madrugada - macondo · 2019. 11. 11. · 32 anno 8 dicembre 1998 rivista trimestrale...

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32 anno 8 dicembre 1998 rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la comunicazione tra i popoli MADRUGADA Non è arrivato il momento di rinunciare perché l’incontro è inesauribile. Rimarrò fin dopo la battaglia. Da ogni dolore nasce l’attesa, il pianto trasformiamo in forza in coraggio le ferite da spada e da oblio. Non moriamo in questo sforzo, rinasciamo in ogni voce che ti pronuncia e diventiamo vento per ogni vela. Porterò il mio centro ovunque. Sazierò la mia sete al pozzo di tutti. Unirò il mio canto ad altri canti. Costruirò la parte che mi tocca. Giungerò con la luce del tramonto.

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Page 1: MADRUGADA - Macondo · 2019. 11. 11. · 32 anno 8 dicembre 1998 rivista trimestrale dell'associazione per l'incontro e la comunicazione tra i popoli MADRUGADA Non è arrivato il

32a n n o 8

d i c e m b r e 1 9 9 8

r i v i s t a t r i m e s t r a l e d e l l ' a s s o c i a z i o n e p e r l ' i n c o n t r o e l a c o m u n i c a z i o n e t r a i p o p o l i

MADRUGADA

N o n è a r r i v a t o i l m o m e n t o d i r i n u n c i a r ep e r c h é l ’ i n c o n t r o è i n e s a u r i b i l e .R i m a r r ò f i n d o p o l a b a t t a g l i a .

D a o g n i d o l o r e n a s c e l ’ a t t e s a ,i l p i a n t o t r a s f o r m i a m o i n f o r z a

i n c o r a g g i o l e f e r i t e d a s p a d a e d a o b l i o .

N o n m o r i a m o i n q u e s t o s f o r z o ,r i n a s c i a m o i n o g n i v o c e c h e t i p r o n u n c i a

e d i v e n t i a m o v e n t o p e r o g n i v e l a .

P o r t e r ò i l m i o c e n t r o o v u n q u e .S a z i e r ò l a m i a s e t e a l p o z z o d i t u t t i .

U n i r ò i l m i o c a n t o a d a l t r i c a n t i .C o s t r u i r ò l a p a r t e c h e m i t o c c a .

G i u n g e r ò c o n l a l u c e d e l t r a m o n t o .

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S O M M A R I O

3 c o n t r o l u c eIl centro del mondola redazione

4 angolo d i l e t turaLa coscienza del limitedi Enzo Demarchi

7 d e n t r o i l g u s c i oInterculturalitàdi Arnaldo De Vidi

10 c o n f r o n t o t r a c u l t u r ePer un umanesimo meticciodi Mario Bertin

13 u n l i b r oUna nuova Babele e una nuovaGerusalemmedi Dzevad Karahasan

15 c o n t r o c o r r e n t eDopo l’omologazione della Torredi Giuseppe Stoppiglia

18 p e r n a t a l eIl sangue in fiammedi Miguel Angel Mendoza Kuauhkoatl

19 i n c e r c a d ’ a l iE in piazza c’era leidi Ivo Grande

21 i t i n e r a r iIl popolo bambinodi Egidio Cardini

23 c o r r i s p o n d e n z eLa diversità corresu frequenze compatibilidi Yarona Pinhas

25 d i a r i o m i n i m oOnore ai soldatini vigliacchidi Francesco Monini

27 n o t i z i eMacondo e dintornidi Gaetano Farinelli

31 r e d a z i o n a l eI capogiridi Chiara Cucchini

direttore editorialeGiuseppe Stoppiglia

direttore responsabileFrancesco Monini

comitato di redazioneOrtensio AntonelloStefano BenacchioGaetano Farinelli

collaboratoriMario Bertin

Corrado BorsettiEnzo DemarchiAndrea GandiniEttore Masina

progetto graficoAndrea Bordin

stampaLaboratorio Grafico BSTRomano d’Ezzelino (Vi)

Stampato in 2.400 copieChiuso in tipografia il 23 novembre 1998

Registrazione del Tribunale di Bassano n. 4889 del 19.12.90La redazione si riserva di modificare e abbreviare i testi originali.

