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Page 1: LE ORIGINI DEL CARNEVALE - · PDF fileIl bello può diventare brutto, il nero diventa bianco, il vuoto si ... E’ il ritorno del calderone primordiale dal quale, come in una cucina,

I

LE ORIGINI DEL CARNEVALE

Le antiche origini di un inquietante rito solo apparentemente gioioso

(Parte Seconda)

Il rito (oggi però diremmo più “la festa”) era quello di un corteo di persone mascherate,

armate di strumenti per provocare rumore (percussione di tamburi, magari sostituiti da semplici pentole) urla e strepiti sotto le finestre di persone “colpevoli”, lazzi, battute volgari.

Come ricorda Georges Minois nel suo libro1, “….il "riso vendicatore"…. si configurava come strumento di preservazione della moralità domestica, in quanto istanza collettiva dell'autocoscienza, e come "arma di autodisciplina" della comunità, volto ad espellere il bizzarro, il diverso, l'anormale, motteggiando e umiliando l'escluso….”.

E come non vedere l’anormalità nel matrimonio di una giovane con un anziano, matrimonio che probabilmente non avrebbe prodotto discendenza mancando così al contributo di nuove forze per la società? O nella turbativa dell’ordine del gruppo rappresentata da un coniuge infedele?

1 GEORGES MINOIS - Storia del riso e della derisione - Ed. Dedalo. Il fenomeno, come detto, è stato molto studiato. Si riporta un elenco non esaustivo di lavori sull’argomento: N. ZEMON-DAVIS - Le ragioni del malgoverno - su: “Le culture del popolo. Sapere, rituali e resistenze nella Francia del Cinquecento”, Torino, Einaudi, 1980; E. P. THOMPSON - Rough music: lo “charivari” inglese - su: “Società patrizia, cultura plebea”, Torino, Einaudi, 1981; J. LE GOFF - Le Charivari. Actes de la table ronde organisée à Paris (25-27 avril 1977) par l’EHESS et le CNRS - Paris/La Haye/New York, Mouton, 1981; D. LOMBARDI - Matrimoni di antico regime - Bologna, Il Mulino, 2001. Per quello che attiene il fenomeno nel territorio romagnolo si consiglia E. BALDINI – Fagiolate, scampanate, caccia ai “cornuti”: lo “charivari”nel folklore romagnolo – su “Romagna arte e storia”, n.21, Rimini 1997.

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Frontespizio de “Istoria della Città di Sospello” in cui sono ricordati i riti del charivari

e le relative figure (nel particolare). L’origine etimologica del termine charivari è dubbia: forse viene dal greco καρηβαρία, o dal latino caribaria, (entrambe col significato di “mal di testa”, probabilmente relativo al frastuono creato dai partecipanti al rito), poi modificatosi nel latino medioevale charavaritum, chalvaritum e in altri simili

che si trovano in documenti antichi, soprattutto in atti di tipo legislativo. E’ proprio in documenti di questo genere che si trova riportato il termine, dato che il

potere costituito, che pure era stato il primo utilizzatore di questo sistema morale, passò ad osteggiarlo; infatti il fenomeno finì per trasformarsi, da critica a cattivi comportamenti sociali, “anche” in una diretta critica verso il potere costituito, verso le forme di governo dittatoriali ed incentrate sul culto della personalità di certi sovrani (nonostante molti re avessero dei buffoni al loro servizio che si divertivano a burlarsi di tutto, persino dei loro padroni), del perbenismo delle società borghesi (soprattutto con Rabelais).

La Chiesa, soprattutto dal momento in cui il vuoto di potere secolare la spinse ad assumersi il ruolo di protettore dell’ordine costituito, considerò il rito un fenomeno diabolico, e come i monarchi assoluti vi si oppose decisamente.

A ciò non mancò di contribuire anche l’aspetto scenografico della festa, con i riferimenti a personaggi ctonii e demoniaci, esseri pagani, che non potevano, da parte della Chiesa stessa, essere assunti a tutori dell’ordine morale; tale comportamento si è mantenuto, praticamente, fino ad oggi.

Esistono documenti del 1600 in cui il termine viene riportato, particolarmente per dare indicazioni alle forze di polizia sul come contrastarlo. Si legge, per esempio, che devono essere considerati proibiti le manifestazioni rumorose, chiamate “chiaravugli” attuate in occasione dei matrimoni (“... strepitus rumoresque tumultuosos per vicos et plateas vel etiam ante domum habitationis iterum nupte vel ejus sponsi, quod hic vulgo chiaravuglio dicitur…)2.

