l’esperienza di volontariato da parte dei protagonisti: il caso di gancio originale a reggio...
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Chi è l'autriceFrancesca Mancin, nata a Montecchio Emilia (Reggio Emilia) il 14 settembre 1978. Laureata in Psicologia ad indirizzo sperimentale e clinico-sociale presso il Dipartimento di Psicologia Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Parma in “L’esperienza di volontariato da parte dei protagonisti:il caso di Gancio Originale a Reggio Emilia” a luglio 2005 con votazione finale di 107/110. Attività di tirocinio svolta presso l’AUSL di Reggio Emilia Unità Operativa di Psicologia Clinica (UOPC). Servizio Civile volontario progetto: “Gancio Originale” (attività di volontariato giovanile dell’UOPC dell’AUSL di Reggio Emilia) e “Stanza di Dante”.Iscritta al secondo anno del Master in counseling professionale. Disclaimer Perché tanti adolescenti scelgono di far volontariato in Gancio Originale? Quali sono le motivazioni di chi, a vario livello, vi opera? Com’è percepito il ruolo dell’accompagnamento che ciascun “operatore” vive?Quali le difficoltà e i punti di forza di questa attività di volontariato?Una ricognizione sulle “persone” che prestano la loro attività in “Gancio” e un’indagine sulle loro emozioni, sono alcuni degli aspetti descritti nella mia tesi di laurea intitolata: “l’esperienza di volontariato da parte dei protagonisti: il caso di Gancio Originale a Reggio Emilia.”TRANSCRIPT
Dipartimento di Psicologia Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Parma
“L’esperienza di volontariato
da parte dei protagonisti: il caso di
Gancio Originale a Reggio Emilia”
di Francesca Mancin
luglio 2005
Relatore:
Maria Augusta Nicoli
correlatore:
Luisa Molinari
Indice
Premessa III
CAPITOLO PRIMO“LA QUESTIONE DELL’ADOLESCENZA”
I.1 Il periodo dell’adolescenza 1I.2 Le trasformazioni corporee: adattamento e reazioni psicologiche 2I.3 Cambiamento delle emozioni e degli affetti 5I.4 Il giovane d’oggi 8I.5 I cambiamenti dello stile educativo 11I.6 La socializzazione 14I.7 Il gruppo 17
I.7.1 La dinamica di gruppoI.7.2 Il gruppo come sistemaI.7.3 Il gruppo negli adolescenti
I.8 Il Tutor 25I.9 Il Mentore 28
CAPITOLO SECONDO“IL VOLONTARIATO”
II.1 Il Terzo Settore 33II.2 Alcuni numeri sul volontariato 35II.3 La relazione d’aiuto 38II.4 La conoscenza dell’altro 40II.5 Il comportamento prosociale 41II.6 Molte facce del volontariato 48II.7 Le motivazioni del volontariato 57
Premessa
CAPITOLO TERZO“GANCIO ORIGINALE”
III.1 Che cosa è Gancio Originale 62III.2 Nascita e sviluppo di Gancio Originale 63
III.2.1 Attività del 1998-’99III.2.2 Volontariato singolo
III.3 Modalità di realizzazione del progetto 74III.4 L’accompagnamento in Gancio Originale 84
CAPITOLO QUARTO “LA RICERCA”
IV.1 Gli obiettivi della ricerca 92IV.2 La metodologia 93IV.3 Analisi dei dati 99
IV.3.1 Se dico accompagnamento cosa viene in mente?IV.3.2 Motivazioni e aspettative di coloro che svolgono
l’attività in Gancio Originale IV.3.3 Gratificazioni e difficoltà in Gancio Originale IV.3.4 La bidirezionalità della relazione
IV.4 Conclusioni 133
Indice dei Grafici e delle Tabelle 137
Bibliografia 138
3
Premessa
Premessa
Non è difficile essere attratti da quella particolare fase della vita
che è l’adolescenza, contorta, complessa, a volte dolorosa, ma
affascinante per la forza delle pulsioni, per l’entusiasmo delle azioni,
per la radicalità delle scelte.
La seduzione nasce dal fatto che per me che ho pochi anni di
più, il mondo degli adolescenti presenta sorprendenti novità negli stili
di vita, nei comportamenti, nei codici, linguaggi di un universo che
cambia velocemente.
Cambiamenti sicuramente correlati alle trasformazioni sociali
avvenute nei paesi occidentali in questi ultimi anni ed in primo luogo,
la modificazione nella natura e nella composizione della famiglia, con
l’aumento dei divorzi e la maggior presenza di famiglie composte da
un solo genitore dove si ha una sostanziale modificazione delle
relazioni interne. L’insieme di questi fenomeni hanno contribuito a
portare al centro dell’attenzione di molti psicologi, il problema dell’età
adolescenziale.
In particolare ad alcuni i ragazzi appaiono passivi a scuola, non
rispettosi in pubblico, con pochi e futili valori, in realtà se osserviamo
con attenzione i loro comportamenti nei luoghi e nelle modalità loro
congeniali, li vediamo animarsi di tanta energia non solo nelle
discoteche, nei gruppi, nei luoghi di divertimento, ma anche in molte
altre forme come il volontariato.
Sappiamo tutti, che per i ragazzi la dimensione del tempo libero
assume un’importanza fondamentale come conquista di
un’autonomia che porta all’affermazione della persona, ed è davvero
ammirevole osservare che molti scelgano di dedicarne una buona
parte agli altri, visto la molteplicità delle sollecitazioni cui spesso essi
sono sottoposti; è ormai risaputo infatti, che le attività scolastiche,
Premessa
sportive, familiari, il divertimento e quant’altro, disegnano nei giovani,
ritmi e modi dell’esistenza spesso molto intensi.
Senza dubbio anche l’attività di volontariato è una forma di
sperimentazione di parti di sé, un laboratorio dell’esperienza che
aiuta nella costruzione della propria identità, ma non mi sembra
questa la motivazione consapevole, che li spinge ad intraprendere il
percorso, mi pare più probabile supporre che si tratti di una sfida con
se stessi, di curiosità verso mondi poco conosciuti, o il desiderio di
sentirsi protagonisti.
Tutti questi interrogativi mi hanno spinta ad avvicinarmi
all’associazione di Gancio Originale ed in seguito ad “arruolarmi”tra i
suoi militanti.
Un’associazione di volontariato quella di Gancio Originale, che
vede gli adolescenti costituire il cuore dell’organizzazione; loro infatti,
opportunamente supportati da adulti competenti, sono le risorse
attivate per aiutare i ragazzi più piccoli a superare le proprie difficoltà
scolastiche e relazionali.
Gli studenti delle scuole superiori accompagnano altri ragazzi e
a loro volta sono accompagnati da operatori, in modo da veder
raddoppiare l’efficacia della crescita personale in termini di
autostima, di considerazione, ma anche di competenze acquisite.
Nello svolgimento della mia tesi ho seguito a ritroso il percorso
che fisicamente ho compiuto: la curiosità ha motivato la ricerca
innescando un coinvolgimento diretto ed un approfondimento dei
presupposti teorici ad essa legati.
Per prima cosa ho cercato di conoscere meglio il mondo
dell’adolescenza nei suoi vari aspetti fisici, psicologici e sociali, per
indagare le problematiche relative agli adolescenti attuali anche
rispetto ai nuovi modelli educativi.
Particolare attenzione ho dedicato all’aggregazione in gruppo
che nei giovani acquisisce un’importanza quasi unica nel percorso
della vita.
5
Premessa
L’adolescente vivendo in famiglia, a scuola e fuori dalla scuola
con amici, si colloca in gruppi di riferimento e di appartenenza che
contribuiscono a costruire importanti occasioni di crescita.
Per concludere questa sezione, ho cercato di verificare
l’esistenza ed il ruolo, di figure di riferimento quali il tutor ed il
mentore.
Successivamente mi sono documentata sul mondo del
volontariato sia dal punto di vista storico, sia delle persone che ne
sono coinvolte: “seconda società”, “società invisibile”, “terzo
sistema”, “sesto potere”, sono solo alcune delle varie definizioni,
anche suggestive, che sociologi e politici danno del fenomeno, ormai
vasto e capillarmente radicato nel tessuto sociale, che va sotto il
nome di Volontariato.
Qualche ora al giorno, qualche giorno alla settimana, pochi e
molti anni della vita a sostegno di chi soffre di più; un panorama
amplissimo e diversificato, che vede unirsi solidarietà antiche e forme
nuovissime di impegno civile.
Non poteva mancare poi una descrizione dettagliata di questa
particolare associazione reggiana che è Gancio Originale, di come
essa è nata e quali sviluppi ha maturato nel tempo al fine di
rispondere meglio al bisogno d’aiuto dei ragazzi delle scuole
elementari e medie.
Nell’ultima parte della tesi esporrò tutte le fasi della mia ricerca
partendo dagli obiettivi, dalle scelte metodologiche di definizione del
campione e di raccolta dei dati, per passare poi alla descrizione degli
strumenti utilizzati, alla tabulazione e rappresentazione dei risultati
corredate da un commento interpretativo.
6
messa
I.1 Il periodo dell’adolescenza
CAPITOLO I
“LA QUESTIONE
DELL’ADOLESCENZA”
“Odaer pensò che i suoi momenti di tristezza, di
angoscia e di solitudine, le sue notti di veglia, non
erano stati vani. La farfalla era nata anche dalle
sue lacrime.
Pensò che, per ricordare i suoi sforzi e perché
nessuno si ingannasse credendo che la bellezza
non costasse fatica, avrebbe fatto in modo che le
farfalle fossero delle brutte larve che in seguito si
sarebbero trasformate nell’insetto più bello…”
(G. Belli, La fabbrica delle farfalle)
La questione dell’adolescenza
L’adolescenza corrisponde al passaggio dallo status sociale del
bambino a quello dell’adulto ed è variabile per durata, qualità,
significato da una civiltà ad un’altra e da epoca ad epoca.
L’adolescenza costituisce un periodo di rapidi e profondi
cambiamenti.
Lo sviluppo fisico è certamente uno di tali cambiamenti e si
caratterizza dal punto di vista cronologico, per l’essere uno dei primi
poiché esso si realizza nella prima parte dell’adolescenza.
La pubertà è il passaggio dalla condizione fisiologica del
bambino a quella dell’adulto (11-15/16 anni), sono cambiamenti
rapidi, profondi e molteplici dove possono apparire le così dette
disarmonie evolutive (parti del corpo che crescono di più di altre).
Nelle società moderne si assiste a quella che viene chiamata
Tendenza secolare, che corrisponde ad una precocità maturativa
da attribuirsi al miglioramento dell’alimentazione, all’assistenza
sanitaria e al miglioramento delle condizioni generali di vita rispetto al
secolo scorso. Il fenomeno di anticipazione della pubertà, si connette
con un altro fenomeno, che è di tipo sociale e che consiste nel ritardo
della “maturità sociale”. Il periodo di indeterminatezza fra l’infanzia e
la condizione adulta si allunga, creandosi dunque un divario fra la
precocità della maturazione fisica e il ritardo della maturità sociale
(Marocco Mattini, 2001). Si può parlare pertanto, di preadolescenza
(9-12 anni), di una prima adolescenza (11-14 anni), di una seconda
adolescenza (14-18 anni) e di una postadolescenza, in cui vanno a
intricarsi fattori di natura biologica e fattori di natura individuali di
natura psicologica e sociale.
Ne consegue, che gli studi più recenti hanno messo in rilievo
l’esigenza di una visione più complessa ed articolata delle
problematiche adolescenziali. Si è passati dal modello CLASSICO
dell’adolescenza come momento di passaggio all’età adulta,
contraddistinto da una crisi profonda dei valori e dei significati ad una
8
Capitolo I
visione dell’adolescenza come fase autonoma e prolungata della
crescita umana in cui il soggetto deve far fronte ad una serie di
compiti specifici di sviluppo connessi con cambiamenti biologici,
psicologici e sociali. In maniera più flessibile, si possono identificare
tre ordini di compiti generali connessi con:
la pubertà ed il risveglio delle pulsioni sessuali;
la definizione dell’identità ed il concetto di sé;
incremento delle competenze intellettuali e sociali.
I.2 Le trasformazioni corporee:
adattamenti e reazioni psicologiche
La difficoltà principale che un adolescente incontra di fronte a
modifiche corporee, talvolta rapide e disarmoniche è quella di
riappropriarsi del corpo che si trasforma. L’esistenza di notevoli
differenze individuali relativamente all’età di inizio dello sviluppo
produce rilevanti effetti psicologici. Studi classici sull’argomento
hanno indicato che i ragazzi a sviluppo precoce sono più spesso
popolari o leaders tra i compagni. Essi hanno un immediato
vantaggio dalla forza fisica che fornisce loro una superiorità sui
coetanei. I ragazzi a sviluppo tardivo devono invece attuare strategie
per evitare rischi di emarginazione (ad esempio, diventare gli
“intelligenti” o i “buffoni”). Le ragazze a sviluppo precoce hanno
problemi diversi:
necessità di far fronte all’interesse da parte dell’altro sesso,
difficoltà di ordine fisico (in particolare per le prestazioni
sportive).
In ogni caso l’immagine del proprio corpo che si trasforma dà
luogo ad importanti implicazioni psicologiche, in quanto comporta il
mettere in discussione la stessa Identità personale. Le
9
La questione dell’adolescenza
trasformazioni del corpo, lo sviluppo dei caratteri sessuali con i loro
segnali (menarca, eiaculazione) l’insorgere di nuove tensioni istintuali
e la modificazione dell’umore incrinano la sicurezza verso il proprio
corpo ed il controllo delle proprie pulsioni che erano state alla base
della sicurezza di sé durante il periodo della latenza.
Prima che venga acquisita una nuova stabilità dell’immagine di sé,
la novità dello sviluppo con le sue peculiarità e irregolarità, comporta
un periodo di insicurezza e talvolta sentimenti di parziale estraneità
del proprio corpo. Sull’aspetto fisico possono focalizzarsi
preoccupazioni generali concernenti la propria identità, la propria
adeguatezza sociale e sessuale ed il controllo delle proprie pulsioni.
Emergono atteggiamenti ipercritici dovuti alla forte presa di
coscienza del sé (sia per i fattori cognitivi che per lo sviluppo dei
sentimenti di separazione e di individuazione). La propria immagine
viene messa in discussione e, soprattutto, confrontata con i modelli
sociali.
Molti problemi e difficoltà sorgono, nella ricerca di adeguatezza
a modelli ideali specialmente in adolescenti che soffrono di disturbi
estetici specifici (acne) o difetti o di menomazioni, ma presenti anche
in adolescenti molto vicini agli standard ideali.
10
Capitolo I
(Edvard Munch, Pubertà)
Piccoli particolari vengono focalizzati con grande ansietà e
possono provocare sentimenti di inadeguatezza o di
insoddisfazione anche quando non si discostano dalla media (è
significativo che gli adolescenti di un gruppo tendono a considerarsi
inferiori alla media del proprio gruppo per quel che riguarda le
caratteristiche fisiche). I riferimenti ai cambiamenti corporei vengono
espressi più spesso nella fascia di età compresa tra i 12 e i 14 anni (i
ricercatori stimano una specifica insoddisfazione per tali mutamenti in
un terzo circa di adolescenti di questo arco di età).
Non bisogna, tuttavia, enfatizzare l’entità delle difficoltà di
adattamento alle trasformazioni fisiche in quanto lo sviluppo della
11
La questione dell’adolescenza
conoscenza di sé procede dal fisico-corporeo allo psicologico, con
il progressivo prevalere di concezioni di sé più astratte e centrate su
modi di essere e di pensare piuttosto che sulla sola immagine fisica. È
per questo motivo che quando le preoccupazione per l’aspetto fisico
non sono limitate e temporanee, si può pensare che esse siano spie di
disagi che investono altri aspetti della crescita, come la difficoltà per
l’accettazione del proprio ruolo sessuale o dello sviluppo verso
un ruolo adulto o verso la necessità di definire la propria
identità. Tali fenomeni sono spesso accompagnati da ansietà e sensi
di colpa.
I.3 Cambiamento delle emozioni e degli
affetti
Anche sul versante emozionale ed affettivo hanno luogo una serie
di cambiamenti che dipendono da molteplici cause:
la spinta delle pulsioni in rapporto allo sviluppo ormonale e
sessuale,
la capacità da parte dell’io di tollerare gli istinti,
la natura e l’efficacia dei meccanismi di difesa.
Si ha nell’adolescenza, un processo di distacco da parte
dell’adolescente che comporta la rinuncia alla dipendenza e
l’indebolimento dei legami formatisi nella prima infanzia e rimasti fino
alla pubertà la fonte principale di nutrimento emotivo. Il processo di
formazione dell’individualità dipende dalla recisione dei vari legami di
attaccamento dell’infanzia, ma questi legami possono allentarsi solo
se vengono rielaborati i conflitti infantili per giungere ad un nuovo e
più maturo controllo dei conflitti passati. Si tratta di un processo non
12
Capitolo I
disgiunto da ansie ed incertezze che dà luogo ad una serie di
condotte regressive fisiologiche, quali:
stato di fusione emozionale (partecipazione appassionata ed
improvvisa a gruppi religiosi o di altra natura);
orientamento all’azione, più che all’uso del pensiero o del
linguaggio verbale;
attività frenetica, con ricerca di sensazioni forti per riempire il
vuoto causato dai sentimenti di perdita delle certezze e delle
relazioni infantili;
idealizzazione dei personaggi dello spettacolo e dello sport,
con cui identificarsi ma nell’impossibilità di confrontarsi
realmente;
instabilità emotiva, esibita nelle relazioni, le contraddizioni
tra pensiero e sentimenti ed il passaggio apparentemente
illogico tra una reazione e quella opposta.
Strettamente connessi a questi atteggiamenti, commutati
dall’ambivalenza sono l’anticonformismo e l’atteggiamento ribelle,
non scevri da dipendenza e sentimenti di colpa. La svalutazione
delle figure parentali può diventare un mezzo per distaccarsi da
loro. Il venir meno degli oggetti di identificazione infantile costituisce
una vera e propria esperienza di perdita di sé insieme ai legami
d’amore infantili. Tale esperienza è stata assimilata al “lutto”.
Nella prima fase dell’adolescenza prevalgono proprio
l’ambivalenza ed i meccanismi di negazione, che lasciano sentimenti
di incertezza ed insicurezza ed il bisogno di ricercare rassicurazioni.
Per il maschio una forma di rassicurazione viene spesso
dall’appartenenza ad una banda/gruppo di coetanei, che permette
di esprimere aggressività, socializzare la colpa, difendere la propria
incertezza d’identità. Per le ragazze è invece la ricerca dell’“amica
del cuore”, attraverso la condivisione dei sentimenti e
13
La questione dell’adolescenza
l’identificazione reciproca. C’è in questo periodo una specie di
“fame” di identificazione con la ricerca di una figura da
idealizzare e di cui introiettare aspetti e caratteristiche ideali,
che vengono poi velocemente abbandonate e persino criticate.
La seconda fase dell’adolescenza è caratterizzata da un
investimento sui propri pensieri ed emozioni. L’interesse è centrato su
sé, spesso anche quando si rivolge ad oggetti esterni: gli
innamoramenti o le discussioni sui valori o sui problemi dell’umanità
sono mezzi per raggiungere la consapevolezza di sé oltre che passi
per realizzare un contatto più profondo con il mondo esterno.
Alla fine dell’adolescenza, con il compimento dello sviluppo
psicosociale, il carattere sessuale dell’individuo è definitivamente
formato. IL COMPITO EVOLUTIVO dell’adolescente è di riuscire a
progettare la propria vita, operando scelte professionali, sociali
(identità), o, al contrario esperire la CONFUSIONE DEI RUOLI.
Pertanto i processi di individuazione (emanciparsi dalla
dipendenza psicologica), di differenziazione (autonomia dai vari
membri della famiglia) e di sviluppo della propria identità sono
questioni centrali nell’adolescenza.
Il cambiamento cognitivo porta a rivolgersi verso sistemi di
pensiero di tipo ideologico, con tendenza all’estremizzazione.
Centrale è il ruolo del gruppo le cui funzioni possono essere
schematizzate come:
base sicura;
riferimento per i valori;
rapporti intimi ed esclusivi.
La scuola costituisce un ambito di socializzazione centrale ed un
luogo di importanza primaria per la definizione dell'identità
adolescenziale. In tale ambito, gli adolescenti sperimentano
14
Capitolo I
relazioni sia con i propri coetanei, sia relazioni con adulti significativi;
in particolare, è la qualità del rapporto con gli insegnanti, che spesso
si configura come problematica, a rivestire un'importanza
fondamentale. La percezione di essere considerati e trattati con
giustizia dai propri referenti adulti significativi contribuisce in maniera
considerevole ad una positiva ristrutturazione del concetto di sé ed
alla soddisfazione di sé in termini di autostima personale e collettiva.
Questa è una fase della vita da non sottovalutare infatti, si è
stimato che entro il 2020 il 50% dei bambini avrà problemi di natura
neuropsichiatrica.
E' una notizia sconvolgente, fonte dell'Organizzazione Mondiale
della Sanità. Inoltre dal 1964 ad oggi i suicidi da parte degli
adolescenti sono raddoppiati, facendo balzare al terzo posto questa
causa di morte fra i giovani compresi tra i 15 e i 24 anni.
I.4 Il giovane d’oggi
Ogni società si preoccupa di fare in modo che il mutamento degli
individui, i loro passaggi da una condizione ad un’altra avvengano
senza che siano compromesse la coesione e la continuità sociale; ogni
società predispone quindi regole e meccanismi che controllano questi
cambiamenti. Ma in una società moderna come la nostra dove non
esiste più una perfetta coincidenza fra polo biologico e quello
psicosociale, dove anzi tale divario è andato aumentando si è andato
così perdendo, il duplice significato che il passaggio assume per il
giovane, come funzione di sostegno e di ancoraggio alla sua identità
in un momento di rapido cambiamento, e all’adulto come funzione
difensiva di fronte all’emergere di una nuova generazione dagli incerti
confini. Tutto ciò, come ha messo in evidenza Van Gennep (1988),
viene affrontato attraverso la definizione di una triplice rete di
cerimonie:
15
La questione dell’adolescenza
di separazione, che agevolano il distacco dell’individuo da una
situazione originaria;
di definizione di stato di margine, dove l’individuo è collocato in
uno stato di sospensione;
di aggregazione, che assecondano l’introduzione della persona
nel nuovo gruppo, in questo caso in quello degli adulti.
Nelle culture tradizionali, gli elementi di fondo che definivano la
triplice ritualità del passaggio consistevano in:
alto tasso di cerimonializzazione,
nella presenza di adulti che officiavano il passaggio,
tutti i rituali si svolgevano di fronte alla comunità.
Tali rituali si configurano come un ponte, un termine di mediazione
tra due regni. Il pensiero primitivo è tutto dominato dalle
rappresentazioni collettive, d’origine sociale, mentre nella civiltà
occidentale, caratterizzata dall’emergere dell’individuo, il giovane
affronta il passaggio sempre più solo e senza il conforto di cerimonie
sociali che attestino, agli occhi di tutta la società, il suo ingresso nella
comunità adulta. Questa cerimonia privata di passaggio, da un lato
testimonia l’importanza per il giovane di dotarsi di segnali che
attestino il cambiamento anche in assenza di cerimonie gruppali di
passaggio, dall’altra ci lascia capire che la società adulta oggi non
sembra avere più al proprio interno quegli adulti che nelle società
tradizionali svolgevano l’importante funzione di rendere sociale, cioè
condiviso da tutta la comunità.
Nel passato, pertanto, i riti di passaggio sancivano lo status di
adulto e conferivano l’appartenenza alla nuova categoria sociale.
Le trasformazioni corporee erano quindi sottolineate e le abilità
fisiche e psichiche erano integrate nella nuova identità, sia personale
sia sociale.
16
Capitolo I
Misurarsi con la realtà, attraverso le conseguenze che le azioni
hanno, induce alla maturazione mentre il ritardo nel fare esperienze
responsabilizzanti protrae l’adolescenza.
Abbiamo già visto come alla anticipazione della maturità biologica
non corrisponde oggi un riconoscimento dell’appartenenza al mondo
adulto, nonostante un’innegabile maggiore libertà sessuale, peraltro
concessa in modo contraddittorio e vissuta con ambivalenza.
La maggior durata degli studi e la dipendenza economica che ne
consegue, sono da considerare fra le radici di una condizione in cui
l’individuo non è aiutato a raggiungere una piena autonomia e
responsabilità.
Una condizione diffusa, normale e auspicabile come quella del
prolungamento degli studi rappresenta per il futuro adulto una
opportunità positiva per lo sviluppo di una personalità ben
differenziata oltre che per l’affermazione nella società. Anzi si osserva
che chi non frequenta la scuola potrebbe andare incontro ad una
“adolescenza mancata”, nella quale è ancor più difficile raggiungere
una precisa identità sociale e personale (Palmonari, 2001) e
l’adolescente è ancor più influenzato da mode e pressioni
consumistiche. E’ stato osservato che l’esperienza scolastica fornisce
le basi per la comprensione del funzionamento dei diversi sistemi
istituzionali: le relazioni si svolgono infatti entro un quadro di
riferimento fornito dal regolamento, che offre norme di
comportamento in parte diverse da quelle che governano altre forme
di relazione interpersonale conosciute dall’allievo. Chi non ha
continuato la scuola manca di questa esperienza: non sempre gli
ambienti extrascolastici forniscono gli stessi stimoli per una
competenza sociale, e i rischi di trovarsi in condizione di marginalità
sono maggiori (Palmonari, 2001). Sono necessari contributi educativi
mirati, che compensino in entrambe le condizioni, dello studente e di
chi non studia più, le tendenze frenanti l’autonomia psicologica e
aiutino a trovare il senso dell’esistenza.
17
La questione dell’adolescenza
I.5 I cambiamenti dello stile educativo
Oltre ai fattori ambientali e sociali citati, un’altra radice di
immaturità protratta viene ricondotta a problematiche riguardanti lo
stile educativo. Si possono individuare tra le cause della perdurante
immaturità i modelli offerti, meno precisi e differenziati che nel
passato (Besozzi, 1993).
Quest’ultimo punto è particolarmente importante come oggetto
di riflessione, in quanto lo stile educativo è nel tempo cambiato, sia a
livello familiare che scolastico (Marocco Muttini, 1996).
Come è variato nel tempo lo stile genitoriale?
Nella società del passato, il padre non si occupava direttamente
dell’allevamento della prole, era distante, non però assente (Quaglia,
2001).
Già dall’infanzia il bambino trova, nelle regole, un aiuto per
costruire il rapporto con la realtà (Rosenfeld, 1992), il bambino ha
bisogno di ricevere regole dall’esterno, che impongono un
contenimento alle sue pulsioni non ancora controllabili e modulate
(Philips, 1999).
All’epoca adolescenziale, quando le pulsioni sessuale e
aggressive diventano, per fattori biologici legati alla pubertà, più
intense, le regole sono anche più necessarie (Pietropolli Charmet,
1990), per apprendere a controllare gli impulsi con la razionalità e
modulare le emozioni.
