lettura solenne del decreto sulle virtù del venerabile francesco maria della croce jordan
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1 Omelia tenuta il 19 marzo 2011 nella Curia Generalizia dei Padri Salvatoriani di Roma, in occasione della lettura solenne del Decreto sulle virtù del Venerabile Francesco Maria della Croce Jordan.TRANSCRIPT
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Solennità di San Giuseppe
Omelia1
Angelo Card. Amato, SDB
1. Mi unisco alla vostra gioia per il decreto sulle virtù eroiche del Servo di
Dio, Francesco Maria della Croce Jordan (1848-1918). Possiamo fare nostre le
parole di letizia del Salmista: «Canterò in eterno l’amore del Signore, di
generazione in generazione farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà» (Sal
89,2).
Oltre a Dio Trinità, fonte e datore di ogni bene, il nostro ringraziamento va
oggi, nel giorno del suo onomastico, al Santo Padre Benedetto XVI, che lo scorso
14 gennaio ha autorizzato la promulgazione. Con evidente soddisfazione, il Papa
ha riconosciuto l’eroicità delle virtù cristiane di un figlio così illustre e
benemerito della Chiesa tedesca e della Chiesa universale. La Chiesa, quindi,
dichiara che è la santità la sorgente delle molte opere compiute da Padre Jordan,
dal cui cuore buono e generoso nasce anche la fondazione della “Società del
Divin Salvatore” e la “Congregazione delle Suore del Divin Salvatore”. È la sua
esistenza virtuosa che fa germogliare la sua azione apostolica e missionaria, così
come la linfa dell’albero dà nutrimento e vigore allo sbocciare dei fiori a
primavera e alla maturazione dei frutti in estate. Il Venerabile Padre Jordan si
elevò al di sopra della nostra mediocrità per la sua fede profonda, la sua grande
speranza e la sua generosa carità.
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1 Omelia tenuta il 19 marzo 2011 nella Curia Generalizia dei Padri Salvatoriani di Roma, in occasione della lettura solenne del Decreto sulle virtù del Venerabile Francesco Maria della Croce Jordan.
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2. L’odierna solennità di san Giuseppe è l’occasione propizia per meditare su
una virtù in particolare, quella della fede. Come il patriarca Abramo, nostro padre
nella fede, come Maria, nostra madre nella fede, anche Giuseppe fu un uomo
provato nella fede. Per fede egli accolse la giovane fidanzata, incinta di Gesù:
«”Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa,
perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” […]. Destatosi dal
sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo» (Mt 1,20.24). Per fede
contemplò la nascita miracolosa del Figlio del Padre celeste nella povertà di
Betlemme. Per fede andò esule e povero in Egitto con Maria e il bambino Gesù.
Per fede accolse, senza ribattere, le parole di Gesù dodicenne ritrovato nel
tempio. Per fede Giuseppe si incamminò per strade oscure e per lui
incomprensibili, rischiarate solo dalla luce della Provvidenza divina. Non vacillò:
«Egli credette, saldo nella speranza, contro ogni speranza» (Rm 4,18). La sua
santità non è fondata sul dire, ma sull’essere e sull’agire. Per questo Giuseppe è
chiamato nel Vangelo uomo “giusto” (Mt 1,19). Se di Maria conserviamo alcune
parole, di Giuseppe niente. È l’uomo del silenzio, della meditazione e della pronta
obbedienza nei fatti alla volontà di Dio.
3. C’è una provvidenziale coincidenza di situazioni tra san Giuseppe e il
Venerabile Francesco Maria della Croce Jordan. Anche il giovane Giovanni
Battista Jordan – il nome di battesimo del Venerabile – fu fino ai vent’anni
operaio come il grande patriarca biblico. Dopo la scuola elementare, infatti, il egli
lavorò come operaio occasionale e come imbianchino, fino a quando, dopo i
vent’anni, non decise di obbedire alla voce del Signore, che lo chiamava al suo
servizio come sacerdote. Iniziò per lui un periodo di intensa preparazione non
solo nelle scienze sacre ma anche nelle lingue moderne ed antiche. Dato il clima
culturale del suo tempo, che rischiava una vera apostasia dal Vangelo e dalla
Chiesa, egli avvertì l’esigenza di una missione intesa sia in senso tradizionale,
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come “missio ad gentes”, e cioè come proclamazione del Vangelo a tutti i popoli
del mondo, specialmente i più lontani, sia in senso moderno, come rafforzamento
dell’identità cattolica dei fedeli della sua patria, mediante una più forte
motivazione culturale delle ragioni della propria fede. Egli è un apostolo della
prima evangelizzazione, per condurre tutta l’umanità a Cristo, e della nuova
evangelizzazione, per riaccendere la fede dei credenti spesso debole e stanca.
