le eroine dantesche di inferno e purgatorio - a confronto

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LE EROINE DANTESCHE DI INFERNO E PURGATORIO Nell’opera gli incontri con figure femminili sono pochi; spesse volte invece il poeta cita personaggi che non sono presenti, ma solo ricordati nelle parole delle anime trapassate o come modelli esemplari. Nel canto V Dante incontra i lussuriosi. Qui avviene l’incontro con Paolo Malatesta e Francesca da Rimini. Quest’ultima, chiamata più precisamente Francesca da Polenta, era figlia del signore di Ravenna, Guido il Vecchio. Ricordiamo qui che dal 1318 Dante fu ospite, durante il suo esilio da Firenze, di un nipote di quest'ultimo, Guido Novello da Polenta. Francesca, giovanissima, costretta a sposare per ragioni politiche (1275) Gianciotto Malatesta, vecchio, zoppo e deforme. I due amanti, probabilmente nell’anno 1285, furono però sorpresi e uccisi dal marito– fratello offeso. Il fattaccio di cronaca nera, accaduto in una Corte famosa, aveva suscitato ai suoi tempi molto scalpore. Dante, però, non lo riporta per dovere di cronaca, ma solo perché spinto da un sentimento di partecipazione e pietà; il poeta forse vede riflessi in Francesca se stesso e la fragilità di tutti gli esseri umani. “O animal grazioso e benigno che visitando vai per l’aer perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno: se fosse amico il Re dell’universo noi pregheremmo Lui della tua pace, poi c’hai pietà del nostro amor perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a vui, mentre che ‘l vento come fa si tace. Siede la terra dove nata fui, su la marina dove il Po discende

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Lavoro scolastico sul tema della donna nell'opera dantesca.

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Page 1: Le Eroine Dantesche Di Inferno e Purgatorio - A Confronto

LE EROINE DANTESCHE DI INFERNO E PURGATORIONell’opera gli incontri con figure femminili sono pochi; spesse volte invece il poeta cita personaggi che non sono presenti, ma solo ricordati nelle parole delle anime trapassate o come modelli esemplari.

Nel canto V Dante incontra i lussuriosi. Qui avviene l’incontro con Paolo Malatesta e Francesca da Rimini.

Quest’ultima, chiamata più precisamente Francesca da Polenta, era figlia del signore di Ravenna, Guido il Vecchio. Ricordiamo qui che dal 1318 Dante fu ospite, durante il suo esilio da Firenze, di un nipote di quest'ultimo, Guido Novello da Polenta.

Francesca, giovanissima, costretta a sposare per ragioni politiche (1275) Gianciotto Malatesta, vecchio, zoppo e deforme. I due amanti, probabilmente nell’anno 1285, furono però sorpresi e uccisi dal marito–fratello offeso. Il fattaccio di cronaca nera, accaduto in una Corte famosa, aveva suscitato ai suoi tempi molto scalpore. Dante, però, non lo riporta per dovere di cronaca, ma solo perché spinto da un sentimento di partecipazione e pietà; il poeta forse vede riflessi in Francesca se stesso e la fragilità di tutti gli esseri umani.

“O animal grazioso e benigno

che visitando vai per l’aer perso

noi che tignemmo il mondo di sanguigno:

se fosse amico il Re dell’universo

noi pregheremmo Lui della tua pace,

poi c’hai pietà del nostro amor perverso.

Di quel che udire e che parlar vi piace,

noi udiremo e parleremo a vui,

mentre che ‘l vento come fa si tace.

Siede la terra dove nata fui,

su la marina dove il Po discende

per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui della bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, c’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Page 2: Le Eroine Dantesche Di Inferno e Purgatorio - A Confronto

Amor condusse noi ad una morte,

Caina attende chi a vita ci spense.” (Inf. V, vv. 88-107)

Quest’ultime terzine sono famosissime e iniziano tutte con la parola “Amor”. Questo Amore rappresenta tutta l’esistenza di questa giovane donna e tutta la sua tragedia. Francesca sembra quasi voler allontanare da sé la responsabilità di un amore colpevole, indicando nell’Amore una ineluttabile forza, che agisce indipendentemente dalla volontà dell’individuo.

Nel V canto del Purgatorio, tra i morti violenti, è ricordata Pia de’ Tolomei: ella fu un personaggio storicamente vissuto tra la fine del 1200 e i primi anni del secolo successivo.

Apparteneva alla famiglia dei Tolomei di Siena. Andata sposa a Nello de’ Pannocchieschi, podestà di Volterra e di Lucca, fu assassinata dal marito, che la fece precipitare da un balcone del castello della Pietra in Maremma. C’è chi dice che sia stata uccisa perché colpevole di infedeltà, chi invece sostiene che il marito se ne liberò per potersi risposare. Ci sono molte notizie infatti di una relazione e di un successivo matrimonio di Nello con una donna “dai molti mariti e dai molti amanti”: Margherita degli Aldobrandeschi.

Il mistero della morte di Pia rimane fitto oggi come allora. Dante prova per questa giovane affetto e commiserazione, infatti ce la presenta come una donna quieta piena di sollecitudine e di dolcezza, priva di qualunque risentimento verso il marito.

“ Deh, quando tu sarai tornato al mondo

e riposato de la lunga via

- seguitò 'l terzo spirito al secondo -

ricorditi di me che son la Pia;

Siena mi fé, disfecemi Maremma:

salsi colui che ‘nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma” (Purg., V, vv.130-136)

Nel Canto XII del Purgatorio, Dante e Virgilio incontrano Sapia, della famiglia senese Salvani, zia di quel Provenzano che aveva sperato di diventare Signore di Siena e che, per questa sua presunzione, Dante ha posto tra i Superbi (Canto XI del Purgatorio). Ella fu sposa di Ghinibaldo di Saracino, signore di Castiglioncello, presso Monteriggioni.

