l'inattualita dell' antico

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1 L'alterità del passato ovvero l'inattualità dell'antico La generica opinione che gli uomini siano uguali e che la loro natura resti immutabile è molto antica. Al tempo degli antichi sofisti nel V sec. a.C. lo ha sostenuto nel περὶ ἀληθείας Antifonte, il quale tuttavia si è limitato al superficiale riscontro biologico della questione, quando ha portato a sostegno della sua convinzione il fatto che ciascun individuo senza distinzione alcuna, Greco o barbaro che sia, appaga allo stesso modo i naturali bisogni funzionali, in quanto tutti respirano attraverso la bocca e il naso, tutti mangiano con le mani, ridono nella gioia e piangono nel dolore; sentono i suoni con l'udito, vedono le immagini con gli occhi, lavorano servendosi delle mani e camminano con i piedi. 1 Ma l'immutabilità della natura umana non si dimostra con il fatto che tutti noi abbiamo due gambe, mangiamo, beviamo, dormiamo, bensì nella nostra natura dialogica. Da sempre, pur guardando ora con sospetto ora con derisione all'altro, gli esseri umani sono stati capaci di interagire con il diverso, e ciò perché lo hanno fortemente voluto e sono stati capaci di farlo. Insomma le culture (e gli individui) non sono monadi. 2 Senza contare che il confronto con l'altro induce a una consapevole percezione delle nostre specificità. Ciononostante più volte e in vari modi è stato compiuto l'errore di esaminare una civiltà antica, usando le nostre categorie culturali. 3 Invece bisogna avere la consapevolezza che qualsiasi cultura ha una propria identità, tanto più una cultura del passato, quando si facevano cose diverse, quando anche le cose che ci sembrano uguali erano differenti, quando le cose effettivamente uguali erano fatte in altro modo. 4 L'accertamento di permanenza di alcuni tratti culturali nella lunga durata non comporta di conseguenza averne dimostrato la conservazione dell'originaria identità; anzi enfatizzare la continuità formale immaginando di averne dimostrato anche il mantenimento dei contenuti, comporta l'illecita obliterazione di tutte le variazioni e delle numerose trasformazioni avvenute nel corso del tempo. 5 Per spiegare la premessa in termini semplici, prenderò in considerazione la nostra idea di attività letteraria per confrontarla con quella degli antichi Greci. Conferenza tenuta il 10 aprile 2015 su invito dell'Associazione Giuliana di Cultura Classica "Carlo Corbato" presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi di Trieste. 1 Antipho Soph. fr. 44 D.-K. (P.Oxy. XI 1364 B): [...] φύσει πάντα πά[ντες] ὁμοίως πεφύκ[α]μεν καὶ βάρβαροι καὶ Ἕλλην[ες] εἶναι· σκοπεῖν δ[ὲ] παρέχει τὰ τῶν φύσει [ὄντων] ἀναγκαί[ων] πᾶσιν ἀν[θρώ]ποις· π[ορίσαι] τε κατ[ὰ ταὐτὰ], δυνα[τὰ πᾶσι] τοῦτοις οὔτε β[άρβα]ρος ἀφῶρισ[ται] ἡμῶν ο[ὐδεὶς] οὔτε Ἕλλην. ἀναπνέομέν τε γὰρ εἰς τὸν ἀέρ[α] ἅπαντες κατὰ τὸ στόμ[α κ]αὶ κατ[ὰ] τὰς ῥίνας κ[αὶ ἐσθίομε]ν χ[ερσὶν ἅπαντες·] κ[αὶ γελῶμε]ν χ[αίροντες τῷ νῷ ἢ] δακρύομε[ν] λυπόμενοι· καὶ τῇ ἀκοῇ τοὺς φθόγγους εἰσδεχόμεθα· καὶ τῇ αὐγῇ μετὰ τῆς ὄψεως ὁρῶμεν καὶ ταῖς χερσὶν ἐργαζόμεθα· καὶ τοῖς ποσὶν βαδ[ίζο]μεν. Sull'argomento vedi LUIGI BOTTIN, Introduzione a Ippocrate, Arie acque e luoghi, Padova, Marsilio, 1986, pp. 20-27. 2 L'osservazione mi è stata trasmessa dall'amico Franco Crevatin via e-mail. 3 LUIGI ENRICO ROSSI, Letteratura greca, Firenze, Le Monnier, 1995, pp. 1-2. 4 FRANCO CREVATIN, Storie di persone che parlano, scrivono, leggono, pensano, «Rivista Italiana di Linguistica e Dialettologia» XVI, 2014, p. 109. 5 FRANCO CREVATIN, Tra etimologia e storia culturale, in Dialetti: per parlare e per parlarne. Atti del Terzo Convegno Internazionale di Dialettologia, Potenza 8 novembre 2012 Grumento Nova 9 novembre 2012 Tito 10 novembre 2012, a cura di Patrizia del Puente, Potenza, Il Segno, 2014, pp. 23-25.

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Conferenza tenuta il 10 aprile 2015 su invito dell'Associazione Giuliana di Cultura Classica "Carlo Corbato" presso ilDipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi di Trieste da Gennaro Tedeschi. Viene affrontato il tema della distanza culturale rispetto all'antichità e la percezione del fatto letterario

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L'alterità del passato ovvero

l'inattualità dell'antico

La generica opinione che gli uomini siano uguali e che la loro natura resti immutabile è molto antica. Al tempo degli antichi sofisti nel V sec. a.C. lo ha sostenuto nel περὶ ἀληθείας Antifonte, il quale tuttavia si è limitato al superficiale riscontro biologico della questione, quando ha portato a sostegno della sua convinzione il fatto che ciascun individuo senza distinzione alcuna, Greco o barbaro che sia, appaga allo stesso modo i naturali bisogni funzionali, in quanto tutti respirano attraverso la bocca e il naso, tutti mangiano con le mani, ridono nella gioia e piangono nel dolore; sentono i suoni con l'udito, vedono le immagini con gli occhi, lavorano servendosi delle mani e camminano con i piedi.1

Ma l'immutabilità della natura umana non si dimostra con il fatto che tutti noi abbiamo due gambe, mangiamo, beviamo, dormiamo, bensì nella nostra natura dialogica. Da sempre, pur guardando ora con sospetto ora con derisione all'altro, gli esseri umani sono stati capaci di interagire con il diverso, e ciò perché lo hanno fortemente voluto e sono stati capaci di farlo. Insomma le culture (e gli individui) non sono monadi.2 Senza contare che il confronto con l'altro induce a una consapevole percezione delle nostre specificità.

Ciononostante più volte e in vari modi è stato compiuto l'errore di esaminare una civiltà antica, usando le nostre categorie culturali.3 Invece bisogna avere la consapevolezza che qualsiasi cultura ha una propria identità, tanto più una cultura del passato, quando si facevano cose diverse, quando anche le cose che ci sembrano uguali erano differenti, quando le cose effettivamente uguali erano fatte in altro modo.4 L'accertamento di permanenza di alcuni tratti culturali nella lunga durata non comporta di conseguenza averne dimostrato la conservazione dell'originaria identità; anzi enfatizzare la continuità formale immaginando di averne dimostrato anche il mantenimento dei contenuti, comporta l'illecita obliterazione di tutte le variazioni e delle numerose trasformazioni avvenute nel corso del tempo.5

Per spiegare la premessa in termini semplici, prenderò in considerazione la nostra idea di attività letteraria per confrontarla con quella degli antichi Greci.

