luciano catalioto, nefanda impietas sarracenorum. la propaganda antimusulmana nella sicilia normanna

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LUCIANO CATALIOTO Nefanda impietas Sarracenorum: la propaganda antimusulmana nella conquista normanna del Valdemone Un ampio dibattito sul tema della propaganda come elemento della comunicazio- ne dei fatti politici (e quindi oggetto della ricerca storica), è stato proficuamente inco- raggiato in occasione delle giornate tudertine del 2001, 1 le quali, riallacciandosi al convegno di Trieste del 1993, 2 hanno offerto spunto, innanzi tutto, per una rilettura più attenta ai contesti politici e sociali di tutte le forme attraverso le quali si realizza il fe- nomeno, «dalle raffigurazioni ai rituali, dalla parola fissata su carta a quella procla- mata, dalla damnatio memoriae alla modalità stessa in cui determinati attori politici si propongono in quanto soggetti viventi di propaganda». 3 Proprio quest’ultima accezio- ne consente di entrare nel merito del tema qui affrontato, quello della propaganda an- timusulmana che accompagnò le prime fasi della conquista normanna dell’isola, con- dotta appunto da un attore politico, Ruggero I d’Altavilla, che fu attento a sostenere la ricristianizzazione del Valdemone attraverso chiari messaggi ideologici. 4 Come sostiene Paolo Delogu, «la committenza degli Altavilla nelle sue espres- sioni più originali mirò essenzialmente a celebrare le imprese e la memoria delle grandi figure della famiglia, in modo da qualificarne la fisionomia ideale e creare una tradizione politica». 5 I discendenti di Tancredi cercarono di far dimenticare l’ori- gine illegittima del loro potere, soprattutto mediante il patrocinio della costruzione o ricostruzione di chiese e cenobi, e non è privo di significato il fatto che Ruggero I, nell’arco di circa un ventennio, erigesse nel Valdemone quattro abbazie benedettine (Lipari, Catania, Patti e Santa Maria de Scalis) e rifondasse ben diciassette edifici greci. 6 Opera architettonica di sicuro impatto visivo fu il «propugnaculum immensae 1. La propaganda politica nel basso Medioevo, Atti del XXXVIII Convegno storico internaziona- le (Todi, 14-17 ottobre 2001), Spoleto 2002. 2. Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento, Relazioni tenute al Convegno interna- zionale di Trieste, 2-5 marzo 1993, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994. 3. A. Ricci, La propaganda politica nel basso Medioevo, Cronaca del XXXVIII Convegno storico internazionale (Todi, 14-17 ottobre 2001), in «Nuova rivista storica», LXXXVI (2002), p. 228. 4. Sulle fasi dell’offensiva normanna nell’Italia meridionale e in Sicilia, si veda S. Tramontana, La monarchia normanna e sveva, Messina 1986, pp. 107 ss. Circa il rapporto diretto e privilegiato degli Al- tavilla con il papato e sulla consacrazione pontificia della legittimità dell’impresa si veda, soprattutto, il recente saggio di E. Cuozzo, La monarchia bipolare. Il regno normanno di Sicilia, Pratola Serra 2000, pp. 19 ss. e passim. Le direttive della ricristianizzazione e latinizzazione del Valdemone sono tracciate in L. Catalioto, Il Vescovato di Lipari-Patti in età normanna (1088-1194). Politica, economia, società in una sede monastico-episcopale della Sicilia, Messina 2007, pp. 29 ss. 5. La committenza degli Altavilla: produzione monumentale e propaganda politica, in I Norman- ni popolo d’Europa, 1030-1200, a cura di M. D’Onofrio, Padova 1994, pp. 188 ss. 6. Si vedano L.T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna (1938), a cura di A. Cher- si, Catania 1984, e M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale, Roma 1982 (1 a ed. latella 1 25-08-2007 17:03 Pagina 173

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Page 1: Luciano Catalioto, Nefanda Impietas Sarracenorum. La Propaganda Antimusulmana Nella Sicilia Normanna

LUCIANO CATALIOTO

Nefanda impietas Sarracenorum: la propaganda antimusulmana nella conquista normanna del Valdemone

Un ampio dibattito sul tema della propaganda come elemento della comunicazio-ne dei fatti politici (e quindi oggetto della ricerca storica), è stato proficuamente inco-raggiato in occasione delle giornate tudertine del 2001,1 le quali, riallacciandosi alconvegno di Trieste del 1993,2 hanno offerto spunto, innanzi tutto, per una rilettura piùattenta ai contesti politici e sociali di tutte le forme attraverso le quali si realizza il fe-nomeno, «dalle raffigurazioni ai rituali, dalla parola fissata su carta a quella procla-mata, dalla damnatio memoriae alla modalità stessa in cui determinati attori politici sipropongono in quanto soggetti viventi di propaganda».3 Proprio quest’ultima accezio-ne consente di entrare nel merito del tema qui affrontato, quello della propaganda an-timusulmana che accompagnò le prime fasi della conquista normanna dell’isola, con-dotta appunto da un attore politico, Ruggero I d’Altavilla, che fu attento a sostenere laricristianizzazione del Valdemone attraverso chiari messaggi ideologici.4

Come sostiene Paolo Delogu, «la committenza degli Altavilla nelle sue espres-sioni più originali mirò essenzialmente a celebrare le imprese e la memoria dellegrandi figure della famiglia, in modo da qualificarne la fisionomia ideale e creareuna tradizione politica».5 I discendenti di Tancredi cercarono di far dimenticare l’ori-gine illegittima del loro potere, soprattutto mediante il patrocinio della costruzione oricostruzione di chiese e cenobi, e non è privo di significato il fatto che Ruggero I,nell’arco di circa un ventennio, erigesse nel Valdemone quattro abbazie benedettine(Lipari, Catania, Patti e Santa Maria de Scalis) e rifondasse ben diciassette edificigreci.6 Opera architettonica di sicuro impatto visivo fu il «propugnaculum immensae

1. La propaganda politica nel basso Medioevo, Atti del XXXVIII Convegno storico internaziona-le (Todi, 14-17 ottobre 2001), Spoleto 2002.

2. Le forme della propaganda politica nel Due e Trecento, Relazioni tenute al Convegno interna-zionale di Trieste, 2-5 marzo 1993, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994.

3. A. Ricci, La propaganda politica nel basso Medioevo, Cronaca del XXXVIII Convegno storicointernazionale (Todi, 14-17 ottobre 2001), in «Nuova rivista storica», LXXXVI (2002), p. 228.

