le città di gesù
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GERICO
Gesù secondo i Vangeli iniziò la sua vita pubblica dopo il battesimo nel fiume Giordano, per
mano di Giovanni Battista.
Egli divise il suo tempo tra viaggi nelle città della Galilea e delle vicine regioni, periodi di
istruzione dei discepoli e ritiri presso Gerusalemme, in Matteo ( 4, 12-25) vengono nominate
le varie località e regioni dove Gesù passava a predicare.
Tra queste GERICO il significato del suo nome biblico è “ città delle palme”.
E’ l’insediamento urbano più antico del mondo.
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A nord est di GERUSALEMME, vicino alle sponde superiori del
MAR MORTO. Una volta era cinta da mura e torri, ebbe una
lunga e travagliata storia che l’ ha vista più volte distrutta,
abbandonata e ricostruita. Tra gli altri GERICO ha visto gli:
Hyksos, gli Ebrei, i Babilonesi, i Selucidi, Erode, i Romani, i
Califfi Omayyadi, i Crociati, Saladino, i Mamelucchi e i Turchi, ognuno portatore di civiltà e
costruzioni, le tracce delle quali sono in parte andate distrutte e in parte sono giunte sino a noi.
Chi la visita oggi può godere di una città nuova, dove tra il verde e i palazzi moderni fanno
capolino i resti delle mura crociate, ed altri luoghi come Tell es – Sultan, a 2 km a nord ovest
dal centro, dove una volta era l’ antica città conquistata da Giosuè. Il sito, oggi National Park,
ha rivelato un insediamento neolitico con una torre in pietra datata 7000 avanti Cristo.
O come Tutul – Abu al – Alayid, l’ originaria città di Erode , a sud ovest, dove gli scavi
hanno riportato alla luce i resti di grandiose costruzioni quali : il palazzo invernale del re, una
grande piscina e un ippodromo.
Sempre a nord della città moderna sono le rovine della sinagoga (VI- VII sec).
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Probabilmente la città attraversata da Gesù sembra sia stata costruita da Erode.
Gerico si presenta come una vasta oasi di verde, del diametro di 5 chilometri, che spicca in
mezzo ad un paesaggio lunare, che l’ ormai immiserito corso del GIORDANO, non riesce più
a rigare di verde.
La città è alimentata da una sorgente chiamata di “ Eliseo”
( 2 Re, 2- 19), attorno dove arriva l’ acqua fiorisce una
lussureggiante vegetazione tropicale di: buganville, albero
del corallo, gelsomino, sicomoro , l’albero sul quale salì
Zaccheo per vedere Gesù ( Lc 19, 1-10).
Sappiamo che Gerico fu la prima città conquistata da Giosuè alla fine dell’ esodo dall’Egitto.
Nel libro di Giosuè 6,17 si legge: “la città con quanto è in essa,
sarà votata allo sterminio per il Signore.”
Qui Gesù guarisce un cieco ( Lc 18 32-43; in Mt 20, 29-34 sono due i ciechi guariti).
superando l’animosità dei discepoli che volevano mettere in silenzio il povero malato perché
non disturbasse il maestro. Gesù, invece, lo manda a chiamare e gli chiede che cosa volesse:
alla sua richiesta fiduciosa di essere guarito lo accontenta lodando la sua fede.
Nella tela di Poussin.
(Figura 1 - Nicolas Poussin, Gesù guarisce il cieco di Gerico, 1650,
olio su tela, Museo del Louvre, Parigi) dove uno dei presenti in abito
giallo si proietta verso i ciechi per farli tacere. L’opera conserva la
titolatura al singolare: Gesù guarisce il cieco di Gerico, ma Poussin sembra far riferimento
anche alla versione di Matteo del miracolo, dove i ciechi che gridano: «figlio di Davide abbia
pietà!», sono due. Tutti i presenti rivelano preoccupazione e imbarazzo, specie l’uomo in
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rosso che solleva le mani scandalizzato. Il cieco si deve calmare. Deve tacere.