Conferenza tenuta il 10 aprile 2015 su invito dell'Associazione Giuliana di Cultura Classica "Carlo Corbato" presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi di Trieste. 1 Antipho Soph. fr. 44 D.-K. (P.Oxy. XI 1364 B): [...] φύσει πάντα πά[ντες] ὁμοίως πεφύκ[α]μεν καὶ βάρβαροι καὶ Ἕλλην[ες] εἶναι· σκοπεῖν δ[ὲ] παρέχει τὰ τῶν φύσει [ὄντων] ἀναγκαί[ων] πᾶσιν ἀν[θρώ]ποις· π[ορίσαι] τε κατ[ὰ ταὐτὰ], δυνα[τὰ πᾶσι] τοῦτοις οὔτε β[άρβα]ρος ἀφῶρισ[ται] ἡμῶν ο[ὐδεὶς] οὔτε Ἕλλην. ἀναπνέομέν τε γὰρ εἰς τὸν ἀέρ[α] ἅπαντες κατὰ τὸ στόμ[α κ]αὶ κατ[ὰ] τὰς ῥίνας κ[αὶ ἐσθίομε]ν χ[ερσὶν ἅπαντες·] κ[αὶ γελῶμε]ν χ[αίροντες τῷ νῷ ἢ] δακρύομε[ν] λυπόμενοι· καὶ τῇ ἀκοῇ τοὺς φθόγγους εἰσδεχόμεθα· καὶ τῇ αὐγῇ μετὰ τῆς ὄψεως ὁρῶμεν καὶ ταῖς χερσὶν ἐργαζόμεθα· καὶ τοῖς ποσὶν βαδ[ίζο]μεν. Sull'argomento vedi LUIGI BOTTIN, Introduzione a Ippocrate, Arie acque e luoghi, Padova, Marsilio, 1986, pp. 20-27. 2 L'osservazione mi è stata trasmessa dall'amico Franco Crevatin via e-mail. 3 LUIGI ENRICO ROSSI, Letteratura greca, Firenze, Le Monnier, 1995, pp. 1-2. 4 FRANCO CREVATIN, Storie di persone che parlano, scrivono, leggono, pensano, «Rivista Italiana di Linguistica e Dialettologia» XVI, 2014, p. 109. 5 FRANCO CREVATIN, Tra etimologia e storia culturale, in Dialetti: per parlare e per parlarne. Atti del Terzo Convegno Internazionale di Dialettologia, Potenza 8 novembre 2012 Grumento Nova 9 novembre 2012 Tito 10 novembre 2012, a cura di Patrizia del Puente, Potenza, Il Segno, 2014, pp. 23-25.

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Per noi un componimento poetico è l’esito di un processo creativo-estetico, la cui funzione dominante è quella espressiva o emotiva. Perlopiù esso è comunicato a un pubblico indifferenziato di lettori in forma mediata attraverso la scrittura. E alla scrittura si associano anche altri fatti indispensabili per la comunicazione, quali la stampa, la pubblicazione, la diffusione, la circolazione e la conservazione. Queste operazioni avvengono seguendo una trafila collaudata, partendo dalla casa editrice, passando per una rete di distribuzione, arrivando in libreria e concludendosi in biblioteca. Di conseguenza per noi è istintivo associare l’opera letteraria alla scrittura: comporre e scrivere nel nostro comune modo di esprimerci sono considerati sinonimi o perlomeno equivalenti. Ma non è stato sempre così.

Nella Grecia arcaica il poeta era un esperto con particolari attitudini che, dopo aver accolto nelle φρῆνες6 il sapere donatogli dalla divinità ispiratrice, di cui si considerava servitore e messaggero prescelto, lo trasmetteva agli altri formalizzato nel canto.7 Nella sua funzione di artigiano, che operava nella comunità e per la comunità, non componeva spinto dal bisogno di esprimere i moti interiori del proprio animo, casomai comunicava sentimenti e valori che fossero condivisibili dalla collettività alla quale si rivolgeva; in altri termini il suo operato aveva una funzione persuasiva, didattica e paideutica.8 Di qui la consuetudine a inserire segmenti di vicende eroiche nel dettato lirico con intento paradigmatico. In un'elegia pubblicata qualche anno fa, a proposito di una pesante sconfitta subìta in battaglia, Archiloco si rivolge agli ἑταῖροι dilungandosi sulla disavventura capitata agli Achei agli inizi della spedizione contro Troia, quando per errore sbarcarono in Misia e attaccarono la città di Teutranto, allora governata da Telefo.9 E altri casi si riscontrano nei lirici monodici, come Saffo e Alceo.10 6 SHIRLEY M. DARCUS SULLIVAN, A Person's Relation to ψυχή in Homer, Hesiod, and the Greek Lyric Poets, «Glotta» LVII, 1979, pp. 30-39; 159-173; CARLO BRILLANTE, Il cantore e la Musa. Poesia e modelli culturali nella Grecia arcaica, Pisa, ETS, 2009, pp. 46-53. 7 CARLO BRILLANTE, La voce delle Muse nella poesia greca arcaica, «I Quaderni del Ramo d'Oro On-Line» VI, 2013-2014, pp. 34-51. 8 Cfr. ex. gr. Thgn. 27-38; GIULIO COLESANTI, Insegnanti, maestri e allievi del corpus teognideo, «SemRom» X, 2007, pp. 249-266. Sull'argomento generale cfr. CARLOS MIRALLES - JAUME PORTULAS, L’image du poète en Grèce archaïque, in Figures de l’intellectuel en Grèce ancienne, a cura di Nicole Loraux, Carlos Miralles, Paris. Berlin, 1998, pp. 15-43. 9 P.Oxy. LXIX 4708; vedi DIRK OBBINK, A New Archilochus Poem, «ZPE» CLVI, 2006, pp. 1-9; cfr. ANTONIO ALONI, ALESSANDRO IANNUCCI, L'elegia greca e l'epigramma dalle origini al V secolo con un'appendice sulla 'nuova' elegia di Archiloco, Firenze, Le Monnier Università, 2007, pp. 205-237; Anika Nicolosi, Ipponatte, Epodi di Strasburgo, Archiloco, Epodi di Colonia. Con un'appendice su P. Oxy. LXIX 4708, Bologna, Pàtron, 2007, pp. 277-333; ELTON T. E. BARKER, JOEL P. CHRISTENSEN, Flight Club: The New Archilochus Fragment ant its Resonance with Homeric Epic, «MD» LVII, 2007, pp. 9-41; CECILIA NOBILI, Tra epos ed elegia: il nuovo Archiloco, «Maia» LXI, 2009, pp. 229-249; LAURA LULLI, L'elegia di Archiloco sul mito di Telefo, in Narrare in distici: l'elegia arcaica e classica di argomento storico-mitico, Roma, Edizioni Quasar, 2011, pp. 87-105; LAURA A. SWIFT, Archilochus the Anti Hero? Heroism, Flights and Values in Homer and the New Archilochus Fragment, «JHS» CXXXII, 2012, pp. 139-155; EADEM, Telephus on Paros: Genealogy and Myth in the ’New Archilochus’ Poem (P.Oxy. 4708), «CQ» LXIV, 2014, pp. 433-447. L'episodio trovava ampio sviluppo nei Cypria (argumentum ex Procl. Chrestom. 80 Severyns, pp. 40 s. PEG; vedi pure [Apollod.] Epit. 3, 17) ed era stata trattata da Esiodo nel Catalogo delle donne (fr. 165 M.-W.). 10 Vedi, per esempio, l'accenno all'abbandono della patria, del marito e della figlia da parte di Elena, quando fu rapita da Paride in Sapph. fr. 16 V.; la descrizione particolareggiata del matrimonio di Ettore e Andromaca in Sapph. fr. 44 V.; la paradigmatica storia di Aurora e Titono, narrata per esteso da Hymn. Ven. 218-238, accolta da Saffo nel carme sui malanni della vecchiaia in P.Köln XI 429+430 (cfr. LIONEL EDMUNDS, Tithonus in the 'New Sappho' and the Narrated Mythical Exemplum in Archaic Greek Poetry, in The New Sappho on Old Age: Textual and Philosophical Issues, Classics@ 4, a cura di ELLEN GREENE, MARILYN SKINNER, online Edition 11 marzo 2011, http://chs.harvard.edu/ wa/pageR?tn=Article Wrapper&bdc=12&mn=3534; LAURA CARRARA, "The very Worst that could have been chosen". Le funzioni dell'exemplum di Titono nell'Inno omerico ad Afrodite, in Tra panellenismo e tradizioni locali. Nuovi contributi, a cura di Antonio Aloni, Massimiliano Ornaghi, Messina, Futura Print Service, 2011, pp. 81-116, in particolare pp. 82-89; FRANCA PERUSINO, MARIA COLANTONIO, Saffo e Titono: due vecchiaie a confronto, in, Mythologeîn. Mito e forme di discorso nel mondo antico. Studi in onore di Giovanni Cerri, a cura di Antonietta Gostoli, Roberto Velardi, Maria Colantonio, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2014, pp. 112-113; JOSÉ ANTONIO FERNÁNDEZ -DELGADO, On the Cologne Sappho Papyrus, «ZPE» CXCI, 2014, pp. 21-24, ivi bibliografia precedente); la punizione dell'astuto Sisifo in Alc. fr. 38a V. (MARIA CANNATÀ FERA, Sisifo in Alceo, in Approaches to Archaic Greek Poetry, a