4. Sulle fasi dell’offensiva normanna nell’Italia meridionale e in Sicilia, si veda S. Tramontana, Lamonarchia normanna e sveva, Messina 1986, pp. 107 ss. Circa il rapporto diretto e privilegiato degli Al-tavilla con il papato e sulla consacrazione pontificia della legittimità dell’impresa si veda, soprattutto, ilrecente saggio di E. Cuozzo, La monarchia bipolare. Il regno normanno di Sicilia, Pratola Serra 2000,pp. 19 ss. e passim. Le direttive della ricristianizzazione e latinizzazione del Valdemone sono tracciatein L. Catalioto, Il Vescovato di Lipari-Patti in età normanna (1088-1194). Politica, economia, società inuna sede monastico-episcopale della Sicilia, Messina 2007, pp. 29 ss.

5. La committenza degli Altavilla: produzione monumentale e propaganda politica, in I Norman-ni popolo d’Europa, 1030-1200, a cura di M. D’Onofrio, Padova 1994, pp. 188 ss.

6. Si vedano L.T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna (1938), a cura di A. Cher-si, Catania 1984, e M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale, Roma 1982 (1a ed.

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altitudinis» citato da Malaterra ed esemplato da Pietro da Eboli,7 cioè il Palatium co-mitale e poi regio di Messina, «bianco come una colomba» nella descrizione di IbnGiubayr,8 che Ruggero, «undecumque terrarum artificiosis caementariis conductis,mirifico opere consummavit».9 Inoltre, probabilmente nel 1096, veniva edificata,«cum turribus et diversis possessionibus», la prima cattedrale di Messina, dedicata aSan Nicolò e ubicata a poche centinaia di metri dall’attuale duomo sorto alla metà delXII secolo.10 Ma, nel complesso, il patronato artistico promosso dal Granconte in Val-demone mostra i limiti del pionierismo, soprattutto se paragonato a quanto realizza-to dai normanni in Normandia e in Inghilterra,11 e si caratterizza soprattutto per la va-rietà delle componenti, che determinarono un sincretismo artistico unico nel suo ge-nere, destinato a divenire modello della successiva produzione “arabo-normanna” esimbolo, piuttosto, di un fecondo incontro etnico mediato dalla cultura.

Peraltro, come ha rilevato Edoardo D’Angelo,12 non è facile determinare l’appor-to di committenza specifica operata da Ruggero e le sue iniziative in campo mecenati-stico vanno strettamente correlate a quelle del Guiscardo e inserite nel quadro comples-sivo della politica normanna, tesa soprattutto alla “ricristianizzazione” della Sicilia mu-

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1947). Un quadro della vita religiosa in Sicilia in età normanna, e delle complesse implicazioni politichee culturali ad essa riconducibili, è delineato da J.M. Martin, La vita quotidiana nell’Italia meridionale altempo dei Normanni, Milano 1997, pp. 263-315 e passim. Si vedano, inoltre, H. Houben, Mezzogiornonormanno-svevo. Monasteri e castelli, ebrei e musulmani, Napoli 1996; F. Giunta, Medioevo normanno,Palermo 1982; Roberto il Guiscardo e il suo tempo, Atti delle prime Giornate normanno-sveve (Bari,28-29 maggio 1973), Roma 1975; N. Kamp, Der unteritalienische Episkopat im Spannungsfeld zwi-schen monarchischer Kontrolle und römischer “libertas” von der Reichsgründung Rogers II. bis zumKonkordat von Benevent, in Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II, Atti delle terze Giornate nor-manno-sveve (Bari, 23-25 maggio 1977), Bari 1979, pp. 99-132.

7. Goffredo Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardiducis fratris eius, a cura di E. Pontieri, in Rerum Italicarum Scriptores, Bologna 1927, libro III, § 77; Pe-trus de Ebulo, Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine Bilderchronik der Stauferzeit aus derBurgerbibliothek Bern, hrsg. von T. Kölzer und M. Stähli, Sigmaringen 1994, tav. XXVI.

8. Cfr. Ibn Giubayr, in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, Torino-Roma 1880, I, pp. 144 sgg.9. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, III, 78.10. G. Di Stefano, Monumenti della Sicilia normanna, Palermo 1979, pp. 56 ss.; I diplomi della

Cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico pubblicati da un codice della Biblioteca Comunale diPalermo ed illustrati, a cura di R. Starrabba, Palermo 1888, p. 256; E. Pispisa, La cattedrale di S. Mariae la città di Messina nel Medioevo, in Id., Medioevo Fridericiano e altri scritti, Messina 1999, p. 267.

11. Cfr. M. D’Onofrio, Comparaisons entre quelques édifices de style normand de l’Italie méridio-nale et du royame de France au XIe et XIIe siècle, in Les Normands en Méditerranée, Colloque de Cerisy-la-Salle, 24-27 septembre 1992, éd. par P. Bouet et F. Neveux, Caen 1994, pp. 179-201; V. Pace, Le com-ponenti inglesi nell’architettura e nella miniatura siciliana fra XII e XIII secolo, in Ruggero il Gran Con-te e l’inizio dello Stato normanno, Atti delle seconde Giornate normanno-sveve (Bari, 19-21 maggio1975), Bari 1977, pp. 179-190; G. Coppola, L’architettura religiosa normanna nell’Italia meridionale, inTresors romans d’Italie du Sud et de Sicile, textes réunis et présentés par G. Coppola, Palermo 1995, pp.75-96; G. Agnello, Estensione e limiti delle influenze regionali sull’architettura normanna nel Mezzogior-no d’Italia, in I Normanni e la loro espansione in Europa nell’Alto Medioevo, XVI Settimana di studiodel Centro italiano di Studi sull’alto Medioevo (Spoleto, 18-24 aprile 1968), Spoleto 1969, pp. 729-752.

12. E. D’Angelo, Ritmica ed ecdotica nel testo di Goffredo Malaterra, in Poesia dell’Alto Medioevoeuropeo: manoscritti, lingua e musica dei ritmi latini, a cura di F. Stella, Firenze 2000, pp. 383-394; Id.,Committenza artistica del conte Ruggero I, in http://www.mondes-normands.caen.fr/italie/cultures.htm

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sulmana e alla successiva opera di “rilatinizzazione” dei territori sottratti dagli Altavil-la all’impero bizantino. La pittura è forse uno dei media meno sfruttati dal Granconteper veicolare la propria propaganda politica e resta difficile, pertanto, una ricostruzio-ne precisa della committenza dell’Altavilla in questo campo. Vi è, però, un’eccezioneimportante: Ruggero I esalta la sua azione politica facendo dipingere sulle pareti dellachiesa di Santa Maria di Ravanusa la “memoranda impresa” contro i musulmani. Il ci-clo, che comprendeva l’assedio di Ruggero della fortezza musulmana sul Monte Sara-ceno, è andato perduto, ma potrebbe essere considerato nella sua testimonianza indiret-ta una sorta di corrispettivo mediterraneo dell’Arazzo di Bayeux e una significativarappresentazione, sul versante figurativo, dell’epos narrato in cronaca dal benedettinodi Saint-Evroul Goffredo Malaterra. Ma prima di rilevare i contenuti propagandisticidel De rebus gestis, sono opportune alcune precisazioni in merito ad altri canali di co-municazione attraverso i quali venne tramandata l’impresa normanna in Sicilia.