L’adolescente ha bisogno, per potersi differenziare verso
un’identità nuova, di incontrare degli ostacoli, cioè un certo grado di
frustrazione e contenimento da parte degli adulti, a cui potersi
opporre: l’adolescente sfida l’adulto per misurare la propria forza
(Gould, 1978), ma ricerca nell’altro stabilità, solidità, autorevolezza,
perché non li possiede ancora in prima persona e deve costruirli.
18
Capitolo I
Attraverso la sfida impara quanto può fidarsi di se stesso oltre
che degli altri. Anche quando il gruppo sembra diventare più
importante rispetto alle figure adulte, queste devono continuare a
proporsi, perché la loro presenza rimane fondamentale (Chiosso,
1994). Non sempre invece esiste presso i genitori e gli insegnanti la
consapevolezza di esercitare, nell’adolescente, un ruolo di rilievo
(Midgley, Feldlaufer, Eccles,1988).
La formazione dell’Io e la prevenzione delle situazioni
psicopatologiche come devianza, perversioni, dipendenze, richiede
uno stile educativo solido, esercitato da persone che rappresentino
modelli validi: si ritiene in particolare che un buon rapporto col padre
aiuti a sviluppare competenza intellettuale e responsabilità e un buon
rapporto con la madre favorisca il controllo emotivo (Vaughn e Balk,
1988).
Ne deriva l’equivalente importanza dei due codici materno e
paterno per la costruzione delle capacità relazionali-empatiche da un
lato e delle competenze cognitivo-comunicative dall’altro. Le due
funzioni, materna e paterna sono oggi più vicine: si parla di famiglia
simmetrica (Besozzi, 1993) nella quale i ruoli sono intercambiabili.
Questo andamento è incominciato negli anni ‘60 e ha trovato
terreno in una caduta, nel clima culturale, del principio di autorità.
Baumrind (1975), riconduce le caratteristiche dello stile parentale a
due dimensioni fondamentali e necessarie: l’accettazione del figlio
per quello che è, valorizzando le sue qualità senza pretendere di
modellarlo a propria immagine, e il controllo, cioè una funzione di
guida sia sul piano psicologico attraverso la propria presenza
incoraggiante, sia sul piano del comportamento, criticando e lodando
in modo appropriato. Come si può vedere, questo punto di vista
ricalca quello che già Adler (1975), sosteneva essere il ruolo
dell’educatore. Nell’adolescenza, mentre attraverso esperienze
molteplici di rapporto col mondo esterno, col gruppo dei pari, con altri
adulti, si va delineando la personalità, l’accettazione e il controllo
19
La questione dell’adolescenza
sono aspetti che definiscono la qualità del rapporto con le figure
significative. Si può aggiungere il sostegno, funzione necessaria nei
momenti di crisi, come gli stress acuti o le situazioni di difficoltà
protratte, in cui l’adolescente ha bisogno di pause, o di poter anche
temporaneamente regredire, prima di riprendere il suo percorso di
individuazione.
La funzione di sostegno può essere esercitata in modo vicario
da adulti esterni protettivi in casi di carenze educative familiari che
possono essere legate a gravi disagi ambientali, ma possono anche
essere quelle determinate da genitori eccessivamente autoritari o
viceversa permissivi nel senso di troppo indulgenti o percepiti dal
minore come privi di interesse per lui (Polmonari, 1998).
La personalità dell’insegnante può assumere una funzione
correttiva delle disfunzioni familiari e la scuola può sostituirsi quindi
con contributi educativi alla funzione normativa carente (Cristiani,
1990). È proprio questa istituzione, la scuola, che attraverso il
passaggio da una classe all’altra, da un ciclo all’altro oggettivamente
sancisce le tappe della crescita, ma la scuola spesso non è
consapevole di svolgere questa funzione anche se è proprio in ambito
formativo che avviene, quell’incontro finale, fra adulti che svolgono
funzioni di tutoring e di accompagnamento e giovani che si
apprestano a essere aggregati alla comunità degli adulti.
Altrettanto utile risulta il confronto con adulti autorevoli con i
quali gli adolescenti abbiano possibilità di incontrarsi, come educatori,
psicologi, medici, istruttori sportivi. Ogni persona che rivesta una
funzione educativa è per l’adolescente anche un modello di
identificazione e quindi il suo ruolo è formativo in modo allargato.
Per formare un sistema di valori autonomo l’adolescente deve
potersi confrontare con figure forti e stabili. Anche quando il giovane
non condivide le idee dei genitori, attraverso il confronto, magari
anche l’opposizione, può crescere. Le istituzioni educative, dalla
prima, la famiglia, a quella scolastica che è l’agenzia educativa
20
Capitolo I
precipuamente investita della formazione, alla società in generale che
deve essere vista come un’organizzazione a rete di attori interagenti,
sono chiamate a dare il proprio contributo. Ognuna deve dimostrare
coerenza, costanza, coscienza del ruolo, consapevolezza dei propri
limiti, e congiuntamente concorrere alla imposizione delle regole alle
quali il giovane deve ottemperare. La speranza di costruire una
struttura sociale giusta e rispettosa per tutti poggia su uno stile
educativo nel quale diritti e doveri, regole e punizioni siano chiari,
definiti, certi.
I.6 La socializzazione
Abbiamo già sottolineato, come nel corso dello sviluppo
l’individuo interagisce con diverse agenzie di socializzazione, le quali
creano un complesso intreccio di relazioni che, fin dalla nascita,
costituiscono la trama entro la quale si snoda lo sviluppo del
soggetto.
La socializzazione si riferisce ai processi per mezzo dei quali i
modelli di ciascuna società sono trasmessi da una generazione ad
un’altra. È un processo di interiorizzazione attraverso il quale
l’individuo viene inserito nel mondo oggettivo di una società o di un
settore.
La socializzazione primaria (acquisizione delle competenze di
base), è quella dell’infanzia, attraverso cui l’individuo diventa
membro della società. Tramite l’identificazione il bambino assume
ruoli ed atteggiamenti delle persone per lui importanti.
Una fase decisiva è la formazione dell’altro generalizzato:
attraverso una progressiva astrazione degli atteggiamenti e dei ruoli
degli “altri in particolare” a quegli degli “altri in generale” l’individuo
interiorizza la società, la realtà e si forma un’identità, si attiva il
processo di costruzione delle regole e delle norme. I contenuti
21
La questione dell’adolescenza
specifici che vengono interiorizzati variano, in funzione della società
di appartenenza, della posizione sociale e delle particolari
caratteristiche degli adulti.
La socializzazione secondaria è ogni processo successivo, che
introduce l’individuo in nuovi settori della società. È l’interiorizzazione
di sottomondi istituzionali e comporta l’acquisizione di conoscenze
legate a ruoli. Il periodo dell’adolescenza è quel periodo in cui si
realizza la socializzazione secondaria e cioè quel periodo durante il
quale gli individui acquisiscono conoscenze legate specificamente ai
ruoli e alle posizioni sociali che essi occupano nella società; ruoli e
posizioni sociali che sono variamente connessi alla divisione del
lavoro presente nella società.
È opinione consolidata che questa fase della socializzazione
richieda un’identificazione emotiva con adulti significativi meno
intensa di quella inevitabile per la socializzazione primaria, ma
occorre pur sempre un certo grado di identificazione reciproca,
necessario in ogni comunicazione fra esseri umani.
In termini generali, la socializzazione secondaria implica riti più o
meno espliciti e ufficiali di iniziazione al mondo adulto (Mead, 1928),
periodi di apprendistato o noviziato, e l’esperienza di possibili
transizioni ecologiche che punteggiano il ciclo di vita degli adolescenti
e poi degli adulti.
Le agenzie di socializzazione possono essere:
intenzionalmente educative: famiglia, scuola, chiesa ecc.
non intenzionalmente educative: gruppo di pari, mass media,
consumi culturali, tempo libero, sport ecc.
Esistono inoltre diversi modelli di socializzazione che possono
essere così distinti:
22
Capitolo I
Modello di socializzazione tradizionale
modalità trasmissiva, percorso graduale e verticale, percorso a più stadi: a fasce di
età corrispondono contenuti particolari mediati da specifiche agenzie (famiglia, scuola, gruppo di pari ecc.)
Modello di socializzazione nelle società complesse
modalità interattiva, modalità non lineare, molte agenzie competono, anche
quelle non intenzionalmente educative (diventa importante l’extra scuola e il tempo libero)
Pluralizzazione della socializzazione
Tabella 1 – Due diversi modelli di socializzazione: Modello di socializzazione tradizionale e Modello di socializzazione nelle società complessa.
I.7 Il gruppo
Un gruppo sociale è costituito da un certo numero di individui che
interagiscono l’uno con l’atro con regolarità. Questa regolarità di
interazione tiene insieme i partecipanti, dando vita a una distinta
unità con una propria complessiva identità sociale. I membri di un
gruppo si aspettano determinate forme di comportamento l’uno
dall’altro, che non sono invece richieste ai non appartenenti. I gruppi
differiscono quanto a dimensioni: vanno da associazioni intime, come
una famiglia, a collettività più ampie, quali un circolo sportivo.
23
La questione dell’adolescenza
I.7.1 La dinamica di gruppo
La dinamica di gruppo prende in esame l’influenza reciproca tra
i membri di un gruppo e ne analizza l’interdipendenza tra le persone.
Alla base della dinamica di gruppo matura il processo di
socializzazione. Qualunque cambiamento di un membro determina un
cambiamento di tutti gli altri membri; ciò determina stati di equilibrio
instabile fino al raggiungimento di un comportamento adattivo
equilibratore. La dinamica di gruppo segna il passaggio da concetto di
personalità a quello di sintalità. In un soggetto-individuo, la
personalità è il modo in cui egli interpreta e rende unica ed unitaria la
propria esperienza, secondo l’idea di sé; la sintalità è il modo in cui un
gruppo interpreta e rende unica ed unitaria la propria esperienza,
secondo la pluralità vissuta. Essendo il gruppo un “organismo vivo”
dotato di potenzialità conoscitive ed operative comuni e condivise, la
sintalità (o “sintesi delle personalità”) è il processo di costruzione di
una “personalità del gruppo”, della sua immagine e della sua identità.
la sintalità è bassa quando il gruppo è estremamente frammentato,
con relazioni deboli e inconsistenti; è elevata quando il gruppo e
coeso, compatto, solidale.
I.7.2 Il gruppo come sistema
Un sistema è un complesso di elementi in interazione. La
complessità del sistema è data da:
numero degli elementi,
specie (tipologie) degli elementi,
relazioni tra elementi.
24
Capitolo I
Gli elementi in un gruppo sono, ovviamente, le persone e le
relazioni e questi all’interno del gruppo variano a seconda:
delle caratteristiche delle persone,
dell’ambiente in cui il gruppo opera,
delle finalità per cui il gruppo opera.
Il gruppo come sistema sociale è:
aperto: influenzato e condizionato dall’ambiente (sono
particolari i gruppi “chiusi”, i clan o le “bande”, presenti anche
tra gli adolescenti),
dinamico: in evoluzione continua a causa delle interazioni fra
gli elementi del gruppo e con l’esterno,
probabilistico: procede in modo euristico, con risultati
possibili e/o probabili, ma non certi.
Anche gli studi sui gruppi, secondo l’approccio sistemico, derivano
dall’intersezione di molteplici discipline; in particolare della
cibernetica, della teoria dell’informazione, della teoria della
comunicazione, dell’antropologia culturale e dalla prossemica. La
prossemica, è lo studio delle relazioni e delle distanze interpersonali
che si stabiliscono tra gli individui, tra loro e gli oggetti che usano e
gli spazi in cui agiscono.
Per ciò che riguarda la distanza tra le persone, Hall (1966) ha
individuato quattro categorie:
intima: è una non-distanza, contatto fisico, ruolo determinante
del corpo e degli arti, del calore, dell’odore, dello sguardo, della
bassa tonalità della voce,
personale: distanza di due braccia (nel darsi la mano), per
argomenti personali e professionali; è determinata da status,
posizione, ruolo, sguardo, giusta tonalità della voce,
25
La questione dell’adolescenza
sociale: da 1 a 4/5 metri, contatto formalizzato; è determinata
da ruolo, status, posizione, asimmetria, contatto oculare, voce
poco flessibile,
pubblica: oltre i 5 metri; conferenza, tribuna, comizio, spesso
intervengono i media.
Le distanze “corrette” per la relazione d’aiuto sono la “personale” e la
“sociale”. Eppure possono avverarsi anche le altre due (intima,
pubblica).
I.7.3 Il gruppo negli adolescenti
Durante l’adolescenza cresce il bisogno di ridefinire la relazione
con alcune entità sociali significative, in primo luogo la famiglia, e di
intensificare il rapporto con altre, in particolar modo i coetanei. Lo
spostamento da un centraggio sulle relazioni familiari ad un
centraggio sulle relazioni amicali è alla base del processo di
modificazione del sistema di sé vissuto dall’adolescente.
Il gruppo di pari è stato descritto come un laboratorio nel quale
il ragazzo e la ragazza possono sperimentare scelte e comportamenti
autonomi; i coetanei vengono identificati come il più importante
oggetto di confronto sociale nella costruzione dell’identità
dell’adolescente.
26
Capitolo I
I coetanei rappresentano un riferimento normativo e
comparativo importante; le relazioni amicali offrono all’adolescente
molteplici opportunità per conoscere le strategie che gli altri usano
per affrontare problemi simili a quelli in cui il soggetto si sente
impegnato in prima persona e per osservare quali effetti sono in
grado di produrre.
Il rapporto e il confronto con i pari permette all’adolescente di
esplorare nuovi spazi e di valutare in modo autonomo, al di là del
controllo degli adulti, il proprio comportamento e le proprie scelte.
Il gruppo amicale viene vissuto come un sostegno strumentale
ed emotivo in grado di incidere nella costruzione della propria
reputazione e della propria visibilità sociale.
27
La questione dell’adolescenza
(Chagall, Il giocoliere)
Gli adolescenti sperimentano modalità di aggregazione
spontanea; intrattengono cioè rapporti interpersonali, generalmente a
piccoli nuclei, che si alimentano attraverso iniziative gestite al di fuori
dell’ingerenza adulta. Nella piena adolescenza il gruppo informale
viene percepito da buona parte degli intervistati come la modalità
aggregativa più rispondente alle attese e agli interessi del momento.
Dai dati di ricerca risulta che in Italia più del 90% degli
adolescenti, selezionando nella rete di rapporti interpersonali che è
28
Capitolo I
tipica della propria esperienza, individua come riferimento
significativo del proprio processo di crescita la partecipazione ad uno
specifico gruppo (formale o informale) di coetanei, alla cui frequenza
dedica parte del tempo quotidianamente disponibile.
Se l’aggregazione informale non è tipica di una sola categoria di
adolescenti, è vero invece che la composizione di ciascun gruppo
risulta assai omogenea (Amerio et al., 1990; Baraldi, 1988):
provenienza sociale, contesti culturali, condizione scolastica o
lavorativa, look esteriore, linguaggio, modalità di interazione, stili di
comportamento e rappresentazioni sociali, sono gli elementi che
accomunano nel quotidiano gli adolescenti all’interno di una
medesima categoria aggregativa. Questa omogeneità di provenienza
e di esperienza è uno dei principali fattori che entrano in gioco nella
formazione naturale del gruppo; ciò significa che gli adolescenti si
“cercano” e si aggregano sulla base della somiglianza.
Lo stare insieme (senza scopi precisi) e il parlare rappresentano
le attività più importanti, e più cariche di significati emotivi, del
gruppo. Per tutti i partecipanti è fondamentale mantenere aperti i
canali di comunicazione con gli altri membri e questa garanzia è data
soltanto dalla frequentazione continua degli amici.
Il peso delle relazioni con i genitori si modifica
progressivamente per lasciare spazio ad un diverso e più intenso
rapporto con i coetanei, in quanto questi ultimi diventano l’oggetto
più prossimo di identificazione. Anche se non tutti i nuclei amicali
mostrano al loro interno lo stesso livello di coesione, nella maggior
parte dei casi il gruppo costituisce un punto di riferimento
fondamentale nel processo di costruzione dell’identità adolescenziale.
Infatti tutti gli adolescenti sono impegnati in un processo di
differenziazione e identificazione, sia in rapporto con gli adulti, sia in
rapporto con i diversi gruppi di coetanei categorizzati o come simili a
sé o come molto diversi da sé e dalla propria esperienza sociale.
29
La questione dell’adolescenza
Durante l’adolescenza i coetanei diventano il più importante
oggetto di confronto sociale e rappresentano un riferimento
normativo e comparativo per valutare in modo autonomo, al di fuori
degli adulti, il proprio comportamento. La partecipazione a gruppi
formali tende a calare, con il rispettivo aumento dell’aggregazione
spontanea. Gradiscono le aggregazioni informali, in quanto le sentono
più flessibili, non hanno bisogno di darsi ragioni tematiche, si
adattano meglio ai tempi di vita quotidiana e agli spazi informali che
si possono ricavare al loro interno.
In queste dinamiche il gruppo assolve a importanti funzioni di
contenimento, di indirizzo, di regolazione, secondo la logica del
laboratorio di vita che, pur con piccoli dosaggi, risulta in grado di
liberare potenzialità difficilmente intuibili. Ad esempio nel gruppo
riescono a convivere istanze di omogeneità e spinte alla
differenziazione, che la persona da sola difficilmente riuscirebbe a
gestire.
Sul piano dell’esperienza quotidiana, inoltre, le relazioni di
gruppo possono fornire all’adolescente un sostegno strumentale
rispetto alle difficoltà incontrate. Il gruppo dei coetanei costituisce la
prima fonte da cui provengono svariate forme di aiuto: a livello
emotivo, psicologico, comportamentale, ma spesso anche a livello
cognitivo. Il dialogo ed il confronto con i coetanei-amici può infatti
permettere all’adolescente in difficoltà di giungere ad una più
approfondita rappresentazione e comprensione del problema da
affrontare.
Sapendo di poter contare sul sostegno di più entità sociali
l’adolescente impara, nel corso dell’esperienza, a differenziare il tipo
di contributo che può richiedere e che pensa di poter ottenere dalle
diverse fonti d’aiuto. In relazione al tipo di problema che deve
affrontare, cioè, egli cerca il necessario sostegno strumentale ed
emotivo dall’entità sociale che maggiormente è in grado di
fornirglielo.
30
Capitolo I
Il gruppo appare essere luogo di risposta, da un lato al bisogno
di trascorrere il crescente tempo libero divertendosi e, dall’altro, di
interagire tra coetanei.
Ma al gruppo, soprattutto, viene riconosciuta la funzione di
costruzione di nuovi percorsi di soluzione a problemi quali la ricerca di
identità, l’esigenza espressiva, l’orientamento nella realtà, il
confronto su criteri di comportamento, il filtro delle esperienze e dei
messaggi. Il gruppo naturale, è soprattutto luogo di confronto su
problemi personali ed affettivi (insuccessi, frustrazioni, esperienze,
problemi), molto meno su problemi politici e culturali. È luogo di
vissuto, di reciproca confidenza sugli stati d’animo e sui sentimenti,
uno spazio in cui si riversa quello spessore esperienziale fatto di
speranza, reazioni, tensioni, disillusioni tipico di chi sta scoprendo da
solo la verifica delle varie esperienze che caratterizzano il giovane.
Riassumendo tre grandi temi caratterizzano la cultura dei
coetanei:
1. importanza del partecipare alla vita sociale: nel corso
della preadolescenza e adolescenza i ragazzi facilmente
producono e incrementano attività fra i coetanei. Tuttavia, essi
sono in grado di produrre collettivamente gruppi gerarchici, e
diventano temi cruciali quelli dell’accettazione, della popolarità
e della solidarietà. L’argomento verbale diventa centrale e le
discussioni riaffermano l’appartenenza ai gruppi e rivelano i
valori e le credenze dei loro membri.
2. Tentativi di affrontare le incertezze, gli interessi, le
paure, i conflitti che caratterizzano la vita quotidiana.
3. Opposizione e messa in discussione delle regole e
dell’autorità degli adulti.
I.8 Il Tutor
Tutor sta per “colui che si prende cura di..” (originariamente “che
è giunto a piena maturazione”).
31
La questione dell’adolescenza
Negli studi universitari, è un insegnante che segue e guida uno ò
più studenti in seminari, dottorati o altre attività di ricerca (scuola),
mentre in determinati ambiti professionali, è una persona di
riferimento per chi è all’inizio della carriera.
Il tutor ha una duplice funzione: quella formativa orientata a
conseguire un apprendimento significativo e quella di attutire le
ansie, le angosce e più in generale, i problemi che un individuo può
incontrare.
Tale concetto, infatti, implica necessariamente
un’organizzazione precisa del lavoro, la definizione di un obiettivo
specifico e richiede una “struttura”, per quanto flessibile e aperta.
Perché un’azione di tutoring abbia successo è di solito
necessario abbinare con cura tutor (la persona che insegna
attivamente docente, didatta, ecc.) e tutee (persona che riceve
l’insegnamento, discente, allievo ecc.), fissare orari frequenti e
regolari per le attività da svolgere in collaborazione, fornire una
formazione nelle tecniche di tutoring, comprese le procedure di
correzione, definire chiaramente i contenuti del lavoro e
eventualmente i materiali, applicare un sistema di monitoraggio e di
supervisione e se necessario di valutazione. Ma è sufficiente il nome
tutoring perché il metodo perda il suo carattere familiare e acquisisca
un che di accademico e scientifico.
Il tutoring è “umanamente gratificante” (Goodlad, 1972), in
quanto i tutor imparano a essere formativi nei confronti dei loro
tutee, sviluppano un senso di orgoglio e di autorealizzazione e
acquisiscono fiducia e senso di responsabilità. Molti insegnanti con
esperienza nel campo del tutoring rilevano che il risultato più
evidente è proprio l’aumento della fiducia in se stessi e del senso di
adeguatezza da parte dei tutor. Anche per il tutee i vantaggi sono
considerevoli. In un rapporto personale, l’apprendimento può essere
maggiormente individualizzato.
32
Capitolo I
È possibile selezionare i compiti più adeguati per il destinatario
del tutoring e il ritmo della presentazione può essere costantemente
calibrato in modo da ottimizzare l’apprendimento. Mentre
l’insegnante, assillato dal tempo, inoltre, è spesso costretto a limitarsi
a spiegazioni verbali, il tutoring offre l’occasione di dimostrare il
comportamento richiesto. Il tutee riceve un feedback regolare e
partecipe sulla correttezza dei propri sforzi ed è soggetto ad un
attento monitoraggio che porta a massimizzare il tempo dedicato
all’attività.
I programmi che hanno dato buoni risultati, di tipo più o meno
strutturato, sono estremamente vari: alcuni pongono l’accento sulla
crescita personale e sociale, altri si concentrano invece sui risultati
scolastici; ci sono piccoli programmi di recupero, coordinati da un solo
insegnate, e iniziative di ampio respiro che coinvolgono tutti gli alunni
di una scuola; interventi di sostegno agli allievi in situazione di
handicap con basso rendimento, e programmi di arricchimento rivolti
ad alunni relativamente brevi; iniziative destinate ad alunni molto
giovani, infine, altre a quelli più grandi.
Attualmente il tutoring, viene applicato ad aree curricolari
sempre più specifiche.
Il tutoring fra ragazzi di età diversa, potrebbe dimostrarsi un
ottimo mezzo per facilitare lo scambio e la crescita sociali fra membri
di una stessa scuola, che rappresenta solo di nome una comunità.
L’amicizia con un ragazzo più vecchio di status elevato, rafforza
l’autostima del tutee.
I coetanei sono estremamente importanti, soprattutto nelle fai
iniziali dell’adolescenza, quando i ragazzi si sottraggono all’influsso
dei genitori. Il rapporto di tutoring non ha le implicazioni istituzionali e
autoritarie che caratterizzano quello fra insegnati e alunni; non c’è
bisogno di mantenere il distacco e in molte coppie il rapporto è di
genuino affetto.
33
La questione dell’adolescenza
Il ruolo del tutor non deve essere visto come un insieme di
compiti sfuggiti di mano alle funzioni formative ritenute essenziali
(docenti, progettisti ecc.), ma come una parte essenziale di tutti i
processi formativi orientati a conseguire un apprendimento
significativo. Il tutor può, dove sia necessario, facilitare la fatica
relazionale di chi si occupa della pratica dell’insegnamento diretto
attraverso l’ascolto e la revisione in un’area di decompressione, può
trovarsi a dover supplire a carenze di insegnamento, fornire
consulenze metodologiche, rammendare ecc.
In tale contesto non va dimenticato il concetto di tutorship,
fondamentalmente una funzione strutturale complessa di cui il
cosiddetto tutor può soltanto custodire una sezione di “operatività” e
di rappresentanza simbolica oppure curarne e regolarne
l’elaborazione. La tutorship è lo spazio-tempo fisico e mentale che
consente a un formatore e a un formando di incontrarsi perché si
produca un episodio di insegnamento-apprendimento, o meglio
ancora, perché si dia l’opportunità affinché un episodio di
insegnamento fra un formatore e un formando possa verificarsi. È
chiaro che il tutor deve presidiare una funzione-supporto non
finalizzata all’apprendimento del contenuto specifico che resta a
carico del docente. In sostanza la tutorship si pone come condizione
di possibilità del processo di insegnamento-apprendimento, e il tutor
è la figura che incarna tale possibilità.
I.9 Il Mentore
Se il tutor assolve primariamente ad una funzione di sostegno nel
processo di apprendimento (dove si intrecciano fattori formativi e
34
Capitolo I
affettivi), per supplire a determinati necessità formative, il Mentore è
qualcosa di diverso.
Mentore, è il saggio e fedele amico di Ulisse e precettore del figlio
Telemaco nei lunghi anni della sua assenza. Personifica pertanto, un
adulto imprevisto che rapisce il giovane verso l’ignoto e verso la
propria vita di crescita e di individuazione, è la risposta al bisogno del
superamento della nicchia familiare, scolastica ecc.
Può essere la figura di un educatore o di un qualsiasi individuo dai
contorni sfuggenti, ma di straordinario impatto emotivo ed
esperienziale; è funzione dell’emozione e del trascinamento
sentimentale, piuttosto che della misura del valore e del calcolo.
II Mentore funge da modello, da amico, contribuendo ad arricchire
la formazione del ragazzo affinchè possa un domani svolgere un ruolo
positivo nella società. Tale impegno nella sua continuità, consentirà
ad entrambi non solo di verificare progressivamente i risultati
conseguiti, ma anche e soprattutto di accrescere le rispettive
esperienze.
Il Mentore è un consigliere fidato, una guida saggia e paterna, un
compagno fedele. L’amicizia con tale persona favorisce lo sviluppo
dell’autostima personale, offre nuovi interessi ed occasioni di
apprendimento, lo aiuta a scoprire le sue attitudini, a farlo sentire
speciale, a fortificarsi, a crescere culturalmente e responsabilmente,
affiancandolo in modo amichevole nel cammino della vita.
II Mentore trae arricchimento e gratificazione nel constatare come
la sua opera apporti un reale miglioramento nella vita di un ragazzo.
Conferma la propria consapevolezza di poter aiutare le nuove
generazioni con l'incoraggiamento e il sostegno.