Amedeo VIII di Savoia decise di applicare sanzioni pecuniarie a quanti sarebbero stati sorpresi a partecipare alla “ciabra”. Questa notizia, in particolare, è interessante perché ricorda una manifestazione (la “ciabra”, appunto) che prevedeva che coloro che non fossero

2 Atti del Sinodo dei Vescovi di Ventimiglia, trascritto nel Decretorum Ecclesiae Ventimilii, Libro VII.

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ancora sposati, pur essendo in età matura, dovevano “comprare la capra”; dal latte dell’animale si produceva formaggio poi distribuito alla popolazione.

Probabilmente da questo fatto viene uno dei termini con cui è ricordato questo fenomeno, quello di “capramarito”.

Può essere interessante rilevare che a fronte di queste richieste ci fosse anche, da parte delle autorità che meno accettavano l’ingerenza dei religiosi in faccende sociali, un invito a non sopravalutare la negatività del fenomeno, e a ricordare come tutto ciò facesse parte della tradizione del luogo (“…ciò che ab antiquo era uso farsi in occasione del matrimonio di un vedovo….” ricorda una richiesta della municipalità di una cittadina ligure, nel 1763, al vescovo Mascardi).

Si è già ricordato3 come i figuranti di tanti riti che hanno sostituito l’antico “corteo dei morti” (Zidalkos, Krampos, Pasqualotti Romagnoli) siano da annoverare tra le forme europee di charivari.

La terza delle particolarità che caratterizzava questi festeggiamenti si identificava in una temporanea eliminazione degli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza; si attuava il capovolgimento dei rapporti gerarchici tra uomini e delle norme costituite della società, sicché i poveri si immaginavano ricchi, i plebei potevano fingere di essere nobili, grazie anche al travestimento, alla maschera, ma soprattutto per un rovesciamento concepito come applicato, in quel particolare momento, a tutto l’universo.

Il concetto origina in quello della sostanziale inconsistenza della morte, il concetto di "eterno ritorno" che risale a tempi antichissimi: infatti già i popoli antichi, in tutte le culture, avevano scoperto il ritorno ciclico dei fenomeni naturali: l’alternanza di giorno e notte, di stagioni calde e fredde, del ritorno del sole e delle stelle nelle stesse posizioni del cielo.

Nella considerazione che l’essere umano nasce e muore, l’uomo primitivo vede proiettato anche su di sé questo stesso destino: la ciclicità dei fenomeni astronomici lo autorizza a credere che la morte fisica del suo corpo sia solo l’inizio di un nuovo stadio vitale, di una nuova vita, magari con un altro corpo fisico, ma pur sempre vita di un “sé stesso” spirituale.

Ma se l’uomo è uno, e la trasmigrazione degli spiriti avviene per tutti, allora il concetto dell’eterno ritorno passa da una visione più elementare, dalla semplice percezione della ciclicità dei fenomeni naturali (tra i quali la vita umana) a quella più generale di un’interpretazione dell’intero universo come qualcosa in continua mutazione, un’evoluzione continua di tutte le cose verso un fine comune.

Il serpente Uroburo, simbolo dell’eterno ritorno.

3 Sempre nel lavoro indicato alla nota a pie’ di pagina n° 2.

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Ciò che sembra morire in realtà si trasforma nella vita di un altro essere, e se il morto può trasformarsi in vivo allora ogni cosa può trasformarsi nel suo opposto: non c’è fine alla trasformazione elementare (termine da intendersi come ogni singolo elemento) nella trasformazione del suo opposto, il tutto inquadrato nella più generale trasformazione del mondo in un “altro mondo”. Il bello può diventare brutto, il nero diventa bianco, il vuoto si trasforma in pieno, in un continuo sconvolgimento che trasforma l’apparente conflitto in armonia.

E’ il ritorno del calderone primordiale dal quale, come in una cucina, si estraggono, per l’ennesima volta, gli ingredienti per la nuova “pietanza” umana, gli uomini come cibi realizzati in un’infernale cucina. Nell’enorme ventre della natura primordiale i morti ottengono la vita dai vivi, come nel ventre della donna il nuovo uomo fino a quel momento solo “pensato” acquisisce dai genitori le caratteristiche di un corpo concreto.

Mircea Eliade4 scrive: "Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della cosmogonia. Nel Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia".

Ogni ciclo di trasformazioni diventa un’acquisizione di maggiore compenetrazione nell’universo: l’universo diventa sempre più perfetto e l’uomo assume una sempre maggiore consapevolezza sia di sé stesso che dell’universo nel quale vive.