L’accordo di Melfi del 1059, con cui Niccolò II aveva investito gli Altavilla delMezzogiorno, non contiene messaggi propriamente antiislamici, perché teso piutto-sto a stabilire i termini dell’investitura in senso più ampio.13 Il riconoscimento dellasignoria sul Mezzogiorno sancito a Salerno e confermato con l’accordo di Troina del1098, da parte sua, è piuttosto attento a definire la concessione della legazia aposto-lica.14 Tuttavia, nel diploma con cui Urbano II, nel giugno 1091, confermava la nomi-na di Ambrogio ad abate di Lipari, si coglie innanzitutto l’atteggiamento di apertacondanna da parte della curia romana di fronte all’oppressione subita dai cristiani delValdemone negli anni dell’emirato,15 sebbene l’accento sia posto soprattutto sulla di-vinae misericordiae potentia, che avrebbe guidato dall’alto l’impresa di Ruggero.16

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13. Le complesse motivazioni che indussero Nicolò II a sancire il noto legame al sinodo del 23agosto 1059 sono illustrate, tra gli altri, da Scaduto, Il monachesimo basiliano, pp. XXXVI e 3-8.

14. Si veda il testo del privilegio papale di Salerno in Goffredo Malaterra, De rebus gestis, III, 108.Tale impegno verbale, rileva Ernesto Pontieri, giustificherebbe il fatto che il Granconte assumesse tito-lo e mansioni di legato prima che la bolla fosse promulgata. Sul privilegio della Regia Monarchia si ve-da, soprattutto, S. Fodale, «Comes et legatus Siciliae». Sul privilegio di Urbano II e la pretesa Aposto-lica Legazia dei normanni in Sicilia, Palermo 1970; Id., L’Apostolica Legazia e altri studi su Stato eChiesa, Messina 1991; G. Catalano, Studi sulla Legazia Apostolica di Sicilia, Reggio Calabria 1973. Suirapporti tra monarchia e Chiesa in età normanna, inoltre, cfr. S. Fodale, Il Gran Conte e la Sede aposto-lica, in Ruggero il Gran Conte, pp. 25-42; Id., Fondazioni e rifondazioni episcopali da Ruggero I a Gu-glielmo II, in Chiesa e società in Sicilia, I, L’età normanna, Atti del I Convegno internazionale organiz-zato dall’Arcidiocesi di Catania (25-27 novembre 1992), Torino 1995, pp. 74 ss.; Id., Stato e Chiesa dalprivilegio di Urbano II a Giovan Luca Barberi, in Storia della Sicilia, Napoli 1980, III, pp. 575-600.

15. Nel privilegio, infatti, il pontefice sottolinea che, come tramandato da Gregorio Magno, nell’i-sola aveva avuto un tempo sede un vescovato, il quale avrebbe poi subito la repressione sarracenorum.

16. Originale mancante; copie del 1368 nell’Archivio Capitolare di Patti (d’ora innanzi: ACP), F I,f. 1 e del 1369 in F I, f. 2 e CPZ, f. 4; edito in R. Pirri, Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustra-ta, Palermo 1733 (ed. anast. con introduzione di F. Giunta, Sala Bolognese 1987), II, p. 952 e F. Ughel-li, Italia Sacra sive de episcopis Italiae et Insularum adjacentium, rebusque ab iis praeclare gestis, 2a ed.a cura di N. Coleti, Venetiis 1717-1722 (ed. anast. Bologna 1974), VI, p. 775. Secondo White (Il mona-chesimo latino, pp. 127 ss.), questo segno cospicuo del favore papale avrebbe suscitato nella nobiltà nor-manna un senso di devozione tale da motivare la generosità delle loro donazioni. Un giudizio che paretuttavia non esente da una certa retorica e circoscritto a una visione che non tiene conto dei forti interes-si politici alla base di un preciso programma degli Altavilla.

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Tra i cronisti che hanno dedicato spazio all’impresa normanna, Amato di Mon-tecassino tratta piuttosto le vicende del Mezzogiorno peninsulare e a proposito dellaconquista dell’isola riferisce come Roberto fosse in procinto di muovere guerra ai«Sarrazin, liquel occioient li Chrestien molt fortement» quando, come un segno dalcielo, si presentò al suo cospetto un «amiral, un qui se clamoit Vultumine» (Ibn-at-Thumna) a chiedere aiuto contro l’emiro palermitano.17 Il monaco cassinese aggiun-ge qualche particolare sulla conquista di Messina ad opera del Guiscardo, sostenutoda Guglielmo Bracciodiferro e «de ses chevaliers», i quali «ont combatu à la cité etont vainchut lo chastel de li Sarrazin». Ma la sua narrazione non mostra di voler esal-tare l’impresa dei conquistatori, e lascia evincere piuttosto come il controllo della cit-tà dello Stretto da parte dei musulmani fosse blando, anche alla luce del fatto che «lacité estoit vacante des homes liquel i habitoient avant».18 La tesi del desolante stato diabbandono e immobilismo socioeconomico, che avrebbe denotato Messina già negliultimi decenni dell’emirato, ha suscitato qualche perplessità in studiosi che, eviden-temente, non hanno tenuto pienamente conto della tendenza celebrativa insita nellecronache del monaco cassinese, della propensione all’esagerazione di Goffredo Ma-laterra e della conclamata inattendibilità della Breve istoria della liberazione di Mes-sina, chiaramente falsa, protesa alla celebrazione del sentito patriottismo dei tre no-bili cittadini (Ansaldo de Pactis, Niccolò Mamulio e Giacomo Saccano) per tradizio-ne eroici fautori della congiura antimusulmana.19 Peraltro, la rapidità della conquistanormanna del Valdemone, attribuita con intenti celebrativi esclusivamente al parteci-pe sostegno che gli Altavilla trovarono da parte della popolazione cristiana, nonescluderebbe l’ipotesi di una situazione demica analoga a quella descritta per Messi-na da Amato di Montecassino.20

Nella cronaca di Alessandro di Telese non vi è alcun riferimento alla “crociataantimusulmana”, o per meglio dire, la presenza stessa degli “infedeli” nell’isola e glioltre due secoli di emirato sono ignorati, una vera e propria censura che idealmentecreava un collegamento diretto tra il dominio territoriale di Ruggero II a un vago re-gnum con sede «Panhormus Sicilie metropolis».21 Sembrerebbe troppo casuale que-sta sorta di damnatio silentii per non suggerire un suo inquadramento come propa-

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17. Amato di Montecassino, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese – Ystoire de liNormant, a cura di V. De Bartholomaeis, Roma 1935, V, cap. XIX, p. 239.

