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 A mia madre,cui è piaciuta la parte del cavallo

 

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Nota dell'autore

 In questo libro le descrizioni fisiche del St Cedd's College, lá dove sono precise, si rifanno ai miei

icordi del St John's College di Cambridge, ma ho attinto indiscriminatamente anche ad altri college.Nella realtá, Sir Isaac Newton era al Trinity College e Samuel Taylor Coleridge allo Jesus.

Fatto sta che il St Cedd's College è una costruzione completamente fittizia e non c'è alcuna

orrispondenza intenzionale fra istituzioni e personaggi di questo libro e loro equivalenti reali, vivi,morti o vaganti nella notte in preda a spettrali tormenti.

Il presente libro è stato scritto e composto con un computer Apple Macintosh Plus e unatampante Laser Writer Plus, con l'aiuto di un elaboratore di testi MacAuthor.

Il documento finito è stato stampato con una Linotron 100 da The Graphic Factory, London SW3,osì da ottenere un'immagine del testo ad alta risoluzione. I miei ringraziamenti a Mike Glover dellacon Technology per l'aiuto dato in tutto ciò.

Infine, desidero rivolgere un ringraziamento tutto particolare a Sue Freestone, per il suoontributo alla nascita di questo libro.

 

 Londra, 1987  Douglas Adams

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Capitolo Uno...

Stavolta non ci sarebbero stati testimoni.Stavolta c'era solo la terra morta, un rombo di tuono e l'inizio di quell'interminabile

ioggerellina da nord-est che sembra accompagnare buona parte degli eventi cruciali di questomondo.

I temporali del giorno prima, di quello prima ancora e le alluvioni della settimana precedente sirano quietati. Il cielo era ancora gonfio di pioggia, ma al calare dell'oscuritá serale cadeva soltantoualche malinconica gocciolina.

Una folata di vento spazzò la pianura che cominciava a imbrunire, vagò fra le collinette e sincanalò sibilando in una stretta valle in cui sorgeva una costruzione, una specie di torre in un incuboi fango, solitaria e pendente.

Era un moncone annerito di torre. Se ne stava piantato li come un'estrusione magmatica di unaelle piú pestilenziali fosse infernali, inclinata con un angolo particolare, come oppressa da qualcosai ben piú terribile del suo peso considerevole. Sembrava una cosa morta, morta da tempi remoti.

L'unico movimento era quello di un fiume di fango che scorreva pigramente in fondo alla valle,ietro la torre. Un paio di chilometri piú in lá, il fiume si buttava in una gola e scompariva sottoerra.

Ma, col calare della sera, si vide che la torre non era completamente deserta. All'interno, daualche parte, c'era una fioca lucina rossa che brillava.

La luce era appena visibile, a parte il fatto che naturalmente, questa volta, non c'era nessuno aedere, nessun testimone, ma comunque quella era una luce. Di tanto in tanto, si faceva un po' piú

orte, un po' piú luminosa poi lentamente tornava ad affievolirsi fin quasi a scomparire.Contemporaneamente, un suono basso e penetrante fluttuava nel vento, saliva lamentoso fino a un

unto culminante poi, anch'esso, svaniva nel silenzio.Passò del tempo, poi apparve un'altra luce, piú piccola, mobile. Sbucò a livello del terreno e si

postò attorno alla torre in un unico movimento a scatto, fermandosi di tanto in tanto nel suoammino circolare. Poi la luce, e la figura immersa nell'ombra che la portava, quasi indistinguibile,vanì di nuovo all'interno. Passò un'ora e alla fine l'oscuritá fu totale. Il mondo sembrava morto, laotte un varco vuoto.

Poi, vicino alla cima della torre, riapparve il bagliore, stavolta con forza e decisione maggiore.Raggiunse rapidamente il picco di luminositá cui era arrivata prima e continuò a crescere, sempre di

iú, di piú. Il suono penetrante che l'accompagnava salì verso un acuto stridente fino a divenire unrlo lamentevole. Urlò e urlò fino a che non diventò un rumore accecante e la luce un rossossordante.

 A un certo punto, entrambi cessarono di colpo. Per un millisecondo, tutto fu oscuritá e silenzio.Dal fondo del fango, sotto la torre, una nuova luce straordinariamente pallida sorse e si gonfiò. Il

ielo si serrò, una montagna di fango ribollì, cielo e terra inveirono l'uno contro l'altra. Tutto diventòi un orribile color rosa, poi improvvisamente verde, aleggiò un arancio che tinse le nubi, poi la lucerecipitò e finalmente la notte fu fonda, spaventosamente nera. A parte il sommesso gocciolareell'acqua, non c'era altro suono.

 Al mattino però il sole sorse con insolito fulgore su un giorno che era, o sembrava, o almenoarebbe sembrato se ci fosse stato qualcuno a cui poter sembrare, piú caldo, piú terso e piúuminoso, insomma un giorno piú smagliante di tutti quelli che si erano visti fino ad allora. Un fiumempido scorreva fra le misere rovine della vallata.

Poi il tempo cominciò a scorrere veramente. 

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Capitolo Due...

In cima a un promontorio roccioso, un Monaco Elettrico se ne stava seduto su un cavallonnoiato. Da sotto il suo cappuccio di lana grezza il Monaco osservava senza battere ciglio un'altraallata, che gli dava qualche problema.

La giornata era calda, il sole splendeva in un cielo vuoto e caliginoso, picchiando sulle pietrerigie e sull'erba rada e secca. Tutto era immobile, compreso il Monaco. Solo la coda del cavallo si

muoveva un po', sventolando leggermente nel tentativo di agitare l'aria, e nient'altro. Per il resto,utto era immobile.

Il Monaco Elettrico era un marchingegno per risparmiare fatica, non diversamente da unaavastoviglie o un videoregistratore. Le lavastoviglie lavano stupidi piatti al posto delle persone,vitando loro il fastidio di doverli lavare, i videoregistratori guardano stupidi programmi al posto

elle persone, evitando loro il fastidio di doverli guardare; i Monaci Elettrici credevano al postoelle persone, evitando loro quello che era diventato un compito sempre piú oneroso, credere autto ciò che il mondo si aspettava che credessero.

Malauguratamente questo Monaco Elettrico aveva sviluppato un difetto, cominciando a credereose di ogni genere, piú o meno casualmente. Ormai cominciava a credere persino cose chevrebbero faticato a credere anche a Salt Lake City. Lui naturalmente non aveva mai sentito parlarei Salt Lake City. Non aveva nemmeno mai sentito parlare del quingilione, pressappoco il numero dihilometri che separavano quella valle dal Great Salt Lake dell'Utah.

Il problema di quella vallata era il seguente. Il Monaco al momento credeva che la valle e tuttoiò che vi stava dentro e attorno, ivi compreso lui stesso e il suo cavallo, fossero di una uniforme

fumatura rosa pallido. Ciò procurava una discreta difficoltá nel distinguere gli oggetti gli uni dagliltri e quindi rendeva impossibile, o quanto meno malagevole e pericoloso, fare qualsiasi cosa ondare ovunque. Di qui l'immobilitá del Monaco e la noia del cavallo, che in vita sua aveva dovutoottostare a parecchie stupidaggini, ma fra sé e sé era convinto che questa fosse una delle piútupide.

Da quanto tempo il Monaco credeva tutto ciò?Be', per quanto riguarda il Monaco, da sempre. La fede che muove le montagne, o almeno le crede

osa contro ogni possibile evidenza, era di quelle solide e tenaci, una grossa roccia contro cui ilmondo poteva scagliare ciò che gli pareva senza scuoterla. In pratica, il cavallo sapeva che in generea sua durata media era piú o meno di ventiquattr'ore.

E allora che dire di questo cavallo, che aveva opinioni sue proprie ed era scettico sulle cose?Comportamento insolito per un cavallo, no? Si trattava forse di un cavallo insolito?

No. Sebbene si trattasse di un esemplare della sua specie indubbiamente bello e robusto, erauttavia un cavallo assolutamente normale, così come le convergenze evolutive ne avevano prodottoei molti posti in cui si ritrova una forma di vita. I cavalli hanno sempre capito molto piú di quantoiano a intendere. Difficilmente si può stare tutto il giorno, tutti i giorni, con qualcuno seduto sopra,n'altra creatura, senza farsene un'opinione.

È invece possibilissimo starsene seduti tutto il giorno, tutti i giorni, sopra un'altra creatura senzaarsene il benché minimo pensiero.

Quando vennero costruiti i primi modelli di questi Monaci, si ritenne importante poterliiconoscere all'istante come oggetti artificiali. Non doveva esserci il minimo rischio chessomigliassero in qualche modo a persone vere. Nessuno vorrebbe che il proprio videoregistratoree ne stesse tutto il giorno sdraiato sul divano a guardare la tv. Nessuno vorrebbe che si mettesse leita nel naso, bevesse birra e mandasse qualcuno a prendergli una pizza.

Così i Monaci vennero costruiti con un occhio all'originalitá della linea, nonché con una praticaapacitá di stare a cavallo. Questo era un aspetto importante. La gente, o comunque le cose,

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 ppaiono piú schiette viste da un cavallo. Si valutò quindi che due gambe fossero piú indicate e piúconomiche dell'abituale rigoglio di diciassette, diciannove o ventitré; ai Monaci venne data unaelle rosea invece che viola, soffice e liscia invece che crestata. Ci si limitò anche a una sola bocca en naso, ma vennero dotati di un occhio supplementare, portando il totale a due. Una creaturaall'aspetto bizzarro, effettivamente. Ma davvero eccellente nel credere le cose piú assurde.

Questo Monaco era andato fuori di testa per la prima volta semplicemente perché gli avevanoato troppe cose da credere in un giorno solo. Per sbaglio era stato collegato a un videoregistratorehe stava guardando undici programmi televisivi contemporaneamente, cosa che gli aveva fattoaltare un gruppo di circuiti logici. Il videoregistratore ovviamente doveva solo guardarli. Non

oveva anche crederci. Ecco perché i manuali di istruzioni sono così importanti.Dopo una tumultuosa settimana in cui aveva creduto che la guerra fosse pace, che il bene fosse

male, che la luna fosse fatta di gorgonzola e che bisognasse mandare a Dio un sacco di soldi pressona certa casella postale, il Monaco cominciò a credere che il trentacinque per cento di tutti i tavoli

osse ermafrodita, dopo di che ebbe un crollo. Il commesso del negozio di Monaci disse cheisognava sostituire tutta la scheda madre, ma poi fece notare che i nuovi modelli migliorati dei

Monaci Plus erano potenti il doppio, avevano un sistema completamente nuovo di Capacitá Negativamultitasking, che consentiva loro di tenere in memoria contemporaneamente fino a sedici idee delutto differenti e contraddittorie senza dar luogo a fastidiosi errori di sistema, erano due volte piúeloci e almeno tre piú disinvolti e che se ne poteva avere uno nuovo di zecca a meno di quanto

arebbe servito per cambiare la scheda madre del vecchio modello.Ecco qua. Fatto.Il Monaco difettoso venne spedito nel deserto, dove poteva credere quello che gli pareva,

ompresa l'idea di essere stato trattato a pesci in faccia. Gli fu consentito di tenersi il cavallo, vistohe fare un cavallo non costava niente.

Per un certo numero di giorni e notti, che lui in momenti diversi credette essere tre, quarantatrécinquecentonovantottomilasettecentotré, vagò nel deserto, riponendo la sua semplice fede

lettrica in pietre, uccelli, nuvole e in un'inesistente forma di asparagi-elefanti, finché alla fine siermò lassú, su quello spuntone di roccia, a contemplare una valle che, nonostante il profondoervore della fede del Monaco, non era rosa. Nemmeno un po'.

Il tempo passava. 

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Capitolo Tre...

Il tempo passava. Susan aspettava.Piú Susan aspettava, meno il campanello suonava. O il telefono. Guardò l'orologio. Pensò che era

ressappoco l'ora in cui poteva legittimamente cominciare a innervosirsi. Naturalmente, nervosa lora giá, ma quello era avvenuto, per così dire, con i suoi tempi. Ormai erano ampiamente nei tempii lui, e anche tenendo conto del traffico, dei contrattempi, di una certa imprecisione e una tendenzal ritardo, l'orario su cui lui aveva insistito, quello che secondo lui non potevano assolutamenteermettersi di lasciar passare e quindi era meglio che si facesse trovare pronta, era trascorso da una

mezz'ora buona.Provò a preoccuparsi che gli fosse capitato qualcosa di terribile, ma non ci credette nemmeno per

n istante. Non gli capitava mai niente di terribile, anche se lei cominciava a pensare che fosse ora,

mannaggia, che gli accadesse qualcosa. Se non gli fosse successo niente di terribile, presto avrebberovveduto lei stessa. Ecco un'idea.

Si buttò nervosamente sulla poltrona e guardò il notiziario alla televisione. Il notiziario lannervosì. Pigiò sul telecomando e per un po' guardò qualcosa su un altro canale. Non sapeva cos'era,

ma anche quello la innervosiva.Magari poteva telefonare. Le venisse un colpo se aveva intenzione di telefonare. Se avesse

elefonato, probabilmente lui l'avrebbe chiamata proprio in quel momento e avrebbe trovatoccupato.

Si rifiutava di ammettere di averci anche solo pensato.Mannaggia a lui, dov'era? Ma poi, chi se ne fregava di dov'era? Lei no, questo era un fatto.

Era la terza volta di fila che gliela faceva. Tre volte di fila potevano bastare. Ancora una voltaambiò canale stizzita. C'era un programma sui computer e alcuni interessanti nuovi sviluppiell'ambito di quello che si poteva fare con i computer e la musica. Basta così. Veramente basta così.apeva di essersi detta che bastava così solo pochi secondi prima, ma adesso, definitivamente,eramente bastava così.

Balzò in piedi e andò al telefono, afferrando rabbiosa la rubrica telefonica. La scorse con gestiruschi e compose un numero.

"Pronto, Michael? Sì, sono Susan. Susan Way. Avevi detto di chiamarti se ero libera stasera e io tivevo risposto che avrei preferito finire stecchita in un fosso, ti ricordi? Be', tutto a un tratto hocoperto di essere libera, assolutamente, completamente e totalmente libera e qui intorno non c'è unosso decente nel raggio di chilometri. Il consiglio che ti posso dare è di fare la tua mossa finché neai la possibilitá. Fra mezz'ora sarò al Tangiers Club."

Si infilò scarpe e soprabito, si fermò un momento ricordandosi che era giovedì e quindi dovevamettere un nastro nuovo, extralungo, nella segreteria telefonica e due minuti dopo era fuori della

orta di casa. Quando finalmente il telefonò suonò, la segreteria telefonica disse garbatamente che almomento Susan Way non poteva andare all'apparecchio, ma che volendo si poteva lasciare unmessaggio e lei avrebbe richiamato il piú presto possibile. Forse.

 

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Capitolo Quattro...

Era una fredda sera di novembre, di quelle di una volta.La luna aveva un'aria pallida ed esangue, come se in una notte del genere non avesse nessunaoglia di starsene alzata. Si levò controvoglia e restò li come un inquieto fantasma. Stagliate controi essa, confuse e offuscate nella bruma che saliva dalle paludi malsane, si ergevano le diverse torri eorrette del St. Cedd, a Cambridge, spettrale profusione di edifici cresciuti nel corso dei secoli, il

medievale accanto al vittoriano, l'Odeon accanto al Tudor. Soltanto sbucando dalla brumaembravano lontanamente appartenere gli uni agli altri.

Fra essi si muovevano veloci alcune figure, affrettandosi da una fioca pozza di luce all'altra,abbrividendo e lasciandosi alle spalle volute di fiato che si raccoglievano nella notte gelida.

Erano le sette. Molte delle figure si dirigevano verso la sala da pranzo del college, che divideva il

rimo Cortile dal Secondo e da cui fuoriusciva riluttante una luce calda. Due sagome sembravanoarticolarmente male assortite. Una era quella di un giovane, alto, sottile e spigoloso; nonostante

osse imbacuccato in un pesante cappotto scuro, camminava come un airone offeso.L'altra era piccola, rotondeggiante e si muoveva con goffa agitazione, come tanti scoiattoli che

ercassero di fuggire da un sacco. Era di un'etá avanzata, ancorché assolutamente indefinibile.escando un numero a caso, probabilmente lui era piú vecchio di così, ma in sostanza era

mpossibile dirlo. Indubbiamente aveva una faccia profondamente segnata dalle rughe e quei pochiapelli che gli uscivano dal berrettino da sci di lana rossa erano radi, bianchi e dimostravano ideerecise sulla propria disponibilitá a lasciarsi pettinare. Anche lui era imbacuccato in un pesanteappotto, sopra cui però indossava una tunica svolazzante, segno della sua unica e peculiare carica

ccademica.Mentre camminavano, il peso della conversazione era sostenuto dall'uomo piú anziano. Strada

acendo indicava i punti piú notevoli, anche se era troppo buio perché li si potesse discernere. Iliovane continuava a dire: "Ah, sì?" o: "Davvero? Molto interessante..." o: "Bene, bene, bene", o:Santo cielo", scuotendo la testa con aria seria.

Non entrarono dall'ingresso principale del salone, ma da un piccolo passaggio sul lato est delortile. Si arrivava così alla Sala della Lega Anziani e a un'anticamera buia dove i Membri interni delollege sostavano a darsi pacche sulle mani e fare "brrrr" prima di accedere alla Tavola Altattraverso l 'ingresso loro riservato. Erano in ritardo e si sfilarono in fretta i cappotti. Per l'anziano laosa era complicata dalla necessitá prima di tutto di togliersi la tunica professorale per poiimettersela una volta levatosi il cappotto, di cacciare il berretto nella tasca del cappotto, chiedersiove avesse messo la sciarpa, accorgersi di non averla portata, frugare nella tasca del cappotto inerca del fazzoletto, frugare nell'altra in cerca degli occhiali e infine del tutto inopinatamenterovarli entrambi avvolti nella sciarpa che evidentemente aveva effettivamente preso con sé ma noni era messo addosso nonostante il vento amaro e umido come l'alito di una strega che soffiava dallealudi.

Sospinse il giovane davanti a sé nel salone e i due occuparono gli ultimi posti liberi alla TavolaAlta, sfidando un'ondata di fronti aggrottate e sopracciglia alzate per l'interruzione alingraziamento in latino.

Quella sera il salone era pieno. Durante i mesi piú freddi, gli studenti lo preferivano. Insolito eranvece che il salone fosse illuminato dalle candele, come ormai accadeva soltanto in pochissimeccasioni particolari. Due lunghi tavoli affollati si distendevano nella penombra. Alla luce delleandele, le facce delle persone erano piú vivaci, i sussurri delle voci, il tintinnio delle posate e deiicchieri sembravano piú eccitanti e nei recessi oscuri della grande sala pareva di avvertire laresenza contemporanea di tutti i secoli della sua esistenza. In fondo, la Tavola Alta, rialzata di unarentina di centimetri, formava un braccio della croce. Poiché quella sera c'erano ospiti, la tavola era

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 tata apparecchiata da ambedue i lati in modo da sistemare le persone in piú, così che molti convitatiavano le spalle al resto del salone.

"E allora, giovane MacDuff," disse il professore non appena si fu seduto ed ebbe spiegato ilroprio tovagliolo, "che piacere rivederti, mio caro amico. Sono felice che tu abbia potuto venire.

Non ho idea del motivo di tutto ciò," soggiunse poi girando per la sala uno sguardo sbigottito.Candele, argenteria e tutto quanto. In genere significa una cena speciale in onore di qualcuno oualcosa di cui nessuno ricorda niente, se non che vuole dire cibo migliore per una sera."

Si fermò a pensare per un momento, poi disse: "È strano, non trovi, che la qualitá del cibo debbassere inversamente proporzionale alla quantitá di luce. C'è da chiedersi a quali vette culinarie i

uochi potrebbero arrivare se li si confinasse in un'oscuritá perpetua. Credo che potrebbe valere laena di fare una prova. Nel college ci sono ottime cantine che si potrebbero usare allo scopo. Credoi avertici fatto fare un giro una volta, no? Bellissime opere in muratura".

Tutto ciò procurò al suo ospite un certo sollievo. Era il primo accenno che l'anziano cattedraticovesse un vago ricordo di chi egli fosse. Il professor Urban Chronotis, Regio Docente di Cronologia, oReg", come insisteva a farsi chiamare, aveva una memoria che una volta lui stesso aveva paragonatolla farfalla Regina Alexandra Birdwing che, ricca di colore, volteggiava graziosamente qua e lá edra ormai purtroppo quasi completamente estinta.

Pochi giorni prima, quando gli aveva telefonato per invitarlo, era sembrato estremamentensioso di incontrare il suo ex allievo, eppure quella sera, all'arrivo di Richard (un po' in ritardo, è

ero) il professore aveva spalancato la porta apparentemente adirato, si era bloccato stupito nelederlo, si era informato se non avesse problemi emotivi, reagendo con fastidio nel sentirsiicordare gentilmente che erano ormai trascorsi dieci anni da quando era stato l'insegnante diollege di Richard e infine aveva riconosciuto che Richard era lì per la cena; dopo di che il professoreveva cominciato a parlare rapidamente e con profusione sulla storia architettonica del college,egno sicuro che la sua mente era completamente distratta.

In realtá, "Reg" non era mai stato insegnante di Richard, ma solo il suo tutor al college, il che inoche parole significava che era responsabile della sua situazione in generale, gli ricordava la dataegli esami, lo ammoniva di non prendere droghe e così via. Per la veritá, non era del tutto chiaro se

Reg avesse mai insegnato a qualcuno e, nel caso, cosa avesse insegnato. La sua docenza era piuttostoscura e dato che limitava le lezioni cui era tenuto alla semplice e venerabile tecnica di presentare aiuoi potenziali studenti una lista esaustiva di libri che sapeva per certo non essere piú in stampa darent'anni, salvo poi sollevare un pandemonio quando loro non li trovavano, nessuno aveva maicoperto la natura precisa della sua disciplina accademica. Molto tempo prima naturalmente avevareso la precauzione di rimuovere dalle biblioteche dell'universitá e del college le sole copiesistenti dei libri indicati nelle sue bibliografie, per cui aveva tutto il tempo per fare ciò che faceva,ualunque cosa fosse.

Poiché Richard era sempre riuscito ad andare ragionevolmente d'accordo con quel vecchiouonato, un giorno aveva preso il coraggio a due mani e gli aveva chiesto che cosa fosse, di preciso, la

Regia Docenza di Cronologia. Era una di quelle lievi giornate estive in cui il mondo sembra scoppiarei piacere per il semplice fatto di esistere e mentre camminavano sul ponte dove il fiume Camivideva le parti vecchie del college da quelle piú recenti Reg era di umore insolitamente affabile.

"Una sinecura, mio caro amico, una sinecura bella e buona", aveva risposto raggiante. "Unaiccola quantitá di denaro per una piccolissima, diciamo pure inesistente, quantitá di lavoro. Ciò mionsente di avere sempre i piedi al caldo, che è una condizione confortevole ancorché frugale perassare la vita. Te la raccomando." Si sporse dal parapetto del ponte e cominciò a indicare un certo

mattone che trovava interessante."Ma che genere di studio dovrebbe essere?" aveva insistito Richard. "Storia? Fisica? Filosofia?

Che cos'è?"

"Be'," disse Reg lentamente, "se proprio ti interessa, la cattedra originariamente fu istituita dal reGiorgio III che, come saprai, nutriva un buon numero di idee divertenti, fra cui la convinzione che

no degli alberi del Grande Parco di Windsor fosse in realtá Federico il Grande.Fu una sua istituzione, da cui il nome 'Regius'. Anche l'idea era sua, il che è assai piú insolito."I raggi del sole giocavano sul fiume Cam. Nei barchini, le persone si urlavano allegramente a

icenda di andare a fare in culo. Emaciati studiosi di scienze naturali che avevano passato mesi 

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  ,uce. Le coppie che passeggiavano sulla riva erano talmente eccitate dalla generale bellezza che leircondava da essere costrette a rifugiarsi in casa per un'oretta.

"Quel povero ragazzo tormentato," proseguì Reg, "Giorgio III, dico, era, come tu sai, ossessionatoal tempo. Riempì il palazzo di orologi. Li caricava continuamente. A volte si svegliava nel cuoreella notte e se ne andava in giro per il palazzo in camicia da notte a caricare orologi. Voleva essereicuro che il tempo andasse avanti, capisci. In vita sua gli erano successe così tante cose tremende davere il terrore che gliene ricapitasse qualcuna, se il tempo avesse potuto tornare indietro ancheolo per un momento. Timore comprensibilissimo, soprattutto se si è matti furiosi come, mi duoleoverlo dire, con tutta la simpatia per quel poveretto, lui indubbiamente era. Fu lui a nominarmi, o

meglio, dovrei dire, a nominare la mia carica, questa docenza, mi capisci, il posto che oggi mi onoroi occupare... dov'ero rimasto? Ah, giá. Lui istituì questa, ehm, cattedra di Cronologia per capire se ci

osse qualche ragione particolare per cui le cose succedono una dopo l'altra e se c'era modo diermare questa progressione. Dato che le risposte alle tre domande, come io capii immediatamente,rano sì, no e forse, mi resi conto di poter anche lasciar perdere il resto della mia carriera."

"E i suoi predecessori?""Ehm, erano pressappoco dello stesso avviso.""Ma chi erano?""Chi erano? Be', persone splendide naturalmente, splendide dalla prima all'ultima. Un giorno o

altro ricordami di parlartene. Vedi quel mattone? Una volta Wordsworth si sentì male su quelmattone. Grand'uomo."Tutto ciò era avvenuto circa dieci anni prima.Richard lanciò uno sguardo attorno alla grande sala da pranzo per vedere cos'era cambiato nel

rattempo e la risposta naturalmente fu: assolutamente nulla. In alto, immersi nel buio, appenaisibili alla luce tremolante delle candele, c'erano gli spettrali ritratti di primi ministri, arcivescovi,iformatori politici e poeti, ognuno dei quali, a suo tempo, probabilmente si era sentito male suuello stesso mattone.

"Bene," disse Reg con un forte sussurro confidenziale, come se stesse per mettersi a parlare diiercing ai capezzoli in un convento di monache, "ho sentito dire che da un certo punto in poi te la

ei passata bene, no?""Ehm, giá, bene, infatti," rispose Richard, sorpreso della cosa quanto gli altri, "sì, è così."Parecchi sguardi attorno al tavolo si appuntarono su di lui. "Computer," sentì poco piú in lá che

ualcuno mormorava in tono sprezzante a un vicino. Gli sguardi attenti tornarono a rilassarsi e siolsero altrove.

"Ottimo," disse Reg. "Sono proprio contento per te, proprio contento.""Dimmi," continuò poi, giusto un attimo prima che Richard si rendesse conto che il professore

on stava piú parlando con lui, ma si era girato verso destra e si rivolgeva al suo vicino dalla partepposta, "che significa tutta questa, questa" fece un vago gesto con la mano in direzione deiandelieri e dell'argenteria del college, "...roba?"

Il suo vicino, un personaggio anziano e avvizzito, si voltò molto lentamente e lo guardò come seosse piuttosto seccato di essere richiamato nel mondo dei vivi in quel modo.

"Coleridge," disse con una vocina rauca, "è la cena per Coleridge, vecchio pazzo." Poi tornò airarsi molto lentamente, fino a riacquistare la sua posizione. Si chiamava Cawley, insegnava

Archeologia e Antropologia, e spesso si diceva di lui, alle sue spalle, che non lo considerasse tanto unerio impegno accademico, quanto una possibilitá di rivivere la propria infanzia.

"Ah, è così," mormorò Reg. "È così?" e tornò a voltarsi verso Richard. "È la cena per Coleridge,"isse con aria sagace. "Coleridge è stato un alunno del college, sai," aggiunse dopo un mo mento.Coleridge. Samuel Taylor. Poeta. Spero che tu ne abbia sentito parlare. Questa è la sua cena. Be',on in senso letterale, naturalmente. A quest'ora sarebbe fredda." Silenzio. "Dai, prendi un po' di

ale.""Ehm, la ringrazio. Credo che aspetterò," disse Richard sorpreso. In tavola non c'era ancora

essuna pietanza."Andiamo, prendilo," insistette il professore, porgendogli la pesante saliera d'argento.Richard sbatté le palpebre confuso, ma alzando le spalle dentro di sé allungò la mano per

renderla. Nell'istante però in cui aveva battuto le palpebre, la saliera era svanita nel nulla.

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  ."Buona questa, eh?" disse Reg recuperando la boccetta scomparsa da dietro l'orecchio del suo

adaverico vicino di destra e suscitando una risatina stranamente fanciullesca e femminile daualche parte del tavolo. Reg rise sbarazzino. "Un'abitudine molto irritante, lo so. È fra le prime cheoglio perdere, subito dopo le sigarette e le sanguisughe."

Bene, ecco un'altra cosa che non era cambiata. C'è chi si mette le dita nel naso, altri che'abitudine picchiano le vecchiette per strada. Il vizio di Reg era di quelli innocui, per quantoingolare: una tendenza ai giochetti di prestigio da bambini. Richard ricordava la prima volta che erandato a trovare Reg con un problema; si trattava soltanto della normale Angst che periodicamente

fferra nelle sue grinfie gli studenti, soprattutto quando devono scrivere una tesi, ma al momentoembrava un peso oscuro e disumano. Reg era rimasto seduto ad ascoltare il suo sfogo conn'espressione di intensa concentrazione e quando finalmente Richard ebbe terminato, dopo averiflettuto seriamente, si era strofinato a lungo il mento e infine si era chinato in avanti guardandoloegli occhi.

"Sospetto che il tuo problema," disse, "sia che hai troppe graffette dentro al naso."Richard lo fissò."Lascia che te lo dimostri," disse Reg e protendendosi dall'altra parte del tavolo estrasse dal naso

i Richard una catena di undici graffette e un piccolo cigno di gomma."Ah, ecco qui il vero colpevole," disse sollevando il cigno. "Arrivano nelle scatole di cereali e

rovocano guai a non finire. Bene, sono contento della nostra piccola chiacchierata, mio caro amico.Ti prego di non farti problemi a disturbarmi nuovamente se dovessi avere altri fastidi del genere."Inutile a dirsi, Richard non ne ebbe piú.Richard passò lo sguardo attorno alla tavola per vedere se riconosceva qualche altro membro del

ollege dei suoi tempi. Due posti piú in lá a sinistra c'era il professore che era stato il Direttore deglitudi Inglesi di Richard, il quale non dette alcun segno di riconoscerlo. La cosa non era affattotrana, visto che Richard aveva passato i suoi tre anni lì a cercare assiduamente di evitarlo, spessorrivando al punto di farsi crescere la barba e fingere di essere un altro.

Di fianco a lui c'era un tale che Richard non era mai riuscito a inquadrare. Come d'altra parte non'era riuscito nessun altro. Era magro e simile a un criceto e aveva un naso straordinariamente lungo

ossuto; anzi, lunghissimo e ossutissimo. In realtá, somigliava alla discussa chiglia che nel 1983veva consentito agli australiani di vincere la Coppa America, somiglianza su cui all'epoca si era

molto insistito, anche se naturalmente non davanti a lui. Nessuno aveva mai detto niente davanti aui.

Nessuno.Mai.Tutti quelli che lo incontravano per la prima volta erano troppo sorpresi e imbarazzati dal suo

aso per parlare; la seconda volta poi era peggio per via della prima, e così via. Gli anni ormai eranoassati, diciassette complessivamente. In tutto quel tempo, lui se n'era rimasto imbozzolato nelilenzio. I camerieri del college avevano preso da un pezzo l'abitudine di mettergli due diverse

aliere, con pepe e senape, a destra e a sinistra, perché nessuno gli avrebbe mai chiesto di passargliualcosa. Chiedere poi a qualcuno di sedersi di fronte a lui sarebbe stato non solo poco gentile, manche assolutamente impossibile con quel naso di mezzo.

L'altra cosa bizzarra in lui era una serie di gesti che faceva e ripeteva regolarmente per tutta laera. Consistevano nel picchiettare ognuna delle dita della mano sinistra in ordine e quindi una delleita della mano destra. A volte poi, di tanto in tanto, picchiettava anche qualche altra parte delorpo, una nocca, un gomito o un ginocchio. Quando doveva smettere per mangiare, attaccava inompenso a sbattere gli occhi e talvolta annuiva. Ovviamente, nessuno gli aveva mai chiesto perchéo facesse, anche se tutti si rodevano dalla curiositá.

Richard non riusciva a vedere chi c'era seduto dopo di lui. Dall'altra parte, dopo il cadavericoicino di Reg, c'era Watkin, il professore di materie classiche, un uomo di una magrezza e di unatranezza terrificanti. Gli spessi occhiali senza montatura erano quasi cubi solidi di vetro, al cuinterno sembrava che i suoi occhi conducessero un'esistenza indipendente, come due ciprini. Il nasora abbastanza dritto e normale, ma al di sotto spuntava una barba identica a quella di Clint

Eastwood. Gli occhi vagavano come nuotando intorno alla tavola, mentre lui sceglieva la persona aui avrebbe parlato quella sera. Aveva creduto che la sua preda potesse essere uno degli ospiti, il

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apo di Radio Tre nominato di recente, che gli sedeva di fronte, ma purtroppo era giá finito fra lepire del direttore di musica del college e di un professore di filosofia. I due si stavano affannando apiegare al pover'uomo esausto che la frase "troppo Mozart", data ogni ragionevole definizione diuelle due parole, era un'espressione assolutamente contraddittoria in sé, e che qualunque discorsoontenente una frase simile ne veniva inficiato e di conseguenza non poteva proporsi come parte din'argomentazione a sostegno di qualsivoglia strategia di programmazione. L'infelice aveva giáominciato a stringere con troppa forza le posate. I suoi occhi saettavano qua e lá disperatamente inerca di soccorso e fece l'errore di posarli su Watkin.

"Buonasera," disse Watkin con un sorriso affascinante, muovendo il capo nel piú amichevole dei

modi, dopo di che lasciò che il proprio sguardo vitreo si posasse sulla scodella di minestra appenarrivata, posizione dalla quale non l'avrebbe mosso per nulla al mondo. Non ancora. Lasciamolooffrire un po', quel gaglioffo. Voleva che il salvataggio gli fruttasse almeno una buona mezza dozzinai tributi in discorsi alla radio.

Oltre Watkin, Richard scoprì improvvisamente la fonte del chiocciare da ragazzina che avevaalutato il giochetto di prestigio di Reg. Cosa piuttosto sorprendente, era una ragazzina. Aveva circatto anni, i capelli biondi e un'aria triste. Se ne stava seduta e di tanto in tanto tirava calci stizzosilla gamba del tavolo. "Chi è quella?" chiese Richard stupito a Reg.

"Chi è cosa?" chiese Reg stupito a Richard.Richard tese un dito di nascosto dalla sua parte. "La ragazza," sussurrò, "quella ragazzina piccola

iccola. È qualche nuova professoressa di matematica?"Reg si allungò a guardarla. "Sai," disse sbalordito, "non ne ho la minima idea. Mai saputo niente

i simile. Straordinario."In quel momento a risolvere il problema intervenne l'uomo della BBC, che improvvisamente si

vincolò dal placcaggio dialettico in cui lo avevano stretto i suoi vicini e disse alla ragazzina diiantarla di tirare calci al tavolo. Lei smise di dare calci al tavolo e cominciò invece a dare calcill'aria con rinnovato vigore. Lui le disse di fare uno sforzo per divertirsi e lei allora gli allungò unalcio. Ciò introdusse un fugace barlume di piacere nella sua triste serata, ma non durò a lungo. Iladre fece partecipe la tavolata in generale di ciò che pensava delle baby-sitter che piantano in asso

a gente, ma nessuno si sentì in grado di affrontare l'argomento."È chiarissimo," riprese il direttore di musica, "che stiamo aspettando da troppo tempo

n'importante stagione di Buxtehude. Sono certo che lei non vede l'ora di porre rimedio a questaituazione alla prima opportunitá."

"Oh, be', sì," rispose il padre della ragazzina rovesciando la propria minestra. "Ehm, cioè... non èo stesso che Gluck, no?" La ragazzina tirò un altro calcio alla gamba del tavolo. Quando il padre laissò con severitá, lei piegò la testa di lato e gli chiese qualcosa a fior di labbra.

"Non ora," la redarguì lui piú sommessamente che poté."E quando allora?""Dopo. Forse. Dopo vedremo."

Lei si inarcò stizzita contro lo schienale della sedia. "Tu dici sempre dopo," gli sillabò senzaarlare."Povera ragazzina," disse Reg. "In tutta la tavola non c'è un solo insegnante che dentro di sé non

i stia comportando esattamente così. Ah, grazie." Era arrivata la minestra, distraendo la suattenzione e quella di Richard.

"E dimmi un po'," fece Reg, dopo che entrambi avevano assaggiato un paio di cucchiaiate,rrivando ognuno per conto proprio alla medesima conclusione, e cioè che non era un'esplosione diusto, "di che cosa ti stai occupando, mio caro ragazzo? Qualcosa che ha a che fare con i computer,

mi dicono, e anche con la musica. Credevo che qui avessi studiato inglese, anche se, me ne rendoonto, solo nel tempo libero." Scoccò un'occhiata significativa a Richard da sopra il bordo del

ucchiaio di minestra. "Aspetta un momento," lo interruppe prima che Richard avesse anche solona possibilitá di cominciare, "mi sembra vagamente di ricordare che quando eri qui avessi unapecie di computer. Quand'era? Nel 1977?"

"Be', quello che nel 1977 chiamavamo computer in realtá era una specie di abaco elettrico, ma...""Be', be', non sottovalutare l'abaco," disse Reg. "In mani esperte è uno strumento di calcolo molto

ofisticato. Inoltre, non ha bisogno di elettricitá, può essere fatto di qualsiasi materiale si abbiaotto mano e non va mai in tilt nel bel mezzo di una parte importante di lavoro."

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 "Dunque un abaco elettrico sarebbe particolarmente inutile," disse Richard."Ammettiamolo," concesse Reg."In effetti, quella macchina non faceva molto di piú di quello che si poteva fare da soli in metá del

empo e con molti meno problemi," disse Richard, "ma d'altra parte svolgeva in maniera eccellente iluolo di allievo tardo e poco dotato."

Reg lo guardò perplesso."Non avevo mai pensato che li si ritenesse troppo pochi," disse. "Potrei colpirne una dozzina con

n panino da dove sono seduto. ""Non ne dubito. Ma provi a pensarla così. Qual è lo scopo vero nel cercare di insegnare qualcosa a

ualcuno?"Sembrò che la domanda suscitasse un mormorio d'approvazione da un capo all'altro della tavola."Quello che voglio dire," continuò Richard, "è che quando si vuole capire per davvero qualcosa, il

metodo migliore è quello di provare a spiegarla a qualcun altro. Ci si costringe così a chiarirselaella propria mente. Ma piú l'allievo è tardo e poco dotato, piú bisogna frammentare le cose in ideeia via piú semplici. È questa la vera essenza del lavoro di programmazione. Una volta che si siarrivati a districare un'idea complicata in passi così piccoli da permettere anche a una stupida

macchina di affrontarla, si è sicuramente imparato qualcosa su di sé. In genere, l'insegnante imparaiú dell'allievo. Non è forse vero?"

"Sarebbe difficile imparare molto meno dei miei allievi," si sentì brontolare da qualche parte delavolo, "senza prima sottoporsi a una lobotomia anterofrontale."

"Così, per scrivere testi che avrei potuto terminare in un paio d'ore con una macchina percrivere passavo giornate intere a lottare con quella macchina da 16K, ma quello che trovavoffascinante era il lavoro di tentare di spiegare alla macchina cosa volevo che facesse. In pratica mieci un mio elaboratore di testi in BASIC. Una semplice procedura di ricerca e sostituzioneichiedeva circa tre ore."

"Non me lo ricordo piú, ma sei mai riuscito a portare a termine uno scritto?""Be', non esattamente. Non veri saggi, ma le ragioni per cui non lo feci erano assolutamente

nteressanti. Per esempio, scoprii che..."

Si interruppe di colpo, ridendo di se medesimo."Fra l'altro, naturalmente suonavo le tastiere in un gruppo rock," aggiunse. "Il che non era certo'aiuto."

"Toh, questa non la sapevo," disse Reg. "Il tuo passato ha zone piú oscure di quanto non mi sareimai sognato. Caratteristica, direi, che lo accomuna a questa minestra." Si pulì con grande cura la

occa nel tovagliolo. "Un giorno di questi devo andare a fare due chiacchiere con il personale diucina. Vorrei essere sicuro che usino i pezzi giusti e buttino via quelli che vanno buttati via.

Dunque. Un gruppo rock, dicevi. Bene, bene, bene. Santo cielo." "giá," disse Richard. "Ci chiamavamol Complesso Ragionevolmente Buono, ma in realtá non lo eravamo affatto. Nelle nostre intenzioni,ovevamo essere i Beatles dei primi anni ottanta, ma avevamo consiglieri economici e legali molto

migliori di quelli che ebbero i Beatles, che in poche parole ci dicevano: 'Inutile che facciate tantaatica' e noi rinunciammo. Lasciai Cambridge e feci la fame per tre anni.""Ma non fu in quel periodo," disse Reg, "che ci capitò di incontrarci e tu mi dicesti che te la

assavi bene?""Come spazzino, sì. C'era una quantitá terrificante di rifiuti per le strade. Piú che a sufficienza,

ensavo io, per una carriera intera. Comunque, mi silurarono perché scopavo i rifiuti nella zona din altro spazzino."

Reg scosse la testa. "Una carriera che non faceva per te, ne sono certo. Ci sono tantissimi mestierin cui un atteggiamento simile assicurerebbe un rapido avanzamento."

"Ne provai qualcuno, anche se mai molto piú importanti. E non ne conservai nessuno a lungo,

erché ero sempre troppo stanco per farli come si deve. Mi facevo trovare addormentato distesoulle gabbie dei polli o sui cassonetti della spazzatura, a seconda del lavoro. Stavo su tutta la notte alomputer, capisce, a insegnargli a giocare a Tre gattini ciechi, Per me era un obiettivo importante."

"Ne sono certo," convenne Reg. "Grazie," disse poi rivolto al cameriere del college che gli portavaia il piatto di minestra mezzo pieno, "grazie mille. Tre gattini ciechi, eh? Bene. Bene. Così, senzaubbio alla fine ci sei riuscito, il che spiega la tua onorevole condizione attuale. È così?"

" ' ' ' "

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, ."Me lo sentivo che doveva esserci. Peccato però che non te lo sia portato dietro. Avrebbe potuto

llietare la povera signorina che al momento si vede imporre la nostra tediosa e poco garbataompagnia. Una rapida apparizione dei Tre gattini ciechi probabilmente farebbe miracoli sul suomore." Si chinò in avanti per sbirciare, al di lá dei suoi due vicini di destra, la ragazzina, cheontinuava a dimenarsi sulla sedia.

"Ciao," le disse.Lei alzò lo sguardo stupita, poi abbassò gli occhi timidamente, riprendendo a far dondolare le

ambe."Cosa ti sembra peggio," si informò Reg, "la minestra o la compagnia?"Lei fece una risatina controvoglia e si strinse nelle spalle, continuando a guardare in basso."Credo che tu sia saggia a non comprometterti in questa fase," continuò Reg. "Per quanto mi

iguarda, aspetto di vedere le carote prima di emettere un verdetto. Le stanno facendo bollire daline settimana, ma temo che non sia abbastanza. L'unica cosa che potrebbe rivelarsi peggiore dellearote è Watkin. È quel tipo con quegli stupidi occhiali seduto fra noi due. Il mio nome è Reg, fraaltro. Vieni pure a darmi un calcio, quando hai un momento di tempo."

La ragazzina ridacchiò e sbirciò di sotto in su Watkin, che si irrigidì e fece un tentativoerribilmente mal riuscito di ridere allegramente.

"Bene, ragazzina," le disse goffamente e lei dovette disperatamente respingere uno scoppio di risa

lla vista dei suoi occhiali. Non ne nacque una grande conversazione, ma la piccola aveva trovato unlleato e cominciava a divertirsi un pochino. Il padre le scoccò un sorriso di sollievo.Reg tornò a girarsi verso Richard, che gli chiese bruscamente: "Lei ha famiglia?""Ehm... no," rispose Reg sottovoce. "Ma dimmi. Dopo I tre gattini ciechi, cos'è successo?""Insomma, per far breve una storia lunga, Reg, sono finito a lavorare per la WayForward

Technologies...""Ah, sì, il famoso signor Way. Di' un po', com'è lui?" Richard era sempre leggermente infastidito

a questa domanda, probabilmente perché gliela facevano troppo spesso. "Meglio e peggio di comeo rappresenta la stampa. A me veramente piace parecchio. Come tutte le persone ispirate, a volteuò essere piuttosto difficile, ma io lo conosco fin dai primissimi tempi della ditta, quando sia il suo

he il mio nome non valevano una cicca. È in gamba. L'unica cosa è che è meglio non dargli il proprioumero di telefono finché non si è in possesso di una segreteria telefonica di tipo industriale.""Cosa? Come mai?""Be', è una di quelle persone che riescono a pensare solo mentre parlano. Quando ha un'idea, deve

sporla a chiunque sia disposto ad ascoltarlo. Oppure, quando le persone non sono disponibili, cosahe succede sempre piú spesso, va benissimo anche la loro segreteria telefonica. Lui semplicementeelefona e parla. Ha una segretaria il cui unico compito è quello di andare in giro a prendere leassette dalla gente a cui probabilmente ha telefonato, trascriverle, ordinarle e fornirgli il giornoopo il testo sistemato in una cartelletta blu."

"Blu, eh?"

"Non mi chieda perché non si limita a usare un registratore," disse Richard con un'alzata dipalle.

Reg rifletté sulla cosa. "Immagino che non usi un registratore perché non gli piace parlare a setesso," disse. "C'è una logica in questo. A suo modo."

Mangiò un boccone del porc au poivre appena arrivato e lo ruminò per un po' prima di posareelicatamente per un istante coltello e forchetta.

"E quindi," disse alla fine, "qual è il ruolo del giovane MacDuff in tutto ciò?""Be', Gordon mi incaricò di elaborare una grossa parte di programma per la Apple Macintosh.

rospetti economici, contabilitá, cose del genere, potente, facile da usare, parecchia grafica. Glihiesi che cosa voleva esattamente che ci mettessi, ma lui mi rispose soltanto: 'Tutto. Per quella

macchina voglio il massimo del software commerciale, che canti e che balli'. E avendo una testaeggermente bizzarra, io lo presi alla lettera.

 Vede, un modello numerico può rappresentare qualsiasi cosa si voglia, può essere utilizzato perracciare la mappa di una superficie o per regolare un qualunque processo dinamico, e così via. Eualsiasi gruppo di conti aziendali è, in ultima analisi, un modello numerico. Così io mi misi a sederefeci un programma che prendesse quei numeri e ne facesse ciò che si desiderava. Se si vuole

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o an o un s ogramma, r uce a s ogramma, se s vuo e ve ere so o orma a e a a or a oi diagramma di dispersione ne fa una tabella a torta o un diagramma di dispersione. Se si vuole chealla tabella a torta saltino fuori delle ragazze che ballano, per distrarre l'attenzione dai datiffettivamente rappresentati, il programma può fare anche quello. Oppure, per esempio, si possonorasformare i dati in uno stormo di gabbiani, in cui la formazione di volo e il modo in cui battono leli di ciascun gabbiano sono determinati dalla resa dei vari settori della ditta. Ottimo per produrreogos aziendali animati, che però significano qualcosa.

Ma la caratteristica piú stupida di tutte era che, se lo si voleva, si poteva fare in modo che i contiella ditta venissero rappresentati da un brano musicale. Almeno, io pensavo che fosse stupida. Il

mondo aziendale ci andava pazzo."Reg lo guardò solennemente da sopra un pezzo di carota in precario equilibrio sulla forchettalzata davanti a sé, ma non lo interruppe.

"Vede, ogni aspetto di un brano musicale può essere espresso come una sequenza o un modelloumerico," si accalorò Richard. "I numeri possono esprimere l'altezza delle note, la lunghezza delleote, modelli di altezza e di lunghezza..."

"Vuoi dire il motivo," fece Reg. La carota non si era ancora mossa.Richard sorrise."Motivo sarebbe un ottimo termine in questo caso. Devo ricordarmelo.""Ti aiuterá a esprimerti con maggiore facilitá." Reg rimise la carota nel piatto, senza averla

ssaggiata. "E alla fine, questo software andò bene?" chiese."Qui da noi non molto. I rendiconti annuali di quasi tutte le aziende britanniche producevanouoni che sembravano la Marcia Funebre del Saul, ma in Giappone ci si buttarono sopra come unranco di topi. Ne venne fuori una serie di allegri inni aziendali che partivano bene ma, dovendo farena critica, probabilmente si sarebbe dovuto dire che nel finale tendevano a diventare un po' forti etriduli. Da un punto di vista commerciale, negli Stati Uniti, che era la cosa principale, fu un affarepettacolare. Ma ciò che mi interessa di piú al momento è cosa succede se si lascia perdere laontabilitá. Trasformare i numeri che rappresentano il battito d'ala di una rondine direttamente in

musica. Che cosa si sentirebbe? Secondo Gordon, certamente non il suono dei registratori di cassa.""Affascinante," disse Reg, "davvero affascinante," e finalmente introdusse la carota in bocca. Poi

i girò e si sporse in avanti per parlare alla sua nuova amichetta."Watkin ha perso," annunciò. "Le carote hanno raggiunto un nuovo minimo storico. Mi spiace,

Watkin, ma per quanto tu sia terribile, temo che le carote siano a livelli mondiali."La ragazzina rise piú liberamente della volta prima e gli fece un sorriso. Watkin stava provando a

rendere tutto ciò con spirito, ma mentre i suoi occhi fluttuavano fino a Reg era evidente che erabituato a spiazzare piú che a essere spiazzato.

"Papá, per favore, ora posso?" Con la sicurezza, sia pur tenue, appena acquisita, la piccola avevarovato anche la voce. "Dopo," insistette il padre.

"Ma ora è giá dopo. Ho guardato l'orologio.""Be'..." Ebbe un'esitazione e fu perduto."Siamo stati in Grecia," annunciò la ragazzina con voce esile ma reverenziale."Ah, sì?" disse Watkin con un lieve cenno del capo. "Bene, bene. In qualche posto in particolare o

n Grecia in generale?""Patmos," disse lei con decisione. "Era bella. Secondo me, Patmos è il posto piú bello di tutto il

mondo. A parte il fatto che il traghetto non arrivava mai quando doveva. Mai, mai. Io guardavoorologio. Abbiamo perso l'aereo, ma a me non importava."

"Ah, Patmos, sì, sì," disse Watkin, chiaramente interessato dalla notizia. "Bene, quello che tu deviapire, signorina, è che i greci, non contenti di aver dominato la cultura del mondo classico, sononche gli ispiratori della piú grande, porremmo dire l'unica, opera di autentica immaginazione

reativa prodotta in questo secolo. Mi riferisco naturalmente agli orari dei traghetti greci. Un'operai fantasia delle piú sublimi. Chiunque abbia viaggiato nell'Egeo te lo confermerá. Mmmm, giá.Credo di sì."

Lei si accigliò."Ho trovato un vaso," fece."Probabilmente una sciocchezza," la interruppe frettolosamente il padre. "Sapete com'è. Tutti

uelli che vanno in Grecia per la prima volta credono di aver trovato un vaso, no? Ah, ah."

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 Vi furono unanimi segni d'assenso. Era vero. Seccante, ma vero."Io l'ho trovato nel porto," disse lei, "nell'acqua. Mentre aspettavamo quell'accidente di

raghetto.""Sarah! Ti ho detto...""Eri tu che lo chiamavi così. E anche peggio. Lo chiamavi con parole che non credevo nemmeno

he conoscessi. Comunque, pensavo che visto che qui tutti sono così intelligenti, dovrebbe esserciualcuno capace di dirmi se è una cosa autentica della Grecia antica o no. Secondo me è moltoecchio. Non glielo faresti vedere, papá?"

Il padre si strinse nelle spalle rassegnato e cominciò a frugare sotto la sedia.

"Lo sapevi, signorina," le disse Watkin, "che il libro dell'Apocalisse è stato scritto a Patmos? Èosì. Da san Giovanni l'Evangelista, come sai. A me sembra che mostri chiarissimi segni del fatto chestato scritto aspettando un traghetto. Eh giá. Io la penso così. Comincia, no, con quell'atmosfera

ognante che si ha quando si deve far passare del tempo, annoiandosi, fantasticando, per poi pianiano crescere fino a una specie di picco di disperazione allucinatoria. Lo trovo molto suggestivo.

Forse dovresti scriverci qualcosa in proposito." Le fece un cenno con la testa. Lei lo guardò come seosse matto.

"Bene, eccolo qua," disse il padre, poggiando pesantemente l'oggetto sulla tavola. "Un sempliceaso, come vedete. Lei ha solo sei anni," soggiunse con un sorriso sgradevole, "vero, tesoro?"

"Sette," disse Sarah.

Il vaso era piuttosto piccolo, alto una dozzina di centimetri e largo, nel punto massimo, circaieci. Il corpo era quasi sferico, con un collo strettissimo che si elevava di un paio di centimetri. Ilollo e una metá circa della superficie avevano decorazioni di terracotta, ma le parti del vaso che siiusciva a vedere erano di un ruvido materiale rossiccio.

Sarah lo prese e lo cacciò nelle mani del professore seduto alla sua destra."Tu hai l'aria sveglia," gli disse. "Dimmi cosa ne pensi."Il professore lo prese e lo rigirò con una faccia leggermente sdegnosa. "Sono sicuro che se gratti il

ango dal fondo," scandì spiritosamente, "probabilmente ci trovi scritto 'Made in Birmingham'.""Vecchio, eh?" disse il padre di Sarah con una risatina forzata. "È passato molto tempo da quando

ui da noi si faceva qualcosa."Comunque," disse il professore, "non è il mio campo, io sono un biologo molecolare. Qualcun

ltro vuole dargli un'occhiata?"La domanda non venne accolta da grida di entusiasmo, ma nondimeno il vaso passò di mano in

mano fino all'estremitá della tavolata seguendo un percorso irregolare. Venne scrutato con occhitrabici attraverso lenti al quarzo, sbirciato attraverso occhiali cerchiati di corno, osservato sopraenti a mezzaluna e intravisto strizzando gli occhi da qualcuno che aveva dimenticato gli occhialiell'altro vestito che, temeva fortemente, ormai si trovava in tintoria. Apparentemente, nessunoapeva quanto fosse vecchio né se ne curava piú di tanto. La faccia della ragazzina assunseuovamente un'espressione sconsolata.

"Compagnia di citrulli," disse Reg a Richard. Prese ancora una volta una saliera d'argento e laollevò in alto."Signorina," disse sporgendosi in avanti per parlarle."Oh, adesso basta, vecchio scemo," borbottò l'anziano archeologo Cawley, appoggiandosi allo

chienale e mettendosi le mani sulle orecchie."Signorina," ripeté Reg, "guarda questa semplice saliera d'argento. Guarda questo semplice

appello.""Quello non è un cappello," disse la piccola imbronciata. "Oh," fece Reg, "un momento, per

avore" e andò a prendere il suo berretto di lana rossa."Guarda," disse di nuovo, "questa semplice saliera d'argento. Guarda questo semplice berretto di

ana. Metto la saliera nel berretto, così, e ti passo il berretto. La parte successiva del gioco, mia caraignorina... sta a te."Le porse il berretto dietro le spalle dei due vicini che li separavano, Cawley e Watkin. Lei prese il

erretto e vi guardò dentro."Dov'è finito?" chiese con gli occhi fissi nel berretto. "È dove l'hai messo tu," rispose Reg."Oh," disse Sarah, "capisco. Be'... questo non era tanto bello." Reg si strinse nelle spalle. "Un

iochetto umile che erò mi rocura iacere " disse e tornò a irarsi verso Richard. "Allora di cosa

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 tavamo parlando?"Richard lo guardò con una leggera sensazione di sbigottimento. Sapeva che il professore era

empre stato incline a improvvisi e stravaganti sbalzi d'umore, ma ora sembrava che tutta la suaordialitá si fosse prosciugata d'un colpo. Adesso esibiva quella stessa espressione distratta che

Richard gli aveva visto in faccia quella sera appena arrivato davanti alla porta, apparentemente delutto inaspettato. Reg sembrò percepire lo sconcerto di Richard e rapidamente risfoderò un sorriso.

"Mio caro ragazzo!" disse. "Mio caro ragazzo! Mio caro, caro ragazzo! Cosa stavo dicendo?""Ehm, stava dicendo 'Mio caro ragazzo'.""giá, ma sono sicuro che preludeva a qualcosa. Una specie di breve toccata sul tema di che ragazzo

plendido tu sia, prima di introdurre l'argomento principale del mio discorso, la cui natura almomento mi sfugge. Tu non hai idea di cosa stavo per dire?"

"No.""Ah. Be', suppongo che dovrei esserne compiaciuto. Se tutti sapessero esattamente quello che sto

er dire, allora sarebbe inutile che lo dicessi, no? Ordunque, come se la sta cavando il vaso dellaostra giovane ospite?"

L'oggetto era arrivato a Watkin, il quale si proclamò privo di competenza su ciò che facevano glintichi per berci dentro, ed esperto solo di quanto ne avevano scritto come risultato. Disse che tuttioro dovevano invece inchinarsi di fronte al sapere e all'esperienza di Cawley e cercò di rifilargli ilaso.

"Ho detto," ripeté, "che tutti noi dobbiamo inchinarci al suo sapere e alla sua esperienza. Oh, perutti i santi, si tolga le mani dalle orecchie e dia un'occhiata a questo affare."

Gentilmente, ma con fermezza, allontanò la mano destra dì Cawley dall'orecchio, gli spiegò laaccenda ancora una volta e gli porse il vaso. Cawley eseguì un esame rapido ma chiaramentesperto.

"Sì," disse, "direi che ha circa duecento anni. Molto rozzo. Un esemplare del suo genere moltorezzo. Completamente privo di valore, naturalmente."