Colui che dispensa saggezza ti avvicina alla vita con semplicità, ti
fa naturalmente riacquistare un equilibrio tra le tue intenzioni (consce
ed inconsce), le tue decisioni razionali (senso comune condiviso) e la
tua passione ed emozione per la vita.
35
La questione dell’adolescenza
Il mentore è colui in grado di cogliere la creatività delle persone e
declinarne le complessità; è colui che è capace di fare delle tue parole
una poesia o una melodia, restituendo sempre il tutto in una forma di
semplicità mai banale.
Potremmo dire che il mentore, come saggio, porta nel proprio
“protetto” quella conoscenza che crea quell’identità, che produce
l’impegno al cambiamento che la produce (produce nuova
conoscenza). Il mentore è il miglior profeta che possediamo, nel
momento che sa guardare avanti attraverso come noi siamo fatti.
È colui che sa mantenerti in uno stato mentale di abbassamento
della critica, per il tempo sufficiente perché tu possa rinnovarti per
rinnovare il tuo mondo, è in grado di lasciarsi guidare da te, per poter
divenire la tua unica guida.
La saggezza del mentore gli permette di cogliere il disequilibrio tra
l’adattarti al mondo ed il cercare di cambiarlo, suggerendo come,
quando, dove e perché intervenire.
Ma se vogliamo veramente trovare una nuova risorsa nel mentore,
potremmo dire che è capace di creare in te quella struttura che ti
connette al mondo e agli altri e che genera continuamente soluzioni e
cambiamenti per la tua vita, tramite la reinterpretazione continua
delle tue relazioni.
Il lavoro del mentore è una missione, il sentirsi “mandati” a
svolgere un compito che può andare oltre ogni tipo di confine, dove
non si viaggia fisicamente ma attraverso la mente, dove si deve poter
sognare con gli occhi del “protetto”.
Il mentoring è un tipo particolare di relazione nella quale una
persona con abilità o competenze mette un altro essere umano nelle
condizioni di sviluppare le proprie.
Il mentoring è una relazione personale stretta, un processo di
lavoro comune per raggiungere obiettivi concordati.
Il mentoring è una relazione reciproca, un’alleanza dalla quale
mentor e mentee traggono piacere.
36
Capitolo I
Il mentoring è una relazione di sostegno uno-a-uno tra una
adulto e un altro individuo, finalizzata a facilitare la crescita
educativa, sociale e personale di quest’ultimo.
Gli sforzi per giungere ad una solida definizione di ciò che è tutor,
mentor, docente, famiglia, adolescente ecc. rischiano di lasciare
piuttosto confusi. La ragione è chiara: le relazioni, i ruoli, sono molte
cose. Si tratta di alleanze senza uguali, che prendono forma da
particolari abilità e bisogni degli individui che vi partecipano.
Contemporaneamente, gli adolescenti si trovano a dover interagire
con differenti figure, ma allo stesso tempo possono essi stessi
rivestire tali vesti.
37
Capitolo III
II.1 Il Terzo Settore
CAPITOLO II
“IL VOLONTARIATO”
“L’interdipendenza è e dovrebbe essere
l’ideale dell’uomo al pari dell’autosufficienza.
L’uomo è un essere sociale. Senza
interrelazioni con la società egli non può
realizzare la sua unità con l’universo, né
sopprimere il proprio egoismo.”
(M.K. Gandhi, Precetti e insegnamenti del Mahatma Gandhi)
Il volontariato
Il Terzo Settore, affonda le sue radici storiche e culturali nelle
esperienze di quella classe operaia, figlia del socialismo delle origini
che sfuggiva tanto ai lacci dello Stato quanto alla logica di Mercato.
Questi operai del passato, questi socialisti “fin de siècle” (XIX
secolo) usavano parole magiche: Mutualismo, Solidarietà attiva,
Cooperativismo; sentimenti diffusi anche nella maggioranza Cattolica
e in larghe minoranze laiche o religiose.
Poi il trionfo dello Stato, l'unico autorizzato a proteggere,
garantire e assistere tutti “dalla culla alla bara”, in quella che si è
rivelata essere una “stagione” (che si sperava eterna) del "secolo
breve". Ecco allora che le parole magiche di quel mondo, ormai così
distante, furono sradicate dall'universo sociale europeo.
Nel corso dell’ultimo decennio la sua crescita è stata soprattutto
alimentata dallo smantellamento ed esternalizzazione dei servizi di
welfare.
Oggi il terzo settore è diviso tra due anime: al non-profit,
cresciuto in seguito alla crisi fiscale e del sistema di protezione
sociale, che stenta a mantenere un ruolo autonomo e innovativo, si
affiancano piccole organizzazioni attive soprattutto al livello
territoriale, caratterizzate dall’autorganizzazione, dalla
sperimentazione di economie solidali, dall’autonomia politica.
In Italia, il fenomeno del terzo settore rappresenta ormai una
realtà rilevante, sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista
sociale. Sul piano economico le organizzazioni di terzo settore
partecipano, con le loro attività, alla determinazione del benessere
collettivo; dal punto di vista sociale esse perseguono interessi di
natura collettiva con fini di solidarietà in vaste aree della vita civile
del paese. I soggetti che operano nel terzo settore hanno differenti
connotazioni giuridiche, ma l'elemento che li contraddistingue è
l'assenza dello scopo di lucro soggettivo: il divieto di distribuzione di
utili tra gli associati. È invece pacifica e accettata da tutti la possibilità
per le organizzazioni di terzo settore, di svolgere attività finalizzate
39
Capitolo II
alla produzione e allo scambio di beni e servizi, lucro oggettivo.
Operativamente è possibile elaborare alcuni criteri per
individuare le caratteristiche che le organizzazioni devono possedere
per essere considerate di terzo settore. Gli attributi chiave per
identificare le organizzazioni di terzo settore sono:
la costituzione formale dell'organizzazione;
la sua natura privata;
l'assoggettamento al divieto di distribuzione dei profitti;
la capacità di auto governarsi;
l'apporto di "lavoro" volontario da parte dei propri aderenti.
In Italia i soggetti che rientrano nel terzo settore sono:
organizzazioni di volontariato;
cooperative sociali;
associazioni di promozione sociale;
fondazioni civili.
Si tratta di organizzazioni che sono legate da un alito comune,
da una radiazione di fondo: la solidarietà e la fratellanza. Lavorare
non per massimizzare il profitto ma, con la propria presenza,
permettere agli altri di vivere un’esistenza sostenibile.
Significa continuare a produrre quel bene che più di ogni altro
oggi scarseggia: la socialità.
II.2 Alcuni numeri sul volontariato
40
Il volontariato
Nel corso del 2003 l’Istat ha svolto la quarta relazione sulle
organizzazioni di volontariato iscritte ai registri regionali al 31
Dicembre 2001. Rispetto alla prima rilevazione riferita al ’95 esse
passano da 8.343 unità a 18.993 (più 119.3%). Il censimento Istat del
2000 evidenzia ad esempio come l’1,1% delle non-profit italiane
impieghi il 42% del totale dei dipendenti del settore; mentre il 75% ha
entrate annuali inferiori ai 50.000 € e sopravvive a volte grazie al solo
volontariato.
1. ONLUS (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale), per periodo di costituzione. Anno 2001.
L’Istat inoltre, ha reso noti i risultati del primo censimento delle
istituzioni e imprese non-profit in Italia condotto nel 2000. Al 31
dicembre 2001 risultano attive in Italia 221.412 istituzioni non-profit,
di cui oltre la metà nel nord Italia. Il Veneto con 21.092 enti è la
seconda regione, dopo la Lombardia, per numero di organismi senza
fini di lucro: associazioni riconosciute (27,7%) e non (63,6%),
cooperative sociali (2,1%), comitati (1,7%) e fondazioni (1,4), attivi
soprattutto nei settori della cultura, dello sport, dell’assistenza sociale
e sanitaria. Un universo di unità poco visibili, molte di dimensioni
esigue, sinora sfuggite alle rilevazioni statistiche. Un mondo tuttavia
giovane ed effervescente (l’88% delle istituzioni non-profit sono sorte
negli ultimi vent’anni), che nel Veneto impiega oltre 12mila
41
Capitolo II
dipendenti e coinvolge 325 mila volontari, in Italia 630 mila
dipendenti e quasi 3 milioni 350 mila volontari, compresi i religiosi e
gli obiettori di coscienza.
2. Le istituzioni non-profit italiane hanno dichiarato circa 73 mila
miliardi di lire di entrate e 69 mila miliardi di uscite nel 1999. Il 60%
delle entrate complessive si concentra in tre settori – assistenza
sociale, sanità, cultura, sport e ricreazione. Solo il 9% delle onlus che
operano in questi tre settori impiegano personale dipendente.
3. Entrate medie per settore di attività prevalente. Anno 2000. Valori
in milioni di lire. Fonte: Istat. 1° censimento delle istituzioni e
imprese nonprofit. Anno 1999.
Nel Regno Unito una persona su due è coinvolta nel
volontariato, in Canada una su tre. Negli Stati Uniti la forza-lavoro
rappresentata dai volontari equivale a più di 9 milioni di lavoratori a
tempo pieno per un corrispondente economico annuo di 225 miliardi
42
Il volontariato
di dollari. Come abbiamo già osservato, anche in Italia l’incremento è
fortissimo e l’apporto dei volontari viene ormai ufficialmente
riconosciuto come indispensabile per fronteggiare calamità, degrado
ambientale, lotta alla droga, povertà e sottosviluppo. In Italia
coinvolge più di 670 mila persone. In base all’ultimo censimento Istat
pubblicato nel 2001, infatti, le organizzazioni di volontariato iscritte ai
registri regionali sono circa 15 mila (con circa 45 volontari ciascuna),
e registrano tre il ’95 e il ’99 una crescita dell’80%. Sono centrate
principalmente nel nord d’Italia (60%), ma negli ultimi anni si sono
espanse anche al meridione (34%). Il volontariato si dedica
soprattutto all’assistenza sociale e alla sanità (63%), prendendosi
cura degli ammalati (61.5) e degli anziani (11%). Sono molti di più,
invece, ben 3,2 milioni, i volontari del non-profit coinvolti in attività
culturali, ricreative o sportive.
L’identikit del volontario è un adulto tra i 30 e i 65 anni
(60,5%), tendenzialmente occupato (45%) oppure in pensione (19%),
con un livello di istruzione medio alta (licenza media 34% e diploma
superiore 44%). Dedica a questa attività fino a 3 ore alla settimana
(36,4%) o dalle 6 alle 8 ore (26%) del proprio tempo libero. Questa
l’immagine del volontario italiano in base alle ultime indagini della
fondazione italiana per il volontariato (Fivol). Inoltre, le donne (51%)
si impegnano in ambito associativo quasi quanto gli uomini (49%), ma
ricoprono un ruolo dirigenziale con una frequenza maggiore (32%)
rispetto che nelle imprese di mercato (8%). Alcune realtà nascono
per promuovere i diritti delle persone e trovare alternative
concrete al sistema economico neolibersita, che non riesce a
proporre una crescita economica, sociale ed ambientale sostenibile. I
movimenti cresciuti negli ultimi anni hanno infatti contribuito allo
sviluppo di un terzo settore dal basso che cerca di sostituire la logica
efficentista con partecipazione e responsabilità socio-ambientale. Si
moltiplicano così organizzazioni che si occupano di servizi sociali, ma
43
Capitolo II
anche cultura, ambiente, difesa dei diritti, cooperazione
internazionale. Accanto a queste emergono nuovi modi di fare
economia: il commercio equo e solidale, la finanza etica, l’agricoltura
biologica, lo sviluppo di energie rinnovabili, l’autorganizzazione del
lavoro.
II.3 La relazione d’aiuto
Indicando nella relazione d’aiuto un fenomeno complesso,
bisogna sforzarsi di mantenere sempre presente due capi di tale
complessità: da una parte c’è certamente la necessità di capire se
stessi, le proprie ragioni e anche le proprie motivazioni; dall’altra vi è
la necessità di capire la storia, di capire la politica, di capire
l’economia; la necessità di comprensione che non può venir meno,
non può essere assolta in un certo giorno e a una certa ora, deve
poter andare avanti e questo complica la vita dei soggetti protagonisti
della relazione d’aiuto, perché ancora una volta, può esserci, in
questo, un rischio di dominio; può essere quasi banale dire che chi
aiuta è nelle condizioni esistenziali di poter avere qualche comodità in
più.
Nel rapporto di aiuto c’è la necessità di uno studio comune e
reciproco: comune nel senso di “accumunato”, e qui vi è ancora una
volta un rischio di perdita di identità, di assimilazione, mentre
reciproco significa: “studia e io studio”, e quindi significa necessità di
procedere alla ricerca degli strumenti di tempo, di spazio, di materiali,
perchè ciascuno dei soggetti della relazione d’aiuto abbia la
possibilità di capire. La comprensione del soggetto di se stesso e la
comprensione dell’altro nella rete sociale, politica, economica, storica
e la comprensione che non ha la pretesa di capire tutto.
La relazione d’aiuto è quella in cui l’uno promuove la crescita
dell’altro, è dunque la relazione che si stabilisce tra terapeuta e
44
Il volontariato
cliente, tra insegnante e studente, tra medico e paziente, tra genitore
e figlio ecc. L’espressione “relazione d’aiuto” è un modo delicato per
indicare un intervento di supporto allo sviluppo del sé, alla
comprensione delle proprie motivazioni e predilezioni.
La parola “aiuto” assume un significato pedagogico, indica
l’impegno profuso da colui che reca aiuto per sviluppare nell’altro la
consapevolezza di sé ed emanciparlo dai condizionamenti che lo
rendono prigioniero delle aspettative degli altri. L’aiuto si orienta in
direzione della crescita e dell’autonomia dell’altro.
Nella scelta di quest’espressione è implicita una contestazione
dei metodi eterodiretti e bidirezionali che procedono unilateralmente
dal “docente” al “discente” e rischiano di risolversi in manipolazioni,
impostazioni e dogmi che il soggetto è costretto ad accettare
dall’esterno.
Nella relazione d’aiuto intervengono categorie concettuali che
hanno una validità estendibile a tutte le relazioni umane. Concetti
come percezione di sé, modificazione della personalità, valutazione
degli elementi in vista di una scelta, influenzabilità, consapevolezza
delle proprie motivazioni, sono concetti implicati in situazioni più
numerose di quelle ufficialmente identificate come relazioni d’aiuto
(Rogers, 1970).
II.4 La conoscenza dell’altro
Una delle questioni, che sembra facile ma che in realtà è molto
complicata, riguarda la conoscenza dell’altro. Chi aiuta, si potrebbe
pensare, ha bisogno di conoscere l’altro. Certamente questo è vero,
però bisogna, nello stesso tempo, domandarsi che cosa intendiamo
per conoscenza.
45
Capitolo II
Conoscere è composto dalla particella cum, che indica lo
strumento, il mezzo e gnoscere che significa acquisire.
Bisogna sottolineare che:
conosciamo in una relazione;
conosciamo e riveliamo la nostra necessità di conoscere ancora,
e quindi la nostra ignoranza;
conosciamo in una relazione interessata e non neutra.
Questa interpretazione della conoscenza rivela due possibilità.
La prima è relativa a una conoscenza come tentativo, che può portare
all’illusione di essere padroni dell’altro. Conoscenza per diventare
capaci di aiutare meglio, ma anche conoscere per diventare padroni.
Il secondo modo di intendere la conoscenza ha invece
l’ambiguità positiva del sentire la necessità di vivere la tensione verso
una conoscenza che non è mai completa, che è sempre parziale e che
ha bisogno, quindi, dell’altro come principale aiuto per ridurre la
propria ignoranza.
Nel primo caso, riferito alla relazione d’aiuto, l’aiuto è,
evidentemente, unilaterale: il soggetto che aiuta ha bisogno di
conoscere chi è aiutato e questa conoscenza si sviluppa
unilateralmente. Certo può anche richiedere e pretendere, che chi è
aiutato si impadronisca di alcune conoscenze che ne premettano una
maggiore autonomia. Ma anche queste conoscenze, sono dettate da
una conoscenza superire che è propria di chi aiuta. Nella seconda
logica, chi aiuta conosce parzialmente la situazione in cui entra e
ritiene di non avere mai la possibilità di conoscerla totalmente. Ha
bisogno quindi di essere aiutato a sua volta da chi è aiutato.
Lo sforzo di capire l’altro è certamente necessario, ma l’illusione
che esso sia appagato da una totale comprensione è pericolosa. La
formazione della relazione d’aiuto deve stare in equilibrio tra una
comprensione illusoria e rischiosa che può portare ad una situazione
46
Il volontariato
di dominio e una rinuncia alla comprensione, un equilibrio che non
può che essere precario.
Anche chi, come uno psicoterapeuta o un insegnante, dovrebbe
sollecitare l’altro a rendersi indipendente nelle scelte e nelle
ideologie, tende a proporsi o a imporsi come modello a cui ispirarsi.
Nelle relazioni d’aiuto e generalmente nelle relazioni umane, si può
rischiare di sfruttare il bisogno di dipendenza dell’altro per lusingare il
proprio orgoglio.
II.5 Il comportamento prosociale
Occupandoci del comportamento prosociale, è necessario
rilevare che esso è una forma di socializzazione che riguarda, in modo
peculiare, gli aspetti personali del soggetto; con ciò vorremmo
evidenziare che nell’attuazione di questo comportamento, entrano in
gioco differenti dinamiche.
La prima necessità che si presenta nella discussione della
condotta prosociale è quella di una definizione dei termini per quanto
possibile esplicita.
Per comportamento prosociale, si intende un’azione compiuta al
fine di beneficiare un’altra persona.
Bisogna innanzi tutto sottolineare che l’attenzione degli
studiosi per questo comportamento è fatta generalmente risalire ad
un brutto episodio di aggressione che si verificò a New York nel 1964.
All’epoca una donna, Kitty Genovese, fu assassinata in un parcheggio,
vicino al suo appartamento; è importante rilevare che all’assassinio
assistettero ben trentotto testimoni ma, nonostante ciò, non
prestarono aiuto alla ragazza, né chiamarono la polizia se non quando
ormai non si poteva fare più nulla.
Dopo questo fatto di cronaca i ricercatori specializzati,
soprattutto psicologi e sociologi, furono chiamati in causa per
47
Capitolo II
organizzare delle ricerche, nel tentativo di spiegare il perché ed il
come viene attuata la condotta prosociale. Analizziamo, dunque, la
definizione di tale comportamento.
Come è stato sottolineato dalla Eisenberg (1982), il disaccordo
sulle definizioni dei vari termini può essere considerato come un
“gioco semantico”. L’autrice, infatti, spiega che gli studiosi solo
raramente limitano le loro ricerche all’area circoscritta del
comportamento implicito nelle loro stesse definizioni; nella maggior
parte dei casi la loro attenzione è rivolta all’intero spettro dei
comportamenti che beneficiano un’altra persona.
Consapevole di questo alcuni ricercatori (Staub, 1978, 1979;
Wispè, 1978, in Eisenberg, 1986), hanno pensato di includere, in un
discorso coerente, sotto il titolo di comportamenti sociali positivi
termini come: altruismo, comportamento d’aiuto, comportamento
morale, tutte condotte volte a produrre, conservare o migliorare, il
benessere fisico o psichico e l’integrità dell’altro.
Alcuni studiosi ritengono che questo comportamento sia
causato da una ricerca di ricompense esterne: “il nostro orientamento
verso la teoria di apprendimento sociale ci fa dubitare di una utilità di
definizione di comportamento prosociale che escluda la possibilità di
un rinforzo esterno…” (Hartmann H., 1981).
Altri studiosi, tuttavia, affermano ad esempio: “Ci riferiamo
all’altruismo come ad una azione attuata per beneficiare un’altra
persona per altre ragioni che la ricompensa esterna” (Cialdini, Kenrick
e Baumann, 1981, in Eisenberg, 1982).
Una definizione operativa che potrebbe essere utilizzata come
modello è la seguente “… quel comportamento che, senza la ricerca
di ricompense esterne, favorisce altre persone, gruppi o fini sociali ed
aumenta una probabilità di generare una reciprocità positiva di
qualità e solidale nelle relazioni interpersonali o sociali conseguenti,
salvaguardando l’identità, la creatività e l’iniziativa dei gruppi
implicati.” (Roche, 1991)
48
Il volontariato
Per comprendere come si esplica effettivamente la condotta
prosociale è necessario analizzare le categorie di comportamenti in
cui esso è articolato; concretamente esso si esplica attraverso:
aiuto fisico: condotta non verbale che procura assistenza fisica
ad altre persone per raggiungere un determinato obiettivo.
Servizio fisico: condotta che elimina la necessità, a chi riceve
l’azione, di intervenire fisicamente nell’adempimento di un
compito o incarico che si conclude con l’approvazione o la
soddisfazione del ricevente.
Dare: dare oggetti, idee, esperienze di vita, alimenti o
possedimenti agli altri.
Aiuto verbale: spiegazione o istruzione verbale che è utile o
desiderabile per altre persone o gruppi nel conseguimento di un
obiettivo.
Conforto verbale: espressioni verbali per ridurre la tristezza di
persone afflitte o bisognose e dar loro sollievo.
Ascolto profondo: condotte metaverbali ed attitudini che
esprimono accoglienza paziente ma attivamente interessata ad
una conversazione.
Conferma e valorizzazione positiva dell’altro: espressioni
verbali per confermare il valore delle altre persone o aumentare
la loro autostima, anche davanti a terzi.
Empatia: condotte verbali che, partendo da uno svuotamento
volontario di contenuti propri, esprimono comprensione
cognitiva dei pensieri dell’interlocutore o l’emozione di stare
sperimentando sentimenti simili ai suoi.
Solidarietà: condotte fisiche o verbali che esprimono
l’accettazione volontaria di condividere le conseguenze,
specialmente se dolorose, della condizione, stato, situazione o
cattiva sorte dell’altra persona.
49
Capitolo II
Presenza positiva ed unità: presenza personale che esprime
attitudini di prossimità psicologica, empatica, disponibilità al
servizio, aiuto e solidarietà per e con le altre persone e che
contribuisce al clima psicologico di benessere, pace, concordia
e reciprocità in un gruppo o riunione di due o più persone.
Dopo essersi occupati della definizione del comportamento
prosociale e dell’individuazione delle sue categorie vediamo ora le
cause del suo sviluppo. Una delle condizioni che può favorire o inibire
la condotta sociale positiva è il contesto familiare; in uno studio di
Hoffman, 1975 (in P. Di Blasio, E. Camisasca, 1995), viene rilevata
come significativa l’incidenza socializzante del genitore dello stesso
sesso. Si può, inoltre, affermare che “uno stile educativo basato sulla
tendenza a fornire spiegazioni, usare il ragionamento e la
persuasione, più che la punizione, costituisce un fattore facilitante il
comportamento altruistico e la comprensione delle esigenze altrui”.
Anche il tipo di relazione con i pari età ha la sua influenza nello
sviluppo di tale comportamento; in un ricerca di N. Eisenberg (1982),
venne rilevato che i bambini che generalmente avevano frequenti
interazioni sociali positive con i compagni e gli insegnanti, agivano
maggiormente in maniera prosociale e ricevevano risposte positive a
questa condotta.
Una ulteriore motivazione che spinge all’altruismo è quella spinta
interna denominata empatia. Secondo Hoffman (1982, in P. Di Blasio,
E. Camisasca, 1995), essa è una attivazione affettiva, “una risposta
affettiva vicaria più appropriata di un’altra alla situazione dell’altro”.
La Eisenberg (in P. Di Blasio, E. Camisasca, 1995), invece, concentra
la sua definizione di questo costrutto come la percezione del bisogno
dell’altro “implicante comprensione e simpatia”.
Naturalmente, durante lo sviluppo, l’empatia non rimane la
semplice percezione dei sentimenti dell’altro, ma si arricchisce
cognitivamente attraverso l’identificazione e la piena comprensione
50
Il volontariato
del soggetto empatico dello stato affettivo dell’altro; infatti, la
capacità dell’assunzione del punto di vista e dell’assunzione di ruolo
dell’altro sono fondamentali non solo per comprendere i sentimenti
altrui, ma anche per il radicarsi nella personalità dei significati morali
delle condotte prosociali.
A proposito delle variabili personali del “soggetto prosociale”,
analizziamone alcune osservate da Mussen e Eisenberg (1989); esse
sono: la classe sociale, l’età, il sesso, la posizione nell’ordine di
nascita e le caratteristiche di personalità.
Per quanto riguarda la classe sociale è stato rilevato come lo
status socio-economico della famiglia non sia attinente con le
predisposizioni dei bambini a dividere o aiutare.
La variabile età offre delle considerazioni interessanti; infatti, il
prendersi cura degli altri, la capacità di dividere aiutare non sono
generalmente legate all’età nel periodo prescolare, anche se si è
osservato che soggetti di tre-cinque anni dimostrano comportamenti
altruistici verso i compagni in determinate circostanze, quando cioè il
disagio del bambino è apparente e manifesto. Queste condotte,
comunque, aumentano in maniera significativa con l’avanzare dell’età
tra i quattro ed i tredici anni.
Per quanto riguarda il sesso in generale non sono state trovate
differenze significative, sebbene alcuni studi abbiano rilevato che le
bambine sono maggiormente disposte ad aiutare, sono più generose
e sollecite rispetto ai bambini. Secondo Eagly e Crowly (in Eisenberg,
1986), gli uomini aiutano di più delle donne gli estranei, mentre le
donne aiutano di più degli uomini gli amici. Inoltre chi è di buon
umore aiuta di più.
Perché chi è di buon umore aiuta di più?
Perché aiuta a prolungare lo stato positivo;
interpretazione dell’evento in modo positivo (affect priming
model);
51
Capitolo II
se mi sento bene, allora la situazione è sicura quindi posso dare
(affect as information);
l’umore positivo porta ad una maggiore attenzione al sé, quindi
a comportarsi in accordo con i propri valori.
Per quanto concerne la posizione nell’ordine di nascita è
probabile che il primogenito o i fratelli più grandi aiutino un coetaneo
in pericolo e dividano più generosamente rispetto ai bambini mediani
o più piccoli.
Per l’ultima variabile, le caratteristiche di personalità, è
stato rilevato che i maschi di asilo infantile che sono generosi nel
dividere le loro caramelle, sono anche i più estroversi, socievoli e
meno competitivi rispetto ai loro compagni che non dividono.
Ricerche più recenti si sono occupate del ruolo del costo-
beneficio (N. Eisenberg e S. Shell, 1987), ed è stato rilevato che la
relazione tra ragionamento morale e comportamento prosociale varia
in funzione del contesto; questa ricerca sottolinea, infatti, che la
considerazione del costo di condotte prosociali induce più conflitti
rispetto ai comportamenti con basso costo, soprattutto quando il
beneficio per l’altro è relativamente piccolo. In questo contesto un
orientamento teorico interessante che tenta di integrare le diverse
cause del comportamento sociale positivo è quello di Dovidio et al.
(1991, in P. Di Blasio, E. Camisasca, 1995).
