l’inafferrabile giustizia

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QUESTIONI CHE CONTANO DIOGENE N. 28 Settembre 2012 93 e si cerca sul dizionario la sua definizione, si legge: “Giustizia: s. f. 1. Virtù, principio etico per il quale si giudica rettamente e si dà a ciascuno ciò che gli è do- vuto; 2. Retto funzionamento dei rap- porti sociali, nel quale le leggi regolano la vita collettiva; SIN. Equità, imparzia- lità”. Ma la giustizia è davvero riducibile ad una sterile e generica definizione da vo- cabolario? Si può parlare di una giusti- zia “universale”, una giustizia “utopica”, un concetto che valga per tutti e per sempre? La risposta a queste domande è stata ricercata dal filosofo greco Pla- tone, un pensatore che ha intensamente basato la sua discussione filosofica sul tema della giustizia. Sono passati più di duemila anni dalla nascita dell’allievo di Socrate, ma an- cora oggi non si è arrivati ad una defi- nizione universale del termine. “Giustizia è avere tanti regali da Babbo Natale se ti sei comportato bene”, dice un bambino; “Giustizia è il riconosci- mento di un fallo durante una partita di calcio”, dice un ragazzo; “Giustizia è avere collaborazione da parte della fa- miglia nella gestione domestica”, dice una mamma; “Giustizia è ricevere la pensione ogni mese”, dice un anziano. La giustizia, dunque, è un concetto in- dividuale ma allo stesso tempo un prin- cipio universale insito in ciascuno di noi, che prende forma in base al mo- mento storico in cui essa agisce, al con- testo culturale, all’età e al sesso della persona che la mette in pratica. È come l’acqua. Neutra, vitale, traspa- rente. Ma, a seconda del modo in cui viene adoperata, può cambiare forma in base al recipiente che la contiene; può diventare impura se miscelata ad altre sostanze. È usata quotidianamente. Una sola cosa è certa: nessuna comunità umana può sussistere senza la giustizia. All’istanza sofistica che vorrebbe ri- durla al diritto del più forte, Platone op- pone che neppure una banda di briganti o di ladri potrebbe venire a capo di nulla, se i suoi componenti vio- lassero le norme della giustizia l’uno a danno degli altri. Trasimaco e Socrate oggi potrebbero trovarsi ancora a di- scutere su questi argomenti. La giustizia è condizione fondamentale della nascita e della vita dello Stato. “La giustizia è un’aspirazione, una con- quista quotidiana. Non si può mai darla per scontata. Bisogna lottare di conti- nuo per realizzarla, specialmente in questo momento in cui troppi sem- brano volerne fare a meno” , afferma nella situazione italiana attuale lo scrit- tore-magistrato Giancarlo De Cataldo, autore del libro In giustizia. La giustizia è il principio morale che esige il rispetto del diritto e dell’equità. Ma, nel tempo storico in cui viviamo, c’è da chiedersi se essa esista davvero. Crediamo che l’utopia di un mondo re- golato sulla base di parametri fondati sulla giustizia sia possibile. La giustizia è fatta da uomini e, come il lato umano di tutte le cose, è passibile di errori, al- cune volte molto grossolani. È l’uomo che deve sforzarsi quotidianamente di portare avanti una battaglia fondata sul diritto, sull’abolizione della disparità, contro i privilegi di classe. La giustizia si attua quando queste condizioni ven- gono rispettate, quando ogni uomo può avere un posto di lavoro, quando ogni anziano riceve la giusta pensione per i tanti anni di sacrificio, quando ogni bambino o ragazzo o ragazza non subi- sce violenza: quando tutti rispettiamo tutti. E allora, come fare per avere giustizia? Qualcuno può ben dire che nel mondo in cui viviamo non c’è giustizia. “Tutto va a rotoli! Tutti sono corrotti!”. L’inafferrabile giustizia L’idea di giustizia è come l’acqua: cambia forma a seconda del recipiente. S K Aquila Floriana K Caporaso Maria Teresa K Picciallo Mariarosaria K Simone Donatella Classe IIID Liceo Scientifico Tarantino, Gravina in Puglia

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di Aquila Floriana, Caporaso Maria Teresa, Picciallo Mariarosaria e Simone Donatella Classe IIID Liceo Scientifico Tarantino, Gravina in Puglia Vincitori del primo premio del premio di filosofia "Le questioni che contano" indetto da Loescher Editore.