Altre immagini della “nave dei folli”, che riunisce i concetti di caos sociale ed etico.

In conseguenza di ciò non c’è da spaventarsi nel verificare la presenza di un periodo di

sconvolgimento, perché è solo l’indizio di una trasformazione positiva; anzi non solo c’è da

4 MIRCEA ELIADE – Il mito dell’eterno ritorno – Borla, Torino, 1968.

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augurarselo, ma si deve fare di tutto perché lo sconvolgimento avvenga, e, come sempre, per favorirlo lo si deve aiutare con una “rappresentazione” del fenomeno.

La rappresentazione attuata dall’uomo per favorire questo momento di sconvolgimento finisce per ritualizzarsi nei comportamenti esagerati, nel comportarsi fuori della norma, insomma in ciò che, nel Carnevale, diventerà il rovesciamento dell’ordine e l’applicazione di comportamenti dissoluti.

Occorre, a questo punto, fare una precisazione riguardo ad uno dei concetti che è alla

base degli studi di antropologia culturale, e che quello che fino a qui esposto sembrerebbe contraddire.

Si tratta della “paura dell’anormalità”5. L’antropologia basa molti dei suoi studi sul fatto che l’uomo ha paura di tutto ciò che

gli appare “anomalo” rispetto a quello che considera uscire dalla sua normale concezione del mondo, e cerca di evitarlo; uno dei risultati di questa paura è il tentativo di schematizzare l’universo secondo un disegno logico, secondo modelli che riesce a spiegare con le sue conoscenze del mondo, siano esse logiche che appartenenti al mondo dell’irreale.

Questo, però, non è in contraddizione all’accettazione del modello caotico fino a qui discusso perché i due fenomeni (paura dell’anomalo e accettazione del caos) avvengono su due piani diversi.

Sena voler ora proporre una troppo facile schematizzazione dell’animo umano, cosa che neppure tutti i testi di filosofia del mondo sono stati in grado di fare, possiamo però semplificare lo sviluppo della mente umana secondo tre particolari momenti: l’uomo appena nato obbedisce quasi esclusivamente a necessità fisiche (potremmo dire “animali”) ossia la fame, l’istinto di conservazione ecc… (questa caratteristica continua a possederla anche durante l’età adulta, quando cerca di appagare, per esempio, la sua ansia sessuale); si sviluppa poi il senso razionale, necessario a sfruttare le risorse naturali e, forse un po’ più tardi, quello spirituale.

L’uomo maturo possiede le tre caratteristiche per tutta la sua vita, anche se in proporzioni che cambiano con l’età.

La paura dell’anomalo attiene alla sua caratteristica animale, il tentativo di evitarlo a quella razionale, mentre l’accettazione dell’anormalità, del caos, a quella spirituale. Pertanto durante la sua vita obbedisce, anche se in misura diversa, a tutte queste tre pulsioni, anche se, a seconda del momento e della situazione, una di esse può prevalere sulle altre.

Non c’è nulla di strano, pertanto, che pur nella sua atavica paura dell’anomalo, accetti un concetto di rigenerazione proprio attraverso quel caos che tenderebbe, secondo la sua animalità, a rifiutare.

I morti che ritornano in vita, il rovesciamento dell’ordine naturale delle cose,

l’esagerazione nel ritualizzare il fenomeno, sono perciò il mezzo con cui l’anormalità che spaventa diventa uno strumento di rinnovamento. I morti sulla terra verranno magari anche

5 Il concetto della paura dell’anormalità è stato trattato nel lavoro Anomalia come segno di dio, proposto in questo stesso sito alla pagina Testi.

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utilizzati come quel corpo di polizia ante litteram a cui abbiamo già accennato, ma questo è solo uno dei riti, indotti dalla necessità di convivenza sociale, con il quale vengono utilizzati.

Punch, versione inglese dell’italiano Pulcinella, ripropone, in tempi

più vicini a noi, la critica del mondo dei ricchi e dei benpensanti.

Le ritualizzazioni necessitano di “figuranti”, di uomini che sono costretti ad indossare

maschere per sostenere il ruolo di un altro, e anche per indicare, con i propri costumi, che si tratta di cadaveri, quindi si devono utilizzare il bianco per le ossa, il blu e verde della decomposizione dei corpi, il rosso del sangue, ed altri infiniti colori che si ritroveranno più tardi nelle maschere di tutto il mondo.