Studi, servizi e articoli di “Madrugada” possono essere riprodotti,purché ne siano citati la fonte e l’autore.

MADRUGADA32

a n n o 8d i c e m b r e 1 9 9 8

Via Romanelle 12336020 Pove del Grappa (Vi)

telefono 0424 80.84.07fax 0424 80.81.91c.c.p. 12794368

E-mail: [email protected]://www.nsoft.it/macondo

sede in Brasilecasa di accoglienza“G.F. Del Giovane”

Grajaù - Rio de Janeirotel./fax 0055 21 288.66.93

Hanno scritto fino ad oggi su Madrugada:Alberton Diego, Alunni Istituto Alberghiero Abano Terme, Alves DosSantos Valdira, Amado Jorge, Anonimo peruviano, Anonimo, AntonelloOrtensio, Arveda Gianfranco, B.D., Benacchio Stefano, Bertin Mario,Bertizzolo Valeria, Bianchin Saul, Bordignon Alberto, Boschetto Benito,Braido Jayr, Brighi Cecilia, Brunetta Mariangela, Callegaro Fulvia,Camparmò Armida, Cardini Egidio, Castellan Gianni, Cavalieri Massimo,Ceccato Pierina, Chierici Maurizio, Colagrossi Roberto, Colli Carlo,Corradini Luca, Correia Nelma, Cortese Antonio, Crimi Marco, CrostaMario, Cucchini Chiara, Dalla Gassa Marcello, Dantas Socorro, DeLourdes Almeida Leal Fernanda, De Marchi Alessandro, De Silva Denisia,De Vidi Arnaldo, Del Gaudio Michele, Demarchi Enzo, Di FeliceMassimo, Di Sante Carmine, Dos Santos Isabel Aparecida, Eunice Fatima,Eusebi Gigi, Fabiani Barbara, Farinelli Gaetano, Ferreira Maria Nazareth,Figueredo Ailton José, Fiorese Pier Egidio, Fogli Luigi, Fongaro Claudioe Lorenza, Furlan Loretta, Gandini Andrea, Garbagnoli Viviana, GarciaMarco Aurelio, Gattoni Mara, Gianesin Roberta, Gomez de Souza LuizAlberto, Grande Ivo, Gravier Olivier, Grisi Velôso Thelma Maria,Guglielmini Adriano, Gurisatti Paolo, Lazzaretto Marco, LazzarettoMonica, Lazzarin Antonino, Lazzarini Mora Mosé, Lima Paulo, LupiMichela, Manghi Bruno, Marchi Giuseppe e Giliana, Margini Luigia,Masina Ettore, Masserdotti Franco, Mastropaolo Alfio, Matti Giacomo,Medeiros J.S. Salvino, Mendoza Kuauhkoatl Miguel Angel, MenghiAlberto, Miguel Pedro Francisco, Milan Mariangela, Milani Annalisa,Miola Carmelo, Monini Francesco, Montevecchi Silvia, Morelli Pippo,Morgagni Enzo, Mosconi Luis, Murador Piera, Ortu Maurizio, P.R., PagosMichele, Pase Andrea, Pedrazzini Chiara, Pedrazzini Gianni, PegoraroTiziano, Peruzzo Dilvo, Peruzzo Krohling Janaina, Peyretti Enrico, PinhasYarona, Pinto Lúcio Flávio, Plastotecnica S.r.l., Ramaro Gianni, RamosValdecir Estacio, Ripamonti Ennio, Rossetto Giorgio, Ruiz Samuel,Sansone Angelica, Santarelli Elvezio, Santiago Jorge, Sartori Michele,Sbai Zhor, Scotton Giuseppe, Sella Adriano, Sena Edilberto, SeratoStefano, Simoneschi Giovanni, Sonda Diego Baldo, Spinelli Sandro,Stanzione Gabriella, Stoppiglia Giuseppe, Stoppiglia Maria, Stradi Paola,Tanzarella Sergio, Tessari Leonida, Tomasin Paolo, Tonucci Paolo, TosiGiuseppe, Trevisan Renato, Turcotte François, Turrini Enrico, VulteriniStefania, Zanetti Lorenzo, Zaniol Angelo, Zanovello Ivano.