Lo depose con mossa perentoria e il suo sguardo vagò fino alla vecchia galleria di poeti, i cuiersonaggi per qualche ragione sembravano irritarlo.

L'effetto su Sarah fu immediato. giá scoraggiata, la cosa la depresse del tutto. Si morse le labbra ei adagiò contro la sedia, sentendosi ancora una volta completamente fuori posto e puerile.Il padre le scoccò un'occhiata ammonitrice contro i cattivi comportamenti, poi di nuovo si scusò

er lei."Allora, Buxtehude," si affrettò a riprendere, "giá, il buon vecchio Buxtehude. Vedremo cosa

ossiamo fare. Mi dica..." "Signorina," si intromise una voce, arrochita dallo stupore, "tu seihiaramente una maga e un'incantatrice dai poteri prodigìosi! "

Tutti gli occhi si appuntarono su Reg, vecchio esibizionista. Aveva afferrato il vaso e lo stavaissando con fanatica attenzione. Girò lentamente gli occhi sulla ragazzina, come soppesando per larima volta la forza di un temibile avversario.

"Mi inchino a te," sussurrò. "Per quanto indegno di parlare al cospetto di poteri quali i tuoi, tirego di lasciare che mi congratuli con te per una delle piú sensazionali manifestazioni dell'artemagica cui abbia avuto il privilegio di assistere!"

Sarah lo fissava spalancando gli occhi sempre di piú."Posso mostrare a queste persone il tuo operato?" chiese tutto serio.Lei annuì impercettibilmente e lui batté il vaso poco prima prezioso, ma ora tristemente

creditato, sul tavolo con un colpo secco.Si spaccò in due parti irregolari, facendo cadere la creta cotta di cui era circondato in frammenti

ppuntiti sulla tavola. Una metá del vaso cadde, l'altra rimase in piedi.Sarah strabuzzò gli occhi davanti alla saliera d'argento del college, macchiata e annerita ma

hiaramente riconoscibile, imprigionata fra i resti del vaso."Vecchio scemo rimbambito," mormorò Cawlev.Non appena si spense la generale deplorazione e condanna di quello sciocco giochetto di societá,

he non poté minimamente smorzare l'ammirazione negli occhi di Sarah, Reg si voltò verso Richardgli disse con aria da niente:

"Chi era quel tuo amico di qui, l'hai piú rivisto? Un tipo con uno strano nome est europeo. Svlad  "

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  . .Per un momento Richard lo guardò senza capire."Svlad?" disse. "Oh, vuol dire Dirk. Dirk Cjelli. No. Non siamo rimasti in contatto. Ci siamo

ncontrati un paio di volte per strada, ma nient'altro. Credo che di tanto in tanto cambi nome. Comemai me lo domanda?"

 

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Capitolo Cinque...

In cima al suo promontorio roccioso, il Monaco Elettrico continuava a starsene seduto su unavallo che, silenziosamente e senza lamentarsi, dimagriva. Da sotto il suo cappuccio di lana grezza il

Monaco osservava senza battere ciglio la vallata che gli dava problemi, ma c'era un problema nuovoterribile per il Monaco, e cioè: il Dubbio.

Non ne aveva da molto tempo, ma ora che l'aveva lo rodeva alle radici del suo stesso essere.La giornata era calda; il sole splendeva in un cielo vuoto e caliginoso, picchiando sulle pietre

rigie e sull'erba rada e secca. Tutto era immobile, compreso il Monaco. Ma nella sua testa straneose cominciavano ad agitarsi, come succedeva di tanto in tanto quando qualche dato, passando dalestore di input, prendeva un indirizzo sbagliato.

Poi però il Monaco cominciò a credere, all'inizio incertamente e nervosamente, quindi con una

Fede temprata alla fiamma ossidrica che sovvertiva tutte le precedenti convinzioni (compresauell'idiozia secondo cui la valle era rosa) che giú nella valle, da qualche parte, piú o meno a un paioi chilometri da dove se ne stava seduto, di li a poco si sarebbe aperto un varco misterioso che davaccesso a un mondo distante e strano, un varco attraverso il quale lui avrebbe potuto passare.

Un'idea sbalorditiva.Per quanto sbalorditiva, tuttavia, questa volta aveva assolutamente ragione.Il cavallo percepì che qualcosa bolliva in pentola.Rizzò le orecchie e scosse dolcemente la testa. A furia di fissare lo stesso gruppo di rocce da così

anto tempo, era caduto in una sorta di trance ed era lì lì per credere anche lui che fossero rosa.cosse la testa con piú vigore.

Un leggero strattone delle redini e una spronatina dei talloni del Monaco ed eccoli partiti,cegliendo con cura il cammino giú per il declivio pietroso. La strada era impervia. In buona partera composta da scisto irregolare, scisto irregolare marrone e grigio, con qualche pianta marrone eerde qua e lá che si attaccava a una precaria esistenza. Il Monaco ne prese nota senza alcunmbarazzo. Adesso era un Monaco piú vecchio e piú saggio, che si era lasciato alle spalle ogninfantilismo. Vallate rosa, tavoli ermafroditi erano tutte fasi naturali attraverso cui bisognavaassare per arrivare alla vera conoscenza.

Il sole picchiava duro. Il Monaco si deterse il sudore e la polvere dal volto e si fermò, curvo invanti sul collo del cavallo. Aguzzò la vista giú in basso, nell'abbacinante foschia da calura, verso unasto affioramento di pietre che si trovava in fondo alla valle. Lá, dietro l'affioramento, era il luogoove il Monaco riteneva, o meglio credeva appassionatamente con tutto il suo cuore, che sarebbepparsa la porta. Cercò di metterlo a fuoco piú chiaramente, ma i particolari della visioneluttuavano confusamente nelle correnti di aria calda.

Raddrizzatosi sulla sella, stava per spronare di nuovo il cavallo quando notò una cosa piuttostotrana. Su una vicina parete di roccia abbastanza liscia, così vicina in effetti che il Monaco si stupì dion essersene accorto prima, c'era una vasta pittura. Era di disegno rozzo, anche se non privo di unaua eleganza nel tratto morbido; sembrava assai vecchio, forse addirittura molto, molto vecchio. Ilolore era sbiadito, scrostato e a chiazze, per cui faceva fatica a distinguere chiaramente che cosa viosse rappresentato. Il Monaco si avvicinò un po' di piú al dipinto. Sembrava una scena di caccia

rimitiva.Il gruppo di creature violacee, dai molti arti, erano chiaramente antichi cacciatori. Impugnavanoozze lance e inseguivano con accanimento un essere dotato di ampie corna e di corazza, chiaramenteerito nel corso della caccia. I colori erano ormai così stinti da essere quasi scomparsi. Praticamente,utto ciò che si riusciva a vedere era il bianco dei denti dei cacciatori, che sembravano rifulgere conn candore non intaccato nella sua luminositá dal passare di quelle che probabilmente eranoarecchie migliaia di anni. Facevano addirittura sfigurare i denti del Monaco stesso, che pure se li

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 ra lavati quella mattina.

Il Monaco aveva giá visto dipinti come quello, ma solo in fotografia o alla TV, mai nella vita reale.n genere, li si poteva trovare nelle grotte, al riparo dagli elementi, altrimenti non si salvavano.

Il Monaco osservò con maggiore attenzione le immediate vicinanze della parete di roccia e notòhe, per quanto non fosse esattamente una grotta, era comunque riparata da una grossa sporgenza eifesa dal vento e dalla pioggia. Strano, tuttavia, che fosse riuscita a durare così nel tempo. Ancoraiú strano che apparentemente nessuno l'avesse mai scoperta. Le pitture rupestri come quella eranoutte immagini famose e familiari, ma questa non l'aveva mai vista prima di allora.

Magari quello che aveva appena fatto era un ritrovamento importantissimo, storico. Magari se

osse tornato in cittá e avesse annunciato questa scoperta l'avrebbero accolto a braccia aperte, forseli avrebbero dato una nuova scheda madre e avrebbero lasciato che credesse... credesse... credesse aosa? Si fermò, batté le palpebre e scosse la testa: chiaramente, era stato un momentaneo errore diistema.

Si bloccò di colpo.Credeva in una porta. Doveva trovare quella porta. La porta era la via verso... verso...La Porta era La Via.Bene.Le maiuscole erano sempre il modo migliore di cavarsela con tutto ciò per cui non si aveva una

uona risposta.

Bruscamente, fece girare la testa del cavallo con uno strattone e lo sospinse avanti, in basso.Qualche altro minuto di delicate evoluzioni e raggiunsero il fondo della valle, dove per un istanteimase sconcertato nello scoprire che lo strato superficiale di polvere fine che ricopriva la terraiarsa era effettivamente di un rosa marroncino pallidissimo, soprattutto sulle rive del lentoigagnolo di fango, quanto restava nella stagione calda del fiume che dopo le piogge scorreva nellaalle. Smontò da cavallo e si chinò per toccare la polvere rosa e farsela scorrere fra le dita. Erainissima e morbida e gli dette una sensazione piacevole quando se la passò sulla pelle. Avevaressappoco lo stesso colore, forse appena un poco piú pallida.

Il cavallo lo guardava. Si rese conto, probabilmente con un discreto ritardo, che la bestia dovevavere una gran sete. Lui stesso aveva una gran sete, ma aveva cercato di non pensarci. Slacciò laiaschetta dell'acqua dalla sella. Era pateticamente leggera. Ne svitò il tappo e bevve un'unicaorsata. Poi ne versò un po' nella mano a coppa e la offrì al cavallo, che la leccò avidamente in unatter d'occhio.

Il cavallo lo guardò di nuovo.Il Monaco scosse tristemente la testa, richiuse il contenitore e lo rimise al suo posto. In quella

iccola parte della testa in cui teneva le informazioni logiche relative ai fatti, sapeva che non sarebbeurata ancora a lungo e che senza acqua nemmeno loro sarebbero durati a lungo. A spingerlo avantira solo la sua Fede, al momento la Fede nella Porta.

Spazzolandosi la polvere rosa dal suo grezzo indumento, si raddrizzò a guardare l'affioramento

ietroso, distante appena qualche centinaio di metri. Lo guardò non senza una leggera, minimarepidazione. Benché la gran parte di lui fosse ben salda nella sua eterna e incrollabile Fede cheietro l'affioramento ci fosse una Porta, e che La Porta fosse La Via, tuttavia quella minuscola parteel suo cervello che capiva la situazione dell'acqua non poteva fare a meno di ricordare le delusioniassate e fece risuonare una minuscola ma irritante nota di prudenza.

Se avesse deciso di non andare a vedere La Porta di persona, avrebbe potuto continuare arederci in eterno. Sarebbe stata il polo magnetico di tutta la sua vita (di quel poco che ne rimaneva,isse la parte del suo cervello che sapeva della fiaschetta dell'acqua).

Se invece andava a rendere onore alla Porta e quella non c'era... cosa sarebbe successo, allora?Il cavallo nitrì con impazienza.

La risposta, naturalmente, era semplicissima. Aveva un'intera scheda di circuiti per valutare consattezza il problema, che anzi era precisamente il cuore del suo funzionamento. Avrebbe continuatocrederci quali che si rivelassero i fatti, perché qual altro era il significato della Fede?

La Porta doveva essere lì, anche se non c'era.Si ricompose. La Porta doveva esserci e ora lui doveva andarci, perché La Porta era La Via,Invece di montare di nuovo a cavallo, lo condusse a mano. La Via era solo a due passi e lui doveva

 

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  . Ardito ed eretto, camminava con solenne lentezza. Si avvicinò all'affioramento di rocce. Lo

aggiunse. Girò l'angolo. Guardò. La Porta era lì.Il cavallo, bisogna dirlo, ne fu davvero sorpreso.Il Monaco cadde in ginocchio, timorato e perplesso. Si era talmente preparato a far fronte alla

elusione che in genere lo perseguitava che, per quanto non sarebbe mai stato capace di ammetterlo,i ritrovava completamente sprovveduto davanti al fatto. Fissò La Porta in un puro e semplicerrore di sistema. Era una porta come non ne aveva mai viste in vita sua. Le porte che conoscevarano grossi aggeggi, con rinforzi in acciaio, per via di tutte le lavastoviglie e i videoregistratori chei stavano dietro, oltre naturalmente a tutti i costosi Monaci Elettrici necessari a credere in tutto

iò. Quella lì invece era semplice, di legno, piccolina, pressappoco della sua statura. Una porta aimensione di Monaco, dipinta di bianco, con una sola maniglia di ottone leggermente ammaccataosta di lato, poco piú in basso della metá. Era inserita semplicemente nella parete di roccia, senzalcuna spiegazione riguardo alle sue origini o al suo scopo.

Senza capire come osasse, il povero Monaco sbigottito si trascinò in piedi e, sempre conducendomano il suo cavallo, avanzò nervosamente verso di essa. Vi arrivò e la toccò. Fu così sorpreso cheon partisse nessun allarme che fece un salto indietro. La toccò di nuovo, stavolta con piú sicurezza.

Lasciò scivolare la mano verso la maniglia: ancora niente allarmi. Aspettò per essere sicuro, poia girò, molto, molto delicatamente. Sentì il meccanismo che scattava. Trattenne il fiato. Niente. Tirò

erso di sé la porta, che si aprì docilmente. Guardò dentro ma, in confronto al sole del deserto diuori, era così buio che non vide niente. Alla fine, mezzo morto dalla meraviglia, entrò, tirandosiietro il cavallo.

 Pochi minuti dopo, una figura che era rimasta seduta fuori del campo visivo dietro l'affioramento

i rocce adiacente, smise di strofinarsi la polvere sulla faccia, si alzò in piedi, si stirò gli arti e feceitorno verso la porta, dandosi grandi manate sugli abiti.

 

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Capitolo Sei...

 In Xanadu ha voluto Kubla Khan Elevata una maestosa casa di piacere Il lettore chiaramente apparteneva a quella scuola di pensiero secondo cui per rendere al meglio

senso della serietá o della grandezza di una poesia bisogna leggerla in tono stupido. Si librava e poialava in picchiata sulle parole, così che queste sembravano correre al riparo, piegate in due.

  Dove scorre Alph, il fiume sacro, Per caverne a dismisura d'uomoVerso un mare che non vede il sole.

 Richard tornò a rilassarsi sulla sedia. Le parole gli erano molto, molto familiari, come non

otevano non esserlo per qualsiasi laureato in inglese del St Cedd's College, e gli si adagiavano conaturalezza nella mente.

Il legame del college con Coleridge veniva preso parecchio sul serio, nonostante la ben notaropensione dell'uomo per una qualche inclinazione alle sostanze chimiche psicotoniche sotto il cui

nflusso, in sogno, era stata composta anche quest'opera, la sua piú grande.Il manoscritto completo veniva conservato al sicuro nella cassaforte della biblioteca del college e,

ella consueta occasione della Cena per Coleridge, la poesia si leggeva dal manoscritto stesso. 

Così due volte cinque miglia di fertile terreno Sono state cinte di torri e di muraglie: E lá fiorivano di giardini lucenti di sinuose correnti  Dove molti alberi d'incenso erano in fiore; E lá sorgevano foreste antichissimeChe cingevano radure verdi piene di sole. Richard si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto. Gettò un'occhiata di lato al suo ex Direttore

egli Studi e si sentì infastidito dalla sua posa di lettura ferma e risoluta. A tutta prima, la voceantilenante lo irritò, ma di lì a poco cominciò invece a cullarlo; si mise a osservare un rivolo di cerahe traboccava dal bordo di una candela ormai quasi completamente consumata, la cui luce sempreiú languida cadeva sui miseri resti della cena.

  Ma oh! quel baratro romantico profondo, fessura Della collina verde attraverso la copertura di cedri! Luogo selvaggio! sacro ed incantatoQuanto mai luogo visitato sotto luna calante Da gemiti di donna per il demone amante! 

La modesta quantitá di Chiaretto che si era concesso nel corso del pasto gli scorreva nelle veneiscaldandogliele e ben presto la sua mente cominciò a vagare; stimolata dalla domanda fattagli pocorima da Reg durante la cena, si chiese che cosa ne fosse stato poi del suo ex... "amico" era la parolaiusta? Piú che una persona, sembrava una serie di eventi straordinari. L'idea che avesseffettivamente veri e propri amici non era esattamente improbabile; sembrava però che le due coseon andassero insieme, un po' come pensare che la crisi di Suez fosse scoppiata a causa di una

ocaccina.

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Svlad Cjelli. Popolarmente noto come Dirk, anche se, pure qui, "popolare" non era proprio laarola giusta. Famigerato, casomai; ricercato, eternamente chiacchierato, anche queste cose eranoere. Ma popolare? Solamente nel senso in cui poteva esserlo un grave incidente in autostrada: tuttiallentano per dare un'occhiata, ma nessuno vuole avvicinarsi troppo alle fiamme. Ignobile, gli siddiceva di piú. Svlad Cjelli, ignobilmente noto come Dirk.

Rispetto alla media degli studenti, era piú rotondo e portava piú cappelli. Per meglio dire, c'eran solo cappello che metteva abitualmente, ma se lo metteva con una passione rara in una personaanto giovane. Era un cappello rosso scuro e rotondo, con una tesa molto piatta e sembrava

muoversi su un giunto cardanico, cosa che ne assicurava la perfetta orizzontalitá in qualsiasi

momento, indipendentemente dai movimenti della testa del suo proprietario. Come cappello, piúhe un accessorio del tutto convincente, era un oggetto notevole. Avrebbe potuto essere unrnamento elegante, di stile, armonioso e decorativo soltanto sopra una lampada da comodino, maon altrove.

La gente gli ronzava attorno, attratta dalle storie che lui stesso negava; d'altra parte, non si capìmai di preciso quale fosse l'origine di quelle storie, a parte le sue smentite.

Le voci parlavano di poteri psichici che si diceva avesse ereditato dal ramo materno dellaamiglia che, sosteneva lui, aveva vissuto nella parte piú chic della Transilvania. Cioè, lui non aveva

mai sostenuto niente del genere e diceva anzi che quelle erano sciocchezze e assurditá totali. Negavatrenuamente che nella sua famiglia ci fossero mai stati vampiri di sorta e minacciava di perseguire

egalmente chiunque diffondesse simili invenzioni tendenziose, ma indossava con ostentazione unmpio soprabito di cuoio svolazzante e nella stanza aveva una di quelle macchine a cui ci si appendetesta in giú per farsi passare il mal di schiena. Faceva in modo che le persone lo sorprendessero

ospeso a questa macchina a tutte le ore piú strane del giorno e ancor piú della notte, solo per poteroi smentire vigorosamente che la cosa avesse un qualche significato.

Grazie alla divulgazione strategica di un'ingegnosa serie di smentite delle cose piú eccitanti edsotiche, era riuscito a creare la leggenda di essere un vampiro psichico, mistico, telepatico,isionario, chiaroveggente e psicosassico.

Cosa voleva dire "psicosassico"?La parola era sua, e lui ne smentiva vigorosamente qualsiasi significato.  E da quel baratro ribollendo in continuato tumulto,Come se in ansimi rapidi e frequenti respirasse la terra.Un getto potente erompeva improvviso: E nel suo rapido semi-intermittente scoppio Schegge enormi roteavano... Dirk inoltre era perennemente al verde. Ma le cose dovevano cambiare. A cominciare fu il suo compagno di stanza, un tipo credulone di nome Mander che, a quanto si

iceva, probabilmente era stato scelto da Dirk proprio per la sua credulitá.Steve Mander si accorse che ogni qual volta Dirk andava a letto ubriaco parlava nel sonno. Nonolo, ma le cose che diceva nel sonno erano di questo genere: "L'apertura delle vie commerciali verso borbotto borbotto mugugno segnò la svolta nella crescita dell'impero nel ronf-ronf fesserieorbotto. Svolgimento".

 ...come rimbalzi di grandine,O come pula e frumento sotto i colpi del trebbiatore: La prima volta che ciò accadde, Steve Mander balzò a sedere sul letto. Mancava poco agli esami

reliminari del secondo anno e quello che Dirk aveva detto, o accortamente borbottato, suonavatranamente come una domanda quanto mai probabile allo scritto di Storia dell'Economia.

Mander si alzò silenzìosamente, si avvicinò al letto di Dirk e ascoltò con grande attenzione ma, aarte alcuni borbottii assolutamente sconnessi sullo Schleswig-Holstein e la guerra franco-russiana, che Dirk pronunciò praticamente affondato nel cuscino, non venne a sapere nient'altro.

La notizia comunque si diffuse, pian piano e con discrezione, anche se in un battibaleno. 

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  E nella danza alterna eterna di queste rocce Scaturiva improvviso il fiume sacro. Per tutto il mese successivo, Dirk si vide offrire costantemente vino e cena nella speranza che la

otte cadesse in un sonno profondo e sognando rivelasse altre domande d'esame. Stranamente,embrava che migliorando la qualitá del cibo e del vino che gli veniva offerto, diminuisse la tendenzadormire con la faccia affondata nel cuscino.

Il sistema era dunque quello di sfruttare i suoi presunti doni senza mai veramente dichiarare diossederne. Anzi, alle voci di suoi supposti poteri reagiva con aperta incredulitá, addirittura ostilitá.

  In un labirintico corso per cinque miglia di meandri  Attraverso boschi e valli scorreva il fiume sacro, Poi raggiungeva le caverne a dismisura d'uomo, E sprofondava in tumulto in un mare senza vita: In quel tumulto Kubla sentiva da lontanoVoci ancestrali profetiche di guerra! Dirk era poi, anche se lui lo negava, un chiaroudente. A volte nel sonno mugugnava un motivetto

he due settimane dopo diventava un successo. Cosa, in realtá, non troppo difficile da organizzare.Infatti, per sostenere queste leggende aveva sempre fatto il minimo indispensabile di ricerche.Era pigro e in sostanza si limitava a lasciare che l'entusiastica credulitá della gente lavorasse per lui.La pigrizia era essenziale: se le sue presunte doti paranormali fossero state circostanziate e precise,

ualcuno avrebbe potuto insospettirsi e chiedere ulteriori spiegazioni. D'altra parte, piú le suepredizioni" erano vaghe e ambigue, piú i desideri altrui avrebbero provveduto a tappare le falle diredibilitá.

Dirk non vi dette mai granché peso, o almeno, questo era ciò che dava a intendere. In realtá, ienefici di ritrovarsi, da studente, continuamente approvvigionato di vino e di cibo a spese delrossimo erano ben piú notevoli di quanto chiunque, senza mettersi a tavolino a fare due conti,

otesse supporre.E, naturalmente, lui non affermò mai, anzi, negava vivacemente, che tutto ciò fosse anche solo

ontanamente vero. Giunto perciò il tempo degli esami di fine anno, era nella posizione ideale permandare a compimento un piccolo, simpaticissimo e gustoso imbroglio.

  L'ombra della casa di piacere Fluttuava al centro delle onde; Dove si udiva mescolato il ritmo Del getto e delle grotte. Era un miracolo di conio raro,

 Nella casa di piacere piena di sole grotte di ghiaccio! "Santo cielo...! " Tutto a un tratto Reg sembrò svegliarsi di soprassalto dal leggero torpore in cui

ra dolcemente scivolato sotto l'influsso del vino e della lettura, e si guardò attorno confuso eorpreso, ma niente era cambiato. Le parole di Coleridge cantavano nel silenzio caldo e soddisfattoalato sul grande salone. Dopo un'altra rapida smorfia, Reg si accomodò per un secondo pisolino,tavolta restando però un po' piú vigile.

  Di una fanciulla e un'arpaUna volta ho avuto visione:

 Era una giovane abissina E sull'arpa suonavaCantando il monte Abora. Dirk accettò di fare un preciso pronostico sotto ipnosi delle domande che sarebbero state poste

uell'estate all'esame.'

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  , , ,tato disposto a farlo, anche se per molti versi gli sarebbe piaciuto, tanto per avere l'occasione diimostrare la falsitá delle sue presunte e piú volte sconfessate capacitá.

Fu dunque su queste basi, attentamente preparate, che alla fine acconsentì, solo perché cosìvrebbe posto fine una volta per sempre a tutta quella stupida, enormemente, fastidiosamentetupida faccenda. Avrebbe fatto il proprio pronostico per mezzo della scrittura automatica, sottodeguata supervisione, dopo di che avrebbe chiuso il tutto in una busta e depositato in una bancaino a dopo gli esami.

Come c'era da aspettarsi, si vide offrire qualche ben nutrita mazzetta da un ben nutrito numero di

ersone perché lasciasse dare loro una sbirciatina ai pronostici degli scritti, ma lui fu assolutamenteconvolto dall'idea. Sarebbe stato, diceva, disonesto...  Se io potessi resuscitare in meQuella armonia e quel canto,Una gioia tanto profonda mi vincerebbe,Che con musica sonora e lunga, Io nell'aria costruirei quella casa,Quella casa piena di sole! quelle grotte di ghiaccio! 

Poi, qualche tempo dopo, Dirk cominciò a mostrarsi in cittá con un'espressione alquanto grave ereoccupata. Dapprima, ogni indagine sulla natura di ciò che lo tormentava veniva liquidata con unesto della mano, ma alla fine si lasciò sfuggire che sua madre doveva sottoporsi a un'operazioneentistica estremamente costosa la quale, per ragioni che non volle discutere, doveva essere fattarivatamente, e gliene mancavano i soldi.

Da qui ad accettare donazioni per tali presunte spese mediche della madre in cambio di qualchebirciatina ai pronostici degli scritti, la strada, come si vide, era sufficientemente dolce e agevoleerché lui potesse percorrerla con pochissimo turbamento,

Dopo un altro po' di tempo, si venne a sapere che l'unico dentista in grado di eseguire questamisteriosa operazione era un chirurgo dell'Europa dell'Est che ora viveva a Malibú, per cui bisognava

umentare piuttosto alla svelta l'entitá delle donazioni. Lui naturalmente continuò a negare che leue capacitá fossero quelle che tutti loro erano tanto suonati da credere, negò anzi anche la lorotessa esistenza, ribadendo che non si sarebbe mai impegolato in quella prova se non per dimostrarea falsitá dell'intera faccenda; e poi, dato che alcuni, a loro rischio, sembravano riporre nelle sueapacitá una fiducia che lui stesso non aveva, era ben lieto di soddisfarli lasciando che pagassero perintervento della sua santa mamma.

Da questa situazione, non poteva venirne fuori che bene.O così pensava.  E chiunque ascoltasse le vedrebbe nell'aria,

 E griderebbe chiunque, in guardia! in guardia! I lampi dei suoi occhi, i suoi capelli al vento?  I temi d'esame che Dirk aveva prodotto sotto ipnosi, per mezzo della scrittura automatica, erano

tati in realtá messi insieme semplicemente facendo quel minimo di ricerca che qualsiasi studente inrocinto di affrontare un esame potrebbe fare, studiando gli scritti precedenti, cercando unventuale schema logico e facendo ipotesi intelligenti su ciò che poteva uscire. Era discretamenteicuro di azzeccarci (come avrebbe potuto fare chiunque altro) abbastanza da soddisfare i creduloni,

ma lasciando che l'intera faccenda continuasse a sembrare perfettamente innocente.Come in effetti era.Ciò che invece lo colse davvero come un fulmine a ciel sereno e provocò un pandemonio che si

oncluse con la sua partenza da Cambridge nel retro di un cellulare della polizia, fu il fatto che tutti iesti d'esame da lui venduti risultarono identici a quelli che vennero poi effettivamente assegnati.

Esattamente. Parola per parola. Fin nelle virgole.  Per tre volte intorno a lui tracciate un cerchio,

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 In sacro terrore vi si chiudano gli occhi, Perché del nettare ha mangiato, E ha bevuto del latte del Paradiso... E questo fu tutto, a parte gli articoli a tinte vivaci dei giornali che lo tacciarono di essere un

mpostore, poi lo osannarono come un onest'uomo per poterlo di nuovo tacciare di essere unmpostore e quindi osannarlo ancora come un onest'uomo, fino a che non si stufarono e nonrovarono un succulento giocatore di polo da torturare al suo posto.

Nel corso degli anni, Richard aveva incontrato Dirk di tanto in tanto, venendone in genere

alutato con quel mezzo sorriso guardingo con il quale si cerca di capire se l'altro sta pensando cheli devi del denaro, e che subito dopo si apre nel sorriso di chi spera che invece gliene darai. Ieriodici cambiamenti di nome di Dirk facevano capire a Richard che probabilmente non era l'unicoricevere un trattamento simile.

Provò una fitta di tristezza al pensiero di quella persona, che nell'ambito ristretto della comunitániversitaria pareva tanto brillante e vivace, alla luce del giorno potesse impallidire fino a quelunto. Si interrogò anche a proposito della domanda di Reg, improvvisa, come un fulmine a cielereno, fatta in un modo che nel complesso sembrava troppo innocente e casuale.

Girò un'altra volta lo sguardo attorno: il suo vicino, Reg, che russava lievemente, la piccola Sarah,apita da una silenziosa attenzione, la sala profonda, avvolta in una luce tremula e fioca, i ritratti dei

ecchi primi ministri e dei poeti appesi lassú nel buio, con solo lo strano bagliore delle candele chee faceva risaltare i denti, il Direttore degli Studi Inglesi che leggeva con la sua voce da lettura dioesie, il libro del Kubla Khan che il Direttore degli Studi Inglesi teneva in mano e infine, diascosto, l'orologio. Tornò ad appoggiarsi allo schienale.

La voce continuò a leggere la seconda parte, ancora piú strana, della poesia... 

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Capitolo Sette...

Era la sera dell'ultimo giorno di vita di Gordon Way e lui si stava chiedendo se la pioggia sarebbeessata per il fine settimana. Le previsioni dicevano tempo variabile: nebbia per quella sera eiornate serene ma fredde per venerdì e sabato, con probabili acquazzoni verso la tarda giornata diomenica, quando tutti sarebbero stati in viaggio per tornare in cittá.

Tutti, cioè, tranne Gordon Way.Le previsioni meteorologiche non vi avevano fatto cenno naturalmente, non era compito loro, ma

nche il suo oroscopo era decisamente ingannevole. Parlava di un'insolita quantitá di movimentilanetari nel suo segno e lo esortava a distinguere fra ciò che pensava di volere e ciò che veramenteli serviva, suggerendogli di affrontare i problemi emotivi o di lavoro con determinazione e onestássoluta, ma inspiegabilmente non faceva cenno al fatto che sarebbe morto prima della fine del

iorno.Uscì dall'autostrada vicino a Cambridge ed entrò in una piccola stazione di servizio a fare un po'

i benzina; si fermò un momento a terminare la chiamata dal telefono che aveva in macchina."Va bene, senti, ti chiamo domani," disse, "o magari stasera stessa. Oppure richiama tu. Sarò alla

illetta fra una mezz'ora. Sì, lo so quanto è importante per te questo progetto. Benissimo, so quant'èmportante, punto e basta. Lo vuoi tu, lo voglio io. Certo che lo voglio. Ma no, non sto dicendo cheon continueremo a sostenerlo. Sto solo dicendo che è costoso e che considereremo tutta la faccendaon determinazione e onestá assoluta. Senti, perché non ti fai vedere alla villetta, così ne parliamoer bene. Va bene, sì, sì, lo so, capisco. Be', pensaci, Kate. Ci sentiamo piú tardi. Ciao."

Riagganciò e per un istante rimase seduto nell'auto.

Era una macchina grossa. Era una grossa Mercedes grigio argento di quelle che si usano nellaubblicitá, e non solo in quella della Mercedes. Gordon Way, fratello di Susan, datore di lavoro di

Richard MacDuff, era un uomo ricco, il fondatore e proprietario della WayForward Technologies II.La WayForward Technologies naturalmente era andata a gambe all'aria, per il solito motivo,

ortandosi dietro il suo primo patrimonio.Fortunatamente, era riuscito a costruirne un altro.Il "solito motivo" era che lui si era lanciato nell'affare dei computer quando tutti i dodicenni del

aese improvvisamente si erano stufati di scatole che facevano bip. La sua seconda fortuna l'avevaatta invece con i software. Grazie a due importanti parti di programma, una delle quali era Antheml'altra, la piú redditizia, non aveva mai visto la luce) la Wft.II era l'unica ditta di software inglese chei potesse menzionare nella stessa frase con grosse aziende americane come la Microsoft o la Lotus.

La frase, probabilmente, sarebbe stata pressappoco così: "La WayForward Technologies, a differenzai grosse aziende americane come la Microsoft o la Lotus..." ma era un inizio. La WayForward c'era.

Ed era sua.Infilò un nastro nella fessura dello stereo. Venne inghiottito con un clic sommesso e decoroso e

n attimo dopo il Boléro di Ravel risuonò da otto altoparlanti perfettamente mimetizzati dietroittissime griglie nero opaco. Il suono era così perfetto e ampio che sembrava quasi di essere in unaala da concerto. Tamburellò con le dita sul bordo imbottito del volante. Guardò il cruscotto.

Numeri piacevolmente illuminati e minuscole lucine immacolate gli ammiccarono di rimando. Dopo

n attimo improvvisamente si rese conto di essere in un self-service e scese a riempire il serbatoio.Gli ci volle un minuto o due. Si fermò per riagganciare la manichetta alla pompa, batté i piedi pererra nell'aria fredda della sera, poi si avviò verso il chioschetto sudicio, pagò la benzina, si ricordòhe doveva comperare un paio di mappe locali, e rimase per qualche minuto a parlare animatamenteon il cassiere sulla probabile direzione che l'industria dei computer avrebbe preso l'anno dopo,icendo che secondo lui i microprocessori paralleli sarebbero diventati la chiave per i software diroduttivitá davvero intuitivi, ma esprimendo anche forti dubbi che le ricerche sull'intelligenza

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 rtificiale in sé, e soprattutto le ricerche sull'intelligenza artificiale basate sul linguaggio ProLog,otessero veramente dare luogo a seri prodotti commercializzabili in un prossimo futuro, almenoer quel che riguardava l'ambiente del desktop, argomento che il cassiere non trovava affattoffascinante.

"Quel tipo aveva soltanto voglia di parlare," avrebbe detto piú tardi alla polizia. "Gente, me neossi andato in bagno per dieci minuti quello avrebbe raccontato tutto al cassetto dei soldi. Se ciossi restato un quarto d'ora se ne sarebbe andato anche il cassetto. Sì, è lui, sono sicuro," aggiunseoi quando gli fecero vedere una foto di Gordon Way. "Al primo momento non ne ero sicuro perchéella foto ha la bocca chiusa."

"Ed è assolutamente sicuro di non aver visto niente di sospetto?" insistette il poliziotto. "Proprioiente che abbia trovato strano per qualsiasi motivo?"

"No, come ho detto, era solo un normale cliente in una sera normale, uguale a tutte le altre."Il poliziotto lo guardò con viso inespressivo. "Per pura curiositá," continuò, "se improvvisamente

ovessi fare così..." fece gli occhi strabici, tirò fuori la lingua dall'angolo della bocca e saltellò su e giúiccandosi le dita nelle orecchie, "ci troverebbe qualcosa di strano?"

"Be', ehm, sì," disse il cassiere, indietreggiando nervosamente. "Penserei che lei è andatoompletamente fuori di testa."

"Bene," disse il poliziotto mettendo via il blocchetto degli appunti. "È solo, signore, che a volte leersone hanno idee diverse di cosa vuol dire 'strano', sa. Se ieri sera era una sera normale come tutte

e altre, io sono un foruncolo sul sedere della zia della marchesa di Queensbury. In seguito lehiederemo una deposizione. Grazie per la sua, disponibilitá."

Ma tutto questo doveva ancora accadere.Quella sera, Gordon si ficcò in tasca le mappe e ritornò verso la macchina. Ferma sotto la luce,

ella nebbiolina, vi si era depositato sopra un fitto manto perlaceo di goccioline opache e oraembrava... insomma, sembrava una costosissima Mercedes-Benz. Per un millisecondo, Gordon sicoprì a desiderare di averne una uguale, ma ormai era diventato bravissimo ad allontanare quelarticolare corso di pensieri, che serviva solo a chiuderlo in un circuito vizioso e lo lasciava depressoconfuso.

Le dette una pacca da padrone poi, girandoci attorno, si accorse che il bagagliaio non era chiusoene e lo spinse giú. Si chiuse con un bel rumore solido. Be', solo per questo ne valeva la pena, no?

Un bel rumore solido come quello. I vecchi pregi della qualitá e della buona fattura. Pensando decinei cose da dire a Susan, risalì in macchina e non appena l'auto si fu nuovamente immessa sullatrada, schiacciò il tasto della selezione automatica sul suo telefono.

"...se quindi volete lasciare un messaggio vi richiamerò al piú presto possibile. Forse."Bip."Oh, Susan, ciao, sono Gordon," disse con il telefono goffamente incastrato sulla spalla. "Sto

ndando alla villetta. È, mmm, giovedì sera e sono le, ehm... 8,47. Un po' di foschia sulle strade.enti, questo fine settimana ci sono quei due tizi degli Stati Uniti che stanno arrivando per discutere

a distribuzione dell'Anthem versione 2.00, organizzare la promozione e cose del genere, e insomma,ai bene che non mi piace chiederti cose simili, però sai che lo faccio lo stesso, per cui ecco qua.Ho solo bisogno di sapere che Richard si sta occupando della faccenda. Voglio dire, che se ne sta

ccupando davvero. Potrei chiederlo a lui, e lui mi direbbe: Oh certo, tutto bene, ma metá delempo... cazzo, quel camion aveva gli abbaglianti, nessuno di questi stronzi di autisti di camion libbassa mai quando deve, è un miracolo che non sia andato ad ammazzarmi nel fosso, questa sì chearebbe grandiosa, no?, lasciare le ultime parole famose sulla segreteria di qualcuno, non vedoerché i camion non debbano avere degli interruttori per gli anabbaglianti fotosensibili. Senti, puoirendermi un appunto, di dire a Susan (non tu, naturalmente, Susan la segretaria dell'ufficio) di dirlei mandare una lettera da parte mia a quel tale del Ministero dell'ambiente comunicandogli che se

ui ci mette la legge noi ci mettiamo la tecnologia? È per il bene pubblico e poi lui mi deve un favore,poi a cosa serve essere CBE1 se non puoi nemmeno rompere un po' i coglioni? Si sente che è una

ettimana che parlo con americani.Questo mi fa venire in mente, oddio, spero di essermi ricordato di prendere le doppiette. Che

os'hanno questi americani che sono sempre ansiosi di sparare ai miei conigli? Ho comperato dellemappe nella speranza di convincerli a fare lunghe passeggiate salutari e distoglierli dallo sparare ai

 

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. .mettere uno di quei cartelli nel prato, sai, come quelli che ci sono a Beverly Hills, che dicono 'Sipara a vista'.

Lascia un appunto per Susan, se non ti dispiace, di far mettere un cartello 'Si spara a vista' con unalo aguzzo in fondo sulla montagnetta di destra a un'altezza visibile dai conigli. Susan la segretariaell'ufficio, voglio dire, non tu, naturalmente.

Dov'ero rimasto? Ah, giá. Richard e l'Anthem 2.00. Susan, quell'aggeggio deve essere al beta-test di qui a due

ettimane. Lui mi dice che è a posto. Ma tutte le volte che vado a trovarlo sullo schermo delomputer gli vedo l'immagine di un divano che gira. Dice che è un'idea importante, ma io ci vedo solon divano. Chi vuole che i conti aziendali gli cantino una canzoncina non vuole divani che girano. Eon penso nemmeno che sia il momento per dedicarsi a trasformare i modelli di erosioneell'Himalaya in un quintetto per flauti.

Quanto a quello che sta facendo Kate poi, Susan, be', non posso nasconderti che comincio areoccuparmi per gli stipendi e il tempo del computer che quella storia si sta facendo fuori. Saránche un'importante ricerca e progetto a lungo termine, ma c'è comunque la possibilitá, soltanto unaossibilitá, dico io, ma pur sempre una possibilitá che secondo me per onestá verso noi stessiobbiamo valutare ed esplorare a fondo, che si tratti di un pacco. Strano, c'è un rumore nelagagliaio, credevo di averlo appena chiuso.

Comunque, la cosa piú importante è Richard. E il fatto è che c'è una sola persona in grado diapere se sta facendo il lavoro sul serio o se sta solo sognando, e quella persona temo proprio che siausan.

Cioè tu, voglio dire, non certo Susan la segretaria dell'ufficio. E allora potresti (non mi piacehiedertelo, non mi piace proprio) potresti occuparti della cosa? Fargli capire quanto è importante?

Basterebbe assicurarsi che si renda conto che la WayForward Technologies dovrebbe esseren'impresa commerciale in espansione, non una terra di avventure per cervelloni. È questo ilroblema con i cervelloni: hanno una grande idea che funziona davvero, dopo di che si aspettano cheu continui a finanziarli per anni intanto che loro calcolano la topografia del loro ombelico. Scusami,evo fermarmi a chiudere il bagagliaio. Ci vorrá un attimo."

Posò il telefono sul sedile accanto al suo, si fermò sul bordo erboso e scese. Quando arrivò alagagliaio e lo aprì, ne emerse una figura che gli sparò in pieno petto con entrambe le canne di unaoppietta, dopo di che se ne andò per i fatti suoi.

La sorpresa di Gordon Way nel vedersi uccidere a fucilate era niente in confronto alla sorpresahe gli suscitò quanto avvenne in seguito.

 

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Capitolo Otto...

"Entra, mio caro amico, entra."La porta delle stanze di Reg al college si trovava in cima a una serie di scale di legno a chiocciolaell'angolo del Secondo Cortile e non era ben illuminata, o meglio era illuminata alla perfezioneuando la luce funzionava, ma siccome la luce non funzionava la porta non era ben illuminata, e peri piú era anche chiusa. Reg aveva qualche difficoltá nel trovare la chiave in mezzo a una collezionehe sembrava un'arma con cui un guerriero Ninja ben allenato potesse trapassare un tronco d'albero.

Nelle parti vecchie del college, le stanze avevano porte doppie, come le camere di compensazione,come le camere di compensazione erano complicate da aprire. La porta esterna era un solido

annello di quercia dipinto di grigio, con solo una fessura molto stretta per le lettere e una serraturaYale, di cui finalmente a un tratto Reg trovò la chiave.

La girò e aprì. Dietro, c'era una normale porta bianca a pannelli con una normale maniglia'ottone.

"Entra, entra," ripeté Reg, aprendo anche questa e cercando a tastoni l'interruttore della luce. Pern attimo, solo le spettrali ombre rosse dei tizzoni languenti sul focolare di pietra danzarono sulleareti della stanza, poi irruppe la luce elettrica e la magia finì. Reg esitò un momento sulla soglia,tranamente teso, come se prima di entrare volesse essere sicuro di qualcosa, poi si slanciòll'interno con una parvenza, quanto meno, di buon umore.

Era un'ampia stanza rivestita di legno, che una serie di mobili vagamente scalcagnati riusciva adrredare in modo decisamente confortevole. Contro la parete di fondo c'era un grande tavolo di

mogano, vecchio e tutto ammaccato con le gambe grasse e brutte, invaso da libri, fascicoli, cartellette

risme di carte in equilibrio precario. In un angolino della scrivania, notò Richard divertito, c'eraffettivamente un vecchio abaco rovinato.

 Accanto, c'era uno scrittoietto in stile Reggenza, che avrebbe anche avuto un certo valore se nonosse stato così segnato dai colpi, e un paio di eleganti sedie georgiane, un'imponente libreriaittoriana e così via. Era, in poche parole, la camera di un professore. C'erano le mappe incorniciate ee stampe da professore alle pareti, un tappeto consunto e sbiadito da professore in terra e insommai aveva l'impressione che ben poco fosse cambiato da decine d'anni a quella parte, il cherobabilmente era vero visto che ci viveva un professore. A destra e a sinistra della parete di fondoi aprivano due porte, e grazie alle sue visite precedenti Richard sapeva che una si apriva in unotudio, in pratica una versione ridotta e piú affollata di quella stanza: pile di libri ancora piú alte,isme di carte in equilibrio ancora piú precario, mobili che, sebbene antichi e di pregio, eranoesantemente segnati da miriadi di tazze di tè o caffè bollente, molte delle quali probabilmenterano ancora lì.

L'altra porta conduceva a una piccola cucina, arredata piuttosto sommariamente, e a una scala ahiocciola interna che conduceva alla camera da letto e al bagno del professore.

"Prova a metterti comodo sul divano," lo invitò Reg, dandosi da fare con aria ospitale. "Non so see la farai. A me sembra sempre che l'imbottitura sia fatta di foglie di cavolo e posate." Fissò su

Richard uno sguardo serio. "Tu hai un buon divano?" si informò."Be', sì," rise Richard. Era divertito dalla stupiditá della domanda.

"Oh," disse solennemente Reg. "Be', mi piacerebbe che mi dicessi dove l'hai trovato. lo ho semprevuto problemi con i divani, sempre. Mai trovato uno comodo in tutta la mia vita. Il tuo dove l'haireso?" Con aria leggermente stupita, inciampò in un piccolo vassoio d'argento dimenticato, con unaaraffa di porto e tre bicchieri.

"Strano che me lo chieda, sa," disse Richard. "Non mi ci sono mai seduto sopra.""Molto saggio," proseguì Reg tutto serio, "molto, molto saggio." Come poche ore prima, era di

uovo impegnato in difficili trattative con cappotto e berretto.

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 "Non che non mi piaccia," fece Richard. "Solo che è rimasto bloccato a metá di una lunga rampai scale che porta al mio appartamento. Da quanto sono riuscito a capire, gli uomini che dovevanoonsegnarlo sono arrivati a un certo punto e sono rimasti bloccati, l'hanno girato e rigirato in tuttee maniere possibili e poi hanno scoperto, piuttosto curiosamente, che non riuscivano piú a farlocendere. Ora come ora, sarebbe impossibile."

"Curioso," convenne Reg. "A me certamente non è mai capitato di imbattermi in un'operazionematematica irreversibile che coinvolgesse un divano. Potrebbe essere un nuovo campo di studi. Hai

rovato a parlarne con un esperto di geometria spaziale?" "Ho fatto di meglio. Ho chiamato il figlioi un vicino che una volta era capace di risolvere il cubo di Rubik in diciassette secondi. Si è seduto

u un gradino e l'ha guardato fisso per piú di un'ora, poi ha decretato che era bloccatorrimediabilmente. Va detto che ora ha qualche anno di piú e nel frattempo ha scoperto le ragazze,

ma la cosa mi ha lasciato di stucco.""Continua pure a parlare, mio caro amico, sono interessatissimo, ma prima lascia che ti chieda se

'è qualcosa che ti posso offrire. Del porto, forse? O del brandy? Credo che il porto sia la sceltamigliore, messo a invecchiare dal college nel 1934, una delle annate migliori, credo che ne converrai,

d'altra parte per dire la veritá il brandy non ce l'ho. Un caffè? Magari un altro goccio di vino? C'è unccellente Margaux che aspetta solo una scusa per essere stappato, anche se naturalmenteisognerebbe lasciarlo aperto un'ora o due, ma questo non vuol dire che non potrei... no," disse poi

n fretta, "probabilmente stasera è meglio lasciar perdere il Margaux."

"Ciò che vorrei veramente è del tè," disse Richard, "se ne ha."Reg alzò le sopracciglia. "Sei sicuro?""Devo tornare a casa in macchina.""Giusto. Allora devo andare per un momento o due in cucina. Ti prego, vai avanti, dovrei riuscire

sentirti comunque. Continua a raccontarmi del tuo divano e nel frattempo non farti problemi aederti sul mio. È li incastrato da molto?"

"Oh, appena da un tre settimane circa," disse Richard accomodandosi. "Potrei limitarmi a segarlobuttarlo via, ma non posso credere che non ci sia una soluzione logica. E poi, mi ha fatto anche

ensare: sarebbe utilissimo, prima di comprare un pezzo d'arredamento, sapere se poi passerá dallecale o dall'angolo. Così ho elaborato il problema in tre dimensioni sul mio computer... che per il

momento dice che non c'è modo.""Cosa dice?" gridò Reg sopra il rumore del bollitore che si stava riempiendo."Che non ci si riesce. Gli ho detto di calcolare i movimenti necessari per liberare il divano, ma ha

isposto che non ce ne sono. Allora gli ho chiesto per incominciare, e questa è la cosa veramentemisteriosa, di calcolare i movimenti necessari per portare il divano nella posizione attuale e mi ha

etto che non potrebbe essere lì dove si trova. Non senza una sostanziale ristrutturazione dei muri.er cui, o c'è qualcosa che non va nella struttura fondamentale del materiale dei miei muri, oppure,"ggiunse con un sospiro, "c'è qualcosa che non va nel programma. Lei cosa ne pensa?"

"Sei sposato?" gridò Reg.

"Cosa? Ah, capisco cosa intende. Un divano bloccato sulle scale per un mese. Be', no, non sonoropriamente sposato, ma sì, ci sarebbe una ragazza con la quale non sono sposato.""Com'è? Cosa fa?""È una violoncellista. Devo ammettere che il divano è stato un discreto oggetto di discussione.

er dirla tutta, è tornata dai suoi fino a che non riuscirò a farlo uscire. Lei, insomma..."Improvvisamente, si sentì depresso e alzatosi vagò qua e lá per la stanza, fermandosi davanti al

uoco che languiva. Lo attizzò e vi buttò sopra un altro paio di tronchi per cercare di scacciare il geloal locale.

"In realtá, è la sorella di Gordon," aggiunse alla fine. "Ma sono due persone molto diverse. Nonono sicuro che apprezzi completamente i computer. E non le piace molto nemmeno l'atteggiamento

el fratello nei confronti del denaro. In fondo, non credo di poterla biasimare, e lei non sa neanche lametá di ciò che c'è da sapere."

"Qual è la metá che non sa?" Richard sospirò."Be'," disse, "è qualcosa che ha a che fare con il progetto che per primo ha reso redditizio il

oftware che simboleggia l'azienda. Si chiamava Reason e a modo suo era sensazionale.""Che cos'era?"" '

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, .iano altro che una vecchia idea rovesciata. Capisce, programmi che aiutano a determinare unaecisione ordinando e analizzando adeguatamente tutti i dati rilevanti, per poi indicare in modoaturale la decisione giusta, ce ne sono giá diversi. L'aspetto negativo è che la decisione indicata dautti questi dati adeguatamente analizzati e ordinati non è necessariamente quella che si vorrebbe."

"Siiiì... disse la voce di Reg dalla cucina."Bene, la grande intuizione di Gordon è stata quella di progettare un programma che consentisse

i specificare in partenza qual era la decisione a cui si voleva arrivare, e solo allora inserire i dati. Ilompito del programma, perfettamente in grado di portarlo a termine, era semplicemente quello diostruire una serie plausibile di fasi di passaggio almeno apparentemente logiche che partendo dalleremesse arrivassero alla conclusione.

Devo dire che il funzionamento era brillante. Pur essendo completamente al verde, oltre che unisastro come guidatore, Gordon riuscì quasi subito a comprarsi una Porsche. Nemmeno il direttoreella banca fu capace di trovare una pecca nel suo ragionamento, Neppure quando, tre settimaneopo, Gordon dichiarò fallimento."

"Santo cielo. E il programma si vendette bene?""No. Non ne vendemmo neanche una copia.""Mi sorprende. Avrei pensato che fosse un successone.""Lo era," riprese Richard esitante. "L'intero progetto, così com'era, venne comprato dal

entagono. L'affare fornì alla WayForward una base finanziaria molto solida. Sulle sue basi morali,nvece, preferirei non pronunciarmi. Di recente ho esaminato parecchi degli argomenti avanzati inavore del progetto Guerre Stellari e, sapendo quello che si sta cercando, lo schema degli algoritmi èhiarissimo.

Tant'è vero che effettivamente guardando le politiche del Pentagono negli ultimi due anni credoi poter essere discretamente sicuro che la Marina degli Stati Uniti stia utilizzando la versione 2.00el programma, mentre l'Aviazione per chissá quale ragione ha solo la versione beta-test della 1.5.trano, questo."

"Tu ne hai una copia?""Chiaramente no," disse Richard, "non saprei che farmene. E poi, quando il Pentagono compra

utto, compra tutto. Ogni frammento di codice, ogni dischetto, ogni taccuino. Fui ben lieto di vederlocomparire. Ammesso che sia così. Vado avanti con i miei progetti." Attizzò di nuovo il fuoco, chiedendosi cosa ci facesse lì con tutto il lavoro che aveva da fare.

Gordon gli stava addosso continuamente perché la nuova super versione dell'Anthem fosse prontaosì da poter sfruttare i vantaggi del Macintosh II, e lui era molto indietro. Quanto poi alla propostai un modulo per convertire in tempo reale le informazioni in arrivo dal mercato azionario in dati

Midi, lui l'aveva pensato come uno scherzo, ma Gordon naturalmente era partito lancia in resta ensisteva perché la si perfezionasse. Anche quella avrebbe dovuto essere pronta e invece non lo era.

Tutto a un tratto, seppe esattamente come mai si trovava lì.Bene, era stata una piacevole serata, anche se non riusciva a capire perché Reg fosse così ansioso

i vederlo. Prese un paio di volumi dal tavolo. Evidentemente era un tavolo che si poteva aprire;nfatti, sebbene le cataste di libri sembrassero lì da settimane, l'assenza di polvere nelle lorommediate vicinanze dimostrava che dovevano essere stati spostati di recente.

Può darsi, pensò, che vivendo in una comunitá chiusa, ancora oggi, come quella di un college diCambridge, il bisogno di scambiare quattro chiacchiere amabili con qualcuno diverso dal solito

ossa farsi quanto mai urgente. Era un vecchio simpatico, ma durante la cena si era capito chearecchi dei suoi colleghi trovavano le sue stramberie una dieta piuttosto pesante, soprattutto inonsiderazione di quanto avevano giá da litigare per conto loro. Il pensiero di Susan lo tormentava,

ma ci era abituato. Sfogliò i due libri che aveva preso in mano.Uno dei due, molto vecchio, era un saggio sui fantasmi di Borley Rectory, la casa piú infestata

'Inghilterra. Il dorso era consunto e le fotografie così macchiate da essere quasi irriconoscibili. Unai quelle, che a lui parve una foto fortunatissima (o forse truccata) di un'apparizione ectoplasmica, an esame della didascalia si rivelò invece un ritratto dell'autore.

L'altro libro era piú recente e per una curiosa coincidenza era una guida alle isole greche. Mentreo sfogliava distrattamente ne cadde fuori un pezzo di carta.

"Earl Grey o Lapsang Souchong?" gli gridò Reg. "Oppure Darjeeling? O PG Tips? Purtroppo però"

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  . ."Il Darjeeling andrá benissimo," rispose Richard, chinandosi per raccogliere il pezzo di carta."Latte?" gridò Reg. "Ehm, sì grazie.""Una zolletta o due?""Una, grazie."Richard fece scivolare il foglietto nel libro, notando involontariamente un appunto

carabocchiato in tutta fretta. L'appunto, piuttosto stranamente, diceva: "Guarda questa semplicealiera d'argento. Guarda questo semplice cappello".

"Zucchero?"

"Ehm, cosa?" fece Richard sorpreso. Si affrettò a rimettere il libro sulla pila."Solo uno dei miei piccoli scherzetti," disse Reg allegramente, "per vedere se le persone miscoltano." Emerse dalla cucina con un sorriso radioso e un vassoietto con due tazze, che rovesciòmmediatamente per terra. Il tè si sparse sul tappeto. Una delle tazze si ruppe e l'altra rotolò sotto ilavolo. Reg si appoggiò allo stipite della porta, bianco in viso e con lo sguardo fisso.

 Vi fu una frazione di secondo di immobilitá e silenzio assoluto; Richard era troppo sorpreso perare qualcosa, poi si chinò goffamente in avanti per dare una mano. Il vecchio però si stava giácusando e gli offrì di preparargli un'altra tazza. Richard lo accompagnò sul divano.

"Si sente bene?" chiese Richard smarrito. "Vuole che chiami un medico?"Reg scartò l'ipotesi con un gesto della mano. "Tutto bene," assicurò, "sto benissimo. M'è

embrato di sentire, insomma, un rumore che mi ha sorpreso. Invece non era niente. Probabilmentero alterato dai fumi del tè. Lascia solo che riprenda fiato. Credo che, ehm, un goccio di porto miisolleverá per il meglio. Be', scusa, non volevo spaventarti." Fece un vago gesto in direzione dellaaraffa di porto. Richard si affrettò a versargliene un bicchierino e a porgerglielo.

"Che tipo di rumore?" domandò, chiedendosi cosa mai poteva averlo scosso fino a quel punto.In quel momento dal piano superiore si udì un movimento e un suono sorprendente, simile a

uello di un respiro pesante. "Questo..." bisbigliò Reg. Il bicchierino di porto si infranse davanti aui. Di sopra sembrava che qualcuno battesse i piedi. "L'hai sentito?"

"Be', sì."Ciò sembrò dare sollievo al vecchio.

Richard guardò nervosamente il soffitto. "C'è qualcuno lassú?" chiese, pensando che la domandara inutile, ma tuttavia andava fatta.

"No," disse Reg con una voce fioca che colpì Richard per il terrore che tradiva, "nessuno. Non ciovrebbe essere nessuno lassú."

