lo stupro di nanchino
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Lo stupro di Nanchino Pagina 1
SIMONA GRANITO MATR. 747419 COMUNICAZIONE INTERCULTURALE CORSO ISTITUZIONI DI CULTURA CINESE A.S. 2011/2012
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NANKING(南京)
Diretto da: Bill Gutentag e Dan Sturman
Durata: 80 minuti
Nazionalità: Usa
Lingua: Inglese, cinese mandarino, giapponese
Genere: Documentario
Anno di distribuzione: 2007
Cast:
Hugo Armostrong John Magee
Rosalind Chao Chang Yu Zheng
John GertzGeorge Fitch
Mariel HemingwayMinnie Vautrin
Jürgen Prochnow John Rabe
Woody Harrelson Bob Wilson
(in aggiunta ci sono una serie di testimoni che parlano a proposito della loro esperienza)
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Il 13 dicembre 1937, ha inizio un
nuovo olocausto, uno di quelli
dimenticati, sconosciuto ai più,
nascosto. I giapponesi, durante la
seconda guerra sino-giapponese,
invadono la capitale cinese del tempo,
Nanchino, e si fanno protagonisti di
massacri privi di qualsiasi umanità e
di violenze diaboliche.
Occupata la città, il generale
nipponico Matsui si ammala di
tubercolosi. Il suo sostituto è Asaka
Yasuhiko, zio dell’imperatore
Hirohito. Al suo comando “uccidete i
prigionieri”, Nanchino diventa
irrimediabilmente una città perduta,
sconfitta dalla crudeltà di chi alla vita non attribuisce alcun valore, di chi dell’onore ne ha sentito
vagamente parlare, di chi con una spietatezza inaudita distrugge valori e ideali, calpestandoli e
divertendosi nell’osservare la sofferenza delle proprie azioni. Struggente il racconto di Chang Zhi
Qiang, nel film Nanking del 2007 diretto da Bill Gutentag e Dan Sturman. Il signor Chang, ai tempi
dell’assalto nipponico, aveva solo nove anni. La madre viene colpita due volte mentre compie il
gesto più naturale per una donna; allattare il suo piccolo. Si accascia a terra e riesce a non fare
cadere sul suolo il suo bambino, ma quando è trafitta per la seconda volta, la donna non riesce più a
tenere tra le sue braccia l’infante, di cui si occupa, colpendolo selvaggiamente, il soldato nipponico.
Chang, una volta rimasto solo con la sua famiglia, si reca vicino a sua mamma e osserva con la
disperazione tipica di un figlio, i tentativi di una donna che si avvicina al porto ultimo, alla morte.
Cerca il fratellino tra i cadaveri e lo trova, ancora vivo. L’ultimo regalo che può fare alla madre e
recarglielo. Lei lo prende e lo continua ad allattare, mentre il sangue scorre inarrestabile dalla ferita.
L’ultimo gesto della donna è un gesto d’amore materno.
Una storia che a sentirla raccontare si forma un groppo
in gola, si sente il cuore spezzarsi. Nanchino è devastata,
ma sparsi qua e là ci sono dei fiori che forti della loro
purezza cercano di splendere. La madre di Chang è uno
di questi; non importa la crudeltà che l’ha uccisa; la
fierezza del suo ruolo di genitrice le ha posto un dovere
più forte; pensare solo ai propri figli e, in un ultimo
gesto disperato, dar loro la forza di continuare.
Un altro di quei fiori sopracitati è John Rabe, un
appassionato nazista e seguace del Fuhrer. Protetto dalla
svastica che porta sul braccio, minaccia di riferire il
crudele comportamento nipponico a Hitler, inviandogli
foto che ritraggono le torture peggiori a danno dei
Le forze giapponesi marciano verso Nanchino
John Rabe
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cinesi. Lui stesso garantisce la salvezza a 250000 civili , ideando, insieme a George Fitch,
l’istituzione della zona di sicurezza di Nanchino, in cui vengono offerti rifugio e alimenti ai
fuggitivi cinesi contro i militari giapponesi. Dopo aver abbandonato la capitale nazionalista cinese,
nel febbraio del 1938, per ordine della Siemens China Co, l’azienda per la quale lavorava, Rabe,
rientrato a Berlino, cerca di attirare l’attenzione sul crimine di guerra perpetrato dal Giappone,
mostrando video, foto e documenti vari. L’ingenuo eroe, però, è arrestato dalla Gestapo e le prove
da lui recuperate sullo stupro di Nanchino, distrutte. Nonostante il suo tentativo di denazificazione,
terminata la Seconda Guerra Mondiale, viene condannato come nazista e costretto a mendicare.
Quando a Nanchino,giunge la notizia delle miserie dell’ eroe tedesco, il “Buddha Rabe”, i cittadini
raccolgono soldi e alimenti per soccorrere lui e la sua famiglia. Rabe come l’ultimo gesto dei civili
cinesi, ci mostra come anche nelle epoche più buie, l’umanità è sempre presente, sebbene nascosta e
pronta a risplendere nei momenti di massima crisi. Emerge la positività iniziale dietro al nazismo,
partito che assicurava protezione e aiuto ai suoi cittadini e puniva i malvagi e spiega per quale
motivo, probabilmente, i tedeschi ne furono tanto attratti. In realtà, la struttura militare giapponese
sembra anticipare la crudeltà messa in campo successivamente nei campi di concentramento nazisti.