Questi studiosi hanno elaborato l’arousal cost model. Secondo
questa teoria la condotta positiva sarebbe articolata in due parti: la
prima, la spinta emozionale, attiva l’osservatore ad agire per aiutare
l’altro (arousal); la seconda è il risultato di un processo cognitivo
all’interno dell’osservatore denominato “costo-beneficio” attraverso il
quale sono soppesati gli eventuali costi o benefici derivanti sia
dall’azione del soggetto che dalla sua non azione. Anche le
caratteristiche di personalità dell’osservatore possono influenzare
questo modello; infatti, le persone maggiormente sensibili ai bisogni
52
Il volontariato
altrui generalmente percepiscono in maniera negativa l’arousal in
rispota al disagio dell’altro e sperimentano costi elevati per il non
aiuto.
Tutti questi studi mostrano che il comportamento sociale
positivo è causato da diversi fattori che agiscono non separatamente,
ma in maniera unitaria, che comprendono sia le caratteristiche
interne dell’attore che quelle dei beneficiari che, infine, quelle
contestuali e situazionale.
Tale comportamento, inoltre, non è prerogativa dell’individuo
adulto ma, come si è visto, è presente anche i bambini molto piccoli.
Per aumentare i comportamenti prosociali, bisogna fare leva su:
la norma della reciprocità,
il senso di responsabilità sociale,
il senso di giustizia,
i vantaggi personali dell’aiuto (autostima, ecc.),
aumentare l’empatia.
II.6 Molte facce del volontariato
Oggi è fortemente avvertito, proprio in tale logica, il bisogno di
instaurare delle relazioni autentiche che vadano al di là
dell’episodicità: il disinteresse diventa il fondamento di questi nuovi
tipi di rapporti, che introducono il concetto di solidarietà.
La solidarietà oggi assolve a diverse funzioni per il singolo
individuo: legarsi agli altri, infatti, diventa una garanzia per l’identità
personale.
A partire dagli anni ’70 e ’80 assistiamo al fiorire di studi
sull’altruismo e il comportamento prosociale.
Ciò ha indotto ad operare una riflessione sul significato del
volontariato oggi, e soprattutto su quello che Amerio (1996) definisce
l’ “intrigante problema dell’altruismo”.
Non a caso questo studioso parla dell’altruismo come di un
“problema”. In una società narcisista, in cui si presume che ciascuno
53
Capitolo II
segua i propri interessi, tutto teso a soddisfare i propri desideri e a
non porre attenzione all’altro se non per trarne dei vantaggi, ciò che
diviene un problema e richiede una spiegazione è l’altruismo. Quasi
che questo sentimento ingenerasse una certa diffidenza, il sospetto di
una finalità secondaria che a tutta prima può sfuggire.
Per dirla con Moscovici (1997): “l’altruismo è il problema di una
cultura in cui la norma è l’egoismo”.
Le ragioni che spingono gli individui ad essere altruisti o meno,
soffermandosi sugli aspetti biologici e culturali, morali, personali e
situazionali di tali comportamenti, sono ricche di storia.
Limitandoci ad un’ottica che potremo definire di psicologia di
comunità – o di psicologia politica – sembra non privo di interesse
come questi studi segnino una punta massima negli anni 1962-82,
con un’attività di ricerca senza precedenti, incentrata
prevalentemente sulle norme sociali implicate nel comportamento
altruistico, come la reciprocità e la responsabilità sociale (teoria
dell’apprendimento sociale).
A questa visione del comportamento altruistico, già negli anni
Settanta, si andava peraltro affiancando la teoria situazionale, meglio
conosciuta come “effetto del pensante” (Latené, Darley, 1970),
secondo la quale la spinta ad andare incontro all’altro in stato di
bisogno è conseguente più al potere della situazione che non a valori
morali e norme sociali proprie del soccorritore. L’altruismo diviene
così la risultante di un processo di decision making.
In sintesi, si sono individuati tre importanti ordini di fattori che
muovono il comportamento altruistico:
1. dimensioni biologiche e culturali. L’altruismo è considerato
come geneticamente determinato. Studi sociobiologici sono
orientati a sostenere l’esistenza di un gene per la solidarietà e
l’altruismo.
2. Dimensioni personali e situazionali. Le caratteristiche sia
dell’individuo sia della situazione contigente determinano il
54
Il volontariato
comportamento prosociale. È stato lungamente dibattuta
l’ipotesi di una personalità altruistica, e al contempo di quali e
quanti siano i fattori situazionali che causano un
comportamento altruistico, dalla pressione sociale, dalla
richiesta, dalla percezione della distanza, ecc.
3. Dimensioni affettive e cognitive. Nell’ottica behavioral si
considera ad esempio, la legge del rinforzo come determinante
del comportamento altruistico umano. Oppure si può
considerare il comportamento di aiuto come diretta
conseguenza del rapporto motivazione-azione all’interno di uno
schema organizzato di interrelazioni tra fattori cognitivi ed
affettivi da una parte, e condizioni situazionali dall’altra.
Tali modelli seppur dotati di fondatezza, sono da assumere con
spirito critico dal momento che in essi non sono prese in esame le
ragioni del soggetto e la loro contestualizzazione storica.
Il comportamento altruistico, va considerato come variabile
dipendente sia dal contesto che dalla norma personalmente
interiorizzata.
Accanto a teorie squisitamente altruistiche, rivolte esclusivamente
al miglioramento delle condizioni dell’altro, altre teorie
“pseudoaltruistiche” intravedono dietro l’atto solidale una sorta di
self-interest che va dall’esigenza di compiere il proprio dovere alla
prospettiva di trarne un qualche beneficio, sia pure indiretto.
Di certo l’altruismo non è un atto lineare, ma altrettanto potremo
dire del suo polo antitetico: l’individualismo egoistico (Fromm, 1987).
Oggi si registra una nuova ondata di solidarismo, che si esprime il
più delle volte sotto forme più o meno organizzate di volontariato, di
cooperazione, di associazionismo. Tutto ciò non può non essere
collegato al venir meno di altre forme di partecipazione, di presa in
carico, di democrazia: dalla caduta delle grandi ideologie alla
conseguente crisi dei partiti, alla crisi dello Stato sociale e alla nascita
55
Capitolo II
di quel terzo settore che tende a coprire tutto uno spazio tra Stato e
Mercato.
(Chagall, Le due donne)
Né si può sottovalutare che negli anni Ottanta L’occidente, al di là
e al di qua dell’Atlantico, ha registrato una forte onda di
individualismo, in coincidenza, peraltro, con la riduzione dei
finanziamenti necessari per il mantenimento sia pur minimale di uno
Stato sociale; mentre per altri versi un’accresciuta coscienza sociale e
politica andava riconoscendo ai cittadini quei diritti definiti di terza e
quarta generazione che avrebbero dovuto assicurare una migliore
56
Il volontariato
qualità della vita e rappresentare una garanzia contro la
marginalizzazione delle fasce a rischio.
L’esplosione del fenomeno del volontariato e dell’associazionismo
testimonia una reviviscenza del concetto di solidarietà che fa da
contrappeso a quelle pratiche dell’individualismo alle quali si faceva
riferimento dianzi e che hanno segnato la società attuale, avallando
modelli di self-interest ancor più pericolosi che per il passato perché
ammantati di modernità. La solidarietà, recuperando per contro,
accanto alla tradizione cattolica della pietas e della caritas, una
matrice laica, ha riproposto con forza valori come reciprocità e
responsabilità.
Sono questi valori che agiscono da controspinta nei riguardi di una
configurazione storico-sociale caratterizzata sempre più da rapporti
secondari – prevalentemente burocratici, superficiali, segmentali,
improntati a valori di scambio funzionale e strumentale – per ridare
spazio ai rapporti sociali di tipo primario, profondi, capaci di
coinvolgere la totalità dell’individuo.
Lo stesso sistema di welfare, promettendo un intervento globale
nei riguardi dei bisogni dei singoli e della collettività, ha concorso
paradossalmente ad espropriare il singolo di quelle quote di
prosocialità, empatia, solidarietà che contribuiscono a tenere insieme
il corpo sociale. Rassicurato dal fatto che lo Stato provvede alla
totalità dei bisogni, il singolo ritiene superflua una sua partecipazione
solidale (Gelli, 1997).
Oggi il concetto di solidarietà si incardina sempre più in una
concezione della società in cui la giustizia, la dignità, l’uguaglianza si
pongono come un fondamentale bene comune. Il legame sociale
costituisce anche una garanzia per l’identità personale: il legarsi agli
altri è la condizione per cui ci sentiamo vincolati insieme non solo per
gli interessi comuni, ma per meglio riconoscere il senso di ciò che
facciamo. La partecipazione a forme di mobilitazione collettive o a
movimenti sociali, il coinvolgimento in forme di innovazione culturale,
57
Capitolo II
l’azione volontaria di tipo altruistico si fondano su questo bisogno di
identità e contribuiscono a darvi risposta. È grazie alla solidarietà che
possiamo affermarci come soggetti della nostra azione e accettare la
frattura che il conflitto introduce nelle relazioni sociali, raccogliere e
focalizzare le nostre risorse per riappropriarci di ciò che riconosciamo
come nostro.
La solidarietà opera il salto dall’ottica individualistica a quella
altruistica e aperta al sociale, e il volontariato può ben configurarsi
come una scelta di solidarietà. La legge che lo istituisce (266/91) ne
riconosce il particolare valore sociale come espressione di
partecipazione, solidarietà e pluralismo. Recita la legge: “Per attività
di volontariato si intende quella prestata in modo personale,
spontaneo e gratuito […] senza scopo di lucro anche indiretto,
esclusivamente per fini di solidarietà”.
Le definizioni si moltiplicano invece per la figura del volontario.
Alcune definizioni:
“Volontario è il cittadino che liberamente, non in esecuzione di
specifici obblighi morali o doveri giuridici, ispira la sua vita – nel pubblico e
nel privato – a fini di solidarietà. Pertanto, adempiuti i suoi doveri civili e di
stato, si pone a disinteressata disposizione della comunità, promuovendo
una risposta creativa ai bisogni emergenti del territorio, con attenzione
prioritaria per i poveri, gli emarginati, i senza potere. Egli impegna energie,
capacità, tempo ed eventuali mezzi di cui dispone, in iniziative di
condivisione realizzate preferibilente attraverso l’azione di gruppo. Iniziative
aperte a una leale collaborazione con le pubbliche istituzioni e le forze
sociali; condotte con adeguata preparazione specifica; attuate con
continuità di interventi, destinati sia ai servizi immediati che alla
indispensabile rimozione delle cause di ingiustizia e di ogni oppressione
della persona” (Tavazza, 1987).
“Il volontario è colui che presta una collaborazione continuativa, in
media non inferiore a due ore settimanali, o per un periodo di tempo
determinato e continuativo, non inferiore ai venti giorni all’anno,
58
Il volontariato
gratuitamente, senza fine di lucro, nell’esclusivo interesse del gruppo, per
finalità solidaristica” (Cesareo, 1990).
“Volontariato è un servizio reso da singoli o da gruppi in modo
gratuito, disinteressato e possibilmente in modo continuativo per sviluppare
attività ed interventi di natura solidaristica, attraverso competenze
adeguate ai compiti che si intendono svolgere, in strutture proprie o
nell’ambito di strutture sia pubbliche che private, in risposta ai bisogni
autonomamente individuali, con la finalità di rimuovere o modificare le
cause produttrici del bisogno o del guasto sociale” (Colozzi, 1984).
Centralità della persona, giustizia, libertà, reciprocità, diritti,
prospettiva politica, cultura e pratica della cittadinanza, propensione
verso un tipo di sviluppo endogeno, azione tesa a sollecitare una
dialettica tra cittadinanza e volontariato perché non si realizzino
modalità passive e assistenziali di volontariato: sono questi solo
alcuni dei principali indicatori direzionali dell’azione volontaria, da
iscriversi in una sorta di “Carta etica del volontariato”, come tentativo
di ridefinire i valori e gli orizzonti di senso dell’intervento di
volontariato. Gli elementi di fondo che emergono da queste
definizioni sono la spontaneità, la gratuità, l’orientamento
solidaristico.
Ma oggi le forme di volontariato sono tante e così variegate da
dare luogo a sinonimi innumerevoli e sempre più ambigui: lavoro di
volontariato, lavoro di servizio, azione volontaria, solidarietà sociale,
impegno sociale. Nel nostro paese, in questi ultimi venti anni, il
volontariato è enormemente cresciuto, evolvendo da soggetto
caritativo a soggetto politico, che si pone come obiettivi prioritari
l’individuazione e la rimozione delle cause che sono all’origine del
sistema, consentendo, così, di superare la “solidarietà corta” del
passato (Amerio, 1996). L’impegno è di fatto volto alla realizzazione
di un reale miglioramento della qualità della vita, anche mediante la
capacità di rapportarsi alle istituzioni, peraltro spesso carenti. Esso
59
Capitolo II
rappresenta perciò una forza non più residuale, assistenzialistica,
collaterale, ma dotata di uno spazio e di un’identità (Tavazza, 1987).
Come già si è accennato, è nella crisi dello Stato sociale che il
volontariato, sotto le più diverse forme, ha trovato uno spazio dove
inserirsi in maniera organizzata tra Stato e Mercato. È tra il pubblico e
il privato che oggi compare quel privato sociale, quel “terzo settore”
che la crisi del welfare ha messo in moto e che ha tatto della
solidarietà la propria bandiera. Si è spesso attribuito alla scarsità delle
risorse il cattivo funzionamento dei servizi di welfare, ma la crisi
inerisce alla dimensione culturale, politica e soprattutto solidaristica.
Perché, come dice De Leonardis (1990), è entrata
definitivamente in crisi la logica inclusiva e globalizzante tipica della
fase di sviluppo del welfare, che – pur riconoscendone l’enorme valore
di affermazione di una cultura dei diritti – ha dato tuttavia una
risposta riduttiva, di omologazione e appiattimento delle differenze,
alle istanze di universalismo, di generalizzazione dei diritti e di
allargamento della cittadinanza.
Le qualità che si richiedono nell’area dei servizi sono l’elasticità,
la flessibilità, la capacità di modularsi sulle esigenze individuali e
spesso speciali dei cittadini-utenti, senza per questo perdere identità
e autorevolezza. Le istituzioni ignorano il fatto che alcune risorse
crescono con l’uso, invece di consumarsi: l’esperienza professionale,
qualità come l’altruismo, beni relazionali, immateriali.
Nel “bruciarsi” dei servizi, nello sgretolarsi di questa alternativa
sembra prendere corpo una prospettiva altra fatta di innesti e
contaminazioni, nella quale al pubblico spetta la prerogativa di
garantire diritti e risorse alla generalità dei cittadini per consentire
loro di “far da sé”, e nella quale, viceversa, il privato si definisce come
spazio e cultura di cooperazione e di promozione della propria
autonomia.
L’idea base del privato sociale è che la cura dei problemi sociali
deve essere fondata sulla comunità locale, tale per territorio o per
60
Il volontariato
scelta, come contesto il più possibile autonomo nella gestione dei
problemi. Inteso come cura della comunità e nella comunità, la
community care inserisce a tutte le forme organizzative – formali e
informali – che operano per il benessere sociale nel contesto locale.
La community care può essere definita come l’intreccio, nel
campo dei servizi alla persona, di formale e informale, capace di
fornire la risposta più adeguata ad una specifica domanda in termini
di personalizzazione, elasticità, appropriatezza relazionale, efficacia
ed efficienza (Di Nicola, 1993).
Esiste certo il pericolo che la community care si possa
configurare come polita sociale residuale, ma deve essere intesa
come una rete locale inserita in una rete più ampia, societaria, di
prestazioni e servizi, che realizza di fatto una comunità competente.
Una comunità capace di riconoscere i propri bisogni, le proprie
esigenze, e di mobilitare e impiegare le risorse necessarie per
soddisfarli; di prendere coscienza degli elementi che generano
conflitti e crisi al proprio interno e di avviare un confronto per
individuare le strategie più idonee.
Di rilevante importanza è dunque, la psicologia di comunità in
quanto considera proprio l’interfaccia tra il mondo interno e quello
esterno: essa trova il senso della sua identità nella conoscenza
dell’individuo e della sua interazione nel contesto per promuovere
processi di empowerment.
II.7 Le motivazioni del volontariato
Quando si affronta il problema dell’azione del volontariato si mette
subito l’accento sul punto di vista etico, e sulle spinte motivazionali
61
Capitolo II
quali contenuti che differenziano il volontariato da qualsivoglia altro
operatore sociale.
Questo interrogarsi sul senso delle motivazioni e dei valori che
accompagnano l’azione volontaria, è importante, perchè non può
esserci un impegno alla partecipazione attiva senza motivazioni,
intenti e interrelazioni sociali concrete.
Le motivazioni personali di questo impegno sono spesso di origine
differenziata: dalla spinta religiosa che ha prodotto le vaste aree del
volontariato cristiano, a quella umanitaria che ha dato corpo alle
ispirazioni laiche di fratellanza umana e quella sociale figlia dei
movimenti di solidarietà operaia e contadina fioriti all’inizio del
secolo.
In termini psicologici, per motivazione si intende quel fattore
dinamico del comportamento umano, che attiva e dirige un
organismo verso una meta.
Le motivazioni possono essere coscienti o inconsce, semplici o
complesse, transitorie o permanenti, primarie ossia di natura
fisiologica o secondarie di natura personale o sociale, a cui si
aggiungono le motivazioni superiori come gli ideali o i modelli
esistenziali che l’individuo assume in vista della propria
autorealizzazione.
Qualsiasi bisogno sottende a diversi scopi, la cui scelta dipende per
ciascun individuo che voglia fare il volontariato, dai valori culturali,
dalla capacità biologica, dalla esperienza personale, dalle possibilità
offerte dall’ambiente. L’essere umano reagisce non solo agli oggetti e
alle persone dell’ambiente circostante ma anche al suo stesso corpo,
ai suoi stessi pensieri, al suo stesso sentire. Così facendo sviluppa
conoscenze intorno a se stesso come oggetto centrale e importante.
Prendono rilievo scopi e bisogni legati all’affermazione e alla difesa
di sé, che assume grande importanza nella comprensione delle
motivazioni.
62
Il volontariato
Il sé emerge nel comportamento, quando l’individuo diventa
oggetto sociale della propria esperienza e ciò avviene quando assume
atteggiamenti analoghi agli altri individui. Il sé gioca un ruolo
essenziale nella motivazione in quanto organizza i bisogni e gli scopi
dell’individuo. Il sé è un prodotto di interazioni sociali e tende ad
essere definito nei termini dell’appartenenza al gruppo.
Tali presupposti teorici ci aiutano a capire le motivazioni al
volontariato.
Esistono delle motivazioni personali, che possono essere legate e
vissuti di sofferenza personale o di persone effettivamente vicine.
Ci sono poi le motivazioni che appartengono al mondo sociale come il
motivo di affiliazione che induce gli uomini a riunirsi ed è spesso
intrecciato con altri motivi, dando vita alle associazioni tra loro, e
appaga così il bisogno di appartenenza, bisogno imperioso che
influenza profondamente le azioni sociali dell’uomo, portandolo a
proporsi obiettivi elevati come avviene nel volontariato. Nell’ambito di
questo, inteso come gruppo, si possono esercitare funzioni che
l’individuo da solo non è in grado di esercitare.
Altre motivazioni che appartengono al mondo ideale sono: il
motivo di altruismo, più o meno consapevole orientato sia verso sè
stesso che verso gli altri, opera sia per il proprio progresso personale,
sia per aiutare gli altri.
Sono in genere le circostanze di vita che fanno apparire chiaro,
perchè ha senso, impegnare parte delle proprie energie e del proprio
tempo per gli altri. Un incontro con un certo gruppo di persone può
essere l’evento scatenante che fa emergere alla chiarezza della
coscienza, che ha senso fare qualcosa per un altro relativamente
prossimo.
La persona dotata di un forte motivo di altruismo si preoccupa
del suo prossimo e lo cura, essa è certamente messa in contrasto con
la persona egoista.
63
Capitolo II
Il motivo di solidarietà implica una dimensione di conoscenza, di
volontà, di intelligenza, non inerte ma pratica motivata:
- dalla capacità di riconoscimento dei bisogni altrui;
- dalla capacità di osservazione della realtà;
- dalla capacità di aggregazione e disponibilità di gruppo;
- dalla volontà di migliorare la qualità della vita.
Un’altra è la motivazione dell’autorealizzazione, sia interiore,
come processo individuativo che differenzia in positivo il singolo dal
gruppo, con un guadagno progressivo di autonomia, sia esteriore
nelle forma della responsabilità e delle riuscita sociale.
L’attenzione alle esigenze di coloro che sono in difficoltà è
influenzata da fattori di natura personale, dalla interpretazione della
situazione, dalle esperienze passate, dalla consapevolezza relativa
alle proprie capacità di aderire alla richiesta di aiuto.
Per un volontario, è importante capire che prima di prestare
aiuto si deve divenire coscienti dei bisogni e dei desideri dell’altro.
Per decodificare una richiesta di aiuto è necessario che il
volontario sia positivamente orientato verso l’altro, in quanto un
individuo troppo preso dalle sue preoccupazioni personali
difficilmente riuscirà ad essere sensibile e attento alle difficoltà altrui.
64
Capitolo III
CAPITOLO III
“GANCIO ORIGINALE”
Credi al grano, alla terra, al mare,ma prima di tutto
all’uomo.Ama la nuvola, il libro la macchina,
ma prima di tuttol’uomo.
Senti in fondo al tuo cuoreil dolore del ramo che secca,
della stella che si spegne,della bestia ferita,ma prima di tutto
il dolore dell’uomo.
Godi di tutti i beni terrestri,del sole, della pioggia e della neve,
dell’inverno e dell’estate,del buio e della luce,
ma prima di tuttogodi dell’uomo.
(N.Hikemet, Non vivere su questa terra come un inquilino)
Capitolo III
III.1 Che cosa è Gancio Originale?
Gancio Originale, è un gruppo di volontariato nato all’interno
del Settore di Psicologia Clinica e di Neuropsichiatria dell’AUSL di
Reggio Emilia. È uno sportello pubblico volto a reperire e formare
giovani volontari ed ad operare con loro in attività indirizzate a
bambini e a giovani disabili e/o a rischio della scuola dell’obbligo.
Nasce con funzione riabilitativa e riparativa del Sé del bambino a
rischio, al confine tra pedagogia e psicologia, tra prevenzione
secondaria e terziaria.
Garantisce ai giovani volontari, formazione, tutoring, consulenze
e supervisione dei lavori quali workshop, impegno diretto nelle scuole
per il reperimento di nuovi volontari.
Questi giovani infatti svolgono la propria opera di volontariato
essenzialmente sui fronti della disabilità e del disagio.
È venuto a crearsi così nel tempo un gruppo molto mobile, (sono
più di 700 i ragazzi coinvolti in quest’opera) di giovani che aiutano i
più giovani e quindi:
1. giovani che vanno sensibilizzati. Ciò viene fatto in tutte le
scuole superiori della città attraverso insegnanti, presidi,
ragazzi stessi e attraverso l’individuazione di un target. Questo
viene identificato con gli allievi delle ultime classi delle
superiori, ai quali viene presentato il progetto insieme a giovani
che hanno già lavorato e quindi sono in grado di precisare, con
un linguaggio chiaro e comprensibile, i contorni e i limiti
temporali dell’impegno richiesto: 2 o 3 ore settimanali;
2. giovani che vanno seguiti e organizzati. Questo comporta
un lavoro di accoglienza, di individuazione delle vocazioni di
ognuno, di abbinamento specifico con i bambini e i ragazzi
seguiti, di tutoring individuale e di gruppo;
3. giovani che vanno formati nell’esercizio di un lavoro di aiuto
che assume anch’esso delle peculiarità poiché, data la
Gancio Originale
vicinanza anche anagrafica con i minori seguiti, mai come in
questa circostanza la cura che il volontario offre è anche
autocura che richiede momenti di riflessione e di formazione sia
nei contenuti proposti, sia nei metodi segui, sia nell’uso di un
linguaggio appropriato;
4. giovani che in questo modo sviluppano e coltivano,
cominciando a intervenire in maniera del tutto nuova e originale
nel lavoro di cura e nell’assunzione di responsabilità,
quell’attitudine ad ascoltare le ragioni dell’altro, a considerare
gli effetti delle proprie azioni, a sapere che alla fine ogni forma
di relazione lascia un segno e ha delle conseguenze sugli altri.
III.2 Nascita e sviluppo di Gancio
Originale
GANCIO ORIGINALE nasce nel '91 con l’impostazione della
campagna di informazione e reclutamento nelle scuole medie
superiori, i primi contatti con le associazioni giovanili, gli scout, le
parrocchie, la creazione del logo, ecc.
L'impostazione dell'attività é stato quello di affiancare agli
interventi di diagnosi, sostegno, riabilitazione e cura, una rete di
percorsi diretti ad ampliare la possibilità di contatti sociali e di
rapporti nuovi che si potessero concretizzare facendo esperienze
nell'ambito del tempo libero e dell'attività parascolastica.
Il punto iniziale di tale percorso è stato quello di affrontare la
promozione individuando come punto di partenza “l’agganciare" il
mondo giovanile (gruppi giovanili, parrocchiali, culturali, soprattutto la
scuola media superiore).
67
Capitolo III
Nei primi mesi del '92 sono cominciati gli incontri con alcune
scuole superiori (Istituto Magistrale, I.T.F., I.P.F., Liceo Scientifico
Moro, Istituto Chierici).
Nell'Aprile del '92, é stata condotta la prima iniziativa di
formazione per i volontari e gli obiettori.
Da allora in poi ogni semestre l'iniziativa é stata ripetuta.
Tutti i formatori hanno sempre svolto volontariamente e
gratuitamente le loro lezioni.
Nell'estate del '92, sono state utilizzate le risorse del
volontariato in attività di tempo libero estivo: 10 ragazzi sono stati
ospiti di soggiorni estivi fuori città e 7 di campi estivi in città.
Questa iniziativa é stata la prima di una serie di esperienze dal
titolo “FARE, DISFARE, RIFARE” realizzate oltre che in estate anche
nel periodo scolastico all’interno della scuola elementare e
precisamente con due classi quinte dalle quali erano pervenute al
Settore di Psicologia ben 8 segnalazioni di bambini con pesanti
difficoltà di apprendimento e comportamento.
Nel '93 sono state contattate 8 scuole medie superiori per un
totale di 15 incontri di gruppo.
Alla fine del 1993 i volontari iscritti erano 62 di cui 33 in attività.
Nel Marzo del '93, in seguito alla circolare n. 85 del 11-2-'93 del
Ministero per gli Affari Sociali si è istituito un registro, in base al quale
i volontari sono stati assicurati.
Nel mese di Marzo '94, si è dovuto affrontare il problema dei
locali, infatti, in seguito alla riorganizzazione, tutto il personale del
Settori (NPI e Psic. Clinica) è stato trasferito presso la sede unica di
S.Croce e, di conseguenza, non è più stato possibile utilizzare le sedi
dei distretti per le attività di volontariato. Di fronte ad una nuova
esigenza, sono state cercate e trovate sedi alternative presso scuole,
circoscrizioni e parrocchie. Le scuole si sono dimostrate le situazioni
più adatte.
68
Gancio Originale
Da Ottobre '93 a Giugno '94 sono stati complessivamente
seguiti dai volontari 65 ragazzi portatori da handicap di diversa natura
e gravità per un totale di 1632 ore.