"Allora..."Reg si stava rialzando sulle gambe tremolanti, ma improvvisamente fu colto da una ferma

eterminazione."Devo andare lassú," disse tranquillamente. "Devo. Per cortesia, aspettami qui un momento.""Senta, che storia è questa?" domandò Richard, frapponendosi tra Reg e la porta. "Cos'è, uno

cassinatore? Senta, ci vado io. Sono sicuro che non è niente, sará il vento o che so io." Richard non

apeva perché lo diceva. Chiaramente non era il vento né niente del genere, perché se eraagionevole che il vento producesse il suono di un respiro pesante, raramente batteva i piedi in quel

modo."No," disse il vecchio, scostandolo educatamente ma con fermezza, "spetta a me."Richard lo seguì smarrito nella piccola anticamera di lá della porta, in fondo a cui si trovava la

minuscola cucina. Da lì partiva una scala di legno scuro; i gradini sembravano rovinati e consunti.Reg accese una luce. Era una lampadina fioca che pendeva nuda in cima alla scalinata e lui guardò

erso l'alto con cupa apprensione."Aspetta qui," disse e sali due gradini. Poi si girò e fissò Richard con un'espressione di intensa

erietá in volto."Mi dispiace," disse, "che tu ti trovi a essere coinvolto in quello che è... l'aspetto piú difficile della

mia vita. Ma ormai lo sei, per quanto increscioso questo sia, e ti devo chiedere una cosa. Non so cheosa mi aspetta lassú, almeno non con esattezza. Non so se sia qualcosa che ho stupidamenterodotto io stesso con i miei... hobby, o qualcosa di cui sono una vittima innocente. Nel primo caso,on posso che biasimare me stesso, perché sono come un medico che non riesce a smettere di

umare, o forse, peggio ancora, come un ecologista che non sa rinunciare alla macchina... nel secondo

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aso, spero che non ti capiti mai.Ciò che ti volevo chiedere è questo. Quando scenderò da quella scala, sempre ammesso

aturalmente che ne discenda, se il mio comportamento ti appare strano per qualche verso, se tiembra che non sia in me, saltami addosso e buttami in terra. Capito? Devi impedirmi di fareualsiasi gesto."

"Ma come faccio a capirlo?" chiese Richard incredulo. "Mi scusi, non volevo dire così, ma se nono cosa...?"

"Lo capirai," disse Reg. "Ora per piacere aspettami in sala. E chiudi la porta."Scuotendo la testa perplesso, Richard tornò sui suoi passi e fece come gli era stato chiesto.

Chiuso nella grande stanza in disordine, ascoltò il rumore dei passi del professore che saliva i gradinino alla volta.Li saliva con una grave determinazione, come il lento ticchettio di un grande orologio.Richard sentì che raggiungeva il pianerottolo superiore. Vi si fermò in silenzio. I secondi

assavano, cinque, forse dieci, forse venti. Poi si sentì di nuovo il movimento e il respiro pesante cheoco prima avevano tanto agitato il professore.

Richard si portò rapidamente alla porta, ma non l'aprì. Il gelo della stanza lo opprimeva e loisturbava. Scosse la testa nel tentativo di scuotersi di dosso quella sensazione, poi trattenne ilespiro sentendo i passi che lentamente riprendevano a muoversi sui due metri di pianerottolo euindi si fermavano di nuovo. Dopo qualche secondo appena, Richard sentì il lungo cigolio lento di

na porta che si apriva, centimetro per centimetro, un prudente centimetro dopo l'altro; a quelunto, doveva essere completamente spalancata.

Per un lungo tempo, molto lungo, apparentemente non successe nulla.Poi finalmente la porta si richiuse, lentamente.I passi attraversarono il pianerottolo e di nuovo si fermarono. Richard si allontanò ancora un po'

alla porta, guardandola fisso. I passi ricominciarono a scendere le scale, adagio, con attenzione eilenziosamente, finché arrivarono in basso. Poi, qualche secondo dopo, la maniglia della portaominciò a girare. La porta si aprì e Reg entrò, perfettamente calmo.

"Tutto a posto, è solo un cavallo nel bagno," disse tranquillo. Richard gli saltò addosso e lo buttòterra.

"No," ansimò Reg, "no, lasciami, lasciami andare, sto benissimo, accidenti. È solo un cavallo, unormalissimo cavallo." Si scrollò Richard di dosso senza troppa difficoltá e si mise a sedere,espirando affannosamente, sbuffando e passandosi le mani nei capelli radi. Richard rimase pronton piedi sopra di lui, sempre piú imbarazzato. Si fece da parte e lasciò che Reg si rimettesse in piedi ei lasciasse andare su una sedia.

"Soltanto un cavallo," disse Reg, "ma, uhm, grazie per avermi preso alla lettera." Si rassettò glibiti con le mani.

"Un cavallo," ripeté Richard."giá," fece Reg.

Richard uscì e guardò su, verso la scala, poi rientrò."Un cavallo?" disse di nuovo."Sì, sì," disse il professore. "Aspetta..." fece un cenno a Richard che stava per uscire nuovamente a

ndagare, "lascia perdere. Finché la barca va, lasciala andare."Richard lo guardò incredulo. "Lei dice che c'è un cavallo nel bagno e tutto quello che riesce a fare

di starsene lì a citare canzonette degli anni sessanta?"Il professore lo guardò senza capire."Senti," disse, "mi dispiace se prima... ti ho allarmato. È stata solo una piccola crisi. Cose che

apitano, mio caro amico, non te ne dare pensiero. Ohimè, ho conosciuto cose piú strane in vita mia.arecchie. Molto piú strane. È solo un cavallo, santo cielo. Piú tardi andrò su e lo farò uscire. Ti

rego, non ti preoccupare. Tiriamoci su il morale con un po' di porto.""Ma... come ha fatto a entrare?""Be', la finestra del bagno è aperta. Immagino che sia entrato da lì."Non certo per la prima né per l'ultima volta, Richard lo guardò con occhi socchiusi dal sospetto."Lo sta facendo apposta, vero?""Facendo, cosa, mio caro amico?""Non ci credo che c'è un cavallo nel bagno," disse Richard all'improvviso. "Non so cosa ci sia, non

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 o cosa lei stia facendo. Non so cosa significhi tutto ciò che è accaduto stasera, ma non credo che ciia un cavallo nel suo bagno." E spazzando via ogni ulteriore protesta di Reg salì a verificare.

 Il bagno non era grande.Le pareti erano rivestite di vecchi pannelli di quercia che, vista l'etá e il carattere dell'edificio,

molto probabilmente erano di valore incalcolabile, ma per il resto i sanitari erano squallidi e di tipoomune.

In terra c'era un vecchio linoleum consunto a riquadri bianchi e neri, una piccola vasca da bagnomolto semplice, pulita ma con lo smalto scheggiato e con macchie di vecchissima data, e un

avandino, anche quello vecchio e semplicissimo, con uno spazzolino da denti e un dentifricio in unicchiere Duralex posato accanto ai rubinetti. Sopra il lavandino, fissato con viti nei pannelli cherobabilmente avevano un valore incalcolabile, uno stipetto da bagno con le antine a specchio. Avevaaria di essere stato ridipinto diverse volte e lo specchio, negli angoli, aveva macchie di condensa. Ilabinetto era dotato di una vaschetta di ghisa all'antica, con una catena per tirare l'acqua. In unngolo c'era un vecchio armadio di legno color crema, con accanto una vecchia sedia marrone diegno curvato, su cui si trovavano alcune piccole salviette, ben piegate ma molto lise. Nella stanza'era inoltre un grosso cavallo, che la occupava quasi tutta.

Richard guardò lui e lui guardò Richard, come a soppesare il personaggio. Richard barcollòeggermente. Il cavallo rimase assolutamente immobile. Dopo un po', guardò invece nell'armadio. Seon proprio contento, sembrava quanto meno perfettamente rassegnato a stare dov'era fino auando non l'avessero messo altrove. Sembrava anche... che cosa?

Era illuminato dal riflesso della luna che entrava dalla finestra. La finestra era aperta, ma piccola, fra l'altro, al secondo piano, per cui l'idea che il cavallo fosse arrivato per quella via eraecisamente fantasiosa.

C'era qualcosa di strano in quel cavallo, ma Richard non avrebbe saputo dire cosa. Be', la cosaavvero strana era che si trovava nel bagno di un college. Forse era solo quello.

Si protese, un po' incerto, a battere qualche pacca sul collo dell'animale. Sembrava normale,olido, lucido, in buone condizioni. L'effetto della luce lunare sul mantello era un po' sconcertante,

ma tutto sembra un po' strano al chiaro di luna. Quando lo toccò, il cavallo scosse leggermente lariniera, ma sembrava non dare troppo peso alla cosa. Visto il successo, Richard gli fece qualche carezza e lo grattò delicatamente sotto la mandibola. In

uel momento notò che nel bagno, nell'angolo opposto, c'era un'altra porta. Girò con cautela attornol cavallo e si avvicinò a questa seconda porta. Vi si appoggiò contro e la spinse incerto.

Portava semplicemente nella camera da letto del professore, un locale angusto, pieno zeppo dibri, scarpe e con un piccolo letto singolo. Anche in quella stanza c'era una seconda porta, che sipriva di nuovo sul pianerottolo.

Richard notò che il pavimento del pianerottolo mostrava segni recenti di strisciate e di graffi,ome i gradini, tracce che confermavano l'ipotesi che il cavallo in qualche modo fosse stato spinto su

er le scale. Era lieto di non averlo dovuto fare lui, e ancora di piú di non essere stato il cavallo a cuiavevano fatto, ma era piú o meno possibile.Ma perché? Dette un ultimo sguardo al cavallo, che gli ricambiò un'ultima volta lo sguardo, poi

ornò dabbasso."Ne convengo," disse. "C'è un cavallo nel suo bagno e tutto sommato prenderò un goccio di

orto."Ne versò un bicchierino per sé e uno per Reg, che stava contemplando silenziosamente il fuoco e

veva bisogno di un rabbocco."Fortuna che alla fine ho tirato fuori tre bicchieri," disse Reg in tono discorsivo. "Prima mi

omandavo perché, ma ora ricordo.

Mi avevi chiesto se potevi portare un'amica, ma a quanto pare non l'hai fatto. Sicuramente per viael divano. Non ti preoccupare, sono cose che capitano. Ehi, non troppo, se no lo rovescio."

Improvvisamente, ogni questione relativa al cavallo svanì dai pensieri di Richard."Davvero gliel'ho chiesto?" disse."Ma certo. Mi viene in mente adesso. Mi hai richiamato per chiedermi se c'erano problemi, mi

icordo. Ti ho risposto che per me sarebbe stato un piacere, e lo pensavo veramente. Io lo segherei,'

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, . .he una serata con il tuo vecchio tutor sarebbe stata così noiosa da farle venire le vesciche e ha sceltoopzione molto piú divertente di lavarsi i capelli. Ohimè, io so benissimo cosa avrei scelto. È solo la

mancanza di capelli che ora mi costringe a tener dietro a questi terribili impegni sociali. " Adesso era Richard ad avere il volto pallido e lo sguardo fisso.Giá, aveva dato per scontato che lei non avesse voglia di venire.Giá, le aveva detto che sarebbe stato terribilmente noioso. Lei però aveva insistito che voleva

ndare perché quello era l'unico modo per vedere la sua faccia per qualche minuto non rischiarataalla luce di un monitor, così lui alla fine aveva accettato di portarla.

Peccato che se ne fosse dimenticato completamente. Non era passato a prenderla.Disse: "Posso usare il telefono, per cortesia?" 

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Capitolo Nove...

Gordon Way giaceva in terra, senza sapere bene che fare. Era morto. Su questo sembravanosserci pochi dubbi. Aveva un buco tremendo nel petto, ma il sangue che ne fuoriusciva ormai si eraidotto a un rivoletto. Per il resto, nel torace non c'era alcun movimento, né, quanto a questo, inessun'altra parte del suo corpo.

Guardò in su e poi a destra e a sinistra, ma era chiaro anche a lui che qualunque cosa si stessemuovendo, non si trattava di una parte del suo corpo.

La nebbiolina gli scivolava addosso lentamente, senza spiegargli niente. A pochi passi di distanzaa sua doppietta fumante giaceva tranquillamente nell'erba.

Continuò a restarsene sdraiato, come uno che si sveglia alle quattro del mattino e non riesce ailassarsi, ma nemmeno a trovare qualcosa da fare. Si rendeva conto di aver appena subito un

rauma di qualche genere, il che magari spiegava l'incapacitá di pensare lucidamente, ma non inffetti la sua capacitá di pensare. Nel grande dibattito che ha infuriato per secoli su cosa succedeopo la morte, ammesso che succeda qualcosa, paradiso, inferno, purgatorio o dissoluzione, una solaosa non era mai stata messa in dubbio: che quanto meno, una volta morti, si sarebbe avuta laisposta.

Gordon Way era morto, ma non aveva la benché minima idea di cosa fare in proposito. Era unaituazione che non gli era mai capitata prima d'allora.

Si mise a sedere. Il corpo che si sedette gli sembrava altrettanto reale di quello che rimanevateso al suolo a raffreddarsi lentamente, lasciando fuggire il calore del sangue in nuvolette diondensa che si mescolavano alla nebbiolina della gelida aria notturna.

Osando qualcosa in piú, provò ad alzarsi in piedi, pian piano, stupito e traballante. A quantoareva, il terreno lo sosteneva, reggeva il suo peso. Anche se, naturalmente, non c'era nessun peso daostenere. Quando si chinò a toccare il suolo non sentì niente, se non una debole resistenzaommosa, come la sensazione che si prova quando si cerca di raccogliere qualcosa con un braccioddormentato, morto. Il suo braccio era morto. Le gambe pure, e così l'altro braccio, tutto il busto ea testa.

Il suo corpo era morto. Non sapeva perché, ma il suo cervello non lo era.Restò lì, immobile, in una sorta di orrore insonne mentre la nebbia volteggiava lentamente

ttraverso di lui.Si girò a guardare di nuovo se stesso, quella cosa-sé spettrale, dall'aria attonita, ancora disteso

er terra, massacrato, e gli si accapponò la pelle. O meglio, desiderò di avere una pelle che si potesseccapponare. Voleva una pelle. Voleva un corpo. E invece non ce l'aveva.

Gli sfuggì di bocca un grido improvviso d'orrore, ma fu un niente che non andò da nessuna parte.i scrollò e non sentì niente. Dalla sua macchina fuoriusciva la musica e una chiazza di luce. Vi sivvicinò. Cercò di assumere un'andatura vigorosa, ma invece era debole e traballante, incerto e,nsomma, inconsistente. Sotto i suoi piedi, il terreno sembrava fragile.

La portiera dell'auto dalla parte del guidatore era ancora aperta, così come l'aveva lasciatauando era sceso per chiudere il bagagliaio, pensando che si trattasse solo di un paio di secondi.

Tutto ciò era successo due minuti prima, quando era vivo. Quando era una persona. Quando

ensava che sarebbe risalito in macchina e subito ripartito. Due minuti, una vita prima.Era pazzesco, no? pensò improvvisamente. Aggirò la portiera e si curvò per guardarsi nel retrovisore esterno. Aveva esattamente le sue fattezze, anche se, com'era prevedibile, le sue fattezze dopo un terribile

pavento, ma comunque era proprio lui, era normale. Tutto quello doveva essere frutto della suammaginazione, una specie di orribile sogno a occhi aperti. Gli venne un'idea improvvisa e provò adlitare sullo specchietto.

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 Niente. Nemmeno una gocciolina. Un dottore ne sarebbe stato soddisfatto, era così che facevano

empre alla televisione: se sullo specchietto non si formava condensa, non c'era respiro. Forse, pensòon ansia fra sé, forse c'entrava qualcosa il fatto che gli specchietti laterali fossero termici. Quella

macchina non aveva gli specchietti laterali termici? Il venditore non aveva continuato a ripeterglihe questo era termico, quello elettrico e quell'altro servoassistito? Forse erano specchietti lateraliigitali. Era così. Specchietti laterali digitali, termici, servoassistiti, computerizzati, anti-respiro...

Stava pensando, se ne rendeva conto, delle assurditá complete. Si girò lentamente e guardò diuovo con apprensione il corpo che giaceva in terra, dietro di lui, con metá torace portato via dalloparo. Quello avrebbe di sicuro soddisfatto un medico. La vista sarebbe giá stata abbastanza terribile

e si fosse trattato del corpo di qualcun altro, essendo il suo poi...Era morto. Morto... morto... Cercò di farsi risuonare drammaticamente la parola in testa, ma non

'era verso. Non era la colonna sonora di un film, era solo morto.Osservando orripilato ma affascinato il proprio corpo, pian piano si sentì sempre piú disturbato

all'espressione di stupiditá asinina che gli vedeva in volto.D'altra parte, era perfettamente comprensibile. Era proprio l'espressione che ci si potrebbe

spettare sulla faccia di qualcuno nel preciso momento in cui un tale nascosto nel bagagliaio dellaua auto gli spara con la sua doppietta; tuttavia non gli piaceva l'idea che qualcuno lo trovasse così.

 Vi si inginocchiò accanto nella speranza di riuscire a ricomporre i lineamenti in una parvenza diignitá, o almeno di un minimo di intelligenza.

La cosa si rivelò di una difficoltá pressoché insormontabile. Provò a massaggiare la pelle, quellaelle dolorosamente familiare, ma stranamente gli sembrava di non riuscire ad avere una presaalda, su quella come su qualsiasi altra cosa. Era come cercare di modellare la plastilina con unraccio addormentato, tranne che invece di scivolarvi sopra, la sua mano vi scivolava attraverso. Nelaso specifico, scivolava attraverso la faccia.

Nausea, orrore e rabbia lo invasero per quella totale stramaledetta impotenza e a un tratto siorprese a strozzare e scuotere il suo stesso corpo morto in una presa furiosa e salda. Vacillòndietro, sconvolto e sbigottito. Tutto quello che era riuscito a fare era stato aggiungere allo sguardoi inutile stupore del cadavere un po' di strabismo e una bocca storta. E qualche livido che giáompariva sul collo.

Cominciò a singhiozzare e stavolta sembrò che un suono uscisse, uno strano mugolio dalrofondo di quella cosa che era diventato, checché essa fosse. Portatosi le mani alla faccia,

ndietreggiò barcollando, tornò alla macchina e si buttò sul sedile, che lo accolse in modo un po'molle e distante, come una zia che disapprovasse i suoi ultimi quindici anni di vita e fosse perciò

isposta a offrirgli un bicchiere di sherry scadente, ma volesse evitare il suo sguardo.Sarebbe riuscito ad arrivare da un medico?Per non affrontare l'assurditá di quell'idea, si aggrappò violentemente al volante, ma le sue mani

i passarono attraverso. Provò a lottare con la leva del cambio automatico e finì col picchiarci sopran pugno, senza però riuscire a impugnarla correttamente e ad azionarla.

Lo stereo continuava a suonare musica leggera per orchestra a uso del telefono che, rimastoosato sul sedile del passeggero per tutto il tempo, l'ascoltava pazientemente. Lo guardò e conrenesia crescente si rese conto di essere ancora in linea con la segreteria di Susan, uno di quei

modelli che continuavano a registrare finché non si riagganciava. Era ancora in contatto con ilmondo.

Tentò disperatamente di sollevare il ricevitore, annaspò, lo perse e alla fine fu costretto ahinarsi sul microfono. "Susan!" urlò, ma la sua voce era un gemito lontano e rauco nel vento.Susan, aiutami! Aiutami, per l'amor di Dio. Susan, sono morto... Sono morto... Sono morto e... nono cosa fare..." Scoppiò nuovamente in lacrime, singhiozzando dalla disperazione e cercò diggrapparsi al telefono come un bambino si aggrappa alla coperta in cerca di conforto.

"Aiutami, Susan..." gridò ancora. "Bip," fece il telefono. Abbassò di nuovo lo sguardo dove si trovava l'apparecchio. Dopo tutto, era riuscito a schiacciare

ualcosa. Era riuscito a schiacciare il tasto che scollegava la linea. Febbrilmente cercò di riprenderlon mano, ma continuava a sfuggirgli e alla fine rimase immobile sul sedile. Non poteva toccarlo. Nonoteva schiacciarne i tasti. Furioso, lo scaraventò contro il parabrezza. Quello gli riuscì benissimo.

L'apparecchio colpì il parabrezza, schizzò dritto indietro attraverso di lui, rimbalzò giú dal sedile e 

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  ,occarlo.

Per parecchi altri minuti se ne rimase seduto, mentre il terrore cominciava a dissolversi in unauota disperazione. Passarono un paio di macchine, ma non dovevano aver notato niente di strano:n'auto ferma sul ciglio della strada. Di sera, andando veloci, i fari probabilmente non illuminavano corpo steso nell'erba dietro la macchina. E certamente non avrebbero fatto caso a un fantasmaeduto che piangeva fra sé.

Non sapeva da quanto tempo era seduto lì dentro. Non aveva alcuna cognizione del tempo, aarte il fatto che gli sembrava scorresse molto lentamente. C'erano pochi stimoli esterni a segnarne passaggio. Non sentiva freddo. In realtá, quasi non ricordava cosa significasse avere freddo o

entire, sapeva solo che era qualcosa che in quel momento avrebbe dovuto sentire.Infine si riscosse dal suo patetico smarrimento. Doveva fare qualcosa, anche se ignorava cosa.

Forse poteva provare ad arrivare fino alla villetta, anche se non sapeva cosa avrebbe fatto una voltarrivato. Aveva solo bisogno di provare a fare qualcosa. Aveva bisogno di far passare la notte.

Si riprese e scivolò fuori dell'auto, passando con il piede e il ginocchio attraverso la portieraenza alcuna difficoltá. Andò a guardare ancora una volta il proprio corpo, ma non era piú lì.

Come se la serata non gli avesse giá riservato abbastanza sorprese. Fissò e rifissò l'erba umidachiacciata.

Il suo corpo non era piú lì.

 

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Capitolo Dieci...

Richard se ne andò con tutta la fretta consentitagli dall'educazione.Disse grazie mille e che splendida serata era stata e che tutte le volte che Reg fosse andato aLondra doveva farglielo sapere, a lui, Richard, e c'era forse qualcosa che poteva fare per il cavallo.No? Be', allora benissimo, se ne era proprio sicuro, grazie ancora, grazie tante.

Una volta chiusa finalmente la porta, rimase lì per un attimo o due, a riflettere.Nel breve lasso di tempo in cui il pianerottolo della scala principale era stato rischiarato dalla

uce della stanza di Reg, aveva notato che qui, sulle assi del pavimento, non c'era nessun segno.trano che il cavallo avesse rigato solamente le assi del pavimento della camera di Reg.

Be', tutto sembrava molto strano, punto, ma qui c'era ancora un altro fatto curioso da aggiungerequella lista sempre piú lunga. E pensare che quella doveva essere una piacevole serata lontano dal

avoro.Di getto, bussò alla camera di fronte a quella di Reg. Passò talmente tanto tempo prima che

rrivasse una risposta, che quando finalmente sentì la porta che si apriva cigolando Richard avevaiá rinunciato e stava per andarsene.

Rimase leggermente stupito di vedere che chi lo stava scrutando da sotto in su come un piccoloccello sospettoso era il professore che al posto del naso aveva una chiglia da off-shore.

"Ehm, mi scusi," disse Richard tutto d'un fiato, "ma, ehm, stasera non ha visto o sentito unavallo salire le scale?" L'uomo smise di tormentarsi ossessivamente le dita. Piegò leggermente laesta di lato, dopo di che sembrò dover affrontare un lungo viaggio dentro di sé alla ricerca di unaoce che, una volta scovata, risultò sottile e sommessa.

Disse: "È la prima cosa che mi sento dire da diciassette anni, tre mesi e due giorni, cinque ore,iciannove minuti e venti secondi. Ho tenuto il conto".

Poi richiuse delicatamente la porta.Richard attraversò il Secondo Cortile quasi correndo. Arrivato al Primo, si calmò e rallentò,

iassumendo un passo normale.L'aria gelida della notte gli bruciava i polmoni e non c'era motivo di correre. Non era riuscito a

arlare con Susan, perché il telefono di Reg non funzionava, altra cosa sulla quale il vecchio avevaorvolato con aria misteriosa. Ma questa almeno era suscettibile di una spiegazione razionale.robabilmente non aveva pagato la bolletta.

Richard stava per uscire in strada, quando decise invece di fare una capatina nella guardiola delortiere, rintanata nel grande arco d'ingresso del college.

Era un locale che sembrava una gabbia, pieno di chiavi, messaggi e con un calorifero a un sololemento. In sottofondo, una radio cicalava da sola.

"Mi scusi," disse all'omone vestito di nero che stava dietro il banco con le braccia incrociate.Io..."

"Sì, signor MacDuff, cosa posso fare per lei?"Nello stato in cui si trovava, chiedergli di ricordarsi il proprio nome era eccessivo, e per un

stante Richard rimase senza parole. I portieri di college tuttavia sono leggendari per la loro capacitái esibirsi in questi exploit mnemonici e per la tendenza a farne sfoggio alla minima occasione.

"Che lei sappia," iniziò Richard, "da qualche parte nel college, c'è un cavallo? Voglio dire, se ciosse un cavallo nel college, lei lo saprebbe, vero?"Il portiere non batté ciglio."No, signore e sì, signore. C'è altro in cui posso esserle utile, signor MacDuff?""Ehm, no," disse Richard, picchiettando le dita un paio di volte sul banco. "No. Grazie. Grazie

mille per il suo aiuto. È stato un piacere rivederla, ehm... Bob," azzardò. "Allora, buonanotte."Uscì.

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Il portiere rimase perfettamente immobile, le braccia incrociate, scuotendo la testa appenappena.

"Eccoti un po' di caffè, Bill," disse un altro portiere, piccolo e magro, emergendo da una stanza suletro con una tazza fumante. "Stasera fa un po' piú freddo, no?"

"Mi sembra di sì, Fred, grazie," disse Bill prendendo la tazza. Bevve una sorsata. "Di' pure quellohe vuoi della gente, ma non finisce mai di stupirti. Proprio ora è stato qui un tipo a chiedermi se nelollege c'è un cavallo."

"Ah, sì?" Fred sorseggiava il proprio caffè, lasciando che il vapore gli bruciasse gli occhi. "È statoui un tale poco fa. Una specie di strano prete straniero. All'inizio non capivo una parola di quello

he diceva. Però sembrava che si accontentasse di starsene qui vicino al fuoco ad ascoltare le notiziella radio."

"Ah, gli stranieri!""A un certo punto gli dico: 'Spariamo?' Starsene davanti al mio camino in quel modo. Lui salta su

mi chiede se deve fare proprio quello. E io, con la mia migliore voce da Bogart: 'Hai capitoenissimo, ragazzo'."

"Così? A me quello sembrava piú James Cagney.""No, è la mia voce da Bogart. Questa è la mia voce da James Cagney: 'Hai capito benissimo,

agazzo'."Bill aggrottò le sopracciglia. "Quella è la tua voce da James Cagney? Ho sempre pensato che fosse

a tua voce da Kenneth McKellar.""Tu non ascolti come si deve, Bill, non hai orecchio. Kenneth McKellar è così. 'Oh, tu prendi la

trada in alto e io quella in basso...'""Ah, capisco. Io pensavo al Kenneth McKellar scozzese. E poi, che ha fatto quel prete, Fred?""Be', Bill, mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto, con quello strano...""Lascia perdere l'accento, Fred, dimmi solo quello che ha detto, se ne vale la pena.""Ha detto solo che aveva capito.""Ah. Non un granché, come storia, Fred.""Bah, può darsi. Te la raccontavo solo perché ha detto anche che aveva lasciato il cavallo in un

abinetto e di guardare se stava bene." 

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Capitolo Undici...

Gordon Way fluttuava penosamente lungo la strada buia, o almeno ci provava.Pensava che da fantasma, quale doveva ammettere con se stesso di essere diventato, avrebbe

ovuto essere in grado di fluttuare. Di fantasmi ne sapeva piuttosto poco, ma pensava fra sé cheovendo proprio essere un fantasma, il fatto di non avere piú un corpo fisico da portarsi appressovrebbe dovuto comportare qualche vantaggio, per esempio quello di riuscire a fluttuare. Invece no,ui a quanto pareva avrebbe dovuto farsi la strada passo dopo passo.

Lo scopo prefisso era quello di provare a raggiungere casa sua. Non sapeva cosa avrebbe fattouando ci fosse stato, ma anche i fantasmi devono passare la notte da qualche parte e riteneva cheitrovarsi in un ambiente familiare potesse essergli d'aiuto. Che tipo di aiuto, non lo sapeva. Malmeno il viaggio gli dava un obiettivo e una volta arrivato gli sarebbe toccato di cercarsene un altro.

Si trascinava sconfortato da un lampione all'altro, fermandosi a ognuno per guardare qualchearte di sé.

Decisamente, stava diventando piuttosto spettrale. A volte svaniva quasi nel nulla, fino a sembrare poco piú di un'ombra che danzava nella bruma, un

ogno di se stesso che poteva semplicemente evaporare e scomparire. Altre gli sembrava di essereuasi solido e nuovamente reale. Una volta o due provò ad appoggiarsi a un lampione, ma se nontava attento finiva lungo disteso attraverso il palo.

 Alla fine, con grande riluttanza, cominciò a riflettere seriamente su quanto era avvenuto. Curiosa,uella riluttanza. In realtá, non ci voleva pensare. Gli psicologi dicono che la mente spesso cerca diancellare dalla memoria gli eventi traumatici e probabilmente, pensò, quella era la risposta. In fin

ei conti, se non era un'esperienza traumatica veder saltare fuori dal bagagliaio una strana figura cheoi ti prende a fucilate e ti ammazza, avrebbe proprio voluto sapere quali lo erano.

Riprese stancamente ad arrancare.Cercò di rivedere quella figura con gli occhi della mente, ma era come andare a stuzzicare un

ente cariato e pensò ad altro. Per esempio, il suo testamento era a posto? Non se lo ricordava e siece un appunto mentale di chiamare il suo avvocato l'indomani, dopo di che si fece un altro appunto

mentale, e cioè smetterla di farsi appunti mentali di quel genere.Come avrebbe fatto la sua azienda a sopravvivere senza di lui? Nessuna delle risposte possibili gli

iaceva granché.E il suo necrologio? Era un pensiero che gli gelava le ossa, dovunque si trovassero. Sarebbe

iuscito a procurarsene una copia? Cosa ci avrebbero scritto? C'era da sperare che gli facessero unuon servizio, quei bastardi. Bastava guardare quello che aveva fatto. Aveva salvato, tutto da solo,industria britannica del software: forti esportazioni, donazioni di beneficenza, borse di studio pericercatori, attraversamento dell'Atlantico a bordo di un sottomarino a energia solare (fallito, maur sempre un buon tentativo), cose di tutti i generi. Meglio che non andassero ancora a tirar fuoriuella storia del Pentagono o avrebbero dovuto vedersela con il suo avvocato. Si fece un appunto

mentale di chiamarlo l'indom...No.Fra l'altro, un morto può sporgere querela per diffamazione? Soltanto il suo avvocato poteva

aperlo, ma lui l'indomani non sarebbe stato in grado di chiamarlo. Con un crescente senso dierrore, capì che di tutte le cose che si era lasciato alle spalle nel regno dei vivi, ciò che gli mancavai piú era il telefono, ma poi riportò con decisione la mente dove non voleva tornare.

La figura.Gli era sembrato che quella figura fosse quasi quella della Morte stessa, o forse era la sua

antasia che si divertiva a prendersi gioco di lui? L'aveva sognato, o era veramente incappucciata? Ehe cosa ci faceva poi una figura, incappucciata o vestita normalmente, nel bagagliaio della sua

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 macchina?

In quel momento un'auto gli sfrecciò accanto sulla strada e scomparve nella notte, portando coné la sua oasi di luce. Pensò con nostalgia al confortevole calduccio della sua macchina, con gli internin cuoio, climatizzata, abbandonata sulla strada dietro di lui, poi improvvisamente fu colto da unensiero straordinario. C'era modo di farsi dare un passaggio? Qualcuno forse poteva vederlo? E seì, come avrebbe reagito? Bene, c'era un solo modo per scoprirlo.

 Alle sue spalle, in lontananza, sentì arrivare un'altra macchina e si girò in quella direzione. Le duehiazze di luce appannata si avvicinavano nella nebbia; Gordon digrignò i suoi denti da fantasma eirò fuori il pollice.

La vettura filò via senza badargli. Niente.Fece rabbiosamente un vago segno a V ai rossi fanalini di coda che si allontanavano e, guardando

ttraverso il braccio alzato, si rese conto che al momento non era nelle sue condizioni migliori diisibilitá. C'era forse qualche sforzo di volontá che poteva fare per rendersi piú visibile quando loesiderava? Si concentrò strizzando gli occhi, poi capì che per giudicare i risultati doveva avere glicchi aperti. Riprovò, impegnandosi mentalmente piú che poté, ma gli esiti erano poco soddisfacenti.

 Anche se sembrava che ci fosse una minima, tenue differenza, non reggeva lo sforzo e, nonostanteutta la pressione mentale che riusciva ad accumulare, svaniva quasi subito. Se voleva che la suaresenza venisse avvertita, o quanto meno notata, doveva calcolare i tempi con molta attenzione.

Da dietro si stava avvicinando un'altra macchina, a velocitá sostenuta. Si girò di nuovo, tirò fuori

pollice, aspettò il momento giusto e fece uno sforzo di volontá per rendersi visibile.L'auto sterzò leggermente, poi proseguì per la sua strada, solo un po' piú lentamente. Be', era giá

ualcosa. Che altro poteva fare? Tanto per incominciare, sarebbe andato a mettersi sotto unampione e si sarebbe esercitato. Con la prossima macchina, ci sarebbe riuscito di sicuro.

 

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Capitolo Dodici...

"... se quindi volete lasciare un messaggio vi richiamerò al piú presto possibile. Forse."Bip."Merda. Cazzo. Aspetta un minuto. Accidenti. Senti... ehm..."Clic.Richard rimise giú il telefono e sgommò in retromarcia per venti metri per dare un'altra occhiata

un cartello stradale in prossimitá di un bivio, che aveva superato inavvertitamente nella nebbia.er districarsi dal dedalo di sensi unici di Cambridge aveva usato il solito modo, che consisteva nelirare in tondo sempre piú velocemente fino a raggiungere una sorta di velocitá di fuga e partire pera tangente in una direzione a caso, che ora stava cercando di identificare e correggere.

Tornato al bivio, provò a confrontare l'indicazione del cartello stradale con quelle della mappa.

mpossibile. Il bivio, certo non per un caso, si trovava sulla giunzione di una pagina e il cartellotradale malignamente ruotava al vento. L'istinto gli diceva che stava andando dalla parte sbagliata,

ma non voleva tornare sui suoi passi, temendo di essere nuovamente risucchiato nel vorticeravitazionale del sistema viario di Cambridge.

Girò quindi a sinistra nella speranza che quella direzione gli portasse maggior fortuna, ma dopon po' gli saltarono i nervi e svoltò a destra a casaccio, provò ad andare a sinistra e dopo qualcheltra manovra del genere si perse completamente.

Imprecò contro sé stesso e alzò il riscaldamento dell'auto. Se si fosse concentrato su dove stavandando, invece di cercare di telefonare e guidare nello stesso tempo, si disse, almeno adessovrebbe saputo dov'era. In effetti non gli piaceva avere il telefono in macchina, che trovava un

nvadente fastidio. Ma Gordon aveva insistito e gliel'aveva anche pagato.Sospirò esasperato, indietreggiò e girò ancora una volta la Saab nera. Mentre faceva la manovra,

ndò quasi a sbattere contro qualcuno che trascinava un corpo in un campo. Almeno, questo fu ciòhe per un secondo sembrò al suo cervello sovreccitato, ma probabilmente in realtá si trattava di unontadino con un qualche sacco di mangime, anche se era difficile dire cosa facesse in giro in unaerata come quella. Svoltando ancora una volta, i fari colsero per un attimo la sagoma che sirascinava faticosamente nel campo con il sacco sulle spalle.

"Meglio a lui che a me," pensò Richard torvo e si rimise in cammino.Qualche minuto dopo arrivò a un incrocio con quella che sembrava una strada un po' piú

mportante, stava quasi per girare a destra, poi invece girò a sinistra. Cartelli stradali non ce n'erano.Schiacciò di nuovo i tasti del telefono."...vi richiamerò il piú presto possibile. Forse." Bip."Susan, sono Richard. Da dove devo cominciare? Che casino. Senti, mi dispiace, mi dispiace, mi

ispiace. Ho fatto una stronzata pazzesca, ed è tutta colpa mia. Però senti, farò qualsiasi cosa periparare, veramente, promessa solenne..."

 Aveva la vaga sensazione che non fosse il tono giusto da tenere con una segreteria telefonica, mandò avanti lo stesso. "Davvero, possiamo andar via, prenderci un weekend di vacanza. Sul serio,uesto weekend. Andremo al sole da qualche parte. Non importa quante pressioni cercherá di farmi

Gordon e tu sai che tipo di pressioni è in grado di fare, dopo tutto è tuo fratello. Io... be', magari in

ffetti potremmo fare per il prossimo weekend. Cazzo, cazzo, cazzo. È solo che veramente avevoromesso di finire, no, guarda, non importa. Lo facciamo e basta. Non importa di finire Anthem perComdex. Non sará la fine del mondo. Ci andiamo e basta. A Gordon non rimarrá che lanciarsi...Aaahgh!"

Richard sterzò bruscamente per schivare lo spettro di Gordon Way, che si delineò davanti ai farisi lanciò verso di lui.

Pigiò il freno a fondo, cominciò a sbandare, cercò di ricordare cosa bisognava fare quando si

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 omincia a sbandare, sapeva di averlo visto tanto tempo prima in un programma televisivo sullauida di un'auto, che programma era? Dio, non riusciva nemmeno a ricordarsi il titolo, figurarsi... ah,ì, dicevano che non bisogna pigiare il freno a fondo. Ecco cos'era. Il mondo gli ruotava attornoorticosamente con forza lenta e terrificante mentre la macchina girava da una parte all'altra dellatrada, faceva testacoda, finiva sul ciglio erboso, slittava e si fermava contromano con un sobbalzo.

Ansimando, crollò sul volante.Raccolse il telefono da dov'era caduto."Susan," disse ansando, "sto arrivando," e riattaccò. Alzò gli occhi.Dritta in piedi, nel cono di luce dei fari, c'era la figura spettrale di Gordon Way che lo fissava

ttraverso il parabrezza con uno sguardo agghiacciante e orripilato, alzando lentamente una mano andicarlo.

 Non sapeva di preciso da quanto tempo era lì fermo. L'apparizione era scomparsa alla vista nel

iro di qualche secondo, ma Richard restò lì tremante, probabilmente per non piú di un minuto,inché non venne riscosso da un improvviso stridore di freni e da un bagliore di luci.

Scrollò la testa. Si rese conto di essere fermo per strada con il muso rivolto dalla parte sbagliata.La macchina che si era fermata bruscamente facendo stridere le gomme, praticamente paraurtiontro paraurti, era un'auto della polizia. Prese due o tre respiri profondi poi, rigido e tremebondo,scì e si raddrizzò per affrontare l'agente che camminava lentamente verso di lui, stagliandosi contro

fari della macchina della polizia.L'agente lo squadrò da capo a piedi."Ehm, mi dispiace, agente," disse Richard con tutta la calma che riuscì a mettere nella propria

oce. "Ho, mmm, sbandato. Le strade sono scivolose e io, ehm... ho sbandato. Ho fatto un testa coda.Come vede, io, io mi trovo girato dalla parte sbagliata." Fece un cenno verso la macchina perndicare la direzione in cui era rivolta.

"E le dispiacerebbe spiegarmi come ha fatto a sbandare, signore?" L'agente di polizia lo fissavaritto negli occhi mentre tirava fuori un taccuino.

"Be', come le ho detto," spiegò Richard, "le strade sono scivolose per via della nebbia e, insomma,er essere assolutamente sinceri," si ritrovò improvvisamente a dire, nonostante tutti i suoientativi di fermarsi, "stavo guidando quando tutto a un tratto m'è sembrato di vedere il mio datorei lavoro che mi si buttava sotto la macchina."

L'agente lo guardò impassibile."Complessi di colpa, agente," aggiunse Richard con un abbozzo di sorriso, "sa com'è. Stavo

ensando di prendermi un fine settimana di vacanza."L'agente di polizia sembrò esitare, in bilico su una lama di rasoio fra la simpatia e il sospetto. Gli

cchi gli si restrinsero un po', ma senza vacillare."Ha bevuto, signore?""Sì," disse Richard con un rapido sospiro, "ma pochissimo. Due bicchieri di vino al massimo. E...

h, un bicchierino di porto. Assolutamente non un goccio di piú. Davvero, è stato solo un attimo diistrazione. Ora sto bene.""Nome?"Richard gli dette il suo nome e l'indirizzo. Il poliziotto si appuntò tutto attentamente e

rdinatamente sul taccuino, poi sbirciò il numero di targa della macchina e scrisse anche quello."E chi è il suo datore di lavoro, signore?" "Si chiama Way. Gordon Way.""Ah," disse il poliziotto alzando le sopracciglia, "quello dei computer.""Mmm, giá, proprio lui. Io elaboro programmi per la ditta. WayForward Technologies II.""Abbiamo uno dei vostri computer giú alla centrale," disse il poliziotto. "Mi venisse un accidenti

e riesco a farlo funzionare."

"Ah," fece Richard con voce stanca, "che modello avete?""Mi sembra che si chiami Quark II.""Ah be', allora è chiaro," disse Richard con sollievo. "Non funziona. Non ha mai funzionato.

Quell'aggeggio è una merdata.""Buffo, signore, è quello che abbiamo sempre detto noi," disse il poliziotto. "Alcuni dei nostri

olleghi non sono d'accordo."" '

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, , . .allimento della prima ditta. Le consiglio di usarlo come un grosso fermacarte."

"Sa, non credo che sia una buona idea, signore," insistette il poliziotto. "La porta sipalancherebbe."

"In che senso, agente?" chiese Richard."Lo uso per tenere la porta chiusa, signore. In questa stagione, giú alla centrale ci sono brutte

orrenti d'aria. D'estate, naturalmente, lo usiamo per darlo in testa ai sospettati."Richiuse il taccuino di botto e se lo fece scivolare in tasca. "Il mio consiglio, signore, è di infilare

ritto dritto la via del ritorno. Chiuda la macchina e questo fine settimana si prenda una bellabronza. Secondo me è l'unica cosa. Stia attento a come guida, ora."

Tornò alla sua auto, abbassò il finestrino e guardò Richard fare manovra e allontanarsi nellaotte prima di ripartire a sua volta. Richard fece un respiro profondo, tornò con calma a Londra,ntrò con calma nel suo appartamento, scavalcò con calma il divano, si sedette, si versò un robustorandy e cominciò a tremare seriamente.

Tre erano le cose per le quali tremava.C'era il semplice choc fisico dello scampato incidente, una di quelle cose che scuote sempre piú di

uanto ci si aspetterebbe. L'adrenalina invade il corpo e poi ristagna nel sistema nervosomandandolo a pallino.

Poi c'era la causa della sbandata, la straordinaria apparizione di Gordon che in quell'istante gli si

uttava sotto la macchina. Ragazzi, oh ragazzi. Richard bevve un sorso di brandy e lo tenne in bocca.osò il bicchiere.Tutti sapevano che Gordon era uno dei piú grossi produttori mondiali di sensi di colpa e che era

n grado di scaricarne una tonnellata fresca tutte le mattine sullo zerbino di casa, ma Richard non sira reso conto di aver lasciato che le cose arrivassero fino a quel punto.

Riprese il bicchiere, salì al piano di sopra e aprì la porta della sua stanza di lavoro, il cheignificava spostare una pila di numeri di "Byte" che vi erano ammucchiati contro. Le spinse via con piede e si diresse verso il fondo della grande camera. Da questa parte ampie vetrate offrivano laista su una buona fetta dei quartieri nord di Londra, dove ora la nebbia si stava alzando. Inontananza, nel buio, brillava St Paul e lui la guardò, ma non gli fece nessun effetto particolare. Dopo

li eventi della serata, trovò che fosse una piacevole sorpresa.Dall'altro lato della stanza c'era un paio di lunghi tavoli completamente occupati, all'ultimoonteggio, da sei computer Macintosh. Al centro c'era un Mac II su cui girava pigramente unaroiezione in rosso della struttura del suo divano all'interno di una proiezione in blu della scalinatatretta, completa di balaustra, calorifero e contatore della luce e, naturalmente, della sua bruttaurva a metá.

Il divano cominciava a ruotare in una direzione, trovava un impedimento, girava su un terzo asseino a quando non veniva nuovamente bloccato e poi ricominciava il ciclo di movimenti se guendo unrdine differente. Non c'era bisogno di guardare a lungo la sequenza per rendersi conto che siipeteva.

Il divano era palesemente incastrato. Altri tre Macintosh erano collegati attraverso un lungo groviglio di cavi a un caotico agglomerato

i sintetizzatori, un Emulator II piú un campionatore HD, uno schedario di moduli TX, un ProphetVS, un Roland JX10, un Korg DW8000, un Octapad, una piastra per chitarra Synth-Axe Midi permancini e persino una vecchia batteria elettrica accantonata in un angolo a raccogliere polvere, piú omeno tutto quello che poteva servire. C'era anche un piccolo registratore a cassette, che veniva usato

i rado: quasi tutta la musica, invece che su nastro, veniva riversata in ordinatori in sequenza neiomputer.

Si lasciò cadere su una sedia davanti a uno dei Macintosh a guardare cosa faceva, ammesso cheacesse qualcosa. Sul monitor si vedeva un foglio di calcolo di Excel, senza titolo, e Richard si chiese

perché.Lo salvò e guardò per vedere se ci fosse qualche appunto scritto da lui e scoprì subito che il foglio

i calcolo conteneva alcuni dei dati che lui stesso aveva scaricato dopo aver frugato le banche datin-line di "World Reporter" e "Knowledge" in cerca di informazioni sulle rondini.

Ora disponeva di diagrammi dettagliati sulle loro abitudini migratorie, la forma delle ali, ilrofilo aerodinamico e le caratteristiche di turbolenza, e qualche diagramma piú rudimentale sulla

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  ,u come fonderli tutti insieme. Poiché quella sera era troppo stanco per poter pensare conarticolare costrutto, selezionò e copiò a casaccio dal foglio di calcolo una manciata intera di cifre, le

mportò nel suo programma di conversione, che le ordinò, le filtrò e le manipolò secondo algoritmiperimentali elaborati da lui, caricò il documento convertito in Performer, un potenteequenziatore, e ascoltò il risultato attraverso canali Midi casuali su quei sintetizzatori che al

momento erano accesi.Il risultato fu una breve esplosione di una cacofonia assolutamente orribile, che lui fermò.Tornò di nuovo al programma di conversione, istruendolo stavolta perché spostasse in sol

minore tutti i valori piú alti. Era una funzione di cui meditava di sbarazzarsi prima o poi, perché laonsiderava un imbroglio. Ammesso che la sua ferma convinzione, secondo cui i ritmi e le armoniemusicali che gli riuscivano piú graditi si potessero trovare, o almeno ricavare, dai ritmi e le armonie

i fenomeni che si verificano in natura, avesse un qualche fondamento, allora ogni forma di modalitáintonazione doveva emergere altrettanto naturalmente, non essere pilotata.

Per il momento, tuttavia, le pilotava.Il risultato fu una breve esplosione di una cacofonia assolutamente orribile in sol minore.Tanto peggio per le soluzioni casuali.Il primo passo era relativamente facile, e consisteva semplicemente nel tracciare il movimento

ndulatorio descritto dalla punta dell'ala di una rondine in volo per poi trasferirlo al sintetizzatore.

n quel modo sarebbe approdato a una nota singola, un buon punto di partenza a cui avrebbe potutorrivare in non piú di un fine settimana. A parte il fatto che, naturalmente, non aveva nessun fine settimana libero, visto che prima o poi

el corso dell'anno successivo (o "mese" come diceva Gordon) in un modo o nell'altro doveva buttareuori la Versione 2 di Anthem.

Il che riportava inesorabilmente Richard al terzo motivo per cui stava tremando.Non c'era verso assolutamente che quel weekend o il prossimo potesse prendersi la vacanza per

mantenere la promessa fatta alla segreteria telefonica di Susan. Questo, anche lasciando da parte ilidone di quella sera, avrebbe significato sicuramente la rottura finale.

Ma così stavano le cose. Era fatta. Una volta lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica di

ualcun altro non c'è piú niente da fare, se non aspettare che gli eventi seguano il proprio corso. Eraatta. Irrevocabilmente.

Fu colpito da un pensiero curioso.Lo colse decisamente di sorpresa, ma non riusciva proprio a capire cosa fosse che non andava. 

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Capitolo Tredici...

Un binocolo che scruta l'orizzonte notturno di Londra, ozioso, curioso, indiscreto. Un'occhiatinaua, un'occhiatina lá, tanto per vedere cosa sta succedendo, se c'è qualcosa di interessante, qualcosai utile.

Il binocolo indugia sul retro di una casa in particolare, attratto da un movimento impercettibile.Una di quelle grandi ville tardo-vittoriane, probabilmente ora trasformata in appartamenti. Unacco di grondaie di ferro nero. Pattumiere di plastica verde. Buio. No, nient'altro.

Il binocolo sta quasi per spostarsi piú in lá, quando un raggio di luna coglie un altro movimentompercettibile. Il binocolo rimette a fuoco molto confusamente, cercando di scovare un dettaglio, unontorno, un leggero contrasto nell'oscuritá. Ora la nebbia si è alzata e la notte è limpida. Rimette auoco appena un po' meglio.

Ecco qua. Sì, c'è qualcosa. Solo che stavolta è appena un po' piú in alto, una trentina di centimetri,orse un metro. Il binocolo indugia e si riposa, immobile, in cerca di un contorno, di un particolare.

Ecco. Il binocolo torna a fermarsi: ha trovato la sua preda, a metá strada fra un davanzale e unarondaia.

È una figura scura, appoggiata alla parete, che guarda in basso, cerca un nuovo punto d'appoggio,uarda in alto, cerca una sporgenza. Il binocolo scruta attentamente.

La figura è quella di un uomo alto e sottile. È vestito in modo adeguato a quello che sta facendo,antaloni scuri, maglione scuro, ma i suoi movimenti sono goffi e sgraziati. Nervosi. Interessante. Ilinocolo aspetta e soppesa, soppesa e valuta.

L'uomo è chiaramente un dilettante bello e buono.

Basta guardare come annaspa. Basta guardare la sua inettitudine. Gli scivola un piede sullarondaia, le mani non riescono a raggiungere la sporgenza. Quasi cade. Si ferma a riprendere fiato.er un momento comincia a ridiscendere, ma sembra trovarlo ancora piú difficoltoso.

Si allunga ancora verso la sporgenza e questa volta l'afferra. Il piede si slancia in fuori per trovaren appoggio e per poco non manca la grondaia. Se la sarebbe vista brutta, davvero molto brutta.

Ora però il percorso è piú agevole e i progressi piú decisi. Attraversa un'altra grondaia, raggiunge davanzale di una finestra al terzo piano, gioca per un istante con la morte mentre strisciaenosamente per arrampicarsi sopra e fa l'errore fatale di guardare giú. Barcolla un attimo e sippoggia pesantemente all'indietro. Si fa schermo con le mani e scruta all'interno per assicurarsi chea stanza sia buia, dopo di che si dispone ad aprire la finestra.

Una delle cose che differenziano il dilettante dal professionista è che questo è il momento in cui ililettante scopre che sarebbe stata una buona idea portarsi dietro qualcosa per forzare la finestra.

Fortunatamente per questo dilettante, anche il proprietario della casa è un dilettante e il telaio dellainestra scivola su a malincuore. Con un certo sollievo, lo scalatore scavalca ed entra.

Bisognerebbe rinchiuderlo per il suo stesso bene, pensa il binocolo. Una mano fa per allungarsierso il telefono. Alla finestra, un volto si guarda indietro e per un attimo è rischiarato dalla luna,oi torna a chinarsi e continua le sue cose.

La mano resta sospesa sul telefono per un momento o due, mentre il binocolo aspetta e soppesa,oppesa e valuta. La mano si posa invece sulla guida A-Z delle vie di Londra.

C'è una lunga pausa di riflessione, un lavorio piú intento del binocolo, poi la mano si posa diuovo sul telefono, lo solleva e compone un numero. 

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Capitolo Quattordici...

L'appartamento di Susan era piccolo ma spazioso, un trucco, rifletté Richard nervosamenteccendendo la luce, che soltanto le donne sembravano capaci di sfoderare.Non era quella considerazione a renderlo nervoso, naturalmente, l'aveva giá fatta prima,

arecchie volte. Tutte le volte, anzi, che andava nel suo appartamento. Ne restava sempre colpito, inenere perché ci arrivava direttamente da casa sua, grande quattro volte tanto eppure ingombrall'inverosimile. Anche stavolta era arrivato direttamente da casa sua, ma attraverso una viaiuttosto stravagante ed era questo che rendeva la sua solita considerazione insolitamente nervosa.

Nonostante il freddo della notte, stava sudando.Dette un altro sguardo fuori della finestra, si girò e attraversò in punta di piedi la stanza verso il

unto in cui si trovava il tavolino con il telefono e la segreteria telefonica.

Era inutile, si disse, camminare in punta di piedi. Susan non era in casa. Anzi, gli sarebbe proprioiaciuto sapere dov'era, come d'altra parte a lei, si disse, probabilmente sarebbe proprio piaciutoapere dov'era lui all'inizio della serata.

Si rese conto che continuava a camminare in punta di piedi. Si dette un pugno sulla gamba permetterla, ma andò avanti lo stesso.

 Arrampicarsi sul muro lá fuori era stato spaventoso.Si asciugò la fronte con la manica del suo maglione piú vecchio e piú sudicio. C'era stato un

ruttissimo momento in cui era passata davanti agli occhi tutta la sua vita, ma era così preoccupatoi cadere che ne aveva perso tutti i momenti migliori. Molti dei momenti migliori avevano qualcosache fare con Susan, rifletté. Con Susan o con i computer. Mai con Susan e i computer. Quelli erano

tati in gran parte i momenti peggiori. Che poi era il motivo per cui si trovava lì, si disse. Gliembrava di aver bisogno di un po' di convinzione e se lo ripeté un'altra volta.

Guardò l'orologio. Le undici e quarantacinque.Gli venne in mente che, prima di toccare qualsiasi cosa, avrebbe fatto meglio ad andare a lavarsi

e mani fradicie e sporche. Non era la polizia che temeva, ma la terribile donna delle pulizie di Susan.Lei se ne sarebbe accorta.

 Andò in bagno, accese l'interruttore della luce, lo ripulì e mentre lasciava che l'acqua scorresseulle mani guardò la sua faccia perplessa nello specchio illuminato dall'accecante luce al neon. Per unttimo ripensò alla luce calda e danzante delle candele alla Cena per Coleridge e quelle immaginiiemersero dalla prima parte della serata, ormai un passato lontano e sfumato. Allora la vitaembrava facile e spensierata. Il vino, la conversazione, i semplici giochetti di prestigio. Gli tornò in

mente la faccia pallida e rotonda di Sarah, gli occhi strabuzzati per la meraviglia. Si lavò la faccia.Pensò: ..In guardia! In guardia! I lampi dei suoi occhi, i suoi capelli al vento! Si pettinò i capelli. Ripensò anche ai quadri appesi in alto, nel buio, sopra le loro teste. Si lavò i

enti. Il ronzio leggero della luce al neon lo riportò alla realtá e improvvisamente si ricordò con un

ussulto di terrore che era lì nelle vesti di scassinatore.Qualcosa lo indusse a guardarsi nello specchio, dritto negli occhi, poi scosse la testa cercando dichiarirsi le idee.

Quando sarebbe rincasata Susan? Naturalmente, dipendeva da cosa stava facendo. Si asciugò lemani rapidamente e tornò alla segreteria telefonica. Protese un dito verso i tasti e la coscienza

rotese un dito verso di lui. Il nastro si riavvolse per quello che gli parve un tempo interminabile eui pensò con un sussulto che quella doveva essere una delle piene di Gordon.

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 Non aveva pensato che, ovviamente, sulla segreteria ci sarebbero stati altri messaggi oltre al suo,che sentire i messaggi telefonici altrui equivaleva ad aprirne la corrispondenza.

Spiegò a se stesso ancora una volta che stava soltanto cercando di riparare a un errore fatto inrecedenza, prima che provocasse un danno irreparabile. Avrebbe ascoltato solo brevissimi

rammenti, fino a che non avesse sentito la propria voce. In quel modo non era neanche così brutto,on sarebbe nemmeno riuscito a capire cosa dicevano.

Con un gemito soffocato, digrignò i denti e schiacciò il tasto Play con tanta irruenza che lo mancòper errore fece uscire la cassetta. La rimise a posto e premette il tasto Play con piú attenzione.

Bip.

"Oh, Susan, ciao, sono Gordon," disse la segreteria telefonica. "Sto andando alla villetta. È,mmm..." Andò avanti per un paio di secondi. "...bisogno di sapere che Richard si occupa della cosa.Voglio dire, che si occupa davvero..." Richard indurì le labbra e schiacciò di nuovo il Fast Forward.Davvero non sopportava che Gordon cercasse di fargli pressioni servendosi di Susan, cosa cheGordon continuava a negare ostinatamente. Richard non poteva biasimare Susan per la sua

sasperazione nei confronti del lavoro, perdurando questo stato di cose.Clic."...'a vista'. Lascia un appunto per Susan, se non ti dispiace, di far mettere un cartello 'Si spara a

ista' con un palo aguzzo in fondo sulla montagnetta di destra a un'altezza visibile dai conigli.""Che?" borbottò Richard a se stesso e il suo dito esitò per un momento sul tasto Fast Forward.

Aveva l'impressione che Gordon desiderasse disperatamente essere Howard Hughes e, visto che nonoteva nemmeno lontanamente sperare di essere ricco come lui, cercava almeno di essere due volteiú eccentrico. Una farsa. Una vera farsa.

"Susan la segretaria dell'ufficio, voglio dire, non tu, naturalmente," continuò la voce di Gordonulla segreteria telefonica. "Dov'ero rimasto? Ah, giá. Richard e l'Anthem 2.00. Susan, quell'aggeggioeve essere al beta-test di qui a due..." Stringendo le labbra, Richard schiacciò il Fast Forward.

"... fatto è che c'è una sola persona in grado di sapere se sta facendo il lavoro serio o se sta soloognando, e quella persona..." Schiacciò di nuovo il tasto con rabbia. Si era ripromesso di nonscoltare niente e ora eccolo li ad arrabbiarsi per quello che sentiva. Doveva proprio smetterla.