L’ideologia anticattolica del Kulturkampf e l’abbandono della fede da parte di non
pochi battezzati, rafforzarono nella sua mente una santa inquietudine apostolica.
Già da seminarista aveva fatto sue le parole del Benedictus: «… illuminare his qui
in tenebris et in umbra mortis sedent» (Lc 1,79). Da giovane sacerdote fu poi
colpito da una frase del Vangelo di san Giovanni: «Questa è la vita eterna: che
conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo» (Gv 17,3).
Divampò così il suo zelo apostolico, realizzando la fondazione di ben due
congregazioni missionarie: la “Società del Divin Salvatore” e della
“Congregazione delle Suore del Divin Salvatore”. Un giorno annotò nel suo
Diario Spirituale le parole di san Francesco Saverio: «Finché saprò d’un angolo
del mondo dove Dio non sia amato, io non potrò gustare un istante di riposo».2 E
più avanti negli anni prese questo proposito: «Sii un vero apostolo di Gesù Cristo
e non riposare finché tu non abbia portato la parola di Dio in tutti gli angoli del
mondo; sii un vero araldo dell’Altissimo! Circonvola la terra come un’aquila ed
annunzia la parola di Dio!».3
Quando la sua Società aveva già avuto una discreta espansione con molte
vocazioni, scriveva ancora: «Finché Dio non sia glorificato dappertutto, non t’è
permesso riposare un momento. Finché la Regina del cielo e della terra non venga
onorata dappertutto, non t’è permesso riposare un momento. Nessun sacrificio,
nessuna croce, nessun soffrire, nessuna desolazione, nessuna tribolazione, nessun
3
2 Diario Spirituale, I p. 166.
3 Ib., I p. 182.
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attacco. Oh! nulla, ti sia troppo difficile con la grazia di Dio […]. Omnia possum
in eo qui me confortat».4
Era letteralmente divorato dalla passione missionaria di annunciare Cristo al
mondo. Un giorno annotò in latino: «Omnes, omnes, o Jesu, omnes, o Salvator
Mundi, salvare desidero vehementissime!». «Omnes Populi, omnes Gentes,
omnes Tribus, omnes Nationes, omnes Linguae, laudate nomen Domini!».5
4. L’ansia apostolica di questo uomo giusto derivava dalla sua grande fede
nella presenza di Cristo Salvatore e nella e nella missione salvifica della Chiesa
che spingeva il nostro Venerabile a manifestare il suo incontenibile entusiasmo.
La monumentale Positio della sua vita e delle sue virtù si sofferma lungamente
sul suo spirito di fede, che si manifestava sia in questo suo ardente zelo apostolico
sia in una devozione eucaristica fatta di preghiera e di adorazione. Dal suo grande
spirito di fede aveva origine anche la sua indomabile fiducia nella Divina
Provvidenza. Solo avendo fiducia in essa si può essere in pienezza collaboratori
di Dio e del suo Regno. Le testimonianze sono concordi nell’affermare che con la
sua incrollabile fiducia nella presenza provvidente di Dio nella sua vita, Padre
Jordan poteva provvedere giornalmente nel corso del tempo a più di 300 persone,
sebbene fosse veramente sfornito di ogni mezzo temporale.6 Padre Hubertus
Kreutzer afferma: «Neppure nelle più grandi difficoltà lo abbandonava la sua
fiducia in Dio; la fede nella Provvidenza e la fiducia in Dio erano i temi preferiti
dei suoi discorsi; per questa ragione richiamava sempre la nostra attenzione sugli
uomini della Provvidenza, come Don Bosco e Cottolengo».7 A tale riguardo,
usava spesso l’immagine della bilancia: «La confidenza mia in Dio e la
4
4 Ib., II p. 1.
5 Ib., II p. 43.
6 Summarium, § 1131.
7 Ib., § 1278.
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Provvidenza di Dio verso di me rassomigliano a due piatti di una bilancia. Più di
peso si mette nel primo e più in alto va il secondo».8
Questa fiducia nella Divina Provvidenza veniva coltivata nella preghiera
intensa davanti al Santissimo. Spessissimo egli si raccoglieva in adorazione o
nell’oratorio domestico o nella basilica di San Pietro.
