quello che qui siprende in considerazione, presenta diverse analogie con ilverso di quest’animale, canoro per eccellenza. Se si accet-ta per gioco questa relazione, senza pretendere che questogioco rappresenti una verità scientifica, se ne ricavanodiverse suggestioni basate su alcune caratteristiche comu-ni ai due fenomeni, alla loro forma e al loro contenuto. Inentrambi i casi, per esempio, è l’amore (inteso prosaica-mente come attrazione fisica, come naturale tendenzaall’accoppiamento) a determinare l’azione del canto che,altrimenti visto, può essere considerato solo un inutilespreco di energie. Così gli uomini come le cicale dedicanoparticolare impegno a questo dispendio energetico che si

11

Page 13: Le cicale

manifesta nell’eccezionale intensità con cui viene prodottoil suono. Il canto a para uce si esegue nei campi dove silavora e deve avere un volume tanto forte da poter essereascoltato anche nei fondi vicini; quello delle cicale è pro-verbialmente così esasperato che, si pensa tradizionalmen-te, possa provocare la morte dell’animale. C’è un prover-bio salentino che recita la cecala canta canta e poi schiat-ta, (la cicala, a furia di cantare tanto forte, finisce per cre-pare). L’alto volume utilizzato fa pensare, in entrambi icasi, a una specie di gara fra tutti i componenti del coro,come se il singolo individuo esprimesse, in tal modo, lavoglia di emergere dall’anonimato collettivo per proporsinella sua unicità al destinatario del canto. Sia per le cicaleche per i cantori salentini, l’attacco, cioè il segnale di avvioper tutto il gruppo, è dato da un solo esecutore che gradual-mente viene accompagnato dal resto del coro. In entrambii casi, inoltre, si rileva la stessa concezione molto partico-lare del ritmo, di cui diremo meglio più in avanti, e chevedremo essere sostanzialmente diversa da quella che sipuò riscontrare generalmente nelle esecuzioni musicali.Persino il timbro della voce che è richiesto al cantoresalentino per esprimersi appropriatamente nel canto a parauce, sembra voler imitare quello delle cicale: specialmentenelle voci maschili tende intenzionalmente a rompersi e agracchiare, ponendosi agli antipodi della voce cristallinaadatta invece al bel canto. A un ascolto attento si noterà chequella timbrica, propria dei cori delle cicale, affiora anchenei battimenti che inevitabilmente si generano nell’esecu-

12

Page 14: Le cicale

zione delle note lunghe e conclusive del canto a para uce.Si fa riferimento a quelle dissonanze più o meno intenzio-nali dovute ai microintervalli fra note che dovrebbero esse-re all’unisono perfetto e che invece oscillano impercettibil-mente nella loro altezza.

13

Page 15: Le cicale
Page 16: Le cicale

Il canto a para uce

L’espressione salentina cantare a para uce significa pro-priamente cantare a voci unite, cioè cercando di ottenereun effetto di fusione tra varie voci che concorrono all’ese-cuzione. Si tratta quindi di un canto corale eseguito con lesole voci, senza alcun accompagnamento strumentale.Questo perché tale stile canoro ha luogo generalmentedurante i lavori collettivi come la raccolta o la trasforma-zione dei prodotti agricoli, attività che richiedono natural-mente l’uso delle mani, e che quindi escludono l’impiegodi strumenti musicali. I canti a para uce ottengono unrisultato ottimale quando sono eseguiti da gruppi di canto-ri appartenenti a entrambi i sessi: le voci maschili e quellefemminili, nei ruoli tradizionalmente ad esse assegnatimirano a ottenere, in questo modo, un senso di stabilitàarmonica e di completezza sonora. Tuttavia non è raroascoltare anche esecuzioni di gruppi di persone apparte-nenti tutte allo stesso sesso.

15

Page 17: Le cicale

Per un’analisi formale

«Ai fini dell’indagine culturale e antropologica, il modo di emis-sione, il timbro e la particolare animazione del canto primitivo e popo-lare sono spesso più interessanti ed essenziali delle melodie stesse».

Diego Carpitella

Prenderemo in esame separatamente le diverse caratte-ristiche di melodia, armonia, ritmo e timbro relativi a que-sto modo di cantare salentino.

La melodia

In genere è costituita da tre linee melodiche che, unavolta attribuite a tre sottogruppi, restano a loro assegnateper tutto lo sviluppo del brano.

Il canto è iniziato sempre da un solo esecutore che – sidice – ‘ttacca (attacca), cioè espone il tema e se ne assume,in qualche modo, la direzione. Nell’attaccare, infatti, è l’e-secuotre che individua e indica agli altri cantori il branostesso, la tonalità, la velocità di esecuzione e, soprattutto,l’ambito modale in cui si muoverà.

Ci soffermeremo particolarmente su quest’ultimo aspet-to musicale che è di fondamentale importanza nel tratta-mento della musica popolare e di quella etnica. Trattandosidi un argomento poco noto a chi possiede solo un’alfabe-tizzazione musicale di base, sarà opportuno chiarire in una

16

Page 18: Le cicale

piccola digressione che cosa s’intende per ambito modale. In musica il termine modo non rappresenta un sinonimo

di maniera, ma ha un suo significato tecnico ed è, invece,sinonimo di modalità. Scegliere un modo per cantare o persuonare vuol dire dichiarare di attenersi a una particolaredisposizione degli intervalli fra i diversi gradi della scalautilizzata. Oggi la musica colta contempla sostanzialmentesolo l’uso di due modalità fra le tante possibili e sono quel-le che si indicano appunto con le espressioni “modo mag-giore” e “modo minore”. Le musiche etniche in generale e,per quello che ci riguarda, la musica salentina, possonosvilupparsi anche in altri ambiti modali, utilizzando scalediverse da queste due che sono le più diffuse. In particola-re, nei canti che qui vengono riportati, compare anche unaltro modo musicale che non è presente né nell’ambitomusicale colto né nella musica sacra. Si tratta di un modoche si riscontra anche in altre aree del Meridione d’Italia,corrispondente a uno dei numerosi modi riportati nelleclassificazioni antiche e medievali, oggi non più in uso.Semplificando, può essere definito come una scala mag-giore che presenta il quarto grado aumentato di un semito-no. Detto altrimenti, si può anche definire come il modo difa perché può essere ricavato dal rapporto che hanno i varigradi della scala nell’ottava compresa tra due note fa, pro-cedendo in maniera diatonica, cioè considerando i soli tastibianchi del pianoforte. In questo modo si avrà una scalacostituita da sette note che procedono tutte per toni interi(due semitoni), tranne che per gli intervalli che sussistono

17

Page 19: Le cicale

fra il quarto e quinto grado e il settimo e ottavo grado. Taliintervalli sono, invece, di un solo semitono. Il semitono è,nella scala temperata, la distanza minima fra due note.

Mettendo accanto un modo di do (corrispondente allamoderna scala maggiore) e un modo di fa si può notarechiaramente la differenza fra le due organizzazioni disuoni, che consiste nella diversa posizione in cui si trova-no i due semitoni:

Nella classificazione medievale il modo di fa vienedenominato come “terzo modo autentico” o anche “modolidio”. Per comodità, nell’analisi dei singoli brani, anchenoi lo continueremo a indicare con tale nome, senza tutta-via presupporre in alcun modo una diretta derivazione sto-rica del modo salentino da quello gregoriano che avevapropriamente questo nome.