"Io fui sanese"- rispuose- "e con questi

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altri rimondo qui la vita ria,

lagrimando a colui che sé ne presti.

Savia non fui, avvegna che Sapìa

Fussi chiamata, e fui de l'altrui danni

più lieta assai che di ventura mia" (Purg. XIII, vv. 100-110)

Di lei non si sa molto, eccetto che prese parte alle lotte politiche e che, come essa stessa dice, assistette compiaciuta (non si sa bene perché; Dante attribuisce questo atteggiamento all’invidia, che trattiene l’anima proprio in quella schiera purgatoriale) alla sconfitta, ad opera dei Guelfi di Firenze, dei suoi concittadini, guidati dal suo stesso nipote Provenzano Salvani, nella battaglia di Colle Val d'Elsa nel 1269.

“Eran li cittadin miei presso a Colle

in campo giunti co’ loro avversari

ed io pregava Iddio di quel ch’e’ volle.

Rotti fuor quivi e volti ne li amari

passi di fuga; e veggendo la caccia,

letizia presi a tutte altre dispàri,

tanto ch’io volsi in su l’ardita faccia,

gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”,

come fe’ ‘l merlo per poca bonaccia.” ( Purg. XIII, vv.115-123)

Dalle sue parole Sapia sembra pentita per aver partecipato con tanto odio alle lotte fratricide e appare grata al vecchio Pier Pettinaio, che con le sue sante preghiere le ha abbreviato il tempo da trascorrere nell'Antipurgatorio. Sul finire del suo lungo discorso, quest'anima chiede che Dante, tornato sulla terra, la riabiliti presso i suoi parenti.

“E chèggioti per quel che tu più brami,

se mai calchi la terra di Toscana,

che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.

Tu li vedrai tra quella gente vana

Page 4: Le Eroine Dantesche Di Inferno e Purgatorio - A Confronto

che spera in Talamone, e perderagli

più di speranza ch’a trovar la Diana;

ma più vi perderanno gli ammiragli”. ( Purg. XIII, vv.148-154)

Qui, però, si vede in lei ancora una pepata vena canzonatoria verso i suoi concittadini, definiti “gente vana”, perché sperano in imprese senza costrutto sperperando i loro averi. Si diceva infatti che il borgo di Talamone sull’Argentario fosse stato acquistato dai Senesi per farne uno sbocco al mare, ma, essendo il luogo malarico, nonostante le ingenti spese essi non ne avessero ricavato niente. La Diana era un mitico fiume che i Senesi credevano scorresse sotto la città; tuttavia le lunghe e dispendiose ricerche non approdarono a niente.

A CONFRONTO

Francesca e Pia sono entrambe accomunate da un tragico destino in vita, l'amore che le ha portate alla morte, ma la loro condizione ultraterrena è ben diversa. Francesca è la protagonista assoluta del canto infernale: l'attenzione di Dante è subito catturata da quest'anima, che procede nella bufera dei lussuriosi ancora abbracciata al suo amato. Il racconto di Francesca è lungo e appassionato, e i suoi ricordi del mondo terreno sono ancora forti: l'anima prova odio per il suo uccisore e per il modo brutale in cui le è stata tolta la vita, mentre era insieme al suo amante, Paolo, che procede silenzioso e in lacrime accanto a lei. La breve autopresentazione di Francesca lascia subito spazio al tema centrale del suo racconto: l'amore, “ch'a nullo amato amar perdona”, che è ancora forte in lei, ma che è anche la causa della sua perdizione. La passione è ancora viva in Francesca: come tutte le anime dei dannati, anche lei ha un grosso rimpianto per la vita terrena, poiché non ha nessuna speranza di giungere a Dio. Anche Pia è protagonista del canto V del Purgatorio, il canto della violenza, ma la sua presenza si percepisce in modo diverso: l'anima fa una discreta comparsa negli ultimi versi, e il suo desiderio non è quello di ricordare la sua tragica vicenda, ma di sollecitare le preghiere in Terra per accelerare il suo cammino verso Dio. La delicatezza di Pia le permette di accennare soltanto alla sua morte, avvenuta per mano del marito, e in lei non c'è alcun rimpianto per la vita terrena, né odio verso il suo uccisore. Nel racconto purgatoriale possiamo trovare una sproporzione tra il poco spazio dedicato a Pia, protagonista del canto, e i centoventinove versi destinati a Jacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro, ma il breve discorso di Pia è superiore per il tono e la sollecitudine dell'anima. Francesca e Pia sono le protagoniste di due canti della Commedia, il canto dell'amore e il canto della violenza, apparentemente diversi ma accomunati da queste due grandi ritratti femminili: Francesca, ancora legata al mondo terreno, e Pia, pellegrina che ha la speranza di giungere a Dio.

Sapia, coerente rispetto ad altre figure purgatoriali, è cosciente del peccato commesso, anche se a tratti manifesta come dei “rigurgiti” di quelli atteggiamenti che sta cercando di abbandonare lungo il suo percorso catartico. L’invidia che prova nei confronti dei suoi concittadini è talmente aspra che la portò in vita alla blasfemia. È una donna tracotante; ella stessa per questo suo comportamento si definisce “folle”, poiché consapevole di essere in errore, e pertanto non cerca giustificazioni. Ella fa capire al lettore che tutti gli uomini sono partecipi di un’unica salvezza celeste, e che le discordie terrene sono vane e anzi perniciose. Come Pia anche lei chiede a Dante di sollecitare i suoi “propinqui” ancora in vita a pregare per la sua anima.