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Oltre a ciò, i meccanismi del controllo, conservazione, circolazione e diffusione erano diversi da quelli moderni, in quanto il poeta affidava le proprie composizioni alla comunicazione aurale e alla fissazione mnemonica senza dipendere, se non marginalmente, dalla scrittura,11 con ripercussioni talora significative sulla stabilità della parte verbale. Quando veniva a mancare la tutela autoriale, per la loro salvaguardia, peraltro parziale e non coerente, accanto a una limitata registrazione scritta, interveniva la memoria individuale e quella collettiva.12

Infine i canti, selezionati in modo arbitrario, erano conservati nelle tradizioni locali o erano diffusi in altre aree, costituendo repertori, dai quali di volta in volta si sceglievano quelli conformi alle esigenze della singola circostanza performativa.13 Spesso il libro non fu impiegato per la ricezione dei testi, anzi fino al IV a.C. non fu un'entità autonoma, ma un aiuto per l'interprete, servendo da supporto per la fruizione aurale.14

Stando a una breve elegia della Silloge teognidea, qualora fosse effettivamente capace di qualcosa di raffinato, il poeta dapprima cercava, facendosi ispirare dalle Muse, in quanto loro servitore, poi indicava un'innovazione autentica, infine componeva per altri, trasmettendo quello che aveva cercato e trovato in veste di messaggero.15

Bisogna aggiungere che la novità sollecitata non doveva essere necessariamente qualcosa di originale da reggere il confronto con i componimenti del passato; poteva risultare notevole anche un brano di un altro poeta riusato in modo significativamente nuovo.16 cura di Xavier Riu, Jaume Portulas, Messina, Futura Print Service, 2012, pp. 29-43); la preghiera di Teti a Zeus affinché allontanasse l'ira dal figlio Achille in Alc. frr. 44 V.; il ricordo della responsabilità di Elena nello scoppio della guerra di Troia in Alc. frr. 42 (MICHELE CAPRIOLI, On Alcaeus 42, Voigt, «CQ» LXII, 2012, pp. 22-38) e 283 V. (RUBY BONDELL, Refractions of Homer's Helen in Archaic Lyric, «AJPh» CXXXI, 2010, pp. 349-391, spec. pp. 351-362); il richiamo al comportamento sacrilego di Aiace Oileo durante il saccheggio della città conquistata e la sua fine prematura in Alc. fr. 298 V. (SILVANA CIAMPA, Lo sguardo di Atena e la violenza di Aiace su Cassandra da Alceo ai poeti tardoantichi, «PP» LXVIII, 2012, pp. 199-202). Sull'argomento cfr. ADRIAN KELLY, Stesichorus' Homer, in Stesichorus in Context, a cura di Patrik Finglass, A. Kelly, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, pp. 25-34. 11 Vedi Thgn. 237-254. Sull'argomento cfr. MANUELA GIORDANO-ZECHERIA, Tabellae auris: musica e memoria nella trasmissione della lirica monodica, in ΡΥΣΜΟΣ. studi di poesia, metrica e musica greca offerti dagli allievi a Luigi Enrico Rossi per i suoi settant'anni, a cura di Roberto Nicolai, Roma, Quasar, 2003, pp. 73-92. 12 Cfr. GIOVANNI CERRI, Il significato di sphregìs in Teognide e la salvaguardia dell'autenticità testuale nel mondo antico, «QS» XXXIII, 1991, pp. 21-40. Sul senso del sigillo vedi FEDERICO CONDELLO, Osservazioni sul 'sigillo' di Teognide, «IncTs» IX, 2009-2010, pp. 65-152. 13 LUIGI ENRICO ROSSI, L'autore e il controllo del testo nel mondo antico, «SemRom» III, 2000, pp. 165-181. 14 Vedi Eur. Hipp. 451-453: ὅσοι μὲν οὖν γραφάς τε τῶν παλαιτέρων | ἔχουσιν αὐτοί τ᾿ εἰσὶν ἐν μούσαις ἀεὶ | ἴσασι ... Sugli esemplari segreti in possesso agli Omeridi cfr. Plat. Phdr. 252b. In X. Mem. 4, 2, 10 si fa riferimento all'acquisizione dell'intera opera di Omero come supporto alla professione di rapsodo. Per le testimonianze ceramografiche riguardanti l'impiego del libro fino al IV a.C. vedi LUCIO DEL CORSO, Morfologia dei primi libri alla luce delle testimonianze indirette, in Akten des 23. Internationalen Papyrologen-Kongresses. Wien, 22-28 Juli 2001, a cura di Bernhard Palme, Wien, VÖAW. 2007, pp. 161-168. Raccolte di libri sono attestate dai poeti della cosiddetta Commedia di Mezzo: nel Lino Alessi elenca i titoli di alcune opere presenti in una biblioteca privata, tra i quali il bulimico Eracle è invitato a scegliere quello preferito (fr. 140 PCG); cfr. EMANUELE CASTELLI, Il titolo dei libri nell'Antichità. Una nuova interpretazione del framm. 140 (Ed. K.-A.) del Lino di Alessi, «S&T» XII, 2014, pp. 1-18. Se nel Palamede il tragediografo Euripide afferma che la scrittura è utile per inviare notizie alle persone lontane, per fare testamento, per rendere pubbliche le leggi (fr. 578 TrGF), nel secolo successivo il commediografo Filemone nell'Apollo include tra i vantaggi apportati dall'invenzione della scrittura anche la possibilità di conservare nel tempo i testi del lontano passato (fr. 10 PCG). Vedi ANDREW FORD, From Letters to Literature: Reading the "Song Culture" of Classical Greece, in Written Texts and the Rise of Literate Culture in Ancient Greece, a cura di Harvey Yunis, Cambridge, Cambridge University Press, 2003, pp. 15-37; GIAN FRANCO NIEDDU, La scrittura 'madre delle Muse': agli esordi di un nuovo modello di comunicazione culturale, (Supplementi di «Lexis» IX), Amsterdam, Hakkert, 2004. 15 Thgn. 769-772: χρὴ Μουσῶν θεράποντα καὶ ἄγγελον, εἴ τι περισσόν | εἰδείη, σοφίης μὴ φθονερὸν τελέθειν, | ἀλλὰ τὰ μὲν μῶσθαι, τὰ δὲ δεικνύειν, ἄλλα δὲ ποιεῖν· | τί σφιν χρήσηται μοῦνος ἐπιστάμενος; Sulla quartina vedi MASSIMO VETTA, La funzione del poeta nel simposio tardo-arcaico: Thgn. 769-772, in Quadrifluus amnis. Studi di letteratura, filosofia e storia in onore di Mons. C. Vona, Chieti, Università di Chieti, 1987, pp. 467-479. 16 MASSIMO VETTA, Teognide e anonimi nella Silloge Teognidea, in La letteratura pseudepigrafa nella cultura greca e romana. Atti di un incontro di Studi. Napoli, 15-17 gennaio 1998, a cura di Giovanni Cerri, «AION(filol)» XXII,

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Di fatto, contrariamente alla poesia moderna, in quella greca arcaica esisteva un indissolubile connubio tra l'unità verbale e la melodia, che era condizione indispensabile per la sue specifiche modalità comunicative.17 Il pubblico ne apprendeva il contenuto in modo diverso dai lettori, servendosi dell'udito per selezionare, rielaborare e conservare ciò che era proposto nella performance, e della vista per godere dello spettacolo che gli veniva offerto.18 Il bel canto nella Grecia arcaica era strettamente collegato al processo euristico-imitativo e il risultato di quella operazione si realizzava invariabilmente in un'esecuzione ineccepibile, che era accompagnata da musica e da movimenti di danza.