D'accordo, un altro tentativo.Ricominciò ad ascoltare, ma sentì solo della musica. Strano. Andò avanti ancora un po', e sentì

ncora musica. Perché mai, si chiese, uno deve telefonare per far sentire della musica a unaegreteria telefonica?

Il telefono squillò. Lui fermò il nastro e rispose poi, rendendosi conto di quello che stava facendo,asciò quasi cadere la cornetta, come se fosse un'anguilla elettrica. Accostò il telefono all'orecchio,sando a stento respirare.

"Regola Numero Uno dell'effrazione," disse una voce. "Mai rispondere al telefono nel bel mezzoi un lavoro. Chi crede di essere, per Dio?"

Richard era raggelato. Gli ci volle un momento o due prima di riuscire a scoprire dove gli era

inita la voce."Chi è?" domandò infine con un sussurro."Regola Numero Due," continuò la voce. "Preparazione. Portarsi gli attrezzi giusti. Portare i

uanti. Cercare di avere almeno una pallida idea di ciò che ci si appresta a fare prima di mettersi aenzolare dai davanzali delle finestre nel cuore della notte.

Regola Numero Tre. Non dimenticare mai la Regola Numero Due.""Chi è?" esclamò ancora Richard.La voce riprese imperterrita. "Sorveglianza del Vicinato," disse. "Se guarda fuori della finestra

ul retro, vedrá..." Portandosi dietro il telefono, Richard corse alla finestra e guardò fuori. Un lampoontano lo fece sussultare.

"Regola Numero Quattro. Mai stare dove si può essere fotografati.Regola Numero Cinque... Mi sta ascoltando, signor MacDuff?""Cosa? Sì..." disse Richard sbigottito. "Come fa a conoscermi? ""Regola Numero Cinque. Mai ammettere il proprio nome." Richard rimase in silenzio, ansando."Tengo un piccolo corso," disse la voce, "se le interessa..." Richard non disse nulla."Sta imparando," proseguì la voce, "lentamente ma sta imparando. Se imparasse alla svelta a

'

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  . ,ncompetente, e quindi non l'ha fatto. Si dá il caso che io non tenga corsi per scassinatori neofiti, peruanto sia un'idea allettante. Sicuramente ci saranno delle borse di studio. Se vogliamo portarcene aasa una bisognerá bene che li addestriamo.

Comunque, se tenessi un corso di questo genere, le consentirei di iscriversi gratis, perché anch'ioono curioso. Curioso di capire perché il signor Richard MacDuff che, a quanto mi è dato di sapere,ggi è un agiato giovanotto, qualcosa nell'industria dei computer, mi sembra, improvvisamente sirova a dover ricorrere alla violazione di domicilio."

"Chi...?""Così faccio una piccola indagine, telefono all'Ufficio Informazioni Abbonati e scopro che

appartamento in cui si sta introducendo è quello di una certa signorina S. Way. So che il datore diavoro del signor Richard MacDuff è il famoso signor G. Way e mi chiedo se per caso non ci sia unesso fra i due."

"Chi...?""Stai parlando con Svlad, attualmente meglio noto come 'Dirk' Cjelli, per motivi che al momento

arebbe futile esaminare, in affari sotto il nome di Gently. Ti auguro una buona serata. Se vuoiaperne di piú, fra dieci minuti sarò al Pizza Express, nella Upper Street. Porta i soldi."

"Dirk?" esclamò Richard. "Stai... stai cercando di ricattarmi?""No, idiota, per la pizza." Ci fu un clic e Dirk Gently riattaccò.

Richard restò impietrito per un istante o due, si asciugò di nuovo la fronte, poi rimise a posto ilelefono, delicatamente, come se fosse un criceto ferito. Il suo cervello cominciò a ronzareommessamente, succhiandosi il pollice. Tante piccole sinapsi nascoste nel fondo della sua cortecciaerebrale si dettero la mano e cominciarono a danzare in tondo cantando filastrocche per bambini.cosse la testa cercando di farle smettere, poi tornò in fretta accanto alla segreteria telefonica.

Lottò con se stesso per decidere se schiacciare di nuovo il tasto Play, poi lo fece, anche se non sira ancora chiarito le idee. Non erano passati nemmeno quattro secondi di quella tranquilla musicaeggera per orchestra, quando dall'ingresso arrivò il rumore di una chiave che veniva introdotta nellaerratura.

In preda al panico, Richard pigiò il tasto Eject, ne fece saltare fuori la cassetta, se la cacciò nella

asca dei jeans e la sostituì prendendone una dalla pila di cassette vergini che si trovava accanto alelefono. A casa sua, accanto alla segreteria, c'era una pila simile. Le portava Susan dall'ufficio,overa Susan, che tanto penava in ufficio. Il giorno dopo, quando avrebbe avuto il tempo e laoncentrazione necessari, doveva ricordarsi di provare simpatia per lei.

Improvvisamente, senza nemmeno rendersene conto, cambiò idea. In un batter d'occhio fececattare fuori della segreteria la nuova cassetta, la sostituì con quella che aveva sottratto, premette ilasto di riavvolgimento e si slanciò verso il divano dove, nei due secondi prima che la porta siprisse, cercò di assumere una posa disinvolta e provocante. D'istinto, si cacciò la mano sinistraietro la schiena, dove poteva tornargli utile.

Stava giusto tentando di conferire ai suoi lineamenti un'espressione composta in parti uguali di

ontrizione, buon umore e seduzione sessuale, quando la porta si aprì ed entrò Michael Wenton-Weakes.

Tutto si bloccò.Fuori, il vento cessò. I gufi si fermarono a mezz'aria. Insomma, forse lo fecero e forse no, ma di

icuro il riscaldamento centralizzato scelse quel momento per spegnersi, forse incapace di far frontel gelo soprannaturale calato improvvisamente sulla stanza.

"Che cosa ci fai qui, Wenton?" chiese Richard, Si alzò dal divano come sollevato dall'ira.Michael Wenton-Weakes era un omone dalla faccia triste. Indossava un completo che era stato

omperato da suo padre, il compianto Lord Magna, quarant'anni prima; all'epoca, aveva un taglioerfetto.

Michael Wenton-Weakes era fra i primissimi della piccola ma selezionata lista di persone cheRichard non poteva assolutamente vedere.

Non lo poteva vedere perché trovava profondamente odiosa l'idea di un individuo che non solora un privilegiato, ma per di piú si piangeva addosso, convinto che il mondo non capisse veramenteproblemi delle persone privilegiate. Michael, d'altra parte, non poteva vedere Richard per la

emplice ragione che Richard non lo poteva vedere e non ne faceva mistero.'

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  , ,usan che, quando vide Richard, si fermò. Posò la borsetta, si tolse la sciarpa, si sbottonò il cappotto,e lo sfilò, lo porse a Michael, si avvicinò a Richard e gli allungò un ceffone.

"Me lo sono tenuta per tutta la serata," disse furibonda. "E non fingere di avere dietro la schienan mazzo di fiori che hai dimenticato di portarmi. Ci hai giá provato l'ultima volta." Poi si girò e sillontanò a passo di marcia.

"Stavolta è una scatola di cioccolatini che mi sono dimenticato," disse Richard tetro protendendoa mano vuota verso la schiena di lei. "Ho scalato tutta la facciata. Quando sono entrato mi sonoentito un idiota."

"Non è affatto divertente," disse Susan. Si scaraventò in cucina, da dove si udì un rumore come setesse macinando il caffè a mani nude. Per essere una persona apparentemente sempre così compita,olce e delicata, nascondeva un bel caratterino.

"È vero," protestò Richard, ignorando Michael completamente. "Mi sono quasi ammazzato.""Non abbocco," disse Susan dalla cucina. "Se vuoi farti tirare addosso qualcosa di grosso e di

ffilato, perché non vieni qua a fare lo spiritoso?""Immagino che a questo punto sarebbe inutile dire che mi dispiace," le gridò Richard."Hai indovinato," disse Susan scaraventandosi fuori della cucina. Lo guardò con occhi

iammeggianti e pestò anche un piede sul pavimento."Sinceramente, Richard," fece lei. "Ora stai per dire che te ne sei dimenticato un'altra volta. Come

uoi avere la faccia tosta di startene lì con due braccia, due gambe e una testa, come un esseremano? Il tuo è un comportamento che farebbe vergognare una scarica di dissenteria amebica.commetto che anche la piú infima forma di ameba dissenterica di tanto in tanto passa a prendere laua fidanzata per portarla a fare quattro passi sulle pareti dello stomaco. Bene, spero che la tuaerata sia stata uno schifo."

"È così," disse Richard. "Non ti saresti divertita. C'era un cavallo nel bagno e sai bene che detestiuel genere di cose."

"Oh, Michael," sbottò Susan brusca, "non te ne stare lì come un budino andato a male. Graziemille per la cena e il concerto, sei stato davvero gentile e in effetti mi sono divertita ad ascoltareutta la sera i tuoi problemi, che costituiscono un eccellente diversivo rispetto ai miei. Credo però

he farei meglio a cercare il tuo libro e a sbatterti fuori. Devo fare un serio pandemonio e qualcherlaccio e so quanto questo sconvolga la tua delicata sensibilitá."

Gli tolse il cappotto di mano e lo appese. Occupato a reggerlo, Michael pareva interamentessorto dal suo compito e dimentico di tutto il resto. Una volta rimastone privo, sembrò un po'marrito e fu costretto a tornare alla vita. Posò di nuovo i suoi grandi occhi pesanti su Richard.

"Richard," disse, "ho, mmm, letto il tuo articolo su... su 'Fathom'. Su Musica e, mmm...""Paesaggi di frattali," tagliò corto Richard. Non voleva parlare con Michael e certo non voleva

arsi trascinare in una conversazione sull'orrenda rivista di Michael. O meglio, la rivista che unaolta era di Michael.

Era esattamente questo l'aspetto della conversazione in cui Richard non voleva farsi trascinare.

"Mmm, giá. Molto interessante, naturalmente," disse Michael con la sua voce dolce e melliflua.Forme di alberi e montagne e roba del genere. Alghe riciclate."

"Algoritmi ricorsivi.""Certo, certo. Molto interessante. Ma sbagliato, terribilmente sbagliato. Per la rivista, voglio

ire. Dopo tutto, è una rivista d'arte. Io, naturalmente, non avrei mai permesso una cosa simile. Rossha completamente rovinata. Completamente. Dovrebbe andarsene. Deve. Non ha sensibilitá e poi èn ladro."

"Non è un ladro, Wenton, questa è davvero uno sciocchezza," scattò Richard, facendosimmediatamente trascinare nella discussione nonostante la decisione di non farlo. "Lui non c'entrassolutamente niente con il fatto che ti hanno dato il benservito. Quella è stata solo una tua stupidaolpa, e tu..."

Si udì il sibilo di un respiro profondo."Richard," disse Michael con la sua voce piú dolce e tranquilla (discutere con lui era come

mpigliarsi in un paracadute), "credo che tu non abbia capito l'importanza...""Michael," disse Susan, gentile ma ferma, tenendo aperta la porta. Michael Wenton-Weakes

nnuì debolmente e sembrò afflosciarsi.

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"Il tuo libro," aggiunse Susan, porgendogli un piccolo volume antico sull'architettura ecclesiasticael Kent. Lui lo prese, mormorò qualche flebile ringraziamento, si guardò attorno per un attimoome se all'improvviso si accorgesse di qualche cosa piuttosto strana, poi si ricompose, salutò con unenno del capo e se ne andò.

Richard non si era reso conto di quanto fosse nervoso fino a che Michael non se ne fu andato e luiominciò a rilassarsi. Non aveva mai sopportato l'indulgenza e il debole che Susan aveva per

Michael, anche se lei cercava di dissimularlo trattandolo in modo terribilmente rude.robabilmente, il motivo era proprio quello.

"Susan, cosa posso dire...?" esordì con poca convinzione.

"Tanto per incominciare, puoi dire 'Ahi'. Quando ti ho tirato lo schiaffo non mi hai dato nemmenouella soddisfazione, e mi sembrava di avertelo dato piuttosto forte. Gesú, ma qui si gela. Cosa ci fauella finestra aperta?"

 Andò a chiuderla."Te l 'ho detto. È da lì che sono entrato," disse Richard.Lo disse con aria di sufficienza, come se volesse che lei si girasse a guardarlo stupita."Davvero," aggiunse, "come nella pubblicitá dei cioccolatini, solo che io mi sono dimenticato i

ioccolatini..." Si strinse nelle spalle imbarazzato.Lei lo guardò sbalordita."Che diavolo ti ha preso per fare una cosa simile?" disse. Sporse la testa dalla finestra e guardò

iú. "Avresti potuto ammazzarti," disse girandosi di nuovo verso di lui."Be', ehm, sì..." fece lui. "È solo che sembrava l'unica possibilitá per... Non so." Si fermò di colpo.

Ti sei ripresa la chiave, non ricordi?""Sì. Ero stufa di vederti arrivare a razziare la mia dispensa quando non volevi incomodarti a fare

a spesa. Richard, veramente sei salito da quella parte?""Sai, volevo essere qui quando tu fossi arrivata."Lei scosse la testa sbigottita. "Sarebbe stato molto meglio che ci fossi stato quando sono uscita. È

er questo che hai addosso quei vecchi vestiti sporchi?""Sì. Non crederai che sia andato alla cena del St Cedd così?""Be', ormai non so piú quali sono i comportamenti che tu consideri razionali." Sospirò, cercando

ualcosa in un cassettino. "Ecco qua," disse porgendogli un paio di chiavi infilate in un anello, "seeve servire a salvarti la vita. Sono troppo stanca per essere ancora arrabbiata. Una serata a farmiampinare da Michael mi ha sfinita completamente."

"Guarda, non so proprio perché ti sei fissata con lui," disse Richard andando a prendere il caffè."Lo so che non ti piace, ma è molto gentile e sa essere affascinante in quel suo modo triste. In

enere è molto rilassante stare con una persona tanto presa da sé, che non ti fa domande personali.Lui però è ossessionato dall'idea che io possa fare qualcosa per la sua rivista. Naturalmente non èosì. La vita non va in quel modo. Però mi dispiace per lui."

"A me no. Per tutta la vita le cose gli sono sempre andate lisce. E continuano ad andarglì lisce. Gli

anno soltanto tolto il giocattolo dalle mani, tutto qua. Ti sembra un'ingiustizia così grave?""Non è una questione di giustizia o meno. Mi dispiace per lui perché è infelice.""Be', chiaro che è infelice. Al Ross ha trasformato 'Fathom' in una rivista veramente intelligente e

rillante che a un tratto tutti vogliono leggere. Prima era solo un'accozzaglia di incompetenti. La suanica funzione era quella di permettere a Michael di invitare a pranzo chi gli pareva e di fare il

eccapiedi, con la scusa che magari avrebbe potuto scriverci qualcosa. A stento è riuscito a far uscireualche numero. Quella faccenda era tutta una messinscena. Ci giocherellava. Personalmente, non lorovo per nulla affascinante o interessante. Mi spiace, continuo a insistere e non era mia intenzione."

Susan si strinse nelle spalle imbarazzata."Secondo me, esageri," disse, "anche se credo che comincerò a evitarlo, se continua a starmi

ddosso perché faccia una cosa che semplicemente non posso fare. È troppo faticoso. Comunqueenti, sono contenta che la tua serata sia stata uno schifo. Voglio parlare di quello che avremmoovuto fare questo fine settimana."

"Ah," disse Richard, "be'...."Oh, forse prima farei meglio a sentire i messaggi."Gli passò accanto andando verso la segreteria telefonica, ascoltò i primi secondi del messaggio di

Gordon, poi all'improvviso tirò fuori la cassetta.

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 "Non ho voglia," gli disse porgendogliela. "Non potresti darla direttamente a Susan in ufficio,omani mattina? Le risparmierai un viaggio. Se c'è qualcosa di importante me lo dirá."

Richard batté le palpebre, disse: "Ehm, giá," e intascò il nastro, tremando per l'emozione dellocampato pericolo.

"Allora, il fine settimana...," disse Susan, sedendosi sul divano.Richard si passò una mano sulla fronte. "Susan, io...""Temo che dovrò lavorare. Nicola è malata e a partire da venerdì devo sostituirla al Wigmore per

na settimana. C'è qualcosa di Vivaldi e di Mozart che non so troppo bene e temo che questoignifichi parecchie prove in piú questo weekend. Mi dispiace."

"Be', in effetti," disse Richard, "anch'io devo lavorare." Le si sedette accanto."Lo so. Gordon mi incalza perché ti stia addosso. Vorrei che non lo facesse. Non sono affari miei e

mi mette in una posizione antipatica. Sono stanca di farmi mettere sotto pressione dalla gente,Richard. Tu almeno non lo fai."

Bevve un sorso di caffè."Però," aggiunse, "ci dev'essere una via di mezzo, che mi piacerebbe esplorare, fra l'essere messa

otto pressione e l'essere completamente dimenticata. Abbracciami."L'abbracciò, pensando che aveva una fortuna mostruosa e immeritata. Un'ora dopo uscì e scoprì

he il Pizza Express era chiuso. Intanto, Michael Wenton-Weakes faceva ritorno a casa sua, a Chelsea. Seduto sul sedile

osteriore del taxi, guardava le strade con sguardo assente e tamburellava leggermente le dita sulinestrino con ritmo lento e riflessivo.

Rap tap tap a rap tap a rap a tap.Era una di quelle persone pericolose, tranquille, accomodanti e malleabili, a patto che abbiano

empre ciò che vogliono. Poiché aveva sempre avuto ciò che voleva, apparentemente soddisfatto eenza problemi, nessuno l'aveva mai pensato altro che come una persona tranquilla, accomodante e

malleabile. Bisognava scavare parecchi strati di tranquilla malleabilitá per scoprirne uno che nonedeva sotto la lama. Tutti gli altri strati di tranquilla malleabilitá erano lì apposta per proteggere

uello.Michael Wenton-Weakes era il figlio minore di Lord Magna, editore, proprietario di giornali eadre troppo indulgente, sotto la cui ala protettiva Michael dirigeva con soddisfazione la sua rivistaon perdite grandiose. Lord Magna aveva sovrinteso al graduale ma dignitoso e rispettato declinoell'impero editoriale originariamente fondato dal padre, il primo Lord Magna.

Michael continuò a tamburellare le nocche sul vetro. A rap tap a rap a tap.Si ricordò il giorno orribile, tremendo in cui suo padre era rimasto fulminato cambiando un

usibile e sua madre, sua madre, aveva rilevato l'azienda. Non solo l'aveva rilevata, ma aveva ancheominciato a dirigerla con una grinta e una determinazione insospettabili. Aveva passato al vaglio la

itta con occhio molto attento al modo in cui veniva condotta, o meglio trascinata, come aveva dettoei, e alla fine aveva preso a ficcare il naso anche nella contabilitá della rivista di Michael.Tap tap tap.Ora, Michael ne sapeva abbastanza di affari da capire come dovrebbero essere i conti e quindi si

mitava a rassicurare suo padre che erano esattamente come dovevano."Non possiamo lasciare che questo lavoro sia solo una sinecura, devi capirlo, ragazzo mio, non

evi fare debiti, se no che figura faremmo, che cosa sarebbe?" gli diceva sempre suo padre e Michaelnnuiva tutto serio, mentre giá cominciava a inventarsi i dati per il mese dopo, o per quando sarebbeiuscito a fare uscire un numero.

Sua madre invece non era altrettanto indulgente. Nemmeno un po'.

Michael in genere parlando di sua madre la definiva una vecchia azza, ma per essere giusti la sioteva paragonare soltanto a un'azza dalla lavorazione squisita, perfettamente bilanciata, conualche incisione elegante e fine che si arrestava appena prima della sua affilata lama lucente. Unendente di un'arma simile e non ci si accorgeva nemmeno di esserne stati colpiti se non provando un

momento dopo a guardare l'orologio e scoprire che il braccio non c'era piú.Per tutto quel tempo Lady Magna aveva atteso pazientemente, o almeno con una parvenza di

  '

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, , , .tanto per cambiare metafora per un momento) tratta dal fodero e tutti correvano a mettersi inalvo.

Compreso Michael.Era sua ferma convinzione che Michael, da lei silenziosamente adorato, fosse stato viziato nel

enso piú pieno e peggiore della parola e a questo punto era decisa a dire basta.Le ci vollero solo pochi minuti per accorgersi che lui non faceva altro che alterare i conti un mese

opo l'altro e che la rivista perdeva fiumi di denaro mentre Michael ci si trastullava, accumulandoontinuamente salati conti al ristorante, ricevute di taxi e paghe dei dipendenti che andavanollegramente ad affiancarsi a tasse fittizie. Tutta la faccenda si era semplicemente smarrita chissáove nella gargantuesca contabilitá della Magna Editrice. A quel punto aveva convocato Michael.

Tap tap a rap a tappa."Come vuoi che ti tratti," gli chiese, "come mio figlio o come il direttore di una delle mie riviste?

A me va bene in un modo o nell'altro.""Le tue riviste? Be', sono tuo figlio, ma non vedo..." "Giusto. Michael, voglio che osservi queste

ifre," gli disse brusca porgendogli un foglio di un tabulato di computer. "Quelle di sinistra mostranoe entrate e uscite reali di 'Fathom', quelle di destra le tue cifre. Non ci trovi niente di strano?"

"Madre, posso spiegare, io...""Bene," disse Lady Magna con voce dolce. "Ne sono proprio felice."

Si riprese il foglio di carta. "Ora. Hai qualche idea su come in futuro si possa mandare avanti almeglio la rivista?""Sì, certamente. Idee precisissime. Io...""Bene," disse Lady Magna con un sorriso radioso. "Allora è tutto perfettamente a posto.""Non vuoi sentire...?""No, va bene così, mio caro. Mi basta sapere che hai qualcosa da dire in proposito per chiarire

utto quanto. Sono sicura che il nuovo proprietario di 'Fathom' ascolterá piú che volentieri quantoai da dire."

"Cosa?" disse un attonito Michael. "Vuoi dire veramente che stai vendendo 'Fathom'?""No. Voglio dire che l'ho giá venduta. Non ne ho ricavato granché, purtroppo. Una sterlina piú la

romessa di tenerti come direttore per i prossimi tre numeri, dopo di che stará alla discrezione deluovo proprietario."Michael la fissò con gli occhi fuori delle orbite."Dai, andiamo," proseguì sua madre in tono ragionevole, "non potevamo certo andare avanti in

uella maniera, no? Sei sempre stato d'accordo con tuo padre che il lavoro non dovesse essere unainecura per te. E visto che io avrei avuto grosse difficoltá a credere o a resistere alle tue fandonie,o pensato di passare il problema a qualcuno con cui avresti avuto un rapporto piú obiettivo. Ora,

Michael avrei un altro appuntamento.""Be', ma... a chi l'hai venduta?" farfugliò Michael. "A Gordon Way.""A Gordon Way! Ma per l'amor di Dio, madre, quello è..."

"È molto ansioso di mostrarsi nei panni del mecenate d'arte. E intendo proprio mecenate. Sonoerta che te la caverai a meraviglia, mio caro. Ora, se non ti dispiace..."

Michael non si mosse di un millimetro."Non ho mai sentito una cosa piú offensiva! lo...""Sai, è esattamente quello che ha detto il signor Gordon Way quando gli ho fatto vedere queste

ifre e poi gli ho chiesto di tenerti come direttore per tre numeri."Michael sospirò, sbuffò, diventò rosso e agitò l'indice, ma non riuscì a trovare nient'altro da dire.

oltanto: "Quale sarebbe stata la differenza in tutto questo se ti avessi chiesto di trattarmi come ilirettore di una delle tue riviste?"

"Be', mio caro," disse Lady Magna con il suo sorriso piú dolce, "innanzitutto ti avrei chiamatoignor Michael Wenton-Weakes. E poi, ora non ti direi di raddrizzarti la cravatta," aggiunse facendon movimento impercettibile col mento.

Rap tap tap rap tap tap."Al diciassette, vero capo?""Eh... cosa?" disse Michael, scuotendo la testa."Aveva detto al diciassette, no?" disse l'autista del taxi. "Ci siamo."" "

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. , s , graz e, sse c ae . cese e s rug n asca n cerca qua c e so o."Tap tap tap, eh?""Come?" chiese Michael pagando la corsa."Tap tap tap," disse l'autista del taxi, "tutta l'accidenti di strada fin qua. C'è qualcosa che le frulla

n testa, eh, amico?""Pensa ai cazzacci tuoi," lo rimbeccò astiosamente Michael."Come vuole, amico. Solo che pensavo che stesse diventando matto o giú di li," disse il tassista e

ipartì.Michael entrò in casa e attraversò il freddo ingresso fino alla sala da pranzo, accese la luce in alto

si versò un brandy dalla caraffa. Si tolse il cappotto, lo buttò sul grande tavolo di mogano e portòna sedia vicino alla finestra, dove si sedette a coccolare il brandy e la propria infelicitá.Tap tap tap, continuò sulla finestra.Dall'oggi al domani, si era ritrovato direttore per i tre numeri concordati poi, senza tante

erimonie, l'avevano mandato via. Avevano cercato un nuovo direttore, un certo A. K. Ross, giovane,amelico e ambizioso, che in poco tempo aveva fatto della rivista un successo clamoroso. Michaelntanto si sentiva smarrito e nudo. Lui non aveva nient'altro.

Tamburellò ancora sulla finestra e guardò, come faceva spesso, la piccola lampada da tavolo chei trovava sul davanzale. Era una banale piccola lampada, piuttosto brutta e l'unico motivo chettirava regolarmente la sua attenzione era che proprio con quella si era fulminato suo padre,

roprio lì dove adesso lui stava seduto.Il vecchio era un tale inetto in tutte le cose tecniche. A Michael sembrava proprio di vederne loguardo di intensa concentrazione attraverso gli occhiali a mezza luna, mentre cercava diaccapezzarsi nell'arcana complessitá di un fusibile da trenta ampère succhiandosi i baffi. A quantoareva, l'aveva rimesso a posto senza prima riavvitare il coperchio e quindi aveva provato aambiare il fusibile senza toglierlo. Così facendo, si era buscato la scossa che aveva ridotto al silenziosuo cuore giá malandato.

Un errore banalissimo, pensò Michael, che chiunque poteva fare, chiunque, ma le cui conseguenzerano state catastrofiche. Decisamente catastrofiche. La morte del padre, la sua rovina, quel terribile

Ross che spuntava dal nulla e il disastroso successo della sua rivista, e...

Tap tap tap.Guardò la finestra, il proprio riflesso e le ombre scure dei cespugli di fuori. Guardò di nuovo la

ampada. L'oggetto, il luogo erano proprio quelli e l'errore era banale. Banale da fare, banale davitare.

L'unica cosa che lo separava da quel momento era la barriera invisibile dei mesi trascorsi dallora.

Una strana calma improvvisa discese su di lui, come se dentro di sé avesse appena preso unaisoluzione.

Tap tap tap."Fathom" era sua. Non doveva essere un successo, era la sua vita. Gli avevano strappato la vita e

iò esigeva una reazione.Tap tap tap crac.Sorpreso, scoprì di aver inopinatamente tirato un pugno nella finestra, procurandosi un brutto

aglio. 

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Capitolo Quindici...

Davanti alla sua "villetta", alcuni degli aspetti meno piacevoli dell'essere defunto cominciarono aarsi strada in Gordon Way. In realtá, secondo i canoni di chiunque, si trattava di una casa piuttostorande, ma lui aveva sempre desiderato una villetta in campagna, così quando finalmente erarrivato il momento di comperarne una e aveva scoperto di poter disporre di parecchi soldi, piú diuanti avrebbe mai pensato di poter avere, acquistò una grande canonica antica, che definiva villettaonostante le sette camere da letto e l'ettaro e mezzo di soffice terra del Cambridgeshire. Ciò nonontribuiva certo a farlo benvolere da quanti avevano semplici villette, ma in fin dei conti se Gordon

Way avesse orientato le proprie azioni in modo da farsi benvolere dagli altri non sarebbe statoGordon Way.

Certo, ora non era piú Gordon Way. Era il fantasma di Gordon Way.

In tasca aveva il fantasma delle chiavi di Gordon Way. Rendendosene conto, si fermò per unttimo sui suoi passi invisibili. L'idea di passare attraverso i muri francamente lo disgustava. Era unaosa che aveva cercato di evitare strenuamente per tutta la notte. Aveva invece tentato di afferrare etringere ogni oggetto che toccava per rendere quello, e quindi se stesso, tangibile. Entrare in casa,n casa sua, in qualsiasi altro modo che non aprendo la porta d'ingresso e incedendovi con l'aria deladrone lo riempiva di un'acuta malinconia.

Guardandola, desiderò che la casa non fosse un esempio tanto eclatante di gotico vittoriano e chea luce della luna non si riflettesse così fredda sulle sue strette finestre a timpano e sulle sue cupeorrette. Quando l'aveva comprata, aveva scherzato, stupidamente, sul fatto che dava l'idea di esserenfestata dai fantasmi, senza sapere che un giorno lo sarebbe stata davvero, e da chi, poi.

Mentre risaliva lentamente il viale d'accesso, fiancheggiato dalle ombre incombenti dei tassi,molto piú vecchi della canonica, ebbe un attimo di scoramento. Trovava inquietante pensare chehiunque altro avrebbe avuto paura di percorrere un simile viale, in una notte simile, temendo dincontrare un suo simile. Poco piú in lá, alla sua sinistra, dietro un filare di tassi, sorgeva la tetraagoma massiccia della vecchia chiesa, ormai in rovina, utilizzata a rotazione con altre dei villaggiicini e affidata a un parroco che dopo la pedalata per arrivare fin lá era sempre senza fiato, oltre checonfortato dalle poche persone che lo aspettavano. Dietro il campanile della chiesa tondeggiavaocchio gelido della luna.

 A un tratto gli sembrò di cogliere con lo sguardo un movimento fugace, come se fra i cespugliicino alla casa si fosse mosso qualcosa ma, si disse, era solo la sua immaginazione, messa a durarova dalla tensione per la propria morte. Che cosa poteva esserci lì di cui aver paura?

Continuò ad avanzare, girò attorno all'angolo della canonica dirigendosi verso la porta d'ingresso,nfossata nel portico buio incorniciato dall'edera. Si arrestò di botto vedendo che dall'interno dellaasa usciva una luce: luce elettrica e anche il fioco tremolio di un camino.

Gli ci volle un momento o due prima di rendersi conto che, naturalmente, lo aspettavano entro laerata, anche se non esattamente nella forma in cui si trovava. La signora Bennett, l'anzianaovernante, doveva aver preparato il letto, acceso il fuoco e apparecchiato una cena leggera.

Probabilmente, anche la televisione sarebbe stata accesa, solo perché lui la potesse spegnere conmpazienza appena entrato. Avvicinandosi, i suoi passi non facevano scricchiolare la ghiaia. Pur

apendo che alla porta lo aspettava una delusione, non sarebbe riuscito a trattenersi dal dirigersi lìome prima cosa, provare ad aprirla e solo allora, nascosto nell'ombra del portico, chiusi gli occhi eieno di vergogna, si sarebbe lasciato scivolare attraverso di essa. Arrivò davanti alla porta e si

ermò.Era aperta.Un centimetro appena, ma era aperta. Il suo spirito ebbe un fremito di stupore e di paura. Come

mai era aperta? La signora Bennett era sempre così scrupolosa in queste cose. Per un istante rimase

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  fermo senza sapere che fare, poi si accanì con difficoltá contro la porta. Sotto la leggera pressionehe riuscì a esercitare, si aprì lentamente e malvolentieri, cigolando sui cardini in segno di protesta.

Entrò e scivolò nell'atrio rivestito di pietra. Un'ampia scalinata si perdeva nell'oscuritá, ma tutte leorte che si aprivano nell'atrio erano chiuse. La piú vicina portava in salotto, dove c'era il fuococceso e da dove provenivano in sordina gli inseguimenti d'auto del film della notte. Lottòanamente per un minuto o due con la piccola maniglia di ottone, ma alla fine fu costretto adccettare l'umiliante sconfitta; con un improvviso moto di rabbia, si scagliò contro la porta eattraversò.

Dall'altra parte, la stanza era un quadretto di accogliente calore domestico. Vi arrivò traballando

er lo slancio e, senza riuscire a fermarsi, continuò a fluttuare, attraversando un tavolinetto messo lìer l'occasione, imbandito con grandi sandwich e un thermos di caffè bollente, poi un'imponenteoltrona dall'imbottitura rigonfia, il fuoco e da ultimi gli spessi mattoni roventi, finendo nella salaa pranzo adiacente, fredda e buia.

 Anche la porta di comunicazione per rientrare nel soggiorno era chiusa. Gordon la tastòntorpidito poi, sottomettendosi all'inevitabile, si raccolse e la attraversò, con calma e delicatezza,otando per la prima volta la pregevole venatura interna del legno.

La stanza era fin troppo confortevole per Gordon, che vagò distrattamente qua e lá, lasciando chea calda vivacitá del fuoco danzasse attraverso il suo corpo, senza dargli alcun calore.

Che cosa fanno in genere, si chiese, i fantasmi di notte?

Si sedette inquieto a guardare la televisione. Di lì a poco però gli inseguimenti d'auto sionclusero pacificamente e rimase solamente una neve grigia e un rumore bianco che lui non potevapegnere.

Scoprì che agitandosi e tirandosi su era sprofondato troppo nella sedia, confondendosi con alcuneue parti. Cercò di divertirsi apparendo dal mezzo di un tavolo, ma nemmeno questo riuscì a

migliorare il suo umore che, giá depresso, scivolava inesorabilmente sempre piú in basso. Forseoteva dormire.

Forse.Non era stanco e non aveva sonno, ma solo un disperato desiderio di oblio. Attraversando la

orta chiusa, passò di nuovo nell'ingresso buio, da dove partiva la grande scala pesante che portavai sopra, alle camere da letto ampie e tetre.

Senza scopo, si diresse al piano superiore.Era inutile, lo sapeva. Se non si può aprire la porta di una camera, non ci si può mettere a letto.

civolò attraverso la porta e levitò sul letto che sapeva freddo, sebbene non potesse sentirlo.embrava che la luna non volesse lasciarlo in pace e risplendeva su di lui, sdraiato con gli occhipalancati e vuoti, incapace persino di ricordare cosa fosse il sonno e come raggiungerlo.

L'orrore di quella vacuitá scese su di lui, l'orrore di stare sdraiato, continuamente edternamente sveglio alle quattro del mattino.

Non aveva nessun posto dove andare, niente da fare se anche ci fosse arrivato e nessuno da

ndare a svegliare senza terrorizzarlo con la sua apparizione.Il momento peggiore era stato sulla strada quando aveva visto Richard, la faccia impietrita diRichard, bianca di lá dal parabrezza. Rivide ancora una volta quella faccia e subito dopo quella dellaigura pallida.

Era stato quello a togliergli gli ultimi brandelli di illusione che dal fondo dell'anima gli dicevanohe il problema era solo temporaneo. Di notte sembrava terribile, ma alla luce del giorno, quandovrebbe potuto vedere persone e raccogliere le idee, tutto sarebbe andato a posto. Gli tornò alla

mente il ricordo di quell'istante e non riuscì piú a liberarsene. Aveva visto Richard e Richard, ne era sicuro, aveva visto lui. No, non sarebbe andato tutto a

osto.

In genere, quando di notte si sentiva così male, faceva un salto da basso a rovistare nel frigo e cindò anche ora. Sarebbe stato sempre meglio di quella camera da letto al chiarore della luna.

Avrebbe vagato per la cucina, sbattendo rumorosamente qua e lá.Scivolò giú dalla balaustra, in parte passandoci in mezzo, fluttuò attraverso la porta della cucina

enza pensarci due volte e per circa cinque minuti mise tutta la sua concentrazione e le sue energieer accendere la luce.

 

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  .Dopo un paio di minuti di ripetuti maneggi attorno a una lattina di Fosters che continuava a

civolargli di mano, ci rinunciò. Non aveva la minima idea di come strappare l'anello, e poi nelrattempo aveva agitato tutta la birra... comunque, anche se fosse riuscito ad aprirla, che se nearebbe fatto?

Non aveva un corpo in cui metterla. Scagliò lontano la lattina, che rotolò sotto una credenza.Cominciava a notare una cosa di sé, e cioè che la sua capacitá di afferrare gli oggetti sembrava

umentare e diminuire gradatamente, come la sua visibilitá.Senza regolaritá, però, o forse era solo che a volte gli effetti erano molto piú pronunciati di altre.

Anche questo sembrava variare seguendo un ritmo piú lento. In quel momento preciso gli pareva che

a sua forza fosse nella fase crescente.In una improvvisa frenesia di attivitá, cercò di capire quanti oggetti riusciva a spostare, usare o

ar funzionare in qualche modo in quella cucina. Aprì credenze, tirò fuori cassetti spargendo le posate sul pavimento. Ottenne un breve ronzio dal

rullatore, fece cadere il macinacaffè senza riuscire a metterlo in moto, aprì il gas della piastra diottura ma poi non ce la fece ad accenderlo, infierì su una pagnotta con un trinciapollo. Cercò diacciarsi in bocca qualche pezzetto di pane, che però cadeva in terra direttamente dalla bocca. Sbucòn topo, che fuggì dalla stanza con il pelo ritto dalla paura.

 Alla fine si fermò e si sedette, emotivamente esausto, ma fisicamente inebetito.

Come avrebbe reagito la gente, si chiese, alla sua morte? A chi sarebbe dispiaciuto di piú sapere che se n'era andato? Per un po' ci sarebbe stato dolore, poiristezza, ma alla fine tutti si sarebbero ripresi e lui sarebbe diventato un ricordo sempre piú tenue,

mentre la gente continuava a vivere senza di lui, pensando che era andato dove vanno tutti. Questoensiero lo riempì di gelido terrore.

Non se n'era andato. Era ancora lì.Si sedette davanti a una credenza che non era ancora riuscito ad aprire perché le maniglie erano

roppo dure e la cosa lo disturbava. Agguantò goffamente un barattolo di pomodori, poi tornò allaredenza e attaccò la maniglia con quello. La porta si aprì e mostruosamente ne uscì cadendo invanti il suo corpo scomparso, pieno di sangue.

Fino a quel momento Gordon non si era reso conto che anche un fantasma potesse svenire.Se ne rese conto in quel momento e svenne.Si risvegliò due ore dopo al rumore prodotto dall'esplosione della cucina a gas. 

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Capitolo Sedici...

Il mattino dopo Richard si svegliò due volte.La prima, pensò di aver sbagliato e si girò dall'altra parte per concedersi qualche altro minuto dionno inquieto. La seconda, scattò a sedere con un balzo, mentre i fatti della sera prima gli siffollavano in testa.

Scese al piano di sotto e, imbronciato, fece una colazione disordinata in cui nulla andò per iliusto verso. Bruciò il pane, rovesciò il caffè e si accorse che il giorno prima, nonostante si fosseetto che doveva ricordarselo, non aveva comperato la marmellata. Visti i suoi miseri tentativi diutrirsi, pensò che magari quella sera avrebbe potuto invitare Susan in un ristorante fantastico, per

arle dimenticare la nottata precedente.Se fosse riuscito a convincerla.

C'era un ristorante di cui da un pezzo Gordon diceva meraviglie, insistendo perché lo provassero.Gordon era eccezionale in fatto di ristoranti; d'altra parte ci passava parecchio tempo. Per un paio diminuti rimase seduto a picchiettarsi una matita sui denti, poi salì nello studio e tirò fuori un elencoelefonico da sotto una pila di riviste di computer.

L'Esprit d'Escalier.Chiamò il ristorante e provò a prenotare un tavolo, ma quando disse che lo voleva per quella sera

bbe l'impressione che la sua richiesta suscitasse un certo divertimento."Ah, non, m'sieur," rispose il maitre, "purtroppo è impossibile. Attualmente è necessario

renotare con almeno tre settimane d'anticipo. Pardon, m'sieur."Richard trasecolò al pensiero che esistessero veramente persone in grado di sapere con tre

ettimane d'anticipo quello che volevano fare, ringraziò il maitre e riagganciò. Be', magari potevanondare a mangiare una pizza. Questo pensiero lo riportò all'appuntamento mancato della sera primaquasi subito, sopraffatto dalla curiositá riprese in mano l'elenco telefonico. Gentleman...

Gentles... Gently.Di Gently non ce n'erano. Neanche uno. Trovò gli altri elenchi, tranne il volume S-Z che la donna

elle pulizie, per motivi che ancora non era riuscito a scoprire si ostinava a buttare via.Non c'era neanche un Cjelli, né niente di simile. Non c'erano Jently, Dgently, Djently, Dzently e

iente che gli assomigliasse nemmeno lontanamente. Si chiese se non fosse Tjently, Tsentli o Tzentlichiamò l'Ufficio Informazioni, che però era occupato. Rimase seduto ancora un po' a picchiettarsi la

matita sui denti, osservando il divano che girava lentamente sullo schermo del computer.Curioso che solo poche ore prima Reg gli avesse chiesto con tanta insistenza notizie di Dirk.Quando si vuole proprio trovare qualcuno, da che parte si comincia, che cosa si fa?Provò a chiamare la polizia, ma anche li trovò occupato. Be', le cose stavano così. Per il momento,

veva fatto tutto quello che poteva, a parte assumere un investigatore privato, ma aveva modimigliori di buttar via tempo e denaro. Prima o poi, gli sarebbe capitato di incontrare di nuovo Dirk,ome succedeva piú o meno a distanza di qualche anno.

Comunque, faceva fatica a credere che esistessero davvero persone come quelle, gli investigatoririvati.

Che razza di gente era? Che faccia avevano, dove lavoravano? Che tipo di cravatta ci si mette

uando si fa l'investigatore privato? Probabilmente doveva essere esattamente quel tipo di cravattahe uno non si aspetterebbe di vedere addosso a un investigatore privato. Che roba, trovarsi allerese con un problema come quello appena svegli.

Per pura curiositá e per nient'altro, e anche perché l'unica alternativa era mettersi a lavorare suAnthem, si ritrovò a sfogliare le pagine gialle.

Investigatori privati: vedi Agenzie investigative.Parole che sembravano quasi incongrue in quel solido contesto commerciale, Sfogliò indietro il

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 olume. Apparecchi odontoiatrici, Allevamento cani, Alimenti dietetici, Agenzie investigative...In quel momento squillò il telefono e lui rispose un po' brusco. Non amava essere interrotto."C'è qualcosa che non va, Richard?""Oh, ciao, Kate, scusami, no. Ero... stavo pensando ad altro." Kate Anselm era un'altra brillante

rogrammatrice della WayForward Technologies. Stava lavorando a un progetto a lungo termineull'intelligenza artificiale, una di quelle cose che sembravano sempre un assurdo sogno a occhiperti finché uno non ne sentiva parlare da lei. Gordon aveva bisogno di sentirgliene parlareiuttosto regolarmente, in parte perché era nervoso per via dei soldi che gli stava costando, in parteerché, insomma, non c'erano dubbi, a Gordon piaceva comunque sentir parlare Kate.

"Non volevo disturbarti," disse. "Solo che continuo a provare a mettermi in contatto con Gordonnon ci riesco. Non risponde né a Londra, né alla villetta, né dalla macchina, né dal cercapersone. Mi

embra piuttosto strano per uno come Gordon, ossessionato com'è dal bisogno di essere sempreintracciabile. Hai sentito che si è fatto mettere un telefono nella sauna? Davvero."

"Non lo sento da ieri," disse Richard, Tutto a un tratto si ricordò del nastro preso dalla segreteriaelefonica di Susan e pregò Dio che nel messaggio di Gordon non ci fosse niente di piú importantehe qualche farneticazione sui conigli. Disse: "So che stava andando alla villetta. Mmm, non ho ideai dove sia. Hai provato..." Richard non riusciva a pensare a nessun altro posto dove provare....mmm. Buon Dio."

"Richard? "

"Incredibile...""Richard, che succede?""Niente, Kate. Ehm, ho appena letto la cosa piú straordinaria del mondo.""Davvero, e cosa stai leggendo?""Be', per la veritá l'elenco telefonico...""Veramente? Devo correre a comprarlo. I diritti cinematografici sono giá stati venduti?""Senti, scusami, Kate, posso richiamarti io piú tardi? Non so dove sia Gordon in questo momento

...""Non ti preoccupare, so benissimo com'è quando non si vede l'ora di voltare pagina. Rimani sulle

pine fino all'ultimo, no? Deve averlo fatto Zbigniew. Buon fine settimana." Riattaccò. Anche Richard riattaccò e restò seduto a fissare il riquadro pubblicitario sulle pagine gialle

perte davanti a lui. 

 AGENZIA INVESTIGATIVA OLISTICA DIRK GENTLY Risolviamo il caso per interoTroviamo la persona per interaTelefonate oggi stesso per l'intera soluzione del vostro problema(Specialista in gatti scomparsi e divorzi difficili)

33a Peckender St., Londra N1 01-354 9112 Peckender Street si trovava a pochi minuti di strada a piedi. Richard scarabocchiò l'indirizzo, si

nfilò il cappotto e scese le scale di corsa, sostando per una breve ispezione al divano.robabilmente, pensò, c'è qualcosa di terribilmente ovvio che mi sfugge. Il divano era incastrato

eggermente di sbieco sulla lunga scala stretta. A un certo punto le scale erano interrotte da unianerottolo di un paio di metri, in corrispondenza con l'appartamento immediatamente sotto auello di Richard. L'ispezione tuttavia non produsse nessuna nuova intuizione e alla fine lui scavalcò divano e uscì dalla porta d'ingresso.

 A Islington, uno tira un sasso e colpisce un negozio di antiquariato, un'agenzia immobiliare o una

breria.Se anche non riuscisse a colpirli, sicuramente farebbe scattare l'antifurto, che nessuno

taccherebbe se non dopo il weekend. Sulla Upper Street, un'auto della polizia che come al solitoiocava all'autoscontro andò a fermarsi un metro piú in lá con grande stridore di freni. Richardttraversò la strada dietro la macchina. Era una giornata fredda e serena, come piaceva a lui. Tagliòa parte alta di Islington Green, dove si picchiano gli ubriaconi, superò il punto della vecchia Collins

 

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  .Curiosò un poco fra gli antiquari e vide un paio di orecchini che probabilmente a Susan sarebbero

iaciuti, ma non ne era sicuro. Poiché non ne era sicuro, andò in confusione e lasciò perdere. Guardòa vetrina di un libraio e d'impulso comprò un'antologia di poesie di Coleridge, solo perché era lìsposta. Si infilò poi nel dedalo di viuzze laterali, passò il canale, superò le case popolari che loiancheggiavano, attraversò una serie di piazze sempre piú piccole e finalmente arrivò a Peckendertreet, che tutto sommato era molto piú lontana di quanto avesse pensato.

Era una di quelle vie in cui nei weekend gli speculatori edili vanno in giro in grosse Jaguarbavando. C'erano decine di negozi che proponevano vendite in saldo, architetture industriali dell'etáittoriana e una piccola terrazza tardo-georgiana in disfacimento, tutti edifici che morivano dallaoglia di essere abbattuti così che al loro posto potessero sorgere giovani e gagliardi cubi diemento. Gli agenti immobiliari imperversavano nella zona come branchi famelici, guardandosi l'unaltro con sospetto, i blocnotes pronti a scattare come tanti grilletti.

Il numero 33, quando finalmente lo trovò, incastrato alla perfezione fra il 37 e il 45, era in unotato pessimo, per quanto non peggiore di quasi tutto il resto.

Il piano terra era occupato da un'agenzia di viaggi e aveva una finestra rotta, con alcuni sbiaditimanifesti della BOAC2, ormai probabilmente di un certo pregio. La porta accanto al negozio eratata dipinta di un rosso acceso, senza troppa cura ma quanto meno di recente. Un pulsante accantolla porta, in lettere disegnate accuratamente, diceva: "Dominique, lezioni di francese, 3ème piano".

La caratteristica piú notevole della porta tuttavia era una vistosa targa di ottone lucente fissatasattamente in centro, su cui era incisa la dicitura: "Agenzia Investigativa Olistica Dirk Gently".Nient'altro. Sembrava nuova di zecca: persino le viti che la tenevano erano ancora lucide. Al tocco di Richard, la porta si aprì e lui sbirciò dentro. Vide un ingresso piccolo e muffoso, con

na scala che portava al piano di sopra. In fondo all'ingresso, una porta che a giudicare dallepparenze non veniva aperta da anni, davanti a cui erano accatastati mucchi di vecchie scaffalature

metalliche, una vasca per i pesci e la carcassa di una bicicletta. Tutto il resto, i muri, il pavimento, lecale e quel poco che si vedeva della porta, era stato pitturato di grigio in un tentativo di ripristinoa quattro soldi, anche se ormai era tutto abbondantemente scrostato e qualche grappolo di muffa

aceva capolino da una chiazza di umido vicino al soffitto.

Gli giunse il suono di voci adirate e salendo le scale riuscì a distinguere due animate discussionin corso da qualche parte sopra la sua testa, completamente separate l'una dall'altra.Una delle due terminò bruscamente, almeno per metá, quando un uomo furente e sovrappeso

cese con grande fragore le scale rialzandosi il bavero dell'impermeabile. Sopra, l'altra metá dellaiscussione continuava in un torrente di sdegnate parole francesi. L'uomo spinse da parte Richard,icendo: "Risparmi i suoi soldi, è un buco nell'acqua," e scomparve uscendo nella gelida mattinata.

L'altra discussione aveva toni meno accesi. Quando Richard arrivò al primo piano, sentì un usciohe sbatteva da qualche parte, ponendo fine anche a quella. Guardò nella porta aperta piú vicina.

Dava in una piccola anticamera. Una seconda porta, interna, era ben chiusa. Una giovane dal visoienotto con un dozzinale soprabito blu stava tirando fuori dal cassetto della scrivania matite per il

rucco e scatole di kleenex, che poi buttava nella propria borsa."È qui l'agenzia investigativa?" le chiese Richard incerto.La ragazza annuì, mordendosi le labbra e continuando a tenere la testa bassa."E il signor Gently c'è?""Può darsi," disse scostandosi i capelli, troppo ricci per poter essere scostati come si deve, "ma

uò anche darsi di no. Non sono nella posizione per poterlo dire. I suoi movimenti non miiguardano. Al momento, i suoi movimenti riguardano esclusivamente lui."

Recuperò l'ultima boccetta di smalto per le unghie e cercò di sbattere violentemente il cassetto.Un grosso libro in piedi nel cassetto glielo impedì. Ci riprovò, ma senza successo. Prese il libro, netrappò una manciata di pagine e lo rimise a posto. Stavolta riuscì a sbattere violentemente ilassetto senza problemi. "Lei è la sua segretaria?" chiese Richard.

"Sono la sua ex segretaria, e tale intendo restare," rispose lei chiudendo la borsa con uno scattonergico. "Se invece di pagarmi, preferisce spendere i suoi soldi in stupide e costose targhe di ottone,accia pure. Io però non ho intenzione di sopportarlo, grazie mille. Per gli affari un corno.

Rispondere bene al telefono serve agli affari e vorrei tanto vedere se la sua bella targa d'ottone èapace di farlo. Se vuole scusarmi, gradirei precipitarmi fuori di qui."

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c ar s ece a par e e e s prec p uor ."Era ora!" gridò una voce dalla stanza interna. Squillò il telefono e qualcuno rispose

mmediatamente."Sì?" disse irritata la voce dalla stanza interna, La ragazza rimise dentro la testa per prendere la

ciarpa, ma silenziosamente, per non farsi sentire dal suo ex datore di lavoro. Poi se ne andòefinitivamente.

"Sì, Agenzia Investigativa Olistica Dirk Gently. In cosa possiamo servirla?" Al piano di sopra, il torrente di parole francesi era terminato. Calò una strana calma tesa.Dentro, la voce disse: "Esatto, signora Sunderland, i divorzi difficili sono una delle nostre

pecialitá". Vi fu una pausa."Sì, grazie, signora Sunderland, non è poi così difficile." Il telefono venne nuovamente deposto

olo per essere sostituito all'istante da un altro squillo.Richard si guardò attorno nello squallido ufficietto. Non c'era granché. Una malandata scrivania

i cartone impiallacciato, un vecchio schedario grigio e un cestino di stagno per la carta stracciaolor verde scuro. Appeso al muro un poster dei Duran Duran, su cui qualcuno aveva scarabocchiatoon un grosso pennarello rosso: "Per cortesia, lo tiri giú".

Sotto, un'altra mano aveva scarabocchiato: "No".Sotto ancora, la prima aveva scritto: "Insisto perché lo tiri giú".

Sotto, la seconda aveva scritto: "Se lo scordi!"E sotto: "Lei é licenziata".E sotto: "Bene!"E lì, a quanto pareva, la questione si era arenata.Bussò alla porta interna, ma non ricevette risposta. La voce continuò invece: "Sono molto lieto

he lei me lo chieda, signora Rawlinson. Il termine 'olistica' si riferisce alla mia convinzione che ilunto importante sia la sostanziale interconnessione reciproca di tutte le cose. Io non perdo tempoon bazzecole quali la polvere per le impronte digitali, indizi rivelatori prelevati dalle tasche ociocche orme di scarpe. Ritengo che la soluzione di ogni problema vada ricercata nel disegno e nellochema globale. Il rapporto fra cause ed effetti, signora Rawlinson, spesso è piú sottile e complesso

i quanto noi, a una prima e sommaria visione del mondo fisico, saremmo naturalmente portati aupporre.

Lasci che le faccia un esempio. Se lei va da un agopunturista con il mal di denti, quello le infila ungo nella coscia. Sa perché, signora Rawlinson?

No, nemmeno io, signora Rawlinson, ma scoprirlo è il nostro scopo. È stato un piacere parlareon lei, signora Rawlinson. Arrivederci".

Mentre metteva giú il primo telefono, un altro stava giá suonando.Richard sfiorò la porta aperta e guardò dentro.Era lo stesso Svlad, o Dirk, o Cjelli. Un po' piú tondo intorno alla vita, un po' piú vizzo e piú rosso

ntorno agli occhi e al collo, ma sostanzialmente la stessa faccia sulla quale ricordava benissimo, ottonni prima, di aver visto un sorriso amaro mentre il suo proprietario saliva nel retro di un cellulareel distretto di polizia del Cambridgeshire.

Indossava un vecchio completo pesante color marrone chiaro (che aveva l'aria di essere statondossato, in un passato lontano e migliore, piú volte in occasione della potatura dei rovi), unaamicia a scacchi rossa che non aveva assolutamente nulla a che vedere con il vestito, e una cravatta

righe verdi che si rifiutava di rivolgere la parola a entrambi. Portava anche un paio di spessicchiali dalla montatura di metallo, che probabilmente potevano spiegare almeno in parte la sua

dea di eleganza."Ah, signora Bluthall, che indicibile sollievo sentirla," stava dicendo. "Sono rimasto così turbato

alla dipartita di Miss Tiddles. Davvero una notizia tristissima. Eppure, eppure... Dobbiamo lasciareorse che la nera disperazione offuschi ai nostri occhi la limpidissima luce in cui ora dimora in eternoa sua adorata micina?

Direi di no. Aha. Mi sembra di sentirla miagolare ancora adesso, Miss Tiddles. La chiama, signoraBluthall. Le dice che è contenta, in pace. Dice che lo sará ancora di piú quando lei avrá pagato

ualche conto. Questo non le fa suonare qualche campanellino, signora Bluthall? Ora che mi ci faensare, mi sembra di avergliene mandato uno anch'io, nemmeno tre mesi fa. Mi chiedo se non sia

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uesto che turba il suo eterno riposo."Dirk invitò Richard a entrare con un gesto brusco, poi gli fece segno di passargli il pacchetto di

igarette francesi tutto gualcito che si trovava appena fuori della sua portata."Allora a domenica sera, signora Bluthall, domenica sera alle otto e trenta. L'indirizzo lo conosce.

ì, sono sicuro che Miss Tiddles si manifesterá, insieme al suo libretto degli assegni. A domenica,ignora Bluthall, a domenica."

Mentre si sbarazzava della signora Bluthall un altro telefono stava giá suonando. Lo afferrò,ccendendosi nel frattempo la sua sigaretta ciancicata.

"Ah, signora Sauskind," disse in risposta alla sua interlocutrice, "la mia cliente piú antica e potrei

ire la piú apprezzata. Buona giornata a lei, signora Sauskind, buona giornata. Purtroppo, temo cheon ci sia ancora nessuna traccia del giovane Roderick, ma la ricerca si va intensificando,vvicinandosi a quelle che sono certo saranno le sue fasi conclusive e confido che nel breve volgere diualche giorno dalla data odierna lei avrá di nuovo e per sempre il giovane briccone fra le sueraccia a miagolare teneramente, ah sì, il conto, mi stavo chiedendo se l'avesse ricevuto."

La sigaretta ciancicata di Dirk si rivelò troppo ciancicata per poter essere fumata, così lui sincastrò il telefono sulla spalla e frugò nel pacchetto, che però era vuoto, cercandone un'altra.

Rovistò sulla scrivania in cerca di un pezzo di carta e un mozzicone di matita, poi scrisse unppunto che passò a Richard. "Sì, signora Sauskind," assicurò al telefono, "la sto ascoltando con tuttaa mia attenzione."

L'appunto diceva: "Di' alla segretaria di portarmi le sigarette"."Sì," continuò Dirk parlando al telefono, "ma come ho cercato di spiegarle, signora Sauskind, nei

ette anni della nostra conoscenza, in questo campo propendo per le ipotesi della meccanicauantistica. La mia teoria è che il suo gatto non si sia perso, ma che la sua forma d'onda abbia avuton crollo temporaneo e debba essere ricostruita. Schrödinger. Planck. E via dicendo."

Richard scrisse sul foglietto: "Non hai piú una segretaria," e glielo sottopose.Dirk ci pensò su per un attimo, poi scrisse sul foglietto: "Accidenti mannaggia," e lo ripassò di

uovo a Richard."Le concedo, signora Sauskind," continuò allegramente Dirk, "che per un gatto diciannove anni

ostituiscano, diciamo così, un'etá ragguardevole, e tuttavia possiamo mai credere che un gatto comeRoderick non ci sia arrivato?