Cristo però non è dello stesso avviso. Egli, solitamente restio a farsi conoscere, sembra qui
dare via libera alla rivelazione della sua identità, sembra anzi sottolineare la verità delle
parole del cieco: sì, egli è il figlio di Davide. Il titolo indicava Salomone, venerato dalla
tradizione giudaica come taumaturgo ed esorcista, ed era applicato anche al Messia, che si
sarebbe manifestato quale taumaturgo per eccellenza.
Ci troviamo ancora una volta di fronte a una guarigione densa di rimandi simbolici. Il cieco
chiama Cristo col titolo di Nazareno, rimandando il lettore alle prime pagine del Vangelo.
Marco, in tal modo, mette in guardia il catecumeno: qui si riconosce il vero discepolo, colui
che veramente ha risposto alla chiamata del Nazareno. L’ora, ormai vicina, della rivelazione
dell’identità di Gesù è anche l’ora della verità circa l’identità del discepolo. Gesù, infatti,
pone al cieco una domanda: «che cosa vuoi che io ti faccia?». È la stessa domanda che Gesù
rivolge ai due figli di Zebedeo quando chiesero di sedere uno alla sua destra e una alla sua
sinistra. È una domanda tesa a comprendere quale figlio di Davide si stia cercando, quale
tipo di Messia stia cercando il discepolo che ha seguito il cammino di Marco fin qui. È, in
fondo, la domanda a cui tutto il Vangelo di Marco risponde.
Lo scandalo suscitato dall’invocazione figlio di Davide abbia pietà di me, la dice lunga sul
senso che Israele dava a questo titolo. Il Messia, il figlio di Davide, era pensato come un
uomo di potere, come Colui che avrebbe ristabilito, in senso strettamente politico oltre che
spirituale, il Regno di Davide.
Per questo Poussin fa compiere a Gesù un gesto strano: più che toccare l’occhio del cieco,
più che imporgli la mano è come se lo tenesse lontano scrutandolo con uno sguardo
indagatore: che cosa vuoi che io ti faccia? Cioè: quali sono le tue attese?
Il cieco, che per andare verso Gesù aveva gettato via il mantello, risponde dandogli il titolo
di Rabbunì, forma superlativa di Rabbì, un titolo solenne che l’ebreo dava a Dio stesso,
Maestro per eccellenza. Il mantello è simbolo della vita della persona che lo indossa, tanto
che, in caso di debito, la legge proibiva di tenerlo in pegno. Il cieco, gettando via il mantello,
gettando via cioè la sua vita, la sua mentalità, dimostrava di accogliere pienamente la novità
della Parola e della proposta di Gesù. Egli lo riconosce nella sua identità più profonda di
Signore. Non a caso il titolo di Rabbunì compare anche nel Vangelo di Giovanni sulle labbra
della Maddalena mentre, chiamata per nome, riconosce il Risorto.
Proprio perché ultima tappa, e tappa obbligatoria prima di accedere ai luoghi santi di
Gerusalemme, Gerico era spesso gremita di poveri, storpi e malati. I giudei osservanti si
sentivano obbligati, infatti, a praticare l’elemosina in prossimità della Pasqua e pertanto
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ciechi e medicanti, come il nostro Bartimeo, solevano accovacciarsi lungo la strada nella
speranza che qualche pellegrino li beneficasse.
Una scena così ce la offre il pittore Lucas van Leyden, rinomato incisore ed esponente della
pittura di genere olandese.
(Figura 2 - Cristo guarisce il cieco 1531. Olio su tela trasferito
su legno. Hermitage, San Pietroburgo).
Egli dipinge il tratto di strada che separa Gerico da
Gerusalemme molto probabilmente per l’ospedale di Leiden,
sua città natale, affinché i malati potessero identificarsi con i tanti malati del vangelo che
dalla Gerico delle loro sofferenze attendevano di salire alla Gerusalemme della salute.
La valle di Gerico, circondata da alberi ombrosi, si colora di toni scintillanti che caricano la
scena di drammaticità. Azzurrine e lievi, avvolte da nubi bianchissime, appaiono invece le
cime del monte Sion all’orizzonte. Siamo lontani dalla verità storica dei luoghi santi. Qui
l’autore colloca l’episodio dentro il paesaggio olandese, suggerendo così l’applicazione
nell’oggi del fatto evangelico.