Solitamente la locuzione καλὸν ἀείδειν era riferita all’aedo, in quanto adeguava il proprio intervento in modo consono e appropriato alla situazione, attenendosi ai criteri del decoro o della necessità e avvalendosi magistralmente delle risorse messe a disposizione dalla propria arte. E l’omologo sintagma καλὴ ἀοιδή ne metteva in risalto la qualità impeccabile e la facoltà di produrre piacere nell’uditorio,19 come si evince dall’elogio rivolto da Odisseo a Demodoco, quando l’eroe ne commenta in modo entusiastico la declamazione effettuata poco prima durante il banchetto organizzato nella reggia da Alcinoo, re dei Feaci.20

Il poeta, vero e proprio mediatore culturale, che aveva il compito di formalizzare nel canto il comune patrimonio mitologico, etico, religioso, gnomico della collettività, espletava la propria funzione didattico-paideutica facendo leva sulla τέρψις suscitata durante la performance negli ascoltatori.

Dal momento che la cultura greca era contraddistinta, almeno fino al IV sec. a.C., dal sistema comunicativo basato sull’auralità ci rendiamo conto immediatamente che secondo questa prospettiva i differenti generi poetici erano distinguibili tra loro in quanto operanti a livello pragmatico piuttosto che sul piano della struttura apparente del dettato o della loro organizzazione interna. Vale a dire che i tipi di canto si distinguevano in rapporto alle diverse circostanze della vita sociale e al tipo di esecuzione (vocale e strumentale) richiesta da ogni singola occasione.

Ancora ai tempi di Platone la μουσική era divisa in generi e modi che rinviavano direttamente all’occasione della sua effettiva esecuzione: gli inni agli dèi, le lamentazioni funebri, le monodie citarodiche, l’encomio, l’iporchema, il peana in onore di Apollo, il ditirambo per celebrare Dioniso,21 infine la poesia epica, elegiaca e giambica. Soltanto nella Repubblica il filosofo definisce teoricamente le categorie tipologiche del racconto, secondo la struttura interna del discorso: 1) narrativo; 2) drammatico o mimetico-dialogico; 3) misto, dove coesistono parti narrative e dialogiche, come l’epica o la poesia giambica, elegiaca e lirica.22

La situazione cambiò radicalmente nel III sec. a.C., in concomitanza con l’affermarsi della scrittura sulla pratica della comunicazione orale. Allora si avvertì negli ambienti culturali e nelle coscienze dei singoli che l’epoca della polis era definitivamente conclusa: essa aveva lasciato il posto a nuove entità statali che si erano formate dopo il dissolvimento dell’impero di Alessandro Magno. La stessa realtà culturale, che aveva trovato il punto di riferimento più significativo nell’Atene dei secoli V e IV a. C. fu considerata compiuta e le opere poetiche, storiche, filosofiche prodotte in quel periodo ne furono ritenute la più alta espressione da salvaguardare a ogni costo. Per iniziativa di Tolomeo II Filadelfo quei capolavori furono cercati in tutto il mondo ellenico e raccolti nella biblioteca di Alessandria, quindi furono conservati, dopo essere stati studiati e considerati non

Napoli, Istituto Universitario Orientale, 2000, pp. 123-141. 17 Restano valide le osservazioni riguardanti le insormontabili difficoltà imposte dalla perdita delle melodie arcaiche avanzate da LIANA LOMIENTO, Melica, Musica e metrica greca. Riflessioni per (ri)avviare un dialogo, «Lexis» XXVI, 2008, pp. 215-237. 18 LIVIO SBARDELLA, Oralità. Da Omero ai mass media, Roma, Carocci, 2006, pp. 27-31. 19 Cfr. GENNARO TEDESCHI, Rito e poesia: il Notturno di Saffo (fr. 168B), «A&R» III-IV, 2010, pp. 153-155. 20 Hom. Od. 9, 2-11. 21 Plat. Ion 534c. 22 Plat. R. 3, 392d-394c; cfr. BRUNO GENTILI, Modi e forme della pubblicazione, in Poesia e pubblico nella Grecia antica da Omero al V secolo, Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 49.

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soltanto come modelli formali da imitare, ma pure come contenitori di concetti sublimi e di valori eminenti.23

Con quel procedimento i filologi alessandrini trasformarono in letteratura la produzione poetica del passato, in quanto la catalogarono in generi con criteri di tipo retorico, fondati sulla struttura formale del discorso e dei suoi contenuti, contraddistinti da specifiche leggi. In altri termini tale classificazione fu libresca nella sua impostazione analitica, nella sua genesi e nei suoi fini perché rispondeva a necessità editoriali e bibliotecarie. Gli antichi componimenti, per il fatto di essere messi sistematicamente per iscritto e conservati in biblioteca, furono svincolati dalle concrete occasioni e dalle oggettive circostanze che ne avevano favorito la creazione, la ricezione e la diffusione.24

Per quanto concerne la cultura arcaica, lo studio dell’attività poetica, limitato al puro dato formale o a quello estetico rischia di rimanere a un livello superficiale di comprensione, perché da questa prospettiva, non si tiene conto di fattori imprescindibili, quali la fruizione originaria, la funzione e il contesto dei canti, che resero concrete e funzionali quelle esperienze, primo fra tutti la pertinenza delle singole composizioni al tempo e al luogo dell’esecuzione, nonché la subordinazione del canto al contesto e alla specifica occasione del suo prodursi.25

Le intrinseche e specifiche qualità stilistiche di un testo antico devono essere valutate non come fatti in sé, ma organici alla strategia dei significati dell’opera,26 con la consapevolezza sia delle contiguità sia delle differenze, delle analogie come delle polarità, che uniscono e al tempo stesso distanziano le diverse realtà in gioco, cioè quella antica e quella contemporanea.27

Contrariamente a quanto divenne usuale dall’Ellenismo in poi, come ho già anticipato, nella Grecia arcaica e classica i testi lirici erano eseguiti con l’accompagnamento di danza e musica eseguita con strumenti musicali a corda, a fiato o a percussione.

I canti scandivano i momenti più significativi delle varie pratiche cultuali (sacrifici e offerte alla divinità, processioni, riti di diversa natura) che si svolgevano nel corso delle pubbliche feste religiose: esisteva un rapporto solidale tra i componimenti e i culti dalla comunità celebrati secondo un preciso calendario, poiché attraverso le parole dei brani eseguiti e i movimenti orchestici si instaurava un rapporto comunicativo con il dio per chiederne la protezione, per ringraziarlo o per rievocare episodi mitici legati alla festa, al rito e al luogo dove la manifestazione si svolgeva.