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Page 1: L’inafferrabile giustizia

Q U E S T I O N I C H E C O N T A N O

DIOGENE

N. 28 Settembre 2012

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e si cerca sul dizionario la suadefinizione, si legge: “Giustizia:s. f. 1. Virtù, principio etico peril quale si giudica rettamente esi dà a ciascuno ciò che gli è do-

vuto; 2. Retto funzionamento dei rap-porti sociali, nel quale le leggi regolanola vita collettiva; SIN. Equità, imparzia-lità”.Ma la giustizia è davvero riducibile aduna sterile e generica definizione da vo-cabolario? Si può parlare di una giusti-zia “universale”, una giustizia “utopica”,un concetto che valga per tutti e persempre? La risposta a queste domandeè stata ricercata dal filosofo greco Pla-tone, un pensatore che ha intensamentebasato la sua discussione filosofica sultema della giustizia.Sono passati più di duemila anni dallanascita dell’allievo di Socrate, ma an-cora oggi non si è arrivati ad una defi-nizione universale del termine.“Giustizia è avere tanti regali da BabboNatale se ti sei comportato bene”, diceun bambino; “Giustizia è il riconosci-mento di un fallo durante una partita dicalcio”, dice un ragazzo; “Giustizia èavere collaborazione da parte della fa-miglia nella gestione domestica”, diceuna mamma;“Giustizia è ricevere la pensione ognimese”, dice un anziano.La giustizia, dunque, è un concetto in-dividuale ma allo stesso tempo un prin-cipio universale insito in ciascuno dinoi, che prende forma in base al mo-mento storico in cui essa agisce, al con-testo culturale, all’età e al sesso dellapersona che la mette in pratica. È come l’acqua. Neutra, vitale, traspa-rente. Ma, a seconda del modo in cuiviene adoperata, può cambiare forma inbase al recipiente che la contiene; puòdiventare impura se miscelata ad altresostanze. È usata quotidianamente.Una sola cosa è certa: nessuna comunità

umana può sussistere senza la giustizia.All’istanza sofistica che vorrebbe ri-durla al diritto del più forte, Platone op-pone che neppure una banda dibriganti o di ladri potrebbe venire acapo di nulla, se i suoi componenti vio-lassero le norme della giustizia l’uno adanno degli altri. Trasimaco e Socrateoggi potrebbero trovarsi ancora a di-scutere su questi argomenti.La giustizia è condizione fondamentaledella nascita e della vita dello Stato. “La giustizia è un’aspirazione, una con-quista quotidiana. Non si può mai darlaper scontata. Bisogna lottare di conti-nuo per realizzarla, specialmente inquesto momento in cui troppi sem-brano volerne fare a meno” , affermanella situazione italiana attuale lo scrit-tore-magistrato Giancarlo De Cataldo,autore del libro In giustizia.La giustizia è il principio morale cheesige il rispetto del diritto e dell’equità.Ma, nel tempo storico in cui viviamo,c’è da chiedersi se essa esista davvero.Crediamo che l’utopia di un mondo re-golato sulla base di parametri fondatisulla giustizia sia possibile. La giustiziaè fatta da uomini e, come il lato umanodi tutte le cose, è passibile di errori, al-cune volte molto grossolani. È l’uomoche deve sforzarsi quotidianamente diportare avanti una battaglia fondata suldiritto, sull’abolizione della disparità,contro i privilegi di classe. La giustizia siattua quando queste condizioni ven-gono rispettate, quando ogni uomo puòavere un posto di lavoro, quando ognianziano riceve la giusta pensione per itanti anni di sacrificio, quando ognibambino o ragazzo o ragazza non subi-sce violenza: quando tutti rispettiamotutti.E allora, come fare per avere giustizia? Qualcuno può ben dire che nel mondoin cui viviamo non c’è giustizia. “Tuttova a rotoli! Tutti sono corrotti!”.

L’inafferrabile giustiziaL’idea di giustizia è come l’acqua: cambia forma a seconda del recipiente.