Il tratto di strada è gremito di gente. Tra i pellegrini ben vestiti e placidamente in cammino si
scorgono poveri, mendicanti, donne con bambini, seduti lungo il ciglio della strada. Gesù e il
cieco sono al centro della tela. Si è fatto come un improvviso vuoto attorno a loro forse per le
grida del cieco e la scena è colta nel momento della guarigione.
Qui, Gesù, diversamente dall’episodio del cieco di Betsaida, non tocca il malato, non compie
alcun gesto significativo. Di scena è la sola parola: Va’ la tua fede ti ha salvato.
Anche van Leyden non ci mostra alcun gesto di Gesù sul cieco. È il cieco stesso che si porta
la mano agli occhi quasi a certificare l’avvenuta guarigione (o a dichiarare la propria
cecità).(Sr Maria Riva).
Più forte e più significativo è l’ incontro con
Zaccheo, il notabile del paese, pubblicano e
quindi peccatore più degli altri. Gesù vede la
buona volontà di questo uomo che sfidando le
dicerie della gente, si arrampica su un albero
per poterlo vedere, e subito lo chiama e si
invita a casa sua: “ quest’oggi devo fermarmi a
casa tua”. E senza badare allo scandalo, entra
nella sua casa dando occasione a quest’ uomo di iniziare la sua conversione. La sua vita
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cambia, e la riparazione del male compiuto avviene in modo generoso: “ do la metà dei miei
beni ai poveri e se ho frodato qualcuno restituirò quattro volte tanto “ ( Lc 19, 1- 10).
È il protagonista del racconto evangelico lucano (19,1-10) di questa domenica: il suo nome
in greco è Zakkaios e suppone l'ebraico Zakkay, che forse era una sorta di diminutivo del più
comune nome Zaccaria, portato da un profeta anticotestamentario e dal padre di Giovanni
Battista. La sua qualifica secondo l'evangelista è quella di architelònes, cioè di direttore
generale delle imposte di Gerico, una città particolarmente prospera. Essa, infatti, pur
essendo collocata nel panorama arido e quasi lunare della valle del Giordano, a più di 300
metri sotto il livello del mare, è simile a una sorta di smeraldo di alberi, piantagioni,
sorgenti. È, infatti, l'oasi più importante di quel territorio, sede di uno stanziamento umano
così arcaico da averla posta ai vertici cronologici delle più antiche città del mondo, operosa
già nell'VIII millennio a.C. I visitatori ancor oggi sostano su una collina a contemplare le
mastodontiche rovine di quel centro primordiale, ma il loro occhio spazia anche sull'oasi dal
diametro di tre chilometri, sulla Gerico più recente che vide sorgere il palazzo di Erode, ma
anche sulla successiva e periferica splendida reggia invernale degli Omayyadi, la dinastia
discendente da Maometto, che aveva posto la sua capitale a Damasco. La prosperità di
Gerico e la sua collocazione sulla strada che dal nord scendeva a Gerusalemme
costeggiando il Giordano l'avevano resa un centro politico e commerciale significativo: si
giustifica, così, la presenza di uffici e di funzionari del fisco, retti appunto dal nostro
Zaccheo, uomo forse corrotto come lo erano (e lo saranno spesso) i burocrati, ma segnato
anche da una curiosità, segno di un'inquietudine più profonda, quella di vedere di persona il
rabbì di Nazaret Gesù, infatti, era passato più di una volta da Gerico quando dalla Galilea
saliva a Gerusalemme. Anzi, in un'occasione aveva guarito un cieco di nome Bartimeo,
proprio alle porte di quella città (Marco 10,46-52). Ora tocca a Zaccheo incrociare la figura
di Gesù, non per ottenere una guarigione fisica ma una liberazione interiore.
(Mons. G. Ravasi).
Ma la città di Gerico richiama un’altra realtà presentata da Gesù: vivere la carità verso il
prossimo, ripetendo a un dottore della legge cosa è necessario per avere la vita eterna, cioè:
“ma il prossimo tuo come te stesso”. Ma la proposta è così forte che quest’ uomo chiede chi
sia il prossimo. Allora Gesù racconta un fatto vero o verosimile. Di fronte ad un uomo ferito e
malridotto dai briganti, mentre personaggi importanti vedono e fingono di non vedere, un
samaritano ( ritenuto peccatore da evitare) si ferma prodiga le prime cure al poveretto, lo
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mette sulla sua cavalcatura e lo porta alla locanda più vicina, dà dei soldi perché venga curato
bene. Così è chiaro per chi lo interroga chi è il prossimo, colui che sta vicino.