18. La forte contrazione demografica di Messina è registrata anche dal geografo arabo Yaqut, neicui scritti la definizione assegnata a Messina, riferita verosimilmente a un periodo di lunga durata, oscil-la tra la dignitosa madinah (“città”) e quella più riduttiva di bulayad (“villaggio”). Si veda M. Amari,Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di C.A. Nallino, Catania 1938, II, p. 496.

19. Ibidem, III, pp. 58-63.20. La vicenda di Messina negli anni della conquista normanna è delineata in L. Catalioto, La cit-

tà medievale, in Messina. Storia, cultura, economia, a cura di F. Mazza, Soveria Mannelli 2007, ad in-dicem.

21. Il conte Enrico e i più intimi familiares «addebant, quod regni ipsius principium et caput, Pan-hormus Sicilie metropolis fieri deceret; que olim sub priscis temporibus super hanc ipsam provinciam Re-ges nonnullos habuisse traditur, qui postea, pluribus evolutis annis occulto Dei disponente iudicio nuncusque sine regibus mansit»: Alexandri Telesini abbatis Ystoria Rogerii regis Sicilie Calabrie atque Apu-lie, a cura di L. De Nava (commento storico a cura di D. Clementi), Roma 1991, libro II, § 1, pp. 23 e 108.

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ganda, come espressa intenzione di demolire la memoria stessa dei musulmani sici-liani con l’arma del silenzio.

Ruggero I, intorno al 1098, non a caso scelse come suo cronista ufficiale un be-nedettino proveniente dal cenobio normanno di Saint-Evroul-sur-Ouche, vivaio dimonaci espertissimi negli affari di questo mondo, come Orderico Vitale e l’abate Ro-berto di Grantmesnil, il quale, in perfetta sintonia con gli ideali riformistici e gli sche-mi cluniacensi, era stato fondatore e anima della sede di Sant’Eufemia, vivaio a suavolta della successiva immigrazione monastica nell’isola, e fu l’esecutore della com-mittenza artistico-monumentale del Granconte condotta in chiave antimusulmana.22

L’Altavilla, quindi, incaricò Malaterra di narrare «plano sermone et facili ad intelli-gendum» le vicende della sua crociata, perché i posteri sapessero «quam laboriose etcum quanta angustia a profunda paupertate ad summum culmen divitiarum, vel ho-noris attigerit».23 Il cronista, nella lettera con la quale dedica all’abate e vescovo diCatania Ansgerius la sua opera,24 ne espone gli intenti, tra cui risalta quello di glori-ficare le gesta dell’Altavilla sino al momento in cui, il 5 luglio 1098, Urbano II «nonintese il lui premiare, con la concessione dell’Apostolica legazia in Sicilia, gli sforzitenacemente compiuti nel debellare gli infedeli dell’isola».25 Il risalto dato da Mala-terra a quest’atto, come ha osservato Erich Caspar, risiede nel fatto che esso, oltre astendere un velo opportuno su parecchi arbitrii di Ruggero in tema di giurisdizioneecclesiastica, riconosce in maniera ufficiale i meriti della crociata antimusulmana delGranconte a beneficio della fede di Cristo e della sua Chiesa.26 Una “santa impresa”,quindi, richiamata in più occasioni dal cronista, spesso alla stregua di un cliché, al-l’interno di uno schema provvidenziale dai marcati tratti epico-cavallereschi.

Solo il De rebus gestis di Malaterra, in definitiva, offre un quadro dettagliato del-la conquista e del consolidamento normanno in Sicilia, chiariti attraverso un’esposi-zione in chiave “eroica” delle vicende di Ruggero d’Altavilla, intorno al quale si con-nette la trama della narrazione, che si snoda durante un cinquantennio ed è suddivisain quattro libri. Alcuni passi molto pregnanti del secondo libro descrivono con notevo-le efficacia espressiva la cacciata dei musulmani dalla punta settentrionale del Valde-

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22. A proposito della fondazione di Sant’Eufemia, promossa dal Guiscardo nel 1062, si veda E.Pontieri, L’abbazia benedettina di Sant’Eufemia in Calabria e l’abate Roberto di Grantmesnil, in «Ar-chivio Storico per la Sicilia Orientale», XII (1926), pp. 92 ss. Altre fondazioni monastiche volute in Ca-labria da Ruggero I costituirono vivai fecondi di propaganda filonormanna nell’isola, come la sede ago-stiniana di Santa Maria di Bagnara (1084), che avrebbe colonizzato con elementi transalpini la prioria diSanta Lucia di Noto e la cattedrale di Cefalù; la fondazione certosina di San Bruno di Colonia (1091 ss.)e quella cistercense di San Nicola di Filocastro, fondata nel 1140 da cluniacensi provenienti da Clair-vaux (cfr. White, Il monachesimo latino, pp. 79-86 e 124; G. Occhiato, La SS. Trinità di Mileto e l’archi-tettura normanna meridionale, Catanzaro 1977).

23. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, I, 25.24. Gaufredi Malaterrae Epistula ad Cathanensem Episcopum, Ex Guillelmi Gemmeticensis, Orde-

rici Vitalis et Roberti gestis Ducum Normannorum, in Monumenta Germaniae Historica, II s., XXVII,pp. 14 ss.

25. Ibidem, IV, p. 29.26. Die Legatengewalt der normannisch-sicilischen Herrscher im XII Jahrhundert, in «Quellen

und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», VIII (1904), p. 128.

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mone sino alla resa delle terre attorno a Troina e Castrogiovanni, fra il 1061 e il 1064,in seguito alla battaglia di Cerami.27 La strategia di propaganda politica di Ruggero incampo letterario, pertanto, trova in Malaterra un realizzatore di alto livello che contri-buisce in maniera decisiva, attraverso la demonizzazione dei musulmani, alla creazio-ne del “mito” dei normanni e all’identificazione di questi con gli Altavilla. D’altra par-te, se è necessario analizzare i contenuti della propaganda politica attraverso la strati-ficazione dei modelli propagandistici, la cronaca di Goffredo Malaterra costituisce inquesto senso un topos per quella tradizione antimusulmana ancora viva nella culturadiffusa del Valdemone tra medioevo ed età moderna, come si coglie in diverse espres-sioni iconografiche, ma soprattutto in molte carte ecclesiastiche e nella diffusione, traQuattro e Cinquecento, della cronaca malaterriana presso tutti gli ambienti dell’isola.