La voce che attacca si assume, come dicevamo, ancheun ruolo di responsabilità per la riuscita dell’intera esecu-zione guidando anche gli interventi altrui, approvandoli odisapprovandoli per mezzo di inequivocabili segnali, spes-so non verbali.

18

Gradi della scala

I II III IV V VI VII VIII

Note DO RE MI FA SOL LA SI DOPosizione dei semitoni

I II III IV V VI VII VIII

FA SOL LA SI DO RE MI FA

Page 20: Le cicale

Una seconda voce che, si dice, la gira, risponde a que-sta prima voce di attacco. La gira implica una ripetizione,con piccole variazioni, dell’esposizione sia testuale chemelodica eseguita dalla prima voce.

Un numero variabile di altre voci, all’unisono, parteci-pano al canto con il ruolo di bordone, cioè di tappeto sono-ro. Tale ruolo, nel Salento, viene denominato bassu e segueuna melodia elementare costituita da due sole note, la toni-ca e la dominante dell’ambito modale scelto.

Il numero limitato degli esecutori che hanno preso partealle registrazioni che presentiamo, ha portato spesso allariduzione a uno, a due o a tre, degli elementi che sostengo-no la linea del bassu. Tuttavia in molte altre esperienze diascolto e di registrazione abbiamo potuto rilevare, in que-sto ruolo, anche diverse decine di elementi. Questo è ilruolo riservato a tutti; anche colui che non possiede parti-colari doti vocali (di timbro, di estensione o di potenza), oche addirittura non conosce il testo della canzone che vieneeseguita, può partecipare all’esecuzione lanciandosi, comesi dice, a fare da basso.

I tre ruoli sono quindi denominati propriamente conquesta fraseologia: Jèu ‘ttaccu, tìe la giri e tutti l’àuri semìnanu e fànnu te bassu, (io comincio, tu mi rispondi etutti gli altri si lanciano a fare il basso).

19

Page 21: Le cicale

L’armonia

Da un punto di vista armonico questo genere musicaleprocede in maniera analoga a gran parte della musica colta especialmente chiesastica, cioè per sovrapposizione di terze.

Non c’è modo di sapere se c’è stata, indietro nel tempo,una tradizione armonica diversa, specifica di questa musi-ca regionale e popolare. Gli esempi più antichi che cono-sciamo attestano anch’essi la sovrapposizione delle terzema, trattandosi di documenti scritti, sono certamente filtra-ti da un’interpretazione colta (chi sa scrivere è colto) equindi vanno considerati con le dovute riserve.L’andamento per terze sovrapposte di cui parliamo vienead assumere un particolare colore locale quando le lineemelodiche si muovono nel modo lidio di cui si parlavaprima, creando intervalli verticali eccedenti o diminuitirispetto a quelli che il nostro orecchio, educato ai modimaggiore e minore, si aspetterebbe.

Il ritmo

La nostra proposta di paragonare il canto a para uce aquello delle cicale ha preso il via proprio da alcune osser-vazioni sul trattamento del ritmo che si nota in questo stiledi canto salentino. Diversamente da quello che accadenella maggior parte delle esecuzioni musicali, nel canto apara uce, come in quello delle cicale, viene messo da parte

20

Page 22: Le cicale

il rigido rispetto della divisione metronomica del tempo,anche se è evidente che tutti i cantori obbediscono a unaqualche legge ritmica di una natura più complessa. Siavverte immediatamente l’impossibilità di suddividere ilbrano in battute tutte dello stesso tipo, fatte di un ugualenumero di tempi, a loro volta tutti della stessa durata, comesi può fare normalmente nell’analisi di un brano musicale.Qui non risulta di particolare utilità tentare di definire l’al-goritmo sotteso a questo modo anomalo di scandire ladurata dei suoni, e quindi ci limiteremo solo a fare alcuneconsiderazioni generali su questo fatto e a sottolineare ilfascino di questa curiosa analogia. Rimarcheremo, ancorauna volta, la sostanziale differenza che sussiste fra questomodo di fare musica e il trattamento del ritmo che caratte-rizza, invece, la musica colta.

La maniera di considerare l’aspetto ritmico di una cul-tura deriva anche dalla particolare visione del mondo chetale cultura esprime. La scansione ritmica della musicarimanda infatti, in ultima analisi, alla concezione deltempo elaborata da un soggetto culturale. La comunitàsalentina, nel caso del canto a para uce, mostra di nonvolersi assoggettare a una scansione esterna del tempo,imposta da un metronomo, ma di voler dominare questacategoria del pensiero per gestirlo con particolare disinvol-tura. Di conseguenza la musica occidentale modernamostra, attraverso la concezione del ritmo che esprime,un’eccessiva subordinazione rispetto alla stessa categoriatemporale, dando luogo a ritmi spesso eccessivamente

21

Page 23: Le cicale

banali e semplici. Questo fenomeno denuncia una forma difobia rispetto alla categoria del tempo che non si avverte,invece, in ambito etnico. Facendo un discorso generale sipuò dire che le musiche etniche si avventurano spessonella gestione di moduli ritmici molto più articolati e com-plessi rispetto alla musica colta euro-occidentale. Si pensial largo impiego di tempi dispari che si fa nella musica bal-canica (combinazioni varie, anche nello stesso brano, ditempi suddivisi in battute di 5/8, 7/8, 9/8, 5/4…), o allapoliritmia che si rileva in molta della musica africana.

Tornando al genere musicale salentino che stiamo pren-dendo in considerazione, si dirà che in esso il tempo sem-bra assoggettato alle esigenze espressive degli esecutori.Per questa sua caratteristica il canto a para uce appartienea quella categoria di canti monodici e corali che si denomi-nano alla distìsa, cioè eseguiti in maniera distesa, non rigi-da. Distendere il tempo vuol dire allargarlo o stringerlo aproprio piacimento, a mo’ di un mantice di fisarmonica,costringendolo ad assecondare le necessità di respirazionedel cantore o alcune sue particolari intenzioni espressivesottese ai vari momenti dell’esecuzione.

Da questo fatto deriva anche, per inciso, l’impossibilitàdi trascrivere il ritmo di questi brani servendosi della gra-fia musicale colta, cioè per mezzo delle figure di durata odi pausa di cui questa dispone, se non facendo ricorso a uncontinuo e paradossale uso di punti coronati o di altri segnidi eccezione.

22

Page 24: Le cicale

Il timbro

È quasi impossibile, oggi, rieseguire in maniera corret-ta i canti a para uce, soprattutto per la particolare qualitàtimbrica posseduta dai cantori tradizionali, difficili da imi-tare da esecutori moderni.