E possiamo noi ora, nell'autunno degli anni suoi, abbandonarlo al suo destino? È proprio questo momento in cui piú gli abbisogna il sostegno delle nostre incessanti indagini. È questo il momentoi raddoppiare i nostri sforzi e, con il suo permesso, signora Sauskind, è ciò che intendo fare. Pensi,ignora Sauskind, con che faccia lo affronterebbe se non facesse questa cosuccia per lui."

Richard giocherellò con il foglietto, si strinse nelle spalle e ci scrisse: "Vado a prendertele io,"opo di che glielo ripassò ancora una volta.

Dirk scosse la testa come a rifiutare e scrisse: "Troppo gentile non potrei mai". Non appenaRichard l'ebbe letto, Dirk riprese il foglietto e vi aggiunse: "Fatti dare i soldi dalla segretaria".

Richard fissò pensieroso il pezzo di carta, poi prese la matita e fece un segno vicino al punto doveoco prima aveva scritto "Non hai piú una segretaria". Spinse il biglietto verso Dirk dall'altra parteel tavolo, che gli dette soltanto un'occhiata, poi sottolineò "Troppo gentile non potrei mai".

"Be', magari," continuò Dirk con la signora Sauskind, "potrebbe sorvolare semplicemente sulcune delle parti del conto che le creano difficoltá. Le parti piú ampie."

Richard uscì.Scendendo di corsa i gradini, passò accanto a un giovane speranzoso con una giacca jeans e i

apelli tagliati cortissimi che guardava ansiosamente in su nella scala."Buone nuove, amico?" chiese a Richard."Incredibile," mormorò Richard, "semplicemente incredibile."

Trovò un'edicola nelle vicinanze dove prese un paio di pacchetti di Disque Bleu per Dirk e unaopia dell'ultimo numero di "Personal Computer World", che aveva in copertina una foto di GordonWay.

"Peccato per lui, eh?" gli disse il giornalaio."Come? Oh, be'... giá," fece Richard. Spesso aveva pensato la stessa cosa, ma era stupito di vedere

he i suoi sentimenti erano tanto ampiamente condivisi. Prese anche una copia del "Guardian", pagòse ne andò.

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Quando Richard rientrò, Dirk era ancora al telefono, con i piedi sul tavolo, ed era chiaro che lerattative stavano andando per le lunghe.

"Certo, alle Bahamas i costi, be', sono costosi, signora Sauskind, è nella natura stessa dei costisserlo. È per quello che li chiamano così." Prese i pacchetti di sigarette che gli venivano offerti,embrò deluso che fossero solo due, ma alzò fugacemente le sopracciglia verso Richard peringraziarlo del favore fattogli, poi gli indicò una sedia.

Dal piano di sopra arrivò il suono di una discussione parzialmente condotta in francese."Naturalmente le spiegherò ancora perché il viaggio alle Bahamas fosse così assolutamente

ndispensabile," disse Dirk Gently in tono rassicurante. "Niente potrebbe farmi piú felice. Come lei

a, signora Sauskind, io credo nella sostanziale interconnessione reciproca di tutte le cose. Per diiú, ho eseguito rilevazioni e triangolazioni vettoriali di questa interconnessione reciproca di tutte leose, risalendo fino a una spiaggia alle Bermuda che quindi di tanto in tanto nel corso delle miendagini mi è necessario visitare. Vorrei che così non fosse, visto che purtroppo sono allergico sia alole sia ai punch al rum, ma d'altronde tutti abbiamo una croce da portare, non è così, signoraauskind?"

Sembrò che dal telefono uscisse un balbettio."Lei mi rattrista, signora Sauskind. Vorrei poter trovare nel fondo del mio cuore le parole per

irle che il suo scetticismo mi corrobora e mi gratifica, ma con tutta la buona volontá del mondo noni riesco. Sono svuotato, signora Sauskind, svuotato. Credo che nel conto troverá una voce inroposito. Vediamo un po'."

Prese una sottile copia su carta carbone che si trovava lì vicino."'Rilevazioni e triangolazioni vettoriali della interconnessione reciproca di tutte le cose,

entocinquanta sterline.' Ecco fatto. 'Rintracciare le stesse fino a una spiaggia alle Bahamas, viaggio elloggio.' Appena millecinquecento. Naturalmente, la sistemazione era di una modestia umiliante.

 Ah, sì, eccoci qua. 'Strenua lotta per cancellare lo scetticismo del cliente, bevande:recentoventisette sterline e cinquanta.' Magari non avessi dovuto metterle in conto spese simili,

mia cara signora Sauskind, magari non se ne fosse presentata tanto spesso l'occasione. Non credereei miei metodi serve solo a rendermi il lavoro piú difficile, signora Sauskind, e quindi,

malauguratamente, piú dispendioso." Al piano di sopra, i rumori della discussione si andavano facendo piú vivaci. La voce franceseembrava sull'orlo di un crollo nervoso.

"Non mi sfugge affatto, signora Sauskind," continuò Dirk, "che i costi dell'indagine debordanoeggermente dal preventivo iniziale, ma sono certo che a lei, per parte sua, non sfuggirá che unavoro per il quale necessitano sette anni deve evidentemente essere piú difficile di uno che si puòbrigare in un pomeriggio, e dunque va fatto pagare un prezzo maggiore. Sono costretto a rivedere diontinuo le mie valutazioni sulla difficoltá dell'incarico, alla luce delle difficoltá incontrate finora."

Il balbettio dal telefono sembrò farsi piú frenetico."Mia cara signora Sauskind... o forse posso chiamarla Joyce? Benissimo. Mia cara signora

auskind, permetta che le dica una cosa. Non si preoccupi del conto, non se ne lasci allarmare oconvolgere. Non lasci, la prego, che io diventi per lei una fonte di ansia. Semplicemente, stringa ienti e paghi."

Tolse i piedi dal tavolo e si chinò sulla scrivania, avvicinando inesorabilmente la cornetta delelefono, centimetro dopo centimetro, alla forcella.

"Come sempre, parlare con lei è stato un vero piacere, signora Sauskind. Per il momento,rrivederci."

Finalmente, posò il ricevitore, lo risollevò e lo lasciò cadere nel cestino della carta straccia."Mio caro Richard MacDuff," disse tirando fuori da sotto la scrivania una grande scatola piatta e

pingendola dall'altra parte del tavolo, "la tua pizza."

Richard lo guardò sbigottito."Ehm, no grazie," disse. "Ho fatto colazione. Prego. Mangiala pure tu."Dirk si strinse nelle spalle. "Ho detto che saresti passato a regolare il conto dopo il weekend,"

isse. "E, fra parentesi, benvenuto nei miei uffici."Fece un vago gesto della mano in direzione dello squallido locale in cui si trovavano."La luce c'è," disse indicando la finestra, "la gravitá pure," disse lasciando cadere a terra una

 " "

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mmag na unque pren ere un gatto e c u er o n una scato a c e puo s g areerfettamente. Sempre nella scatola, ci metti un pezzetto di materiale radioattivo e una fiala di gaselenoso. Fai in modo che in un dato periodo di tempo ci sia esattamente il cinquanta per cento diossibilitá che un atomo del frammento radioattivo si disintegri e liberi un elettrone. Se siisintegra, provoca il rilascio del gas e uccide il gatto. Altrimenti, il gatto vive. Cinquanta per cento.

A seconda di un cinquanta per cento di possibilitá che un solo atomo si disintegri o meno.Per come la vedo io, il punto è questo: poiché la disintegrazione di un singolo atomo è un evento

i livello quantico che non si risolverebbe mai in un senso o nell'altro fino a che non lo si osserva, eoiché non c'è osservazione finché non si apre la scatola per vedere se il gatto è vivo o morto, allora

a conseguenza è davvero straordinaria.Fino a che non si apre la scatola, il gatto permane in uno stato indeterminato. La possibilitá cheia vivo e la possibilitá che sia morto sono due differenti forme d'onda sovrapposte l'una all'altrall'interno della scatola. Schrödinger propone questa idea per illustrare ciò che riteneva assurdoella teoria quantistica." Dirk si alzò e andò a passi lenti verso la finestra, probabilmente non tantoer la vista scadente che da lì si poteva godere su un vecchio magazzino, in cui un commediografolternativo stava prodigando gli ingenti proventi ottenuti con la pubblicitá di una birra perrasformarlo in appartamenti di lusso, quanto perché era l'unica opportunitá di non assistere allacomparsa dell'ultimo brandello di pizza.

"Esattamente," disse Dirk. "Bravo!"

"Ma tutto ciò che cos'ha a che fare con questa... questa Agenzia Investigativa?""Ah, quella. Be', alcuni ricercatori stavano conducendo proprio questo esperimento, ma quando

prirono la scatola, il gatto non era né morto né vivo, ma in effetti completamente scomparso, perui mi chiamarono per indagare. Riuscii a dedurre che non era successo niente di particolarmenterammatico. Semplicemente il gatto, stufo di farsi rinchiudere ripetutamente nella scatola e di tanto

n tanto di essere gassato, alla prima occasione aveva infilato la finestra. Per me fu questione di unminuto mettere una ciotola di latte vicino alla finestra e chiamare 'Bernice' con voce invitante...Bernice' era il nome del gatto, sai..."

"Scusa, aspetta un attimo...""...così il gatto tornò al suo posto. Una faccenda abbastanza semplice, ma a quanto pare produsse

na certa impressione in alcuni ambienti e poi, come succede, una cosa tira l'altra e tutto è culminatoella brillante carriera che puoi vedere con i tuoi occhi."

"Aspetta un attimo, aspetta un attimo," insistette Richard, dando una manata sul tavolo."Sì?" chiese Dirk con aria innocente. "Scusa, di cosa stiamo parlando, Dirk?""C'è qualcosa che non va in quello che ti ho detto?""Be', praticamente non so da che parte cominciare," protestò Richard. "Benissimo. Hai detto che

ualcuno stava facendo l'esperimento. È un'assurditá. Il Gatto di Schrödinger non è un verosperimento. E solo un esempio per sostenere un'idea. Non è una cosa che si fa veramente."

Dirk lo osservava con curiosa intensitá."Ah sì?" disse alla fine. "E perché no?""Be', non c'è niente da sperimentare. Il nocciolo dell'idea sta tutto nel riflettere su ciò che accade

rima di fare l'osservazione. Non si può sapere cosa sta succedendo nella scatola senza guardarcientro, ma nell'istante stesso in cui guardi il pacchetto di onde ha un crollo e le probabilitá siisolvono. Si annulla da sé. È completamente inutile."

"Naturalmente, quello che dici è assolutamente giusto," replicò Dirk tornando a sedersi. Tiròuori una sigaretta dal pacchetto, la batté piú volte sulla scrivania, poi si protese in avanti e puntò ililtro contro Richard.

"Prova però a pensare a questo," continuò. "Supponiamo di introdurre nell'esperimento unensitivo, qualcuno con poteri chiaroveggenti: qualcuno che sia in grado di indovinare in che stato di

alute si trova il gatto senza aprire la scatola. Qualcuno, magari, che ha una certa soprannaturalempatia con i gatti. Cosa succederebbe? Non potrebbe questo elemento fornirci una prospettivalteriore sul problema della fisica quantistica?"

"È questo che volevano fare?""È quello che hanno fatto.""Dirk, questa è un'assurditá totale." Dirk alzò polemicamente le sopracciglia."Bene, bene," disse Richard, alzando le palme aperte, "seguiamola passo passo. Anche

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mmettendo, cosa che non faccio nemmeno per un secondo, che la chiaroveggenza abbia un fondo dieritá, questo non inficierebbe la fondamentale impraticabilitá dell'esperimento. Come ho detto,utta la questione ruota attorno a ciò che accade dentro la scatola prima che si compiaosservazione. Non importa come la si osserva, se si guarda nella scatola con i propri occhi oppure,e', se insisti, con quelli della mente. Se la chiaroveggenza funziona, è solo un altro modo di guardareentro la scatola, mentre se non funziona è evidentemente irrilevante."

"Dipende, è chiaro, dall'idea che si ha della chiaroveggenza..."Ah, sì? E tu che idea hai della chiaroveggenza? Mi interesserebbe molto conoscerla, vista la tua

toria."

Dirk picchiettò ancora la sigaretta sulla scrivania, poi guardò Richard socchiudendo gli occhi.Seguì un silenzio intenso e prolungato, rotto soltanto dal suono lontano delle urla in francese."Ho l'idea che ho sempre avuto," disse Dirk alla fine. "Che sarebbe?""Che non sono un chiaroveggente.""Davvero?" disse Richard. "E allora che mi dici dei testi d'esame? " All'accenno a quell'argomento, gli occhi di Dirk si offuscarono."Una coincidenza," disse con voce bassa e feroce, "una coincidenza strana e agghiacciante, ma pur

empre una coincidenza. Che, si potrebbe aggiungere, mi ha fatto passare un tempo considerevole inrigione. Le coincidenze a volte sono cose terribili e pericolose."

Dirk soppesò Richard con un'altra delle sue lunghe occhiate. "Ti stavo guardando con attenzione,"

li disse. "Mi sembri estremamente rilassato per un uomo nella tua condizione." A Richard sembrò un commento strano e per un attimo cercò di coglierne il senso. Poi la luce si

ece largo in lui, ed era una luce molesta."Santo cielo," disse, "non sará mica riuscito ad arrivare anche fino a te, vero?"Stavolta era Dirk a sembrare perplesso dalla frase. "Chi è arrivato fino a me?" chiese."Gordon. No, ovviamente no. Gordon Way. Ha quest'abitudine di cercare di farmi incalzare da

ltre persone perché vada avanti con quelli che lui considera lavori importanti. Per un momento hoensato... bah, non importa. Ma allora cosa intendevi dire?"

"Ah. Gordon Way ha quest'abitudine, eh?""Giá. A me non piace. Perché?"Dirk lanciò uno sguardo lungo e duro a Richard, picchiettando leggermente una matita sulla

crivania.Poi si appoggiò di nuovo allo schienale e disse quanto segue: "Il corpo di Gordon Way è stato

coperto questa mattina prima dell'alba. Gli hanno sparato, l'hanno strangolato e infine hanno datouoco alla casa. La polizia sta lavorando all'ipotesi che in realtá non gli abbiano sparato in casa, datohe non è stato rinvenuto alcun pallino di fucile da caccia, a parte quelli nel suo corpo.

Ne sono stati ritrovati invece vicino alla Mercedes 500 Sec del signor Way, abbandonata a circainque chilometri da casa sua. Ciò lascia credere che il corpo sia stato spostato dopo l'omicidio.noltre, il medico che ha esaminato il cadavere è dell'opinione che il signor Way in realtá sia stato

trangolato dopo essere stato colpito dal proiettile, il che sembra indicare una certa confusione nellamente dell'assassino.Per una sorprendente coincidenza, pare che la notte scorsa la polizia abbia avuto occasione di

nterrogare un signore visibilmente piuttosto confuso, che ha dichiarato di essere soggetto a unaorta di senso di colpa per aver appena investito il suo datore di lavoro.

Quest'uomo era il signor Richard MacDuff e il suo datore di lavoro era la vittima, il signorGordon Way. Si è anche notato che il signor Richard MacDuff è una delle due persone che piú

robabilmente beneficeranno della morte del signor Way, visto che la WayForward Technologiesuasi certamente passerá almeno in parte nelle sue mani. L'altra persona è l'unica sua parente inita, la signorina Susan Way, nel cui appartamento ieri notte il signor Richard MacDuff è stato visto

ntrodursi. La polizia naturalmente questo non lo sa. E, se possiamo impedirlo, non lo saprá mai.Chiaramente, ogni rapporto fra i due verrá esaminato attentamente. Alla radio, i notiziari dicono chetanno cercando urgentemente il signor MacDuff, il quale, ritengono, sará in grado di aiutarli nellendagini, ma dal modo in cui lo dicono si capisce che senza dubbio lo credono colpevole comeinferno.

Le mie tariffe sono le seguenti: duecento sterline al giorno, piú le spese. Le spese non sonorattabili e talvolta chi non ca isce ueste cose le trova iuttosto in iustificate. Sono tutte necessarie

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 , come dico, non trattabili. Sono assunto?"

"Scusa," disse Richard annuendo leggermente. "Potresti ricominciare da capo?" 

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Capitolo Diciassette...

Il Monaco Elettrico non sapeva piú cosa credere.Nelle ore precedenti era passato attraverso un numero sconcertante di sistemi di credenze,

arecchi dei quali non erano riusciti a dargli il conforto spirituale a lungo termine che a causa dellaua programmazione era condannato a ricercare in eterno. Era stufo. Francamente. E stanco. Ecoraggiato.

In piú, cosa che lo sorprendeva, gli mancava un po' il suo cavallo. Una creatura ottusa e umile,ertamente, e in quanto tale indegna della preoccupazione di uno la cui mente era destinata perempre a occuparsi di cose elevate, al di lá della comprensione di un semplice cavallo; eppure gli

mancava. Aveva voglia di sedercisi sopra. Aveva voglia di dargli una pacca. Aveva voglia di sentire che non

apiva.Si chiese dove fosse finito.Sconsolato, dondolò i piedi dal ramo dell'albero su cui aveva passato la notte. Vi si era

rrampicato alla ricerca di qualche sogno folle e fantastico, poi era rimasto bloccato e aveva dovutoermarcisi fino al mattino.

 Anche adesso, alla luce del giorno, non sapeva bene come sarebbe riuscito a scendere. Per unttimo arrivò pericolosamente vicino alla convinzione di poter volare, ma intervenne una routine diontrollo degli errori provocati da eccessiva rapiditá di pensiero, che gli disse di non fare l'idiota.

Comunque, era un problema.Quale che fosse l'ardente fuoco di fede che nelle magiche ore della notte l'aveva portato, ispirato

ulle ali della speranza, lassú fra i rami dell'albero, non gli aveva fornito le istruzioni su comeitornare giú quando, come capita fin troppo spesso con queste fedi fieramente ardenti nelle oreotturne, al mattino gli fosse venuta meno.

E parlando (o meglio, pensando) di cose che ardono fieramente, nelle prime ore antelucane, aoca distanza da lì, c'era stato qualcosa di grosso che ardeva fieramente.

Gli pareva che la direzione fosse la stessa da cui era arrivato lui, attratto da una forte spintapirituale verso quell'albero esageratamente alto, ma per il resto imbarazzantemente banale. Avevaesiderato di andare ad adorare il fuoco, votandosi in eterno alla sua sacra fiamma, ma mentre

ottava disperatamente per trovare il modo di scendere dai rami, erano arrivati i pompieri chevevano messo fine a quello splendore divino, e anche quella fede era finita fuori della finestra.

Il sole si era levato da qualche ora e per quanto lui avesse occupato il proprio tempo meglio cheoteva, credendo alle nuvole, ai rametti, a una forma particolare di scarabei volanti, ora sentiva diverne avuto abbastanza e per di piú era profondamente convinto che gli stesse venendo fame.

Gli sarebbe piaciuto aver avuto l'accortezza di portarsi via qualcosa da mangiare dalla residenzahe aveva visitato nella notte, dove aveva depositato il suo sacro fardello per l'inumazione nel sacroipostiglio delle scope, invece di andarsene, come aveva fatto, tutto preso da un'innocente passione,itenendo che questioni mondane come il cibo non avessero alcuna importanza e che comunque civrebbe pensato l'albero.

Bene, ci aveva pensato.

 Aveva pensato a fornirgli tanti rametti. I Monaci non mangiavano rametti.In realtá, ora che ci pensava, si sentiva leggermente a disagio rispetto ad alcune delle cose cheveva creduto la notte prima, trovando certi risultati piuttosto sconcertanti. Le istruzioni ricevuteicevano molto chiaramente di "sparare" e lui si era sentito stranamente costretto a obbedire, ma

orse aveva sbagliato a mettere in atto tanto precipitosamente un'istruzione impartitagli in unangua imparata da appena due minuti. Certo, la reazione della persona a cui aveva sparato erapparsa un po' eccessiva.

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 Nel suo mondo, quando si sparava in quel modo a qualcuno, la settimana dopo quello tornava per

n'altra puntata, ma lui dubitava che quel tale sarebbe tornato.Una raffica di vento investì l'albero, scuotendolo paurosamente. Scese di qualche centimetro. La

rima parte era abbastanza facile, dato che i rami erano piuttosto vicini fra loro. Era l'ultima adpparirgli di una difficoltá insormontabile, un gran salto che rischiava di provocargli gravi danninterni o rotture, le quali a loro volta potevano far sì che cominciasse a credere cose davvero strane.

Improvvisamente, la sua attenzione fu attratta da un suono di voci in un angolo lontano delampo. Un camion si era fermato sul ciglio della strada. Guardò attentamente per qualche istante,

ma non riuscendo a vedere niente di particolare in cui credere, tornò all'introspezione.

Si ricordò che la sera prima aveva ricevuto uno strano input funzionale che fino a quel momentoli era ignoto, ma aveva la sensazione che potesse trattarsi di una cosa che conosceva per sentitoire, chiamata rimorso. Il modo in cui la persona a cui aveva sparato era rimasta stesa in terra nonli era piaciuto neanche un po', e dopo essersi allontanato in un primo tempo, il Monaco era tornatodare un'altra occhiata. Decisamente, quel tale aveva sul volto un'espressione da cui si intuiva che

'era qualcosa di storto, che tutto ciò non corrispondeva all'ordine naturale delle cose. Il Monacoemeva di avergli rovinato irrimediabilmente la serata.

Eppure, rifletté, la cosa piú importante era di fare quello che si crede giusto.Subito dopo, aveva creduto giusto, visto che gli aveva rovinato la serata, di portarlo almeno a

asa, e una rapida ricerca nelle sue tasche aveva fruttato un indirizzo, qualche mappa stradale e delle

hiavi. Il viaggio era stato duro, ma il suo cammino era stato sostenuto dalla fede.Inaspettatamente, dall'altra parte del campo gli giunse la parola "bagno".Guardò di nuovo il camion nell'angolo opposto. C'era un tipo in uniforme blu scuro che spiegava

ualcosa a un altro tipo, vestito di rudi abiti da lavoro, apparentemente contrariato da quello chetava ascoltando. Trasportate dal vento, gli arrivarono le parole "fino a che non rintracceremo ilroprietario" e "certo, completamente suonato". L'uomo in abiti da lavoro chiaramente era dispostod accettare la situazione, sia pure di malagrazia.

Qualche momento dopo, dal retro del camion uscì un cavallo che fu condotto nel campo. IlMonaco batté le palpebre. I suoi circuiti ebbero un fremito e uno sbalzo di tensione provocato dallobigottimento. Ecco finalmente qualcosa in cui credere, un avvenimento davvero miracoloso,inalmente una ricompensa per la sua devozione, magari poco selettiva, ma certo senza riserve.

Il cavallo camminava con passo paziente, senza lamentarsi. Si era abituato da tempo a stare doveo mettevano, ma una volta tanto pensò che non gli importava. Ecco qua un bel campo, osservò. Eccoua dell'erba. C'era una siepe da rimirare. C'era abbastanza spazio per poter fare una trottata, se piúardi ne avesse sentito il bisogno. Gli umani si allontanarono, abbandonandolo al suo estro, ben lietoi esservi abbandonato. Partì per un piccolo ambio, per puro capriccio, poi si fermò. Poteva fareuello che voleva.

Che piacere.Che grande e insolito piacere.

Passò lentamente lo sguardo su tutto il campo, quindi decise di organizzarsi una meravigliosaiornata di riposo. Piú tardi un po' di trotto, pensò, piú o meno verso le tre. Dopo di che si sarebbeteso sulla parte est del campo, dove l'erba era piú folta. Sembrava il posto ideale dove andare a fareno spuntino.

Per pranzo, fantasticò, poteva andare verso il lato sud del campo, dove correva un ruscelletto.ranzo presso ruscello, santo cielo. Era un paradiso.

Gli piaceva molto anche l'idea di passare un'ora e mezza a camminare prima a destra e poi ainistra, senza nessuna ragione apparente. Si chiedeva solo se fra le due e le tre fosse piú proficuooteare la coda o ruminare qualcosa.

Certo, poteva sempre fare tutt'e due le cose, se lo desiderava, e andare a farsi la sua trottatina un

o' piú tardi. Inoltre, aveva appena avvistato quello che aveva tutta l'aria di essere proprio un belezzetto di siepe da cui gustarsi il panorama, cosa che l'avrebbe aiutato a far passare piacevolmenteuell'oretta o due che mancavano al pranzo.

Bene.Ottimo programma.E il suo aspetto migliore era che, dopo averlo elaborato, poteva anche ignorarlo dal principio alla  '

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. .Dai suoi rami, il Monaco Elettrico si lasciò cadere sul dorso del cavallo, con un urlo che suonò in

maniera sospetta come "Geronimo". 

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Capitolo Diciotto...

Dirk Gently ripercorse rapidamente i fatti salienti mentre il mondo di Richard MacDuff recipitava lentamente e silenziosamente in un mare oscuro e gelido, di cui lui ignorava persinoesistenza e che ora si apriva lì, a qualche centimetro dai suoi piedi. Quando Dirk ebbe finito per laeconda volta, la stanza sprofondò nel silenzio, mentre Richard fissava con occhio vitreo la facciaell'altro.

"Dove hai sentito tutto questo?" chiese Richard alla fine. "Alla radio," disse Dirk con unacrollatina di spalle, "almeno nei suoi punti principali. Ne parlano tutti i notiziari, naturalmente. Iarticolari? Be', qualche discreta indagine qua e lá. Alla stazione di polizia di Cambridge ci sono unaio di persone che ho avuto occasione di conoscere, per ragioni che puoi ben immaginare.

"Non so nemmeno se crederti," disse Richard a voce bassa. "Posso usare il telefono?"

Dirk ripescò gentilmente la cornetta dal cestino della carta straccia e glielo porse. Richardompose il numero di Susan. La risposta fu quasi immediata e una voce spaventata disse: "Pronto?"

"Susan, sono Ri...""Richard! Dove sei? Buon Dio, dove sei? Stai bene?""Non dirle dove sei," suggerì Dirk."Susan, cos'è successo?""Non sai...?""Mi hanno detto che è successo qualcosa a Gordon, ma...""Successo qualcosa...? È morto, Richard, è stato assassinato...""Riattacca," disse Dirk.

"Susan, ascolta. Io...""Riattacca," ripeté Dirk, poi si chinò verso il telefono e tolse la comunicazione."Probabilmente ha il telefono controllato dalla polizia," spiegò. Prese il ricevitore e lo lasciò

adere di nuovo nel cestino."Ma io devo andarci, alla polizia," esclamò Richard."Andare alla polizia?""Che altro posso fare? Devo andare alla polizia a dire che non sono stato io.""Dire che non sei stato tu?" fece Dirk incredulo. "Be', immagino allora che questo metta a posto

utto. Peccato che il dottor Crippen non ci abbia pensato. Si sarebbe risparmiato un bel po' diastidi."

"Sì, ma lui era colpevole!""Giá, pare di sì. E altrettanto, al momento, si direbbe di te.""Ma, buon Dio, non sono stato io!""Ricordati che stai parlando a un uomo che ha passato del tempo in prigione per qualcosa che

on aveva fatto. Ti ho detto che le coincidenze sono cose strane e pericolose. Credimi, è molto mamolto meglio trovare prove di acciaio temperato della tua innocenza, che non languire in una cellaperando che la polizia (che giá ti crede colpevole) le trovi al posto tuo."

"Non riesco a pensare con chiarezza," disse Richard con una mano sulla fronte. "Fermati unmomento solo e lasciami riflettere... "

"Se posso...""Lasciami riflettere...!"Dirk si strinse nelle spalle e tornò a rivolgere la propria attenzione alla sigaretta, che

pparentemente gli dava qualche problema."Non va bene," disse Richard dopo qualche momento scuotendo la testa, "non ci capisco niente. È

ome cercare di eseguire un calcolo trigonometrico mentre qualcuno ti prende la testa a calci. Vaene, dimmi che cosa dovrei fare secondo te."

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 "Ipnosi.""Cosa?""Date le circostanze, non c'è da stupirsi che tu faccia fatica a raccogliere le idee. Tuttavia, è

ssolutamente necessario che qualcuno le raccolga. Sarebbe molto piú facile per entrambi se tu miermettessi di ipnotizzarti. Ho il sospetto che nella tua testa ci sia una gran quantitá di informazioniutte mescolate, che non verranno fuori certo scuotendola e che potrebbero non venir fuori affattoerché tu non ti rendi conto del loro significato. Con il tuo permesso, possiamo dare un taglio a tuttoiò."

"Bene, allora è deciso," disse Richard alzandosi in piedi, "andrò alla polizia."

"Benissimo," disse Dirk, abbandonandosi all'indietro e appoggiando le mani aperte sullacrivania. "Ti auguro la migliore delle fortune. Magari, uscendo, potresti essere così gentile da dirella mia segretaria di portarmi dei fiammiferi?"

"Non hai piú una segretaria," disse Richard e se ne andò.Per qualche secondo, Dirk rimase seduto a meditare, poi fece un inutile tentativo di ficcare nel

estino la triste scatola vuota della pizza e quindi andò nell'armadio a prendere un metronomo. Riemergendo alla luce del giorno, Richard batté le palpebre. Si fermò su un gradino ondeggiando

eggermente, poi si lanciò nella strada con una strana andatura danzante che rifletteva la danzaurbinosa dei suoi pensieri. Da una parte, non riusciva a credere che le prove non dimostrassero con

nequivocabile chiarezza che il delitto non poteva essere stato commesso da lui; dall'altra, dovevammettere che tutto ciò era notevolmente strano.

Non riusciva a pensarci lucidamente o razionalmente. L'idea che Gordon fosse stato uccisoontinuava a turbinargli nella testa, gettando nella confusione e nello scompiglio piú totale tutti gliltri pensieri.

Gli venne in mente che chiunque l'avesse fatto, doveva essere un tiratore maledettamente veloceer aver premuto il grilletto prima di essere completamente sopraffatto dai sensi di colpa, ma subitoopo si pentì di averlo pensato. In effetti, era abbastanza inorridito dalla qualitá generale deiensieri che gli venivano alla mente. Gli sembravano inadeguati e indegni e quasi tutti riguardavanoeffetto che tutto ciò avrebbe avuto sui suoi progetti nell'azienda.

Scrutò dentro di sé, alla ricerca di un qualche sentimento di grande dolore o rincrescimento,rrivando alla conclusione che da qualche parte dovevano pur essere, forse nascosti dietro il grande

muro dello choc.Era di nuovo in vista dell'Islington Green e quasi non si era accorto della distanza che aveva

ercorso. La vista improvvisa della macchina della polizia parcheggiata davanti a casa sua fu comena martellata e si girò a guardare con furiosa concentrazione il menú esposto nella vetrina di unistorante greco.

"Dolmades," pensò freneticamente."Suvlaki," pensò.

"Salsicciotto greco speziato," gli passò febbrilmente per la testa. Senza girarsi, cercò diicostruire mentalmente la scena. C'era un poliziotto in piedi che sorvegliava la strada e, per quellohe ricordava dal fugace sguardo che aveva potuto dare, la porta laterale dell'edificio che saliva aluo appartamento era aperta.

Nel suo appartamento c'era la polizia. Nel suo appartamento. Fassolia Plaki! Una scodella colmai fagioli cotti in salsa di pomodoro e verdure!

Provò a dare un'occhiata di lato e poi dietro le spalle. Il poliziotto lo stava osservando. Riportò dicatto lo sguardo al menú e cercò di riempire i suoi pensieri di carne finemente tritata mescolata conatate, mollica di pane, cipolle e odori, fatta a polpettine e fritta. Il poliziotto doveva averloiconosciuto e sicuramente in quello stesso momento stava attraversando la strada di corsa per

gguantarlo e trascinarlo via in un cellulare, proprio come era successo a Dirk, a Cambridge, tantinni prima.

Incassò la testa nelle spalle per prepararsi all'urto, ma non arrivò nessuna mano ad agguantarlo.birciò indietro ancora una volta, ma il poliziotto stava guardando tranquillamente da un'altra parte.tifado.

Non poteva nascondersi che il suo comportamento non era certo quello di chi sta per andare a 

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  .E allora, che altro poteva fare?Cercando con passo rigido e goffo di darsi un'andatura naturale, si strappò dalla vetrina, fece

ualche passo nella via, tesissimo, poi si rifugiò di nuovo nel Camden Passage, camminando svelto eol fiato corto. Dove poteva andare? Da Susan? No, ci avrebbe trovato la polizia o comunque sarebbetata sotto sorveglianza. Agli uffici della Wft di Primrose Hill? No, per lo stesso motivo. Che diavoloi faceva, gridò silenziosamente a se stesso, improvvisamente fuggiasco?

Si ripeté, come giá aveva fatto con Dirk, che non doveva scappare dalla polizia. La polizia, siisse, come gli avevano insegnato da bambino, era lì apposta per aiutare e proteggere gli innocenti.

Questo pensiero gli fece spiccare la corsa all'istante, tanto che andò quasi a sbattere contro il fieroeo-proprietario di un'orribile lampada edoardiana.

"Mi scusi," disse, "mi scusi." Non riusciva a credere che qualcuno potesse desiderare un oggettoimile e rallentò il passo, guardandosi intorno con furtive occhiate da ricercato. La pur familiarefilata di negozi, pieni di vecchi ottoni lucidi, vecchi legni lucidi e pesci giapponesi, improvvisamenteli sembrava minacciosissima e aggressiva.

Chi mai aveva potuto volere la morte di Gordon? Svoltando per Charlton Place, tutto a un trattoo colpì quel pensiero. Fino a quel momento, aveva pensato solo che non era stato lui.

Ma chi era stato?Era un pensiero nuovo.

C'era un sacco di gente che non gli voleva bene, ma c'è una bella differenza fra trovare antipaticoualcuno (o anche, molto antipatico) e sparargli, strangolarlo, trascinarlo per i campi e dar fuocolla sua casa. Era una differenza che bastava a tenere in vita giorno dopo giorno la stragrande

maggioranza della popolazione.Forse era stata una rapina? Dirk non aveva accennato a nessun oggetto mancante, ma lui non

liel'aveva chiesto.Dirk. L'immagine della sua figura assurda ma stranamente imponente, seduto come un grosso

ospo a meditare nel suo squallido ufficio, continuava a tornargli alla mente. Si rese conto che stavaipercorrendo la strada fatta poco prima, e di proposito girò a destra invece che a sinistra.

Era una follia.

 Aveva solo bisogno di un posto, un po' di tempo per pensare e raccogliere le idee.Benissimo, e allora, dove andava? Si fermò un momento, si girò e si fermò di nuovo. L'idea deiolmades improvvisamente gli appariva molto invitante e pensò che la linea di condotta piú lucida,alma e sensata sarebbe stata semplicemente quella di entrare e mangiarsene un paio. Così avrebbeatto vedere al Destino chi era il capo.

Il Destino, invece, aveva scelto esattamente la stessa linea di condotta. Non era propriamenteeduto nel ristorante greco a mangiare dolmades, ma avrebbe potuto farlo benissimo, visto che ilimone del comando ce l'aveva in mano lui. I passi di Richard lo riportarono inesorabilmente neledalo di viuzze, dall'altra parte del canale.

Si fermò un momento al negozio all'angolo, superò in fretta le case popolari, entrò di nuovo nel

erreno di caccia degli speculatori, finché non si ritrovò ancora una volta davanti al numero 33 dieckender Street. Piú o meno alla stessa ora in cui il Destino avrebbe potuto versarsi l'ultimo goccioi resina, pulirsi la bocca e chiedersi se gli fosse rimasto un angolino per qualche baklava, Richardlzava lo sguardo sull'edificio vittoriano, alto e rosso, con i suoi mattoni anneriti dalla fuliggine e leorve finestre pesanti. Una raffica di vento spazzò la strada e un bambino andò a sbattergli addosso.

'Fanculo," disse il bambino con voce stridula, poi si fermò e lo guardò di nuovo."Ehi, signore," soggiunse, "posso avere la tua giacca?""No," rispose Richard."Perché no?" chiese il bambino."Be', perché mi piace," disse Richard.

"Non capisco proprio come fa," borbottò il bambino. "'Fanculo." Si allontanò imbronciato,calciando un sasso in direzione di un gatto.

Richard entrò nell'edificio per la seconda volta, sali le scale sentendosi a disagio e anche stavoltauardò nell'ufficio.

La segretaria di Dirk era seduta alla scrivania, la testa bassa, le braccia conserte."Non sono qui," disse." "

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, ."Sono tornata soltanto," disse senza alzare lo sguardo dal punto della scrivania che stava fissando

on astio, "per accertarmi che lui si accorga che me ne sono andata. Altrimenti, quello sarebbe ancheapace di dimenticarsene."

"C'è?" chiese Richard."Che ne so? Chi se ne frega? Meglio chiederlo a chi lavora per lui, che non sono certo io.""Lo faccia accomodare!" risuonò la voce di Dirk.Per un momento lei assunse uno sguardo torvo, poi si alzò, andò alla porta interna, la spalancò,

isse: "Lo faccia accomodare lei," sbatté nuovamente la porta e tornò a sedersi.

"Ehm, non potrei accomodarmi da solo?" disse Richard."Non la sento nemmeno," disse l'ex segretaria di Dirk, fissando ostinatamente la scrivania.Come pensa che possa sentirla se non sono neppure qui?"

Richard fece un gesto conciliatore, che venne ignorato, si diresse verso la porta dell'ufficio di Dirk se l'aprì da solo. Con sorpresa, constatò che la stanza era immersa nella penombra. La tapparella

ra abbassata e Dirk se ne stava allungato all'indietro sulla sedia, il volto illuminato in modo curiosoallo strano assortimento di oggetti poggiati sulla sua scrivania. Sulla parte anteriore, un vecchio

anale di bicicletta grigio, rivolto verso Dirk, proiettava una flebile luce su un metronomo cheicchettava sommessamente avanti e indietro, con un lucidissimo cucchiaino d'argento legato allaacchetta di metallo.

Richard buttò sulla scrivania una scatola di fiammiferi. "Siediti, rilassati e continua a guardare ilucchiaio," disse Dirk, "hai giá sonno..." Davanti all'appartamento di Richard una seconda macchina della polizia si fermò facendo stridere

freni; ne uscì un uomo dalla faccia truce che si diresse verso uno dei piantoni in servizio all'esterno,acendo lampeggiare un distintivo.

"Ispettore Mason, Cambridgeshire Cid," disse. "È qui che vive MacDuff?"Il piantone annuì e lo accompagnò all'ingresso laterale, che dava sulla lunga scala stretta che

ortava all'appartamento. Mason vi si scaraventò dentro e poi se ne scaraventò fuori."C'è un divano a metá delle scale," disse al piantone. "Fatelo togliere di lì."

"I facchini ci hanno giá provato, signore," replicò ansiosamente il piantone. "A quanto pare, èncastrato. Per il momento bisogna scavalcarlo, signore. Spiacente, signore."

Mason gli scoccò un altro sguardo truce dal vasto repertorio che aveva messo insieme e chendava dallo sguardo molto, molto truce, in fondo alla graduatoria, su su fino allo sguardotancamente rassegnato e solo un filo truce, che riservava per il compleanno dei figli.

"Fatelo togliere di lì," ripeté truce e si riscaraventò dentro la porta con aria truce, rimboccandosirucemente pantaloni e cappotto in vista della truce scalata che lo aspettava.

"Ancora nessuna traccia?" chiese quello che stava al volante dell'auto, facendosi avanti. "SergenteGilks," si presentò. Sembrava stanco.

"Che io sappia, no," disse il piantone, "ma nessuno mi dice niente."

"So come ci si sente," convenne Gilks. "Una volta che arriva il Cid uno deve limitarsi acarrozzarli in giro. E io sono l'unico a sapere che faccia abbia. Ieri sera l'ho fermato per strada.

Arriviamo adesso dalla casa di Way. Un bel casino.""Una nottataccia, eh?""Movimentata. Di tutto, dall'omicidio al tirar fuori cavalli dai bagni. No, non mi chieda niente.

Avete anche voi queste macchine?" disse poi indicando la sua. "Questa mi ha fatto impazzire perutta la strada. Freddo anche col riscaldamento al massimo e la radio che continua ad accendersi epegnersi da sola."

 

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Capitolo Diciannove...

Quella mattina, Michael Wenton-Weakes era di un umore abbastanza strano.Bisognava conoscerlo piuttosto bene per capire che si trattava di un umore davvero molto strano,erché parecchie persone, tanto per incominciare, lo trovavano comunque un po' strano. Pochi però

o conoscevano così bene. Sua madre, forse, ma fra loro c'era un clima da guerra fredda ed eranoettimane che non si parlavano.

 Aveva anche un fratello maggiore, Peter, che ora, cosa mostruosa, era un veterano della Marina.A parte il funerale del padre, Michael non vedeva Peter da quando era tornato dalle Falklands,operto di gloria, promozioni e disprezzo per il fratello minore.

Peter era andato in brodo di giuggiole quando la madre aveva rilevato la Magna e aveva mandatoMichael una cartolina natalizia del reggimento esprimendo il proprio compiacimento. Ma il suo

ivertimento massimo restava sempre quello di tuffarsi nel fango di un fossato e sparare con unamitragliatrice per non meno di un minuto, e riteneva che i giornali e l'editoria inglese, nonostante iloro attuale stato di irrequietezza, difficilmente gli avrebbero offerto un piacere simile, almeno finoquando non fossero subentrati altri australiani.

Michael si era alzato molto tardi dopo una notte di gelide sfrenatezze e di sonni agitati, cheontinuavano a turbarlo ancora adesso, alla luce del giorno ormai fatto.

 A pervadere i suoi sogni, oltre alla consueta sensazione di perdita, di isolamento, di colpa e cosìia, inspiegabilmente erano arrivate anche grandi quantitá di fango. In virtú del potere telescopicoella notte, l'incubo del fango e della solitudine era sembrato protrarsi per un tempo terrificante,

nimmaginabile e si era concluso soltanto con la comparsa di esseri viscidi dotati di gambe che

trisciavano su quel mare viscido. Ma quello era davvero troppo e lui si era svegliato di soprassalto,n preda a un sudore freddo.

Sebbene tutta quella storia del fango gli fosse sembrata strana, la sensazione di perdita, disolamento e soprattutto di offesa, il bisogno di disfare quanto era stato fatto, tutto ciò trovòacilmente dimora nel suo animo.

 Anche quegli esseri viscidi dotati di gambe gli sembravano stranamente familiari e stazionaronoastidiosamente in un angolino del cervello mentre si concedeva una colazione tardiva, qualchepicchio di pompelmo e del tè cinese, lasciando vagare distrattamente lo sguardo sulla paginaell'arte del "Daily Telegraph" e poi mentre, piuttosto goffamente, si cambiava la medicazione delaglio alla mano.

Una volta terminate queste piccole occupazioni, rimase incerto sul da farsi.Riusciva a considerare gli eventi della sera prima con un freddo distacco che non si sarebbe

spettato. Aveva fatto bene, come si doveva, era proprio quello che ci voleva. Ma non aveva risoltoulla. Le cose importanti doveva ancora farle.

Ma quali? Aggrottò la fronte, perplesso dalla strana piega che avevano preso i suoi pensieri.In genere, piú o meno a quell'ora avrebbe fatto un salto al club. Una volta lo faceva con la

oluttuosa sensazione di avere molte altre cose da fare. Ora non c'era nient'altro, il che rendeva ilempo trascorso lì, come in qualsiasi altro posto, in qualche modo pesante fra le sue mani.

Quando ci andava, faceva le cose di sempre, si concedeva un gin tonic e un po' di conversazione

picciola, poi lasciava che i suoi occhi si posassero delicatamente sulle pagine del "Times Literary upplement", "Opera", "The New Yorker" o su qualunque altra cosa gli capitasse sotto mano, ma daualche tempo tutto ciò lo faceva innegabilmente con meno energia e piacere di una volta.

Poi c'era il pranzo. Quel giorno, di nuovo, non aveva nessun impegno per pranzo, per cuirobabilmente sarebbe rimasto al club a mangiare una sogliola di Dover scottata alla griglia, patate

esse a pezzetti condite con prezzemolo, seguite da una bella porzione di zuppa inglese. Un bicchieredue di Sancerre. E il caffè. Poi, il pomeriggio, con quello che avrebbe portato con sé.

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Quel giorno però si sentiva stranamente restio a farlo. Fletté i muscoli della mano ferita, si versòn'altra tazza di tè, guardò con curiosa freddezza il grosso coltello da cucina ancora posato accantoll'elegante teiera di porcellana cinese e rimase in attesa di vedere cosa avrebbe fatto. Quello cheece, in effetti, fu salire al piano di sopra.

La casa era piuttosto fredda nella sua perfezione formale e assomigliava parecchio a ciò cuiorrebbero che assomigliasse quelle persone che comprano riproduzioni di mobili antichi. A parte ilatto che naturalmente lì tutto era autentico, cristallo, mogano e tappeti Wilton, e se sembrava falsora solo perché in quelle cose mancava la vita.

Salì nello studio, l'unica stanza della casa che non fosse ordinata fino all'asetticitá, dove però il

isordine dei libri e delle carte era asettico per l'eccessiva trascuratezza. Tutto era ricoperto da unottile strato di polvere. Michael non ci entrava da settimane e la donna delle pulizie aveva ricevutoordine perentorio di lasciare tutto come si trovava. Non lavorava lì dentro da quando avevaerminato l'ultimo numero di "Fathom". Naturalmente, non l'ultimo numero effettivo, ma l'ultimoero numero. L'ultimo numero, per quanto riguardava lui.

Posò la tazzina di porcellana sulla polvere sottile e andò a esaminare il suo vecchio giradischi. Virovò una vecchia registrazione di alcuni concerti per strumenti a fiato di Vivaldi, avviò il piatto e siedette.

Di nuovo, rimase in attesa di vedere cosa avrebbe fatto e improvvisamente scoprì sorpreso chetava giá facendo qualcosa, cioè ascoltava la musica.

Un'espressione stupita gli apparve sul volto mentre si rendeva conto di non averlo mai fattorima. L'aveva sentita molte, moltissime volte pensando che produceva un suono piacevole. Anzi,rovava che costituisse un piacevole sottofondo su cui discutere della stagione concertistica, marima di allora non aveva mai pensato che ci fosse anche qualcosa da ascoltare.

Rimase seduto, folgorato dal gioco della melodia e del contrappunto che tutto a un tratto gli siivelava con una chiarezza per nulla disturbata dalla polvere depositata sulla superficie del disco oallo stile vecchio di quattordici anni.

Ma insieme a questa rivelazione, arrivò quasi immediato un senso di delusione, che lo confusencora di piú. La musica rivelataglisi all'improvviso era stranamente poco appagante. Era come se, inn solo, intensissimo momento, la sua capacitá di capire la musica fosse aumentata di punto inianco fino o addirittura oltre la possibilitá di essere soddisfatta dalla musica stessa.

Si sforzò di capire che cosa mancava ed ebbe la sensazione che la musica fosse come un uccelloncapace di volare che non capiva nemmeno quale facoltá avesse perduto. Camminava benissimo, manvece di camminare avrebbe dovuto librarsi in volo, invece di camminare avrebbe dovuto cabrare,nvece di camminare avrebbe dovuto impennarsi, planare e tuffarsi in picchiata, invece di camminarevrebbe dovuto fremere per la vertigine del volo. Anche il suo sguardo non si alzava mai.

 Alzò lo sguardo.Dopo un po', si rese conto che si stava limitando a fissare stupidamente il soffitto. Scosse la testa

scoprì che quella sensazione era svanita, lasciandogli un leggero malessere, un capogiro. Non era

vanita del tutto, ma era scesa in profonditá dentro di lui, troppo in profonditá per poterlaaggiungere.La musica continuava. Era sempre un piacevole ammasso di suoni in sottofondo, ma non lo

urbava piú. Aveva bisogno di trovare una spiegazione su quanto aveva appena provato e in un angolino della

mente gli passò un pensiero, veloce come un lampo, su dove poteva trovarla. Lo scacciòabbiosamente, ma gli si ripresentò insistentemente, finché alla fine decise di agire di conseguenza.

Tirò fuori da sotto la scrivania il grande cestino metallico. Poiché per il momento aveva proibitolla donna delle pulizie anche solo di entrare nella stanza, il cestino era ancora pieno e vi potérovare i frammenti stracciati di ciò che stava cercando, insieme al contenuto di un posacenere che

ualcuno vi aveva svuotato sopra. Vincendo il disgusto con truce determinazione, lentamente dispose gli odiati frammenti sulla

crivania, attaccandoli malamente con pezzetti di nastro adesivo che continuavano ad arrotolarsi,ncollando fra loro i pezzi sbagliati e quelli giusti alle sue dita o al tavolo, finché finalmente ebbeavanti a sé, ricostruita alla bell'e meglio, una copia di "Fathom". Tale e quale come era uscita dalle

mani dell'esecrata creatura: A.K. Ross.

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. Voltò le pagine accartocciate e appiccicose come se stesse frugando tra frattaglie di pollo.

Neanche un'immagine di Joan Sutherland o di Marilyn Horne. Niente profili dei maggioriommercianti d'arte di Cork Street, nemmeno uno.

La sua serie sui Rossetti: interrotta."Pettegolezzi dalla Camera Verde": interrotto.Scosse la testa incredulo, poi trovò l'articolo che stava cercando.Musica e paesaggi di frattali, di Richard MacDuff.Sorvolò sui primi due paragrafi introduttivi e prese a leggere poco piú avanti: L'analisi matematica e i modelli informatici ci stanno rivelando come le forme e i processi che si

ncontrano in natura (la crescita delle piante, l'erosione dei monti, lo scorrere dei fiumi, il modo inui i fiocchi di neve o le isole pervengono alla propria forma, i giochi di luce su una superficie, ilimescolio e le volute del latte quando si mescola il caffè, la propagazione di una risata in una folla diersone), tutti questi fenomeni, nella loro apparentemente magica complessitá, possono essereescritti con l'interazione di processi matematici che sono, se mai, ancora piú magici nella loroemplicitá.

Forme che noi pensiamo casuali, sono in realtá il prodotto di complicate trame variabili diumeri che obbediscono a regole semplici. La stessa parola "naturale", che spesso dobbiamo

tilizzare nel senso di "non strutturato", descrive in effetti forme e processi che appaiono cosìmpenetrabilmente complessi da renderci impossibile la percezione del lavorio di semplici leggiaturali.

Tutto ciò si può descrivere attraverso i numeri. Stranamente, a Michael questa idea sembrava ora meno disgustosa che dopo la prima, frettolosa

ettura.Continuò a leggere con crescente concentrazione. Sappiamo tuttavia che la mente è capace di comprendere queste cose in tutta la loro complessitá

in tutta la loro semplicitá. Una palla che vola nell'aria risponde alla forza e alla direzione con lauale è stata lanciata, all'azione della gravitá, all'attrito dell'aria per superare il quale deveonsumare la propria energia, la turbolenza dell'aria attorno alla propria superficie e la velocitá e lairezione della rotazione della palla.

E tuttavia, anche chi dovesse avere difficoltá a calcolare coscientemente il risultato di 3 x 4 x 5,on avrebbe problemi a fare un calcolo differenziale e tutta una serie di operazioni collegate con unaelocitá così sorprendente da riuscire effettivamente a prendere una palla al volo.

Chi lo chiama "istinto", non fa altro che dare un nome al fenomeno, senza assolutamentepiegarlo.

Ritengo che il punto piú vicino a cui sono arrivati gli esseri umani nella comprensione di queste

omplessitá naturali sia la musica. È la piú astratta delle arti: non ha altro significato o scopo cheon se stessa.

Ogni singolo aspetto di un brano musicale può essere rappresentato numericamente.Dall'organizzazione dei movimenti in un'intera sinfonia, al gioco dei toni e dei ritmi cheostituiscono la melodia e l'armonia, alla dinamica che dá forma all'esecuzione, fino ai timbri delletesse note, le armoniche, il modo in cui cambiano nel tempo, in breve, tutti gli elementi di unumore che consentono di distinguere fra il suono prodotto da una persona che soffia in un ottavinoquello che si ottiene battendo su un tamburo: tutto ciò può essere espresso da modelli e gerarchieumeriche.

Inoltre, secondo la mia esperienza, piú sono le relazioni interne fra i modelli numerici nei

ifferenti livelli della gerarchia, per quanto complesse e sottili tali relazioni possano essere, piú lamusica sembrerá soddisfacente e, in sostanza, completa.

In effetti, piú quelle relazioni sono complesse e sottili, e dunque si trovano al di lá dellaomprensione cosciente della mente, piú la parte istintuale della mente (e con ciò intendo quellaarte della mente che può effettuare un calcolo differenziale con tale sorprendente rapiditá daiuscire a spostare la mano nel punto esatto per afferrare una palla al volo), piú quella parte del

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trane sensazioni e spaventosi ricordi che sapeva non appartenergli. Si sentì crescere dentro unenso di perdita e di desolazione di un'intensitá terribile che, pur sapendo non suo, riecheggiava oraon tanta esattezza le sue afflizioni che non poté far altro che arrendervisi completamente.

  E mille e mille esseri viscidi vivevano, e anch'io fra quelli. 

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Capitolo Venti...

La tapparella venne alzata con grande fragore e Richard ammiccò."A quanto pare, hai passato una serata affascinante," disse Dirk Gently, "anche se a quanto parea tua attenzione ha trascurato completamente gli aspetti piú interessanti."

Tornò alla sedia e vi si allungò all'indietro, congiungendo fra loro le punte delle dita."Ti prego," disse, "non mi deludere chiedendo: 'dove sono?' Basta un'occhiata."Richard si guardò intorno perplesso e stordito, sentendosi come se stesse inaspettatamente

ornando da un lungo soggiorno su un altro pianeta, dove tutto era pace, luce e musica che non finivamai. Si sentiva così rilassato che quasi non si dava la pena di respirare.

Il cavicchio di legno in fondo alla cinghia della tapparella sbatté qualche volta contro la finestra,ma per il resto tutto taceva. Il metronomo era immobile. Guardò l'orologio. Era l'una appena

assata."Sei rimasto sotto ipnosi per poco meno di un'ora," disse Dirk, "durante la quale sono venuto a

onoscenza di molte cose interessanti, mentre altre, che ora vorrei discutere con te, mi hannoconcertato. Un po' di aria fresca probabilmente ti aiuterá a riprenderti, per cui proporrei unaonificante passeggiata lungo il canale. Lì nessuno ti verrá a cercare. Janice! "

Silenzio.Parecchie cose non erano ancora chiare a Richard, che aggrottò la fronte. Quando di lì a un

momento gli ritornò la memoria immediata, fu come se tutto a un tratto fosse entrato un elefantealla porta, e si raddrizzò sulla sedia con un soprassalto.

"Janice!" gridò di nuovo Dirk, "Signorina Pearce! Maledetta ragazza."

Ripescò le cornette del telefono dal cestino della carta e le rimise al loro posto. Accanto allacrivania c'era una vecchia e logora valigetta di pelle, che lui raccolse, prese il cappello da terra e silzò, calcandoselo assurdamente in testa.

"Vieni," disse slanciandosi verso la porta dove la signorina janice Pearce se ne stava seduta aissare una matita, "andiamo. Usciamo da questo putrido bordello. Pensiamo l'impensabile, facciamoimpossibile. Prepariamoci ad agguantare l'ineffabile e vediamo se, dopo tutto, non c'è proprio modoi beffarlo. Allora, Janice... "

"La smetta."Dirk si strinse nelle spalle, poi prese dalla scrivania il libro che la ragazza poco prima aveva

mutilato cercando di chiudere il cassetto. Lo sfogliò accigliato, poi lo rimise a posto con un sospiro.anice tornò a ciò che evidentemente stava facendo fino a quel momento, cioè scrivere un lungo

messaggio con la matita. Richard contemplò la scena in silenzio, sentendosi ancora presente solo ametá. Scosse la testa.

"Al momento," gli disse Dirk, "può darsi che gli avvenimenti ti sembrino solo un granuazzabuglio. Invece abbiamo qualche filo interessante da tirare. Infatti, di tutto il tuo racconto, soloue cose sono davvero impossibili fisicamente."

Finalmente Richard parlò. "Impossibili?" disse corrucciandosi."Giá," rispose Dirk, "completamente e assolutamente impossibili."Sorrise.

"Fortunatamente," proseguì, "sei capitato proprio nel posto giusto con il tuo affascinanteroblema, visto che nel mio dizionario non esistono parole come 'impossibile'. In effetti," soggiunserandendo il povero libro maltrattato, "pare che vi manchi tutto ciò che sta fra 'halibut' e 'morbillo'.

Grazie, signorina Pearce, ancora una volta lei mi ha reso un servizio prezioso, cosa per la quale laingrazio e, nel caso di esito positivo di questa missione, proverò addirittura a pagarla. Per intanto,bbiamo molte cose su cui riflettere e quindi lascio l'ufficio nelle sue piú che capaci mani.

Il telefono squillò e Janice rispose.

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 "Buon pomeriggio," disse, "Wainwright Frutta e Verdura. Il signor Wainwright in questomomento non può venire al telefono perché non è del tutto in sé e ritiene di essere un cetriolo.Grazie per la chiamata."

Buttò giú la cornetta. Rialzò lo sguardo per vedere la porta che si richiudeva dolcemente dietro iluo ex datore di lavoro e il suo stralunato cliente.

 "Impossibile?" disse ancora Richard sorpreso."Tutto," ribadì Dirk, "completamente e assolutamente... be', diciamo inesplicabile. È inutile usare

a parola 'impossibile' parlando di qualcosa che è evidentemente accaduto. Ma non c'è nulla di ciò che

onosciamo in grado di spiegarlo."Lungo il canale Grand Union, l'aria frizzante penetrò nei sensi di Richard risvegliandolo.

Recuperate le sue normali facoltá, nonostante che continuasse a essere assalito a intervalli regolarial ricordo della morte di Gordon, almeno ora era in grado di riflettere piú lucidamente.tranamente, tuttavia, sembrava che al momento nei pensieri di Dirk quella fosse l'ultima cosa. Dirk i accaniva invece a interrogarlo a fondo sulle cose piú banali della sequela notturna di episodiizzarri.