La novità più rilevante di questo periodo, é stato il
coinvolgimento degli insegnanti, dei direttori e dei presidi, con la
conseguenza che da alcune scuole medie superiori sono cominciati ad
arrivare i volontari non più singolarmente ma a gruppi preselezionati,
contattati da insegnanti e presidi.
Nel 1995, la schiera dei volontari in attività alla fine dell'anno
era circa di 100 persone.
Nel Dicembre dello stesso anno, la Provincia di RE ha finanziato un
Convegno in cui si sono evidenziati i seguenti punti:
1. l'individuazione degli studenti degli ultimi tre anni delle
superiori e dei primi anni dell'università come possibili soggetti
capaci di fornire prestazioni aggiuntive alle risposte riabilitative,
come aiuto nei compiti, aiuto in situazioni di tempo libero
(uscite, piscina, atelier), animazione nelle strutture (Progetto
10, Centro Appoggio), baby-sitter per bambini piccoli e
adolescenti gravi.
2. La proposta nelle scuole e nei gruppi giovanili è chiara: 2, 3, 4,
ore settimanali per fare cose precise su un bisogno già
individuato dal servizio, in un luogo altrettanto preciso, su di un
setting di volontariato con scadenze programmate insieme, in
cambio di "supervisione" sui casi, formazione, copertura
assicurativa ed eventuale rimborso spese.
3. La "marginalità istituzionale" è un’altra caratteristica di Gancio
Originale che fino ad ora non ha mai avuto quel supporto
istituzionale e finanziario che avrebbe richiesto una
progettualità più centrale rispetto a fini istituzionali. Anche
rispetto ad altre consimili esperienze di volontariato nelle
istituzioni pubbliche, il “prezzo” non solo in termini economici
69
Capitolo III
che Gancio Originale costa all’Azienda USL è risibile se
confrontato al monte ore di servizio gratuito prestato dai
volontari.
Quello che si chiede ai volontari é l'acquisizione di un abito
mentale che era, quello dell'operatore territoriale, che dà una
prestazione, reinventandola in continuazione in base ai processi di
rispecchiamento che il disabile, il ragazzo con problemi innesca:
l'incontro con il "diverso" in età evolutiva da parte di soggetti essi
stessi in età evolutiva che si spendono in un "gancio" che dura quanto
un viaggio, viaggio che conduce il disabile, il ragazzo a rischio, a livelli
di maggior competenza e autonomia, ed il volontario, ad altre
esperienze più ricche e consapevoli.
Un progetto così strutturato, all'interno del quale si rimane per un
periodo che varia da qualche mese a qualche anno, fa sì che ci sia un
alto livello di turn over, che conferisce così dinamicità, plasticità e
un continuo rinnovamento.
Molti, inoltre, sono stati i volontari che dopo aver lasciato
l’esperienza di Gancio hanno continuato a lavorare nelle altre realtà,
in cui si sono spostati.
Tutto ciò, non era stato previsto. E' stata la dinamica stessa delle
cose, sono state le caratteristiche specifiche dei volontari, la loro
stessa età, la loro stessa mobilità a suggerirla.
Il basso livello di gerarchia, rappresentato sia dagli psicologi
responsabili del progetto che soprattutto da chi organizza a livello
centrale e giornalmente contatta, contratta, fa incontrare, ovvero che
tesse la tela del progetto in una situazione che è ai margini della
scena istituzionale. Paradossalmente questo diventa un vantaggio,
poichè definisce al progetto alcune caratteristiche di understatement,
che l'appartenenza ad un apparato troppo scopertamente legato
all'istituzione avrebbe certamente impedito.
70
Gancio Originale
Invenzione, flessibilità, individuazione precisa delle risorse
disponibili, rispetto per i limiti e valorizzazione delle possibilità offerte
dai volontari, tutorship, garanzie di appoggio e riconoscenza per
l'opera da loro spontaneamente data: questi sono gli ingredienti del
progetto "GANCIO ORIGINALE ".
Nel 1996 Gancio Originale si è consolidato, si è consolidata la
sua doppia faccia di luogo di lavoro per bambini e ragazzi disabili o
con disagio da una parte, laboratorio sociale, psicologico e tecnico per
i volontari dall'altra.
Si è messo in rete con l'Area sociale del distretto AUSL di RE e
con il CENTRO per le Famiglie.
Più nello specifico nel 1996, oltre alle attività solite, è stata fatto
uno sforzo per individuare delle attività adatte ai più giovani, a quelli
che si sono presentati in gruppo:
collaborazione alle attività di "FARE, DISFARE, RIFARE" (a
questo proposito va detto che è stata fatta per la prima volta un
esperienza con 8 bambini sordi profondi, nel 1997 è stata fatta
la stessa esperienza con un gruppo di ragazzi spastici in
carrozzina, nel giugno 1999 è stata ripetuta l’esperienza con i
bambini sordi);
gruppi pomeridiani di inserimento e socializzazione di ragazzi
portatori di handicap;
tutor-ship nelle scuole medie superiori per ragazzi con handicap
inseriti nella scuola stessa;
"Fratellini e fratelloni insieme davanti alla televisione"
laboratorio serio e divertente in cui 14 ragazzi (del BUS) di
15/16 anni hanno lavorato insieme ad una classe 5° della scuola
elementare (Collodi);
si è cominciato a diffondere la pratica di far coordinare i gruppi
pomeridiani (work-shop), all'interno delle varie scuole da
71
Capitolo III
tirocinanti psicologi e questo ha permesso di ampliare l'ambito
di intervento e di accrescere gli strumenti dell'intervento stesso.
Nel 1996 le ore di volontariato sono state 2792 con costi minimi. I
volontari in attività circa 100.
Nel 1997, sono aumentati i gruppi di ragazzi con età inferiore ai
18 anni, assicurati dalle scuole di provenienza, coinvolti in attività di
gruppo.
Sono state promosse con loro varie iniziative:
tutte le alunne di alcune classi (IODI), dopo vari incontri hanno
dato la disponibilità ad accompagnare a scuola e a casa,
nonchè a gestire un pomeriggio in attività varie, per i compagni
portatori di handicap inseriti nella loro classe.
Con gli studenti dello Zanelli si è attivato un doposcuola
pomeridiano per ragazzi di 5°-1°media della zona.
Quest'esperienza è coordinata da insegnanti della scuola, fatta
dentro i locali della scuola stessa e soprattutto coinvolge
ragazzi poco motivati e impegnati sul piano scolastico ma
entusiasti del lavoro che stanno facendo.
Sono aumentati i volontari "grandi", quelli che hanno terminato
l'università.
Anche dai comuni limitrofi di Cavriago, Scandiano, 4 Castella,
Carpi hanno richiesto informazioni e consulenza per attivare
iniziative simili alle nostre.
Con il Centro per le famiglie e l'Area Sociale si è istituita la
campagna " Basta un'ora" e i circa 40 volontari reclutati sono
stati organizzati sul modello di Gancio Originale, compresa la
formazione. Da questo progetto sono uscite anche alcune
offerte di famiglie disponibili per affidi veri e propri.
L'attività pomeridiana (WORK-SHOP), è un’attività che impegna
ragazzi due pomeriggi alla settimana per due ore, con le scuole
72
Gancio Originale
elementari e medie è quantitativamente aumentata (s.m.
Fontanesi, s.m. Dalla Chiesa, s.m. Rivalta, s.unica di Bagnolo, s.
e. Dante, Pieve 2, 4 Castella, s.m. Pertini), ma è anche
migliorata nelle modalità e nei contenuti. Questo tempo è
dedicato in parte ai compiti, ed in parte a laboratori
multidisciplinari volti a favorire lo stare in gruppo e la
promozione della motivazione al saper essere e al saper fare
(Pollicino verde, laboratorio di comunicazione, di ceramica, di
cucina, di riciclaggio materiali usati). Da un paio d'anni in ogni
presidio c'è una tirocinante psicologa che fa da punto di
riferimento ai volontari e con gli insegnanti. Ovviamente questa
funzione è governata a livello centrale, da qui si mantengono
anche i contatti con le altre attività che ci sono nelle varie zone
( get, parrocchie, squadre sportive ecc.).
Una iniziativa interessante è stata nel ‘97 fatta con la
Polisportiva Primavera che ha coinvolto un gruppo di ragazzini
spastici in carico al settore di NPI.
Sempre nel 1997, si è ampliata l’attività del volontariato ad
integrazione del personale educativo dei Campi gioco e delle
altre iniziative estive personale impiegato per l’integrazione dei
minori in carico all’ Ausl inseriti nelle suddette strutture gestite
dall’Arci, dai Comuni, dalle parrocchie.
NEL 1997 LE ORE DI VOLONTARIATO SINGOLO SONO STATE 3627
III.2.1 Attività del 1998-‘99
Il 1 Dicembre 1999, la ricerca-azione “I GIOVANI, LA
FAMIGLIA, I MASS MEDIA” fatta insieme al Servizio di mediazione
famigliare del Comune di Reggio Emilia si è conclusa con un
Seminario, che ha visto una massiccia partecipazione soprattutto di
73
Capitolo III
giovani, e con una pubblicazione contenente il rapporto di ricerca. Il
Lavoro ha coinvolto 5 istituti della città ( Bus, Istituto Magistrale,
Istituto Zanelli, ITI Nobili, Istitito Iodi ) 6 classi al completo e 10
volontari di Gancio Originale.
La ricerca si è proposta di evidenziare e studiare l’impatto che
ha il linguaggio usato dai Mass Media sulla idea di famiglia dei giovani
studenti. La partecipazione dei direttori dei giornali locali alla
giornata conclusiva ha permesso ai giovani di confrontare e discutere
i risultati cui erano arrivati in questo lavoro durato quasi un anno.
FORMAZIONE
Una novità importante è stata la full-immersion residenziale sul
tema “GIOCO, IMPARO, INSEGNO” svoltasi nel seminario di Marola il
6-7 Settembre 1998. Qui 50 volontari si sono trovati a condividere
insieme due giornate organizzate intorno al tema del gioco visto
come punto centrale sia nel processo di insegnamento che in quello
di apprendimento; visto come fonte importante di osservazione del
bambino ma anche come approccio relazionale indispensabile in un
rapporto verticale fra il “grande” e il “piccolo”.
E’ stata una esperienza in cui momenti d’ascolto e discussione
si sono alternati a momenti di attività di gruppo (Il corpo-gioco,
Giochi di ruolo, Fare-Disfare-Rifare).
Si è cercato di dimostrare, in questo modo, la continuità fra ciò
che si dice e ciò che si può fare; fra la teoria e la pratica.
Le due giornate passate interamente insieme hanno dato ai
volontari di Gancio Originale la possibilità di conoscersi di sapere
reciprocamente cosa si sta facendo, di rafforzare un’identità di gruppo
che precedentemente assumeva una rappresentazione reale solo
nelle serate formative.
Nel pomeriggio dell’ultimo giorno sono intervenuti insegnanti,
presidi, rappresentanti delle istituzioni e organizzazioni con le quali si
è lavorato.
74
Gancio Originale
L’ATTIVITA’ DEL WORKSHOP
L'attività pomeridiana (WORKSHOP), con le scuole elementari e
medie è quantitativamente aumentata anche rispetto al 1997 (scuole
medie Fontanesi, Dalla Chiesa, Aosta, Rivalta, Pertini, nella s.unica di
Bagnolo e delle s. elementari Dante, Pieve 2, Quattro Castella).
Anche l’obiettivo generale dei Workshop pomeridiani si è
delineato con maggiore precisione e si è sempre più concertata con
l’OPEN G (consultorio giovani): sono infatti attività di prevenzione del
disagio giovanile mediante l’integrazione linguistica, scolastica e
relazionale dei bambini e dei ragazzi (autoctoni e immigrati) in età
dell’obbligo, conosciuti dai Servizii di Psicologia Clinica e di
Neuropsichiatria Infantile dell’AUSL di Reggio Emilia.
I gruppi si riuniscono all’interno degli ambienti scolastici, al di
fuori dei normali orari di lezione.
La presenza di psicologi tirocinanti ha permesso di allacciare
rapporti stabili con gli insegnanti del mattino e cominciare a gettare le
basi anche per un rapporto ragionato con i genitori .
Gli psicologi tirocinanti hanno potuto usufruire quindicinalmente
di una supervisione clinica presso l’OPEN G .
Le caratteristiche dei ragazzini coinvolti sono diventate più
complesse: non più solo problemi di ritardo scolastico e di handicap,
ma anche di disagio psicologico, relazionale, sociale e familiare.
Tutti i workshop sono stati coordinati da tirocinanti psicologi
supportati dagli operatori AUSL di Gancio Originale e supervisionati
dal Dott. Angelini, responsabile dell’Open G.
DOPOSCUOLA ALL’INTERNO DEGLI ISTITUTI SUPERIORI
Si è riattivato il doposcuola pomeridiano per ragazzi di 5°-
1°media della zona e agli inizi del 1999 con altri istituti (Liceo Moro,
Zanelli).
75
Capitolo III
Nel 1998 le ore di volontariato singolo sono state 4542 cui
vanno aggiunte quelle prestate dai volontari minorenni.
Nel 1999 è stato ottenuto un finanziamento dalla Regione
essendo stato considerato Gancio Originale unico progetto nel
comune di RE ammissibile a contributo per l’istituzione del servizio di
aiuto alla persona di cui all’art. 3 comma 3 della L:R: 29/ 97.
Nel Novembre dello stesso anno Gancio Originale ha accolto le
prime due volontarie europee. Si è iniziata, così, con la collaborazione
di “Dar Voce”, questo nuovo filone di attività, che potrà consentire in
futuro scambi per i volontari e che rappresenta fonte di arricchimento
reciproco.
III.2.2 Volontariato singolo
Una notevole mole di lavoro è svolta da volontari che,
individualmente, seguono bambini o ragazzi delle scuole elementari e
delle scuole medie, in attività volte ad affrontare il disagio negli
apprendimenti scolastici e/o il disagio comportamentale e relazionale.
Sono più di 70 i casi seguiti (26 in carico al Settore di
Neuropsichiatria Infantile, 44 in carico al settore di Psicologia Clinica),
con patologie varie , più o meno gravi.
Cosa fanno i volontari singoli:
aiutano a fare i compiti a casa, a scuola, nelle biblioteche,
presso i circoli ARCI, presso le parrocchie;
accompagnano a conoscere la città in ludoteca, in piscina, in
palestra;
giocano a tennis, frequentano luoghi in cui si fa musica,
insegnano ad usare i computer;
76
Gancio Originale
una decina di volontari sono impegnati nel Progetto dell’ AUSL
presso il Centro di addestramento lavorativo Simonini, e
collaborano con gli educatori negli ateliers di pittura e musica. I
ragazzi seguiti in queste situazioni sono circa 20.
Molto spesso questi volontari continuano spontaneamente a
mantenere un rapporto amicale con i ragazzini che hanno seguito,
andando con loro al cinema, a mangiare una pizza, alle feste di
compleanno.
Nella primavera del 2000 è stato pubblicato per l’ed.Unicopli
collana Quaderni di Gancio Originale tutto il materiale prodotto nella
formazione dal 1996 ad oggi che attualmente esiste solo in ciclostilati
che volta per volta vengono dati ai nuovi volontari insieme alla
pubblicazione che contiene la formazione dal 1992 al 1995.
A Ottobre 2000 nei workshop il numero dei volontari minorenni
assicurati dalle rispettive scuole (79 del Liceo Moro, 20 del Bus ,30
dell’Istituto Magistrale, 21 Istituto Zanelli) è doppio rispetto a quelli
della fine di maggio. L’abbassamento dell’età ha reso però più
impegnativa la gestione e la formazione in itinere. Infatti è stato
importante sottolineare loro pressocchè quotidianamente
l’importanza di mantenere l’impegno preso, di avere delle regole e
dei limiti, di avere una programmazione precisa.
Inoltre è stato difficile e impegnativo l’inizio delle attività perché
con la ristrutturazione dell’organizzazione scolastica si è dovuto
riallacciare i rapporti con i dirigenti scolastici quasi tutti cambiati
rispetto all’anno scolastico scorso.
Complessivamente per l’anno scolastico 1999/2000 i minori
seguiti nei workshop sono stati 78. Alla ripresa delle attività (a
Novembre) sono stati 110.
Va ricordato che tutti i minori seguiti sono in carico ai servizi di
Psicologia Clinica o di NPI. Molti casi sono anche in carico al servizio
sociale minori del Comune.
77
Capitolo III
III.3 Modalità di realizzazione del
progetto
Negli anni successivi andranno consolidandosi e sviluppandosi
tutte le iniziative finora intraprese in particolare:
ogni anno si ripresenta la necessità di riproporre la campagna
informativa poiché il fenomeno del turnover che ha sempre
connotato Gancio Originale continua ad essere molto alto.
La proposta nelle scuole e nei gruppi giovanili si attua con le
stesse modalità di sempre, con la presentazione cioè
dell’attività di Gancio Originale nelle singole classi fatta dalla
dott. Cantini insieme a volontari più anziani.
Le persone che vanno nelle scuole sono le stesse che i ragazzi
interessati ritrovano, una volta presa la decisione, al colloquio di
presentazione dei diversi progetti a cui si può partecipare.
Si chiede una disponibilità chiara in base alle esigenze del
progetto: 2, 3, 4 ore settimanali per fare cose precise su un
bisogno già individuato dai servizi, in un luogo altrettanto
preciso, con un setting preciso e scadenze programmate
insieme. In cambio si dà tutorig, “supervisione” sui casi,
formazione, copertura assicurativa ed eventuale rimborso
spese.
Si ripeterà l’esperienza di Marola a Settembre dove verranno
trattate di volta in volta differenti tematiche. L’ultimo incontro
era intitolato “Migrazioni nel tempo e nello spazio”.
Lo psicologo pianifica, programma e attua, coadiuvato, soprattutto
nella fase di realizzazione, dal personale volontario (GANCIO
78
Gancio Originale
ORIGIANALE), le attività sottoelencate svolgendo un costante
controllo sui risultati raggiunti.
Sostegno alla frequenza scolastica, sugli apprendimenti in orari
extra scolastici. Per migliorare il rendimento nelle attività
didattico-curricolari ed extracurricolari. In relazione alla natura
del compito scolastico o alle esigenze peculiari del minore, si
prevede l’inserimento dello stesso nel piccolo gruppo o
l’affiancamento individuale da parte del personale adulto
disponibile.
Creazione di momenti aggregativi ed attività riabilitativa al fine
di:
- promuovere e valorizzare le capacità propositive, decisionali e
gestionali;
- favorire la socializzazione mediante l’acquisizione di abilità e
competenze sociali e l’integrazione nella rete di pari presenti sul
territorio;
- offrire spazi di riflessione sui temi aventi rilevanza sociale, culturale,
emotivo-affettiva.
Ogni incontro viene suddiviso in due momenti di cui il primo
destinato al sostegno scolastico ed il secondo alla discussione,
socializzazione ed alle attività relazionali.
Realizzazione di servizi educativi e ricreativi.
Organizzazione delle seguenti attività:
- laboratori di creatività (opere realizzate con materiale di recupero,
pasta al sale, creta, utilizzo di tecniche pittoriche e grafiche, ecc.);
- attività formative (serra, erboristeria, cucina, computer ecc.);
- attività ludico-educative (giochi di condivisione che favoriscano lo
scambio comunicativo, il riconoscimento delle proprie emozioni e il
senso di appartenenza al gruppo).
Iniziative per una migliore fruizione delle risorse del territorio.
79
Capitolo III
Fornire informazioni ed organizzare visite guidate ai centri culturali
ed educativi, presenti nel proprio quartiere e nella propria città, rivolti
ai minori.
Counselling agli insegnanti.
Programmazione di incontri periodici con gli insegnanti dei minori
inseriti nei workshop.
Interventi di rete.
Instaurare e mantenere contatti con Assessorati, assistenti sociali,
circoscrizioni, parrocchie ecc.
Counselling alla famiglia.
Rivolto al sostegno delle famiglie dei minori con svantaggio socio-
culturale, concentrato specialmente nei delicati momenti di passaggio
da un ciclo scolastico all’altro.
Programmazione di incontri periodici con i famigliari dei minori
coinvolti nei workshop.
Volontariato giovanile europeo.
Filone di attività promosso dalla CEE e dal ministro degli Affari
Sociali con l’intenzione di favorire scambi non solo fra giovani
volontari, ma anche fra giovani portatori di handicap.
Le pubblicazioni di Annuari e Quaderni.
Contenenti i temi della formazione in cui sono raccolte le
esperienze e le impressioni dei protagonisti di tutte le attività nel
corso dell’anno.
La formazione.
Per due volte l’anno, di cui una residenziale di due giorni
consecutivi e l’altra di due o tre serate, su tematiche concordate e
con l’alternanza di momenti teorici e momenti pratici.
Le attività di workshop.
80
Gancio Originale
Come abbiamo già sottolineato consistono in gruppi di intervento
pomeridiani, dislocati all’interno di scuole medie inferiori, superiori (i
volontari sono studenti interni alle scuole, i ragazzini seguiti sono
alunni delle scuole dell’obbligo limitrofe alle scuole stesse), in scuole
elementari e in istituti compresivi. Si riuniscono due volte alla
settimana per circa due ore. Ogni gruppo accoglie 10-11 ragazzini e
quasi altrettanti volontari. I ragazzini sono tutti in carico ai servizi di
NPI e di Psicologia Clinica. L’obiettivo generale della costituzione dei
workshop pomeridiani consiste nella prevenzione secondaria e
terziaria del disagio giovanile mediante l’integrazione linguistica,
scolastica e relazionale dei bambini e dei ragazzi (autoctoni e
immigrati) in età dell’obbligo, segnalati e certificati ai sensi della
legge n. 104/1992, per disturbi d’apprendimento su base non
organica.
Nella consapevolezza che l’approccio elettivo per questo tipo di
problematica debba essere multidisciplinare e ambientale, il
workshop è finalizzato a creare una sinergia tra istituzione scolastica,
consultorio giovani (OPEN G), e famiglia per la programmazione di
interventi riabilitativi mirati alle particolari esigenze-carenze del
minore.
Il workshop, assume così la veste di un insieme limitato di minori
con certificate difficoltà negli apprendimenti scolastici, affiancati da
volontari di Gancio Originale e coordinato da psicologi che si riunisce
all’interno degli ambienti scolastici (come previsto dalle recenti
disposizioni ministeriali in materia), al di fuori dei normali orari di
lezione, per lo svolgimento di attività riabilitative, di recupero
scolastico, educative, creative e formative.
Le predette attività si svolgeranno nel corso dell’anno scolastico
con carattere di continuità (cadenza bisettimanale), per il
raggiungimento dei sub-obiettivi qui di seguito elencati.
81
Capitolo III
L’originalità di Gancio, consiste nel modificarsi in continuazione,
di spostarsi con molta elasticità a seconda delle forze disponibili e dei
bisogni rilevati, nel possedere una grande flessibilità ed un alto livello
di interpretazione personale del lavoro frontale con i pazienti e con le
istituzioni.
Gancio Originale è nata come un’iniziativa semplice, dare risposte
a un’area di bisogni aggiuntivi che non possono essere soddisfatti
dai servizi erogati da settori specialistici - il progetto è nato
all’interno della NPI e della Psicologia Clinica - risposte consistenti,
come già sottolineato precedentemente, essenzialmente nel prestare
aiuto a minori disabili e a rischio per quanto concerne l’attività
scolastica e di tempo libero; dove le attività e i progetti non sono stati
stabiliti a priori ma si sono sviluppati col tempo.
La semplicità ha preso rapidamente spessore ed è diventata un
lavoro complesso e raffinato, su due versanti :
1. quello appunto dell’aiuto a minori disabili e a rischio che è
diventato soprattutto vera e propria attività preventiva e di
recupero con categorie a rischio, con preadolescenti in
difficoltà scolastiche, comportamentali e relazionale grazie
anche alla successiva coniugazione di Gancio Originale con gli
psicologi tirocinanti e con l’Open G.;
2. l’altro, di vero e proprio intervento e influenza sulla crescita
psicologica dei volontari stessi. In questo senso la formazione è
stata ed è molto importante. Nata come formazione collegata
all’attività si è trasformata in un momento che non è solo di
acquisizione di strumenti didattici e di pronto intervento, ma
anche di riflessione su di sé, sull’altro e sulla società.
Da sempre due volte l’anno per tre serate consecutive si fa
formazione su temi, sempre diversi, che si traducono poi in piccole
dispense.
82
Gancio Originale
La quasi totalità dei volontari sono persone di età compresa fra i
18 e i 24 anni, il numero di coloro che sono passati da Gancio
Originale in questi anni si aggira sui 500 circa, a questi vanno
aggiunti un altro centinaio di ragazzi fra i 16-17 anni, coinvolti,
collaborando con le scuole superiori per la realizzazione di progetti
specifici.
Altro punto interessante su cui riflettere è lo spazio in cui
questo contatto è avvenuto. Innanzi tutto uno spazio creato
nell’ incontro del servizio sanitario con la scuola. Uno spazio
dentro la scuola ma lasciato libero dalla scuola. Nella scuola
capita spesso che i ragazzi vivano una situazione inglobante,
istituzionale, spesso ingessata, poco viva, una situazione in cui
al di là della disposizione, della buona volontà, delle capacità
degli insegnanti, vi è la distinzione dei ruoli e del potere, vi è
l’ineludibile fine selettivo che impedisce lo sviluppo di certe
potenzialità.
Avere a che fare con l’altro con il diverso perché più piccolo,
perché in difficoltà, perché con handicap, perché appartenente ad una
cultura sconosciuta, è un inedito pieno di sorprese belle e brutte. I
ragazzi vengono chiamati a svolgere un lavoro autonomo, non tanto
dal punto di vista fisico, ma psichico attraverso il riappropriarsi di
funzioni che solitamente fino a quel momento sono state svolte dagli
adulti, dai genitori cioè funzioni di “prendersi cura”: questo significa
avere acceso alle funzioni adulte, fare una tappa, nel percorso di
maturazione, di integrazione; costruirsi e vivere uno spazio in cui
trovare altre figure di mediazione, fare investimenti fuori di sé,
sperimentare accettabili rappresentazioni di sé. E questo spazio ha la
funzione di aprire al giovane la possibilità di crearsene nuovi e quindi
fare successivi spostamenti, perché questo spazio è padroneggiabile.
Questo spazio contiene alcuni obbiettivi:
83
Capitolo III
1. autonomia, c’è un contesto che mette di fronte alle proprie
responsabilità, ci sono compiti che esigono un esame di realtà,
che fanno sperimentare;
2. avventura, cioè la sfida contro se stessi. Si chiedono attività e
imprese che incanalando la competitività e l’aggressività
permettono la sperimentazione delle proprie capacità e dei
propri limiti;
3. un rapporto con l’adulto, con l’istituzione non conflittuale e
fuori dal giudizio.
Le esperienze proposte sono sempre chiare, precise, condivise con
adulti in un confronto dove nessuno ha perso o messo in discussione
la propria identità. L’adulto non è presente per proteggere - le
protezioni se mai fanno parte determinante dei vari setting: non da
soli ma in coppia nelle situazioni più gravi, quasi mai a casa ma in
ambienti più neutri - per controllare o passivizzare, ma intervenire
concretamente per aiutare nel fare (programmazione del lavoro,
cambiamenti negli orari, discussioni nei momenti di crisi, ecc.).