Il timbro vocale deriva infatti da molti fattori ambienta-li, alcuni dei quali oggi sono cambiati in maniera radicale.L’accostamento delle voci salentine a quella delle cicale,per esempio, è suggerito anche dalla ricerca di una sorta digracidio nel timbro delle voci maschili. Questa caratteristi-ca vocale è il risultato di una serie di elementi che caratte-rizzano la conduzione generale della vita come la partico-lare alimentazione, il rispetto di determinati orari nellascansione del sonno e della veglia o il tipo di stress fisicoa cui si è sottoposti. Tutti questi fattori determinano, assie-me ad altri, la costruzione di un timbro vocale particolare,che ci consente di situare nello spazio e nel tempo una voceche parla o che canta. Stiamo parlando di un timbro che,specie nelle voci maschili, è il risultato anche del tipo ditabacco fumato, spesso autoprodotto e malconservato, equindi di una cronica affezione bronchiale aggravata dallaparticolare umidità degli ambienti di vita e di lavoro. Neicanti della nostra raccolta questa mancanza di limpidezzae di pulizia della voce, lungi dall’essere dissimulata, sem-bra invece ricercata e utilizzata, in funzione espressiva.Siccome alle voci maschili compete di solito il ruolo dibordone l’enfatizzazione di questa opacità timbrica dissi-

23

Page 25: Le cicale

mula volontariamente la voce umana per imitare quasi unostrumento musicale, segnatamente uno strumento ad anciadoppia come potrebbero essere le canne di una zampogna.Ad aumentare quest’effetto concorrono anche i risuonatoriutilizzati che sono quelli dell’area della gola e del petto.

Le voci femminili, invece, tendono al timbro cristallino epenetrante, ottenuto facendo spesso ricorso ai risuonatori piùalti, quelli della testa. Sono queste che, nelle note lungheconclusive di ciascuna strofa, generano i battimenti e gli stri-dii ritmici che abbiamo associato al canto delle cicale.

24

Page 26: Le cicale

La provenienza del materiale

Nonostante la conclamata approvazione di cui gode, inquesti tempi, la musica popolare salentina va detto che laricerca etnomusicale nel Salento non ha mai avuto un’im-postazione sistematica né si è mai attenuta a una qualcheseria metodologia di indagine. Se si escludono quellepoche registrazioni eseguite professionalmente agli alboridell’etnomusicologia italiana da Alan Lomax e da DiegoCarpitella, per il resto esistono solo isolate incursioni nelterritorio della musica popolare da parte di altrettanto iso-lati volontari.

Una parentesi fortunata, durante la quale si è recupera-ta una consistente mole di materiale, è stata quella deldecennio degli anni ’70. I protagonisti del Movimentopolitico e culturale di quegli anni teorizzavano esplicita-mente la necessità della riscoperta e della valorizzazionedel patrimonio culturale delle classi subalterne come argo-mento da contrapporre all’egemonia storica della culturaborghese. Le diverse pratiche nelle quali si esprimeva l’at-tivismo della lotta di classe di quegli anni comprendevanoinfatti anche la riappropriazione della musica popolare.Bisognava recuperarla e diffonderla come strumento capa-ce di arginare il potere alienante della musica borghese. Sista usando di proposito una terminologia che rimandadirettamente a quel momento storico e sociale, che oggi

25

Page 27: Le cicale

potrebbe sembrare esageratamente propagandistica, ma cheallora era assolutamente corrente e costituiva il linguaggiospecifico del Movimento. La si richiama nel tentativo di farcalare il lettore odierno in un clima oramai ampiamente sto-ricizzato ma che è stato determinante per le condizioni diquella stagione di ricerca etnografica.

Infatti fu proprio con questi obiettivi, indissolubilmentepolitici e culturali, che anch’io, allora molto giovane,cominciai a interessarmi al settore della ricerca della musi-ca popolare nel territorio salentino. Stimolato da alcuniintellettuali interni al Movimento che esercitavano su dime una forte influenza (personaggi del calibro di RinaDurante, Giovanna Marini o Joyce Lussu), dedicai le miecapacità e le mie energie intellettuali a questa operazioneche ritenevo assolutamente necessaria ai fini del riscattoculturale e sociale della classe.

Come è noto, tutti gli aspetti della cultura popolare sta-vano allora per essere sommersi dall’onda grossa del con-sumismo e del capitalismo che metteva le sue radici ancheda noi e si presentava con la faccia della modernità daseguire e da idolatrare. In particolare nell’ambito musicalela cosiddetta canzonetta, attraverso la radio, la televisione el’industria discografica, s’insinuava subdolamente in tuttigli ambienti sociali (anche e soprattutto in quelli popolari)sostituendosi ai vari stili musicali e canori della tradizioneorale. Testi, ritmi, scale e armonie dei canti popolari perde-vano gradualmente la loro specificità e si trasformavanosotto l’influsso di questo vero e proprio tsunami.

26

Page 28: Le cicale

Va specificato che spesso (come nel mio caso) il lavorodi ricerca non veniva concepito come uno studio astratto dietnomusicologia ma si conduceva con uno scopo pratico eimmediato: realizzare rapidamente un repertorio che, ese-guito insieme alle canzoni di lotta, permettesse a un grup-po musicale di esibirsi durante le manifestazioni di piazzadel Movimento per corroborarne le istanze. Ricalcando leorme del più noto Canzoniere Italiano, queste formazionisi chiamavano spesso anch’esse Canzonieri. Nello specifi-co, il gruppo musicale in cui io militavo prese il nome diNuovo Canzoniere del Salento.

Va altresì aggiunto che in quel contesto gli organi istitu-zionalmente preposti alla tutela del patrimonio etnografico(come i musei o le biblioteche) non presero in considera-zione il lavoro di ricerca condotto dai militanti della conte-stazione. Né poteva essere altrimenti perché, occorre ricor-darlo, le due parti si trovavano effettivamente (e non solometaforicamente) nei versanti opposti della barricata.Ricordiamo anche che in quel momento di grandi tensionie rumori sociali erano proprio le istituzioni l’obiettivodella lotta del Movimento che non si limitava a criticarleaspramente ma tentava anche di occuparle e di attaccarlenel loro operato. Le istituzioni, dal canto loro, si arrocca-vano in posizioni difensive e sclerotiche, in ossequio a unalogica manicheistica che oggi nessuno più condividerebbe.Stando così le cose si capisce bene che non poteva esserciassolutamente dialogo fra le due parti e, di fatto, in defini-tiva, non c’era assolutamente spazio per una collaborazioneche, probabilmente, nel settore della musica popolare,

27

Page 29: Le cicale

avrebbe potuto dar luogo a una più organica operazione direcupero e all’avvio di un’archiviazione dei materiali.

Sorprende comunque che ancora oggi non si sia dotatoil territorio salentino (che pur vanta una sua ricchezza infatto di memoria storica, sociale e culturale) di strumentianaloghi a quelli di altre aree che, pur avendo avuto un ini-zio della ricerca negli stessi frangenti di lotta e di contesta-zione, hanno comunque provveduto a sviluppare per temposerie strutture dedicate alla corretta conservazione e all’ar-chiviazione dei materiali. Ci riferiamo, per esempio,all’Archivio di Etnografia e Storia Sociale della RegioneLombardia, suddiviso in Archivio della ComunicazioneOrale (A.C.O.) e Archivio delle Immagini (A.Im.). In que-sto caso (ma è solo un esempio) il lavoro del militante-ricercatore Bruno Pianta, sostenuto dalle risorse delle isti-tuzioni preposte, ha fatto sì che i recuperi operati nellamemoria dell’area padana trovassero un essenziale puntodi riferimento per la loro valorizzazione e per la loro con-sultazione.