L'uso delle maschere, che già si è visto nella festa del Navigium Isidis, e che si vedranno anche nei Baccanali, servivano solo a questo scopo, e non tanto per non essere riconosciuti durante le pratiche licenziose, come si può essere portati a credere, perché le pratiche che si attuavano in occasione di questi riti non erano riconosciute tali; quello che si viveva in quel momento di caos non era il mondo reale ma un universo fuori dalle regole, non vi si potevano applicare le considerazioni e le valutazioni etiche del mondo “normale”, e tantomeno concetto sociale come la licenziosità.

Questa immagine rappresenta bene il concetto di “rovesciamento “ dell’ordine costituito. La stessa immagine si perpetuerà nel tempo nel simbolo del Jolly delle carte da gioco.

E dato che la maschera tende a

“spersonalizzare”dietro la maschera non si immaginava un solo uomo, e nemmeno un solo morto, ma “tutti” i morti, un’altra società intera che si identificava in un solo corpo. E’ il “corpo globale” che si identifica nella natura espressa come caos globale e primordiale, nel quale si può ottenere tutto ciò che non c’è nella vita di tutti i giorni, e di cui è bene approfittare, un momento ideale in cui si può dare energia al mondo e

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contemporaneamente riceverne, magari anche mangiando e bevendo in abbondanze, un universo in cui è possibile criticare i nostri nemici, che non possono niente contro di noi, si può creare un “mondo alla rovescia” (il servo diventa re) e approfittarne per punire chi invece, nel mondo reale, generalmente ci punisce.

Con questo rito sembra che l’uomo voglia tornare ad essere padrone del proprio destino: tutte le religioni sono caratterizzate da un concetto di negatività, ossia dall’imporre norme e divieti. In questo caso è proprio lui, l’uomo, e non qualche divinità, che ripropone la nuova creazione, che fa rinascere, ogni anno, le nuove generazioni. Mircea Eliade chiama questo desiderio degli uomini “la divinizzazione dell’essere umano”.

Ci sarà poi il termine del rito, un momento in cui si ritornerà allo stato normale delle

cose, e il momentaneo sconvolgimento, a questo punto vissuto con un certo senso di colpa, verrà cancellato dal ricordo mediante un atto espiatorio: ecco perciò che generalmente tutte le feste finivano con l’uccisione del Re del Carnevale, atto che si è mantenuto nelle feste attuali con le distruzioni, attuate in maniere diverse, dei vari fantocci, pupazzi, simulacri che rappresentano questa figura, secondo un rito di offerta al mondo che garantisce un patto nuovamente ristabilito, dopo l’eccesso, tra l’uomo e la divinità.

Questo fenomeno non poteva, evidentemente, essere accettato dalla chiesa; soprattutto durante il medioevo fu profondamente modificato inserendovi concetti come la penitenza, il desiderio di misticismo: prevalse soprattutto la parte finale del rito, quello che prevedeva il ripristino del patto con dio, non avulso da un forte senso di colpa.

Questi fenomeni non sono caratteristici della sola cultura europea. I nativi americani attuavano il potlàc, analizzato nel Saggio sul dono di Marcel Mauss: l’autore interpreta la festa e il rito come movimenti economici rovesciati, volti cioè alla dilapidazione dei beni, delle energie e, nel caso della messa a morte rituale, alla dilapidazione della vita stessa. E durante le Sacee babilonesi, come nei Saturnalia, uno schiavo veniva vestito da re e gli si affidava ogni potere di offesa, scherno e rimprovero nei confronti dei padroni; nelle isole Sandwich e nelle isole Figi, la folla, alla morte del re, si dedicava a gesta ritenute di solito criminali: saccheggi, uccisioni, incendi. La furia non si placava finché il cadavere del capo non aveva terminato il proprio processo di decomposizione6.

E’ appena il caso di ricordare, perché non attiene direttamente a quanto stiamo

analizzando, come il fenomeno abbia dato il proprio contributo anche alla creazione di un certo tipo di teatro comico “di denuncia sociale”.

A partire dai giullari e dai buffoni, autori di una satira grottesca e grossolana, fino ad arrivare alle raffinatezze di Rabelais in cui compare un modo di ridere e di deridere la

6 A. CHALAMBALAKIS - Sacralità, rovesciamento e dispendio improduttivo - su “Ctonia” n° 2, Aprile 2008.

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società che sconvolge completamente ogni certezza dell’uomo, la “derisione delle meschinità” ha fatto molta strada.

Oggi si possono considerare suoi discendenti diretti il cabaret, il teatro di satira politica e il teatro del “nonsenso”.