Era il poeta che sceglieva l'argomento più consono alla circostanza e la musica più appropriata per l’accompagnamento nel vasto patrimonio a lui noto.28 Inoltre si preoccupava di adeguare il tema alle esigenze del committente, adeguandolo solitamente alle proprie capacità creative. In questa prospettiva si comprendono le reinterpretazioni di temi eroici,29 la scelta di varianti locali, a volte contraddittorie, di un mito.30 23 FAUSTO MONTANA, La filologia ellenistica. Lineamenti di una storia culturale, Pavia, Pavia University Press, 2012. 24 BRUNO GENTILI, GIOVANNI CERRI, Storia e biografia nel pensiero antico, Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. 103-109. 25 BRUNO GENTILI, Lirica greca corale, Parma, Guanda, 1965, p. 15. 26 Riguardo all'elegia vedi PIETRO GIANNINI, Espressioni formulari nell'elegia greca arcaica, «QUCC» XVI, 1973, pp. 7-78. 27 BRUNO GENTILI, Tradurre poesia, «Aufidus» VIII, 1989, p. 63; cfr. FEDERICO CONDELLO, Tradurre la lirica, in Hermeneuein, Tradurre il greco, a cura di Camillo Neri, Renzo Tosi, Bologna, Pàtron, 2009, pp. 31-65. 28 Anacreonte biasima colui che tra le coppe di vino parla di guerra invece di esaltare i doni di Cipride e delle Muse (Anacr. fr. 56 Gent.) e Senofane censura quelli che durante il simposio cantano le imprese dei Titani, dei Giganti, dei Centauri, nonché quanti esaltano le staseis (Xenoph. fr. 1, 13 ss. PETFr). Vedi ALESSANDRO IANNUCCI, Le 'gioie' del simposio. Osservazioni sul lessico e ethos conviviale ellenico, «AUFL» n.s. I, 2000, pp. 3-26. 29 Si pensi alle tre differenti variazioni stesicoree riguardanti Elena e la sua presenza a Troia, corrispondenti al racconto dell'Iliade (Il. 3, 171 s.), a quello esiodeo (fr. 176 M.-W.) e alla cosiddetta Palinodia (P.Oxy. 2506 = Stesich. fr. 193 PMGFr e Stesich. fr. 192 PMGFr); cfr. BRUNO GENTILI, Poesia e pubblico, cit., pp. 166-168. Vedi inoltre ETTORE CINGANO, BRUNO GENTILI, Sul 'nuovo' verso della prima palinodia di Stesicoro, «ZPE» LVII, 1984, pp. 37-40. 30 Vedi i particolari dell'episodio relativo alla Dolonia omerica, di cui Ipponatte fa menzione nei giambi (fr. 72 Deg.) oppure alla versione epicorica del ritorno degli Atridi in Sapph. fr. 17 V., che recentemente è stato parzialmente integrato nei finali dei primi 14 versi dalla pubblicazione di P. GC. inv. 105. Vedi SIMON BURRIS, JEFFREY FISH, DIRK OBBINK, New Fragments of Book I of Sappho, «ZPE» CLXXXIX, 2014, pp. 1-28; cfr. CAMILLO NERI, Una festa

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A tale scopo l'autore utilizzava metri, ritmi e suoni per un’accorta riproduzione dei fenomeni naturali auditivi e visivi;31 e inoltre, per quanto concerneva l’aspetto linguistico-formale, riutilizzava moduli stilistici tradizionali che egli aveva imparato durante un lungo tirocinio.

Le feste ufficiali ricorrenti, però, non erano le uniche occorrenze delle performances, che avvenivano durante una competizione agonale. In contiguità o in prosecuzione delle cerimonie collettive potevano esserci circostanze non periodiche, che ampliavano le occasioni del canto (matrimoni, funerali, festeggiamenti organizzati in onore di vincitori di gare atletiche e simposi), durante le quali il poeta si rivolgeva a un uditorio discreto, coeso da interessi comuni.32

Negli àmbiti non ufficiali, in particolare in quello del simposio, non più vincolato da una specifica committenza, il poeta trattava argomenti di varia natura privilegiando l’esternazione del soggettivo per rendere partecipi emotivamente dei propri pensieri e sentimenti il gruppo selezionato dei compagni. Da qui l’uso di un linguaggio esoterico, tendenzialmente allegorico, volutamente oscuro e ambiguo per gli estranei, ricco di metafore, immagini, similitudini, non privo di aforismi, atto a connotare situazioni che coinvolgevano i presenti e che soltanto da questi doveva essere pienamente compreso.

Il poeta adoperava strutture metrico-ritmiche libere (lirica monodica) o di distici elegiaci per narrare mimeticamente azioni nobili, oppure si serviva di metri giambici - ma non solo - quando intendeva affrontare argomenti vili o serio-comici.

Nel simposio i discorsi e i canti miravano a un duplice intento. Attraverso il registro della lode il poeta preservava la memoria di personaggi e fatti gloriosi celebrando i propri eroi,33 definiva il modello ottimale da perseguire nella vita civile,34 additava i valori etici da rispettare,35 indicava il comportamento da tenere nelle circostanze critiche,36 per i più giovani riproponeva le tradizioni e il patrimonio culturale;37 in tal modo, rafforzava i vincoli di solidarietà, che tenevano uniti al gruppo i singoli, i quali prendevano consapevolezza dei comuni interessi che li differenziavano dagli altri. In pari tempo attraverso il registro del biasimo censurava vizi, difetti e comportamenti riprovevoli: in modo bonario prendeva in giro gli amici, allo scopo di suscitare il riso negli astanti, oppure additava al pubblico ludibrio i nemici personali svelando i loro vizi più o meno inconfessabili.38

A tale scopo in area ionico-attica lo strumento più usuale era il giambo, ma in area eolica non mancarono altre forme atte allo scopo: basti pensare ai pesanti apprezzamenti di Saffo nei confronti di alcune rivali, ai duri insulti indirizzati da Alceo agli appartenenti di fazioni avverse,39 ai divertenti ritratti canzonatori delineati da Anacreonte.40

auspicata? (Sapph. fr. 17 V. e P. CG. 105 fr. 2 c. II rr. 9-28), «Eikasmós» XXV, 2014, pp. 11-27; FRANCO FERRARI, Saffo e i suoi fratelli e altri brani del primo libro, «ZPE» CXCII (2014), pp. 15-18. 31 BRUNO GENTILI, I f rr. 39 e 40 P. di Alcmane e la poetica della mimesi nella cultura greca arcaica, in Studi filologici e storici in onore di Vittorio De Falco, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1971, pp.57-67. 32 MASSIMO VETTA, Convivialità pubblica e poesia per il simposio in Grecia, «QUCC» n.s. LIV, 1996, pp. 197-209; IDEM, Anacreonte a Samo el'Artemide dei Magneti, in, Poesia e religione in Grecia. Studi in onore di G. Aurelio Privitera, a cura di Maria Cannatà Fera, Simonetta Grandolini, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, pp. 671-682. 33 Vedi Ibyc. fr. S 151 PMGFr (= fr. 282 PMG); carmm. conv. 5; 10-13; 23, 24 Fabbro (= 888; 893-896; 906; 907 PMG); cfr. CHARLES SEGAL, Song, Ritual, and Commemoration in Early Greek Poetry and Tragedy, «Oral Poetry» IV, 1989, pp. 330-359. 34 Un precetto squisitamente politico è evidente nel carm. conv. 8 Fabbro (= 891 PMG). 35 Cfr. ex. gr. carmm. conv. 6; 7; 9; 20; 25 Fabbro (= 889; 890; 892; 903; 908 PMG); Thgn. 415-418; 529-530. 36 Per esempio, il poeta si occupava di situazioni dolenti, derivate da sciagure che coinvolgevano la collettività, rammentando all'uditorio adeguati precetti gnomico-consolatori, come in Archil. frr. 8-13 IEG2. In generale vedi CECILIA NOBILI, Omero e l'elegia trenodica, «Acme» LIX, 2006, pp. 3-24. 37 Cfr. carmm. conv. 15-16 Fabbro (= 898-899 PMG). 38 EZIO PELLIZER, Lineamenti di una morfologia dell'intrattenimento simposiale, «Aufidus» II, 1987, pp. 87-102; ANTONIO ALONI, La performance giambica nella Grecia arcaica, «AOFL» I, 2006, pp. 83-107. Platone ci informa che nel V a.C. il poeta Eveno di Paro teorizzò la paralode e il parabiasimo, vale a dire l'esercizio indiretto della lode e del biasimo attraverso l'impiego di artifici retorici, ricorrendo a sentenze di carattere gnomico, ad allusioni oppure introducendo personae loquentes nel componimento (Phdr. 267a). 39 ANTONIO ALONI, What is that Man doing in Sappho 31V?, in Iambic Ideas: Essays on a Poetic Tradition from

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Con il termine giambo gli antichi designavano non tanto la specificità metrica del carme (trimetro giambico, il tetrametro trocaico, combinazioni epodiche), ma piuttosto la peculiarità dei contenuti. Il verbo derivato ἰαμβίζειν è in effetti sinonimo di λοιδορεῖν, σκώπτειν e significa ‘beffare, schernire, scagliare invettive, motteggiare, prendere in giro qualcuno’41.