Tornando alla nostra situazione, si deve però dire che inquel generale contesto di irrigidimento tuttavia non mancò,per fortuna, l’elasticità di qualcuno che, trovandosi a occu-pare un ruolo di responsabilità all’interno delle istituzioni,fece il possibile per non disperdere del tutto le energie cheerano state dedicate alla ricerca sul campo da parte delMovimento. L’Istituto di Storia delle Tradizioni Popolaridell’Università di Lecce, nella fattispecie, si mostrò capa-ce di superare i pregiudizi e, nel 1976, chiamò me, fresco

28

Page 30: Le cicale

di laurea, a collaborare con l’insegnamento. In questoruolo mi feci promotore subito dell’acquisto di due regi-stratori audio portatili e di un apparecchio fotografico. Glistudenti furono largamente incoraggiati a utilizzare questimezzi a supporto del loro percorso didattico e continuaro-no a farlo, naturalmente, anche dopo la fine della mia col-laborazione formale con l’Istituto.

Per evitare i rischi di deterioramento connessi al tipo disupporto utilizzato (le audiocassette non mantengono alungo il loro strato magnetico e risentono degli choc termi-ci e dei salti nel tasso di umidità dell’ambiente), di recen-te, su invito dello stesso Istituto di Storia delle TradizioniPopolari, ho provveduto con i miei mezzi a digitalizzarneil contenuto e a trasferirlo su un supporto più stabile.

Poiché risalgono agli anni ’70 e ’80, questi materialihanno oramai acquisito un indubbio interesse tanto per iloro contenuti, quanto per la lingua con cui questi vengonoesposti (un dialetto per molti aspetti molto diverso da quel-lo odierno).

La presente pubblicazione attinge da questo archivio esi auspica la rivalutazione generale di tutto il materiale checomprende canti, descrizioni di pratiche rituali, racconti ealtre divagazioni della memoria degli intervistati.

Sull’onda dell’interesse anche non specialistico sortointorno alla musica salentina, ho isolato alcune registrazio-ni raccolte da me e da altri (studenti allo stato attuale ano-nimi, che qui si ringraziano accanto agli esecutori purtrop-po altrettanto anonimi). Si tratta di brani musicali ricondu-

29

Page 31: Le cicale

cibili a un genere che, con la terminologia locale, si deno-mina a para uce. Opportunamente ripuliti dai disturbidovuti alle condizioni e ai mezzi di registrazione (click,pop, humm, hiss, …) e di quant’altro li rendeva ostici allacomprensione e all’ascolto, vengono qui presentati e messia disposizione per la consultazione. Mi scuso per non averpotuto rimediare ad alcuni difetti irreversibili come la fre-quente saturazione del segnale e la presenza di rumori didisturbo nella stanza in cui avveniva la registrazione.

Questi documenti sono registrati con molti limiti tecni-ci. Il ricercatore non è un tecnico della registrazione, è solouno studente che si presenta agli intervistati con l’avallo diun suo familiare oppure di qualche intermediario che godedella loro fiducia. Generalmente sono state usate apparec-chiature di registrazione e microfoni di bassa qualità. Lesedute di registrazione hanno avuto luogo, di solito, all’in-terno di abitazioni private (spesso la residenza di qualcunodegli intervistati) in cui convenivano, più o meno casual-mente, un certo numero di persone.

Si doveva anzitutto fare qualcosa per superare il natura-le disagio che avvertivano i cantori di fronte a un microfo-no. Abituati a cantare solo in determinate condizioniambientali e sociali; in un contesto diverso, in presenzacioè di estranei (l’intervistatore accompagnato da qualchesuo collega) e di fronte a un oggetto capace di catturareogni loro errore (il microfono), mostravano di soffrire perla mancanza degli stimoli che, nelle normali condizioni,dettavano la necessità stessa del cantare e attivavano natu-ralmente il processo della memoria.

30

Page 32: Le cicale

Ascoltando le registrazioni si avverte il fatto che questepersone, sebbene armate di tutta la buona volontà per asse-condare le esigenze del giovane studente-ricercatore, nonsono abituate ad attenersi alle regole che esige una salad’incisione: tossiscono di tanto in tanto per schiarirsi lavoce, non si trattengono dal suggerire a bassa voce il testodelle canzoni a chi stenta a ricordarlo e si lasciano andarein apprezzamenti di varia natura senza attendere la finedell’esecuzione.

A tutti loro va la nostra riconoscenza per averci trasmes-so una parte del loro vissuto e della loro memoria.

31

Page 33: Le cicale
Page 34: Le cicale

I Canti

1. Intro2. E la lèttera ca me tèsti3. Alle beriferìe4. Amore amori no scìri cantànnu5. La pampanella6. Quannu ca ci te llavi la mattìna7. Teresina8. Vistìtu ti cappuccinu9. Rosa ti tò manièri

10. Maria Nicola11. Sapìti ce è succèsu alla vìa te Casarànu12. Ci te pìji nu carusèddru13. Lu monicu mèu14. E mamma mamma tammi lu cerchiu15. Beddra ci ‘mmàre vài16. Alla riva del mare17. Beddra ci stài luntànu

33

Page 35: Le cicale

Note di accompagnamento ai brani

Per ciascun brano forniamo poche note di carattere for-male relative all’andamento ritmico, alla modalità, alla tona-lità e al trattamento delle melodie. Inoltre mettiamo a dispo-sizione il testo dialettale e una traduzione letterale in linguasenza aggiungere notazioni di carattere linguistico o conte-nutistico. Tanto il tipo di dialetto quanto il contenuto dei testioffrono in verità molti spunti di riflessione e molti riferimen-ti ad un contesto culturale che costituisce le radici del pre-sente. In questa sede però lasciamo all’ascoltatore il gusto diricostruire il significato degli arcaismi e delle parole più dif-ficili da interpretare (magari con l’uso del Vocabolario deidialetti salentini di Gerhard Rohlfs). I riferimenti ambienta-li e sociali a cui alludono i testi sono peraltro di relativa chia-rezza e rimandano a uno stile di vita noto, nelle sue lineegenerali, a tutti: ardenti dichiarazioni d’amore, scene digelosia, delusioni scottanti, aspirazioni a un buon partito. Sitratta di argomenti comuni a tutte le tradizioni musicali,popolari e colte. Ogni cultura però li tratta formalmente inmaniera diversa, ogni cantore li interpreta a modo suo e ognivariante si fa testimone di un modo unico di proporre lo stes-so argomento aggiungendo qualcosa di nuovo.

Il primo e l’ultimo brano non partecipano al genere apara uce: si tratta di nostre esecuzioni e di nostre operazio-ni di elaborazione e di montaggio. Li abbiamo inseriti per-ché, ci sia consentito, volevamo anche noi partecipare inqualche modo a questo bel gioco.