È un lavoro paziente, fatto nel quotidiano di piccoli passi, di
assunzione di responsabilità, nel senso del “prendersi cura di sé”, di
trovare delle risposte autonome, appropriandosi di funzioni che
solitamente sono svolte dagli adulti e che spesso sono state svolte
fino a quel momento solo dai genitori. Ovviamente la cura di cui
sopra è qualcosa che si svolge nell’ambito della prevenzione della
malattia: i giovani volontari non sono affatto malati se non di quella
“crisi” che è sottesa nel percorso del divenire adulti.
84
Gancio Originale
(Klimt, Le tre età della donna)
Dall’altro fronte molti ragazzini, seguiti dai volontari hanno
sottolineato il ruolo meno asimmetrico della relazione rispetto a
quella con adulti. Inoltre, essi hanno la proposta di un modello più
facilmente raggiungibile, perchè meno istituzionale, più informale.
I volontari possono tornare indietro un passo nella storia del
loro processo maturativo e vederla dall’altra parte (quella
dell’autorevolezza, della necessità di farsi ubbidire, della difficoltà di
farsi ubbidire e quindi della necessità di trovare mediazioni).
Gancio Originale è un’impresa congiunta fra bambini,
ragazzi, giovani e adulti, operatori pubblici, psicologi tirocinanti,
tirocinanti di scienze dell’educazione, di psicologia, di scuole di
specializzazione, di borsisti, dove si rinegoziano delle relazioni
85
Capitolo III
facendo delle cose insieme, mettendosi reciprocamente in situazione
di scambio e di arricchimento ma senza confusione di ruoli.
Gancio originale ha lavorato per dare soddisfazione ai bisogni e
alle aspettative di salute, con le risorse via via disponibili, ha
garantito prestazioni di prevenzione e di cura, è diventato uno
strumento, un luogo conosciuto e riconosciuto in cui, si cerca di
favorire un approccio globale alla persona che è soggetto del proprio
benessere, a maggior ragione se è un giovane, un ragazzo che sta
crescendo. Si sono così, potute progettare azioni pratiche
intervenendo nelle situazioni per modificarle con due soli punti di
riferimento:
l’ascolto attento;
cercare di sviluppare, a partire da un’istituzione pubblica,
integrazione, sinergie con la scuola e le famiglie per migliorare
l’offerta di servizi per la salute.
Tutte le attività del gruppo di volontariato possono essere
raggruppate in due grandi ambiti:
1. il lavoro frontale con i bambini e con i ragazzi disabili e a
rischio. Consiste nell’insieme delle attività di volontariato in
concreto, che consistono in un’attività di reperimento dei
volontari, che implica l’esigenza di programmare e poi
effettuare il contatto con i giovani nelle scuole, nelle parrocchie,
fra le associazioni giovanili, ecc. In secondo luogo vi è l’esigenza
di abbinare i neo-volontari o ad un caso individuale di disabilità
o di disagio, oppure ad un gruppo: cioè di inserirli nei workshop
o nei laboratori linguistici per i bambini stranieri. Segue il lavoro
frontale vero e proprio che consiste: - nella presentazione del
caso, o del workshop o del laboratorio linguistico con cui il
volontario è stato abbinato; - nella verifica della fattibilità per il
volontario degli orari, degli impegni e dei luoghi dell’intervento;
86
Gancio Originale
- dell’attività di tutoring dell’attività svolta; - nell’insieme delle
verifiche in itinere e finale. I metodi con cui viene eseguito il
lavoro frontale sono nella discussione con la tutor e il personale
AUSL che già segue il caso o il gruppo.
2. La formazione, dei giovani e dei meno giovani volontari. La
caratteristica fondamentale di tale formazione è quella di
partire sempre dai punti di crisi che caratterizzano i diversi
rapporti. Questi punti di crisi vengono individuati attraverso una
continua opera di riflessione in base alla quale ogni individuo,
valuta ogni pensiero, ogni voce. Per questo, anche all’interno di
ogni momento formativo viene chiesto ai volontari di esprimere
i loro bisogni formativi e i loro punti di crisi e l’insieme di queste
richieste viene considerato un importante contributo per la
definizione dei futuri momenti formativi.
L’area nella quale Gancio Originale si è mosso è quella della salute
dell’infanzia, della preadolescenza e dell’età giovanile.
III.4 L’accompagnamento in Gancio
Originale
Se per peer education si intende l’aiuto che sul piano educativo
può essere dato a bambini e ragazzi in difficoltà da parte di coetanei
che appartengono alla stessa classe di età allora l’esperienza di
Gancio Originale, un gruppo di volontariato giovanile reggiano che si
prende cura dei bambini e dei ragazzi a rischio, non può essere
annoverata fra le esperienze di peer education.
Infatti, in questo caso, coloro che si prendono cura dei bambini e
dei ragazzi svantaggiati o deprivati segnalati dalla scuola e selezionati
dagli psicologi sono degli studenti – più spesso delle studentesse -
degli ultimi anni delle scuole medie superiori della città. E quei
quattro o cinque anni di differenza – che nel caso del lavoro in scuola
elementare diventano anche sette, otto o nove – a quella età segnano
87
Capitolo III
un solco tale fra le due coorti da rendere alquanto problematica
l’attribuzione di peer education al lavoro di cura svolto dai giovani di
Gancio Originale.
Di che cosa si tratta allora? L’immagine che è venuta in mente è
stata quella della catena di Sant’Antonio dell’accompagnamento.
Come tutti sanno la catena di Sant’Antonio connota operazioni,
solitamente truffaldine, in base alle quali un emittente tenta di
mettere in piedi un trend di legami che si autoalimentano in base ad
un vicolo che obbliga ogni unità coinvolta, ad estendere l’area totale
delle unità ed a riproporre l’obbligatorietà del vincolo praticamente
all’infinito.
In questo caso, a parte gli elementi truffaldini che non sono
presenti, in fondo in fondo ogni anno viene proposto dallo staff un
“gancio” a tutti gli studenti delle superiori di Reggio Emilia, che li
“vincola” ad entrare in un gruppo operativo che solitamente
comprende altri dieci o dodici studenti. Tale gruppo è guidato da uno
psicologo tirocinante, che è destinato per un anno a prendersi cura di
un certo numero di bambini o di ragazzi a rischio.
88
Gancio Originale
Praticamente la stessa cosa, viene fatta ogni sei mesi nei confronti
degli psicologi tirocinanti che svolgono il loro tirocini presso Gancio
Originale, e da qualche tempo nei confronti degli studenti di scienze
dell’educazione che svolgono il loro tirocinio “in itinere” e ancora più
recentemente, con i tirocinanti psicologi che in itinere debbono fare
gli E.P.G.
Psicologi anziani
Tutor dei tirocinanti
Tirocinanti
Volontari delle scuole
superiori
Ragazzi a rischio
89
Capitolo III
Ed ecco che, se consideriamo che dietro ad ogni tirocinante, c’è un
tutor che si prende cura di accompagnarlo durante il suo percorso di
crescita e di professionalizzazione e che, a sua volta, quel giovane
psicologo guida un gruppo di giovanissimi volontari, che a loro volta
guidano e accompagnano nel loro accidentato percorso di crescita
psicologica un gruppo di bambini o di ragazzi a rischio, ecco che il
tema dell’accompagnamento diventa centrale.
E allora, è a partire dal significato che l’accompagnamento assume
all’interno di questa “catena”, che dobbiamo partire, se vogliamo
comprendere ciò che sta accadendo da 13 anni a questa parte in
Gancio Originale.
Accompagnare, etimologicamente proviene dall’unione del
prefisso “ad” che significa “verso”, con il termine “compagno” che
significa “stesso pane”. Vi è cioè nella parola accompagnare da una
parte una indicazione di direzione, dall’altra un richiamo ad uno stato
di condivisione confidenziale che riconduce ad uno stesso desco, ad
una stessa appartenenza.
Nel caso di Gancio Originale, che comprende per qualche tempo
( da 1 a 2 anni a qualche mese), un insieme variegato di soggetti che
sono accomunati (compresi i 3 “soci fondatori”) dal fatto che si
pongono in una situazione di scambio (dare, ricevere,
contraccambiare), in base alla quale tutti alla fine risultano arricchiti
per quel che hanno dato e ricevuto lungo questo percorso.
Cosicché i bambini e i ragazzi a rischio alla fine, avranno ricevuto
le cure loro necessarie per crescere e superare le varie situazioni di
impasse, in cui fino a quel momento si erano impantanati, ma
avranno dato anche molto a chi si prendeva cura di loro.
Ai volontari la fiducia nelle proprie capacità di riparazione, nel
proprio saper fare che spesso, anche nel loro caso, non trova di
mattina una scuola pronta a cogliere le loro più piene potenzialità; ai
giovani tirocinanti la possibilità per la prima volta di unire la teoria
alla pratica. Per questa strada, essi vedono enormemente accresciute
90
Gancio Originale
le proprie possibilità sul piano professionale, nonché la possibilità di
cimentarsi in un non secondario capitolo della clinica dello sviluppo,
apprendendo a far tesoro delle sconfitte così come delle più rare
vittorie e, prima ancora, a far tesoro di quell’insieme di indizi, di
sintomi, di grida e di ammutimenti, di gestualità e di espressività che
alla fine si comporranno in quella semiotica psicologica che diventerà
il vero loro tesoro e che andrà lentamente accumulandosi dentro di
loro nel tempo.
Ci sono dei luoghi – come ad esempio la bottega artigiana – in cui
tutta la partita che si gioca tra le due generazioni che attraverso la
formazione si confrontano sulla scena sociale, avviene attraverso
l’esempio e il precettorato. Dove per “esempio” si intende far vedere
all’allievo come impadronirsi del mestiere, delle competenze, del
sapere semplicemente proponendo ogni passaggio in una specie di
rallenty; e per “precettorato” far notare all’allievo ciò che all’interno
del processo che conduce al compimento dell’opera solo l’esperienza
accumulata da maestro permette di cogliere prima.
Ebbene, Gancio Originale ha in sé tutta una serie di componenti
che sono metodologicamente riconducibili a ciò che succede in una
bottega artigiana. Con essa senz’altro condivide, come abbiamo già
visto, quelle che partono dal tema dell’accompagnamento e della
situazione di scambio stratificato presente in ogni bottega artigiana
degna di questo nome ma che non si esauriscono in esso.
Il lavoro con i bambini e con i ragazzi a rischio, rispetto al più
tradizionale lavoro sulla disabilità, comporta sul piano contenutistico
il passaggio dall’apprendimento di piani di lavoro centrati sul ripristino
di una immagine di sé decente, raggiungibile, realistica che occorre
perseguire nel lavoro di cura. La scena riabilitativa rimane legata al
dato cognitivo, ma, mentre nel caso del disabile il background
affettivo che permette il passaggio delle competenze è centrato sul
tema del recupero di funzioni concrete, nel caso del disagio è centrato
91
Capitolo III
invece sul recupero di una immagine di sé presentabile prima di tutto
a sé stesso e ai contesti di vita del bambino e del ragazzo.
Vediamo ora, in particolare questi tre punti. Nella bottega
artigiana, il dare e il ricevere sono mediati dal fare e sono stabiliti in
base ad un processo di apprendistato sufficientemente scandito, di
modo che ciascuno degli attori di bottega sappia a che punto egli è
nel processo di maturazione professionale. In questo caso, il front
office della cura è il workshop: una officina di restaurazione in cui si
tenta di rimettere in piedi, ciò che in precedenza è stato “guastato”
dalle avversità della vita. Mentre il back office sono i luoghi della
programmazione, della selezione, della scoperta delle vocazioni, degli
abbinamenti, del follow-up, della formazione ed infine della
supervisione. In ognuno di questi luoghi, il fare operativo incentrato
sull’esempio e il precettorato prevale sulla parola e ancor di più su
quell’insieme formalizzato di parole e di gesti tipico della lezione con
la sola eccezione della formazione e ancor più della supervisone, che
però si è imparato a smitizzare sotto questo punto di vista e a
ridefinire, non sempre con rigore e coerenza nelle loro componenti
strutturali. E cioè come modelli scanditi e gerarchizzati di un percorso
che prende in maniera discriminata (e al limite individualizzata, come
avviene nel rapporto che ognuno ha col proprio tutor), tutti gli attori
della cura, tranne i bambini e i ragazzi. Si può dire che una grande
parte dei momenti formativi, così come in maniera più evidente
avviene nella supervisione, possono essere visti come uno sforzo di
lettura del significato comunicativo ed affettivo di ciò che avviene nei
workshop. Insomma, affinché i bambini e i ragazzi non diventino
solamente più competenti, ma anche perché riacquistino in sé stessi
ed imparino ad essere meno impulsivi e più riflessivi. Anche in una
bottega artigiana, così come in una classe scolastica, ci si incontra e
ci si separa. In Gancio questo percorso – che sul piano della
formazione professionale di un sarto o di un falegname poteva durare
otto o nove anni, e che in una classe dura dai tre ai cinque anni – dura
92
Gancio Originale
mediamente uno o due anni è un grande turn over che prende
l’ottanta per cento dei giovani volontari. Molti di loro sono poi andati a
prestare la propria opera di volontariato, da altre parti, proprio come
avviene – certo più lentamente – in una qualsiasi bottega artigiana. Si
può presumere che dentro ciascuno di loro alla fine dell’esperienza
con Gancio Originale si sia amplificata la disposizione allo scambio e
siano emerse più chiaramente le vocazioni individuali.
93
Capitolo III
CAPITOLO IV
“LA RICERCA”
“La pagina ha il suo bene solo quando la volti e
c’è la vita dietro che spinge e scompiglia tutti i
fogli del libro. La penna corre spinta dallo stesso
piacere che ti fa correre le strade. Il capitolo che
attacchi e non sai ancora quale storia racconterà
è come l’angolo che svolterai uscendo dal
convento e non sai se ti metterà a faccia con un
drago, uno stuolo barbaresco, un’isola incanta…”
(I. Calvino, Il cavaliere inesistente)
Capitolo IV
IV.1 Gli obiettivi della ricerca
Il progetto della ricerca, condiviso con coloro che hanno fondato e
tuttora continuano a seguire Gancio Originale, aveva le finalità di
operare una ricognizione di chi vi opera attivamente, con particolare
riguardo agli adolescenti.
In quest’attività ho cercato di esplorare da un lato, alcuni aspetti
concreti della struttura, dall’altro di addentrarmi nei vissuti delle
persone che vi partecipano. Di far emergere le emozioni, i sentimenti,
per tentare di osservare le realtà più interne, per vedere come viene
elaborata questa esperienza, per comprendere se esiste una
percezione da parte dei soggetti dell’organizzazione che opera alle
loro spalle, e inoltre, se c’è consapevolezza della trasformazione che
la partecipazione ad un’attività di volontariato di questo genere, può
operare in ogni individuo.
L’obiettivo principale della ricerca era però, quello di indagare la
percezione dell’accompagnamento, che ciascun operatore (volontari
adolescenti, adulti, operatori e fondatori), riceve e a sua volta
fornisce; in questa attività ognuno guida, segue, supporta, affianca
qualcuno e a sua volta è guidato, seguito, supportato, affiancato da
altri con un po’ di esperienza e di anni in più.
Anche nei momenti di buon funzionamento, di espansione quali
quelli che sta attraversando ora Gancio Originale, è buona pratica
prestare attenzione a tutti gli aspetti della struttura e soprattutto alle
persone.
La ricerca, aveva proprio lo scopo di sondare questo terreno per
cogliere sia gli elementi positivi sui quali eventualmente, fondare una
mirata promozione, sia le difficoltà per tentare di rimuoverle.
Fornire un buon servizio e quando possibile, cercare di migliorarlo,
può dipendere dalla capacità di interpretare le necessità e di
ricalibrare costantemente gli interventi, qualità che possono essere
senza dubbio supportate da un attento monitoraggio della situazione.
La Ricerca
IV.2 La metodologia
In questo paragrafo descriverò la mia ricerca, come è nata, come
si è sviluppata e le scelte che mi hanno portata ad una sua definizione
strutturale, alla quale farà seguito la parte relativa alla raccolta ed
elaborazione delle risposte.
Mi sembra importante a questo punto, indicare gli elementi che la
caratterizzano:
1. la prima decisione, riguarda la scelta dei soggetti da sottoporre
a ricerca. L’attenzione è caduta su coloro, che grazie al loro
lavoro ed impegno, fanno sì che questa struttura basata sul
volontariato si mantenga nel tempo;
2. la seconda, è una conseguenza della precedente. Essendo
Gancio Originale una struttura complessa, i soggetti che vi
operano possono essere raggruppati in quattro categorie che
sono rispettivamente: quella dei Volontari Adolescenti delle
scuole superiori, quella dei Volontari Adulti, gli Operatori e i
Fondatori. Ognuno di essi ha funzioni e ruoli propri. Una volta
individuato il campo di analisi, si è puntata l’attenzione sui
vissuti, sulle differenze, o le somiglianze riscontrabili in questi
soggetti.
3. Successivamente, si è cercato di definire lo strumento
attraverso il quale raccogliere i dati. Devo essere sincera,
inizialmente avevo optato per un questionario a domanda
aperta, oppure a scelta multipla, poi mi sono soffermata sul
fatto che la centralità di questa ricerca sono le persone, le
relazioni che nascono, il contesto in cui è inserita ogni realtà,
oltre ovviamente ai risultati ottenuti; informazioni che potevano
scaturire in modo più personale e “vivo” attraverso
L’INTERVISTA APERTA. Con il senno di poi, credo che l’aver
96
Capitolo IV
scelto una ricerca di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo,
mi abbia permesso di visualizzare con più precisione l’intricata
dinamica di questo argomento e di cogliere anche le sensazioni,
gli umori, tanto da lasciarmi alla fine coinvolgere.
4. Il luogo prescelto dove effettuare l’intervista, è stato quello dei
Work-Shop. Questo mi ha permesso, di vedere differenti scuole
e tipologie d’organizzazione a seconda degli utenti, dei volontari
e della persona che conduceva l’attività. Ciò ha messo in
evidenza come, il maggior o minor successo dipenda anche
dallo specifico contesto in cui viene svolta ogni attività. La
scelta di questo luogo, se da una parte permetteva di cogliere
la situazione e le persone nel vivo del proprio operato, dall’altra,
in alcune occasioni ha arrecato anche disturbo, interrompendo il
ritmo della stessa.
Una volta deciso la struttura della ricerca a livello teorico, il 9
Dicembre 2004 a Cadelbosco, ho svolto la mia prima intervista: il
ciclo si è concluso il 17 marzo 2005 dopo aver ascoltato 45 Volontari
adolescenti, 10 Volontari Adulti, tutti gli Operatori (20 tra
collaboratrici, tirocinanti, volontari del servizio civile, i fondatori ecc.)
compresi i 3 Fondatori.
Le scuole visitate con i relativi Work-Shop sono state 12 e
precisamente la Scuola elementare/media di Bagnolo, Scuola
“Giovanni Pascoli” di Cadelbosco, la scuola elementare di Monte
Cavolo, la scuola elementare “Dalla Chiesa”, la “Galileo Galilei” la
Media “Aosta”, la “San Giovanni Bosco”, il “Liceo Aldo Moro”, la
“Sandro Pertini”, l’“Emilio Lepido”, il “Blaise Pascal” e la “Fermi”.
Il campione selezionato era così composto:
1. Volontari Adolescenti: Maschi N°16, Femmine N°29,
frequentanti le scuole superiori, per un totale di 45 persone,
pari al 60% del campione. Essi hanno il compito di seguire i
97
La Ricerca
bambini nello svolgimento dei compiti e aiutare nella gestione
dell’attività ricreativa.
2. Volontari Adulti: Maschi N°4, Femmine N°6, che hanno
concluso le scuole superiori per un totale di 10 persone, pari al
13% del campione intervistato. Anche i volontari adulti,
seguono i giovani nelle diverse attività.
3. Operatori: solo popolazione femminile, per un totale di 17
persone, pari al 23%. Rientrano in questa categoria le
collaboratrici, le tirocinanti, le operatrici del servizio civile con il
compito di gestione dei Work-Shop.
4. Fondatori: Un maschio e due femmine per un totale di 3
persone, pari al 4% del campione. Primariamente con funzione
di gestione della struttura, come ad esempio trovare le scuole, i
volontari, i fondi ecc. A causa della diversità di questo gruppo
rispetto ai precedenti e anche all’esiguità dei suoi componenti, i
fondatori sarranno analizzati come gruppo a sé, dopo aver
elaborato il confronto dei e tra i gruppi.
Nei grafici i gruppi saranno così indicati:
1. Volontari adolescenti maschi: Adolescenti M
2. Volontari adolescenti femmine: Adolescenti F
3. Volontari Adulti
4. Operatori
Il totale del campione è costituito da 75 persone.
CARATTERISTICHE DEL CAMPIONE
Campione Range d’età
Età media
Titolo di studio
N° %VolontariAdolescenti
15-19 16 Professionale: 10 22Tecnico: 10 22
98
Capitolo IV
Liceo: 25 56Volontari Adulti
19-44 25 Diploma: 1 10Universitari: 6 60Laurea: 3 30
Operatori 21-32 27 Diploma: 1 6Universitari: 5 29Laurea: 11 65
Fondatori 58-60 59 Laurea: 3 100
Curioso, secondo il mio punto di vista, è notare come coloro che
frequentano il liceo per gli adolescenti, l’università per i volontari
adulti, o che sono in possesso di una laurea (operatori e fondatori),
rappresentano la maggioranza, quasi ad evidenziare una maggiore,
disponibilità, nei confronti di questa forma di volontariato.
Campione Stranieri
N° %
Fam. Monu-cleareN° %
Fam. d’origineN° %
Nuovo Nucleo Fam.N° %
VolontariAdolescenti
6 13 4 9 41 91 0 0
Volontari Adulti
1 10 2 20 7 70 1 10
Operatori 0 0 1 6 13 76 3 18Fondatori 0 0 0 0 0 0 3 100
Il numero dei volontari stranieri, è irrisorio rispetto al numero di
utenti sempre stranieri, presenti nei Work-Shop. Osserviamo inoltre
come la maggior parte delle persone che presta il proprio servizio in
Gancio Originale appartenga ad una famiglia “tradizionale”, mentre
gli utenti provengono da un nucleo famigliare fortemente disagiato.
Campione N° Fratelli: N° % Anni in Gancio: N° % VolontariAdolescenti
0: 9 201: 28 622: 3 7+ di 2: 5 11
1: 25 552: 13 293: 7 15
Volontari Adulti
0: 4 44 1: 4 44 2: 1 12+ di 2:
1: 2 202: 2 203: 6 60
Operatori 0: 8 55 1: 5 29
99
La Ricerca
1: 5 352:+ di 2: 1 7
2: 4 233: 8 47
Fondatori Dal ‘91
Le domande selezionate per l’intervista sono le seguenti:
1. In riferimento alla tua attività in Gancio Originale, se dico
accompagnamento cosa ti viene in mente?
2. Quali sono i motivi che ti hanno portato/a a svolgere la tua
attività in Gancio Originale?
3. Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo
percorso?
4. Nello svolgimento della tua mansione cosa hai trovato di
gratificante?
5. Quali difficoltà hai incontrato?
6. Quali sono stati gli elementi che ti hanno permesso di superare
le difficoltà?
7. Lungo il tuo percorso ti sei sentito/a sufficientemente
supportato/a?
8. Cosa pensi di dare alle persone che accompagni?
9. Cosa pensi di ricevere alle persone che accompagni?
10. Cosa pensi di dare a chi ti accompagna?
11. Cosa pensi di ricevere da chi ti accompagna?
Quello che mi preme sottolineare, a conclusione di questo
paragrafo e quale premessa del successivo, è il fatto che essendo
un’intervista aperta, i soggetti hanno fornito risposte complesse,
multiple, la cui analisi difficilmente è imputabile ad un sola categoria
semantica.
Premettendo che risulta difficile e a volte arbitrario, interpretare
questo genere di risposte, la scelta che ho operato è quella di formare
delle categorie generali, che chiamerò macrocategorie, composte a
100
Capitolo IV
loro volta da delle sottocategorie o microcategorie nelle quali ho
cercato di classificare le risposte.
Gli intervistati, spesso hanno fornito più di una risposta, in questi
casi mi è parso opportuno considerarle come se fossero risposte
multiple, ovvero rientranti in più categorie.
A fronte di quanto detto, riporto come esempio una frase di una
Volontaria Adolescente:
“Un’esperienza, da provare visto che me ne avevano parlato bene; mi
avevano detto che era una cosa che ti dà soddisfazione e quindi,
incuriosita, ho provato per la prima volta. Ovviamente il fatto che mi
sia stato proposto a scuola mi ha aiutata nella scelta. In parte sono
stata spinta dal discorso dei crediti, ma in parte anche dal fatto che
cercavo qualcosa che mi coinvolgesse non soltanto sportivamente,
visto che avevo sentito che facendo volontariato si prendevano punti.
A 16 anni penso che sia anche un’opportunità per svegliarsi, per darsi
una mossa.”
È su questa base che sono state fatte le comparazioni, senza
attribuire delle priorità, perché nello sviluppo di un colloquio
difficilmente si segue un percorso gerarchico. È molto più frequente il
caso in cui mano a mano che fluisce l’eloquio, si fanno ulteriori
considerazioni, si rammentano altri elementi, magari più importanti e
più meditati di quelli espressi in prima battuta come risposte alle
domande. Seguendo questa logica, nel paragrafo successivo “Analisi
dei dati”, indicherò per ogni domanda delle “macrocategorie” di
risposte declinate in “sottocategorie” con relativa tabella. La tabella,
sarà riportata solo per le macrocategorie in cui sono apparse delle
differenze tra i soggetti. Saranno poi indicate, le tabelle riassuntive
dei dati e la relativa rappresentazione grafica attraverso istogrammi.
Concluderò con un commento personale dei risultati.
IV.3 Analisi dei dati
101
La Ricerca
IV.3.1 Se dico accompagnamento cosa viene in
mente?
La prima domanda, si pone la finalità di individuare il significato
o meglio i significati legati al ruolo dell’accompagnamento, con
particolare riferimento all’esperienza in Gancio Originale.
Qui di seguito vengono esposte per ciascuna categoria individuata,
le sottocategorie in relazione ai singoli gruppi. Riporterò inoltre, alcuni
esempi di risposte date dati soggetti intervistati.
L’aiutare :
Domanda 1 a b c d e TotaleVolontari Adolescenti Maschi 2 0 6 1 0 9Volontari Adolescenti Femmine 5 1 3 6 0 15
Volontari Adulti 2 0 1 3 0 6Operatori 1 3 0 5 2 11
Legenda:
a. aiuto in generaleb. in un percorso di crescita personale (sviluppare autostima, fare delle scelte
ecc.)c. per raggiungere un obiettivo (fare i compiti, risolvere problemi ecc.)d. supporto di tipo affettivo (prendere per mano, sostenere ecc.)e. affiancamento ai volontari
La condivisione, la reciprocità :
Domanda 1 a b c TotaleVolontari Adolescenti Maschi 0 0 2 2Volontari Adolescenti Femmine 1 0 4 5Volontari Adulti 2 1 2 5Operatori 1 3 1 5
Legenda:
a. fare un percorso comuneb. uno scambio adulto/volontario/bambino, catena di Sant’Antonioc. stare insieme, farsi compagnia (due persone una vicina all’altra, che si
danno la mano, un gruppo)
102
Capitolo IV
Esempio di risposta di un Volontario Adulto:
“Mi fa venire in mente un percorso comune, un percorso che si fa
insieme a dei ragazzini, una condivisione sostanzialmente di
momenti.”