Spesso il poeta si serviva di una forma drammatizzata, che gli consentiva di comparire in vesti non proprie e assumere le sembianze di altri personaggi dai nomi spesso parlanti:42 si pensi alla messiscena di una voce muliebre in un carme di Alceo43 e nelle odi mimiche di Anacreonte con donne di diversa estrazione sociale44 o a taluni segmenti dialogici della Silloge teognidea,45 dove la persona loquens femminile è inserita nella cornice tipicamente maschile del simposio.46

Tale artificio, particolarmente adatto al discorso diffamatorio, serviva a scongiurare risentimenti e rancori. A questo proposito nella Retorica Aristotele porta come esempio quattro trimetri iniziali di un componimento archilocheo,47 dove nel preambolo iniziale il carpentiere Carone ricorre alla figura paratattica della Priamel, tipica della lirica arcaica, per rifiutare ricchezza e potere, che la diffusa communis opinio considerava beni ambitissimi.48

Non tutti i giambi miravano a censurare, a deridere vizi, difetti e meschinità, a descrivere ambienti squallidi, personaggi triviali o di dubbia moralità. Essi non servivano soltanto a esternare in modo risentito il pensiero dell'autore; in alcuni casi potevano diventare faceti, burleschi, talora parodici;49 oppure, assumendo una forma serio-comica, trattavano argomenti esistenziali con toni austeri e didascalici.50 Sotto questo aspetto i giambi erano prossimi alla produzione elegiaca, da cui differivano per il modo di esecuzione e per il metro: erano infatti affidati al recitativo, mentre i distici erano cantati con l’accompagnamento di uno strumento a fiato (αὐλός).51

Abbandonando l’invettiva personale (ἰαμβικὴ ἰδέα) e attenuando il turpiloquio, il poeta rifletteva sulla brevità della vita umana,52 faceva considerazioni riguardanti le vicende pubbliche della città; altre volte esternava le proprie passioni raccontando tra il serio e il faceto esperienze personali di varia natura o affrontava temi legati alla sfera del quotidiano. Archaic Greece to the Late Roman Empire, a cura di Alberto Cavarzere, Antonio Aloni, Alessandro Barchiesi, Lanham, Rowman and Littlefield, 2001, pp. 29-40; ANGELA ANDRISANO, Iambic Motifs in Alcaeus' Lyrics, ibidem, pp. 41-65. 40 Vedi ex. gr. Anacr. fr. 82 (WILLIAM J. SLATER, Artemon and Anacreon. No Text without Context, «Phoenix» XXXII, 1978, pp. 185-194; BRUNO GENTILI, Una polemica davvero eccessiva a proposito di Anacr. fr. 82 Gent. [= 388 P.], «QUCC» n.s. XII, 1982, pp. 115-116) e fr. 89 Gent. (LUCA SOVERINI, Anacreonte fr. 387 Page = 89 Gentili: il profumiere e le sue chiome nella società antica, «ASNP» XXIV, 1994, pp. 819-833). 41 Vedi MARTIN L. WEST, Studies in Greek Elegy and Iambus, Berlin-New York 1974, pp. 22-23; EZIO PELLIZER, Per una morfologia della poesia giambica arcaica, in I canoni letterari. Storia e dinamica, a cura di Giuseppe Petronio, Ulrich Schulz-Buschhaus, Trieste, Lint, 1981, pp. 35-48; ENZO DEGANI, s.v. Giambici (Poeti), in Dizionario degli scrittori greci e latini, II, a cura di Francesco Della Corte, Settimo Milanese, Marzorati, 1987, pp. 1005-1033. 42 Cfr. MARIA GRAZIA BONANNO, Nomi e soprannomi archilochei, «MusHelv» XXXVII, 1980, pp. 65-88. 43 Alc. fr. 10 V.; cfr. GIUSEPPE LENTINI, Un lamento da donna: il fr. 10 V. di Alceo (ἔμε δείλαν), alla luce dei frr. 6 e 130b V., «SemRom» IX, 2006, pp. 219-242. 44 Anacr. frr. 20; 44; 72; 86; 98 Gent.; cfr. FEDERICO CONDELLO, Messinscene dell'altro nella poesia simposiale greca, «Griselda» II, 2002 = http://www.griseldaonline.it /temi/l-altro/messinscene-simposio-greco-arcaico-condello.html. 45 Thgn. 257-260; 861-864; soprattutto Thgn. 579-584; cfr. MASSIMO VETTA, Identificazione di un caso di catena simposiale nel Corpus teognideo, in Lirica greca da Archiloco a Elitis. Studi in onore di Filippo Maria Pontani, Padova, Liviana, 1984, pp. 113-126. 46 PATRIZIA PUPPINI, Espressioni mimiche a simposio, «QFCT» V, 1986, pp. 39-52, ora in OINHPA TEYXH. Studi triestini di poesia conviviale, a cura di Klaus Fabian, Ezio Pellizer, Gennaro Tedeschi, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1991, pp. 57-71. 47 Arist. Rhet. III 17, 1418b, 23. 48 Archil. fr. 19 IEG2; BRUNO GENTILI, Archiloco e la funzione politica della poesia del biasimo, «QUCC» n.s. XI, 1982, pp. 7-28; ONOFRIO VOX, Il poeta e il carpentiere (Archiloco e Carone), «QUCC» n.s. XXIX, 1988, pp. 113-118; GENNARO TEDESCHI, Il valore della ricchezza, «IncTs» III, 2003-2004, pp. 21-55. 49 Cfr. Archil. fr. 215 IEG2: καί μ᾿ οὔτ᾿ ἰάμβων οὔτε τερπωλέων μέλει. In generale vedi GABRIELE BURZACCHINI, Spunti serio-comici nella lirica greca arcaica, «IncTs» I, 2001-2002, pp. 191-257. 50 Cfr. Sem. frr. 9; 10; 11; 12 Pell.-Ted. 51 BRUNO GENTILI, Poesia e pubblico, cit., pp. 45-47. 52 Cfr. Sem. fr. 8 Pell.-Ted.

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Anche le avventure amorose rientravano nei soggetti cantabili ma il tono serio-comico e il linguaggio meno crudo non esternava un eros idilliaco e delicato, anzi l’accento era posto sovente sugli aspetti realistici, come succede nell'epodo archilocheo di Colonia.53

Altrove il poeta descrive gli effetti del desiderio d’amore54 sfruttando per il primo verso di un'immagine epica tratta dall’Odissea, precisamente dall’episodio in cui l’eroe si aggrappa al vello di un montone per fuggire dall’antro di Polifemo;55 esempla poi il verso successivo, con i dovuti aggiustamenti imposti dal metro, sulla descrizione iliadica della nebbia tenebrosa che si riversa sugli occhi del guerriero morente.56

Come è appassionante nei canti di amore così è impietoso quando, con ritmo incalzante e con un linguaggio metaforico, si rivolge a una donna ricordandone la sfiorita bellezza.57 Anche per questo frammento il richiamo obbligato è il passo dell'Odissea nel quale si descrive la magica metamorfosi dell'eroe a opera di Atena, che ne rende irriconoscibile il corpo.58