34

Page 36: Le cicale

1. Intro

Il primo brano non è tradizionale. È stato inserito arbi-trariamente per riportare il suono suggestivo delle cicale danoi registrato e per tentare di trasportare l’ascoltatore nel-l’ambiente modale caratteristico del canto salentino. Iframmenti di melodie sono tradizionali, liberamente da noiinterpretati ed eseguiti attraverso la sovraincisione di dueclarinetti.

2. E la lèttera ca me tèsti

Attacca una voce femminile che sceglie e impone aglialtri la tonalità a lei più consona: un si bemolle leggermen-te crescente. Questa tonalità andrà a crescere sempre di piùnel corso del brano, ma la responsabilità di questa crescitaè da attribuire alla voce maschile di basso che, nel prolun-gare la nota finale, finisce per restituirla, di strofa in stro-fa, sempre più crescente, fino a raggiungere all'incirca latonalità del si naturale. L’ambito modale è quello lidio,rispettato per tutto il brano sicché il quarto grado dellascala risulterà sempre, per il si bemolle, un mi naturale.

Le forme dialettali, come succederà spesso in tutta laraccolta, sono integrate da una terminologia e da determi-nate costruzioni desunte dalla lingua italiana. Anche que-sto espediente è usato sottilmente in funzione espressiva:generalmente sono espressi in dialetto i sentimenti più

35

Page 37: Le cicale

viscerali ed immediati, mentre l’italiano è, a volte, riserva-to alle locuzioni più formali e impersonali. Il maccheroni-co che ne risulta è comunque una sorta di cantese, una lin-gua artificiale propria del cantare, che si vuole intenzional-mente distinguere dalla lingua parlata.

E la lèttera ca me tèstijèu l’àggiu fàtta pèzzi pèzzie àggiu sapùtu ca me disprèzzi e n’àddru amànte m’àggiu truvà.

Più bellìna e più lecàntee più sincèra pe’ fàre l’amòree me l’hài dàta la pèna àllu còree finché vìvo la voglio ama’.

Finché vìvo e finchè càmpofinché esìste la mia vìtae jò mi vèstu da remìtae prechière pe’ lui farò.

La lettera che mi desti / l’ho fatta pezzi pezzi / ho saputoche mi disprezzi / e un altro amante mi troverò. // Più bel-lino e più elegante / più sincero per fare l’amore / e mel’hai data la pena al cuore / e finché vivo la voglio amare// Finché vivo e finché campo / finché esiste la mia vita / eio mi vesto da eremita / e preghiere per lui farò.

36

Page 38: Le cicale

3. Alle beriferìe

Questo brano è cantato da due sole voci maschili.Adottano un modo maggiore e cantano partendo da unatonica fissata nel re naturale. Anche questi cantori, nellatenuta delle note lunghe tendono a crescere di altezza, percui alla fine del brano la tonalità finisce per trovarsi intornoa un re diesis. Uggiano Montefusco è una località nelle vici-nanze di Manduria e molto probabilmente gli interpreti diquesto brano provengono da tale area linguistica. Ne è testi-monianza la pronuncia di alcune parole che nell’area lecce-se hanno la terminazione in -e mentre nel brindisino assu-mono la terminazione in -i. Nel brano si riscontreranno, aquesto proposito, le locuzioni li mattini, l’acqua ti li piscini,ti la funtana al posto delle corrispondenti locuzioni leccesile matine, l’acqua te le piscine, te la funtana.

Alle beriferìe di Uggiàno Montefùscu àbita na figliòlache vàe all’acqua sòla.

Coll’asino e colle ’ncine vae all’acqua alle piscinee tutte li mattinie tutti li mattini.

Col secchio e coll’arsòla vàe all’acqua solasta pìccula figliòlatutta la mia passion.

37

Page 39: Le cicale

Un giorno li tissi bellae fermati un po’se mi tài da beri l’amore mio sei tu.

L’acqua ti li piscini è chiù pura ti la funtana sta figliòla paisànatutta la mia passion.

Un giorno li tissi bellae fermati un po’se mi tài da beri l’amore mio sei tu.

L’acqua ti li piscini è chiù pura ti la funtanasta figliòla paisànatutta la mia passion.

Alle periferie di Uggiano Montefusco / abita una figliola /che va all’acqua sola. // Con l’asino con il basto va all’ac-qua alle sorgenti / e tutte le mattine / e tutte le mattine. //Col secchio e con l’orciolo va all’acqua sola / sta piccolafigliola / tutta la mia passion. // Un giorno le dissi bella / efermati un po’ / se mi dai da bere l’amore mio sei tu. //L’acqua della sorgente è più pura della fontana / sta figlio-la paesana tutta la mia passion.

38

Page 40: Le cicale

4. Amore amori no scìri cantànnu

In questo brano una delle voci maschili di basso si com-porta in maniera anomala. Forse per un eccesso di protago-nismo mostra pretese interpretative che non competono, dinorma, al suo ruolo. Esegue accenni a una linea melodicapiù articolata rispetto alla semplice alternanza delle note ditonica e di dominante. Si nota inoltre un tentativo di vibra-to espressivo che compete di solito, anch’esso, alle solevoci solistiche.

Amòre amòri no scìri cantànnu ca ti sèntu la nòtti e ca no nci tòrmu.

Tu tièni li billìzzi mo’ ti Sant’Anna li uècchi nèri ti Santa Lucìa.

Ci àne alla manu ci la lènza puèrtitimmi ci t’ha tajàta e o t’ha firìta.

Ju no m’àggia tajàta e no firìtaè statu primu amori ci m’è tratìta.

Ier sera scìri ma la purtàratutti li tònni belli e a na filèra.

Drammiènzu nc’èra la mia nnamuràta purtàva lu stannàrdu e la bandièra.

39

Page 41: Le cicale

Amore amore non andare cantando / che ti sento e la nottee non riesco a dormire. // Tu tieni le bellezze di Sant’Anna/ gli occhi neri di Santa Lucia. // Che hai alla mano cheporti una benda / dimmi se ti sei tagliata o ferita. // Non misono tagliata né ferita / è stato il primo amore che mi hatradito. // Volli andare da lei ma la portarono via / tutte ledonne belle in lunga fila. // Là in mezzo c’era la mia inna-morata / portava lo stendardo e la bandiera.

5. La pampanella

Sono gli stessi esecutori maschili del brano n. 3, a cui siaffianca, con il ruolo di basso, una voce femminile. Latonalità è re bemolle e il modo è quello maggiore.

La pampanella di la ciràsala bèlla mia ulìa me vàsa la pampanella ti la ceràsa.

La pampanella di lu finùcchiuiddra si llàrga e iu mi ccùcchiu la pampanella ti lu finùcchiu.

La pampanella di la cicorae ti vulìva na nòtte sòla la pampanèlla ti la cicòra.

E tu ti larghi e io mi ccucchiula pampanella di lu finucchiu.

40

Page 42: Le cicale

Il pampino della ciliegia / la bella mia vorrebbe baciarmi.// Il pampino del finocchio / lei si allontana e io mi avvici-no. // Il pampino della cicoria / e ti vorrei una notte sola. //E tu ti allarghi e io mi avvicino / il pampino del finocchio.