Un tale che faceva jogging e un ciclista che arrivava dalla direzione opposta si urlarono a vicendai togliersi di mezzo ed evitarono di un soffio di scaraventarsi l'un l'altro nell'acqua lenta e fangosael canale. Una lentissima anziana signora che trascinava un vecchio cane ancora piú lento osservò la

cena attentamente. Sulla riva opposta, grandi capannoni vuoti si ergevano stupiti, con tutte leinestre in frantumi che luccicavano. Una chiatta bruciata dondolava incerta sull'acqua. Dentro, dueottiglie di detersivo galleggiavano nell'acqua putrida. Sul ponte piú vicino rombavano grossiamion pesanti, scuotendo le fondamenta delle case, eruttando fumi di scarico nell'aria epaventando una madre con la carrozzina che cercava di attraversare la strada.

Dirk e Richard passeggiavano ai margini di South Hackney, a un chilometro e mezzo dall'ufficioi Dirk, tornando verso il centro di Islington, dove Dirk sapeva che si trovavano i salvagente piúicini.

"Ma era soltanto un giochetto di prestigio, per tutti i santi," disse Richard. "Ne fa sempre. È solouestione di mano. Sembra impossibile, ma sono sicuro che se lo chiedi a un prestigiatore qualsiasii dirá che, sapendo come si fa, è facile. Una volta in una strada di New York ho visto un tipo che..."

"So come si fa," disse Dirk, tirandosi fuori dal naso due sigarette accese e un fico glassato. Buttòfico in aria, che però chissá come non ricadde a terra. "Destrezza, disorientamento, suggestione.

Tutte cose che si possono imparare, avendo del tempo da buttar via. Mi scusi, gentile signora," dissell'anziana e lenta proprietaria del cane mentre le passavano accanto. Si chinò sul cane e dal sedereli tirò fuori una lunga striscia di bandierine a colori vivaci. "Credo che ora si muoverá piúberamente," disse, toccandosi cortesemente il cappello e passando oltre.

"Vedi, queste cose," disse a uno sconcertato Richard, "sono facili. Segare in due una donna èacile. Segare in due una donna e poi rimetterla insieme è meno facile, ma con un po' di pratica si può

are. Il giochetto che mi hai descritto con il vaso di duecento anni e la saliera del college è..." fece unaausa per dare maggiore enfasi "...completamente e assolutamente inspiegabile.""Be', probabilmente ci sará stato qualche particolare che ho trascurato, ma...""Oh, senza dubbio. Ma il vantaggio di interrogare qualcuno sotto ipnosi è che permette a chi

nterroga di vedere la scena con molti piú dettagli di quelli che il soggetto al momento credeva diver notato. La bambina Sarah, per esempio. Ti ricordi com'era vestita?"

"Ehm, no." disse Richard distrattamente, "un abito qualunque, immagino..."Colore? Tessuto?""Be', non me lo ricordo, era scuro. Era seduta parecchi posti piú in lá. Le ho dato sì e no

n'occhiata."

"Indossava un vestito di velluto in cotone blu, stretto in basso sulla vita. Maniche alla raglanhiuse ai polsi, un colletto bianco da Peter Pan e sei bottoncini di perla sul davanti... Il terzo dall'altoveva un piccolo filo che veniva fuori. Aveva i capelli scuri tirati all'indietro e tenuti da un fermaglioosso a forma di farfalla."

"Se stai per dirmi che tutto ciò lo hai capito osservando un segno sulle mie scarpe, come Sherlock Holmes, temo proprio che non ti crederò."

" " " ' "

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, , , . .Richard scosse la testa."Non è vero," disse. "Non so nemmeno che cos'è un colletto alla Peter Pan.""Ma lo so io e tu me l'hai descritto con grande precisione. Così come il giochino di prestigio. E

uel giochino era impossibile nella forma in cui è stato fatto. Credimi. So quello che dico. Ci sononche altre cose che mi piacerebbe sapere a proposito del professore, come per esempio chi hacritto quell'appunto che hai trovato sul tavolo e quante furono le domande che fece effettivamente

Giorgio III, ma...""Ma?""... ma credo che sarebbe meglio chiederlo direttamente al nostro amico. Se non che..." Aggrottò

a fronte in uno sforzo di concentrazione. "Se non che," riprese, "essendo piuttosto presuntuoso inueste faccende, mi piacerebbe conoscere la risposta prima ancora di fare la domanda. E invece noncosì. Non è proprio così." Guardò distrattamente in lontananza e calcolò approssimativamente laistanza che restava fino al salvagente piú vicino.

"La seconda cosa impossibile," aggiunse, proprio mentre Richard stava per interloquire, "ouanto meno, la cosa successiva assolutamente inspiegabile è naturalmente la questione del tuoivano. "

"Dirk," esclamò Richard esasperato, "vorrei ricordarti che Gordon Way è morto e che a quantoare io sono sospettato del suo omicidio! Tutto ciò non c'entra nemmeno lontanamente e io..."

"Io invece sono estremamente incline a credere che c'entri.""Ma è assurdo!""Io credo nella sostanziale inter...""Ma sì, sì," disse Richard, "la sostanziale interconnessione di tutte le cose. Senti, Dirk, io non

ono una vecchia credulona e non mi farò scroccare nessun viaggio alle Bermuda. Se vuoi aiutarmi,llora andiamo al punto."

Dirk si inalberò. "Io credo che tutte le cose abbiano una sostanziale interconnessione, comehiunque segua i principi della meccanica quantistica fino alle loro estreme conseguenze logiche, se ènesto, non può fare a meno di riconoscere. Ma credo anche che alcune cose siano molto piúonnesse fra loro di altre. E quando due eventi apparentemente impossibili e una sequela di eventi

ecisamente singolari capitano tutti alla stessa persona, e la persona improvvisamente vieneospettata di un omicidio decisamente singolare, a questo punto mi sembra che la soluzione vadaercata nella connessione fra questi eventi. La connessione sei tu e d'altra parte anche tu ti seiomportato in modo decisamente singolare ed eccentrico."

"Non è vero," disse Richard. "Certo, mi sono capitate alcune cose strane, ma io...""Ieri notte, qualcuno (io) ti ha visto scalare la parte esterna di un edificio e fare irruzione

ell'appartamento della tua fidanzata, Susan Way.""Ammettiamo che sia insolito," disse Richard, "ammettiamo anche che non sia stato saggio. Ma

ra perfettamente logico e razionale. Volevo semplicemente rimediare a qualcosa che avevo fattorecedentemente, prima che provocasse un danno."

Dirk ci pensò su un momento, poi accelerò il passo."E la tua era una reazione perfettamente ragionevole e normale al problema del messaggio

asciato sulla segreteria (sì, mi hai raccontato tutto nel corso della nostra piccola seduta), ossia éuello che avrebbe fatto chiunque?"

Richard aggrottò la fronte come dire che non riusciva a capire cosa ci fosse di tanto strano. "Nonico che l'avrebbe fatto chiunque," rispose, "probabilmente io seguo un corso di pensieri

eggermente piú logico e pratico di molte persone, e questa è la ragione per cui riesco a elaborareoftware per computer. Quella era una soluzione logica e pratica del problema."

"Magari non un tantino sproporzionata?""Per me era molto importante non deludere Susan ancora una volta."

"Quindi sei completamente soddisfatto dei motivi che ti hanno spinto a fare quello che hai fatto?""Sì," insistette Richard seccato."Sai," fece Dirk, "cosa mi diceva sempre la mia vecchia zia zitella che viveva nel Winnipeg?""No," disse Richard. Si tolse rapidamente i vestiti e si tuffò nel canale. Dirk si buttò verso il

alvagente, che avevano appena raggiunto, lo fece saltar fuori dal gancio e lo lanciò a Richard, che siimenava in mezzo al canale, con l'aria completamente spersa e disorientata.

" " " "

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  , , ."Tutto bene," sputacchiò Richard. "So nuotare.""No, che non sei capace," gridò Dirk, "aggrappati, su." Richard cercò di dirigersi verso la riva, ma

ubito si arrese costernato e si aggrappò al salvagente. Dirk tirò la fune finché Richard raggiunse laponda, poi si chinò per dargli una mano a risalire. Richard uscì dall'acqua soffiando e sputando, poii girò e si sedette tremante sulla banchina, le mani in grembo.

"Santo cielo, ma è lurida!" esclamò sputando di nuovo. "È assolutamente disgustosa. Puah. Fiu.anto cielo. In genere sono un discreto nuotatore. Deve avermi preso un crampo o qualcosa delenere. Fortuna che eravamo così vicino ai salvagente. Oh, grazie." Queste ultime parole le

ronunciò rivolto a Dirk che gli porgeva un ampio asciugamani.Si strofinò energicamente, quasi grattandosi con l'asciugamani per levarsi di dosso la sudiciacqua del canale. Si alzò in piedi e si guardò intorno. "Vedi per caso le mie mutande?"

"Giovanotto," disse la vecchia con il cane, che li aveva raggiunti proprio allora. Rimase lì auardarli con occhio severo e stava per rimproverarli quando Dirk la interruppe.

"Mille scuse, mia cara signora," le disse, "per l'offesa che il mio amico può averlenavvertitamente recato. La prego," aggiunse tirando fuori un mazzolino di anemoni dal sedere di

Richard, accetti questi fiori con i miei omaggi."La signora glieli fece volare di mano con il bastone e si affrettò a proseguire orripilata, tirandosi

ietro il cane.

"Non sei stato simpatico," disse Richard infilandosi i vestiti sotto l'asciugamani, oratrategicamente drappeggiato attorno a lui."Non mi sembra una donna molto simpatica," replicò Dirk, "è sempre qui, a trascinarsi in giro

uel povero cane e a dire alla gente di levarsi di mezzo. T'è piaciuta la nuotata?""Non molto, no," rispose Richard, dandosi una veloce asciugata ai capelli. "Non mi ero reso conto

i quanto fosse sporca l'acqua. E fredda. Ecco," disse restituendo l'asciugamani a Dirk, "grazie. Portiempre un asciugamani nella borsa?"

"E tu, di pomeriggio, ti fai sempre una nuotata?""No, in genere ci vado alla mattina, nella piscina di Highbury Fields, per svegliarmi e rimettere in

moto il cervello. A un tratto mi è venuto in mente che questa mattina non ci ero andato."

"E, mmm... è per questo che ti sei tuffato nel canale?""Be', sì. Ho pensato soltanto che un po' di esercizio probabilmente mi avrebbe aiutato ad

ffrontare tutta questa faccenda.""Quindi non era affatto fuori posto spogliarsi e saltare dentro il canale.""No," fece lui, "forse non sará stato saggio, viste le condizioni dell'acqua, ma era assolutamente...""Sei completamente soddisfatto dei motivi che ti hanno spinto a fare quello che hai fatto.""Giá...""E quindi non aveva niente a che vedere con mia zia?"Richard strinse gli occhi sospettoso. "Di che diavolo stai parlando?" disse."Ora te lo spiego," fece Dirk. Andò a sedersi su una vicina panchina e aprì di nuovo la valigetta.

iegò l'asciugamani e lo ripose, tirando fuori al suo posto un piccolo registratore Sony. Fece cenno aRichard di avvicinarsi e premette il tasto Play. Dal minuscolo altoparlante fuoriuscì la voce di Dirk n una cantilena cadenzata. Diceva: "Fra un minuto farò schioccare le mie dita e tu ti sveglierai eimenticherai tutto quanto, a parte le istruzioni che ti darò ora.

Fra poco andremo a fare una passeggiata lungo il canale e quando mi sentirai pronunciare learole 'la mia vecchia zia zitella che viveva nel Winnipeg'..."

Improvvisamente, Dirk afferrò il braccio di Richard per bloccarlo.Il nastro andò avanti: "Ti toglierai i vestiti e ti tufferai nel canale. Scoprirai di non saper nuotare,

ma non ti lascerai prendere dal panico né andrai a fondo, semplicemente batterai l'acqua con i piediinché io non ti getterò un salvagente..."

Dirk fermò il nastro e osservò la faccia di Richard, che per la seconda volta nella giornata si eraatta pallida dallo stupore. "Vorrei sapere che cosa di preciso si è impossessato di te ieri notte, fino aarti arrampicare nell'appartamento della signorina Way," disse Dirk, "e perché."

Richard non rispose: continuava a fissare il registratore con aria confusa. Poi, con voce tremante,isse: "C'era un messaggio di Gordon sulla segreteria di Susan. Chiamava dalla macchina. La cassettanel mio appartamento, Dirk. Improvvisamente, tutto ciò mi spaventa a morte".

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Capitolo Ventuno...

Dietro un furgone parcheggiato a pochi metri di distanza, Dirk osservava il poliziotto in servizioavanti alla casa di Richard. Fermava e interrogava chiunque cercasse di entrare nel vialetto lateraleu cui si trovava la porta di Richard, compresi, notò Dirk con piacere, gli altri poliziotti, se non liiconosceva subito. Un'altra auto della polizia si fermò e Dirk si incamminò.

Dalla macchina saltò fuori un funzionario di polizia con una sega in mano e si diresse versoingresso. Dirk adeguò istantaneamente la propria andatura alla sua, restando indietro di un passo oue, con incedere sicuro di sé.

"Tutto a posto, è con me," disse Dirk, facendosi avanti nel momento preciso in cui il primooliziotto stava per fermare il secondo.

Un attimo dopo era dentro e stava salendo le scale. Il funzionario con la sega lo seguì.

"Ehm, mi scusi signore," disse rivolto alla schiena di Dirk. Dirk era appena arrivato al punto inui il divano ostruiva la scala. Si fermò e si girò.

"Resti qui," disse, "a guardia del divano. Non lo faccia toccare da nessuno, e dico nessuno.Capito?"

Per un momento il poliziotto sembrò sconcertato. "Ho avuto ordine di segarlo," disse."Contrordine," abbaiò Dirk. "Lo guardi come un falco. Voglio un rapporto esauriente."Poi si voltò e scavalcò il mobile. Un paio di secondi dopo emerse in un grande spazio aperto. Era

piano inferiore dell'appartamento di Richard."Quello l'avete perquisito?" fece sbrigativo Dirk rivolto a un altro poliziotto che, seduto al tavolo

a pranzo di Richard sfogliava alcuni appunti. Il poliziotto sollevò lo sguardo sorpreso e fece per

lzarsi in piedi. Dirk indicava il cestino della carta."Ehm, sì...""Lo perquisisca ancora. Continui a perquisirlo. Chi c'è qui?" "Ehm, be'...""Non ho tutta la giornata a disposizione.""L'agente investigativo Mason se n'è appena andato, con...""Bene, lo farò sbattere fuori. Sono di sopra, se c'è bisogno, ma non voglio essere interrotto a

meno che non sia veramente importante. Capito?""Ehm, chi...""Non mi sembra che stia perquisendo quel cestino.""Ehm, giusto, signore. Io...""Voglio che sia frugato a fondo. Capito?""Ehm...""Scattare." Dirk si precipitò di sopra, nello studio di Richard.La cassetta si trovava esattamente dove gli aveva detto Richard, sul tavolo lungo dove c'erano i

ei Macintosh. Dirk stava per mettersela in tasca quando la sua curiositá venne attrattaall'immagine del divano di Richard che ruotava e girava lentamente sul grande schermo Macintosh,si sedette davanti alla tastiera.

Scorse brevemente il programma fatto da Richard, ma ben presto si rese conto che nella suaorma attuale non era esattamente quel che si dice di immediata comprensione e che lui ci capiva

en poco. Alla fine riuscì a disincastrare il divano e a riportarlo giú dalle scale, ma si accorse che perarlo doveva girare in fuori parte della parete. Con un grugnito di stizza lasciò perdere.Guardò un altro computer su cui si vedeva un'onda sinusoidale immobile. Tutto intorno allo

chermo c'erano piccole immagini di altre onde, che si potevano selezionare e aggiungere a quellarincipale, o usare per modificarla in altri modi. Scoprì rapidamente che ciò consentiva di costruirende complessissime a partire da quelle semplici e ci giocò per un po'. Aggiunse una semplice ondainusoidale a se stessa, con il risultato di raddoppiare l'altezza dei picchi e dei fondi dell'onda. Poi le

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 falsò leggermente, così che i picchi e i fondi dell'una semplicemente compensassero i picchi e i fondiell'altra, lasciando una linea completamente piatta. Quindi modificò leggermente la frequenza dina delle sinusoidi.

L'effetto fu che in alcuni punti dell'onda risultante le due onde si rinforzavano a vicenda, mentren altri si annullavano. Aggiungendo una terza onda semplice di un'altra frequenza ancora, sitteneva un'onda composta in cui si faceva fatica a distinguere qualsiasi disegno. La linea danzava su

giú apparentemente in modo casuale, rimanendo piuttosto bassa per alcuni periodi, per poilevarsi improvvisamente in ampi picchi e fondi quando tutte e tre le onde entravano brevemente inase fra loro.

Dirk pensò che fra tutti quegli strumenti dovesse esserci qualcosa per trasporre l'onda cheanzava sullo schermo del Macintosh in un vero e proprio suono musicale e cercò fra i menúisponibili nel programma. Trovò una voce di un menú che lo invitava a trasferire il campione dinda in un Emu.

La cosa lo lasciò perplesso. Si guardò attorno nella stanza in cerca di un grosso uccello incapacei volare, ma non riuscì a scovare niente di simile. Comunque, attivò il processo, dopo di che seguì ilavo che dal retro del Macintosh scendeva dietro la scrivania, passava sul pavimento, girava dietron armadio, scompariva sotto un tappeto e infine andava a collegarsi alla parte posteriore di unarande tastiera grigia chiamata Emulator II.

Era lì, dedusse, che la sua onda sperimentale doveva essere arrivata. Schiacciò incerto un tasto.

L'orribile suono scorreggiante che esplose immediatamente dagli altoparlanti fu così forte cheer un attimo non sentì le parole "Svlad Cjelli!" che nello stesso momento qualcuno abbaiò dallaorta.

 Richard se ne stava seduto nell'ufficio di Dirk e lanciava nel cestino, giá pieno di telefoni,

minuscole palline di carta arrotolata. Ruppe qualche matita. Suonò lunghi pezzi di un vecchio assoloi Ginger Baker sulle ginocchia.

In una parola, friggeva. Aveva provato a scrivere su un pezzo di carta da lettere di Dirk ciò che ricordava degli

vvenimenti della sera prima e, se era in grado di ricostruirlo con esattezza, il momento in cuignuno di essi si era verificato. Era stupito dalla difficoltá della cosa e dalla labilitá della sua

memoria conscia in confronto a quella inconscia, come Dirk gli aveva dimostrato."Maledetto Dirk," pensò. Voleva parlare con Susan.Dirk gli aveva detto che non doveva farlo per nessun motivo, perché i telefoni erano sicuramente

otto controllo."Maledetto Dirk," disse a un tratto e balzò in piedi."Non avrebbe qualche moneta da dieci pence?" chiese a Janice, ostinatamente immusonita. Dirk si girò.

Incorniciata nella porta, si stagliava una figura alta e scura. La figura alta e scura non sembravaontenta di ciò che vedeva, anzi, sembrava piuttosto incazzata. Piú che incazzata. Sembrava unaigura alta e scura che avrebbe potuto tranquillamente tirare il collo a una mezza dozzina di polli ella fine essere ancora incazzata.

La figura avanzò alla luce, rivelandosi come il sergente Gilks del distretto di polizia delCambridgeshire.

"Lo sai," disse il sergente Gilks del distretto di polizia del Cambridgeshire, battendo le palpebrecontrollando le proprie emozioni, "che quando torno qua e scopro un funzionario di polizia che fa

a guardia a un divano con in mano una sega e l'altro che sta facendo a pezzi un innocente cestino nonosso che pormi talune domande? E me le devo porre con l'inquietante sensazione che le risposte,

na volta che le avrò trovate, non mi piaceranno. A quel punto mi ritrovo a salire le scale con un orribile presagio, Svlad Cjelli, un presagio

avvero orribile. Un presagio, oserei aggiungere, che adesso scopro orribilmente giustificato.mmagino che tu non possa fare alcuna luce sul rinvenimento di un cavallo in un bagno, no? La cosaembrava recare la tua impronta."

"Non posso," disse Dirk, "non ancora. Anche se mi interessa in un modo curioso.""

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  , .uell'accidenti da un accidenti di scala a chiocciola all'una di notte. Che diavolo ci fai qui?" disse ilergente Gilks con aria stanca.

"Sono qui," disse Dirk, "in cerca della giustizia.""Bene, allora non rivolgerti a me," disse Gilks, "né tantomeno al Met. Che cosa sai di MacDuff e

i Way?""Di Way? Niente che non sappiano tutti. MacDuff l'ho conosciuto a Cambridge.""Ah, pensa, è così? Descrivimelo.""Alto. Alto e assurdamente magro. D'indole buona. Un po' somigliante a una mantide religiosa

oco religiosa, una mantide non religiosa, se vuole. Una specie di mantide geniale e amabile che habbandonato la religione e si è data al tennis."

"Mmm," disse Gilks burbero, dando uno sguardo in giro per la stanza. Dirk intascò la cassetta."Sembrerebbe la stessa persona," disse Gilks."E naturalmente," continuò Dirk, "assolutamente incapace di commettere un omicidio.""Questo sta a noi deciderlo.""Nonché, ovviamente, alla giuria.""Bah! Giurie!""Anche se, evidentemente, non si arriverá a tanto, perché i fatti parleranno da sé ben prima che il

mio cliente si ritrovi davanti a una corte di giustizia."

"Il tuo dannato cliente, eh? Benissimo, Cjelli, dove si trova?""Non ne ho la piú pallida idea.""Scommetto che ti sei fatto dare un indirizzo dove mandare il conto."Dirk si strinse nelle spalle."Senti, Cjelli, questa è una normalissima, innocua indagine su un omicidio e non voglio che tu

accia casino. Perciò considerati avvisato fin d'ora. Se vedo anche solo un frammento di prova cheparisce te ne do tante, ma tante che non saprai piú se è domani oppure giovedì. Ora fuori dal piedi,mentre te ne vai dammi quella cassetta." Allungò la mano.

Dirk sembrò autenticamente sorpreso. "Che cassetta?"Gilks sospirò. "Tu sei un uomo intelligente, Cjelli, questo te lo riconosco," disse, "ma fai lo stesso

rrore di un sacco di persone intelligenti, che pensano che tutti gli altri siano stupidi. Se mi giroall'altra parte c'è una ragione, e la ragione è per vedere che cosa prendi. Non c'è bisogno che ti vedarendere qualcosa. Mi basta vedere cosa manca dopo. Siamo addestrati, sai. Tutti i martedìomeriggio ci facevamo mezz'ora di Corso di Osservazione. Tanto per rifiatare un po', dopo leuattro ore di Cieca Brutalitá."

Dirk nascose la rabbia verso di sé dietro un sorrisetto. Si frugò nella tasca del soprabito di pelle ee estrasse la cassetta.

"Fammela ascoltare," disse Gilks, "vediamo un po' cosa non volevi farci sentire.""Non è vero che non volessi farvela sentire," disse Dirk, con una scrollata di spalle. "Volevo solo

entirla per primo io." Andò allo scaffale su cui si trovava l'impianto stereo di Richard e infilò la

assetta nel registratore."Allora, non vuoi farmi una piccola introduzione?""È una cassetta," disse Dirk, "della segreteria telefonica di Susan Way. A quanto pare, Way aveva

uest'abitudine di lasciare lunghi...""Sì, lo so. E la sua segretaria, povera crista, al mattino va in giro a raccogliere le sue ciance.""Be', ritengo che ci possa essere un messaggio che Gordon Way ha lasciato ieri sera dalla

macchina.""Capisco. Ok, fammi sentire."Con un inchino aggraziato, Dirk schiacciò il tasto Play."Oh, Susan, ciao, sono Gordon," disse la cassetta ancora una volta. "Sto andando alla villetta..."

"Villetta!" esclamò Gilks in tono sarcastico."È, mmm, giovedì sera e sono le, ehm... 8:47. Un po' di foschia sulle strade. Senti, questo fine

ettimana ci sono quei due tizi che vengono dagli Stati Uniti..."Gilks alzò le sopracciglia, guardò l'orologio e prese un appunto sul suo blocchetto.Sia Dirk che il sergente di polizia provarono un brivido quando nella stanza risuonò la voce del

morto."

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... , ,o?, lasciare le ultime parole famose sulla segreteria di qualcun altro, non vedo perché..."

 Ascoltarono in un silenzio teso la cassetta che continuava a riprodurre l'intero messaggio."È questo il problema con i cervelloni: hanno una grande idea che funziona davvero, dopo di che

i aspettano che tu continui a finanziarli per anni intanto che loro si calcolano la topografia del lorombelico. Scusami, devo fermarmi a chiudere bene il bagagliaio. Ci vorrá un attimo."

Subito dopo si sentì il colpo attutito del ricevitore che veniva poggiato sul sedile del passeggero ei lì a qualche secondo il suono di una portiera di auto che veniva aperta. Intanto, in sotto fondo,all'impianto stereo dell'auto la musica continuava a borbottare.

Dopo qualche altro secondo, arrivò la doppia esplosione di una doppietta, attutita, distante, manconfondibile."Ferma il nastro," disse brusco Gilks e lanciò un'occhiata all'orologio. "Tre minuti e venticinque

econdi dal momento in cui ha detto che erano le otto e quarantasette." Alzò di nuovo lo sguardo suDirk. "Sta' qui. Non ti muovere. Non toccare niente. Mi sono segnato la posizione di ogni molecola

'aria della stanza, per cui basta che respiri e io lo saprò."Si girò rapidamente e uscì. Dirk sentì che scendendo le scale diceva: "Tuckett, vada all'ufficio

ella WayForward, si faccia dare le specifiche del telefono dell'auto di Way, il numero, la rete..." Laoce svanì giú per le scale.

Svelto, Dirk abbassò la manopola del volume dello stereo e riprese ad ascoltare la cassetta.

La musica andò avanti per un po'. Dirk, deluso, tamburellava con le dita. La musica continuavancora.Schiacciò brevemente il tasto dell'avanzamento veloce. Ancora musica. Capiva che stava cercando

ualcosa, ma non sapeva cosa. Quel pensiero lo immobilizzò di colpo.Decisamente, stava cercando qualcosa. Decisamente, non sapeva cosa.Rendendosi conto di non sapere esattamente perché lo faceva, all'improvviso lo raggelò e lo

lettrizzò. Girò lentamente su di sé, come lo sportello di un frigo.Non c'era nessuno, almeno nessuno che lui potesse vedere. Ma conosceva quel gelido formicolio

ulla pelle, che odiava sopra ogni cosa.Con un sussurro feroce, disse: "Se c'è qualcuno che mi può sentire, ascolti questo. La mia mente è

mio centro e tutto quello che vi succede dipende da me. Gli altri credano ciò che vogliono, ma ioon farò nulla senza conoscerne il motivo, e conoscerlo chiaramente. Per cui, se vuoi qualcosa

ammelo sapere, ma non azzardarti a toccare la mia mente".Tremava di una rabbia profonda e antica. Il gelo gli scivolò di dosso lentamente e quasi

ateticamente e sembrò muoversi per la stanza. Provò a seguirlo con i suoi sensi, ma venne distrattoll'istante da una voce improvvisa che sembrava giungergli dai confini dell'udito, su un remotolulato del vento.

Era una voce vuota, terrorizzata, confusa, quasi solo un sussurro inconsistente, ma c'era, udibile,ulla cassetta della segreteria telefonica.

Diceva: "Susan! Susan, aiutami! Aiutami, per l'amor di Dio. Susan, sono morto..."

Dirk fece una piroetta e fermò la cassetta."Mi dispiace," disse sottovoce, "ma devo pensare al bene del mio cliente."Riavvolse il nastro, appena appena, fino a poco prima che la voce cominciasse, ruotò a zero la

manopola del livello di registrazione e schiacciò il tasto REC. Lasciò girare il nastro, cancellando laoce e tutto ciò che seguiva. Se quella cassetta doveva stabilire l'ora della morte di Gordon Way,

Dirk non voleva che saltasse fuori nessun esempio imbarazzante di un Gordon che parlava dopo quelmomento, fors'anche per confermare che era proprio morto.

Nell'aria vicino a lui sembrò verificarsi una grande eruzione emotiva. Un'onda di qualche generei creò nella stanza, facendo tremare i mobili al suo passaggio. Dirk guardò verso la direzione in cuipparentemente andava, una mensola vicino alla porta dove, si rese conto a un tratto, si trovava laegreteria telefonica di Richard. L'apparecchio cominciò a traballare qua e lá sul ripiano, ma appena

Dirk vi si avvicinò ritornò immobile. Dirk allungò lentamente una mano e con calma schiacciò ilasto che disponeva l'apparecchio alla risposta.

Il disturbo dell'aria riattraversò la stanza dirigendosi verso il lungo tavolo di Richard dove, fraile di carte e floppy disk, si nascondevano due vecchi telefoni a disco. Dirk sapeva cosa stava peruccedere, ma decise di stare a guardare, senza intervenire. La cornetta di uno dei telefoni cadde

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alla forcella. Dirk poteva sentire il segnale libero. Poi lentamente, e con chiara difficoltá, il discoominciò a ruotare. Si mosse in cerchio con moto irregolare, ancora un po', sempre piú lento, e poimprovvisamente tornò indietro.

Ci fu un momento di pausa. La forcella del telefono si abbassò e poi risalì, liberando nuovamentea linea. Il disco ricominciò a girare, muovendosi con fatica anche maggiore della volta prima.civolò indietro un'altra volta.

Ora ci fu una pausa piú lunga, poi l'intera manovra si ripeté. Quando il disco scattò indietro per laerza volta, ci fu un'improvvisa esplosione di rabbia: il telefono balzò in aria e venne scaraventatoall'altra parte della stanza. Nel volo, il filo della cornetta si attorcigliò attorno a una lampada

Anglepoise, trascinandola in una caduta rovinosa fra un intrico di fili, tazze di caffè e floppy disk.Dalla scrivania, una pila di libri franò in terra.La figura del sergente Gilks si stagliò sulla porta, il volto privo di espressione."Sto per rientrare," disse, "e quando lo farò non voglio vedere assolutamente niente del genere.

Chiaro?" Si girò e scomparve.Dirk balzò verso il registratore e schiacciò il tasto di riavvolgimento. Poi si voltò e sibilò all'aria

uota: "Non so chi tu sia, ma posso provare a indovinare. Se vuoi il mio aiuto, non mi mettere maiiú in imbarazzo come ora!"

Qualche attimo dopo, Gilks rientrò. "Ah, eccoti qua," disse. Passò uno sguardo piatto sul disastro.Fingerò di non vedere nulla di tutto ciò, così non dovrò fare domande le cui risposte so giá che

otrebbero solo irritarmi."Dirk avvampò.Nell'attimo di silenzio che seguì, si poteva sentire un leggero fruscio e un ticchettio che fecero

ivolgere lo sguardo duro del sergente verso il registratore."Che cosa sta facendo quella cassetta?""Si sta riavvolgendo.""Dammela."Il nastro arrivò all'inizio e si fermò, mentre Dirk arrivava al nastro. Lo tirò fuori e lo porse a

Gilks."Ciò sembrerebbe porre irritantemente al sicuro il tuo cliente," disse il sergente. "La Cellnet ha

onfermato che l'ultima chiamata fatta dall'auto è delle 8:46 di ieri sera, ora alla quale il tuo clientetava sonnecchiando davanti a diverse centinaia di testimoni. Dico testimoni, anche se erano per la

maggior parte studenti, ma probabilmente saremo costretti ad ammettere che non possono avermentito tutti quanti."

"Bene," disse Dirk, "insomma, sono contento che si sia chiarito tutto.""Ovviamente, noi non abbiamo mai pensato che fosse stato lui. Non reggeva, semplicemente. Ma

u ci conosci: ci piace avere dei risultati. Digli comunque che vorremmo fargli qualche domanda.""Non mancherò di farglielo presente, casomai dovessi incontrarlo.""Basterá che tu faccia questa cosuccia."

"Bene, non voglio trattenerla oltre, sergente," disse Dirk, indicando disinvoltamente la porta."No, ma accidenti sarò io a trattenerti se non esci di qui entro trenta secondi, Cjelli. Non so cheosa tu abbia in testa, ma se posso evitare di scoprirlo farò sonni piú tranquilli nel mio ufficio,

Fuori.""Allora le auguro buona giornata, sergente. Non dirò che è stato un piacere, perché non è così."Dirk uscì impettito dalla stanza e si diresse verso l'uscita dell'appartamento, notando con

ammarico che dove prima c'era un grande divano Chesterfield magnificamente incastrato sullacala, ora c'era solo un piccolo e triste mucchietto di segatura.

 Michael Wenton-Weakes sollevò lo sguardo dal libro con un sussulto.

Improvvisamente, aveva la mente che brulicava di idee. Pensieri, immagini, propositi, tutto ciò siffollava in lui, e piú sembravano contraddirsi a vicenda, piú sembravano accordarsi, assestarsi erovare un proprio posto,

 Alla fine l'incastro era perfetto, ogni dentino lentamente si allineava al successivo.Bastava un gesto e la cerniera si chiudeva. Anche se l'attesa, quando a colmarla c'erano solo insuccessi, stremanti ondate di debolezza, dubbi

sitanti e triste impotenza, era parsa durare un'eternitá di diverse eternitá, l'incastro, una volta

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 ttenuto, aveva cancellato tutto quanto. Avrebbe cancellato tutto ciò. Avrebbe annullato ciò che eratato tanto disastrosamente fatto.

Chi aveva pensato una cosa simile? Poco importava, l'incastro era fatto, ed era perfetto.Michael guardò fuori della finestra la curata via di Chelsea, senza badare se quello che vedeva

rano esseri viscidi dotati di gambe o se erano tanti signori A. K. Ross. Ciò che importava era quellohe avevano rubato e che sarebbero stati costretti a restituire. Ormai Ross giaceva nel passato. Ciòhe gli interessava adesso era ancora di lá da venire.

I suoi occhi bovini, grandi e acquosi, tornarono a posarsi sulle ultime righe di Kubla Khan, chetava leggendo in quel momento. L'incastro era fatto, la cerniera chiusa.

Richiuse il libro e se lo mise in tasca.La strada del ritorno ora era sgombra. Sapeva come doveva comportarsi. Non restava che fare

ualche acquisto e poi agire. 

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Capitolo Ventidue...

"Tu? Ricercato per omicidio? Richard, di cosa stai parlando?"Il telefono tremava nella mano di Richard. Fra l'altro, lo teneva a un centimetro di distanza

all'orecchio perché sembrava che qualcuno avesse appena immerso la cornetta in un piatto di chow mein, ma quello non era il peggio. Era un telefono pubblico, quindi giá il fatto che funzionasse

oveva essere un caso. Richard però cominciava a sentirsi come se tutto il mondo si fosse scostato daui di un centimetro, come nella pubblicitá di un deodorante.

"Gordon," disse Richard esitante, "Gordon è stato ucciso, no?"Prima di rispondere, Susan fece una pausa."Sì, Richard," disse in tono afflitto, "ma nessuno crede che sia stato tu. Naturalmente, vogliono

arti qualche domanda, ma...

"Quindi adesso non c'è la polizia da te?""No, Richard," insistette Susan. "Senti, perché non vieni qui?""E non mi stanno dando la caccia?""No! Perché diavolo ti sei messo in testa l'idea che sei ricercato per... che pensano che sia stato

u?""Be'... insomma, me l'ha detto questo mio amico.""Chi? ""Ecco, il suo nome è Dirk Gently.""Non me ne hai mai parlato. Chi è? Ha detto qualcos'altro?""Mi ha ipnotizzato e poi, mmm, mi ha fatto saltare dentro il canale e, ecco, insomma,

eramente..." All'altro capo del filo ci fu una pausa terribilmente lunga. "Richard," disse Susan alla fine, con

uel genere di calma che subentra nelle persone quando si rendono conto che, per quanto brutte leose possano sembrare, non c'è nessuna ragione per cui non possano continuare a peggiorare, "passai qua. Stavo per dirti che ho bisogno di vederti, ma ora credo che sia tu ad avere bisogno di vedere

me.""Magari vado alla polizia.""Alla polizia ci vai dopo. Richard, per piacere. Qualche ora in piú non fará nessuna differenza. Io...

o non riesco quasi a pensarci. Richard, è così terribile. Se tu fossi qui, sarebbe giá qualcosa. Doveei?"

"Va bene," disse Richard, "sarò da te fra una ventina di minuti. ""Devo lasciare la finestra aperta o credi che proverai a entrare dalla porta?" chiese lei, tirando su

ol naso. 

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Capitolo Ventitré...

"La prego, no," disse Dirk fermando la signorina Pearce che stava per aprire una letteraroveniente dal fisco, "ci sono cose piú allegre di quelle."Era appena emerso da una seduta di intensa riflessione nell'oscuritá dell'ufficio e trasudava

renesia e concentrazione. Per convincere la signorina Pearce a perdonare la sua ultima,ngiustificabile stravaganza con cui si era ripresentato in ufficio, aveva apposto la propria firmautentica su un autentico assegno paga e riteneva che mettersi ad aprire ostentatamente lettereell'ufficio imposte voleva dire prendere il suo gesto magnanimo con uno spirito assolutamentebagliato.

La ragazza mise da parte la busta."Venga!" disse. "Voglio farle vedere una cosa. Osserverò le sue reazioni con sommo interesse."

Tornò a passo di marcia nell'ufficio e si sedette alla scrivania. Lei lo seguì pazientemente e siedette di fronte, ignorando apertamente l'ingiustificabile stravaganza posata sul tavolo.

La lucida targa d'ottone sulla porta l'aveva mandata su tutte le furie, ma quello sciocco telefonoon grossi tasti rossi non lo considerava nemmeno degno di disprezzo. E di sicuro non si sarebbeasciata andare a nulla di tanto avventato come un sorriso fino a che non si fosse assicurata cheassegno era coperto. L'ultima volta che le aveva firmato un assegno, l'aveva cancellato prima dellaine della giornata, per evitare, le aveva spiegato, "che cadesse nelle mani sbagliate". Le manibagliate, presumibilmente, erano quelle del direttore della banca.

Le spinse dall'altra parte della scrivania un pezzo di carta. Lei lo prese e lo guardò. Poi lo rigirò eornò a guardarlo. Lo guardò di dietro e quindi lo rimise giú.

"Be'?" chiese Dirk. "Che ne pensa? Mi dica! " La signorina Pearce sospirò."Un mucchio di scarabocchi senza senso fatti con un pennarello blu su un pezzo di carta da

ettere," disse. "Si direbbero fatti da lei.""No!" abbaiò Dirk."Be', sì," ammise, "ma solo perché sono convinto che sia la soluzione del problema!""Che problema?""Il problema," insistette Dirk, dando una manata sul tavolo, "del giochino di prestigio! Gliel'ho

etto!""Sì, signor Gently, piú volte. Secondo me, è solo un giochino di prestigio. In Tv se ne vedono.""Con la differenza... che questo era completamente impossibile! ""Non poteva essere impossibile, altrimenti non avrebbe potuto mai farlo. Atteniamoci alla

agione.""Esattamente!" disse Dirk eccitatissimo. "Esattamente! Signorina Pearce, lei è una donna di raro

ntuito e acume.""Grazie, signor Gently, posso andare ora?""Aspetti! Non ho ancora finito.! Neanche un po', neanche per idea! Lei mi ha dimostrato la

rofonditá del suo intuito e del suo acume, mi consenta ora di dimostrarle la mia!"La signorina Pearce si lasciò cadere pazientemente sulla sedia."Credo," proseguì Dirk, "che ne rimarrá impressionata. Pensi a questo. Un problema arduo. Nel

entativo di trovare una soluzione, continuavo a girare in piccoli cerchi attorno alla mia testa,ornando e ritornando esasperantemente sulle stesse cose. Era chiaro che non sarei riuscito aensare a nient'altro fino a che non avessi trovato la risposta, ma altrettanto chiaro era che avreiovuto pensare ad altro se volevo arrivare alla risposta. Come uscire da questo circolo? Me lohieda."

"Come?" disse la signorina Pearce, docile ma senza entusiasmo."Scrivendo la risposta!" esclamò Dirk. "Ed eccola qui!" Assestò una manata trionfante sul pezzo

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 i carta e tornò a sedersi con un sorriso soddisfatto.La signorina Pearce lo guardò senza parole."Con il risultato," continuò Dirk, "che ora sono in grado di volgere la mia mente a nuovi e

ffascinanti problemi, come, per esempio...Prese il pezzo di carta coperto di scarabocchi e ghirigori insensati e lo sollevò davanti a lei."In che lingua," disse con voce cupa e bassa, "è scritto?" La signorina Pearce continuava a

uardarlo senza parole. Dirk lasciò cadere il pezzetto di carta, mise i piedi sul tavolo e buttò indietroa testa con le mani sulla nuca.

"Capisce quello che ho fatto?" chiese al soffitto che, trascinato improvvisamente nella

onversazione, sembrò avere un lieve sussulto. "Ho trasformato il problema da un enigma di sommaifficoltá e forse assolutamente irrisolvibile in un semplice rompicapo linguistico. Anche se,"

mormorò, dopo un lungo momento di silenziosa riflessione, "di somma difficoltá e forsessolutamente irrisolvibile."

Girò la testa per osservare attentamente Janice Pearce."Avanti," la sollecitò, "dica che è una follia, ma potrebbe anche funzionare!"Janice Pearce si schiarì la gola."È una follia," disse, "creda a me."Dirk distolse lo sguardo e si spostò su un lato della poltrona, come probabilmente faceva il

modello del Pensatore quando Rodin si assentava e lui poteva mettersi comodo.

 A un tratto, sembrò profondamente stanco e depresso."So bene," disse con voce bassa e scoraggiata, "che da qualche parte c'è qualcosa di radicalmente

bagliato. E so bene che devo andare a Cambridge per raddrizzare le cose. Ma sarei meno timorosoe sapessi che cos'era..."

"Allora, ora posso andare, per piacere?" disse la signorina Pearce.Dirk la guardò tetro."Sì," disse con un sospiro, "ma almeno... almeno mi dica..." dette un colpetto con la punta del dito

l pezzetto di carta, "insomma, cosa ne pensa di questo?""Be', penso che sia una bambinata," disse Janice Pearce con franchezza."Ma, ma, ma!" fece Dirk, battendo un colpo sul tavolo per la delusione. "Non capisce che per

apire dobbiamo fare bambinate? Solo i bambini vedono le cose con perfetta chiarezza, perché non siono ancora costruiti tutti quei filtri che ci impediscono di vedere le cose che non ci aspettiamo diedere?"

"E allora, perché non va a chiederlo a un bambino?""La ringrazio, signorina Pearce," disse Dirk allungandosi a prendere il cappello, "ancora una volta

ei mi ha reso un servizio inestimabile, di cui le sono profondamente grato."E uscì impettito. 

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Capitolo Ventiquattro...

Mentre Richard si dirigeva verso l'appartamento di Susan, il tempo cominciò a rannuvolarsi. Ilielo, che al mattino aveva esordito con tanta vivacitá e buonumore, cominciava a perdere la propriaoncentrazione, scivolando nuovamente verso il suo abituale aspetto britannico, ovvero quello dino strofinaccio per i piatti umido e muffoso. Richard prese un taxi, che lo portò a destinazione inochi minuti.

"Bisognerebbe deportarli tutti," disse il guidatore del taxi mentre si fermavano."Eh? Chi?" fece Richard, rendendosi conto di non aver ascoltato una parola di quanto aveva detto

tassista."Be'..." disse il guidatore, che a un tratto si rese conto anche lui di non essere stato ascoltato, "be',

utta quella gente. Sbarazzarsi di tutta quella maledetta gente, ecco quello che dico io. E delle loro

maledette bertucce," aggiunse per buona misura."Lei deve avere proprio ragione," disse Richard e corse verso la casa. Arrivato alla porta d'ingresso dell'appartamento di Susan, sentì il suono del violoncello che

seguiva una melodia lenta e solenne. Fu felice che lei stesse suonando. Bastava che suonasse il suoioloncello per acquistare autocontrollo e una sorprendente autonomia emotiva. Lui si era accortoi una cosa straordinaria rispetto al rapporto di Susan con la musica che eseguiva. Tutte le volte chei sentiva agitata o inquieta, era sufficiente che si mettesse a sedere e suonasse una musica conntensa concentrazione, per riemergerne apparentemente calma e riposata.

La volta successiva che suonava quella musica però tutto le tornava fuori e lei andavaompletamente a pezzi.

Entrò piú silenziosamente possibile per non turbare la sua concentrazione. Attraversò in punta di piedi la saletta nella quale stava provando, ma la porta era aperta, così si

ermò e la guardò, facendole impercettibilmente segno di non smettere. Lei aveva l'aria pallida eesa, ma gli fece un accenno di sorriso e continuò a cavare l'arco con rinnovata intensitá.

Con un tempismo impeccabile di cui solo rarissimamente è capace, il sole scelse quel momentoer bucare momentaneamente le nubi minacciose che si andavano raccogliendo e una lucerammatica cadde su lei intenta a suonare il violoncello e sul vecchio legno marrone scuro dellotrumento. Richard ne rimase come incantato. Per un momento, il subbuglio di quella giornata simmobilizzò e si tenne a rispettosa distanza.

Non conosceva quella musica, ma sembrava Mozart e in effetti si ricordò che lei gli aveva detto divere qualcosa di Mozart da studiare. Passò oltre silenziosamente e si sedette ad aspettare escoltare.

 Alla fine, lei terminò il pezzo, ma prima che la raggiungesse ci fu un minuto circa di silenzio.Batté le palpebre e sorrise, lo strinse in un lungo abbraccio trepido, poi si sciolse e rimise il telefonoulla forcella. In genere, quando provava, lo staccava.

"Scusa," disse, "non volevo essere interrotta." Si deterse una lacrima con un gesto brusco, comee fosse una qualche irritazione. "Come stai, Richard?"

Lui si strinse nelle spalle e le scoccò un'occhiata confusa. Sembrava che con ciò avesse spiegatoutto.

"Temo che dovrò andare avanti," disse Susan con un sospiro. "Mi dispiace. Sono appena stata..."cosse la testa. "Chi può essere stato?""Non lo so. Qualche pazzo. Non sono sicuro che sia così importante.""No," disse lei. "Senti, ehm, hai pranzato?""No. Susan, tu continua a suonare e io vado a vedere cosa c'è in frigo. Possiamo parlarne durante

o spuntino."Susan annuì.

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 "Va bene," disse, "però...""Sì?""Be', almeno per il momento non ho proprio voglia di parlare di Gordon. Non prima di averla

igerita. Mi sento come un po' spiazzata. Sarebbe giá meglio se gli fossi stata piú vicina, ma non èosì e mi sento come imbarazzata dal fatto di non avere una reazione immediata. Parlarne andrebbeenissimo, a parte che bisognerebbe usare il passato e questo è ciò che..."

Gli si strinse contro per un attimo, poi si azzittì con un sospiro."Al momento non c'è molto in frigo," disse, "un po' di yogurt, credo, e una busta di filetti di

merluzzo che puoi aprire. Sono sicura che se ti ci metti riesci a fare qualche pasticcio, ma è tutto

molto semplice. Il trucco sta nel non spargerli ovunque sul pavimento e non metterci sopra lamarmellata."

Gli dette un abbraccio, un bacio e un sorriso triste, poi si ritirò nuovamente nella sua sala damusica.

Squillò il telefono e Richard rispose."Pronto?" disse. Niente, solo una specie di flebile sibilo di vento in linea."Pronto?" ripeté. Attese, si strinse nelle spalle e rimise il telefono a posto."C'era qualcuno?" gli gridò Susan."No, nessuno," rispose Richard."È giá successo un paio di volte," disse Susan. "Credo che sia una specie di ansimatore

minimalista." Riprese a suonare.Richard andò in cucina e aprì il frigo. La sua dieta era meno salutista di quella di Susan, per cui

on fu propriamente esaltato da ciò che vi trovò, ma riuscì senza difficoltá a mettere su un vassoioualche filetto di merluzzo, un po' di yogurt, un po' di riso e qualche arancia, cercando di non pensarehe un paio di grassi hamburger con patate fritte non ci sarebbero stati male.

Trovò una bottiglia di vino bianco e portò il tutto sul piccolo tavolo da pranzo.Susan lo raggiunse di lì a un minuto o due. Era perfettamente calma e composta e dopo qualche

occone gli chiese di raccontarle del canale.Richard scosse la testa divertito e cercò di spiegare i fatti e di parlarle di Dirk."Come hai detto che si chiama?" chiese Susan aggrottando la fronte non appena lui fu giunto,

iuttosto laconicamente, alla conclusione."Be', in un certo senso," disse Richard, "Dirk Gently.""In un certo senso?""Be', sì," fece Richard con un faticoso sospiro. Gli venne in mente che Dirk presentava lo stesso

enere di vaghezza e di definizione ambigua piú o meno in tutto. Persino sulla sua carta da lettere'era, dopo il nome, una riga vaga e dall'aspetto ambiguo. Tirò fuori il pezzo di carta su cui pocorima aveva inutilmente cercato di riorganizzare i propri pensieri.

"Io..." cominciò, ma in quel momento squillò il campanello della porta. Si guardarono a vicenda."Se è la polizia," disse Richard, "è meglio che gli parli. Facciamola finita."

Susan spinse indietro la propria sedia, andò alla porta d'ingresso e alzò il citofono."Sì?" disse."Chi?" disse un istante dopo. Mentre ascoltava aggrottò la fronte, poi si girò e l'aggrottò in

irezione di Richard."È meglio che salga," disse con un tono di voce non esattamente amichevole, e schiacciò il tasto.

Tornò a sedersi."Il tuo amico," disse asciutta, "il signor Gently." La giornata del Monaco Elettrico stava andando terribilmente bene, così lui si lanciò in un

aloppo sfrenato. Il che vale a dire che spronò il cavallo a un galoppo sfrenato e il cavallo, senza

frenarsi, vi si lanciò.Questo mondo, pensò il Monaco, era un bel mondo. Lo amava. Non sapeva a chi apparteneva o da

ove fosse venuto, ma indubbiamente era un luogo di grande soddisfazione per chiunque possedessee sue doti straordinarie e uniche.

Era apprezzato. Per tutto il giorno era andato da varie persone, aveva conversato, ascoltato i lororoblemi e quindi pronunciato tranquillamente quelle tre parole magiche: "Io le credo".

  '

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, .mai, ma raramente, a quanto pareva, riusciva a darsi quel tono di profonda sinceritá che il Monaco

ra stato programmato per riprodurre in modo tanto splendido.Nel suo mondo, dopo tutto, lo si dava per scontato. La gente si aspettava semplicemente che lui

ontinuasse a credere in qualcosa per conto loro senza disturbarli. Chiunque si presentasse allaorta con una nuova grande idea o proposta, o magari una nuova religione, si sentiva rispondere:Ah, vada a parlarne con il Monaco". Il Monaco se ne stava seduto ad ascoltare e credere a tuttoazientemente, ma nessuno se ne interessava oltre.

In quel mondo peraltro eccellente, solo un problema si profilava. Spesso, dopo che il Monacoveva pronunciato le parole magiche, l'argomento si spostava rapidamente sui soldi, di cui il Monacoaturalmente era del tutto sprovvisto, deficienza che aveva fatto prematuramente sfiorire parecchi

ncontri fino a quel momento promettenti.Forse doveva acquisirne un po': ma dove?Tirò le redini e il cavallo, riconoscente, si fermò di colpo e si avviò verso l'erba sul ciglio della

trada. Il cavallo non aveva idea di cosa potesse servire tutto quel galoppare su e giú, ma non se neurava. Tutto ciò di cui si curava era che l'avevano fatto galoppare su e giú accanto a un buffetpparentemente infinito. Quando lo ebbe a disposizione, lo sfruttò al meglio.

Il Monaco guardò attentamente da una parte e dall'altra della strada. Gli sembrava vagamenteamiliare. Trotterellò poco piú in lá per dare un'altra occhiata. Il cavallo riprese il suo pasto qualche

metro piú avanti.Sì. Il Monaco era stato lì la sera prima.Lo ricordava chiaramente, insomma, abbastanza chiaramente. Credeva di ricordarlo chiaramente

quella, dopo tutto, era la cosa piú importante. Era lì che si era ritrovato a camminare in uno statomentale piú confuso del solito e proprio dietro quell'angolo, anche qui, se non si sbagliava di grosso,'era quella piccola costruzione accanto alla strada dove lui era saltato nel retro della macchina diuel tipo simpatico, il tipo simpatico che poco dopo, quando gli aveva sparato, aveva reagito in quel

modo tanto strano.Magari lì avevano un po' di soldi e glieli avrebbero lasciati prendere. Se lo chiese. Be', l'avrebbe

coperto. Strappò ancora una volta il cavallo al suo banchetto e galoppò in quella direzione.

Mentre si avvicinava al distributore di benzina, notò un'automobile parcheggiata di traverso inmodo arrogante. La sua posizione rendeva evidente che non si trovava lì per niente di così banaleome per farsi riempire di benzina ed era troppo importante per parcheggiare ordinatamente in unngolo. Qualunque macchina fosse arrivata per fare benzina avrebbe dovuto arrabattarsi a fare

manovra per girarci attorno. Era un'auto bianca con strisce e insegne, e luci dall'aria importante. Arrivato sullo spiazzo, il Monaco smontò da cavallo e lo impastoiò a una pompa. Si avvicinò alla

ostruzione del negozietto e vide che dentro c'era un tale girato di schiena che indossava un'uniformelu scuro e un cappello a punta. Il tipo saltava su e giú e si infilava delle dita nelle orecchie, cosa chevidentemente produceva una profonda impressione sull'uomo dietro al registratore di cassa.

Il Monaco guardava impietrito, con reverenza. Quell'uomo, credette con una semplice

mmediatezza che avrebbe impressionato anche un seguace di Scientology, doveva essere un qualcheio per suscitare tanto fervore. Aspettava di venerarlo trattenendo il fiato. Qualche attimo dopo,uomo si girò e uscì dal negozio, vide il Monaco e si fermò paralizzato.

Il Monaco si rese conto che il dio probabilmente stava aspettando che lui compisse qualche attoi venerazione e quindi rispettosamente saltò su e giú infilandosi le dita nelle orecchie.

Il suo dio lo fissò per un momento, lo afferrò stretto, lo rigirò, lo sbatté a faccia in avanti sullamacchina, braccia e gambe aperte, e lo perquisì alla ricerca di un'arma.

 Dirk irruppe nell'appartamento come un tornado piccolo e tozzo."Signorina Way," disse, afferrandole una mano piuttosto ritrosa e levandosi il suo assurdo

appello, "conoscerla è un piacere dei piú ineffabili, ma anche oggetto del mio piú profondoammarico che l'occasione del nostro incontro debba essere quella di un così grande dolore, che miostringe a manifestarle i sensi della mia simpatia e comprensione. La prego di credere che per nullal mondo mi intrometterei nel suo privato cordoglio se non per una questione di rilevanza e portataravissima. Richard: ho risolto il problema del giochino di prestigio, ed è straordinario."

 Avanzò nella stanza e si lasciò cadere su una sedia libera accanto al piccolo tavolo da pranzo, dove

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  ."Tu ci scuserai, Dirk..." iniziò freddo Richard."No, temo che sarete voi a dover scusare me," replicò Dirk. "L'enigma è risolto e la soluzione è

osì sorprendente che per indicarmela c'è voluto un bambino di sette anni incontrato per strada. Masenza dubbio quella giusta, assolutamente senza dubbio. 'E allora, qual è la soluzione?' mi chiederai

u, o quanto meno me lo chiederesti se riuscissi a infilare una parola qua e lá, ma non è così, per cuii risparmierò la noia di farmi la domanda e ti risponderò comunque dicendoti che non te lo dirò,erché non mi crederesti. Te lo dimostrerò, invece, questo pomeriggio stesso.

Sappi, a ogni buon conto, che ciò spiega tutto. Spiega il giochino. Spiega l'appunto ritrovato da te,

he avrebbe dovuto chiarirmi tutto perfettamente, e invece io sono stato uno stupido. E spiega ancheual era la terza domanda mancante, o meglio (e questo è il punto significativo) spiega qual era larima domanda mancante! "

"Che domanda mancante?" esclamò Richard, confuso dalla pausa improvvisa e intervenendo cona prima frase che gli venne in mente.

Dirk sbatté le palpebre come guardando un idiota. "La domanda mancante fatta da Giorgio III,aturalmente," disse. "Fatta a chi?"

"Be', al professore," disse Dirk spazientito. "Ma non ascolti quello che dici? Era tutto ovvio!"sclamò, battendo un pugno sul tavolo. "Così ovvio che l'unica cosa che mi impediva di vedere laoluzione era il fatto trascurabile che fosse completamente impossibile. Sherlock Holmes una volta

a detto che, eliminato l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la risposta.A me, però, non piace eliminare l'impossibile. Bene. Andiamo.""No.""Cosa?" Dirk lanciò un'occhiata a Susan, da cui arrivava questa opposizione inaspettata, o quanto

meno inaspettata per lui."Signor Gently," disse con una voce con cui si sarebbe potuto intagliare un bastone, "perché lei ha

eliberatamente fuorviato Richard facendogli credere di essere ricercato dalla polizia?"Dirk si accigliò."Ma era ricercato dalla polizia," disse, "e lo è ancora.""Sì, ma solo per rispondere a qualche domanda! Non perché è sospettato di omicidio."