A qualche decennio dalla sua composizione, il De rebus gestis era definito daOrderico Vitale un «elegantem libellum» scritto «hortatu Rogerii comitis»28 e dallacorte normanna l’opera malaterriana si diffuse per i monasteri benedettini, dove il«libellus» si presentò come l’unica narrazione del lungo travaglio dei liberatori per laredenzione dell’isola dagli infedeli. Poiché, come sostiene Ernesto Pontieri, «reden-zione parve la distruzione del dominio musulmano nella Sicilia, avvenuta perdippiùnel secolo delle Crociate».29 E forse più per evocare il ricordo di quella redenzioneche per renderla meglio accessibile al vulgus, frate Simone da Lentini nel Trecentotradusse in volgare siciliano i passi dell’opera relativi alla Conquesta de Sicilia, giac-ché lo scritto del Malaterra gli parve «in gramatica scrabulosa et grossa et mali si po-ti intendere».30 Sebbene la valenza storiografica di questa sintesi vernacolare sia as-sai limitata, come anche quella della traduzione in latino che di essa volle fare Fran-cesco Maurolico nel 1537,31 entrambi i lavori sono chiare spie di come, a distanza disecoli, i fatti narrati da Malaterra destassero vivo interesse ed evocassero forme econcetti mai sopiti. Ed è chiaro che il compimento della conquista, romanzata e pro-pagandata attraverso immagini di sfavillanti vittorie a ogni cozzo d’armi contro i mu-sulmani, sia apparso «di poema degnissimo e di storia» a chi, come Michele Catala-no, nella cronaca scorge «un embrione epico-leggendario-religioso, che in altre circo-stanze storiche avrebbe dato origine a una vera e propria epopea normanno-sicula».32

Lo schema storiografico della cronaca malaterriana, aderente in più occasioni aquello delle crociate, è attinto grazie a una flessibilità dei modelli in cui temi religiosied ecclesiologici si legano alla politica in un’azione propagandistica che, di fatto, nontrova riscontro nella reale strutturazione della società e dei poteri locali. Il che inducea ritenere che non sempre la propaganda neghi la contrapposizione del testo all’azionepolitica, come dimostrerebbe l’ambiguità dei rapporti nel Valdemone tra musulmani e

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27. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 1-18 e 29-35.28. Historiae ecclesiasticae libri tredecim, éd. A. Le Prevost, Paris 1838-1855, I, p. 41.29. Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, p. XIII.30. Conquesta de Sicilia, in Cronache Siciliane dei secoli XIII, XIV e XV, a cura di V. Di Giovan-

ni, Bologna 1865.31. V. Vinci, La cronaca di Simone Leontino, traduzione latina di F. Maurolico, Adernò 1903.32. La venuta dei Normanni in Sicilia nella poesia e nella leggenda, Catania 1903, p. 20.

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cristiani, da una parte collocati in posizione antitetica in una sorta di schema ideale del-la cultura diffusa, d’altra parte inseriti in un comune meccanismo sociale ed economi-co che, prevedendo la presenza di funzionari sarraceni de majores nati anche nei gan-gli amministrativi della contea, annullava radicali dicotomie.33 In effetti, nella letturadella cronaca malaterriana, sorprende imbattersi a volte in una sorta di contro-propa-ganda. Ad esempio in un passo, dove è messa in risalto la cupidigia del Guiscardo el’ambizione smisurata del Granconte nel corso dell’impresa siciliana, che sarebbe sta-ta determinata soprattutto da forti interessi materiali e spirituali, dal momento che Rug-gero «semper dominationis avidus erat».34 Considerazioni, queste, che inducono tal-volta il cronista a esprimere un giudizio “diverso” sugli scopi della conquista dell’iso-la, riconducibili pertanto, oltre che alla missione divina di espellere i nemici della fedecristiana, alla «brama di strappar loro il godimento di una terra tanto ubertosa».35

E allo stesso modo sono indicativi alcuni accenni di Malaterra alla pietas dei sa-raceni, come in occasione della morte del figlio di Ruggero, Giordano, quando moltidi loro «patris dolor [...] ad lacrimas pertrahebat»;36 oppure l’ammirazione per il digni-toso coraggio mostrato da un giovane musulmano di Messina, che preferì uccidere lapropria sorella piuttosto che lasciarla «preda della selvaggia libidine dei nemici».37 Male descrizioni dei fallimenti bellici dei normanni, in verità, sono sporadici ed esposticon tono sommesso, mentre non si fa menzione di molti successi musulmani, come adesempio la «tremenda battaglia» e la precipitosa fuga di cristiani al di là dello Stretto,di cui parla il cronista arabo Al-Bayan,38 e molti significativi eventi narrati con diver-sa prospettiva dall’autore arabo della cronaca siculo-saracena di Cambridge.39 Le fuga-ci menzioni alle disfatte normanne, quindi, appaiono inserite in modo strumentale al-l’interno della narrazione per esaltare l’impegnativo compito assunto da Ruggero e lasua strenuitas, come nel brano che riporta il blocco del Granconte nel territorio del Fa-ro ad opera di una possente flotta islamica che controllava le acque dello Stretto,40 larespinta subita ad opera dei musulmani di Centorbi41, la sconfitta inferta dall’araboBenarvet presso Catania,42 l’uccisione di Serlone vicino a Castrogiovanni.43

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33. Esemplare appare il caso della zona di Giato e del casale di Mirto, dove nella prima metà delXII secolo si espresse una comunità islamica di livello sociale elevato, rappresentata tra gli altri dal no-taio Hamut e da molti boni homines qualificati come gaiti: ACP, F I, ff. 42-43, 90, 138-138 e PV, f. 22 inCatalioto, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, nn. 17, 34 e 40.

34. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 3 ss.35. Ibidem, II, 1.36. Ibidem, IV, 18.37. Ibidem, II, 21.38. Cfr. Al-Bayan in Amari, Biblioteca, II, p. 362.39. G. Cozza Luzi, La cronaca siculo-saracena di Cambridge con doppio testo greco scoperto in

codici contemporanei delle biblioteche vaticana e parigina con accompagnamento del testo arabico perBartolomeo Lagumina, Palermo 1890; R. Gregorio, Cronica di Cambridge, in Id., Rerum Arabicarum,quae ad Historiam Siculam spectant, ampla collectio, Panormi 1790.