S

K Aquila FlorianaK Caporaso Maria Teresa K Picciallo MariarosariaK Simone Donatella

Classe IIID Liceo Scientifico Tarantino, Gravina in Puglia

Page 2: L’inafferrabile giustizia

DIOGENE94N. 28 Settembre 2012

Q U E S T I O N I C H E C O N T A N O

Tante volte abbiamo sentito dire que-ste parole, ma mai nessuno cerca didare una svolta. La svolta è nostra!Siamo noi gli autori della giustizia! La giustizia va salvata con il nostro im-pegno, con il rispetto delle regole, delleleggi e della società. Socrate affermava:“Chi agisce fa sempre ciò che per lui èbene”, perché, partendo dal principioche si basa sul soddisfare sempre ed in-condizionatamente i propri bisogni,qualunque individuo agirebbe secondoi propri interessi. “Chi fa il male lo faper ignoranza del bene”. Dunque, comesi può condannare questo uomo? L’uomo sa cosa è giusto, anche i politicilo sanno, è solo che nella nostra societànon è facile contemperare le esigenzedi tutti. Per questo l’aspirazione più grande perogni uomo dovrebbe essere il tenderealla giustizia ogni giorno. Dobbiamoconoscere la giustizia giorno dopogiorno e ad essa dobbiamo aspirareanche quando sembra tutto perduto,anche quando troppe persone sem-brano volerne fare a meno. D’altronde,come avrebbe detto Socrate, “non sipuò essere giusti se non si conosce lagiustizia” e ancora “ad ingiustizia subita,mai deve seguire altra ingiustizia”. Al-cuni uomini, tuttavia, pur conoscendola giustizia, credono che sia meglio nonricorrere all’autorità giudiziaria ed in-terpretano la giustizia come una ven-detta personale. Certo, non è possibileindagare fino in fondo e non si può cer-

care di scoprire, entrando nell’intimodelle decisioni umane, quali sono lecause che portano un uomo a farsi giu-stizia da sé. Sarebbero tantissime. Farsitrasportare dall’impeto è sempre sba-gliato. Perché, alla fine, si resta comun-que incastrati nel vortice della nostrastessa azione. Se, ad esempio, sono il proprietario diuna tabaccheria e all’improvviso duemalviventi cercano di rapinarmi, iosono costretto a scegliere se reagire,prendere una pistola e sparargli, o sespingere il bottone d’allarme per avvi-sare gli agenti. Se decidessi di agire emalauguratamente ferissi a morte unmalvivente, sarei accusato di omicidio.A cosa è servito farmi giustizia da solo?Sicuramente a nulla. Un eccesso di di-fesa mi porta dall’altra parte: l’accusa-tore diventa l’accusato. Quindi, cichiediamo: come può un avvocato di-fendere un colpevole? Il termine “avvo-cato” deriva dal latino “ad vocare” ossia“chiamare a sé, aiutare”.Questo è il compito dell’avvocato: aiu-tare un soggetto ad uscire da una situa-zione di difficoltà causata da un attonon conforme alla legge. L’avvocatonon dovrebbe semplicemente difendereun colpevole per prevalere in una di-sputa verbale con la cosiddetta “contro-parte”. Cerca, piuttosto, di far sì che alsoggetto venga inflitta la pena meno pe-sante. Per il principio della presunzionedi innocenza, nessuno è colpevole finoa prova contraria.

L’avvocato, quindi, svolge il suo ruolodi professionista ed è di ausilio per tutticoloro che commettono azioni delit-tuose più o meno gravi. E poi, non sipuò negare a nessuno la possibilità diredimersi e di non sbagliare più. Nel-l’intricata rete giudiziaria, spicca, oltrealla figura dell’avvocato, quella del giu-dice. Il ruolo del giudice è sicuramentemolto difficile. In un tempo come il no-stro, ove la criminalità è spesso dila-gante, sicuramente la posizione delgiudice è la più delicata. Il giudice non è il depositario della ve-rità, ma egli decide sulla base della “ve-rità processuale” e molte voltequest’ultima verità non coincide, pervari motivi, con la realtà dei fatti. Pur-troppo il giudice non è un dio, non ha lasfera magica ed essendo un uomo è sog-getto a fisiologici errori.Gli errori, però, portano talvolta i giu-dici a sbagliare. Si apre una vastagamma di opzioni: vi sono i corrotti,oppure coloro che tendono o rischianoa farsi coinvolgere in un turbine dipaure e a sottostare a situazioni sicura-mente che incidono sulle loro capacitàdi giudizio.Tutti noi, dunque, dobbiamo cercare diagire sempre secondo giustizia perché,come scrisse Platone, “I felici sono feliciper il possesso della giustizia e dellatemperanza”, tanto che “nessun malepuò accadere ad un uomo giusto, siadurante la vita che dopo la morte”. K

J.-L. David, La morte di Socrate, Metropolitan Museum of Art, New York, 1787.