Dirk abbassò lo sguardo."Signorina Way," disse, "alla polizia interessa sapere chi ha ucciso suo fratello. A me, con tutto il

ispetto, non interessa. Potrebbe, lo ammetto, risultare che questo abbia qualche rapporto con ilaso, ma potrebbe anche risultare che si è trattato di un pazzo qualunque. Volevo sapere, e ho ancoraisperatamente necessitá di sapere, perché Richard ieri sera è entrato nel suo appartamento dalla

inestra.""Te l'ho detto," protestò Richard."Quello che mi hai detto è inconsistente: dimostra soltanto il fatto fondamentale che nemmeno

u ne sai la ragione! Per tutti i santi, credevo di avertelo dimostrato abbastanza chiaramente alanale! "

Richard fremette."Guardandoti, mi era perfettamente chiaro," proseguì Dirk, "che avevi un'idea molto vaga di ciò

he stavi facendo e che non ti preoccupavi nemmeno minimamente del pericolo fisico che correvi.All'inizio, guardandoti, ho pensato che si trattasse di uno scassinatore scriteriato alla sua prima e

robabilmente ultima violazione di domicilio. Poi però la figura si è voltata indietro e ho capito cheri tu, e io ti conosco per un uomo intelligente, razionale ed equilibrato. Richard MacDuff? Cheischia l'osso del collo salendo nottetempo su per le grondaie come se niente fosse? Mi sembra cheon ti saresti mai comportato in un modo tanto sconsiderato ed estremo se non fossi statoisperatamente in ansia per qualcosa di terribilmente importante. Non è vero, signorina Way?"

Lanciò uno sguardo penetrante a Susan, che si sedette lentamente, fissandolo con occhi allarmatihe gli confermavano di essere andato a segno.

"Eppure quest'oggi, quando sei venuto a trovarmi, sembravi perfettamente calmo e padrone di te.Hai discusso con perfetto raziocinio quando ho detto un mucchio di sciocchezze sul Gatto di

chrödinger. Non era il comportamento di un uomo che la sera prima è stato spinto ad azionistreme da qualche fine disperato. Confesso che è stato allora che mi sono abbassato, insomma, asagerare la tua situazione, al semplice scopo di trattenerti."

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"Non l'hai fatto. Me ne sono andato.""Con certe idee per la testa. Sapevo che saresti tornato indietro. Mi scuso umilissimamente per

verti, ehm, in qualche modo sviato, ma sapevo che quanto io dovevo scoprire andava ben al di lá diiò che interessava alla polizia. Ed era questo: se ieri notte quando scalavi la parete non eri del tutton te... ma allora chi eri, e perché?"

Richard rabbrividì. Il silenzio si protrasse."E che cosa c'entra con i giochini di prestigio?" disse alla fine."Per scoprirlo dobbiamo andare a Cambridge.""Ma che cosa ti fa essere tanto sicuro...?"

"Mi imbarazza," disse Dirk e sul volto gli scese un'espressione scura e grave.Per essere una persona tanto garrula, sembrava tutto a un tratto stranamente restio a parlare.Continuò: "Mi imbarazza oltremodo scoprire che so qualcosa ma non so perché lo so. Magari è lo

tesso meccanismo istintivo che consente di afferrare una palla quasi prima di averla vista. Forse èuell'istinto profondissimo e inesplicabile che ti avverte quando qualcuno ti sta guardando. Èn'offesa enorme al mio intelletto che mi capiti esattamente ciò per cui disprezzo chi ci crede. Tiicorderai le... miserie che circondarono certi testi d'esame".

Improvvisamente sembrava esausto e sfatto. Per continuare a parlare, dovette attingere alle sueltime energie.

Poi disse: "Un conto è la capacitá di fare due piú due e di arrivare a quattro. Un altro è quella di

are radice quadrata di cinquecento trentanove virgola sette piú coseno di ventisei virgola quattrore due e arrivare... e arrivare a una risposta che, quale che sia, è tutta diversa. E poi... be', ti faccio unsempio".

Si chinò in avanti con aria intenta. "Ieri sera ti ho visto scalare questo edificio. Sapevo che c'eraualcosa che non andava. Oggi mi sono fatto riferire da te tutti i minimi particolari di ciò che sapeviispetto a quanto è avvenuto ieri sera e il risultato, usando solo il mio intelletto, è che ho giácoperto probabilmente il piú grande segreto nascosto su questo pianeta. Ti giuro che è vero e cheosso provarlo. Ora, mi devi credere se ti dico che so, so che c'è qualcosa di terribilmente,isperatamente, spaventosamente sbagliato e che noi dobbiamo trovarlo. Ora ci vieni a Cambridgeon me?

Stordito, Richard annuì."Bene," disse Dirk. "Che cos'è questo?" aggiunse, indicando il piatto di Richard."Merluzzo sotto sale. Ne vuoi un po'?""No, grazie," fece Dirk alzandosi e abbottonandosi il soprabito. "Nel mio vocabolario," disse

irigendosi verso la porta e spingendo Richard con sé, "la parola 'merluzzo' non esiste. Buonomeriggio, signorina Way, ci auguri che Dio sia con noi."

 

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Capitolo Venticinque...

Ci fu un rombo di tuono e l'inizio di quell'interminabile pioggerellina da nord-est che sembraccompagnare buona parte degli eventi cruciali di questo mondo.Dirk si rialzò il bavero del soprabito di pelle per ripararsi dal freddo, ma niente riusciva a

affreddare la sua indemoniata esuberanza mentre lui e Richard si avvicinavano ai grandi portoni delodicesimo secolo.

"St Cedd's College, Cambridge," esclamò guardandoli per la prima volta da otto anni a quellaarte. "Fondato nell'anno qualcosa e rotti, da qualcuno che non ricordo in onore di qualcun altro ilui nome al momento mi sfugge."

"St Cedd?" suggerì Richard."Sai che mi sembra proprio che fosse lui? Uno dei santi piú insignificanti del Northumberland.

Ma suo fratello Chad era ancora piú insignificante. Ha una cattedrale a Birmingham, non so se rendoidea. Ah, Bill, che piacere rivederla," soggiunse avvicinandosi al portiere che, a sua volta, stavaroprio per entrare nel college. Il portiere si guardò attorno.

"Signor Cjelli, sono lieto che sia tornato, signore. Mi spiace che abbia avuto qualche noia, mapero che ora tutto ciò sia acqua passata."

"Infatti, Bill, è così. Tutto a meraviglia. E la signora Roberts? Come sta? Ha ancora quel fastidiol piede?"

"Non piú da quando gliel'hanno tagliato, grazie per l'interessamento, signore. Detto fra noi,ignore, mi sarebbe andato benissimo anche se avessero amputato lei e salvato il piede. Avevo giáreparato un posticino sulla mensola del camino, ma tant'è, bisogna prendere le cose come vengono.

Signor MacDuff, signore," aggiunse con un breve cenno a Richard. "Oh, quel cavallo cuiccennava, signore, ieri sera quando è venuto qui, purtroppo abbiamo dovuto rimuoverlo. Dava noial professor Chronotis."

"Ero solo curioso, ehm, Bill," disse Richard. "Spero che non le abbia procurato disturbo.""Niente mi disturba, signore, finché non si tratta di mettermi in divisa. Non posso tollerare

uando i giovani si mettono in divisa, signore."Se quel cavallo dovesse darle ancora noia, Bill," lo interruppe Dirk battendogli una mano sulla

palla, "lo mandi da me che gli parlo io. Ora, ha accennato al buon professor Chronotis. C'è almomento? Siamo qui per una commissione."

"Per quanto ne so, signore. Non posso controllare perché ha il telefono guasto. Le suggerirei dindare a vedere di persona. La seconda a sinistra nel Secondo Cortile."

"Lo so bene, Bill, grazie, e tante cose a ciò che resta della signora Roberts. " Attraversarono impettiti il Primo Cortile, o quanto meno, Dirk lo attraversò impettito, mentre

Richard camminava con la sua consueta andatura da airone, increspando la faccia contro laioggerellina uggiosa.

Dirk ovviamente si credeva una guida turistica."St Cedd's," declamò, "il college di Coleridge nonché di sir Isaac Newton, rinomato inventore

ella moneta col bordo zigrinato e della gattaiola!""La che?" chiese Richard.

"La gattaiola! Un prodotto di sommo ingegno, perspicacia e inventiva. È una porta dentro laorta, capisci, un...""Sì," disse Richard, "e poi c'era quella faccenduola della gravitá. ""La gravitá," fece Dirk con una scrollatina di spalle leggermente sdegnosa, "giá, c'era anche

uella, immagino. Anche se quella, naturalmente, era solo una scoperta. Aspettava solo che qualcunoa scoprisse."

Tirò fuori un penny dalla tasca e lo lanciò a caso sui ciottoli che affiancavano il sentiero

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 astricato."Vedi?" disse. "Funziona anche durante i weekend. Prima o poi qualcuno doveva notarlo. La

attaiola invece... ah, quella è tutta un'altra faccenda. Invenzione, pura invenzione creativa.""A me pareva una cosa piuttosto ovvia. Avrebbe potuto pensarci chiunque.""Ah, in veritá è una mente rara quella che può rendere ciò che finora non esisteva di una ovvietá

ccecante. L'urlo di 'Avrei potuto pensarci anch'io' è quanto mai comune e fuorviante, ma resta ilatto che nessuno ci ha pensato, un fatto significativo e anche rivelatore. Se non mi sbaglio, è questaa scala che cerchiamo. Saliamo?"

Senza attendere la risposta, si lanciò su per le scale. Richard, che lo seguiva esitante, lo trovò che

iá batteva alla porta interna. Quella esterna era aperta."Avanti!" gridò una voce da dentro. Dirk spinse la porta ed entrarono giusto in tempo per vedere

a bianca nuca di Reg che scompariva in cucina."Stavo proprio facendo un po' di tè," disse da lì. "Ne vuole? Si sieda, si sieda, chiunque lei sia.""Molto gentile da parte sua," rispose Dirk. "Siamo in due." Dirk si sedette e Richard seguì il suo

sempio."Indiano o cinese?" gridò Reg. "Indiano, grazie."Si sentì uno sbatacchiare di tazzine e scodelle.Richard dette uno sguardo in giro per la stanza. A un tratto gli sembrava normalissima. Il fuoco

rdeva tranquillamente per conto suo, ma la luce era quella del grigio pomeriggio. Nonostante che

utto fosse uguale, il vecchio divano, il tavolo sovraccarico di libri, pareva non esserci nullaell'inquietante stranezza della sera prima. Sembrava che la stanza se ne stesse lì, le sopracciglialzate, a dire con aria innocente: "Sì?"

"Latte?" chiese Reg dalla cucina."Grazie," rispose Dirk. Scoccò a Richard un sorriso che gli parve quasi traboccante di eccitazione

rattenuta."Una zolletta o due?" chiese ancora Reg."Una, grazie," disse Dirk, "...e due cucchiaini di zucchero, se non le dispiace."Nella cucina vi fu una momentanea sospensione delle attivitá. Passò un momento o due, poi Reg

mise fuori la testa dalla porta. "Svlad Cjelli!" esclamò. "Santo cielo! Be', questo sì che è un lavorobrigato alla svelta, giovane MacDuff, ben fatto. Mio caro amico, che cosa fantastica rivederti, cheello che tu sia venuto."

Si pulì le mani in una tovaglietta da tè e corse a stringere quelle dei suoi ospiti."Mio caro Svlad.""Dirk, prego, se non le dispiace," disse Dirk stringendogli la mano calorosamente. "Lo preferisco.

Trovo che abbia un che come di pugnale scozzese. Dirk Gently è il nome sotto cui sono in affarittualmente. Ci sono alcuni avvenimenti del passato, purtroppo, da cui vorrei dissociarmi."

"Certamente, so benissimo come ti senti. Gran parte del quattordicesimo secolo, per esempio, ètato piuttosto oscuro," convenne Reg di cuore.

Dirk stava per correggere il malinteso, ma pensò che rischiava di imbarcarsi in una lungavventura e lasciò perdere."E allora, mio caro professore, come se la passa?" disse invece, posando dignitosamente cappello

sciarpa sul bracciolo del divano."Bene," rispose Reg. "Ultimamente ho avuto momenti interessanti, o meglio, insignificanti. Ma

nsignificanti per motivi interessanti. Ora, sedetevi pure, scaldatevi al fuoco. Vi porto il tè e cercheròi spiegarvi." Uscì di nuovo, mormorando qualcosa con fare indaffarato, lasciando che siccomodassero davanti al fuoco. Richard si chinò verso Dirk. "Non sapevo che lo conoscessi tantoene," disse facendo un cenno in direzione della cucina. "Non lo conosco affatto bene," replicò subito

Dirk. "Ci siamo incontrati una volta per caso a una cena, ma c'è stata simpatia e intesa immediata."

"E allora com'è che non vi siete piú rivisti?""Mi ha evitato di proposito, naturalmente. I rapporti stretti con le persone sono pericolosi

uando si ha un segreto da nascondere. E quanto a segreti, suppongo che questo sia uno di quellirossi. Se da qualche parte al mondo c'è un segreto piú grosso," aggiunse poi a bassa voce "miiacerebbe proprio sapere qual è."

Dette a Richard un'occhiata colma di significato e tese le mani verso il fuoco. Poiché Richard 

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  , , ,tavolta si rifiutò di abboccare all'amo e si appoggiò invece alla poltrona, guardandosi intorno.

"Ti ho giá chiesto," disse Reg, tornando in quel momento, "se volevi del tè?""Ehm, sì," rispose Richard, "se n'è parlato a lungo. Credo che alla fine si sia deciso che ne vorrei,

o?""Bene," disse Reg distrattamente, "fortunatamente sembra che in cucina ce ne sia un po' giá

ronto. Devi perdonarmi. Ho una memoria come... come... cosa sono quelle cose in cui si passa iliso? Ma cosa sto dicendo?"

Con uno sguardo perplesso, si girò rapidamente e scomparve ancora una volta in cucina."Molto interessante," disse Dirk a bassa voce. "Mi chiedevo se soffrisse di scarsa memoria."Improvvisamente si alzò in piedi e prese ad aggirarsi per la stanza. I suoi occhi caddero sull'abaco

he si trovava nell'unico posto libero del grande tavolo di mogano."È questo il tavolo," chiese a Richard sottovoce, "dove hai trovato quell'appunto sulla saliera?""Sì," disse Richard alzandosi e avvicinandosi, "infilato fra le pagine di questo libro." Prese la

uida delle isole greche e ne girò qualche pagina."Sì, sì, certo," fece Dirk impaziente. "Di quello sappiamo tutto. Mi interessava solo sapere se il

avolo era questo." Fece passare le dita sul bordo, in modo curioso."Se pensi che fra Reg e la ragazzina ci fosse una specie di accordo preliminare," disse Richard,

devo dirti che non lo ritengo possibile."

"Ma certo che no," ribatté Dirk stizzito. "Pensavo che fosse assolutamente chiaro."Richard si strinse nelle spalle, cercando di non arrabbiarsi e rimise giú il libro."Be', è una strana coincidenza che il libro fosse proprio..." "Strana coincidenza!" sbuffò Dirk. "Ah!

Vedremo quanto è una coincidenza. Vedremo esattamente quanto era strana. Vorrei che tu, Richard,hiedessi al nostro amico come ha fatto quel giochino."

"Mi sembrava che avessi detto che lo sapevi giá.""Infatti lo so," disse Dirk con disinvoltura. "Ma mi piacerebbe sentire una conferma.""Ah, capisco," disse Richard, "giá, così è abbastanza facile, no? Farglielo spiegare e poi dire. 'Sì,

sattamente come pensavo!' Ottimo, Dirk. Abbiamo fatto tutta questa strada per farci spiegare da luiome ha fatto quel giochino di prestigio? Devo proprio essere matto."

 A questo punto, Dirk si inalberò."Per cortesia, fai quello che ti chiedo," scattò iroso. "Sei tu che l'hai visto fare il giochino, sei tuhe gli devi chiedere come ha fatto. Credimi, lì dentro si nasconde un segreto stupefacente. Io lo so,

ma voglio che tu lo senta da lui."Si girò mentre Reg arrivava con un vassoio, aggirando il divano e posandolo sul basso tavolinetto

a caffè che si trovava davanti al fuoco."Professor Chronotis..." cominciò Dirk."Reg," disse Reg, "prego.""Benissimo," fece Dirk. "Reg...""Setaccio!" esclamò Reg.

"Come?""La cosa in cui si passa il riso. Il setaccio. Stavo cercando di ricordarmi la parola, anche se ora ho

imenticato la ragione per cui la cercavo. Non importa. Dirk, mio caro amico, hai l'aria di uno che staer sbottare a proposito di qualcosa. Perché non ti siedi e non ti metti comodo?"

"Grazie, no, preferisco avere la possibilitá di passeggiare avanti e indietro nervosamente, seosso. Reg..."

Si girò in modo da stargli esattamente di fronte e alzò un dito."Le devo dire," fece, "che io conosco il suo segreto.""Ah, sì, ehm... davvero?" mormorò Reg guardando in giú imbarazzato e giocherellando con le

azzine e la teiera. "Capisco."

Le tazzine tintinnarono violentemente quando le mosse. "giá, lo temevo.""E c'è qualche domanda che le vorremmo fare. Le devo dire che aspetto le risposte con

randissimo timore.""Infatti, infatti," mormorò Reg. "Be', forse dopo tutto è giunta l'ora. Quasi non so piú nemmeno io

he cosa pensare degli ultimi avvenimenti e anch'io sono... spaventato, Benissimo. Chiedetemi quellohe volete." Alzò risolutamente lo sguardo, gli occhi che brillavano.

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  , , ."Ehm," disse Richard, "be', io sarei... interessato a sapere come ha fatto quel giochino di prestigio

on la saliera ieri sera."Reg sembrò sorpreso e piuttosto sconcertato dalla domanda. "Il giochino di prestigio?" ripeté."Mmm, giá," fece Richard, "il giochino di prestigio.""Oh!" disse Reg, colto alla sprovvista, "be', la parte di prestidigitazione, non sono sicuro di

otere... regole del Circolo di Magia, capisci, molto severe sul fatto di rivelare questi segreti. Moltoevere. Un giochino notevole, comunque, no?" aggiunse poi timidamente.

"Be', sì," disse Richard, "al momento mi era sembrato molto naturale, ma ora che... che ci penso,

evo ammettere che era abbastanza stupefacente.""Ah, be'," disse Reg, "è questione di abilitá, capisci. Di pratica. Farlo sembrare naturale.""Effettivamente, sembrava molto naturale," continuò Richard, procedendo a tentoni. "Mi ha

roprio colpito.""Ti è piaciuto?""Era davvero impressionante."Dirk si stava facendo piuttosto impaziente. Lanciò un'occhiata a Richard per farglielo capire."E capisco anche benissimo," disse Richard con voce ferma, "che le sia impossibile svelarmelo. È

olo che mi interessava, tutto qua. Mi scusi se gliel'ho chiesto.""Be'," disse Reg, colto improvvisamente da un dubbio, "immagino... be', se prometti di non dirlo

ssolutamente a nessun altro," proseguì, "immagino che tu possa capire da solo che ho usato due diuelle saliere che c'erano sulla tavola. Nessuno avrebbe notato la differenza fra una e l'altra. Laapiditá della mano, capisci, inganna l'occhio, soprattutto alcuni degli occhi attorno a quella tavola.

Mentre giocherellavo con il mio berretto di lana offrendo, anche se sono io a dirlo, una astutissimaimostrazione di essere goffo e pasticcione, non facevo altro che farmi scivolare la saliera nella

manica. Capisci?"L'agitazione di poco prima era stata completamente spazzata via dal piacere di esibire la sua

ravura."In realtá, è il trucco piú vecchio del mondo," continuò, "ma richiede comunque un buon grado di

bilitá e destrezza. Quindi poco dopo, naturalmente, l'ho rimessa sulla tavola col pretesto di passarla

qualcuno. Ovviamente, per farlo sembrare naturale, ci vogliono anni di pratica, ma io preferisco diran lunga far cadere l'oggetto sotto il tavolo. Una cosa da dilettanti. Non lo si può raccogliere e gliddetti alla pulizia non se ne accorgono per almeno un quindici giorni. Una volta un tordo morto èimasto sotto la mia sedia per un mese. Naturalmente, lì i giochini non c'entravano niente. L'avevacciso un gatto."

Reg fece un sorriso radioso.Richard sentì di aver fatto la sua parte, anche se non aveva la piú pallida idea di dove tutto ciò

vrebbe dovuto portarli. Lanciò un'occhiata a Dirk, che però non gli dette nessun aiuto, per cui sipinse avanti alla cieca.

"Giá," disse, "giá, comprendo che con una certa lestezza di mano lo si possa fare. Quello che non

apisco è come ha fatto la saliera e cacciarsi in quel vaso." Ancora una volta Reg sembrò perplesso, come se tutti loro stessero parlando per sottintesi.

Guardò Dirk, che smise di passeggiare e lo fissò con occhi che brillavano di aspettativa."Be', quello è... assolutamente elementare," disse Reg, "non è necessaria nessuna abilitá da

restigiatore. Ti ricordi che avevo fatto una scappata fuori a prendere il mio berretto?""Sì," disse Richard dubbioso."Bene," riprese Reg, "mentre ero fuori della stanza, andai a cercare l'uomo che aveva fatto il vaso.

Ci volle del tempo, naturalmente. Circa tre settimane di indagini per rintracciarlo e un altro paio diiorni per fargli smaltire la sbornia, dopo di che con qualche difficoltá lo persuasi a cuocere un vasoon la saliera dentro. A quel punto feci una sosta da qualche parte per trovare un po' di, ehm, cipriaer nascondere l'abbronzatura e naturalmente dovetti programmare i tempi del ritorno con unaerta attenzione, in modo che tutto sembrasse naturale. Andai a sbattere contro me stesso innticamera, cosa che trovo sempre imbarazzante. Non so mai dove guardare, ma, ehm, be', tuttoua."

Fece un sorrisetto piuttosto tirato e nervoso.Richard provò ad annuire, ma alla fine rinunciò.

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"Di che diavolo sta parlando?"Reg lo guardò sorpreso."Credevo che avessi detto che conosci il mio segreto," disse."Io lo conosco," intervenne Dirk con un lampo di trionfo. "Lui non ancora, anche se mi ha fornito

utte le informazioni che mi servivano per scoprirlo. Mi permetta," aggiunse, "di far luce su un paioi punti oscuri. Per meglio nascondere il fatto che in realtá lei era stato via per settimane, mentreer quanto ne sapeva chiunque seduto intorno al tavolo lei era soltanto uscito dalla porta perualche secondo, dovette annotarsi per proprio riferimento personale l'ultima cosa che aveva detto,osì da poter riprendere il filo della conversazione nel modo piú naturale possibile. Un dettaglio

mportante, visto che la sua memoria non è piú quella di una volta. Giusto?""Quella di una volta," disse Reg, scuotendo lentamente la testa bianca. "Non mi ricordo quasi piúom'era una volta. Comunque sì, sei molto acuto a rilevare un particolare come questo.

"Poi c'è la faccenduola," continuò Dirk, "delle domande fatte da Giorgio III. Fatte a lei."Quest'ultima cosa sembrò cogliere Reg veramente alla sprovvista."Le ha chiesto," proseguì Dirk, "consultando un piccolo bloc-notes che aveva estratto dalla tasca,

se ci fosse una particolare ragione per cui una cosa accadeva dopo un'altra e se c'era modo dimpedirlo. Non le chiese anche, e magari prima, se fosse possibile spostarsi a ritroso nel tempo oualcosa del genere?"

Reg dette a Dirk una lunga occhiata di apprezzamento.

"Avevo visto bene per quanto ti riguarda," disse, "hai una mente davvero notevole, giovanotto."i avvicinò lentamente alla finestra che guardava sul Secondo Cortile. Guardò le strane figure che lottraversavano frettolosamente, riparandosi dalla pioggia o indicando qualcosa.

"Sì," disse Reg alla fine con voce fioca, "è esattamente quello che mi ha chiesto.""Bene," disse Dirk, chiudendo di scatto il suo bloc-notes con un sorrisino tirato che diceva come

vesse vissuto per sentire quel riconoscimento, "questo spiega dunque come mai le risposte furono,ell'ordine, 'sì, no e forse'. Quindi. Dov'è?"

"Dov'è cosa?""La macchina del tempo.""Ci siete dentro," rispose Reg. 

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Capitolo Ventisei...

 A Bishop's Stortford si riversò sul treno una comitiva di persone rumorose. Alcune indossavanoompleti da giorno con garofani che sembravano un tantino provati dopo la giornata diesteggiamenti. Le donne portavano abiti eleganti e cappelli e parlavano animatamente di quantoosse carina Julia in quel taffetá di seta, di come Ralph continuasse a sembrare un pasciuto bietoloneonostante si fosse tutto agghindato, e in generale prevedendo che fra loro non sarebbe durata piú diue settimane.

Uno degli uomini sporse la testa dal finestrino e chiamò un dipendente delle ferrovie solo perhiedergli se quello era il treno giusto e se si fermava a Cambridge. L'inserviente confermò cheuello era sicuramente quell'accidenti di treno. Il giovanotto disse che non volevano trovarsi poiutti quanti a scoprire che stavano andando dalla parte sbagliata, no, e fece un suono abbastanza

imile a quello di un pesce che abbaia, come per indicare che era un'osservazione impagabilmentepiritosa, dopo di che tirò dentro la testa, pestandola nel tragitto.

Il tasso alcolico nella carrozza salì vertiginosamente. Sembrava che l'opinione prevalente nell'ariaosse che il modo migliore di disporsi al giusto stato d'animo per il ricevimento serale, dopo il

matrimonio, fosse fare una puntatina al bar, di modo che i membri della comitiva non ancoraompletamente sbronzi potessero completare l'opera. Fragorose grida d'approvazione salutarono iloncetto, il treno ripartì con un sussulto e parecchi di quelli rimasti in piedi caddero.

Tre giovanotti crollarono su tre sedili vuoti attorno a un tavolo, dove il quarto posto era giáccupato da un tipo azzimato sovrappeso, con un completo fuori moda. Aveva una faccia lugubre e iuoi grandi occhi bovini e acquosi erano fissi su qualche sconosciuta lontananza.

Molto lentamente, il suo sguardo ricominciò a mettere a fuoco, pian piano, dall'infinito fino alleiú immediate vicinanze, i suoi nuovi e invadenti compagni di viaggio. Avvertiva un bisogno, comeaveva avvertito anche prima.

I tre giovani discutevano ad alta voce se dovessero andare tutti al bar, se dovessero andarci sololcuni e portare indietro beveraggi per gli altri, se quelli che eventualmente ci fossero andati nonischiassero di emozionarsi per tutta quella roba da bere al punto di fermarsi lì, dimenticandosi diortare qualcosa agli altri, seduti ad aspettare ansiosamente il loro ritorno e se, quand'anche siossero ricordati di tornare indietro subito con le bevande, sarebbero poi stati in grado dirasportarle e non le avrebbero invece rovesciate in tutta la carrozza sulla via del ritorno, recandoisturbo agli altri passeggeri.

Sembrò che fosse stata raggiunta una forma di accordo, ma quasi immediatamente tuttiimenticarono qual era. Due si alzarono, poi si sedettero di nuovo, mentre un terzo si alzava. Poiuello si sedette. Gli altri due si alzarono di nuovo, esprimendo l'idea che forse la cosa piú semplicera comprare tutto il bar. Il terzo stava per alzarsi a sua volta e seguirli, quando il tipo dagli occhiovini di fronte a lui, lentamente ma con inarrestabile determinazione, si chinò in avanti e lo afferròtretto per l'avambraccio.

Il giovane nel suo completo elegante lo fissò con tutta la durezza che gli consentiva il suo cervellolquanto annebbiato e, sorpreso, disse: "Che cosa vuole?"

Michael Wenton-Weakes lo guardò negli occhi con terribile intensitá e disse a voce bassa: "Ero

u una nave...""Come?""Una nave..." ripeté Michael."Ma che nave? Di cosa sta parlando? Mi lasci andare. Mi lasci!""Eravamo arrivati," continuò Michael in tono sommesso, quasi impercettibile e tuttavia

magnetico, "mostruosamente lontano. Eravamo arrivati a costruire un paradiso. Un paradiso. Qui."I suoi occhi fluttuarono brevemente per la carrozza, poi brevemente indugiarono sul finestrino

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 operto di schizzi, sulle nuvole che andavano preparando una piovigginosa sera dell'Inghilterrarientale. Vi indugiarono con evidente avversione. La presa sull'avambraccio dell'altro si fece piúorte.

"Senta, io vado a farmi un bicchierino," disse l'invitato di nozze, ma debolmente, visto che non citava andando affatto.

"Ci lasciammo alle spalle coloro che si sarebbero distrutti con la guerra," mormorò Michael. "Ilostro sarebbe stato un mondo di pace, di musica, d'arte, illuminato. Tutto ciò che era meschino,

utto ciò che era banale, tutto ciò che era spregevole non avrebbe avuto posto nel nostro mondo..."Il festaiolo così ridotto al silenzio guardò Michael con aria interrogativa. Non sembrava un

ecchio hippy. Certo, non si può mai dire. Suo fratello maggiore un tempo aveva passato un paio'anni in una comune druidica, a mangiare dolcetti all'Lsd, convinto di essere un albero, ma da allorara riuscito a diventare il direttore di una banca commerciale. Il fatto era, naturalmente, che ormaion pensava quasi mai di essere un albero, se non in rare occasioni e aveva imparato da parecchioempo a evitare quel particolare rosso che talvolta gli provocava simili rigurgiti di memoria.

"C'era chi diceva che saremmo caduti," continuò Michael con quella voce bassa ma chiaramentedibile sopra il fracasso tremendo che riempiva la carrozza, "che diceva che anche noi ci portavamoentro il seme della guerra, ma il nostro alto proponimento e scopo era che solo l'arte e la bellezza

iorissero, l'arte suprema, la bellezza suprema, la musica. Accoglievamo fra noi solo quelli cheredevano, che desideravano che si avverasse."

"Ma di che sta parlando?" chiese l'invitato di nozze, senza però alcuna provocazione, perché eraaduto sotto l'incantesimo ipnotico di Michael. "Quando è successo? Dove è successo?"

Michael fece un respiro profondo. "Prima che tu nascessi..." disse alla fine. "Stai buono e te loacconterò."

 

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Capitolo Ventisette...

Ci fu un lungo silenzio stupito, durante il quale sembrò che fuori l'oscuritá della sera si facesseensibilmente piú scura e risucchiasse la stanza nella sua morsa. Un gioco di luci avvolgeva Regell'ombra.

Una volta tanto, in una vita di prolissa ed esuberante loquacitá, Dirk era senza parole. Gli occhili brillavano con la meraviglia di un bambino mentre passavano e ripassavano sui mobili vecchi eovinati, sui muri rivestiti di legno, sui tappeti consunti. Gli tremavano le mani.

Per un istante Richard si accigliò, come se stesse cercando di risolvere a mente la radice quadratai chissá che, poi si girò a guardare Reg dritto in faccia.

"Chi è lei?" chiese."Non ne ho la minima idea," rispose Reg pronto, "buona parte della mia memoria se n'è andata

ompletamente. Sono molto vecchio, capisci. Sorprendentemente vecchio. Sì, credo che se vi dovessionfidare quanto sono vecchio, onestamente dovrei dirvi che rimarreste sorpresi. E probabilmenteo rimarrei anch'io, perché non me lo ricordo piú. Ho visto una quantitá terribile di cose, sapete. La

maggior parte le ho dimenticate, grazie a Dio. Il problema, quando si comincia ad avere la mia etáhe, come credo di aver detto prima, è piuttosto sorprendente... ve l'avevo detto?"

"Sì, vi aveva accennato.""Bene. Mi ero dimenticato se l'avevo detto o meno. Il fatto è che la memoria non aumenta mai, e

n sacco di roba ne cade fuori. Per cui capite, la differenza principale fra una persona della mia etá ena della vostra non è nella quantitá di cose che sa, ma di quelle che ha dimenticato. Dopo un po' cii dimentica pure che cosa ci si è dimenticato, e poi ancora ci si dimentica che c'era qualcosa da

icordare. Quindi si tende a dimenticare, ehm, ciò di cui si stava parlando."Fissò con sguardo sconsolato la teiera."Le cose che lei ricorda..." lo imbeccò gentilmente Richard."Odori e orecchini.""Come, prego?""Sono le cose che resistono, chissá per quale ragione," disse Reg, scuotendo la testa perplesso.

mprovvisamente si sedette. "Gli orecchini che la regina Vittoria portava il giorno delle nozze'argento. Due oggetti davvero singolari. Nei quadri dell'epoca, naturalmente, venivano resi un po'iú normali. L'odore delle strade prima che vi fossero le auto. Difficile dire cos'era peggio. Unaombinazione veramente devastante di orecchini e odori. Credo che probabilmente sará l'ultima cosahe rimarrá, quando tutto il resto sará svanito. Me ne starò seduto in una camera buia, sans denti,ans gusto, sans nient'altro che una vecchia, piccola testa grigia e in quella vecchia, piccola testarigia una strana visione di orrende cose blu e oro penzolanti, che mandano bagliori, e l'odore diudore, cibo per gatti e morte. Mi chiedo cosa me ne farò..."

Dirk quasi non respirava mentre cominciava a muoversi lentamente per la stanza, sfiorandoelicatamente con la punta delle dita le pareti, il divano, il tavolo.

"Da quando," disse, "questo...""Qui?" fece Reg. "Soltanto un paio di centinaia di anni. Da quando sono in pensione.""In pensione da cosa?"

"Scopritelo. Dev'essere stato qualcosa niente male, comunque, che ne pensate?""Sta dicendo che lei è qui, in queste stesse stanze, da... duecento anni?" mormorò Richard. "Èncredibile che nessuno se ne sia accorto, o abbia trovato la cosa strana."

"Oh, questa è una delle gioie dei vecchi college di Cambridge," disse Reg, "tutti sono così discreti.e tutti dovessimo metterci a dire che cosa c'è di strano in ognuno di noi, andremmo avanti fino a

Natale. Svlad, ehm... Dirk, mio caro amico, per piacere, quello per il momento non lo toccare."Dirk stava allungando la mano per toccare l'abaco in piedi nell'unico angolo libero del grande

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 avolo."Che cos'è?" chiese Dirk bruscamente."È proprio quello che sembra, un vecchio abaco di legno," disse Reg. "Te lo mostro fra un attimo,

ma prima devo congratularmi con i tuoi poteri intuitivi. Posso chiederti come sei arrivato allaoluzione?"

"Devo ammettere," disse Dirk con rara umiltá, "che non ci sono arrivato io. Alla fine ho chiesto an bambino. Gli ho raccontato la storia del giochino, gli ho chiesto come si faceva secondo lui e lui

mi ha risposto, cito testualmente: 'Ma cazzo è ovvio, no, deve avere una cazzo di macchina delempo'. Ho ringraziato il mio piccolo amico e gli ho dato uno scellino per il disturbo. Lui mi ha dato

n bel calcio secco sullo stinco e se n'è andato per i fatti suoi. Ma è lui che ha risolto il caso. Il mionico contributo alla cosa è consistito nel capire che doveva avere ragione. Mi ha anche risparmiato

a noia di darmi il calcio da solo.""Ma sei tu che hai avuto l'intuizione di chiederlo a un bambino," disse Reg. "Be', allora mi

ongratulo con te per questo."Dirk continuava a occhieggiare l'abaco con sospetto. "Come... funziona?" chiese, cercando di farla

assare per una domanda oziosa."Sai, in realtá è terribilmente semplice," rispose Reg, "funziona esattamente come si vuole. Vedi,

computer che lo comanda è di tipo piuttosto avanzato. Anzi, è piú potente della somma di tutti iomputer del pianeta, compreso (e questo è il trucco) questo stesso. Per essere franco questa parte

on l'ho mai capita veramente nemmeno io. Ma piú del novantacinque per cento di quella potenzaiene usata semplicemente per capire che cosa si vuole fargli fare. Io non devo far altro che poggiaremio abaco lì e lui capisce in che modo lo uso. Credo che mi sia stato insegnato a usare un abaco

uando ero un... be', immagino quand'ero bambino.Richard, per esempio, probabilmente vorrebbe usare il suo personal computer. Mettendolo lì,

ove adesso si trova l'abaco, il computer della macchina non farebbe altro che prenderlo in carico effrire una quantitá di applicazioni di viaggio temporale, con un'interfaccia amichevole, con tanto di

menú a tendina e di accessori, se lo si desidera. Tranne il fatto che, se punti su 1066 sullo schermo, cii ritrova con la battaglia di Hastings alla porta di casa, mmm, se è quello il genere di cose che tinteressa."

Il tono di voce di Reg lasciava capire che i suoi interessi si appuntavano su altri settori."A suo modo, è davvero, mmm, divertente," concluse. "Certamente meglio della televisione e

molto, molto piú semplice di un videoregistratore. Se perdo una trasmissione, faccio un saltondietro nel tempo e me la vedo. Non riesco a smettere di giochicchiare con quei tasti."

Dirk reagì a questa rivelazione con orrore."Lei ha una macchina del tempo e la usa per... guardare la televisione?""Be', non la userei nemmeno se riuscissi a capire come funziona un videoregistratore. Sai, un

iaggio nel tempo è una faccenda molto delicata. Piena di trappole e pericoli spaventosi, se siovessero cambiare le cose sbagliate nel passato si sconvolgerebbe il corso della storia.

E poi, naturalmente, si scombussolano i telefoni. Mi dispiace," disse a Richard quasi conergogna, "che l'altra sera tu non abbia potuto chiamare la tua giovane signora. Nel sistemaelefonico britannico sembra esserci qualcosa di fondamentalmente inesplicabile, che non piace alla

mia macchina del tempo. Mai avuto problemi idraulici, elettrici o col gas. Le interfaccia dionnessione vengono sorvegliate a un livello quantico che non capisco del tutto e non ci sono maitati problemi.

Il telefono d'altronde è decisamente un problema. Tutte le volte che uso la macchina del tempo, ilhe naturalmente vuol dire quasi mai, in parte proprio per questo problema del telefono, il telefonoa a pallino e mi tocca far venire qualcuno dall'azienda telecomunicazioni, che comincia a faretupide domande, senza alcuna speranza di capire le risposte.

Comunque, la sostanza è che mi sono dato una regola ferrea di non cambiare assolutamente maiiente nel passato..." sospirò Reg, "nonostante le tentazioni."

"Che tentazioni?" chiese brusco Dirk."Oh, è solo una, ehm, cosuccia che mi interessa," disse Reg restando sul vago, "del tutto innocente

isto che mi attengo alla regola in maniera ferrea. Però mi rattrista.""Ma lei l'ha infranta, la regola!" proruppe Dirk. "Ieri sera! Ha cambiato qualcosa nel passato..."" ' " "

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, , , . .vessi visto lo sguardo sulla faccia di quella povera bambina. Talmente infelice. Lei pensava che il

mondo dovesse essere un posto meraviglioso e quei terribili vecchi professori le rovesciavanoddosso il loro disdegno avvizzito solo perché per loro non era piú meraviglioso.

"Voglio dire," soggiunse rivolgendosi a Richard, "pensa a Cawley, quel vecchio caprone esangue.Bisognerebbe tirargli fuori un briciolo di umanitá, anche a costo di doverlo percuotere con unmattone. No, in quel caso era perfettamente giustificabile. In tutti gli altri, mi sono dato una regola

ssolutamente ferrea..." Richard lo guardò mentre nella sua testa cominciava a farsi una debole luce."Reg," disse compito, "posso darle un piccolo consiglio?""Certo che puoi, mio caro amico. Ne sarei deliziato," rispose Reg."Se il nostro comune amico qui la invita a fare una passeggiatina lungo il fiume Cam, non ci

ada.""Che diamine vuoi dire?""Vuole dire," spiegò Dirk con franchezza, "che a suo parere c'è una leggera sproporzione fra

uello che lei ha fatto e le ragioni addotte a sua giustificazione.""Ah. Be', un modo piuttosto singolare di dirlo...""In effetti, è un ragazzo parecchio singolare. Ma vede, a volte ci sono altre ragioni per ciò che si

a, di cui non sempre si è consapevoli. Come nel caso della suggestione post-ipnotica, o dellaossessione.

Reg si fece pallidissimo. "Possessione..." disse."Professore... Reg... sono convinto che ci dovesse essere una ragione per la quale desideravaedermi. Qual era di preciso?"

 "Cambridge! Eccoci a... Cambridge!" berciò l'altoparlante della stazione con voce piatta.Folle di chiassosi festanti si riversarono sulla banchina, grugnendo e abbaiando l'un l'altro."Dov'è Rodney?" diceva uno, che era disceso con difficoltá dalla carrozza-bar. Lui e il suo amico,

acillando, guardarono da una parte e dall'altra della banchina. La figura massiccia di MichaelWenton-Weakes scivolò silenziosa accanto a loro e si avviò verso l'uscita.

Barcollando, risalirono il treno, sbirciando all'interno attraverso i finestrini sporchi. A un tratto

idero l'amico che cercavano, ancora seduto al suo posto, come in trance, nello scompartimentormai semivuoto. Batterono contro il vetro e urlarono. Lui, per qualche istante, non reagì finché noni riscosse di botto con aria perplessa, come se non capisse dove si trovava.

"Ha gli occhi che sembrano due tartine!" strillarono allegramente i suoi amici, trascinandosi diuovo sul treno e trascinandone giú Rodney.

Lui restò in piedi sulla banchina, stordito, a scuotere la testa. Poi, alzando lo sguardo, vide fra iinari la sagoma massiccia di Michael Wenton-Weakes che si stipava in un taxi insieme a una borsaesante, e per un attimo rimase impietrito.

"Straordinario," disse, "quell'uomo. Mi ha raccontato una lunga storia su una specie diaufragio."

"Ah ah," chiocciò uno dei suoi due amici, "è riuscito a spillarti qualche soldo?""Cosa?" chiese Rodney confuso. "No. No, credo di no. A parte il fatto che non era un naufragio,

ma forse un incidente, un'esplosione...? Sembrava convinto di essere stato lui in qualche modo arovocarlo. O forse c'è stato un incidente e lui cercando di rimediare ha provocato un'esplosione chea ucciso tutti. Poi pare che per anni e anni sia rimasta solo una quantitá spaventosa di melma inecomposizione, ed esseri viscidi dotati di gambe. Era tutto piuttosto bizzarro."

"Contate su Rodney! Contate su Rodney per farsi accalappiare da uno svitato!""Credo proprio che fosse uno svitato. Tutto a un tratto è partito per la tangente a proposito di un

ccello. Ha detto che la parte dell'uccello era tutta una sciocchezza. Desiderava liberarsi della parteull'uccello. Ma poi ha detto che avrebbe rimediato. Avrebbe rimediato a tutto. Non so perché, ma

mentre lo diceva aveva un'aria che non mi piaceva.""Avrebbe dovuto venire al bar con noi. Pazzescamente divertente, noi...""Non mi è piaciuto nemmeno il modo come mi ha salutato. Non mi è piaciuto neanche un po'." 

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 "E noi ci chiediamo:" disse Dirk girando lo sguardo su Richard, "dove sará andato?""No, per piacere," gemette Richard, "questo no. Non sono ancora nemmeno sicuro di aver

cconsentito a parlare di macchine del tempo e ora tutto a un tratto ecco che spuntano i fantasmi.."E allora," sibilò Dirk, "cos'era quello in cui ti sei imbattuto e che ti ha fatto scalare un muro?""Be', tu dicevi che poteva trattarsi di suggestione post-ipnotica...""Nient'affatto! Ti ho dimostrato il potere della suggestione post-ipnotica. Ritengo però che

ipnosi e la possessione funzionino in modo molto, molto simile. Si può indurre qualcuno a fare leose piú assurde, per poi inventare allegramente le razionalizzazioni piú trasparenti per giustificarlese stesso. Però... non si può indurre nessuno a fare qualcosa che vada contro le linee fondamentali

el proprio carattere. Lotterá. E resisterá!Richard ricordò il senso di sollievo con cui la sera prima d'impulso aveva rimesso a posto la

assetta nella segreteria telefonica di Susan. Era stata la conclusione di una lotta, che tutto a unratto aveva vinto. Con la sensazione di un'altra lotta che ora stava invece perdendo, sospirò e riferìepisodio.

"Esattamente!" esclamò Dirk. "Non l'avresti mai fatto! Stiamo finalmente arrivando a qualcosa!Vedi, l'ipnosi funziona meglio quando il soggetto ha qualche affinitá con ciò che gli viene chiesto diare. Trovato il soggetto giusto per il proprio scopo, l'ipnosi può esercitare un'azione molto, moltorofonda. E credo che lo stesso valga anche per la possessione. Allora. Dove siamo arrivati?"

"Siamo arrivati a un fantasma che vuole che venga fatto qualcosa e cerca la persona giusta in cui

ntrare per farglielo fare al suo posto. Professore...""Reg..." disse Reg."Reg. Posso farle una domanda che potrebbe anche essere terribilmente personale? Capirò

enissimo se non vorrá rispondere, ma continuerò a tormentarla finché non lo fará. Sono i mieimetodi, capisce. Prima ha detto che c'era una cosa che la tentava terribilmente. Che voleva fare, mahe si impediva di fare e che il fantasma cercava di farle fare. La prego. Può darsi che le riescaifficile, ma credo che ci sarebbe di grandissimo aiuto se lei ci dicesse di cosa si trattava."

"Non te lo dirò.""Deve capire l'importanza...""Ma te lo mostrerò," disse Reg. Contro i portoni del St Cedd's si stagliava la grossa sagoma di qualcuno che trasportava una borsa

i nylon nero, voluminosa e pesante. La sagoma era quella di Michael Wenton-Weakes, la voce chehiese al portiere se il professor Chronotis al momento era nella sua stanza era quella di Michael

Wenton-Weakes, le orecchie cui il portiere rispose che gli fosse venuto un accidente se lo sapeva,isto che il telefono era andato a pallino ancora una volta, erano quelle di Michael Wenton-Weakes,

ma la luce che usciva dagli occhi non era piú la sua.Si era arreso a sé completamente. Ogni dubbio, incertezza e confusione erano cessati.Ora era posseduto da un nuovo spirito.

Lo spirito che non era Michael Wenton-Weakes scrutò il college che si ergeva davanti a lui e che,elle ultime frustranti, esasperanti settimane gli era divenuto familiare.Settimane! Qualche battere di palpebre di pochi millisecondi.Per quanto lo spirito, il fantasma, che ora abitava il corpo di Michael Wenton-Weakes avesse

onosciuto lunghi periodi di quasi oblio, a volte anche per secoli di fila, il tempo in cui aveva vagatoulla terra era tale da far apparire le creature che avevano eretto quelle mura come gli ultimirrivati. Gran parte della sua eternitá personale (non una vera eternitá, ma è facile scambiareualche miliardo di anni per un'eternitá) l'aveva passata a vagare per un fango sconfinato, a guadare

mari infiniti, a guardare con attonito orrore quelle cose viscide dotate di gambe che a un trattovevano cominciato a strisciar fuori da quei mari marcescenti: e ora eccole qua, che se ne andavano

n giro a farla da padroni, lamentandosi dei telefoni.Nel profondo, in qualche luogo di sé oscuro e silenzioso, sapeva di essere ormai matto, di esserlo

iventato quasi subito dopo l'incidente a causa della consapevolezza di ciò che aveva fatto eell'esistenza che aveva di fronte, dal ricordo dei suoi compagni morti che per qualche tempo non gliveva dato tregua, mentre lui intanto non dava tregua alla Terra.

Sapeva che quanto ora era stato costretto a fare avrebbe fatto rivoltare quell'io che ricordava  '

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  ,ll'incubo incessante in cui ogni secondo di quei miliardi di anni era peggiore del precedente.

Sollevò la borsa e si incamminò. 

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Capitolo Ventinove...

Nel cuore della foresta pluviale succedeva ciò che in genere avviene nelle foreste pluviali, e cioèioveva: da cui il nome. Era una pioggia dolce, continua, non quella pesante e battente che sarebberrivata piú avanti nell'anno, nella stagione calda. Era un fitto sgocciolio fra cui di tanto in tantoiltrava un occasionale e fiacco raggio di sole che si faceva strada fino alla corteccia fradicia di unlbero di calvaria, su cui si posava risplendendo. A volte faceva la stessa cosa accanto a una farfalla ouna minuscola lucertola luccicante e l'effetto diventava quasi insopportabile. Lassú in alto, nella

hioma degli alberi, un pensiero assolutamente straordinario colpiva a un tratto un uccello, che sievava in un volo sfrenato fra i rami e alla fine andava ad appollaiarsi su un altro albero,omplessivamente migliore, dove poteva starsene e considerare le cose con maggiore calma, fino ahe quello stesso pensiero non gli tornava e di nuovo lo colpiva, o fino a che non si faceva ora di

mangiare.L'aria era piena di profumi: la lieve fragranza dei fiori e il greve odore del pacciame fradicio di cui

ra ricoperto il suolo della foresta.Nel pacciame si intrecciava una confusione di radici, su cui cresceva il muschio e strisciavano gli

nsetti.In una radura nella foresta, su uno slargo di terreno sgombro e bagnato all'interno di un circolo

i alberi svettanti, silenziosamente e senza trambusto apparve una semplice porta bianca. Di lì aualche secondo, si aprì uno spiraglio con un leggero cigolio. Un uomo alto e magro sbirciò fuori, siuardò intorno, batté le palpebre sorpreso e tranquillamente richiuse la porta.

Pochi secondi dopo la porta si riaprì e Reg guardò fuori.

"È vero," disse, "ve lo assicuro. Venite fuori e guardate voi stessi." Addentratosi nella foresta, siirò e invitò gli altri due a seguirlo.

Dirk avanzò spavaldo, sembrò sconcertato dal tempo che ci impiegò a battere le ciglia due volte,oi dichiarò che capiva perfettamente come funzionava e che evidentemente aveva a che fare con ilumero irreale che si trova fra minime distanze quantiche e definisce i contorni frattali dell'universo

n esso contenuto, e che era stupito di non averci pensato da solo."Come la gattaiola," disse Richard dietro di lui dalla porta."Mmm, giá, proprio così," disse Dirk togliendosi gli occhiali e appoggiandosi a un albero per

ulirli, "non ti sará sfuggito naturalmente che stavo mentendo. Una reazione perfettamente naturale,ate le circostanze, credo che ne converrai. Perfettamente naturale." Strizzò appena un po' gli occhi ei rimise gli occhiali. Quasi subito, cominciarono ad appannarsi nuovamente.

"Stupefacente," ammise.Richard mise un piede avanti con una certa titubanza e per un attimo rimase incerto, con un

iede ancora sul pavimento della stanza di Reg e l'altro sul terreno fradicio della foresta. Poi fece unasso avanti, compromettendosi completamente.

I polmoni gli si riempirono all'istante dei pesanti effluvi e gli occhi della meraviglia di quel posto.i girò a guardare la porta che aveva varcato. Continuava a vedere uno stipite assolutamenteormale, con una porticina bianca aperta assolutamente normale, che però se ne stava in piedi daola nel mezzo della foresta e attraverso la quale si vedeva benissimo la stanza da cui era appena

scito. Aggirò la porta con aria sorpresa, tastando col piede il suolo fangoso, non tanto per timore dicivolare, ma per paura che non ci fosse. Da dietro, era uno stipite di una porta aperta assolutamenteormale, come quello che difficilmente si ritroverebbe in una qualsiasi foresta pluvialessolutamente normale. Varcò la porta da dietro e guardandosi alle spalle vide ancora una volta,ome se di nuovo ne fosse appena uscito, le stanze del college del professor Urban Chronotis del St

Cedd's College di Cambridge, che doveva essere a migliaia di chilometri di distanza. Migliaia? Ma

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 ove si trovavano?Guardò fra gli alberi e gli parve di cogliere fra le piante in lontananza un debole luccichio."Quello è il mare?" chiese."Da qui sopra lo si vede piú distintamente," gridò Reg, che si era spostato poco piú in lá sul

eclivio scivoloso e ora ansimava appoggiato a un albero. Fece segno col dito.Gli altri due lo seguirono, issandosi rumorosamente fra i rami e provocando strida e lamenti da

arte di invisibili uccelli sopra di loro."Il Pacifico?" chiese Dirk. "L'Oceano Indiano," rispose Reg. Dirk si pulì di nuovo gli occhiali e

ette un altro sguardo. "Ah sì, naturalmente," disse.

"Non è il Madagascar?" disse Richard. "Ci sono stato...""Veramente?" fece Reg. "Uno dei posti piú belli e sorprendenti della Terra, oltre che uno dei piú

rti di spaventose... tentazioni per me. No."La voce gli tremò leggermente e si schiarì la gola."No," continuò. "Il Madagascar è... vediamo, in che direzione siamo... il sole dov'è? Giá. Da quella

arte. Verso ovest. Il Madagascar si trova a circa ottocento chilometri a ovest di qua. Piú o meno ametá strada si trova l'isola della Réunion."

"Ehm, come si chiama quel posto?" chiese Dirk tutto a un tratto, battendo un colpetto con leocche sull'albero e spaventando una lucertola. "Il posto da dove viene quel francobollo, da.... ehm,

e Mauritius."

"Francobollo?" disse Reg."Ma sì, lo conoscerá di certo," rispose Dirk, "un francobollo famosissimo. Non mi ricordo niente,

ma viene da lì. Le Mauritius. Famose per il loro straordinario francobollo, tutto marrone e stinto,ma ci si potrebbe comperare il Blenheim Palace. O forse mi confondo con la Guyana Britannica?"

"Solo tu," intervenne Richard, "sai di cosa stai parlando.""Sono le Mauritius?""Sì," confermò Reg, "sono le Mauritius.""Ma lei non colleziona francobolli?""No.""Che diavolo significa?" sbottò improvvisamente Richard, ma Dirk continuò a seguire con Reg il

ilo dei propri pensieri: "Peccato, si poteva trovare qualche busta del primo giorno, no?"Reg si strinse nelle spalle. "Non mi interessa granché," disse.Richard si lasciò scivolare giú dal pendio dietro di loro. "Allora, qual è la grande attrattiva del

osto?" chiese Dirk. "Non è, devo confessare, ciò che mi aspettavo. Certo, a suo modo bellissimo,utta questa natura, ma io per quel che mi riguarda purtroppo sono un uomo di cittá." Si pulì glicchiali ancora una volta e se li mise di nuovo sul naso.

Cominciò ad arretrare di fronte a ciò che vedeva e si sentì uno strano suono chiocciante provenirea Reg. Tornati nella stanza di Reg, esattamente davanti alla porta, si stava svolgendo un incontro

ncredibile.

Un uccello incazzato stava fissando Richard, il quale fissava un uccello incazzato. Richarduardava l'uccello come se fosse la cosa piú straordinaria che avesse mai visto in vita sua e l'uccelloo guardava come sfidandolo a trovare il suo becco anche solo lontanamente buffo.

Una volta convintosi che Richard non aveva nessuna intenzione di ridere, l'uccello prese invece abirciarlo con un'aria di torva sopportazione e irritazione, come chiedendosi se si sarebbe limitato atarsene lì o magari avrebbe fatto qualcosa di utile e gli avrebbe dato da mangiare. Mosse un paio diassi felpati indietro e un paio di lato, poi ancora uno solo in avanti, sui suoi grandi piedi gialliinoccolati. Poi lo guardò di nuovo, con impazienza, gracchiando con impazienza.

Quindi l'uccello si chinò in avanti e sfregò il becco rosso assurdamente grande sul terreno, comeer suggerire a Richard che quello poteva essere il posto buono per cercare qualcosa da dargli da

mangiare."Mangia le bacche dell'albero di calvaria," gridò Reg a Richard.Il grosso uccello alzò infastidito uno sguardo severo su Reg, come a dire che era perfettamente

hiaro anche a un idiota che cosa mangiava. Poi tornò a girarsi ancora una volta verso Richard ellungò il collo da una parte come improvvisamente colpito dal pensiero che forse quello con cuiveva a che fare era un idiota e che quindi poteva essere opportuno riconsiderare la strategia.

" "

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  , , , .Frastornato e come in trance, Richard si girò goffamente e vide un paio di grosse bacche per

erra. Si chinò e ne raccolse una, guardando Reg, che gli fece un cenno rassicurante.Esitante, Richard allungò il frutto verso l'uccello che si sporse in avanti e glielo prese

ruscamente dalle dita. Poi, siccome Richard continuava a stare con la mano tesa in fuori, l'uccelloliela spinse via stizzosamente con il becco.

Non appena Richard si fu ritirato a rispettosa distanza, rizzò in alto il collo, chiuse i suoi grandicchi gialli e scosse il collo per far scendere la bacca nel gozzo, come se stesse sgraziatamenteacendo dei gargarismi.

Poi sembrò almeno in parte soddisfatto. Mentre prima sembrava un dodo incazzato, ora almenoembrava un dodo incazzato ma sazio, il che doveva essere il massimo che ci si potesse aspettare inuesta vita.

Fece una lenta giravolta dinoccolata e se ne ritornò a passi felpati nella foresta da cui era uscito,ome sfidando Richard a trovare le piume arricciate che aveva sulla punta della coda anche soloontanamente buffe.

"Vengo solo a guardare," disse Reg con un filo di voce, e Dirk vide con stupore brillare le lacrimeegli occhi del vecchio, che se le deterse rapidamente. "Davvero, non sta a me intervenire... Richardraggiunse di corsa e senza fiato.

"Quello era un dodo?" esclamò.

"Sì," rispose Reg. "In quest'epoca ne rimanevano soltanto tre. Anno 1676. Fra quattro anniaranno tutti morti e da quel momento non se ne vedranno mai piú. Venite," disse poi, "andiamo." Dietro la porta esterna ben chiusa nella scala d'angolo del Secondo Cortile del St Cedd's College,

ove soltanto un millisecondo prima c'era stato un leggero fremito quando la porta interna eraolata via, ci fu un altro leggero fremito mentre ritornava al suo posto.

 Avvicinandovisi nella notte scura, la sagoma massiccia di Michael Wenton-Weakes alzò loguardo verso le finestre d'angolo. Se anche si fosse potuto vedere un qualche leggero fremito, siarebbe perso nella luce del fuoco fioca e tremula che fuoriusciva dalla finestra.