40. Ibidem, II, 8.41. Ibidem, II, 15.42. Ibidem, III, 10.43. Ibidem, II, 46.

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Tanto più efficace risultò il messaggio di Malaterra, in quanto le imprese prodi-giose dei normanni riecheggiavano in ambiente pontificio e avevano suscitato stupo-re in Amato di Montecassino e Guglielmo di Puglia, senza contare che spunti di am-mirazione per l’eroismo da loro mostrato nelle terre del Valdemone durante le primefasi della conquista echeggiavano persino nell’Alexiade di Anna Comnena e in alcu-ne fonti arabe.44 In tutti gli ambienti della contea era diffuso il mito del divino patroci-nio goduto dai normanni, e Goffredo supera le frequenti iperboli della sua narrazionelasciandosi sedurre dalla convinzione che solo l’intervento del soprannaturale controgli “infedeli” avesse determinato eventi miracolosi (come lo scampato naufragio delGranconte nelle acque dello Stretto), e successi bellici come quello di Cerami, risal-tato con toni epici che risuonano, qui più che altrove, come vera e propria propagan-da antimusulmana della conquista normanna del Valdemone.45 L’esaltazione di tali vi-cende è alla base della diffusione, nel lungo termine, di una comune idea di crociataantimusulmana, di una visione cioè che, alimentata da episodi pirateschi persistentinel corso dell’età moderna, avrebbe finito per lasciare stratificare nell’immaginariocollettivo una proiezione negativa degli anni dell’emirato siciliano, frutto in realtà diuna vera e propria deformazione prospettica. Il prezioso contributo di Giuseppe Pitrèe altri etnologi siciliani, per inciso, getta viva luce su tale persistenza nei quadri men-tali “popolari”, attraverso un continuo rinnovamento della demonizzazione degli ara-bi di Sicilia; e basti pensare alla radicata tradizione dell’Opera dei Pupi, il cui strettointreccio con l’epopea della Chanson de Geste e la ricezione dei messaggi in essacontenuti evidenziano una ricerca forzata di identità ideologica con quanti, da allorain avanti, avrebbero letto gli eventi della riconquista normanna come provvidenzialesalvezza della cristianità e dell’Occidente latino dalla minaccia islamica.46

La giornata campale di Cerami, accanto a quelle di Misilmeri e Castrogiovanni,rappresenta uno dei momenti cruciali della conquista normanna del Valdemone. Nonsorprende, pertanto, che Malaterra abbia assunto tale evento come emblema dell’eroi-ca impresa di Ruggero, lo abbia cioè trasfigurato con contenuti inverosimili e riferi-menti extraterreni di tale efficacia mediatica da renderlo momento culminante dellasua propaganda antimusulmana.47 Cerami è celebrata come una nuova Poitiers e l’im-magine del Granconte si accosta idealmente a quella di Carlo Martello, ma il potereevocativo della sua celebrazione non si limita a questo implicito riferimento. Il croni-sta introduce il lettore alla battaglia esaltando l’esuberanza numerica degli infideles

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44. Anna Comnena (Komnene), The Alexiad, ed. and transl. by E.A. Dawes, London 1928; Amari,Storia dei Musulmani, II, pp. 3 e 17; III, pp. 12, 30 e 97; Id., Biblioteca, passim.

45. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 38.46. Tra le varie credenze diffuse allo scorcio dell’età di mezzo e durante i primi decenni di quella

moderna, alcune si riferiscono cronologicamente alle fasi della conquista normanna della città (Mata eGrifone), allo sbarco del Granconte presso la città del faro (Fata Morgana). Si vedano: G. Pitrè, Studi dileggende popolari in Sicilia e Nuova raccolta di leggende siciliane, Torino 1904, XXII, ad indicem; B.Croce, Storie e leggende napoletane, Bari 1976; R.M. Ruggieri, La Fata Morgana in Italia: un perso-naggio e un miraggio, in «Cultura Neolatina», XXXI (1971), pp. 118 ss.; G. Cavarra, La leggenda di Co-lapesce, Messina 1995.

47. Si veda Pontieri, Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, pp. XXXIII ss.

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(più di tremila), riferisce l’appello del Granconte al sostegno divino nell’atto di incita-re l’esiguo drappello dei suoi milites (appena trentasei), si richiama alla figura biblicadi Gedeone e, infine, descrive l’apparizione in campo di San Giorgio che, «splendidusin armis et equo albo insidens»,48 irrompe tra le schiere nemiche tenendo alto il vessil-lo dell’Altavilla insieme alla croce di Cristo ed evoca così l’immagine, ricorrente nel-le cronache della prima Crociata, del santo cavaliere che trafigge il drago.49

L’eco di questa vittoria fu vasta e non è un caso che, in seguito a essa, AlessandroII concedesse «l’indulgenza plenaria a tutti coloro che avevano lì combattuto o aves-sero in avvenire preso le armi contro gli infedeli di Sicilia».50 In definitiva, Malater-ra, con l’entusiastico e partecipe slancio religioso profuso nella sua narrazione, fu unconvinto propagatore delle grandi correnti spirituali dell’epoca, che, oltre al risana-mento morale della Chiesa, propugnavano una capillare opera di evangelizzazionedelle terre in mano all’Islam con tutti i mezzi possibili.

L’immagine dei musulmani è riscattata dall’opera di Michele Amari, che nellaconquista normanna dell’isola legge la fine della sua indipendenza e di un’era stori-ca realmente “siciliana”, caratterizzata da una concreta rinascita spirituale e materia-le, e offre spunto per una “contropropaganda” ben documentata e costruita su basiscientifiche. Alla diffusione di un’immagine negativa di questi mercenari venuti dalNord per sopprimere l’indipendenza siciliana, Amari giunge attraverso una sistema-tica demolizione della narrazione malaterriana, cogliendo pertanto il mero intentopropagandistico trasfuso dal committente al cronista, che nel tono encomiastico del-le sue parole, nelle spudorate esagerazioni e nei distorti florilegi a beneficio dellopseudocrociato di Sicilia, sarebbe stato il ligio portavoce degli Altavilla e l’esecutoredella loro espansione ideologica.

Notevoli, in effetti, furono gli argomenti enfatizzati dal benedettino di Saint-Evroul per sostenere i suoi più densi brani celebrativi. Innanzi tutto, la narrazione di-venta iperbolica quando si tratta di definire entità e proporzioni numeriche degli op-posti schieramenti, tanto che Amari ironizza sostenendo che «convien dividere per seila cifra dell’esercito nemico e moltiplicare per sei quelle del normanno».51 Ad esem-pio, a parte i dati relativi alla battaglia di Cerami, dove Serlone da solo avrebbe mes-so in fuga un intero esercito, nel 1061 Ruggero, con appena sessanta uomini, sbaragliai musulmani di Messina; a Castrogiovanni settecento normanni annientano i quindici-mila uomini dell’emiro Ibn-Hawwas; nel 1081 Catania, presidiata da ventimila mu-sulmani, venne conquistata da circa centocinquanta cavalieri.52 Tuttavia, il cronista delGranconte quando esagera non pare lo faccia in malafede, considerato che fonti diver-se, e la stessa lentezza nella conquista del Valdemone, indicano un’effettiva esiguità ditruppe normanne e tenendo conto del fatto che, come sostiene Pontieri, «dal vivo del-la voce derivano le informazioni, alle quali egli ricorre per ottemperare ai desideri del

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48. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 33.49. Amari, Storia dei Musulmani, II, p. 89.50. Pontieri, Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, p. XXXVI.51. Storia dei Musulmani, III, p. 97.52. Si vedano i passi in questione in Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 3, 17, 33; III, 30.