Padre Athanasius Krächan riferisce: «Quando penso al P. Jordan, lo rivedo
con lo spirito inginocchiato davanti al tabernacolo nella cappella domestica della
Casa Madre o a San Pietro […]. Quando il Servo di Dio entrava in cappella gli
porgevo l’acqua benedetta e potevo osservare che il P. Jordan, entrato nella
cappella, già aveva dimenticato tutto quello che gli era intorno e nessun’altra cosa
aveva più importanza per lui all’infuori del tabernacolo. La sua genuflessione era
sempre una predica per noi. Dal modo in cui egli salutava il Santissimo, si notava
già che egli aveva stabilito un contatto personale con Gesù Cristo».9
Un altro testimone afferma: «Il grande amore verso il Salvatore nascosto nel
Tabernacolo era uno dei caratteri più spiccati del Padre Jordan. Io l’ho visto
centinaia di volte tenere il suo sguardo immobile rivolto, come in un’estasi, sul
Tabernacolo o più ancora sul Santissimo esposto nell’ostensorio. La sua
venerazione per il Santissimo era qualche cosa di commovente per tutti coloro
che si trovavano presenti nella Cappella».10
La fede era una virtù da lui vissuta e da lui consigliata ai suoi figli spirituali.
In una conferenza così ammoniva i suoi confratelli: «È per noi estremamente
importante, in quanto operai apostolici, che noi siamo ben forti nella fede […],
che noi viviamo nella fede e nelle nostre azioni e visioni, nel nostro lavorare e
tendere, nelle nostre sofferenze e lavori».11
5
8 Diario Spirituale, II p. 8.
9 Summarium, § 741ss.
10 Ib., § 664ss.
11 Informatio super virtutibus, p. 175.
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Dal suo spirito di fede attingeva la forza per sopportare la sofferenza, per
perdonare i nemici, per dimenticare le offese, per confermare la sua obbedienza al
Papa e ai Vescovi. A tale proposito Padre Paulus Pabst riferisce concisamente:
«Fu figlio sincero e devotissimo della S. Chiesa e il “sentire cum Ecclesia” fu per
lui come una seconda natura».12 E un altro testimone aggiunge: «Egli ci
raccomandava sempre lo “spiritus ecclesiae” e la genuina “mens Catholica”».13
Sintesi della sua vita virtuosa, piena di fede e di carità, è il suo atteggiamento
umile, che lo accomuna in modo straordinario a San Giuseppe. L’umiltà è una
piccola virtù che, però, fa grandi gli uomini giusti. Il 9 gennaio del 1880 il nostro
Venerabile annota nel suo diario: «Pregare molto – moltissimo e meditare e mai
afferrarti a qualcosa di terreno e non regolarti secondo gli uomini e le loro
chiacchiere, ma regolati con il consiglio di pochi e devoti servi di Dio e solo
secondo Dio e i suoi Santi. Disprezzo – Calunnia – Esser reso ridicolo – ed altro
ti capiterà, tu però sii coraggioso ed afferrati forte a Dio».14
Travolgente entusiasmo apostolico e missionario nella proclamazione di
Cristo Salvatore del mondo, immensa fede nella Divina Provvidenza e profondo
spirito di umiltà sono alcuni degli aspetti più qualificanti della personalità
virtuosa del Venerabile Padre Francesco Jordan. La sua eredità spirituale è un
invito ai suoi figli alla contemplazione, alla imitazione e anche alla richiesta di
intercessione per ricevere illuminazione, conforto e grazie spirituali.
Dice il Santo Padre Benedetto XVI: «Alla vita dei Santi non appartiene solo
la loro biografia terrena, ma anche il loro vivere ed operare in Dio dopo la morte.
Nei Santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si
rende invece ad essi veramente vicino».15
6
12 Summarium, § 120.
13 Ib., § 1195.
14 Diario Spirituale, I p. 151*.
15 BENEDETTO XVI, Lett. Enc. Deus caritas est, n. 42.
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Approfittiamo di questa vicinanza spirituale per il nostro cammino di
perfezione.
Amen.
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