copertina

versi di Jorge Santiago

fotografie

Adriano Boscato

I capogiri

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Caro lettore e cara lettrice,

abbiamo lanciato una grande rete ed abbia-mo pescato pesci piccoli e pesci colorati; nonportano i numeri della fortuna sulla coda, por-tano voci di terre lontane e mari prossimi.

Enzo Demarchi in La coscienza del limite rac-conta una storia nota, con la regia insolita direndere avvincente una storia conosciuta, cheera passata sotto i nostri occhi sonnolenti, comela sequenza di un film vecchio e ingiallito. Con-frontarsi con il nostro limite. E qui cadiamo nel-la rete anche noi; una rete a maglie larghe, amaglie strette; ed è come un labirinto ed una si-rena; un gioco di specchi ed una folgorazione.

Arnaldo De Vidi intesse la rete e rimanda aigiochi complessi che gli uomini costruiscononel tempo e tra le loro case, con il guscio di “In-terculturalità”, monografia im-perfetta del numero trentadue.Per la maglia stretta della miacultura entro in un mare gran-de, dove le correnti sono im-petuose e i fondali profondi adismisura.

E vorrei dare un nome unicoalle cose, per trovare la dire-zione; e mi si presentano pescidagli occhi nuovi e sulla codaportano mille colori nel lavorodi Mario Bertin, saggio su di unmondo che annega ed emergeforse dagli imperi dell’omolo-gazione: Per un Umanesimometiccio. Filtra un raggio di lu-ce rossa; forse una granata cheillumina, sotto un ponte, unacittà, luogo di incontro, untempo, prima della guerra dimolte lingue, di tante culture.E Sarajevo ricompare nel librodi Dzevad Karahasan, Il centrodel mondo.

Novembre, ed è tempo di mi-grazioni per i pesci, che si tuf-fano in Controcorrente di Giu-seppe Stoppiglia, per cercare leacque dolci, senza perdere laloro interiorità, la loro identità;e trovare una nuova Sarajevo,

in fuga Dopo l’omologazione della Torre.Yarona , da Israele, scrive una lettera che è di-

retta a Giuseppe, a Macondo, ma è diretta aciascuno che ha fatto del suo cuore un mare,un’insenatura dove trovino riparo le zattere dipiccolo cabotaggio costrette a navigare in ma-re aperto, e che trasportano il grande tesorodella vita.

In fondo al mare incontrare Natale fa strano;perché faticano le cornamuse a suonare; e ca-dono corpi sul fondo bluastro, dispersi da unodio cupo di secoli, che esplode come folgoresui corpi dei Maya, nella lirica di Kuauhkoatl.

Di stanza nella grande piazza del medioevo,Ivo Grande incontra truppe militari che alzanoreti per catturare volatili e selvaggina al passo,giovane. In A colloquio con Naja si sforza diparlare ad un generale “pacifico”, che conosce

fino in fondo le tecniche dellapace, difesa dalla guerra; s’of-fende il buon senso forse, ma ilbimbo si diverte, e nel giuocoimpara le tecniche del massa-cro. Ma noi, intanto, con Mo-nini, ci mettiamo sull’attentiper rendere Onore ai soldatinivigliacchi.