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Conte di Sicilia» e «alcuni relatores di Malaterra erano vecchi reduci [...], abituati aquella cosiddetta millanteria, ch’è propria degli uomini di caserma».53

Ma, a questo punto, è necessaria qualche osservazione a proposito delle fonti utiliz-zate da Goffredo Malaterra. Una serie di verifiche ha ormai da tempo dimostrato la pie-na indipendenza dello scritto malaterriano da altre narrazioni coeve, né si hanno daticerti su una presunta cronaca ritmica che avrebbe costituito il modello di alcuni passidel De rebus gestis dalla marcata impronta poetica, come appunto le pagine dedicate al-la battaglia di Cerami con i dodici esametri leonini consacrati alla morte di Evisardo, ni-pote del Granconte.54 O, ancora, la strofa asclepiadea con cui il cronista celebra la pre-sa di Taormina.55 Ma, come dice Benedetto Croce, quelli stabiliti tra poesie e prosa so-no «limiti artificiosi e posticci» e, d’altra parte, la fioritura poetica nel Mezzogiornod’Italia interessò all’epoca persino il linguaggio giuridico e i modi della comunicazio-ne cancelleresca, come sostiene Harry Bresslau, secondo cui «alla stessa maniera deinotai della Francia, quelli italiani usavano arenghe negli atti da loro compilati».56 Un no-tevole brano di prosa ritmica è contenuto nel documento con cui Ruggero, tra il settem-bre 1082 e il marzo successivo, fondava e dotava la sede vescovile di Troina,57 come an-che nel testamento del vescovo catanese Angerio, amico e saldo referente di Malaterra.58

Non sorprende, pertanto, che l’impegno propagandistico del monaco normannosi mostri più vivo nelle congiunture più delicate dell’epopea normanna, per la cuiesposizione egli ricorre pertanto a strumenti di comunicazione di più immediato ef-fetto, come appunto quei versi leonini che lo stesso papa della prima crociata lascia-va intanto entrare in uso nei documenti della cancelleria pontificia.59 D’altra parte, lacultura di Malaterra è di esclusiva formazione ecclesiastica, sicché parecchie rappre-sentazioni cariche di drammaticità ed espressioni ricorrenti (come fortiter agendo,plures sternit, reliquos fugat, victor efficitur), che egli adopera per esaltare l’immagi-ne di Ruggero, ripropongono aforismi e passi del Vecchio e del Nuovo Testamento edevocano piuttosto le imprese dei paladini di Francia, senza quindi rifarsi, se non inmodo estremamente vago e occasionale, a mitiche figure di condottieri dell’antichi-tà. In definitiva, Malaterra stende uno dei resoconti più vivi e affascinanti della sto-riografia mediolatina, mettendo in scena il fascino dell’avventura “precrociata” delGranconte e «aprendo al tempo stesso la strada, col quarto libro dalla sua cronaca, aquella storiografia normanna di tipo “statuale”, che troverà la sua realizzazione piùufficiale nella biografia di Ruggero II dell’abate di Telese» e nel Liber de regno Sici-lie del cosiddetto Ugo Falcando.60

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53. Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, pp. XXXVII ss.54. Goffredo Malaterra, De rebus gestis, II, 23; III, 16.55. Ibidem, III, 20; Pontieri, Prefazione a Goffredo Malaterra, De rebus gestis, pp. XXIV ss.56. Handbuch der Urkundenlehre für Deutschland und Italien, Berlin 1968-1969, I, p. 595.57. A. Amico, I diplomi della Cattedrale di Messina, a cura di R. Starrabba, Palermo 1876-1888,

ad indicem.58. Si veda C.A. Garufi, Carte e firme in versi nella Diplomatica dell’Italia meridionale nei seco-

li XI e XII, in «Studi Medievali», I (1904-1905), pp. 110 ss.59. Ibidem, p. 108.60. D’Angelo, Committenza artistica, p. 7. Cfr., inoltre, M. Oldoni, Mentalità ed evoluzione della

storiografia normanna fra l’XI e il XII secolo in Italia, in Ruggero il Gran Conte, pp. 139-175.

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Fino a questo punto abbiamo analizzato il fenomeno in questione sulla scortadella propaganda per così dire ufficiale, quella cioè che, attraverso i canali dell’ope-ra celebrativa di Goffredo Malaterra, ha diffuso presso vari strati della società l’im-magine eroica del Granconte e la sacralità della sua missione antimusulmana. Ma oc-corre fare una precisazione. Al di là delle altre fonti cronistiche e letterarie verosimil-mente utilizzate da Malaterra e oltre agli spunti probabilmente colti nei resoconti ditestimoni oculari, il cronista di Ruggero I si ispirò senz’altro ai contenuti encomiasti-ci di molti atti ecclesiastici del Valdemone, come pure alle vigorose autocelebrazioniche il Granconte profondeva e per loro tramite diffondeva nei diplomi di donazione econferme a favore di chiese e monasteri. Significativo, in questo senso, quanto osser-vato da Gianvito Resta un po’ per tutta la cultura normanna, cioè che le corti norman-ne tendono a veicolare la cultura ufficiale nelle forme più esaltanti e recepibili dellanarrazione delle res gestae, e s’appoggiano all’attività culturale di propaganda reli-giosa affidata ai monasteri, «mentre l’avvilente arretratezza sociale ed economicadell’isola [...] non consentiva alcuna possibilità di partecipazione alla elaborazionedella nuova cultura».61

Già nel 1088 Ruggero, nel confermare una donazione a beneficio della Chiesaliparese, si intitolava «Rogerius Comes Calabriae et Siciliae Adjutorium Christiano-rum»62 e in ambiente feudale, nel 1095, veniva definito «in Sicilia victoriosissimus».63

Ma richiami più espliciti alla “grandiosa impresa divina”, carichi di vigore evocativoalla stregua di un vero e proprio pamphlet di propaganda, è possibile cogliere nell’at-to di donazione che il Granconte emanò nel 1094 a beneficio del monastero pattese diSan Salvatore.64 Un diploma il cui oggetto pare fornisca piuttosto spunto a Ruggeroper proclamare, attraverso un documento pubblico, il carattere crociato della conqui-sta, la grandiosità dell’impresa e i segni della sua provvidenzialità. Ruggero, infatti,compone un’autentica apologia del proprio sacrificio di fronte a un nemico sanguina-rio, dove dice di aver «meo sanguine fuso adquisita tota Sicilia» e di essere riuscito,«armis divinae potentiae munitus et brachio victoriosae fortitudinis roboratus», adaver ragione della «sarracenorum termositas». Il Granconte conclude il diploma esal-tando ancora il carattere divino dell’impresa e gli effetti provvidenziali della sua azio-ne, che gli aveva consentito di pacificare definitivamente l’isola e di ridare dignità elibertà alle chiese, distrutte «ab impietate nefanda sarracenorum».