Altri due eroi della strage di Nanchino sono il dottor Robert
Wilson e la signora Minnie Vautrin. Entrambi si sono occupati
della gestione della Nanking Safety Zone assieme a John Rabe.
Wilson durante l’invasione giapponese, è l’unico medico rimasto
in città; come chirurgo si occupa, senza sosta, delle vittime degli
atroci soldati nipponici, sottratte alla morte certa dall’intervento di
Rabe. Minnie Vautrine è una missionaria statunitense che si
occupa di proteggere ben diecimila donne nel Jinling Girls
College, nel quale insegnava. Nel 1937, accorrono ben mille
rifugiate al giorno nell’istituto, di cui la missionaria si occupa con
indomabile forza d’animo. Il 17 dicembre viene allontanata dai
giapponesi per risolvere un “problema”. Mentre la donna è
impegnata, i giapponesi rapiscono le rifugiate con l’intenzione di
ucciderle e di stuprarle. Con i ricordi delle tremende bestialità
nipponiche, Minnie torna negli Stati Uniti nel 1940. Ricoverata in
un ospedale psichiatrico, non regge agli incubi della terribile
esperienza e si suicida. La dea di Nanchino, si toglie la vita, forse a dimostrazione che gli umani
non possono fare altro che uccidere le
divinità e vivere in una dimensione dove
i valori supremi perdono ogni valore; nel
nichilismo più assoluto.
Il crollo di ogni ideale, rende gli esseri
umani più vicini che mai al mondo
animale. Luo Zhang Yang, un soldato
cinese che nel 1937 aveva solo 17 anni,
ricorda quella domanda tra l’ironico e il
drammatico posta dai soldati nipponici:
“come preferite morire?”. In Nanking, è
Minnie Vautrin
Soldati giapponesi che minacciano civili e soldati cinesi
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descritto come subito dopo la caduta della città di Nanchino e la resa dei cinesi, le truppe giapponesi
si misero a cercare gli ex soldati nemici. I soldati cinesi, radunati sulla riva dello Yangtze vengono
falciati con raffiche di mitragliatrici; i loro corpi, privi di vita, cadono nell’acqua. Presso la porta di
Taiping, altri 1300 civili vengono fatti esplodere con mine e i sopravvissuti colpiti con le baionette.
Il “fosso dei diecimila cadaveri” è una trincea lunga 300 metri dove i corpi morti vengono gettati
senza alcun rispetto. Luo Zhang Yang ricorda come il suo pensiero, di fronte alla prospettiva
dell’oscura signora, fosse rivolto a coloro che invece gli avevano dato la vita, quel dono che lui,
così giovane, non era ancora pronto a perdere. A 17 anni non si può morire; si ha tanto da fare, si ha
tanto da dare. A 17 anni ci sono ancora i sogni, c’è ancora la speranza, c’è la voglia di vita. Luo
cammina tra i corpi dei cadaveri e quando un soldato giapponese si avvicina, finge di essere morto.
Raggiunge il fiume, lo attraversa e fugge, ritornando alla sua vita, alla sua gioventù, spezzata troppo
velocemente da un colpo di baionetta.
Ingresso del Nanking Safety Zone
I giapponesi entrano nel Nanking Safety Zone per cercare i soldati cinesi che si sono nascosti. I
militari vengono travestiti da rifugiati, ma i nipponici non si lasciano ingannare; se credono che
qualcuno faccia parte delle truppe nemiche, lo uccidono. I condannati urlano, chiedono aiuto,
pregano per essere salvati, ma è inutile. Non c’è nessuno disposto a salvarli. Nemmeno più la
religione.
Nel 1937, Nanchino è l’inferno. Nulla più è sacro. Uomini, donne e bambini sono destinati allo
stesso fuoco. Forse che i morti, liberi dal ricordo delle urla strazianti e pietose dei propri
connazionali, dal tormento di non essere riusciti ad aver fatto di più, dalla sofferenza di aver perso
per sempre i propri cari, abbiano avuto un destino migliore dei sopravvissuti?
Teramoto Juhei è uno dei soldati giapponesi intervistati in Nanking. Descrive, con un tono allegro,
come lui con i suoi compagni si divertissero a stuprare le ragazze cinesi. Scelgono le più carine e
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iniziano il loro trattamento; non sono piegati nemmeno
dalle suppliche dei loro parenti: “Vi prego,
risparmiartela!”.