6. Quannu ca ci te llavi la mattìna

La tonica scelta per partire è attorno al si bemolle che è,accanto alla tonica la, quella scelta più di frequente dallevoci femminili. Anche qui tale tonica salirà gradualmente dicirca un tono e mezzo per giungere, alla fine del brano,attorno a un do naturale. L’ambito modale è quello maggio-re, solo la voce leader accenna, negli abbellimenti, al quar-to grado aumentato, caratteristico del modo lidio.

Quannu ca ci te llàvi la mattìnal’acqua Ninèlla mìa nu la minàrenu la minàre amòre mìa nu l’ha mmenare Ninèlla mìa nu la minàre.

Addù la mini tie nasce na ròsana rosa e nu rusìddru pe’ nduràreoi pe’ nduràre amòre mia oi pe nduràre Ninèlla mia pe’ ndurare.

E passa lu speziàle e se la cìmae face meticìne pe’ sanare

41

Page 43: Le cicale

poi pe’ sanàre amòre mia pe’ sanàre Ninèlla mia pe’ sanàre.

Quando ti lavi la faccia la mattina / l’acqua Ninella mianon la gettare. // Dove la getti nasce una rosa / una rosa eun bocciolo da odorare. // Passa lo speziale e se la coglie /ne fa medicamenti per guarire.

7. Teresina

Teresina, come Caterina o altri nomi propri femminili aldiminutivo, è uno degli epiteti per riferirsi indirettamenteall’animale totemico del Salento, la taranta. Per questo, eper altri spunti presenti, questo breve brano può essereconsiderato facente parte di quell’ampio repertorio tera-peutico del tarantismo di cui si sono perse totalmente lenotizie. Il riesploso interesse per questo fenomeno noncomprende l’ampiezza e la varietà di questo repertorio etende a considerare la pizzica pizzica come l’unica formamusicale utilizzata nella tradizione salentina per curare iltarantolismo. Sappiamo invece che il repertorio terapeuti-co poteva comprendere brani dalle caratteristiche piùdiverse e non necessariamente quelli caratterizzati dalritmo sostenuto in 6/8 accompagnati dal tipico tamburello.Di questo repertorio variegato parla lo studioso salentinoLuigi De Simone in La vita nella Terra d’Otranto, «RivistaEuropea» (a. VII, vol. III, 1876, pp.341 sgg.), quando

42

Page 44: Le cicale

riporta la fisionomia del violinista Francesco Mazzotta diNovoli. Ai tempi dell’indagine di Ernesto de Martino(1959), questo repertorio terapeutico si era già ridotto allasola pizzica pizzica in 6/8 che ci è pervenuta attraverso laregistrazione fatta da Diego Carpitella e acclusa in discoalla prima edizione de La terra del Rimorso. L’attualemanipolazione turistico-festaiola del fenomeno del taran-tolismo pugliese che va sotto il nome di neopizzica ha con-tribuito a generare l’equivoco di questa riduzione e a con-siderare la pizzica pizzica l’unico genere utilizzato tradi-zionalmente ai fini della guarigione mentre, a leggere conattenzione lo stesso E. de Martino, così non è certamente.Sarebbe invece oltremodo interessante un’indagine estesae accurata, capace di far luce su questo equivoco e di rico-struire, per quanto possibile, il corpus delle varie musicheutilizzate nella iatromusica salentina.

A conferma della nostra supposizione, questo brano pre-senta, oltre all’invocazione alla Teresina, anche altri elementi:

– Il grido Hi-ha! con andamento discendente, che ècerto molto simile a quello emesso dalle tarantate nellacappella di S. Paolo a Galatina e registrato dalla stessaéquipe di Ernesto de Martino.

– L’espresso richiamo alla capacità di pizzicare e diaddormentare della Teresina, che si riferisce alle convul-sioni e all’intorpidimento in conseguenza della crisi.

Mentre i noti brani ritmici e ossessivi accompagnati daltamburello fanno leva sull’aspetto convulsivo per portarela tarantata alla frenesia liberatrice, questo brano fa leva

43

Page 45: Le cicale

sull’aspetto dell’intorpidimento, enfatizzando invece l’a-zione del dormire e tentando di sedare, per mezzo di unasorta di terapia del sonno, l’individuo in crisi. A ciò contri-buisce anche l’andamento lento e ternario del ritmo, simi-le a quello di molti canti a ninna-nanna.

La pizzicariella (altro epiteto dell’animale mitico) offreil suo morso più in basso del ginocchio, cioè sotto le vesti.L’indicazione è assolutamente identica a quella di alcunestrofe di pizzica pizzica che dicono Addù te pizzicàu latarantella / sutta te la putìa te la unnèlla. (Dove ti pizzicòla tarantella / sotto l’orlo della gonnella); oppure Addù tepizzicàu a tie nu te pare / sutta te la putìa te lu vistiàme.(Non si può vedere il punto dove sei stata pizzicata /sottol’orlo della lunga gonna).

L’attacco in si bemolle è della voce femminile leader.Le altre voci si mantengono nei loro ruoli tradizionali.Anche qui c’è una crescita di circa un semitono nel brevesvolgersi del canto.

Tòre si e tòre noTeresina l’hai fatta bellal’hai pizzicata l’ha’ ddormentàla pizzicariellate pizzicàu chiù sutta te lu scianùcchiu.

Tore si e Tore no / Teresina l’hai fatta bella / l’hai pizzica-ta l’hai addormentata / la pizzicarella / ti ha pizzicata piùsotto del ginocchio.

44

Page 46: Le cicale

8. Vistìtu ti cappuccinu

Attacca una voce femminile in tonalità di si bemolle. Lagirata la fanno all’unisono perfetto fra di loro due vocifemminili, mentre il basso, eseguito dalle voci maschili,rientra nel suo ruolo di tappeto. L’ambito modale resta nelmodo maggiore.

Il testo, molto simile a quello della variante riportata nelbrano n. 11, allude al passaggio di un frate cappuccino ele-mosinante che approfitta della privatezza della confessioneper offendere l’onore di una giovane delusa dall’amore.

Vistìtu ti cappuccinu jèni a bussà alli pòrtie no no per carità non si bussa cosìtegnu na fìja a lettu e me la fai morì.

Ma prima ti morìri facìtila cunfissàre ca bi lu fàzzu ìu lu pàtri cunfessòr.

Chiutìtinci li pòrti e li finèstre ancòra non vògliu che si sènti la mia ssoluziòn.

La prima domanda fu di quanti amanti aveteèdda stèsi li bràccia e dissi ventitrèma quello che mi ama sta di fianco a me.

L’assoluziòne m’è data mamma che son guarìtaio benedìco il prete e il cuori che ci ha

45

Page 47: Le cicale

guarita è la mia figlia che a letto sta.

Dopu li nòvi mèsi è nato un bel bambinoe do l’hìmu a battizzà alla chiesa ti San Martinulu nòme l’hìmu a mèttri patri Valentìn.

E ìu maletìcu il prete e il cuore che ci ha tratìtu ha la mia figlia che a letto sta.