Nelle strade di Salvador, Egi-dio Cardini incontra folle diuomini e di donne, allegri espensierati come bambini; bel-li e indifesi, come fanciulli nel-le strade di Rio; la rivolta deipoveri esploderà, e non avrà icaratteri della nostra rabbia,ma la forza travolgente de Ilpopolo bambino. Vibra sul-l’onda la cantilena del canta-storie inatteso; e l’onda d’ago-sto pregna di fosforo scossa etremula brilla nella notte distelle cadenti.

Conclude Chiara Cucchinicon I capogiri, che illustrano lefotografie di Adriano Boscato ela nostra crociera modesta, ilviaggio oltre l’onda cupa del-l’incomunicabilità.

La redazione

Il centro del mondoScorrendo le pagine di Madrugada

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c o n t r o l u c e

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La paraboladel figlio prodigo

Gli atteggiamenti assunti dall’uomonei confronti della «coscienza del li-mite» vengono esemplificati nel rac-conto della parabola del figlio pro-digo.

La coscienza del proprio limite edella propria indigenza è «la piùgrande intimità che l’uomo possaraggiungere con se stesso. Questo ri-conoscimento è creativo nel sensopieno del termine: ricrea l’essere,non lo incrimina. Questo ri-conosci-mento riscatta e sostiene l’essere, lori-crea. Non reca danno alla condi-zione esistente. Esattamente al con-trario, la coscienza del limite offrecalore all’essere fragile dell’uomo...Davanti al difetto la coscienza del li-mite non dà l’ultimo colpo all’esseremettendo in evidenza l’errore, ma lorammenda sottolineando il perdono.Ciò che sorprende nella coscienza

del limite è la sua capacità di arriva-re a reclamare dei beni per il ‘colpe-vole’ e di ‘fare festa’».

La parabola del figlio prodigo vienedunque analizzata come un «docu-mento ufficiale» sulla coscienza dellimite. Il segreto della parabola è ilperdono: perdonare è la forma più te-rapeutica e più rivoluzionaria chequesta storia reca all’umanità. Il lin-guaggio del limite, nel quale rientrala parabola, è abile nel captare quel-la parte molto estesa della vita che sipresenta vulnerabile, inevitabilmenteperdente e apparentemente insensa-ta. La parabola difende così la inutileessenzialità della vita. In essa le ra-gioni del torto prevalgono sulle ra-gioni della ragione. Chi perde è lostesso che vince e chi non perde è lostesso che in definitiva risulta per-dente.

Sottrarsiad ogni controllo

La parabola mette in evidenza tre pro-totipi di schemi mentali in rapporto allimite: il figlio minore incarna la fi-gura di chi elude il limite, non ne tie-ne conto, lo ignora; il padre si pre-senta come il prototipo della co-scienza del limite; il fratello maggio-re si rivela il prototipo del rifiuto dellimite.

Stufo del panorama d’ogni giorno,della protezione familiare, soffocatodal mondo che lo circonda, il figliominore ‘trasgredisce’ gli usi e costu-mi locali e chiede prima del tempola distribuzione dell’eredità paterna.Disamore per la sua famiglia, desi-derio di sottrarsi a qualsiasi control-lo da parte dei suoi, voglia di andareincontro al massimo di novità. Speri-mentò tutto quello che poté. ‘Vivereda dissoluto’ è un’espressione in cuila realtà supera ogni fantasia. Le co-se si complicarono in maniera natu-

La coscienza del l imiteTerapia dell’imperfezione (applicazione)

di Enzo Demarchi

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a n g o l o d i l e t t u r a