Tremendo il racconto di Jiang Gen Fu che tratteggia
l’episodio dello stupro e dell’uccisione di sua sorella
maggiore, di soli tredici anni. Descrive come abbia visto
la ragazza combattere e schiaffeggiare un soldato e come
il nipponico abbia reagito tagliandola in due con una
baionetta. Segue il racconto di un’ anziana cinese, vittima
lei stessa di violenza. Zhang Xiu Hong, all’epoca dodicenne, spaventata dall’aggressione dei
giapponesi ai danni del nonno, decide di sacrificarsi sperando di salvare l’anziano parente;
inconsapevole del tremendo gesto, cede il suo corpo ai suoi carnefici. Iris Chang, nel suo libro Lo
stupro di Nanchino, racconta di come i soldati nipponici, una volta annoiati dagli stupri, passino ad
impalare le donne con le baionette o con i razzi accesi. I fratelli sono costretti ad unirsi con le
sorelle, i padri con le figlie; le bambine sono stuprate con le nonne, le suore violentate fino a farle
morire. I soldati mutilano le donne, castrano gli uomini. La morte è l’unica via di fuga dall’inferno.
I diavoli, a volte, sono nell’ aldiquà, sono più vicino a noi di quanto crediamo. Sono nella risata di
Teramoto o nel soldato crudele che taglia a metà una bambina; sono i giapponesi che in The
Flowers of War di Zhang Yimou obbligano le tredici studentesse di un collegio religioso a cederli la
loro innocenza; sono nel soldato che obbliga un passante cinese ad avere rapporti con il cadavere di
una donna. Non ci si può rifiutare, pena la morte e l’abbandono dei propri cari ancora vivi o il
terrore della possibilità di incorrere in torture di qualsiasi genere.
Il tribunale dei crimini della guerra di Tokyo ha stimato ventimila casi di stupri avvenuti nel primo
mese dell’occupazione nipponica. In una società come quella cinese dove domina il culto di
Confucio per la quale la purezza femminile è un dettame sacrale, la violazione della donna, ha dato
inizio a una scia di suicidi generati dalla vergogna. Una morte onorevole è meglio di una vita
all’insegna del disonore.
La guerra sino giapponese inizia per un “incidente” presso Lugouchiao a Pechino, il 7 luglio del
1937. I soldati giapponesi che erano di guarnigione nell’area, credendo di essere stati attaccati dalle
truppe cinesi, assaltano essi stessi la città di Wanping. Il
Giappone è pronto a scatenare una poderosa offensiva
per invadere l’Impero Celeste. L’imperatore nipponico
Hirohito è attratto dalle invitanti riserve di materie
prime. Inoltre, l’invasione della Cina è parte del piano
strategico attuato dai nipponici per assumere il controllo
dell’Asia. Alcune prime avvisaglie, comunemente
conosciute come “incidenti cinesi”, sono fondamentali
per giustificare i successivi attacchi giapponesi nei
confronti del vicino asiatico. Importante è l’incidente di
Mukden, nel 1931, il casus belli per l’occupazione della
Manciuria. A tre mesi dallo scoppio dell’ostilità, Shanghai è conquistata, quindi è la volta di
Nanchino (la capitale della Repubblica Cinese), Hangzhou e Canton. Il conflitto dura fino al 9
settembre 1945. La Cina dichiara guerra al Giappone solo nel 1941, quando il Paese del Sol Levante
annuncia la sua partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale accanto alle Potenze dell’Asse.
Donne vittime di stupri
Un soldato giapponese si mette in posa accanto a cadaveri cinesi
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L’impero Celeste decide quindi di unirsi agli Alleati. Il Giappone si arrenderà solo dopo l’invasione
sovietica della Manciuria, la sconfitta delle potenze dell’Asse e dopo l’esplosione delle bombe
atomiche a Hiroshima e Nagasaki. Nella Seconda guerra sino- giapponese, il più grande scontro
asiatico del ventesimo secolo, muoiono quasi 21 milioni di cinesi, dei quali 17 civili, contro i 2
milioni di perdite dell’ armata giapponese.
I condannati al processo di Tokyo (3 maggio 1946/12 novembre 1948) sono solo 25, colpevoli di
crimini di guerra. In tribunale vengono portati i filmati di un missionario americano, John Magee,
come prova delle barbarie nipponiche, oltre ad altre numerose testimonianze. Solo 14 di questi
uomini vengono condannati per crimini
contro la pace (classe A). L’imperatore
Hiroito e i membri della famiglia
imperiale vengono assolti.
Quando il generale Matsui si riprende
dalla sua malattia, entra a Nanchino il
17 dicembre 1937. La sua truppa
nasconde l’eccidio, ma il comandante
capisce e compie un gesto estremo;
denuncia a un inviato del New York
Times, il terribile massacro. Poche ore
dopo Matsui verrà impiccato dagli
americani come criminale di guerra.
La strage di Nanchino è una delle vicende più barbare del Novecento.
Mostra l’aspetto più primordiale, più cinico e crudele dell’essere umano.
Si dovrebbe cercare di umanizzare questo mondo prima che la sofferenza
esploda. Il silenzio su questa vicenda nasconde la volontà di farla morire,
il desiderio di convincere gli altri che non sia mai accaduto nulla. Ma non
si può dimenticare. La conoscenza del passato è fondamentale, non per
commemorare un trionfalismo o una sconfitta, ma quando il gusto amaro
della vicenda ci permette di trasformarci.
Bambino mutilato
Il Presidente della Corte, Sir William Webb, Presiede il tribunale di Tokyo nel 1946