Vestito da cappuccino vieni a bussare alle porte / no no percarità non si bussa così / tengo una figlia a letto / e me la faimorire. // Ma prima di morire fatela confessare / che ve lofaccio io il padre confessore. // Chiudeteci le porte e anchele finestre / non voglio che si senta la mia assoluzione. // Laprima domanda fu quanti amanti avete / lei stese le bracciae disse ventitrè / ma quello che mi ama sta di fianco a me.// L’assoluzione m’è data mamma io sono guarita / io bene-dico il prete e il cuore che ha / guarita è la mia figlia che aletto sta. // Dopo nove mesi è nato un bel bambino / dove lobattezziamo alla chiesa di San Martino / il nome gli mettia-mo di padre Valentino. // Io maledico il prete e il nome cheha // tradito ha la mia figlia che a letto sta.

46

Page 48: Le cicale

9. Rosa ti tò manièri

L’attacco è della voce femminile, un’altra voce femminilefa la girata e le due voci maschili si assumono il ruolo dibasso. La tonalità scelta dalla voce di attacco è un la; ilmodo è quello maggiore.

Rosa ti tò manièri si la chiàntaca fai mpaccìri ci ti tèni mènti.

Tu fai mpaccìri cavalièri e cònticomu mpaccèscu ìu pòviru amante.

Nu giùrnu scìi alla ripa ti lu marencuntrài na carafìna ti suspìri.

Ca ci vinèssi ci m’àma ti còreli tàu la carafìna ti suspìri.

Ci ti l’è dìttu cu vàni a la spìcaci uèi lu crànu ti lu mànnu a càsa.

Tu sei pianta di rosa di due varietà / che fai impazzire chi titiene mente. // Tu fai impazzire cavalieri e conti / come impaz-zisco io povero amante. // Un giorno andai in riva al mare / etrovai una caraffa di sospiri. // Oh se venisse chi m’ama dicuore / gli darei questa caraffa di sospiri. // Chi te l’ha detto diandare alla spiga / se vuoi il grano te lo mando a casa.

47

Page 49: Le cicale

10. Maria Nicola

Torna ad aprire la voce femminile e torna la tonica di sibemolle. L’ambito modale è situato sulla scala maggiore. Iltesto tende a mettere in guardia le ragazze dal concedersifacilmente a uno che si presenta con le garanzie di ricchez-za o di distinzione (lu tenente). Quello che se ne può rica-vare è raramente un buon matrimonio e può servire, inve-ce, solo a farsi una permanente all’acconciatura per resta-re, come recita un adagio, con i riccioli fatti.

Maria Nicola bella ci te l’ha fatta fa’eri na bella signorina t’eri putùta marita’.

T’ha purtàta alla massarìate critìvi ca te rricchìa Maria NicolaMaria Nicola bella ci te l’ha fatta fa’eri na bella signorina t’eri putùta marita’.

Cu li sordi te lu tenenten’hai fatta la permanente Maria NicolaMaria Nicola bella ci te l’ha fatta fa’eri na bella signorina t’eri putùta marita’.

Maria Nicola bella chi te l’ha fatta fare / eri una bellasignorina ti potevi maritare. // Ti ha portata alla masseria /credevi che ti arricchiva. // Con i soldi del tenente / ti seifatta appena una permanente.

48

Page 50: Le cicale

11. Sapìti ce è succèsu alla vìa te Casarànu

Per quanto riguarda il testo, il brano è una variante diquello riportato al n. 8 della presente raccolta. Diverso èl’ensemble che lo esegue e diversa è l’interpretazione dellalinea melodica. Casarano è una località del basso Salento.Introduce la solita voce femminile e propone la tonica ini-ziale di la bemolle. Nel corso del lungo brano la tendenzaa crescere gradualmente in altezza sarà costante fino a con-cludere con l’innalzamento complessivo di due semitoni.L’ambito modale si muove sui gradi del modo maggiore.

Sapìti ce è succèsu alla vìa te Casarànunu mònecu cappuccìnu lemosinàva.

Scìa limosinànnu e bussàva alle mie pòrtee no no pe’ carità no si bùssa cosìtègnu na fija a lèttu ca sta pe’ mori’.

E se sta pe’ morìre facìtila cunfessàrete la cunfèsso ìo sàntu patre ti cunfessòr.

Chiutète le finèstre e li balcòni ancòrape nu sentìre la mia soluziòn.

La prìma domànda che fece è quànti amànti avètee lei alzò le braccia e disse ventitrèl’amante che mi ama sta di fianco a me.

49

Page 51: Le cicale

E dopo i òtto mesi la luna s’inalzòe dopo i nove mesi un bel bambino si ritrovò.

Portate a battezzare alla chiesa di Sammartinoe di nòme lo mettète pàtre di cappuccìn.

Sapete che è successo alla via di Casarano / un monacocappuccino elemosinava. // Andava elemosinando e bussa-va alle mie porte / no no per carità non si bussa così / tengouna figlia a letto che sta per morire. // E se sta per morirefatela confessare / te la confesso io santo padre confessore.// Chiudete finestre e balconi / per non sentire la mia asso-luzione. // La prima domanda che fece è quanti amantiavete / e lei alzò le braccia e disse ventitrè / ma quello chemi ama sta di fianco a me. // E dopo gli otto mesi la luna siinnalzò / e dopo i nove mesi un bel bambino si ritrovò. //Portatelo a battezzare alla chiesa di San Martino / e dinome lo chiamate padre cappuccino.

12. Ci te pìji nu carusèddru

L’impianto melodico-armonico gravita attorno allatonalità di do maggiore sulla cui scala è costruito quasi perintero tutto il brano. La prima linea melodica invece, quan-do ripete il secondo verso di ciascun distico, è tessuta su uninequivocabile modo lidio, facendo sentire il caratteristicofa diesis al quarto grado. Qunado la seconda voce, che si

50

Page 52: Le cicale

muove parallela alla prima alla distanza di una terza, sitrova a dover utilizzare il quarto grado della scala non hadubbi a eseguire il fa naturale, senza lasciarsi influenzaredall’andamento modale dell’altra voce. Ne risulta, dalpunto di vista armonico, un sapore assolutamente incon-sueto per il nostro orecchio abituato all’armonia tonale enon modale.

La linea di bordone segue la regola di oscillare conve-nientemente fra la nota di tonica do e quella di dominantesol. Anche in questo brano, nella conclusione di frase, lavoce maschile tende a crescere gradualmente e impercetti-bilmente di altezza sicché, a conclusione del brano, latonalità di partenza do maggiore si ritroverà cresciuta, piùo meno, di mezzo tono.

Il testo invita a non prendere in considerazione i preten-denti attempati, anche se si atteggiano a giovanilisti.Quando arriverà il momento della festa bona (l’andare aletto) solo lu caruseddu può garantire abbondanza di pastae carne, metafora diretta, quest’ultima, degli attributimaschili.

Ci te pìji nu carusèddu cu te bàlla e zùmpa a nànzibèddra mìa te n’ha fàre chiànti ci te spòsa màra a te.

Ci te pìji nu vecchiarèddu cu nu n’èssa frizzulùsupòzza jèssare carùsu ci hai mangiàre gioventù.

Quànnu rrìva la mèju fèsta nu te mànca mài la pàsta

51

Page 53: Le cicale

càrne t’àunu nu te bàsta pè tiràre lu racù.