In un famoso distico Archiloco si avvale del linguaggio formulare epico e di modelli eroici per proporre all'uditorio un'orgogliosa autopresentazione: afferma di essere scudiero del signore Enialio ed esperto degli amabili doni delle Muse. In altri termini rivendica a sé stesso il possesso della perizia poetica e si attribuisce la responsabilità della creazione artistica, considerandola a pari livello dell'abilità bellica. Si tratta di una novità assoluta, dal momento che per la prima volta nella storia della letteratura mondiale un poeta, distaccandosi dalla tradizione, parla di sé stesso in modo esplicito, presentandosi non come servitore,59 ma come abile amministratore dei doni ricevuti dalle Muse.60 Per tale motivo spesso la critica ha creduto di individuare nei frammenti posizioni del tutto soggettive, difformi dall’etica del tempo, utilizzando ragionamenti di ascendenza romantica e idealistica oppure ricercando indizi autobiografici nei frammenti.61

In tempi più recenti la sua individualità è stata decisamente riveduta sotto l'impulso di istanze diverse, dettate dalla ricerca storica, dalla semantica, dalla sociologia, dall'antropologia culturale. In polemica con le impostazioni date dai critici precedenti Denis Lionel Page ha rilevato evidenti punti di contatto con l'epos, arrivando alla conclusione che le affermazioni del poeta di Paro sono già implicite nei poemi omerici. Semmai la novità significativa consiste nell’applicazione dei temi tradizionali a persone viventi e non a personaggi leggendari;62 nondimeno, le situazioni e

53 Archil. fr. 196a IEG2 nella struttura e nel lessico rinvia al celebre episodio dell'Inganno di Zeus (Hom. Il. 14, 291-351). Il poliedrico Archiloco non evita il linguaggio crudo neppure quando parla di donne, schernendole spesso per i loro facili costumi. Il poeta non esita a bollarle con graffianti epiteti da postribolo (Archil. frr. 206-209 IEG2), oppure a descriverne nei particolari gli incontri sessuali, come nel fr. 119 IEG2, che è immediatamente preceduto dall'inatteso e sospiroso fr. 118 IEG2. In quei versi l’aggrovigliarsi delle membra durante l’incontro amoroso è icasticamente descritto con una serrata sequenza di poliptòti, al pari delle descrizioni epiche degli scontri frontali delle falangi in battaglia (Hom. Il. 13, 130-131; cfr. Tyrt. 8, 31-33 PETFr). 54 Archil. fr. 191 IEG2: τοῖος γὰρ φιλότητος ἔρως ὑπὸ καρδίην ἐλυσθεὶς | πολλὴν κατ᾿ ἀχλὺν ὀμμάτων ἔχευεν, | κλέψας ἐκ στηθέων ἁπαλὰς φρένας. 55 Hom. Od. 9, 433-435. 56 Cfr. Hom. Il. 20, 321. 57 Archil. fr. 188 IEG2: οὐκέθ᾿ ὁμῶς θάλλεις ἁπαλὸν χρόα· κάρφεται γὰρ ἤδη | ὄγμοις, κακοῦ δὲ γήραος καθαιρεῖ | [χεῖμά σ̓ ,] ἀ̣φ᾿ ἱμ̣ερτοῦ δὲ θορ̣ὼν γλυκὺς ἵμερος π̣[ροσώπου | πέπτη]κ̣εν· ἦ γὰρ πολλὰ δή σ᾿ ἐ̣πῇξ̣εν | [πνεύμ]α̣τα χειμερί̣ων ἀνέμων <μάλα> π̣ο̣λλάκις δέ [. 58 Hom. Od. 13, 430-433. 59 Cfr. Hes. Theog. 94-103. 60 Archil. fr. 1 IEG2: εἰμὶ δ᾿ ἐγὼ θεράπων μὲν Ἐνυαλίοιο ἄνακτος | καὶ Μουσέων ἐρατὸν δῶρον ἐπιστάμενος. Vedi ANTONIO ALONI, Poesia e biografia: Archiloco, la colonizzazione e la storia, «AOFL» IV, 2009, pp. 64-103, in particolare pp. 72 ss.; IDEM, Il dono e i doni degli dèi. Sull'identità poetica di Archiloco, in Tra panellenismo e tradizioni locali, cit., pp. 141-158. 61 FRANCESCO BOSSI, Studi su Archiloco, Bari, Adriatica, 1990, p. 35. 62 DENIS L. PAGE, Archilochus and the Oral Tradition, in Archiloque, «Entretiens sur l'Antiquité Classique», X Genève 1964, pp. 117-169; BERND SEIDENSTICKER, Archilochus and Odysseus, «GRBS» XIX, 1978, pp. 5-22.

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gli avvenimenti descritti non sono necessariamente reali, né i sentimenti espressi sono inevitabilmente quelli personali.63

In ogni caso Archiloco non prescinde dalla poetica euristico-imitativa, che presuppone un’adesione non solo alla mimesi della natura ma anche all'imitazione di modelli letterari noti. Egli si avvalse dell’ampia gamma di proposte offerte dall’epica, a lui ben nota, mutuandone senza risparmio vocaboli, moduli e nessi stilistici, oppure scegliendo immagini di più ampio respiro che meglio potevano conferire magniloquenza alle vicende contemporanee narrate.

Che il poeta di Paro desuma dall’epica lessico, stilemi, immagini per descrivere la realtà nuova del suo tempo,64 è una considerazione già fatta dagli antichi che gli avevano dato l’appellativo di ῾Ομηρικώτατος.65 Tra gli altri Clemente Alessandrino si sofferma a raffrontare versi archilochei con passi dell'Iliade e dell'Odissea per dimostrarne la dipendenza dagli stessi poemi.66 Nelle opere del periodo arcaico si può riconoscere la cosiddetta interdiscorsività,67 che aveva ragioni e statuto propri. Infatti in questa età, caratterizzata dalla song culture,68 i richiami epici erano percepiti dal pubblico sul filo della memoria: il riuso di stilemi era motivato dal fatto che la produzione tradizionale era nota al poeta e al suo pubblico.

Ammirevole in questa prospettiva è il distico, in cui Semonide rielabora verbatim la nota massima antifemminista citata da Esiodo,69 di cui il giambografo, mutando la forma metrica, conserva oltre al lessico anche la struttura antitetica e bipolare.70