Eppure, la duplice abbazia di Lipari-Patti non si caratterizzò come centro di pro-paganda né pare abbia fatto ricorso a sistemi di proselitismo coercitivi per ottenere la

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61. La cultura siciliana dell’età normanna, in Atti del Congresso Internazionale di Studi sulla Si-cilia Normanna (Palermo, 4-8 dicembre 1972), Palermo 1973, pp. 263-278.

62. Pirri, Sicilia Sacra, II, p. 952; Ughelli, Italia Sacra, I, p. 775; il documento, il cui originale forsein greco risulta mancante nell’ACP, è edito in Catalioto, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 1.

63. ACP, F I, f. 19; copia del 1643 in F I, f. 18; edito in White, Il monachesimo latino, p. 383, n. I,e Catalioto, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 7.

64. Il diploma, edito in Pirri (Sicilia Sacra, II, p. 770) e in C.A. Garufi (Memoratoria, Chartae etInstrumenta divisa in Sicilia nei secc. XI a XV, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano», XXXII[1912], p. 79, n. 1), è giunto a noi in una copia del XIII secolo (Catalioto, Il vescovato di Lipari-Patti,Appendice A, nn. 4 e 5).

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conversione della popolazione di confessione o fede diversa. In questo senso, è esem-plare che proprio a Lipari, nel luglio 1117, tra i monaci di San Bartolomeo sia docu-mentata addirittura la presenza di un apostata islamico, F?lippoV mÑnacÒV Ò ¥ra-boV,65 circostanza che segnala un atteggiamento di apertura della Chiesa locale neiconfronti della minoranza musulmana. È necessaria, a questo riguardo, una riflessio-ne su una questione che pare sostanziale. Sino a che punto, cioè, l’immagine degli“arabi oppressori ed empi” rifletta, nel Valdemone, una reale situazione di fatto equanto tale diffusa opinione debba invece ricondursi a una tradizionale condanna deimusulmani alimentata dalla propaganda della conquista, sistematicamente presentenelle concessioni e nei diplomi di conferma relativi alla sede di Lipari-Patti nei primidecenni della sua costituzione. Quanto registrato negli Annales Siculi, impropriamen-te definiti Appendice alla cronaca di Goffredo Malaterra, a proposito di un’azione disaccheggio subita da Patti ad opera di spietati razziatori saraceni guidati da Maimonenell’estate del 1027,66 rimane un episodio isolato nelle pagine della cronaca, né dallahistoria malaterriana si traggono ulteriori dettagli che possano indicare, a carico deglihabitatores della zona, significativi precedenti di un’improbabile “fobia saracena”.

I messaggi antiislamici contenuti nelle carte monastiche del Valdemone, quindi,sembrerebbero effetto di un allineamento squisitamente politico della Chiesa localealle posizioni assunte dagli Altavilla in merito alla questione demica. Questa tesi tro-va conferma a partire dagli anni Sessanta del XII secolo, quando, in seguito alla con-giura esplosa a corte nel marzo 1161, la rivolta feudale si tinse di rabbia xenofoba ele nuove tensioni etniche alimentarono una nuova ondata di propaganda antimusul-mana.67 Induce a riflettere, ad esempio, il fatto che il vescovo Gilberto di Lipari-Pat-ti, nell’atto con cui nell’ottobre 1164 vendeva al burgensis regius Malgerius un im-mobile situato presso la Porta palermitana di Sant’Agata, dichiarasse senza mezzi ter-mini che la vendita era stata determinata dalla vicinanza di una domus saracena, cherendeva il quartiere «indecoroso e disonesto»,68 sebbene l’alienazione fosse stata inverità indotta da un momentaneo dissesto economico della sede episcopale. Ancora

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65. Originale greco mancante dall’ACP; copia con traduzione latina in S. Cusa, I diplomi greci edarabi di Sicilia pubblicati nel testo originale, tradotti e illustrati, Palermo 1868 e 1882 (ed. a cura di A.Noth, Köln-Wien 1982), p. 512, n. 3 e G. Spata, Diplomi greci siciliani inediti, Torino 1871, p. 18, n. 1.Edizione divergente dalla copia dell’ACP in R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia daitempi normanni sino ai presenti, in Id., Opere scelte, Palermo 1845, p. 118, n. 1 (cfr. Catalioto, Il vesco-vato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 19).

66. «Anno Domini MXXVII, decimo sexto Kalendas augusti, gaytus Maymonus Hispanus, sarace-nus, Pactas et terram Syracusanam infra dies septem vastavit, praedavit et incendit, utriusque sexus dehominibus partem occidit et partem captivavit» (Goffredo Malaterra, De rebus gestis, IV, 23-24); sullascorreria del saraceno Maymûn si veda pure M. Amari, Storia dei Musulmani, III, p. 395.

67. Cfr. Tramontana, La monarchia, pp. 189 ss. L’escalation dell’odio xenofobo seguì un percorsoche, partendo dalle vicende del 1160-1161 a Piazza e Butera, quando i “lombardi” scacciarono i musul-mani dalla Sicilia orientale, passò dalla caccia agli islamici nel 1190, quando la rivolta divampò nelleterre dell’interno, sino alle continue perturbationes del lungo periodo 1198-1208 e, ancora oltre, alla de-finitiva azione antimusulmana condotta negli anni Venti del Duecento da Federico II.

68. Era una casa, cioè, «cuius vicinia monachis per multum erat indecens et inhonesta» (Catalio-to, Il vescovato di Lipari-Patti, Appendice A, n. 57).

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più densa di significati, infine, appare una donazione a beneficio del vescovo Pietro,disposta nel 1171 dal barone di Petrano e familiare regio Anfuso de Lucci, la cuistruttura compositiva si rifà al modello delle prime concessioni del Granconte e neamplifica l’eco della propaganda ideologica, proprio nel momento in cui il diffusoclima di intolleranza etnica cresceva.69 Il feudatario, infatti, torna a parlare con ana-cronismo della «insuperabile forza» del Granconte, del suo «potentissimo bracciovittorioso», del sangue da lui versato per liberare l’isola a sevissima Sarracenorumtyrannide, dell’impegno profuso nella ricostruzione delle chiese a nefanda barbariedirute. Una visione, questa, trasmessa in modo strumentale e senza aderenza ad attua-li condizioni di fatto, ma segno evidente che la propaganda antimusulmana costruitanegli anni del Granconte era stata efficace, se a distanza di quasi un secolo i suoimessaggi, recepiti sia in ambiente monastico che feudale, venivano riproposti fedel-mente, immutati persino nelle formule linguistiche.

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69. Ibidem, n. 58. I precedenti scritti cui il documento si collega erano stati vergati a Mileto il 3giugno 1091 (ibidem, n. 2), a Messina nei primi mesi del 1094 (ibidem, n. 4) e il 6 marzo 1094 (ibidem,n. 5).

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