Quànnu rrìva la fèsta bòna cerchi l’àbitu te sìtalu scarpìnu verniciàtu sai ca tìce sempre sì.

Ci te crìti ca te la ccatta la gerretta e lu gelàtuquàrche sòrdu ca ha buscàtu pròpiu a tìe lu spènde, sì.

Pènza mèju cu se li sciòca cu li amìci àlla tavèrnase ne càreca na cipèrna e a tìe te piàcula cussì.

Se ti sposi un ragazzino che ti balli e salti innanzi / bellamia ti farai molti pianti se ti sposa povera te. // Se prendiun vecchio avrà poco da fare lo spiritoso / deve essere gio-vane se vuoi mangiare gioventù. // Al tempo della festa nonti mancherà la pasta / carne di agnello a volontà per tirareil ragù. // Quando arriva la festa buona cerchi l’abito di seta/ la scarpetta verniciata sai che dice sempre si. // Se pensiche te la compra la giarrettiera e il gelato / quei pochi soldiguadagnati non li spenderà per te. // Pensa più a giocarselicon gli amici alla taverna / se ne riempie le tasche e a te titrascura.

52

Page 54: Le cicale

13. Lu monicu mèu

Apre e conduce la voce femminile con una tonica attor-no a un do. L’ambito è tonale, in tonalità maggiore.Compare, nell’armonia, l’accenno a un accordo di sottodo-minante oltre ai consueti accordi di tonica e di dominante.Ciò lascia supporre che il brano possa essere giunto alleorecchie degli esecutori in una versione sostenuta da qual-che strumento di accompagnamento armonico come peresempio, l’organetto diatonico che si muove prevalente-mente sui tre accordi di tonica, di sottodominante e didominante.

E na e na e na lu mònicu mèu se chizzicàacòmu ne piàzze e larirurà lu mònicu mèu se chizzicàa.

Lu ziu mònicu mèu ddru tiscrazziàtuulìu te vàsa quànnu stìa curcàtu

E za e za e za lu mònicu mèu se chizzicàacòmu ne piàzze e larirurà lu mònicu mèu se chizzicàa.

Il monaco mio si eccitava / quanto ne godeva. // Lo ziomonaco quel disgraziato / voleva baciarti standosene aletto. // Il monaco si eccita / come gli piacque al monacoche si eccita.

53

Page 55: Le cicale

14. E mamma mamma tammi lu cerchiu

La tonalità di attacco è do, il modo è quello lidio. I due canto-ri maschili sono gli stessi del brano numero n. 3 ma a fare lagirata si propone una voce femminile che fa anche da basso.

E mamma mamma tàmmi lu cerchiucu mi lu mèntu alla mia cunnèllae di cussì pàriu chiù bellae lu sposu mi troverò.

E più bellina e più licàntie più sincera a far l’amòrilu Ninu mìu è la prìma amòre finché vivo lo voglio amàr.

Mamma dammi il cerchio / che me lo metto alla gonna /così sembro più bella / e lo sposo mi troverò. // Più bellinae più elegante / più sincera per fare l’amore / Nino mio è ilprimo amore / finché vivo lo voglio amar.

15. Beddra ci ‘mmàre vài

È un brano monodico. Si tratta di stornelli, del genere a stin-cu, di norma cantati da due o più cantori che si alternano sfi-dandosi. In questo caso la voce femminile leader si prendetutto lo spazio ed esegue, da sola, tutte le strofe. Infioretta le

54

Page 56: Le cicale

vocali con molta perizia e mostra, così facendo, grande com-petenza musicale. Lascia alle altre voci (maschili) il solocompito di imitare l’accompagnamento ritmico di una chi-tarra. La tonalità di attacco è un si bemolle maggiore cheresta correttamente tale fino alla fine del brano.

Beddra ci mmàre vai jo’ ’mmare vegnuci viciu ca te mini jo’ me ne tornuall’occhi te canùscu ca ha chiangiùtumazzàte ha ùte pe’ l’amore mia.

Bella se vuoi venire a casa miala mèju seggiulìna sarà la tuala mèju seggiulìna sarà la tuaora che non vieni più l’ho data via.

Bella se vai al mare io al mare vengo / se vedo che ti tuffime ne torno / dagli occhi vedo che hai pianto / le hai busca-te per colpa mia. // Bella se vuoi venire a casa mia / lamigliore sedia è per te / ora che non vieni più l’ho data via.

16. Alla riva del mare

Un breve brano, dal testo in lingua, introdotto dalla vocefemminile leader. La tonica scelta è un la crescente. Inquesto caso, all’uso della lingua nazionale si accompagnaanche una decisa scelta tonale (la maggiore). Questa con-

55

Page 57: Le cicale

comitanza fa supporre l’importazione di questo brano daun altro ambito popolare non salentino. Il tipo di arrangia-mento, invece, (le solite tre linee melodiche) e il modo diplasmare le timbriche fanno sì che l’atmosfera che ne deri-va non sia sentita affatto aliena dal resto dei canti dellanostra area.

Alla riva del mare ci sta na fontanellatiene l’acqua fresca e bella pe rinfrescare i fiorpe rinfrescare i fiori le rose e i gelsomin.

17. Bèddra ci stài luntànu

Canto monodico registrato a Gallipoli. La melodia simuove in un ambito tonale e precisamente nella tonalità disi bemolle maggiore. Il tamburello di sottofondo e il suonodelle cicale è stato da noi aggiunto artificiosamente in fasedi post-produzione per congedare l’ascolto della raccoltain maniera leggera e, speriamo, suggestiva.

Beddra ci stài luntànu e bòi me vìti e bòi me vìtinfàccete àlla finèstra te lu punènte te lu punènte.

Ci siènti frìddu sùntu li mei suspìri li mei suspìrici siènti càutu ète stu còre ardènte stu còre ardènte.

56

Page 58: Le cicale

Ci ùnde vìti a màre nu le timìre nu le timìresùntu le làcreme mèi fiùmi currènti fiùmi currènti.E ci pe l’ària siènti ùci e lamènti ùci e lamènti su jèu ca te chiàmu e nu me siènti e nu me siènti.

Beddra ci òi cu jèni cu te nde pòrtu cu te nde pòrtuàllu paèse mèu tàntu luntànu tàntu luntànu.

Àllu paèse mèu se fìla l’òru se fila l’òruaddù se màngia sèmpre pàne te crànu pàne te crànu.

Bella che stai lontana e vuoi vedermi / affacciati alla fine-stra di ponente. // Se senti freddo sono i miei sospiri / sesenti caldo è questo cuore ardente. // Se vedi onde in marenon le temere / sono le mie lacrime fiumi correnti. // E senell’aria senti voci e lamenti / sono io che ti chiamo e tunon mi senti. // Bella se vuoi venire io te ne porto / al paesemio tanto lontano. // Al paese mio si fila l’oro / là si man-gia sempre pane di grano.

57

Page 59: Le cicale
Page 60: Le cicale

Album fotograficodi

Raffaele Palermo

Page 61: Le cicale
Page 62: Le cicale
Page 63: Le cicale
Page 64: Le cicale
Page 65: Le cicale

Stampato pressoStamperia Desa – Copertino (Lecce)

2007

Page 66: Le cicale