È un termine che non si addice a Gancio, ma a situazioni
riguardanti gli anziani, i portatori di Handicap ecc.
Esempio di risposta di una Adolescente Femmina:
“Sinceramente è un termine che non vedo per Gancio, in realtà mi
vengono in mente gli anziani…, si un anziano che ha bisogno”.
Accompagnare le persone in vari luoghi (in gita, alle
macchinette, ecc.
Esempio di risposta di un Adolescente Maschio:
“Non so, accompagnamento…nel loro caso proprio venire qua a fare i
compiti… accompagnarli alle macchinette, cose di questo genere…”
Richiama alla mente delle persone :
a. stranierob. bambini, ragazzic. persone bisognose, con problemi
Un impegno personale :
a. l’educareb. la responsabilità, il farsi carico, la tutela
Prenderò ora in considerazione per ciascuna categoria, la tabella dei
dati espressi in forma percentuale e la relativa rappresentazione
grafica attraverso l’istogramma per quanto concerne la domanda:
“In riferimento alla tua attività in Gancio Originale, se dico
accompagnamento cosa ti viene in mente?”
Grafico n.1. “In riferimento alla tua attività in Gancio Originale, se dico accompagnamento cosa ti viene in mente?”
103
La Ricerca
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
In riferimento alla tua attività in Gancio Originale, se dico accompagnamento cosa ti viene in mente?
Adolescenti M % 50 11 11 6 11 11
Adolescenti F % 46 15 18 12 9 0
Volontari Adulti % 43 36 7 7 7 0
Operatori 48 22 0 4 9 17
AiutareCondivision
e
Termine non addatto
a G.
Accompagnare in luoghi
Delle persone
Impegno personale
In questa risposta, appare chiaro come esistano delle differenze
legate al genere degli intervistati. I maschi infatti, hanno risposto in
prevalenza “per aiutare”, ma in cosa? È un aiuto pratico, concreto ad
esempio nello svolgere i compiti, nel raggiungere un obiettivo ecc.
Questo risultato aumenta di importanza, se si somma a questa
categoria quella di “accompagnare i bambini in vari luoghi”, dato che
sottolinea ancora una volta una valenza pratica di aiuto (vedi grafico
n.1).
Nelle femmine, il termine evoca in loro più che altro un aiuto di
tipo affettivo, generico.
A mio avviso è curiosa la risposta: “termine che non si addice alla
realtà di Gancio più adatto per i portatori di handicap, anziani ecc.”,
quasi a significare il richiamo ad un’azione molto impegnativa, non
congrua al tipo di attività svolta in tale struttura. Infatti i soggetti che
rispondono in questo modo, affermano che il loro “lavoro” è più un
104
Capitolo IV
affiancare, un seguire, un percorso comune, un modo anche per
passere del tempo insieme.
Per quanto riguarda gli adulti, il termine evoca un percorso
comune, una condivisione, un aiuto reciproco quasi a sottolineare una
maggior consapevolezza dell’interscambio che avviene in Gancio, una
maggior percezione di un lavoro a più mani.
La stessa cosa la si può dire per gli operatori, con l’unica eccezione
per la categoria “impegno personale” (17% delle risposte),
perfettamente conforme al ruolo che essi rivestono.
Un discorso a parte lo meritano i fondatori, che a questa domanda
hanno dato risposte più legate ad una visione d’insieme del progetto,
rispetto ai gruppi precedenti. Infatti, questa domanda richiama in loro
il concetto della Catena di Sant’Antonio, che è la struttura su cui si
fonda Gancio.
IV.3.2 Motivazioni e aspettative di coloro che
svolgono l’attività in Gancio Originale
Le successive domande, avevano lo scopo di verificare le
motivazioni e le aspettative di coloro che operano in Gancio Originale,
per ricavare indicazioni sui fattori che spingono ad intraprendere
questa attività. In questo modo è possibile conoscere i punti sui quali
intervenire al fine di migliorare il servizio.
In particolare la seconda domanda, cercava di indagare i motivi
che hanno portato i diversi soggetti ad aderire a questa attività.
Le categorie individuate sono:
105
La Ricerca
Per fare un’esperienza :
Domanda 2 a b c d e f g Totale
Volontari Adolescenti Maschi
6 1 0 0 2 3 1 13
Volontari AdolescentiFemmine
2 0 1 4 0 0 3 10
Volontari Adulti 0 2 0 2 0 0 0 4
Operatori 0 0 0 0 0 0 0 0Legenda:
a. da provare/nuova/diversa b. positiva/divertente c. per confrontarsi, per vedere se
ce la si può fared. per impiegare il tempo libero
e. servirà per il futuro sia a livello professionale che personale
f. che è poco impegnativa g. che si fa nella scuola
Per socializzare :
a. perché lo fanno gli amici b. per stare con gli altri c. per fare nuove amicizie
Esempio di frase di un Volontario Adulto:
“Mi piace stare in mezzo a della gente, prevalentemente per un
motivo sociale, poi gli adolescenti mi piacciono e poi per un interesse
professionale dato che faccio psicologia, è una cosa interessante per
il mio lavoro”
Per aiutare gli altri :
Domanda 2 a b c d e TotaleVolontari Adolescenti Maschi 6 1 0 0 0 7Volontari Adolescenti Femmine 7 0 2 2 2 13Volontari Adulti 1 1 0 0 0 2Operatori 0 0 0 7 0 7
Legenda:
a. aiutare gli altri in generaleb. perché si sono incontrate le
stesse difficoltà c. c’è gratificazione nell’aiutare/per
sentirsi utili
d. per esperienza passata di volontariato
e. perché si voleva fare qualche tipo di volontariato
Per interesse professionale:
Domanda 2 a b c d Totale
Volontari Adolescenti Maschi 0 0 0 2 2Volontari Adolescenti Femmine 2 0 0 7 9
106
Capitolo IV
Volontari Adulti 0 5 0 0 5Operatori 1 0 15 0 16
Legenda:a. servirà per il futuro sia a livello professionale che personale b. è attinente ai propri studi c. come tirocinio/servizio civile/proposta di lavoro/collaborazioned. per i crediti
Esempio di risposta di una Operatrice:
“I motivi…, innanzi tutto io non conoscevo il progetto in sé, l’ho
conosciuto nel corso del mio tirocinio, è stata una delle prime attività
che mi è stata proposta quindi era una cosa che mi sembrava carina,
anche inerente al mio studio, quello che avevo scelto di fare e quindi
l’ho accettato. Il motivo fondamentale è stato subito perché era un
progetto che mi interessava e che secondo me, era una cosa
interessante per me come futuro professionale”.
Interesse personale al progetto :
Domanda 2 a b c d TotaleVolontari Adolescenti Maschi 0 4 0 1 5Volontari Adolescenti Femmine 1 10 3 0 14Volontari Adulti 0 1 0 0 1Operatori 2 5 0 1 8
Legenda:
a) interesse al progetto in generaleb) perché si lavora con adolescenti, bambini, pari c) perché si fa un’ora di campiti d) perché si fa un’ora di attività libera
Sollecitazione della Curiosità:
Domanda 2 a b c TotaleVolontari Adolescenti Maschi 2 3 4 9Volontari Adolescenti Femmine 0 11 11 22Volontari Adulti 2 0 1 3Operatori 0 0 0 0
Legenda:
107
La Ricerca
a. sollecitazione della curiositàb. perché ne ha parlato bene chi ha già fatto questa esperienza (amici, scuola,
prof, fratelli) c. è stato proposto a scuola
Esempio di risposta di un Volontario Adolescente Maschio:
“Diciamo che a me piace molto lavorare con i bambini, fin da subito
sapevo già che mi piaceva, ho sentito parlare del progetto a scuola
quando l’hanno presentato e quindi mi ha incuriosito, sono andato poi
a parlare con un’altra ragazza ed ho deciso di provare perché lavorare
con i bambini è bello quindi ho provato. Mi ha incuriosito, ho provato
e ho iniziato l’attività in Gancio”.
Analizzerò ora, le risposte date dai diversi gruppi avvalendomi
della loro rappresentazione grafica tramite istogramma.
Grafico n.2. “Quali sono i motivi che ti hanno portato/a a svolgere la tua attività in Gancio Originale?
108
Capitolo IV
0
10
20
30
40
50
60
Quali sono i motivi che ti hanno portato/a a svolgere la tua attività in Gancio Originale?
Adolescenti M % 32 12 17 5 12 22
Adolescenti F % 14 7 18 12 19 30
Volontari Adulti % 22 17 11 28 5 17
Operatori % 0 0 25 57 18 0
Fare un'esper
ienza
Socializzare
AiutareInt.
Professionale
Int. Personal
e
Sollecitazione
curiosità
Come si può osservare dai dati soprariportati, i volontari
adolescenti maschi, rispondono prevalentemente per fare
un’esperienza nuova e diversa, ma anche poco impegnativa e solo
per il 17% per aiutare gli altri (vedi grafico n.2). Questo può far
supporre che i giovani lo facciano più come una sorta di
sperimentazione, un laboratorio sociale di confronto e di verifica,
abbastanza tipica di questa fase di vita.
Per le femmine il discorso è diverso, si riscontra una differenza di
genere tipica della nostra cultura. Se noi analizziamo quattro
categorie che a mio avviso sono collegate tra loro, quali quella
“dell’interesse personale e professionale”, “dell’aiutare gli altri” e
infine la sottocategoria “stare con gli altri”, si ricava l’impressione che
svolgessero questa attività per un fattore di condivisione, di prendersi
cura di qualcuno in un settore a loro interessante. Pertanto, le
femmine sembrano citare l’aiuto dell’altro, nello specifico, i bambini,
soddisfacendo quello che è una loro affinità innata o culturale.
109
La Ricerca
Discorso a parte lo merita la categoria “curiosità”, in quanto nelle
risposte può essere considerata come un cofattore che spinge i
giovani a interessarsi a Gancio Originale. È proprio questa presenza
massiccia di sentito parlare da amici, da fratelli o da chi ha già fatto
questa attività, inoltre incentivato dal riconoscimento dei crediti
formativi, e dal fatto che ci siano incontri nella scuola e che si faccia
al suo interno, a far si che si inneschi il tarlo della curiosità.
Si ha come l’impressione che i ragazzi non si impegnino
attivamente nella ricerca, ma che l’aspettino da una fonte esterna.
Confrontando i volontari adolescenti (maschi, femmine), con gli
adulti si osserva che:
1. il motivo principale è l’interesse professionale legato ai propri
studi, a spingere il volontario adulto ad intraprendere questo
percorso cosa invece poco rilevante per il giovane.
2. Una seconda considerazione riguarda il fatto, che per entrambi i
gruppi risulta importante la componente esperienziale con una
diversità: nei giovani è la novità ad interessare, invece per gli
adulti risulta importante la categoria “per impiegare il proprio
tempo” dato che per il 60% sono universitari. Ciò sottolinea
come i due gruppi dimostrino un differente sviluppo del
pensiero, nel senso che i giovani sono ancora in quella fase di
sperimentazione con se stessi e col mondo (questo potrebbe
giustificare il fatto che a quanto risulta, dopo il primo anno di
volontariato lasciano l’attività, perché appunto hanno esaurito il
confronto con essa), e sia minima invece la progettazione, la
rappresentazione per il futuro una sorta di progettualità, se non
quella più prossima legata al discorso dei crediti. Per i volontari
adulti, citare l’aspetto divertente dell’esperienza sembra
rimarcare il fatto di aver superato la fase di sperimentazione e
aver acquisito maggiore conoscenza di sé. Infatti gli adolescenti
che fanno questa attività sono mossi da curiosità che permette
loro di fare un’esperienza in un settore di loro interesse, mentre
110
Capitolo IV
la componente meno rilevante è “l’interesse professionale”. I
volontari adulti invece, sono spinti da un “interesse
professionale” legato alla natura dei propri studi, che permette
loro di fare un’esperienza divertente e che impieghi il loro
tempo libero. Collegata a questa categoria vi unisco il concetto
di “socializzazione”, nel senso che facendo questa esperienza,
riescono a stare anche con gli amici (impiegando il loro tempo
insieme).
Gli operatori hanno risposto prevalentemente per “interesse
professionale” e più nello specifico fanno per tirocinio, servizio civile,
ecc. da aggiungere a tale considerazione è il fatto che questi
operatori per un ben 25% (vedi grafico n.2), provengono da altre
esperienze di volontariato soprattutto in Gancio e hanno deciso di
continuare in tale percorso. Questo può far pensare, come ci sia una
sorta di linearità, di prosecuzione nel proprio percorso. Ovvero gli
adolescenti che inizialmente non percepiscono tale impegno con
progetualità, in realtà in essi si gettano le basi per costruire gli
operatori del domani. Apparentemente, sembra che ci sia un
avvicinamento del tutto casuale soprattutto per le femmine, ma poi
per alcune di loro c’è la possibilità di continuare nel percorso iniziato.
Un discorso a parte lo merita l’analisi delle risposte dei tre
fondatori, due dei quali hanno intrapreso il percorso per supplire ad
una carenza del Welfare, dovuto ai numerosi tagli economici, ma in
contrapposizione a una domanda crescente da parte dei cittadini. La
terza componente, ha deciso di cimentarsi in tale attività in quanto
consapevole delle proprie capacità di operare e saper coinvolgere il
mondo giovanile.
Passiamo ora alla domanda numero tre, si riferisce alle
aspettative possedute dai soggetti prima di iniziare l’attività
all’interno di Gancio Originale.
111
La Ricerca
Le categorie individuate sono le seguenti:
No:
Grafico n. 3. “Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo percorso?”
0
10
20
30
40
50
60
70
Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo percorso?
Adolescenti M % 25 12 50 13
Adolescenti F % 8 0 67 25
Volontari Adulti % 33 0 0 67
Operatrici % 20 20 20 40
NoFatte
esperienze simili
Descritto bene
Senza aspettative
Legenda:a. nob. perché si sono fatte esperienze similic. perché è stato descritto bened. non si possedevano aspettative
Esempio di risposta di una Volontaria Adulta:
“Non mi sono mai aspettata niente, cioè ho sempre preso la cosa
come veniva affrontando i problemi come venivano al momento, non
ho mai pensato prima come sarebbe potuto essere, quindi no, non mi
aspettavo niente di diverso…”
Si:
112
Capitolo IV
Grafico n. 4. “Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo percorso?”
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Ti apettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo percorso?
Adolescenti M % 12 76 12 0
Adolescenti F % 36 23 41 0
Volontari Adulti % 20 60 20 0
Operatrici % 36 9 27 27
Più facile, meno
impegnativo
Più difficile, più
confusione
Organizzazione
dell'attività
Maggiore supporto
Legenda:a. più facile, meno impegnativo, meno difficile, più tranquillob. più difficile, ragazzi più turbolenti c. organizzazione delle attività (più regole, più lavoro di gruppo, più compiti
ecc.)d. maggiore supporto ( formazione, supervisione, inserimento ecc.)
Esempio di risposta una Volontaria Adolescente:
“Si, me lo immaginavo molto meno divertente però me lo
immaginavo con un po’ più di regole…, cioè ti viene un po’ di mal di
testa …, mi immaginavo una cosa più seria, una persona e un
ragazzino…”
Prenderò ora in considerazione per ciascuna categoria, la tabella
dei dati espressi in forma percentuale e la relativa rappresentazione
grafica attraverso l’istogramma per quanto concerne la domanda:
“Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo percorso?”
Grafico n.5. “Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo
percorso?”
0
20
40
60
80
Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare questo percorso?
Adolescenti M % 50 50
Adolescenti F % 41 59
Vontari Adulti % 55 45
Operatrici % 31 69
no si
113
La Ricerca
Possiamo osservare (grafico n.5), come il nostro campione si
distribuisce più o meno equamente nelle due categorie. La metà dei
volontari adolescenti si sente bene informato circa il proprio compito
mentre la restane parte afferma che si aspettava qualcosa di diverso.
Esiste un differenza tra maschi e femmine, infatti quest’ultime si
aspettavono una organizzazione differente, più rigida, più simile al
sistema scolastico. Va sottolineato che questa discrepanza tra
aspettative e realtà non assume sempre connotazioni negative, anzi a
volte sorprende favorevolmente i soggetti. Per i maschi le cose sono
leggermente differenti, infatti essi si aspettavano una realtà più
difficile: sembrano più spaventati da un tipo di relazione a loro non
consona. Interessante sono le risposte delle operatrici, infatti si
attendevano una realtà più facile o una maggiore supervisione, un
aiuto maggiore soprattutto nella fase d’inserimento.
Gli operatori non si aspettavono niente, dato che era un’attività
che si stava formando e tutt’ora si plasma in itere.
IV.3.3 Gratificazioni e difficoltà in Gancio Originale
La partecipazione ad una attività, comporta una buona dose di
volontà e impegno, che devono essere sostenute nei momenti di
114
Capitolo IV
difficoltà per evitare situazioni dove possono prevalere disagio,
malcontento e rinuncia. A tal fine, sono state formulate una serie di
quattro domande atte a verificare le problematiche sopraindicate, in
particolare: quali fossero le gratificazioni, le difficoltà, gli elementi
utilizzati per superale e il tipo di sostegno percepito.
In particolare la quarta domanda, vuole scoprire quali sono le
gratificazioni che si hanno nello svolgere la propria mansione in
Gancio.
Le sue categorie sono:
Osservare dei miglioramenti:
Esempio di risposta di un Volontario Adulto:
“Beh, in questo caso devo dire che mi gratificano i loro miglioramenti,
anche se piccoli, ma per persone con delle difficoltà non indifferenti,
ed estremamente vivaci, si vede che qualcosa migliora”
Sentirsi/ rendersi utile :
Domanda 4 a b totaleVolontari Adolescenti Femmine 4 1 5Volontari Adolescenti Maschi 7 2 9Volontari adulti 2 1 3Operatori 3 0 3
Legenda:
a. nell’aiutareb. nel riuscire in ciò che si fa
Esempio di risposta di un Adolescente Maschio:
“Mi gratifica il fatto di poter uscire di qui e pensare di aver comunque
conosciuto altre persone al di fuori dell’ambito scolastico; al di fuori di
qualunque altra cosa. Anche il fatto di aver aiutato questi bambini, di
aver potuto offrire un aiuto, qualcosa a loro. Questo mi dà
soddisfazione: sono contento di poter fare qualcosa per gli altri”
Riconoscimento/valorizzazione dell’azione svolta di chi aiuta:
Domanda 4 a b totaleVolontari Adolescenti Femmine 2 9 11Volontari Adolescenti Maschi 2 4 6Volontari adulti 2 3 5Operatori 6 6 12
115
La Ricerca
Legenda:
a. mostrano entusiasmo, partecipano alle attività, ti chiedono quando ricomincia Gancio, sono soddisfatti, si divertono, sono felici,vengono sempre agli incontri
b. attraverso una dimostrazione personale (ti dicono grazie, con piccoli gesti, parole, ti riconoscono che dedichi loro del tempo, se ti incontrano fuori parlano con te, ti salutano, ti baciano, ti abbracciano)
Esempio di risposta di una Volontaria Adolescente:
“Mi gratifica l’affetto dei bambini che comunque ti conoscono e si
affezionano a te, il fatto che ti vedono passare per strada e ti
salutano”.
Tipo di legame/relazione:
Domanda 4 a b c Totale
Volontari Adolescenti Femmine 1 10 0 11Volontari Adolescenti Maschi 0 2 0 2Volontari adulti 0 0 0 0Operatori 2 2 5 9
Legenda:
a. legame in senso genericob. di amicizia, d’affettoc. di fiducia, diventi un punto di riferimento
Esempio di risposta di una Operatrice:
“Le gratificazioni maggiori sono legate al fatto che i ragazzini contano
su di te in quanto persona, perché sei proprio tu, diversa dalle altre, si
ricordano di te, ti aspettano, ti cercano come punto di riferimento.
Sanno che tu ci sei e puoi essergli vicino anche se loro hanno e sanno
di avere qualche problema. Ti aspettano per parlare con te e di
conseguenza diventi un loro punto di riferimento, ti fanno sentire
utile, vedi che sei in grado di avere dei risultati concreti. Non sei vista
come una professionista, ma come una persona a loro vicina”.
Interesse personale:
a. per il piacere di fare i compitib. nel fare le attività ricreative
116
Capitolo IV
c. conoscere personed. piacciono i bambini
Grafico n. 6. “Nello svolgimento della tua mansione cosa hai trovato di gratificante?”
0
10
20
30
40
50
Nello svolgimento della tua mansione cosa hai trovato di gratificante?
Adolescenti M % 4 43 29 9 14
Adolescenti F % 8 13 30 30 19
Volontari Adulti % 38 24 38 0 0
Operatori % 20 10 40 30 0
Osservare miglioram
enti
Sentirsi utile
Valorizzazione di chi
aiuta
Tipo di legame
Interessi personali
Dalla rappresentazione grafica (vedi grafico n.6), si osserva come
per i maschi la maggiore gratificazione provenga dall’aiutare in
quanto ci si sente utili, questo va unito alla considerazione che questa
azione viene valorizzata, riconosciuta principalmente da chi riceve
l’intervento con una manifestazione oggettiva, ad esempio un
ringraziamento. Per le femmine, viene messa in luce ancora una volta
la dimensione relazionale, sociale e non individuale; infatti è
importante notare che tra loro e i bambini si sviluppa un legame di
amicizia, d’affetto sottolineata ancora una volta da una sua
dimostrazione. “L’interesse personale” per le femmine è sempre
presente, dato che si sentono portate per questo settore, ciò potrebbe
spiegare il motivo per cui le operatrici siano tutte donne.
Possiamo dire, che per tutti i gruppi è di estrema importanza la
valorizzazione del lavoro svolto all’interno dei Work-Shop, con l’unica
117
La Ricerca
differenza che per gli operatori questa si manifesta anche in quello
che è un coinvolgimento nell’attività pomeridiana. Importante
soprattutto per i volontari adulti è riuscire a vedere i miglioramenti
della loro azione.
I fondatori, hanno risposto che si sentono gratificati nel
trasmettere le proprie conoscenze, si ha la possibilità di lasciare libera
la propria parte creativa, quando si osservano dei miglioramenti, ma
anche quando si ha un riconoscimento del progetto a livello
istituzionale.
Arrivati a questo punto, non rimane che analizzare quali sono le
maggiori difficoltà incontrate in questo percorso, attraverso la quinta
domanda dove si sono individuate le seguenti categorie semantiche:
Caratteristiche di chi aiuta:
a. difficoltà a relazionarsi (timidezza, nel socializzare)b. attitudini personali (difficoltà nei compiti, imparare i nomi, attività creative)
Caratteristiche di chi è aiutato: a. comportamenti aggressivo, oppositivo, duro, svogliato, vivace
Esempio di risposta di una Volontaria Adolescente:
“Magari la turbolenza di alcune persone, e il fatto che io non abbia del
polso, per cui quando mi dicono: “io non voglio fare i compiti”, io non
riesco a dire: “sì tu devi fare come dico io”. Cerco di solito di
mettermi in coppia con dei ragazzi che sono abbastanza diligenti, se
no è un disastro!”
Gestione delle distanze nella relazione :
Domanda 5 a b c d Totale
Volontari Adolescenti Femmine 0 0 4 0 4Volontari Adolescenti Maschi 0 2 2 0 4Volontari Adulti 0 0 0 0 0Operatori 1 1 0 1 3
Legenda:
118
Capitolo IV
a. gestione della distanzeb. dei volontari verso gli utenti c. approccio iniziale (formare un gruppo, trovare confidenza ecc.)d. tra coordinatori e volontari
Nella comunicazione:
a. usare un linguaggio adatto ai bambinib. farsi capire, spiegare
Gestire situazioni concrete:
a. imprevisto (caos, incominciano a litigare, pochi o troppi volontari ecc.)b. gestione delle dinamiche di gruppo
Esempio di risposta di una Operatrice:
“La difficoltà è nella gestione di alcuni momenti con i bambini che
comunque sono bambini problematici, e si sente! Ci sono alcuni
momenti in cui si crea un po’ di caos proprio perché si vedono in
modo tangibile le difficoltà di questi ragazzi nella socializzazione”.
Nel mantenere il controllo:
Domanda 5 a b c TotaleVolontari Adolescenti Femmine 7 0 4 11Volontari Adolescenti Maschi 0 2 0 2Volontari Adulti 1 2 0 3Operatori 0 0 1 1
Legenda:
a. farsi ascoltare, farsi rispettare, mantenere autoritàb. mantenere le regole (fargli fare i compiti ecc.)c. farli stare attenti/concentrati
Gestione dei propri sentimenti:
a. frustrazione, senso di inutilità, senso di impotenza
Esempio di risposta di un Volontario Adulto:
“Quando ti trovi di fronte a ragazzini che vivono problemi veramente
seri, ad esempio una volta avevamo un ragazzino che veniva
picchiato dal patrigno, in questi casi ti rendi conto di quanto tu sia
impotente nei confronti della situazione, e di quanto non sia giusta la
cosa, di quanto poco tu possa fare”.
119
La Ricerca
Nessuna
Grafico n.7. “Dove hai incontrato le maggiori difficoltà”
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
Dove hai incontrato le maggiori difficoltà?
Adolescenti M % 13 25 25 12 0 13 0 12
Adolescenti F % 18 21 12 9 3 34 3 0
Volontari Adulti % 33 17 0 0 0 25 25 0
Operatori % 5 10 14 4 43 5 19 0
Carat. di chi aiuta
Carat. di chi
è
Gest. distan
ze
Nella comunicazio
Gest. situazi
oni
Mantenere
contro
Gest. sentim
enti
Nessuna
Per le femmine, le maggiori difficoltà sono legate al mantenere il
controllo della situazione, ciò è dato dall’interconnessione tra quelle
che sono le proprie fragilità (essere timidi, poco forti), e al fatto di
trovare dall’altra parte dei bambini particolarmente vivaci. Per i
maschi, le cose sono differenti, infatti per loro le maggiori difficoltà
sono date dalla gestione dei bambini, perché sono meno abituati a
relazionarsi e non sanno come farlo, cosa che poi si stempera con il
tempo e con la conoscenza reciproca.
Questo grafico, è caratterizzato (vedi grafo n.7) da picchi molto
rilevanti. Notiamo, come a differenza degli adolescenti dove le
maggiori problematiche sono rivolte all’atro, per i volontari adulti
invece, le maggiori difficoltà si hanno nei confronti di se stessi, si
sentono come se fossero poco adatti a questo tipo di attività, fanno i
conti con i propri sentimenti e fragilità.