La sagoma alzò allora lo sguardo alle tenebre del cielo, in cerca di ciò che sapeva esserci, anche se

on aveva la minima possibilitá di vederlo, nemmeno in una notte limpida quale quella non era.L'orbita terrestre era ormai talmente piena di cianfrusaglie e di rottami che un oggetto in piú,ersino uno grosso come quello, sarebbe sempre passato inosservato. E in realtá così era stato,nche se di tanto in tanto la sua influenza si era fatta sentire. Tutte le volte che le onde erano stateorti. Da quasi duecento anni non erano così forti come ora tornavano a essere.

E ora tutto a un tratto era a posto. Si era trovato il vettore perfetto.Il vettore perfetto fece qualche passo in avanti nel cortile. All'inizio, lo stesso professore era

embrato una scelta perfetta, ma il tentativo era finito in delusione, rabbia e poi... ispirazione!ortare un Monaco sulla Terra! Erano pensati per credere a qualsiasi cosa, per essereompletamente malleabili. Lo si sarebbe potuto indurre a portare a termine l'incarico senza alcuna

ifficoltá.Disgraziatamente però questo si era rivelato un caso disperato. Fargli credere qualcosa era

acilissimo. Far sì che continuasse a crederci per piú di cinque minuti di fila si era dimostrato unompito ancora piú arduo di quello di convincere il professore a fare ciò che in fondo voleva ma nonsava.

Ecco quindi un altro fallimento e poi, alla fine, era arrivato il vettore perfetto.Il vettore perfetto aveva giá dimostrato che non avrebbe avuto alcuno scrupolo a fare ciò che

isognava fare.In un angolo del cielo la luna, umida, avvolta nella foschia, lottava per alzarsi. Un'ombra si mosse

lla finestra.

 

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Capitolo Trenta...

Dalla finestra che dava sul Secondo Cortile, Dirk guardava la luna. "Non avremo molto daspettare," disse."Da aspettare cosa?" chiese Richard.Dirk si girò."Che il fantasma," disse, "torni da noi. Professore..." aggiunse rivolto a Reg, seduto inquieto

icino al fuoco, "nelle sue stanze non c'è del brandy, delle sigarette francesi o qualche passatempo?"No," disse Reg."Allora non mi resta che consumarmi senza nessun sostegno," disse Dirk, tornando a guardare

uori della finestra."Io non sono ancora convinto," sbottò Richard, "che non ci sia altra spiegazione se non quella che

ei... fantasmi...""Così come effettivamente hai voluto vedere una macchina del tempo all'opera prima di poterci

redere," ribatté Dirk. "Richard, ti lodo per il tuo scetticismo, ma anche la mente scettica devessere pronta ad accettare l'inaccettabile quando non c'è alternativa. Sembra una papera, fa qua-quaome una papera, dobbiamo quanto meno prendere in considerazione la possibilitá di avere per le

mani un piccolo uccello acquatico della famiglia delle Anatidae.""Ma poi, che cos'è un fantasma?""Secondo me, un fantasma..." disse Dirk, "è qualcuno che ha subito una morte violenta o

naspettata, lasciando qualcosa in sospeso. Che non può riposare fino a che non l'ha portato aompimento, o sistemato."

Si girò di nuovo verso di loro."Questo è il motivo per cui," disse, "una macchina del tempo potrebbe esercitare tanto fascino su

n fantasma, se questi venisse a conoscenza della sua esistenza. Una macchina del tempo fornisce ilmezzo per sistemare ciò che nel passato, secondo il fantasma, è andato storto. Per liberarlo.

Questo è il motivo per cui tornerá qui. Prima ha cercato di impossessarsi dello stesso Reg, cheerò gli ha resistito. Poi c'è stato l'episodio del giochino di prestigio, la cipria e il cavallo nel bagno,he io," fece una pausa, "persino io non capisco, anche se sono deciso a farlo, fosse l'ultima cosa cheaccio in vita mia. Poi sulla scena arrivi tu, Richard. Il fantasma lascia perdere Reg e si concentranvece su di te. Quasi subito si verifica un episodio strano ma significativo. Fai una cosa che poiorresti non aver fatto.

Mi riferisco, naturalmente, alla telefonata a Susan che le hai lasciato sulla segreteria telefonica.Il fantasma coglie la palla al balzo e cerca di indurti ad annullare quell'azione. Di fatto, a tornare

ndietro nel passato e cancellare il messaggio: a modificare l'errore fatto. Solo per vedere se loacevi. Solo per vedere se era nel tuo carattere.

In caso affermativo, ora saresti completamente sotto il suo controllo. Ma proprio all'ultimomomento la tua natura si è ribellata e non l'hai fatto. Così il fantasma ti abbandona come un lavoromal fatto e lascia perdere anche te. Bisogna trovare qualcun altro.

Quanto c'è voluto per fare tutto ciò? Non lo so. Trovi un senso in tutto ciò? Riconosci la veritá diuanto ti dico?"

Richard si fece di ghiaccio."Sì," disse, "credo che tu abbia assolutamente ragione.""Allora," disse Dirk, "qual è il momento in cui il fantasma ti ha lasciato?"Richard deglutì."Quando Michael Wenton-Weakes è uscito dalla stanza," rispose."Dunque mi chiedo," riprese Dirk in tono pacato, "che possibilitá il fantasma vedeva in lui. Mi

hiedo se questa volta abbia trovato quello che cercava. Credo che non dovremo aspettare a lungo."

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 Qualcuno bussò alla porta.Davanti all'uscio aperto c'era Michael Wenton-Weakes.Disse soltanto: "Ho bisogno del vostro aiuto". Reg e Richard fissarono Dirk, poi Michael."Vi dispiace se poso questo da qualche parte?" disse Michael. "È piuttosto pesante. C'è dentro

n'attrezzatura da sub." "Ah, capisco," disse Susan, "ah bene, grazie, Nicola. Proverò quella diteggiatura. Sono sicura che

mi bemolle ce l'ha messo solo per dar fastidio alla gente. Sì, mi ci sono impuntata stupidamenteer tutto il pomeriggio. Alcune di quelle volate di semicrome sono davvero maledette. Be', sì, mi

iuta a distrarmi. No, nessuna novitá. È tutto così sconcertante e orribile. Non voglio nemmeno...enti, magari ti richiamo dopo così mi dici come ti senti. Sì, lo so, non si capisce mai cos'è peggio, no,a malattia, gli antibiotici o le cure del medico. Tieniti da conto, o almeno fai in modo che lo facciaimon. Digli di farti litri di limonata calda. Va bene. D'accordo, ci sentiamo dopo. Stai al caldo. Perra, ciao."

Rimise a posto il telefono e tornò al violoncello. Aveva appena cominciato a riflettere sulroblema di quell'irritante mi bemolle, quando squillò di nuovo il telefono. Per tutto il pomeriggioveva lasciato la cornetta staccata, ma si era dimenticata di farlo dopo aver chiamato.

Con un sospiro, appoggiò il violoncello al muro, posò l'archetto e tornò al telefono."Pronto?" rispose.

 Anche stavolta niente, a parte un remoto grido nel vento. Stizzita buttò giú di nuovo il ricevitore. Aspettò qualche secondo perché tornasse la linea e stava per staccare ancora il telefono quando si

ese conto che Richard poteva aver bisogno di lei.Esitò. Ammise con se stessa che non accendeva la segreteria telefonica perché in genere la metteva in

unzione esclusivamente a uso di Gordon e al momento era una cosa a cui preferiva non pensare.Comunque, accese la segreteria telefonica, abbassò il volume al minimo e tornò ancora al mi

emolle che Mozart aveva messo h solo per dare fastidio ai violoncellisti. Nel buio dei locali dell'Agenzia Investigativa Olistica Dirk Gendy, Gordon Way annaspando

offamente rimise sulla forcella il ricevitore del telefono e si abbandonò sulla sedia in preda al piúero sconforto. Si abbandonò senza frenarsi, finché non cadde leggero sul pavimento.

La signorina Pearce era fuggita dall'ufficio la prima volta che il telefono si era messo amanovrarsi da solo, esaurita una volta per tutte la sua pazienza per questo genere di cose, e da quelmomento Gordon aveva avuto l'ufficio tutto per sé. I suoi tentativi di mettersi in contatto conhiunque erano però completamente falliti.

O meglio, i suoi tentativi di mettersi in contatto con Susan, che era esattamente ciò che glinteressava. Era con Susan che stava parlando quando era stato ucciso e capiva che in qualche modooveva parlarle ancora. Lei però aveva lasciato il telefono staccato per buona parte del pomeriggio e

uando poi aveva risposto non era riuscita a sentirlo.Si arrese. Si rialzò dal pavimento, si raddrizzò e scivolò fuori nella strada dove stava calandooscuritá. Vagò a casaccio per un po', andò a fare una passeggiata sul canale, giochino che lo stancòen presto, poi ricominciò ancora una volta a gironzolare per strada.

Le case illuminate e la vita che ne fuoriusciva lo turbarono in modo particolare, perché l'invitohe sembravano porgere non era rivolto a lui. Si chiese se a qualcuno avrebbe dato fastidio se fossentrato in una casa e avesse guardato la televisione tutta la sera. Non avrebbe creato nessunroblema.

O magari un cinema.Così era meglio, poteva andare al cinema.

Con passo piú sicuro, ancorché privo di consistenza, imboccò la Noel Road e cominciò a risalirla.Noel Road, pensò. Gli faceva squillare un campanello lontano. Aveva la sensazione di aver

ncontrato qualcuno ultimamente in Noel Road. Chi era?I suoi pensieri vennero interrotti da un terribile grido di orrore che risuonò per tutta la via.

Rimase fermo immobile. Pochi secondi dopo a pochi metri da lui si spalancò una porta e ne uscì unaonna, che urlava con gli occhi sbarrati.

 

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Capitolo Trentuno...

 A Richard, Michael Wenton-Weakes non era mai piaciuto e ancora meno gli piaceva con unantasma dentro di sé. Non avrebbe saputo dire perché, personalmente non aveva nulla contro iantasmi, non riteneva che una persona andasse giudicata negativamente solo perché era morta,ppure... non gli piaceva. Tuttavia, non era difficile sentirsi un po' dispiaciuti per lui. Michael sedevaesolato su uno sgabello con i gomiti appoggiati sul grande tavolo e la testa appoggiata sulle dita.

Aveva un'aria malata ed esausta. Aveva un'aria profondamente stanca. Aveva un'aria patetica. La suatoria era stata straziante e si concludeva con i tentativi di impossessarsi prima di Reg, poi di

Richard."Avevi ragione," terminò. "Completamente."Quest'ultima cosa la disse a Dirk, il quale fece una smorfia come se non volesse mostrarsi

aggiante per aver trionfato troppe volte in un solo giorno.La voce era quella di Michael, eppure non era la sua. Quale che sia il timbro che una voce acquista

el corso di un miliardo di anni o giú di li, quella ora l'aveva e colmava chi l'ascoltava di una gelidaertigine simile a quella che afferra la mente e lo stomaco quando ci si trova di notte sul ciglio di unacogliera. Girò gli occhi verso Reg e Richard e anche i suoi occhi erano di quelli che provocano pietáterrore. Richard dovette distogliere lo sguardo.

"Devo delle scuse a entrambi," disse il fantasma che stava dentro Michael, "che vi offro dalrofondo del cuore e spero solo che, comprendendo la situazione disperata in cui mi trovo e laperanza che questa macchina del tempo mi offre, capirete perché ho agito come ho fatto e troviaten voi la forza di perdonarmi. E di aiutarmi. Ve ne prego."

"Dategli un whisky," disse Dirk burbero."Non ho whisky," disse Reg. "Mmm, del porto? Ci deve essere una bottiglia di Margaux che potrei

prire. Eccellente. Bisognerebbe stapparlo un'ora prima, ma naturalmente si può fare, non ci vuoleiente, io..."

"Mi aiuterete?" interruppe il fantasma.Reg si affrettò ad andare a prendere del porto e qualche bicchiere."Perché si è impossessato del corpo di quest'uomo?" disse Dirk."Ho bisogno di una voce con cui parlare e un corpo in cui agire. A lui non succederá niente di

male, niente di male...""Mi permetta di ripeterle la domanda. Perché si è impossessato del corpo di quest'uomo?"

nsistette Dirk.Il fantasma fece alzare le spalle al corpo di Michael."Era consenziente. Entrambi questi signori, comprensibilmente, facevano resistenza a...

nsomma, a farsi ipnotizzare (il suo accostamento è corretto). E questo? Be', credo che il suo senso dié sia un po' in ribasso, così ha acconsentito. Gli sono molto grato e non gli farò alcun male."

"Il suo senso di sé," ripeté Dirk pensieroso, "è un po' in ribasso.""Immagino che possa essere vero," disse Richard a bassa voce a Dirk. "L'altra sera sembrava

molto depresso. Gli hanno portato via l'unica cosa che gli importava, perché, be', perché in veritá none la cavava troppo bene. Nonostante il suo orgoglio, capisco che fosse molto ricettivo all'idea di

oter essere richiesto per qualche cosa.""Mmmm," disse Dirk e lo ridisse subito dopo. Lo disse una terza volta con passione. Poi si giròivolgendosi all'improvviso alla figura sullo sgabello.

"Michael Wenton-Weakes!"La testa di Michael scattò all'indietro e lui batté le palpebre. "Sì?" disse con la consueta voce

ugubre. Gli occhi seguivano Dirk nei suoi movimenti."Puoi sentirmi," disse Dirk, "e rispondere per conto tuo?"

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 "Sì," rispose Michael, "certo che posso.""Questo... essere, lo spirito. Sai che è dentro di te? Ne accetti la presenza? Sei consenziente

ispetto ai suoi desideri?""E così. La storia che mi ha raccontato mi ha molto commosso e sono assolutamente disposto ad

iutarlo. Anzi, ritengo che sia giusto che lo faccia.""Benissimo," disse Dirk facendo schioccare le dita, "puoi andare. "La testa di Michael si abbandonò in avanti immediatamente e dopo un istante si rialzò

entamente, sollevata dall'interno come un pneumatico che viene gonfiato.Il fantasma era tornato a possederlo.

Dirk si impadronì di una sedia, la girò e vi si sedette a cavalcioni di fronte al fantasma che abitavaMichael, guardandolo intensamente negli occhi.

"Ancora," fece. "Me lo ripeta ancora. Un sunto veloce."Il corpo di Michael si tese leggermente. Si allungò verso il braccio di Dirk."Non mi tocchi!" scattò Dirk. "Mi racconti soltanto i fatti. La prima volta che prova a

ommuovermi le do un pugno in un occhio. O almeno, nell'occhio che ha preso in prestito. Quindi,asci perdere tutta quella roba che sembrava... ehm..."

"Coleridge," disse a un tratto Richard, "sembrava esattamente Coleridge. Somigliava alla Ballatael vecchio marinaio. Cioè, alcune sue parti lo erano."

Dirk aggrottò la fronte. "Coleridge?" disse.

"Ho provato a raccontargli la mia storia," ammise il fantasma. "Io...""Mi scusi," disse Dirk, "devo fare le mie scuse: prima d'ora, non avevo mai interrogato un

antasma di quattro miliardi di anni. Stiamo parlando di Samuel Taylor? Mi sta dicendo che lei haaccontato la sua storia a Samuel Taylor Coleridge?"

"Certe volte... riuscivo a entrare nella sua mente. Quando si trovava in uno stato di emotivitá.""Vuol dire, quando era sotto l'effetto del laudano?" chiese Richard."Esatto. In quei momenti era piú rilassato.""Direi," sbuffò Reg. "Mi è capitato di incontrarlo a volte che era proprio straordinariamente

ilassato. Sentite, faccio un po' di caffè." Scomparve in cucina, dove si sentì che rideva fra sé."È un altro mondo," borbottò Richard, sedendosi e scuotendo la testa."Purtroppo però," riprese il fantasma, "quando lui era in pieno possesso di sé io, per così dire,

on lo ero, e quindi la cosa fallì. Così, quello che ha scritto è molto ingarbugliato.""Parliamone," disse Richard fra sé, alzando le sopracciglia. "Professore," chiamò Dirk, "forse

uesto le sembrerá assurdo. Coleridge, ha mai cercato di... ehm... usare la sua macchina del tempo?La prego, risponda pure alla domanda come meglio le aggrada."

"Be', sai," disse Reg, facendo capolino dalla porta, "una volta venne a curiosare, ma credo cheosse in condizioni decisamente troppo rilassate per fare qualsiasi cosa."

"Capisco," disse Dirk. "Ma perché," aggiunse poi girandosi verso la strana figura di Michaelbbandonato sullo sgabello, "perché lei ci ha messo così tanto tempo per trovare qualcuno?"

"Per periodi lunghissimi, sono molto debole, quasi del tutto inesistente e incapace di influenzarelcunché. E poi, naturalmente, prima di allora non c'era nessuna macchina del tempo, e... nessunaperanza per me...

"Forse i fantasmi esistono come modelli di onde," suggerì Richard, "come modelli di interferenzara il reale e il possibile. Potrebbero esserci picchi e fondi irregolari, come in una forma d'onda

musicale."Il fantasma fece girare attorno gli occhi fino a posarli su Richard."Lei..." disse, "lei ha scritto quell'articolo..,""Ehm, sì...""Mi ha commosso parecchio," disse il fantasma, con una voce improvvisamente malinconica e

ontrita che sembrò sorprendere lui stesso quasi quanto i suoi ascoltatori."Ah. Capisco," disse Richard. "Bene, grazie. L'ultima volta che ne ha parlato non le piaceva così

anto. Cioè, so che non era propriamente lei..."Richard si sedette di nuovo, aggrottando la fronte. "Allora," disse Dirk, "tornando al punto di

artenza..."Il fantasma raccolse il fiato di Michael e ricominciò. "Eravamo su una nave..." disse." "

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  ."Sì. Al largo di Salaxala, un mondo in... insomma, molto lontano da qui. Un posto violento e

ieno di problemi. Noi eravamo un gruppo di una dozzina di persone, partimmo, come spesso si fa,er cercarci un nuovo mondo. Tutti i pianeti di questo sistema erano assolutamente inadatti aiostri scopi, ma ci fermammo in questo mondo per rifornirci di alcune riserve minerali.fortunatamente, entrando nell'atmosfera, la scialuppa di atterraggio subì dei danni. Danni piuttostoeri, ma comunque perfettamente riparabili.

Il tecnico di bordo ero io e spettava a me il compito di dirigere il ripristino della nave e direparare il ritorno alla nave principale. Ora, per capire cosa successe dopo, dovete conoscereualcosa sulla natura di una societá a elevata automazione. Non c'è compito che non possa esserevolto piú agevolmente con l'ausilio di una computerizzazione avanzata. C'erano inoltre alcuniroblemi molto particolari legati a un viaggio che avesse scopi come i nostri..."

"Che erano?" interruppe bruscamente Dirk.Il fantasma dentro Michael batté le palpebre, come se la risposta fosse ovvia."Be', naturalmente trovare un mondo nuovo e migliore in cui tutti noi potessimo vivere per

empre in pace, libertá e armonia," disse.Dirk alzò le sopracciglia."Ah, così," disse. "Immagino che avrete pensato attentamente a tutto quanto.""L'avevamo pensato per noi. Eravamo muniti di attrezzature molto particolari che ci aiutavano a

ontinuare a credere negli scopi del viaggio, anche quando le cose andavano male. In genere,unzionavano benissimo, ma penso che forse noi ci facessimo un affidamento eccessivo.""Di che diavolo si trattava?" chiese Dirk."Forse per voi sará difficile comprendere quanto potessero essere rassicuranti. E questo è il

motivo per cui feci quell'errore fatale. Quando volevo sapere se la partenza era sicura o meno, inealtá non volevo sapere che poteva anche non esserlo. Volevo solo una conferma. Così, invece diontrollare di persona, capite, ci mandai uno dei Monaci Elettrici."

 

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Capitolo Trentadue...

La targa d'ottone sulla porta rossa di Peckender Street rifletteva in un luccichio la luce gialla din lampione stradale. Mandò un fugace bagliore quando vi si riflesse la luce intermittente di un'autoella polizia che sfrecciò via.

Si offuscò leggermente mentre un'ombra pallida pallida vi scivolava attraverso. Offuscandosi.bbe un baluginio, perché l'ombra tremava in preda a una terribile agitazione.

Nell'ingresso oscuro, il fantasma di Gordon Way si fermò. Aveva bisogno di appoggiarsi aualcosa per sostenersi, ma naturalmente non c'era nulla. Tentò di stringere i denti, ma non c'eraiente da stringere. L'orrore di quanto aveva visto gli provocò un conato di vomito, ma naturalmenteel suo stomaco non c'era niente. Salì le scale un po' incespicando, un po' fluttuando, come un uomohe affoga e cerca di afferrarsi all'acqua.

Barcollò attraverso il muro, la scrivania, la porta e cercò di ricomporsi e sistemarsi davanti alavolo dell'ufficio di Dirk.

Se per caso qualcuno fosse entrato nell'ufficio qualche minuto dopo (una donna delle pulizieerale, ammesso che Dirk Gently ne avesse mai assunto una, cosa che non faceva per il motivo cheoro volevano essere pagate e lui non voleva pagarle, o un ladro, se nell'ufficio ci fosse stato qualcosahe valeva la pena di rubare, il che non era), avrebbe visto quanto segue e ne sarebbe rimastobigottito.

La cornetta del grosso telefono rosso sulla scrivania, improvvisamente oscillò e cadde dallaorcella sul piano del tavolo.

Si sentì il ronzio del segnale di libero. Poi, sette dei grandi tasti, facili da schiacciare, si

bbassarono a uno a uno e dopo la lunga pausa che il sistema telefonico inglese concede peraccogliere le idee e dimenticare chi si sta chiamando, si sentì il suono di un telefono che squillavall'altro capo del filo.

Dopo un paio di squilli ci fu un clic, un fruscio e un suono, come di una macchina che prenda iliato. Poi una voce cominciò a dire: "Ciao, sono Susan. Al momento non posso venire al telefonoerché sto cercando di mettere a posto un mi bemolle, ma se volete lasciare il vostro nome..."

 "E dunque, in base a quanto detto da un... fatico anche solo a pronunciare queste parole... Monaco

Elettrico," disse Dirk con voce che tradiva derisione, "lei prova a effettuare il lancio della nave che,on sua somma meraviglia, esplode. Da allora...?"

"Da allora," riprese il fantasma, miserevole, "sono solo su questo pianeta. Solo con laonsapevolezza di ciò che ho fatto ai miei compagni sulla nave. Solo, completamente solo..."

"Giá, questo lo saltiamo," sbottò stizzosamente Dirk. "E cosa mi dice della nave principale?robabilmente sará andata avanti nella propria ricerca di..."

"No.""E allora cosa le è successo?""Niente. È ancora li.""Ancora lì?"Dirk balzò in piedi e cominciò a misurare la stanza a grandi passi, le sopracciglia

pasmodicamente aggrottate."Giá." La testa di Michael cadde leggermente, ma lui guardò Reg e Richard con occhi pietosi.Eravamo tutti a bordo del mezzo di atterraggio. All'inizio mi sembrava di essere tormentato daiantasmi degli altri, ma era solo la mia immaginazione. Per milioni di anni, e poi miliardi, calcai ilango assolutamente solo. Per voi è impossibile comprendere anche la piú piccola parte delormento di una simile eternitá. Poi," aggiunse, "non molto tempo fa, la vita sbocciò su questoianeta. La vita. La vegetazione, esseri marini, quindi, alla fine, voi. Vita intelligente. Mi volgo a voi

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 er essere liberato dal tormento che mi affligge."Per qualche secondo, la testa di Michael penzolò miseramente sul petto. Poi, piano piano, si

ialzò incerta e li fissò di nuovo, con fiamme ancora piú cupe negli occhi."Riportatemi indietro," disse, "vi supplico, riportatemi indietro al mezzo di atterraggio.

Lasciatemi rimediare a ciò che ho fatto. Una parola detta da me e si può rimediare, la riparazioneatta come si deve, il mezzo di atterraggio può tornare alla nave principale, noi possiamo andarceneer la nostra strada, il mio tormento sará terminato e io non sarò piú un fardello per voi. Viupplico. "

Ci fu un breve silenzio, mentre la sua invocazione aleggiava nell'aria.

"Ma non può funzionare, no?" disse Richard. "Se lo facciamo, tutto questo non accadrá mai. Nonischiamo di dare luogo a paradossi di ogni genere?"

Reg si strappò ai propri pensieri. "Non peggiori di molti che giá esistono," rispose. "Se l'universovesse dovuto finire tutte le volte che c'è stata qualche incertezza su ciò che vi succedeva, nonarebbe mai andato oltre il primo picosecondo. E per molti naturalmente è stato così. Capisci, èome il corpo umano. Qualche taglio e qualche livido qua e lá non fanno male, e nemmeno un grossontervento chirurgico, se fatto come si deve. I paradossi sono esattamente come il tessutoicatriziale. Tempo e spazio vi si richiudono intorno e le persone semplicemente ricordano unaersione dei fatti che ha tanto senso quanto quelle gliene richiedono.

Ciò non significa che quando ci si imbatte in un paradosso non ci sia qualche cosa che colpisce per

a sua stranezza, ma se sei passato attraverso la vita senza che questo ti sia giá accaduto, non so inuale universo tu abbia vissuto, ma certamente non in questo."

"Be', se le cose stanno così," disse Richard, "perché lei è stato tanto inflessibile a proposito delalvataggio del dodo?"

"Ah. Eccoti qua a chiedermelo. La complessitá di causa ed effetto sfida l'analisi. Il continuum nonsolo come il corpo umano, ma anche come un frammento di carta da parati malamente applicata.

chiaccia una bolla qui, e un'altra se ne formerá altrove. Non ci sono piú dodo a causa della mianterferenza. Alla fine, mi sono imposto quella regola semplicemente perché non lo sopportavo piú.

L'unica cosa che si fa veramente male quando si prova a cambiare il tempo è se stessi." Sorriseebolmente e distolse lo sguardo.

Poi, dopo un lungo momento di riflessione, soggiunse: "No, si può fare. Io sono scettico soloerché è andata male tante volte. La storia di questo pover'uomo è patetica e porre fine alla sua

nfelicitá non può fare alcun male. Sono cose successe tanto, tanto tempo fa su un pianeta morto. Seo facciamo, ognuno di noi ricorderá ciò che ci è accaduto individualmente. Tanto peggio per il restoel mondo se non è d'accordo. Non sará certo la prima volta".

La testa di Michael si reclinò."Sei molto silenzioso, Dirk," disse Richard.Dirk lo fissò astiosamente. "Voglio vedere questa nave," annunciò. 

Nel buio, la cornetta del telefono rosso scivolò e rimbalzò sulla scrivania. Se ci fosse statoualcuno, avrebbe intravisto una sagoma che la muoveva.Brillava molto debolmente, meno di quanto avrebbero fatto le lancette luminose di un orologio.

embrava piú che altro che l'oscuritá circostante fosse appena un po' piú scura di così e la formactoplasmica vi stesse dentro, come un tessuto cicatriziale ispessito sotto la superficie della notte.

Gordon afferrò ancora una volta la cornetta recalcitrante. Finalmente ce la fece e la fece scivolareopra l'apparecchio.

Da lì, la fece cadere sulla forcella, togliendo la linea. In quel preciso momento, il fantasma diGordon Way, portata a termine finalmente la sua ultima telefonata, si lasciò andare al proprioiposo e svanì.

 

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Capitolo Trentatré...

 All'ombra della Terra, girava lentamente una massa scura, solo un altro rottame fra quanti ormailuttuavano eternamente lassú in orbita, ma piú largo e di forma molto piú regolare degli altri. E

molto, molto piú vecchio.Da quattro miliardi di anni continuava ad assorbire dati dal mondo sottostante, analizzandoli,

saminandoli, elaborandoli. Di tanto in tanto, ne rispediva indietro una parte, se pensava cheoessero servire, se pensava che qualcuno potesse riceverli. Altrimenti osservava, ascoltava eegistrava. Né il frangersi di un'onda, né il battito di un cuore sfuggivano alla sua attenzione.

 A parte ciò, al suo interno niente si muoveva da quattro miliardi di anni, eccettuata l'aria cheontinuava a circolare e i bruscolini di polvere nell'aria che danzavano, danzavano, danzavano,anzavano... e danzavano.

Quello che accadeva adesso era solo un leggero disturbo. Silenziosamente, senza baccano, comena goccia di rugiada che cade dall'aria su una foglia, in una parete che per quattro miliardi di annira rimasta sgombra e grigia, apparve una porta. Una semplice, normale porta di legno a pannelliianchi, con una piccola maniglia di ottone ammaccata.

 Anche questo tranquillo avvenimento venne registrato e incluso nel flusso continuo dilaborazione di dati che la nave eseguiva senza sosta. Non solo l'arrivo della porta, ma anche diuelli che ci stavano dietro, il loro aspetto, i loro movimenti, le loro sensazioni riguardo al fatto dissere lá. Tutto elaborato, registrato, trasformato.

Passato un momento o due, la porta si aprì.Dall'altra parte, si poteva vedere una stanza diversa da tutte quelle della nave. Una stanza dal

avimento di legno, la tappezzeria consunta, una stanza in cui danzava un fuoco. E mentre il fuocoanzava, i suoi dati danzavano nel computer della nave e con quello danzavano anche i bruscolini diolvere nell'aria. Una figura si stagliò sulla porta, una figura massiccia e lugubre con una luce stranahe le danzava negli occhi. Fece un passo oltre la soglia entrando nella nave e sul suo volto si soffusell'istante una calma cui anelava ma che pensava di non provare mai piú.

Dietro di lui veniva un uomo piú piccolo, piú anziano, dalla capigliatura bianca e ribelle. Uscendoal regno della sua stanza ed entrando in quello della nave, si fermò e batté le palpebre. Alle suepalle veniva un terzo uomo, impaziente e nervoso, con un largo soprabito di pelle che gli si agitavantorno. Anche lui si fermò, sconcertato per un momento da qualcosa che non capiva. Avanzò conn'espressione profondamente perplessa in volto e girò lo sguardo sulle pareti grigie e polveroseella vecchia nave.

Per ultimo veniva un quarto uomo, alto e magro. Si abbassò per varcare la porta e poi si arrestòmmediatamente, come se davanti a sé avesse un muro.

In un certo senso, davanti a sé aveva un muro.Restò lì attonito. Chiunque l'avesse guardato in faccia in quel momento, avrebbe capito senza

lcun dubbio che gli stava accadendo la cosa piú straordinaria di tutta la sua vita.Quando cominciò a muoversi lentamente, lo fece con un'andatura curiosa, come se stesse

uotando molto piano. Ogni minimo movimento della testa sembrava portare al viso nuove ondatei rispetto e stupore. Gli occhi si riempirono di lacrime e boccheggiando per la meraviglia rimase

enza fiato.Dirk si girò a guardarlo, per esortarlo a seguirli. "Qual è il problema?" gridò al di sopra delumore. "La... musica," sussurrò Richard.

L'aria era piena di musica. Sembrava che ne fosse così piena che non ci potesse essere spazio perient'altro. Pareva che ogni particella d'aria avesse una sua propria musica, così che non appena

Richard spostava la testa sentiva una musica nuova e diversa, anche se questa musica nuova e diversai accordava alla perfezione con quella che le stava accanto nell'aria.

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 Le modulazioni dall'una all'altra erano perfette: salti incredibili su tonalitá distanti avvenivano

enza alcuno sforzo, semplicemente girando la testa. Nuovi temi, nuovi accenni di melodia, tuttierfettamente e straordinariamente proporzionati, si mescolavano continuamente in quella trama

nfinita. Grandi onde lente di movimento, danze piú veloci che le percorrevano, piccole incursionicintillanti che danzavano sulle danze, lunghi motivi intricati il cui finale era così simile all'inizio chei riavvolgevano su se stessi, si rovesciavano, si capovolgevano per poi lanciarsi di nuovo sulla scia din'altra melodia danzante in un'altra parte remota della nave.

Richard barcollò verso la parete. Dirk arrivò di corsa a prenderlo."Andiamo," disse brusco, "qual è il problema? Non sopporti la musica? E un po' forte, no? Per

utti i santi, riprenditi. C'è qualcosa qui che ancora non capisco. Non va bene. Andiamo..."Si trascinò dietro Richard, ma poi dovette sostenerlo mentre la mente di Richard sprofondava

empre piú sotto il peso schiacciante della musica. Le visioni che andavano tessendo nella sua mente milione di fili frementi di musica man mano che vi venivano sospinti dentro stavano sempre piúiventando un garbuglio caotico, ma piú caos si generava, piú si amalgamava con altro caos e poi conn caos ancora maggiore, fino a che non divenne un'enorme sfera esplosiva di armonia che gli siilatava nel cervello piú velocemente di quanto qualsiasi cervello potesse sopportare.

Poi tutto fu molto piú semplice.Un solo motivo gli danzava nella mente e tutta la sua attenzione vi si concentrò. Era un motivo

he si accese nel mezzo di quel flusso magico, lo formava, lo modellava, viveva maestosamente lì

entro, viveva sottilmente, ne era la sua stessa essenza. Riecheggiava e vibrava, all'inizio unmotivetto dal ritmo sostenuto, poi rallentò, poi danzò ancora ma con maggiore difficoltá, sembrò

ffondare in vortici di dubbi e di confusione, ma improvvisamente rivelò che i vortici erano solo irimi gorgoglii di una nuova ondata di energia che sorgeva gioiosamente da sotto.

Richard cominciò lentamente, molto lentamente, a perdere i sensi.Giaceva assolutamente immobile.Immaginò di essere una vecchia spugna immersa nella paraffina e messa ad asciugare al sole.Si sentiva come la carcassa di un vecchio cavallo che ardeva nella caligine del sole. Sognò

ell'olio, liscio e profumato, sognò mari scuri e ansanti. Era su una spiaggia bianca, ubriaco di pesce,tupefatto dalla sabbia, scolorito, sonnecchiante, trafitto dalla luce, si sentiva mancare, valutava laensitá delle nuvole di vapore in remote galassie e girava con un piacere mortale. Era una pompa cheprizzava acqua fresca in primavera, che zampillava su un cumulo di fragrante erba appena tagliata.uoni quasi impercettibili bruciavano lontano come in un sonno remoto.

Correva e stava cadendo. Le luci di un porto roteavano nella notte, Il mare, come uno spiritocuro, schiaffeggiava incessantemente la sabbia, luccicante, inconsapevole. Fuori, dov'era piú fondo eiú freddo, affondò facilmente mentre il mare pesante gli si gonfiava come olio attorno alle orecchiesolo un lontano ronzio, come di un telefono che suonava, lo disturbava.

Sapeva di aver sentito la musica della vita. La musica della luce che danzava sull'acqua che sincrespava al vento e alle onde, della vita che si muoveva sull'acqua, della vita che si muoveva sulla

erra, riscaldata dalla luce.Continuò a giacere assolutamente immobile. Continuava a essere disturbato dal lontano ronzioome di telefono che suonava. Pian piano, si rese conto che quel distante ronzio come di telefono cheuonava era un telefono che suonava.

Balzò a sedere di scatto.Si trovava su un lettino sfatto in una stanzetta disordinata rivestita di legno che sapeva di

onoscere ma non riusciva a individuare. Era piena zeppa di libri e scarpe. Sbatté le palpebre,erplesso.

Il telefono accanto al letto stava squillando. Alzò la cornetta. "Pronto?" disse."Richard!" Era la voce di Susan, profondamente turbata. Lui scosse la testa, ma non riuscì a

icordare niente di utile. "Pronto?" ripeté."Richard, sei tu? Dove sei?""Ehm, resta in linea, vado a guardare." Appoggiò il ricevitore sulle lenzuola spiegazzate, dove rimase a emettere rauche grida, scese dal

etto barcollando, si trascinò fino alla porta e l'aprì.Era un bagno. Lo scrutò con sospetto. Di nuovo, lo riconobbe, ma aveva la sensazione che

  '

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  . , . . ,ra stato c'era un cavallo. Attraversò il pavimento del bagno e andò all'altra porta. Vacillando,iscese le scale e arrivò nella stanza principale di Reg.

Quello che vi vide quando vi giunse lo lasciò stupito. 

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Capitolo Trentaquattro...

I temporali del giorno prima, e di quello prima ancora, le alluvioni della settimana precedente, sirano quietati. Il cielo era ancora gonfio di pioggia, ma al calare dell'oscuritá serale cadevanooltanto quelle malinconiche goccioline.

Una folata di vento spazzò la pianura che andava scurendosi, vagò fra le collinette e si incanalòischiando in una stretta valle in cui sorgeva una costruzione, una specie di torre, solitaria eendente in un incubo di fango.

Era un moncone annerito di torre. Se ne stava piantata lì come un'estrusione magmatica di unaelle piú pestilenziali fosse infernali, inclinata con un angolo particolare, come oppressa da qualcosai ben piú terribile del suo peso considerevole. Sembrava una cosa morta, morta da tempi remoti.

L'unico movimento era quello di un fiume di fango che scorreva pigramente in fondo alla valle,

ietro la torre. Un paio di chilometri piú in lá, il fiume si buttava giú in una gola e scompariva sottoerra.

Ma, col calare della sera, si vide che la torre non era completamente deserta. All'interno, daualche parte, c'era una fioca lucina rossa che brillava.

Era questa la scena che Richard fu sorpreso di vedere da una porticina bianca posta nel fiancoella parete della valle, a qualche centinaio di metri dalla torre.

"Non uscire!" disse Dirk, alzando un braccio. "L'atmosfera è velenosa. Non sono sicuro di cosaia, ma certamente basterebbe a rendere i tuoi tappeti belli puliti."

Dirk era in piedi sulla porta e guardava la vallata con profondo sospetto."Dove siamo?" chiese Richard.

"Alle Bermuda," rispose Dirk. "È piuttosto complicato.""Grazie," disse Richard e incespicando riattraversò la stanza."Mi scusi," disse a Reg, che si stava affannando attorno a Michael Wenton-Weakes, assicurandosi

he l'equipaggiamento per immersioni subacquee che indossava gli calzasse a dovere ovunque, che lamaschera fosse fissata bene e che il regolatore per l'approvvigionamento d'aria funzionasse

erfettamente."Scusi, mi fa passare?" disse Richard. "Grazie."Risalì le scale, tornò nella camera da letto di Reg, si sedette tremando sull'orlo del letto e riprese

n mano il telefono."Alle Bermuda," disse, "è piuttosto complicato." Al piano di sotto, finito di spalmare la vaselina su tutte le giunture della muta e sulle poche parti

i pelle esposte intorno alla maschera, Reg annunciò che tutto era pronto.Dirk si allontanò dalla porta e si portò lì accanto con fare molto sgarbato."Bene, allora," disse, "fuori dei piedi. Finalmente. Mi lavo le mani di tutta questa faccenda.

mmagino che dovremo aspettare qui che ci rimandi indietro il vuoto, per quello che vale." Aggirò ilivano ad ampi passi con un gesto rabbioso. Quella storia non gli piaceva. Non gli piaceva nulla. Inarticolare, non gli piaceva che Reg ne sapesse piú di lui sullo spazio-tempo. E il fatto di non sapereerché non gli piaceva lo faceva infuriare.

"Mio caro amico," cominciò Reg in tono conciliante, "pensa quanto è piccolo lo sforzo che

obbiamo fare per aiutare questa pover'anima. Mi dispiace che dopo tutto il tuo straordinario lavoroi deduzione questo ti appaia come una doccia fredda. Capisco che una missione di pura clemenzaon ti sembri abbastanza, ma dovresti essere piú caritatevole."

"Caritatevole, bah!" disse Dirk. "Pago le tasse, che cosa vuole di piú?"Si buttò sul divano, si passò le mani fra i capelli e fece il broncio.Il personaggio che possedeva Michael strinse la mano a Reg e disse qualche parola di

ingraziamento. Poi si diresse con passo rigido verso la porta, si voltò e fece un inchino a entrambi.

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 Dirk girò la testa di scatto e lo fissò, gli occhi fiammeggianti dietro le lenti e i capellielvaggiamente scarmigliati. Il fantasma guardò Dirk e per un istante rabbrividì dentro di sé perapprensione. Un istinto superstizioso gli fece agitare la mano in segno di saluto. Agitò la mano di

Michael in cerchio, per tre volte, poi pronunciò una parola sola."Addio," disse.Ciò detto, tornò a voltarsi, si afferrò ai lati della porta e uscì risolutamente nel fango, nel vento

auseabondo e velenoso.Si fermò un momento per assicurarsi della stabilitá, del proprio equilibrio e poi, senza un ultimo

guardo si allontanò da loro, da quegli esseri viscidi con le gambe, diretto verso la sua nave.

"Ora, che diavolo significa questo?" disse Dirk, imitando stizzito il triplice movimento circolare.Richard scese rumorosamente le scale, spalancò la porta e piombò nella stanza, con gli occhi fuori

elle orbite."Ross è stato ammazzato!" gridò."E chi diavolo è Ross?" gridò Dirk a sua volta. "Comesichiama Ross, per tutti i santi," esclamò

Richard, "il nuovo direttore di 'Fathom'.""E che cos'è 'Fathom'?" gridò ancora Dirk."La cazzo di rivista di Michael, Dirk! Ti ricordi? Gordon ha buttato fuori Michael dalla rivista e

ha affidata da dirigere a questo tale Ross. Michael lo odiava per questo. Be', ieri sera Michael èndato lì e, cazzo, l'ha ammazzato!"

Si fermò ansimando. "O almeno," riprese, "lui è stato ammazzato. E Michael era l'unico ad averena ragione per farlo." Corse alla porta, guardò fuori la figura che si allontanava e scompariva nelleenebre e si girò di nuovo.

"Sta tornando indietro?" chiese Richard.Dirk balzò in piedi e per un momento rimase lì a sbattere le palpebre."Ecco..." disse, "ecco perché Michael era il soggetto ideale. Ecco che cosa avrei dovuto cercare. La

osa che il fantasma gli ha fatto fare per poter esercitare la sua presa, la cosa che in fondo volevaare, la cosa che si adattava agli scopi del fantasma. Oh, buon Dio. Lui pensa che noi li abbiamoostituiti ed è questo che vuole capovolgere.

Lui pensa che questo sia il loro mondo, non il nostro. Era qui che volevano insediarsi ed edificare loro maledetto paradiso. I conti tornano dall'inizio alla fine.

Lo vede," disse girandosi verso Reg, "che cosa abbiamo fatto? Non mi sorprenderebbe affattocoprire che l'evento che quella sua pover'anima infelice lá fuori sta cercando di capovolgere èsattamente ciò che ha dato il via alla vita su questo pianeta!"

Distolse improvvisamente gli occhi da Reg, bianco e tremante, e li riportò su Richard."Quand'è che l'hai saputo?" disse, perplesso."Ehm, appena adesso," rispose Richard, "al... al telefono. Di sopra.""Cosa?""Era Susan, non so come... diceva che c'era un messaggio sulla sua segreteria telefonica che glielo

omunicava. Diceva che il messaggio... era di... diceva che era di Gordon, ma credo che fosse in predauna crisi isterica. Dirk, che diavolo sta succedendo? Dove siamo?""Siamo quattro miliardi di anni nel passato," disse Reg con voce tremula, "e, ti prego, non

hiedermi come mai il telefono funziona quando ci troviamo in un universo differente da quello inui è effettivamente collegato, è una questione che bisognerá porre alla British Telecom, ma..."

"All'inferno la British Telecom," urlò Dirk, parole che gli vennero facilmente grazie alla forzaell'abitudine. Corse alla porta e di nuovo osservò la figura confusa e incerta che arrancava nel fangoerso la nave di Salaxala, completamente al di fuori della loro portata.

"Secondo voi," disse Dirk, assolutamente calmo, "quanto ci metterá quel bastardo di un illuso aaggiungere la sua nave? Perché quello è il tempo che ci rimane.

 Venite. Sediamoci. Pensiamo. Abbiamo due minuti per decidere cosa fare. Dopo di che, ho il forteospetto che noi tre e tutto ciò che abbiamo conosciuto, compreso il celacanto e il dodo, carorofessore, cesseranno di esistere per sempre."

Si sedette pesantemente sul divano, poi si alzò di nuovo e si tolse di sotto la giacca che si eraolto Michael. Nel farlo, dalla tasca cadde un libro.

 

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Capitolo Trentacinque...

"Ritengo che sia uno spaventoso gesto dissacratore," disse Richard a Reg, mentre se ne stavanoascosti dietro una siepe. La notte era piena dei profumi estivi che arrivavano dal giardino dellailletta e di qualche occasionale folata di aria marina portata dalle lievi brezze che giocavano sulleoste del Canale di Bristol.

Lontano, al largo, c'era una luna splendente che si specchiava sul mare e al suo chiarore siiusciva a vedere fin dopo l'Exmoor, che si allungava a sud di dove si trovavano.

Reg sospirò."Sì, può darsi," disse, "ma temo che lui abbia ragione, sai, bisogna farlo. Era l'unico modo sicuro.

Una volta capito cosa si stava cercando, gli elementi erano tutti lì, chiarissimi. Bisogna sopprimerlo.l fantasma sará sempre qui in giro. Anzi, adesso sono in due. Cioè, ammesso che funzioni. Povero

iavolo. Comunque, credo che se la sia voluta."Richard strappò nervosamente qualche foglia d'erba e se le rigirò fra le dita.Le alzò contro il chiarore lunare, le girò in diversi angoli e osservò i giochi che vi produceva la

uce."Che musica," disse. "Non sono religioso, ma se lo fossi direi che era come dare un'occhiata nella

mente di Dio. Forse è stato proprio così e dovrei essere religioso. Devo ricordarmi continuamentehe non hanno creato la musica, ma solo lo strumento in grado di leggere lo spartito. E lo spartitora la vita stessa. Ed è tutto lassú."

Guardò il cielo. Senza accorgersene, cominciò a recitare:  Se io potessi resuscitare in meQuell'armonia e quel canto,Una gioia tanto profonda mi vincerebbe,Che con musica sonora e lunga. Io nell'aria costruirei quella casa,Quella casa piena di sole, quelle grotte di ghiaccio! "Mmmm," disse Reg fra sé, "mi chiedo se sia arrivato in tempo.""Cosa ha detto?""Oh, niente. Solo un pensiero.""Buon Dio, può parlare, no?" esclamò Richard tutto a un tratto. "È lá dentro da piú di un'ora,

rmai. Mi chiedo cosa stia succedendo."Si alzò e guardò oltre la piccola fattoria di campagna alle loro spalle, immersa nel chiaro di luna.

Circa un'ora prima, Dirk aveva marciato spavaldo verso la porta di ingresso e vi aveva bussato.Quando la porta si era aperta, con una certa riluttanza, e una faccia leggermente intontita aveva

uardato fuori, Dirk si era tolto il suo assurdo cappello e aveva detto a voce alta: "Il signor SamuelColeridge? Passavo di qua, andando a Porlock, capisce, e mi sono chiesto se potevo disturbarla per

n'intervista. Si tratterebbe solo del piccolo bollettino parrocchiale che dirigo. Le prometto che none ruberò troppo tempo, capisco che sará impegnatissimo, un poeta famoso come lei, ma io ammiro

a sua opera e...Il resto era andato perduto, perché a quel punto Dirk aveva effettuato la sua entrata e si erahiuso la porta alle spalle. "Vuoi scusarmi un attimo?" disse Reg.

"Come? Oh, certo," disse Richard, "pensavo giusto di andare a vedere cosa sta succedendo."Mentre Reg si appartava dietro un albero, Richard aprì il cancelletto e stava per incamminarsi sul

entiero quando sentì il suono di voci che dall'interno si avvicinavano alla porta di ingresso.Si ritirò di corsa, proprio mentre la porta cominciava ad aprirsi.

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 "Bene, la ringrazio davvero molto, signor Coleridge," disse Dirk mentre riemergeva,iocherellando con il cappello e inchinandosi, "lei è stato piú che disponibile e generoso con il suoempo, e lo apprezzo molto, come, ne sono sicuro, faranno i miei lettori. Sono certo che ne verráuori un articolo molto carino, di cui può star tranquillo che le manderò una copia, così che lei laossa esaminare con tutto comodo. Accoglierò certamente con gioia qualsiasi suo eventualeommento, appunto stilistico, capisce, suggerimenti, consigli e cose del genere. Bene, grazie ancora,razie mille, per il suo tempo, spero di non averla distolta da nulla di importante..."

La porta sbatté violentemente alle sue spalle.Dirk si girò con l'ennesimo sorriso di trionfo di una lunga serie e si affrettò lungo il sentiero

erso Richard."Bene, questo chiude la faccenda," disse battendo le mani fra loro. "Credo che avesse iniziato a

criverla, ma non si ricorderá una sola parola, questo è sicuro. Dov'è l'esimio professore? Ah, eccolaua. Santo cielo, non avevo idea di essermi trattenuto così a lungo. Un tipo affascinante e divertente, nostro signor Coleridge, o quanto meno sono sicuro che lo sarebbe stato se ne avesse avutoopportunitá, ma io per parte mia ero troppo impegnato a risultare affascinante.

Comunque, ho fatto quello che mi avevi chiesto, Richard, alla fine gli ho chiesto dell'albatro e luia detto, che albatro? Io allora gli dico: oh, niente di importante, albatro non significa gran ché. Luiice: quale albatro non significa granché, e io, non si preoccupi dell'albatro, non importa, e lui dice,

ma sì che importa, uno gli piomba in casa nel cuore della notte a farneticare di albatri, a quel punto

uole sapere perché. Io dico al diavolo gli albatri e lui dice che è bendisposto e forse questo gli dan'idea per una poesia su cui sta lavorando. Molto meglio, dice, che essere colpiti da un asteroide,he a suo parere significava confidare un po' troppo nella credulitá altrui. Poi me ne sono venuto via.

Ora. Salvata l'intera stirpe umana dall'estinzione, potrei farmi una pizza. Che ne direste dellaroposta?"

Richard si astenne dal fornire la propria opinione. Si limitò a fissare Reg con una certa curiositá."C'è qualcosa che ti preoccupa?" chiese Reg, colto alla sprovvista."Un bel giochino," disse Richard. "Potrei giurare che prima di andare dietro quell'albero lei non

veva la barba.""Oh," Reg si passò le dita tra i folti peli lunghi qualche centimetro, "giá," disse, "trascuratezza,

oltanto trascuratezza.""Che cosa ha combinato?""No, solo qualche aggiustamento. Un piccolo intervento chirurgico, capisci. Niente di

articolare."Qualche minuto dopo, mentre li faceva accomodare in una porta in piú che una stalla vicina aveva

misteriosamente acquistato, si voltò indietro a guardare il cielo alle loro spalle, appena in tempo peredere una lucina brillare e scomparire.

"Scusa, Richard," mormorò e li seguì all'interno. 

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Capitolo Trentasei...

"No, grazie," disse recisamente Richard, "per quanto apprezzerei l'opportunitá di offrirti unaizza e di guardarti mentre la mangi, Dirk, voglio andare dritto a casa. Devo vedere Susan. Èossibile, Reg? Dritto nel mio appartamento? Verrò a Cambridge a prendere la macchina laettimana prossima."

"Siamo giá lì," disse Reg, "basta fare un passo di lá della porta e sei a casa, nel tuo appartamento.La serata di venerdì è appena cominciata e il weekend si stende davanti a te."

"Grazie. Ehm senti, Dirk, ci vediamo, eh? Ti devo qualcosa? Non so."Dirk accantonò la questione con un gesto disinvolto. "A suo tempo riceverai mie notizie dalla

ignorina Pearce," disse. "Perfetto, d'accordo, bene. Ci vediamo non appena ho un attimo di pace. Ètata, come dire, una sorpresa."

 Andò verso la porta e l'aprì. Appena uscito, si ritrovò a metá della scala di casa, sulla cui parete sira materializzata la porta. Stava per salire le scale quando tornò a voltarsi, colpito da un pensiero.

Fece un passo indietro, chiudendosi la porta alle spalle. "Reg, potremmo fare una piccolaeviazione?" disse. "Credo che sarebbe una buona idea portare fuori a cena Susan stasera, soltantohe nel posto che ho in mente bisogna prenotare in anticipo. Potresti fare, diciamo, un treettimane?"

"Niente di piú facile," disse Reg, introducendo un lieve aggiustamento nella disposizione dellealline dell'abaco. "Ecco," disse. "Siamo tornati indietro nel tempo di tre settimane. Il telefono saiov'è."

Richard corse su per la scala interna che portava alla camera da letto di Reg e telefonò all'Esprit

'Escalier. Il maitre fu incantato e felicissimo di accogliere la sua prenotazione e si disse impazientei vederlo di lì a tre settimane. Richard tornò dabbasso, scuotendo la testa per la meraviglia.

"Ho bisogno di un weekend di solida realtá," disse. "Che cos'era quella roba che è appena uscitaalla porta?"

"Quello," rispose Dirk, "era il divano che ti stavano consegnando. Il tizio ha chiesto se per favoreli aprivamo la porta in modo che potessero portarlo su e io gli ho detto che lo facevo volentieri."

 Solo pochi minuti dopo, Richard si ritrovò a salire di corsa le scale dell'appartamento di Susan.

Arrivato davanti alla porta, fu contento, come sempre, di sentire provenire debolmente dall'internoe note profonde del violoncello, Entrò senza fare rumore poi, avvicinandosi alla porta della sala da

musica, a un tratto impietrì sbalordito. Quello che stava suonando era un motivo che aveva giáentito. Un motivetto dal ritmo sostenuto, che rallentò, poi danzò ancora ma con maggioreifficoltá...

La sua faccia mostrava un tale sbigottimento, che lei smise di suonare non appena lo vide."Cosa c'è?" chiese allarmata."Dove hai trovato quella musica?" disse Richard in un sussurro.Lei si strinse nelle spalle. "Be', al negozio di musica," rispose perplessa. Non stava facendo la

piritosa, semplicemente non capiva la domanda."Che cos'è?"

"È una cantata che devo suonare fra un paio di settimane," disse. "Bach, numero sei.""Chi l'ha scritta?""Be', direi Bach. E anche tu, se ci pensi." "Chi?""Guarda le mie labbra. Bach. B-A-C-H. Johann Sebastian. Ti ricordi? ""No, mai sentito nominare. Chi è? Ha scritto qualcos'altro?"Susan posò l'archetto, appoggiò il violoncello, si alzò in piedi e si avvicinò a lui."Stai bene?" gli domandò.

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 "Be', non è così facile. Che cos'è..."Gli cadde l'occhio su una pila di spartiti in un angolo della stanza, con lo stesso nome su quello in

ima. BACH. Si buttò sulla pila e cominciò a sfogliarlo. Un libro dopo l'altro: J S. BACH. Suites perioloncello. Concerti Brandeburghesi. Messa in si minore. Alzò su di lei uno sguardo smarrito.

"Non ho mai visto niente di tutto ciò prima d'ora," disse."Richard, amore mio," fece lei, mettendogli una mano sulla guancia, "che diavolo è questa storia?

ono soltanto spartiti di Bach.""Ma non capisci?" disse lui, agitando una manciata di fogli. "Non ho mai visto, mai, niente di

utto ciò prima d'ora!"

"Be'," replicò lei con comica serietá, "forse se non passassi tutto il tuo tempo a suonare musicaon il computer..."

Lui la guardò sbigottito, poi lentamente si lasciò andare contro la parete e cominciò a riderestericamente.

 Lunedì pomeriggio Richard telefonò a Reg."Reg!" disse. "Il suo telefono funziona. Congratulazioni.""Eh giá, mio caro amico," disse Reg, "che piacere sentirti. giá. Poco fa è arrivato un valente

iovanotto e l'ha riparato. Credo che ora non si guasterá piú. Buona notizia, non trovi?""Ottima. Allora siete riusciti a tornare sani e salvi."

"Oh, sì, grazie. Sai, c'è stato un bel po' di trambusto quando siamo arrivati qui dopo avertiasciato. Ti ricordi il cavallo? Be', è spuntato fuori di nuovo insieme al suo proprietario. Hanno avutono sfortunato incontro con la polizia e volevano essere portati a casa. Comunque. Un tipo diersona pericolosa da lasciare a spasso, mi pare. Così. E tu, come stai?"

"Reg... La musica...""Ah, sì, pensavo che ti sarebbe piaciuta. C'è voluto un bel po' di lavoro. Ne ho salvato solo una

arte piccola piccola, naturalmente, ma anche così ho barato. Era decisamente piú di quanto unomo potrebbe fare in una vita, ma immagino che nessuno la prenderá molto seriamente."

"Reg, non se ne potrebbe avere un altro po'?""Be', no. La nave è partita e poi...""Potremmo tornare indietro nel tempo...""No, be', te l'ho detto. Hanno aggiustato il telefono, che quindi non si romperá piú.""Come?"Insomma, la macchina del tempo ora non funziona piú. Bruciata. Morta come un dodo. Temo

roprio che sia così. Forse è meglio, però, non credi?" Il lunedì, la signora Sauskind telefonò all'agenzia Investigativa Olistica Dirk Gently per

amentarsi della parcella."Non capisco cosa c'entri tutto questo," disse, "è un'assurditá totale. Che cosa significa?"

"Mia cara signora Sauskind," rispose lui, "fatico a dirle con quanta impazienza guardassi almomento in cui avrei avuto di nuovo con lei questa precisa conversazione. Da dove incominciamo,ggi? Quale particolare voce le piacerebbe discutere?"

"Nessuna, grazie tante, signor Gently. Non so chi lei sia né perché pensa che il mio gatto siacomparso. Il caro Roderick è spirato fra le mie braccia due anni fa e non ho alcun desiderio diostituirlo. "

"Ah, bene, signora Sauskind," disse Dirk. "Ciò che lei probabilmente non considera è che questo è risultato diretto dei miei sforzi che, se potessi parlarle dell'interconnessione di tutte..." Si fermò.

Era inutile. Lentamente, depose il ricevitore sulla forcella."Signorina Pearce!" gridò. "Per cortesia, mandi una nuova parcella alla nostra cara signora

auskind. Sopra, ci scriva: 'Per: salvataggio della razza umana dalla totale estinzione... nessunompenso".

Si mise il cappello e per quel giorno se ne andò. 

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)CBE: Commander British Empire, onorificenza assegnata dalla Corona. [N.d.T]!

)BOAC: British Overseas Airways Corporation. [N.d.T] !