Nelle recitazioni simposiali, nelle quali si riunivano persone che avevano maggiori frequentazioni e contatti con il repertorio poetico, l'allusione era colta appieno dagli astanti, ai quali erano ben presenti i moduli espressivi dei rapsodi e dei citarodi. La loro mentalità era abituata a iterazioni, alle quali non davano alcun sovrasenso. La frantumazione di stilemi e formule, il reimpiego di vocaboli rinvianti al registro eroico, avevano la funzione di richiamare l'epos o 63 KENNETH J. DOVER, The Poetry of Archilochus, in Archiloque, cit., pp. 181-222; vedi pure le precisazioni di FRANÇOISE LÉTOUBLON, Archiloque et l' "encyclopédie homérique", «Pallas» LXXVII, 2008, pp. 51-62. 64 Non sono dissimili le considerazioni da farsi sulla produzione elegiaca di Callino, che nel fr. 1 PETFr impiega lingua, dizione e lessico omerici per esprimere i nuovi valori della polis aristocratica. Per i rapporti del poeta con l'epos cfr. GIAN FRANCO GIANOTTI, Alla ricerca di un poeta: Callino di Efeso, in Scritti in onore di A. Ardizzoni, a cura di Enrico Livrea, Aurelio Privitera, Roma, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri, 1978, pp. 403-430. 65 [Longin.] Subl. 13, 3; cfr. Antipater A.P. 11, 20, 5-6; D. Chr. Or. 55, 6. 66 Clem. Al. Strom. 6, 5-7. Tra gli altri versi lo scrittore cristiano cita il fr. 25, 1-2 IEG2 accostandolo a Hom. Od. 14, 228. Però, sappiamo che nel seguito il tono del frammento cambia e, a sorpresa, sulla falsariga del topos della cosa migliore il poeta, al posto dell'elenco dei valori tradizionali unanimemente condivisi, come lascerebbe presupporre la sentenza precedente, fa esplicito cenno a parti anatomiche che rinviano a situazioni erotiche ben precise, svelando brutalmente le predilezioni omoerotiche di alcuni individui (fr. 25, 3-8 IEG2); cfr. EWEN BOWIE, Early Greek Iambic Poetry: The Importance of Narrative, in Iambic Ideas, cit., p. 16. 67 CESARE SEGRE, Intertestuale / interdiscorsivo. Appunti per una fenomenologia delle fonti, in La parola ritrovata. Fonti e analisi letteraria, a cura di Costanzo Di Girolamo, Ivano Paccagnella, Palermo, Sellerio, 1982, pp. 15-28 (= Teatro e romanzo. Due tipi di comunicazione letteraria, Torino; Einaudi, 1984, pp. 103-118). 68 JOHN HERINGTON, Poetry into Drama: Early Tragedy and the Greek Poetic Tradition, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1985, pp. 3-57. 69 Hes. Op. 702-704: οὐ μὲν γάρ τι γυναικὸς ἀνὴρ ληΐζετ̓ ἄμεινον | τῆς ἀγαθῆς, τῆς δ ̓αὖτε κακῆς οὐ ῥίγιον ἄλλο, | δειπνολόχης. 70 Sem. fr. 1 Pell.-Ted.: γυναικὸς οὐδὲν χρῆμ᾿ ἀνὴρ ληΐζεται | ἄμεινον ἐσθλῆς οὐδὲ ῥίγιον κακῆς. Immagini e situazioni epiche sono presenti anche in Sem. fr. 18 Pell.-Ted. In quei tre versi il poeta bolla icasticamente un tale che in un'occasione non ben precisata ha dimostrato un'assoluta mancanza di audacia, descrivendone enfaticamente l'eccessiva paura mediante un paragone iperbolico, che mira a rendere ancora più pungente l'irrisione. Semonide, che ha nella memoria il passo dell'Odissea in cui l'eroe medita sul da farsi in una situazione gravida di insidie (Hom. Od. 5, 470-474), vi innesta la ripresa della similitudine omerica del leone e della pantera, atta a esaltare nel racconto epico l'audacia aggressiva e il terrore che l'eroe incute ai nemici (Hom. Il. 17, 20). Infine il fr. 25 Pell.-Ted. rivela puntuali riscontri con l'episodio in cui Eumeo prepara due porcellini per sé e Odisseo (Od. 14, 74 ss.); nelle operazioni menzionate dal giambografo sono comicamente enfatizzate le vanterie di un cuoco, orgoglioso della propria abilità personale: è la prima attestazione di un cliché che ricorrerà sovente nelle commedie e nei drammi satireschi (cfr. S. fr. 1122 TrGF).

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comunque di allacciarsi al patrimonio poetico: reminiscenze e rievocazioni generiche erano i tratti peculiari del rapportarsi con la tradizione.71

Altro significativo esempio di tale prassi è il carme alcaico in cui è reinterpretata in modo immediato e sensuale la tranquilla rappresentazione esiodea dell'estate.72 Pur ripetendo le medesime espressioni e insistendo sugli stessi particolari realistici, Alceo rinuncia a darle un'impronta descrittiva ampia; anzi, giustapponendo alcune immagini, dà un ritmo incalzante alla composizione in asclepiadei maggiori, con duplice movimento in un crescendo che ha il suo culmine nella parte dedicata all'arsura e all'arida calura canicolare.73

Ciò che noi percepiamo come gioco intertestuale, emulazione o imitazione di modelli, nella cultura arcaica è un naturale processo derivato dalla concezione stessa di creare e comunicare poesia, che implica la riproposizione costante degli stessi contenuti, temi, nessi sintattici e linguistici, sia pure in situazioni concrete diverse e in altri contesti comunicativi. Si comprende così in quell'ottica come possano coesistere identità e diversità, come la creazione poetica originale sia profondamente e intimamente intrecciata con la tradizione. Quello che a noi appare una ripresa intenzionale o un voluto riecheggiamento non è altro che il segnale macroscopico della costante interazione esistente all'interno della produzione poetica che si innestava nella tradizione e di essa si nutriva.74

Avere consapevolezza della dinamica vitalità della poesia greca, insieme alla conoscenza delle specificità dei diversi momenti storici, evita un duplice e opposto rischio: quello di individuare in quelle opere significati assoluti e immutabili riconducendole indebitamente alla moderna sensibilità estetica o alle problematiche che sono soltanto nostre, e quello di leggerle in piena libertà con l’annullamento delle distanze spaziali e temporali, che favorirebbe l’insorgere di un’arbitraria impressione di contemporaneità.75

Lo studio dell’antichità rappresenta un esercizio mentale salutare, se non insegue verità immobili o bellezze eterne, ma se insegna la ‘consapevolezza della differenza’. Gli antichi sono diversi da noi e il peggiore dei modi di usare il mondo antico è illuderci che la natura umana sia immobile, che si ripeta attraverso il tempo e che il nostro compito è quello di contemplare questa identità e ispirarci a essa. Al contrario il più istruttivo dei modi è di insistere sulla differenza: questo è forse il modo che può servire a ciascuno di noi anche come categoria mentale.76

Intendo chiudere ricordando un insegnamento di Bruno Gentili: «Ogni epoca non solo ha letto, ma ha anche prodotto e ri-creato i propri classici nella letteratura, nell'arte, nell'immaginario collettivo. Tuttavia ridurre Saffo e le sue amiche, Omero e i suoi eroi o i personaggi di Euripide a scialbe e non di rado risibili controfigure del presente, li banalizza e li priva di significato, perché riversa su di essi ciò che noi siamo e già sappiamo o crediamo di essere. La vera forza dei classici, come limpidamente argomentato da Friedrich Nietzsche a Italo Calvino, è l'inattualità, quell'alterità che consente loro di essere dentro e fuori i contesti in cui agiscono, in maniera strutturale ma mai del tutto organica, senza un apparente utile immediato».77 71 MASSIMO VETTA, rec. a Maria Grazia Bonanno, L'allusione necessaria. Ricerche intertestuali sulla poesia greca e latina, Roma, Edizione dell'Ateneo, 1990, «RFIC» CXX, 1992, pp. 78-79. 72 Hes. Op. 582-596; cfr. [Hes.] Scut. 393-400. Sulla ripresa del passo esiodeo da parte dei poeti successivi vedi ALEXANDER NIKOLAEV, An Epic Party?, «Philologus» LVIII, 2014, pp. 10-25, in particolare pp. 20-23. 73 Alc. fr. 347 V. Cfr. BRUNO GENTILI, - CARMINE CATENACCI, Polinnia, Messina-Firenze, Casa Editrice G. D'Anna, 20073, pp. 190-191. Una variazione del tema si trova in Sapph. fr. 101A V., mentre in Thgn. 1039-1040 la rielaborazione è ridotta al riferimento dell'astro Sirio. 74 MASSIMO VETTA, rec. a Bruno Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica da Omero al V secolo, Roma-Bari, Laterza, 1984, «RFIC» CXII, 1984, p. 345. 75 GENNARO TEDESCHI, Considerazioni sulla produzione poetica greca in età arcaica e tardo-arcaica, in Traduzione, società e cultura, VIII, Gabriella Di Mauro, Federica Scarpa, Trieste, EUT, 1998, pp. 3-4. 76 LUCIANO CANFORA, Il vincolo degli antichi, «LEC» LXX, 2002, pp. 5-11, ora in Noi e gli antichi, Milano, Il Saggiatore, 2002, pp. 33-41; DANIELA CAVALLO, Lo studio dell'antichità classica. Conversazione con Luciano Canfora (http://identitlterit.files.wordpress.com /2010/02/canfora-studio-mondo-classico.doc). 77 BRUNO GENTILI, La poesia greca, il canone dei lirici e il canone della contemporaneità, in I poeti del canone lirico nella Grecia antica, a cura di Bruno Gentili, Carmine Catenacci, Milano, Feltrinelli, 2010, p. 26.

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Gennaro Tedeschi Dipartimento di Studi Umanistici Università degli Studi di Trieste [email protected]