Per gli operatori, le problematiche in questo caso sono legate più
che altro al loro ruolo di coordinatori di un Work-Shop, alla sua
120
Capitolo IV
gestione ed ai sentimenti quali per esempio di frustrazione che da
essa scaturiscono, cosa che per gli adolescenti non avviene. Essi
sembrano rimanere concentrati più sulle dinamiche che sui propri
sentimenti.
Le difficoltà maggiori incontrate dai fondatori sono legate
principalmente al piano organizzativo in particolare: al reperire fondi,
strutture, i volontari ecc. In tale ambito possono anche essere
considerate le frustrazioni scaturite dal mancato riconoscimento, e la
continua necessità di doversi relazionare ed interagire ogni anno con
persone differenti.
Dalla domanda precedente, ne consegue la necessità di
individuare quali sono gli elementi che permettono di superare le
difficoltà che si incontrano attraverso la sesta domanda.
Le categorie individuate sono:
Strategie Individuali:
Domanda 6 a b c TotaleVolontari Adolescenti Femmine 9 0 3 12Volontari Adolescenti Maschi 1 5 2 8Volontari adulti 3 1 1 5Operatori 1 1 2 4
Legenda:
a. creatività, flessibilità, essere aperti, far finta di sapere le cose, prove ed errori, si modifica il proprio comportamento
b. convincere, insistere, forza di volontàc. riflettere, pazienza, rimanere calmo
Esempio di risposta di una Volontaria Adolescente:
“Ad esempio l’anno scorso c’era un ragazzino che era impossibile
tenere, allora gli dicevo: “se fai tutti compiti, ti do una caramella”
121
La Ricerca
oppure portavo una Fanta che bevevamo tutti insieme, solo quando
avevamo finito i compiti”.
Esempio di risposta di un Volontario Adolescente:
“Cerco di fare il mio dovere comunque, visto che mi affeziono al
bambino e non voglio abbandonarlo anche se magari ha dei problemi.
È una cosa che mi sento di fare e lo faccio ben volentieri per lui”.
Trovare dei riscontri nell’attività:
a. gratificazione, aiutareb. miglioramenti del bambino
Condivisione/confronto con altri:
Domanda 6 a b c d TotaleVolontari Adolescenti Femmine 4 2 1 2 5Volontari Adolescenti Maschi 3 1 0 1 5Volontari adulti 1 1 0 0 2Operatori 2 7 1 2 12
Legenda: a. tra i volontari b. gruppo, staff c. chiedendo consigli, parlare con qualcuno
d. coordinatrici
Coinvolgimento del diretto interessato
Conoscenza:
Domanda 6 a b c TotaleVolontari Adolescenti Femmine 0 1 5 6Volontari Adolescenti Maschi 0 1 1 2Volontari adulti 0 0 1 1Operatori 2 2 0 4
Legenda:
a. formazioneb. tempo, esperienzac. del gruppo, della persona
122
Capitolo IV
Carattere di chi aiuta:
a. incoscienza, positività, predisposizione, socievolezza
Esempio di risposta di un’Operatrice:
“Le difficoltà le ho superate a vario livello: un po’ attraverso momenti
formativi tra me e i volontari, un altro livello è rappresentato dalle
riunioni di staff, quindi attraverso la rete che sta dietro al mio lavoro.
Ad esempio gli operatori coinvolti ad un livello di supervisione rispetto
al mio e anche attraverso la collaborazione con la scuola perché
comunque questo è un altro tassello importante …”
Analizzerò ora, le risposte avvalendomi della loro rappresentazione
grafica tramite istogramma.
Grafico n.8. “Quali sono stati gli elementi che ti hanno permesso di superare le difficoltà?”
123
La Ricerca
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
Quali sono stati gli elementi che ti hanno permesso di superare le difficoltà?
Adolescenti M % 44 5 28 6 12 5
Adolescenti F % 40 0 30 10 20 0
Volontari Adulti % 46 18 18 9 9 0
Operatori % 15 11 44 11 15 4
Strat. individuali
Trovare riscontri
Condivisione
Coinvolgimento
interessato
Conoscenza
Carattere di chi aiuta
Ancora una volta esistono delle differenze legate al genere, infatti i
maschi utilizzano delle strategie legate al dovere, alla forza di volontà
mentre le femmine alla creatività, all’inventiva. Per entrambi i gruppi
è importante la condivisione tra i volontari di pari età, risulta inoltre
rilevante anche la conoscenza dell’altro nella relazione che si
sviluppa. La stessa cosa si può considerare valida per i volontari adulti
dove non si riscontrano differenze significative rispetto al gruppo
precedente.
Un discorso differente, deve essere fatto per le operatrici, dove è
di estrema importanza la condivisione con il gruppo, lo staff che
lavora in Gancio, principalmente per un confronto, per ricevere
consigli dal punto di vista pratico e lavorativo. Si nota come utilizzino
maggiori strategie rispetto agli adolescenti, e dimostrino maggiore
padronanza della rete e delle interconnessioni che sta dietro il loro
lavoro.
I fondatori invece, si sono fatti forza tra di loro, trovando un alto
grado di complementarietà in modo da poter coprire tutte le facce
124
Capitolo IV
della stessa medaglia, c’è chi è più portato all’interazione con i
giovani, chi alla formazione e chi a seguire la parte burocratica.
Quello che mi ha stupito è che essi sentono meno il peso della
gestione, delle difficoltà rispetto alle operatrici.
Passiamo ora alla domanda numero sette, dove si chiede ai
soggetti se lungo il loro percorso si sono senti sufficientemente
supportati.
A partire dalle risposte date, si sono individuate le seguenti
categorie semantiche:
Si da:
Domanda 7 a b c d e TotaleVolontari Adolescenti Femmine 12 1 9 1 0 23Volontari Adolescenti Maschi 3 1 2 1 2 9Volontari Adulti 0 0 5 2 0 7
Operatori 0 0 2 8 0 10Legenda:
a. volontarib. peers (amici, compagni di scuola)c. coordinatrice Work Shopd. staffe. con chi ha esperienza
Esempio di risposta di una Volontaria Adolescente:
“Penso che potrei parlare delle mie difficoltà con gli altri magari
prima con chi conosco meglio, e poi rivolgersi alle coordinatrici”.
No:
a. perché non ci si sente sufficientemente preparatib. perché ci si sente lasciati a se stessi
Esempio di risposta di una Operatrice:
“Sufficientemente supportata non proprio, ci sono un po’ dei vissuti di
solitudine, nel senso che questo è un lavoro che mi sono dovuta
inventare, quindi forse mancano un po’ di linee di base per dare un
senso comune di ciò che viene fatto nei vari laboratori….era una
sensazione che avevamo un po’ tutte di solitudine, di essere un po’
125
La Ricerca
mandate allo sbaraglio, bisognerebbe avere un po’ di strumenti di
lavoro…”
Si ricerca da soli la soluzione
Esempio di risposta di un Adolescente Maschio:
“Si, mi sento supportato comunque da me stesso, dalla mia volontà
d’animo, dalla mia volontà di crescere”.
Non si sono incontrate difficoltà
Grafico n.9. “Lungo il tuo percorso ti sei sentito/a sufficientemente supportato/a?”
Possiamo dire che i volontari si sentono supportati, soprattutto
ricercano un primo aiuto tra di loro, per poi rivolgersi alle coordinatrici
dei Work-Shop; è interessante notare che i maschi e in misura minore
anche le femmine, a questa domanda rispondono che si auto-
supportano, fanno da sé, dimostrandosi del tutto in linea con il fatto
che i maschi utilizzano quali elementi per superare le difficoltà la
propria forza d’animo e di volontà. La stessa cosa vale per i volontari
adulti. Tasto dolente, sono invece le operatrici che si sono sentite
126
Capitolo IV
abbandonate soprattutto nei momenti iniziali, si sono sentite sole
senza una adeguata formazione, cosa che ovviamente si attenua con
l’esperienza.
I fondatori ancora una volta, si sono dati man forte tra di loro,
anche se si sono sentiti abbandonati/poco valorizzati dalle istituzioni e
dagli addetti ai lavori della stessa Ausl, cosa che adesso è venuta
meno attraverso il successo di questa attività.
IV.3.4 La bidirezionalità della relazione
Il senso delle ultime domande poste durante l’intervista, aveva lo
scopo di sondare con semplicità e discrezione, la percezione che i
soggetti avevano delle relazioni e dell’accompagnamento che si
vengono ad instaurare tra i membri del gruppo di lavoro.
L’ottava domanda infatti, vuole sapere cosa i soggetti pensano
di dare a chi accompagnano in questa attività?
Qui di seguito vengono esposte per ciascuna categoria individuata,
le sottocategorie in relazione ai singoli gruppi:
Ambiente libero e positivo:
a. trasmettere entusiasmo/positività
Esempio di risposta di un Volontario Adulto:
“Spero di dare una certa serenità innanzi tutto ai ragazzi, quindi far
passare dei momenti di serenità, di svago; è uno dei pochi momenti
magari in cui si stà in comunità”
Trasmettere le proprie conoscenze
127
La Ricerca
Aiutare/dare una mano:
a. ad integrarli con gli altri, socializzareb. a scuola/compiti
Esempio di risposta di un Adolescente Maschio:
“Penso di dare un aiuto importante sia per quanto riguarda lo studio,
sia per socializzare con gli altri”
Relazione:
a. d’amicizia, affetto
Disponibilità/sostegno:
a. attenzione/tempo b. punto di riferimento/modello
Esempio di risposta di una Operatrice:
“Dare molto ascolto, ascolto perchè sento che ce n’è bisogno. Da
tutte le parti in qualsiasi direzione tu vada, io sento che è una delle
cose che manca di più proprio attenzione; io ti sto ascoltando non con
le orecchie, ti sto ascoltando, non di sfuggita secondo me è una cosa
che manca molto”
Nessuna risposta:a. Non lo sob. Devi chiedere a loro
Prenderò ora in considerazione per ciascuna categoria, la tabella dei
dati espressi in forma percentuale e la relativa rappresentazione
grafica attraverso l’istogramma per quanto concerne la domanda:
“Cosa pensi di dare alle persone che accompagni?”
Grafico n.10. Cosa pensi di dare alle persone che accompagni?”
128
Capitolo IV
0
10
20
30
40
50
60
Cosa pensi di Dare alle persone che accompagni?
Adolescenti M % 6 31 50 13 0 0
Adolescenti F % 10 17 43 10 17 3
Volontari Adulti % 46 9 9 9 18 9
Operatori % 32 0 10 0 53 5
Ambiente positivo
Trsmettere conoscenz
eAiutare Affetto
Disponibilità/sostegno
Nessuna risposta
I risultati, a mio avviso più evidenti ed interessanti in questa
risposta, li noto nel confronto tra i volontari adolescenti, e gli adulti
(volontari, operatori). Infatti, i due gruppi di adulti cercano di
creare un ambiente positivo, rilassante, allegro, di svago, in poche
parole diverso da quello che i ragazzi vivono tutti i giorni, cercano
a mio avviso di proporre un’alternativa. Si osserva come gli adulti
abbiano una maggiore visione d’insieme, una maggiore
prospettiva, cosa che si nota solo in minima parte negli
adolescenti. Essi pensano di dare principalmente un aiuto
concreto, ad esempio nel fare i compiti, o nell’assecondare le
necessità di coloro che aiutano. Per gli operatori ciò che risulta
importante è la disponibilità, l’attenzione, infatti essi sostengono
che queste siano le dimensioni importanti nella relazione d’aiuto.
Infine i fondatori offrono le loro conoscenze, la possibilità di
inserirsi nel mondo del lavoro e la possibilità di meglio
comprenderlo.
129
La Ricerca
La contropartita del dare è il ricevere, infatti la nona domanda
chiede proprio cosa si pensa di ricevere da chi si accompagna.
Le categorie semantiche individuate sono:
Emozioni positive: ( felicità, allegria, simpatia ecc)
Dimostrazione d’affetto/fiducia:
Esempio di risposta di una Adolescente Femmina:
“Credo di ricevere tanto, non lo so, non so come spiegarlo…loro mi
danno sorrisi, abbracci, quando mi vedono per strada mi salutano,
sono queste le cose che mi danno”
Riconoscimento del lavoro svolto (ti ringraziano, ti dicono che sei brava, ti danno importanza ecc.):
a. vedere i miglioramenti
Esempio di risposta di una Volontaria Adulta:
“Ricevere…una gratificazione, una soddisfazione per il fatto che i
ragazzi ti ringraziano e comunque in alcuni casi si vedono in modo
evidente i risultati. Altre volte magari rimangono un po’ nascosti, ma
comunque sono sempre delle soddisfazioni”
Arricchimento personale:
a. ampliare la visioneb. capacità organizzativac. formazioned. insegnamenti
Esempio di risposta di una Operatrice:
“Di ricevere il fatto che mi metto nei panni di una difficoltà che io non
ho mai vissuto, mi sento così di acquisire una sensibilità maggiore
riguardo a certe cose, a certi comportamenti, su come trattare certe
persone, ho dovuto cambiare un po’ i miei codici e questo mi ha fatto
vedere un altro modo di relazionarmi con i bambini”
Nessuna pretesa
130
Capitolo IV
Nessuna risposta
Grafico n.11. “Cosa pensi di ricevere da chi accompagni?
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
50
Cosa pensi di RICEVERE da chi accompagni?
Adolescenti M % 0 29 36 12 6 17
Adolescenti F % 0 33 33 20 14 0
Volontari Adulti % 9 46 36 0 0 9
Operatori % 0 32 42 26 0 0
Emoz. positive
Dimostraz. affetto
Riconoscimento
Arricchimento
Nessuna pretesa
Nessuna risposta
Questa è la prima domanda in cui le risposte a più alta frequenza
date dei tre gruppi non si sono fortemente differenziate, risultano più
frequenti le affermazioni che esprimono la consapevolezza di ricevere
dalle persone accompagnate dimostrazioni d’affetto, di fiducia ed
infine, di veder riconosciuta l’attenzione che si rivolge all’atro.
Se nelle precedenti domande, ho cercato di indagare la relazione
esistente tra coloro che aiutano e chi viene aiutato, nelle ultime due
provo a conoscere l’eventuale relazione tra chi aiuta e la struttura che
li supporta, infatti nella decima domanda chiedo in particolare cosa
pensano di dare a chi ti accompagna.
Le categorie di riferimento sono:
131
La Ricerca
Aspetto non considerato, nessuna risposta o risposta
inadeguata
Esempio di risposta di una Volontaria Adolescente:
“Non è più o meno la stessa cosa della precedente domanda? Dare
oltre che aiuti nelle materie, spiegazioni di quello che so, sperando
che siano giuste anche al di fuori della scuola e spero che loro da me
prendano esempio e che no si scordino mai”
Scambio reciproco
Aiuto concreto:
Domanda 10 a b c d Totale
Volontari Adolescenti Femmine 5 1 2 1 9Volontari Adolescenti Maschi 5 5 0 0 10Volontari Adulti 1 3 0 1 5Operatori 0 2 4 9 15
Legenda:a. aiuto concretob. possibilità di procedere, di portare avanti l’iniziativac. disponibilità/Tempod. proprie conoscenze/carattere
Esempio di risposta di una Operatrice:
“…senza il lavoro continuo dei tirocinanti e di quello delle persone del
servizio civile, diventerebbe difficile riuscire a mantenere e gestire la
fitta rete di Gancio che è molto ampia. In più le scuole richiedono un
impegno costante cosa che solamente i volontari non riuscirebbero a
gestire…”
Sostegno/punto di riferimento
Amicizia
Gragico n.12. “Cosa pensi di dare a chi ti accompagna?
132
Capitolo IV
0
20
40
60
80
100
Cosa pensi di DARE a chi ti accompagna?
Adolescenti M % 12 6 63 6 13
Adolescenti F % 55 5 30 0 10
Volontari Adulti % 27 27 45 0 0
Operatori % 6 0 88 6 0
Nessuna risposta
ScambioAiuto
concretoSostegn
oAmicizia
Dal grafico (vedi grafico n.12), si osserva principalmente che le
femmine non sono in grado di rispondere a questa domanda al
contrario dei maschi, che ancora una volta, percepiscono il loro come
un aiuto concreto. Loro avvertono di dare una mano per riuscire a
mantenere la continuità nell’attività, cosa che altrimenti non sarebbe
possibile. L’aiuto indicato dalle operatrici, lo definirei più un apporto in
termini di conoscenze e competenze acquisite sul campo, da mettere
a disposizione dello staff come strumento al quale attingere nelle
situazioni concrete. È una sorta di restituzione di ciò che sono state in
grado di costruire nel corso del tempo.
Per quanto riguarda i fondatori, considero le loro risposte rientrare
in un’unica categoria: quella della consapevolezza del proprio ruolo.
Infatti, se tra loro è scambio e confronto, nei riguardi degli operatori
essi sentono di rappresentare i punti di riferimento per la trasmissione
generazionale delle abilità personali e professionali acquisite.
L’ultima domanda chiedeva, cosa si pensa di ricevere da ti
accompagna, concludendo così la circolarità della relazione.
133
La Ricerca
Le categorie semantiche individuate sono:
Aspetto non considerato, nessuna risposta o risposta
inadeguata
L’opportunità di fare questa esperienza:
Conoscenze/crescita personale:
Domanda 11 a b c TotaleVolontari Adolescenti Femmine 5 0 3 8Volontari Adolescenti Maschi 3 0 0 3Volontari Adulti 2 1 0 3Operatori 0 4 5 9
Legenda:a. conoscenza/crescita personaleb. competenze diverse, formazionec. scambio reciproco, confronto
Esempio di risposta di una Operatrice:
“Gancio mi dà le competenze, e aumenta le mie capacità
professionali, mi insegna a sapermi muovere in percorsi che solo
all’apparenza sembrano semplici, ma che in realtà sono molto
complessi anche semplicemente dal punto di vista burocratico”
Sostegno/aiuto:
Riconoscimento/apprezzamento
Amicizia/affetto
Esempio di risposta di un Adolescente Maschio:
“Sicuramente c’è un bel rapporto di amicizia anche perché le persone
che ci sono qua le conoscevo anche prima e quindi posso conoscere
persone nuove e ricominciare vecchie amicizie, è uno scambio
interessante quello che si ha in questa attività”
134
Capitolo IV
Prenderò ora in considerazione per ciascuna categoria, la tabella
dei dati espressi in forma percentuale e la relativa rappresentazione
grafica attraverso l’istogramma per quanto concerne la domanda:
“Cosa pensi di ricevere da chi ti accompagna?”
Grafico n.13. “Cosa pensi di ricevere da chi ti accompagna?
A mio avviso le risposte più significative (vedi grafico n.13), sono
per il campione degli adolescenti, soprattutto per il fatto di non
sapere cosa si riceve forse perché non viene capita la domanda, o
perché non hanno mai pensato a questo tipo di reciprocità; infatti essi
non si sentono accompagnati, ma considerano chi li accompagna
come dei pari, che svolgono la stessa attività. Questo è legato al
fatto, che chi ha dato risposta a questa domanda, faceva riferimento
ai volontari o tutta al più, alle coordinatrici dei singoli Work Shop.
Ritorna ancora una volta l’importanza dell’amicizia come dimensione
sociale. È invece quasi scontato il fatto che le operatrici abbiano
indicato, la possibilità di crescita sia sul piano personale che
professionale.
135
La Ricerca
Per i fondatori naturalmente, esiste una circolarità nel dare e nel
ricevere nel senso che c’è un interscambio di complementarietà.
IV.4 Conclusioni
Tutti noi sappiamo, non fosse altro per la pratica quotidiana,
quanto siano complesse le relazioni interpersonali.
La relazione è incontro, è scontro, comunque è contatto tra
persone, è scambio reciproco, è un dare ed un ricevere, a volte è
silenzio, altre è manifestazione intensa, è un’esigenza fondamentale
di ciascuno di noi.
La realtà di Gancio Originale (Cap.3), offre la possibilità a chi vi
partecipa e in particolare agli adolescenti, di potersi confrontare,
sperimentare in un ambiente protetto dove si possono esprimere
esigenze di autonomia e di indipendenza, ma ciò avviene sempre
sotto una continua supervisione ( Gould p.12). È un laboratorio sociale,
in cui gli adulti che entrano in contatto con i giovani sono considerati
spesso come dei pari, o tutt’al più delle persone a cui rivolgersi solo in
caso di problematiche tali da non riuscire a risolvere da soli (domanda
n.7). Si tratta di una manifestazione comune per gli adolescenti, essi
infatti si allontanano dalla figura degli adulti per rivolgersi al gruppo di
coetanei (cap.1 p.23), al fine di confrontarsi e costruire la propria
identità. Questo lo si può notare nelle risposte alla domanda n.7, dove
essi affermano di ricercare soluzioni ai problemi nella maggior parte
dei casi da soli o di rivolgersi ai compagni, solo in ultima battuta
chiedono indicazioni alle coordinatrici del Work-Shop.
L’associazione Gancio Originale, come menzionato nel capitolo 3,
cerca di avvicinare i giovani senza forzare le distanze soprattutto
nell’intento di valorizzarli, essi infatti individuano difficoltà diverse
dagli operatori: gli adolescenti maschi (domanda n.5) segnalano di
136
Capitolo IV
temere la relazione con il bambino, fatto che per altro vedono
attenuarsi, man a mano che cresce la conoscenza dell’altro, le
femmine hanno paura di non riuscire a mantenere il controllo della
situazione sia a causa delle loro caratteristiche individuali (timidezza,
debolezza…), sia per l’irruenza o la forza di carattere dell’altro,
mentre gli operatori adulti indicano problematiche sul piano
organizzativo.
Numerose sono le motivazioni (cap.2 p.47, 48, 49), che portano ad
intraprendere questo percorso (domanda n.2), gli adolescenti sono
spinti dal desiderio di provare nuove esperienze (i maschi) o
assecondare attitudini personali nel rapporto con i bambini (le
femmine), ma credo che alla base ci sia anche il bisogno di incontrare
“l’altro”, di condividere quest’esperienza con i propri compagni o
amici (operatori, volontari, utenti).
Per gli adulti (volontari e operatori), la principale motivazione è
legata all’ “interesse professionale” (domanda n.2).
L’esperienza è certamente un’occasione che favorisce lo sviluppo
del sé, della conoscenza delle proprie aspirazioni e che prosegue nel
tempo, tant’è vero, che si trovano frequentemente adulti soprattutto
tra gli operatori, che hanno iniziato questo percorso attraverso un
passato di solidarietà sia all’interno di Gancio Originale che in altre
organizzazioni (domanda n.2).
Inoltre, le persone che operano attivamente in questo ambito,
sottolineano tutte di ricevere come gratificazione tale da stimolarli nel
proseguire (domanda n.4), l’apprezzamento che viene rivolto loro dai
bambini attraverso manifestazioni di diverso tipo; spesso questo li
può far sentire importanti, fa crescere la propria autostima ( Hartmann
p.42).
Nello svolgimento delle attività è scaturito un livello di
consapevolezza e generalizzazione diverso tra adolescenti ed adulti
(domanda n.8): come appare naturale, i giovani volontari avvertono le
esigenze più concrete, immediate, legate al contesto, mentre gli
137
La Ricerca
adulti rivolgono attenzione allo scenario più generale, fanno proiezioni
che travalicano la situazione contingente.
Alcune cose mi hanno sorpresa e una di queste è la constatazione
che gli adolescenti, soprattutto i maschi, non avvertono difficoltà e
quando ne intravedono una, cercano la soluzione da soli; gli operatori
invece, lamentano difficoltà perché non si sentono supportati in
modo adeguato (domanda n.7), soprattutto nel momento iniziale
quando dalla simulazione si passa alla realtà concreta.
Durante lo svolgimento delle interviste alcune domande in
particolare generavano stupore negli adolescenti, erano quelle
relative alla percezione di essere “accompagnati” (domande n.10/11); lo
stupore comunicava l’assoluta novità della mia affermazione come se
mai ci fosse stata questa intuizione.
I dati hanno confermato quanto colto empiricamente, dimostrando
che i volontari giovani si sentono come nodi di una rete in cui i punti
di intersezione, le relazioni tra chi opera nell’associazione sono alla
pari.
La mancanza di percezione della gerarchia dell’organizzazione,
non significa che essa non esista, ma semplicemente che essa non si
è manifestata o che l’attenzione dei soggetti era rivolta altrove; essa
resta però a mio avviso, un punto di forza che favorisce la
razionalizzazione del lavoro e lo sviluppo dell’autonomia.
Non sono da trascurare però altre considerazioni riguardo
“l’aggancio” degli adolescenti all’associazione: in primo luogo il fatto
che sia la scuola a proporlo, oltre a portare una capillare conoscenza,
fornisce anche una certa garanzia, fiducia verso l’iniziativa, in
secondo luogo il cosiddetto “passa parola” tra compagni e il non
banale discorso dell’acquisizione dei crediti formativi.
Gancio Originale lavora con e per i giovani, li responsabilizza li
fa sentire utili esaltandone le risorse e le potenzialità, ciò li gratifica
con un ruolo che neanche loro sanno di possedere.
138
Capitolo IV
La valorizzazione del singolo in quanto persona, il suo
coinvolgimento diretto nell’attività rappresentano, a mio avviso,
elementi importanti dell’organizzazione, come del resto il luogo dove
avviene il contatto: la scuola (cap.1 p.8). L’incontro a scuola ha favorito
le adesioni, infatti pochi di loro si sarebbero altrimenti avvicinati a
questa forma di volontariato (domanda n.2).
L’aiuto nello svolgimento dei compiti offre ai bambini l’opportunità
di essere ascoltati, di sentirsi al centro dell’attenzione, di trascorrere
alcune ore di serenità, offre una pausa dal disagio, ma nel contempo
anche agli adolescenti fornisce l’occasione di sperimentare soluzioni,
di acquisire consapevolezza delle proprie motivazioni sotto la
supervisione di qualcuno che è lì per favorire queste operazioni.
L’essere “accompagnati” può consentire un transito nelle varie
esperienze della vita in modo meno traumatico, può aprire nuovi
orizzonti, può far sentire meno soli.
139
Capitolo IV
Indice dei grafici
e delle tabelle
Grafico 1 – “In riferimento alla tua attività in Gancio Originale, se
dico accompagnamento cosa ti viene in mente?” 101
Grafico 2 – “Quali sono i motivi che ti hanno portato/a a svolgere
la tua attività in Gancio Originale? 102
Grafico 3/4/5 – “Ti aspettavi qualcosa di diverso prima di iniziare
questo percorso?” 109/110/111
Grafico 6 – “Nello svolgimento della tua mansione cosa hai trovato
di gratificante?” 114
Grafico 7 – “Dove hai incontrato le maggiori difficoltà?” 117
Grafico 8 – “Quali sono stati gli elementi che ti hanno permesso di
superare le difficoltà?” 121
Grafico 9 – “Lungo il tuo percorso ti sei sentito/a sufficientemente
Supportato/a?” 123
Grafico 10 – “Cosa pensi di dare alle persone che accompagni?” 126
Grafico 11 – “Cosa pensi di ricevere da chi accompagni?” 128
Grafico 12 – “Cosa pensi di dare a chi ti accompagna?” 130
Grafico 13 – “Cosa pensi di ricevere da chi ti accompagna?” 132
Tabella 1 – Due diversi modelli di socializzazione 16
Capitolo IV
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