Gesù racconta la parabola mentre sta attraversando la Samaria diretto a Gerusalemme.
Continuando il suo cammino, passerà da Gerico. Risalirà quella strada da cui è disceso
l’uomo della parabola che cade in mano ai briganti. Una strada conosciuta la via da
Gerusalemme a Gerico, si snoda tra dirupi e pareti di pietra manganese rossiccia, chiamata per
il suo colore sanguigno e per i fatti delittuosi frequenti: “ la strada del sangue”.
Molti pittori hanno ritratto questo episodio evangelico
EUGENE DELACROIX (1798-1863.)
Il Buon Samaritano -1849 (Collezione privata).
L’ uomo della Samaria pone il viaggiatore in difficoltà sul suo cavallo. Altri passanti hanno
lasciato sulla strada l’uomo derubato, anche se ritenevano di essere più pii del Samaritano.
Delacroix in questo quadro dipinge i suoi personaggi alla maniera di Rubens: muscolosi e con
colori sgargianti, così come farà nei dipinti che seguiranno in seguito.
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Nel 1890 Van Gogh copiò questo lavoro, lo stesso Delacroix si era ispirato ad un quadro di un
pittore barocco italiano del 17° secolo: Domenico Fetti.
Il quadro di Van Gogh è dipinto allo specchio e con uno stile suo proprio.
Egli si dedicò ad alcune libere copie di soggetti biblici mentre era ricoverato in un istituto per
malati di mente.
Il Buon Samaritano, 1890, Otterlo, Kroller- (Muller Museum.)
Esso si ispira alla fine della parabola evangelica quando il protagonista carica sul proprio
giumento l’uomo trovato mezzo morto al bordo della strada. Nella versione di Van Gogh i
critici di storia dell’ arte evidenziano due particolari: la somiglianza fra i tratti del samaritano
e quelli del pittore, e l’ impressione visiva che il soccorritore, più che caricare lo sventurato
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sul cavallo, lo stia in effetti tirando giù, vale a dire se lo stia caricando sulle spalle.
“Quest’ultimo aspetto sembra voler trasmettere l’ idea che, per aiutare davvero il prossimo,
è necessario addossarsene le pene (sensazione rafforzata dal contrasto con le due piccole
figure, il sacerdote ed il levita, che si allontano sullo sfondo dopo aver rifiutato di prestare
soccorso al ferito Lc 10, 31-32). Forse è utile ricordare che anni prima il pittore si era
prodigato come infermiere nei confronti dei colpiti dall’epidemia di tifo, sia nei riguardi della
madre vittima di un grave infortunio.
La scelta dei soggetti Biblici per Van Gogh, pur non potendo essere giudicati un ritorno alla
fede, testimoniano un animo dotato di una particolare sensibilità nei confronti del dolore”.
(Pietro Stefani, Marina Loffi Randolin).
Lavoro svolto da Tiziana Bertarelli
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IMMAGINI e FONTI UTILIZZATE
P. 1 Cartina scaricata dal sito www.dive 3000.com/cartina_mondo.htm-21k
P. 2 immagini fotografiche da Fotosearch Archivi fotografici e Video “ La Terra Santa”
P. 3- P.4 da Cultura Cattolica – Il Vangelo di Marco ARTE e CATECHESI
Autore: Sr Maria Gloria Riva Curatore: Don Gabriele Mangiarotti
P.5 Miniatura di Cristoforo De Predis 1476 da Historia del Nuovo Testamento
P. 6 La Bibbia per la famiglia n. 147( allegato di FAMIGLIA CRISTIANA) 2007
Autore Monsignor Gianfranco Ravasi
P.7, P. 8 quadri tratti da galleria Kamilica htp//www kamilica.it/Gallery.
P. 9 “ LE RADICI BIBLICHE DELLA CULTURA OCCIDENTALE”
di Pietro Stefani, Maria Loffi Randolin
Pubblicato da Pearson Paravia Bruno Mondad, 2004
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