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rale. Il ‘figlio di papà’ andò a sbatte-re nei limiti della vita. Fino a quelmomento non aveva ancora scoper-to l’esistenza del lavoro, quando unpadrone di porci lo mandò a pasco-larli nei suoi campi. Badare a deimaiali, per un ebreo, era peggio chepulire cessi in un lebbrosario: stavapraticamente consacrando la vita (lasua perla più preziosa) ai porci! Ge-sù accentua l’estrema condizione dipena in cui si trova il protagonista:«Avrebbe voluto saziarsi con le car-rube che mangiavano i porci, ma nes-suno gliene dava» (Lc 15,16). ‘Nes-suno aiuta’ significa che tutti sonopronti a condannare, tutti accusano.Quale il passo successivo, che il pub-blico già prevedeva e pregustava? Lacolpa! E la parabola soddisfa questaimperiosa necessità degli uditori(15,17-19). Quale intima soddisfa-zione suscita in chi si considera giu-sto il riconoscimento della colpa daparte dell’altro! Non solo: ricono-sciuta la propria colpa teologica e an-tropologica («Padre, ho peccato con-tro il cielo e contro di te» 15,18), iltraviato, a consolazione delle perso-ne pie, esprime la più completa disi-stima della propria persona: «Non so-no più degno di essere chiamato tuofiglio. Trattami come uno dei tuoi gar-zoni» (15,19).

E ora,la punizione esemplare

Ma quando il giovane s’incamminaverso suo padre, e l’uditorio lo segueper non perdersi l’incontro, il mo-mento della punizione che tutti siaspettano, ecco la scena cambiareimprovvisamente. La figura che all’i-nizio della parabola era rimasta com-pletamente nella penombra e nel si-lenzio (un silenzio... scandaloso: nes-suna osservazione, nessun ostacolo,nessuna indicazione perché il figlionon abbia a perdersi... Ma che tipodi pedagogia usa questo padre? Co-nosce davvero la psicologia del fi-glio?) balza ora in primo piano:«Quand’era ancora lontano, il padrelo vide e commosso gli corse incon-tro, gli si gettò al collo e lo baciò»(15,20). È un anziano, ma si mette acorrere. Si trovava lontano, ma lo vi-de. Invece di esprimere risentimento,prova compassione. Non rimanefreddo, come solitamente la personaoffesa, ma gli si getta al collo, lo ab-

braccia e lo bacia. Un grande scom-bussolamento dev’essersi prodottonell’animo degli ascoltatori: perché ilpadre riceve con tanta cordialità unsimile figlio? Da dove arriva questoparassita? Non ha forse condotto unavita disordinata all’estero? Può darsisia solo il saluto, e quando il figlio fala sua confessione (15,21), la gentepensa che adesso verrà il bello. Inve-ce la sorpresa giunge al colmo: nellavolontà del padre non compare unpizzico di punizione. Al contrario,sembra preso dalla precipitazione difar festa: «Presto, portate qua il vesti-to più bello e rivestitelo, metteteglil’anello al dito e i calzari ai piedi»(15,22). Ogni azione del padre vacontro le aspettative dell’uditorio. Ilfiglio minore confessa la sua colpa eil padre non la «riflette». Il padre nonsolo si astiene dal condannare, maperdona alla grande (15,23). Alla co-noscenza segue il perdono. Il padredota il figlio di ciò di cui ha mag-giormente bisogno: vestito, per ricu-perare la sua condizione «regale»;anello, per ricordare la sua condi-zione di figlio; calzari per non sen-tirsi schiavo, ma libero.

Silenzioe compassione

Il padre si presenta come il prototipodella coscienza del limite. È l’unicopersonaggio della storia totalmentenuovo. La sua comparsa nella narra-zione è preceduta o accompagnatadal silenzio. Per quale motivo non siarrabbia contro il colpevole? Perchéquando il figlio inesperto gli chiedela sua parte di eredità non gli rove-scia addosso tutta la sua sapienza? Ilsilenzio fa parte della pedagogia delpadre. Non è una pedagogia compli-cata, ma certamente una pedagogiache ammette la complicazione. Nonè un padre che «programma» i suoifigli, ma che permette a ciascuno didiventare adulto, di correre i propririschi, di credere e inventare la pro-pria vita. Figli capaci di scegliere dasoli. È la pedagogia dell’uomo libe-ro, che diventa responsabile attraver-so la propria libertà. Libertà e re-sponsabilità sono inseparabili dallacoscienza del limite. Ma in questocaso ‘limite’ significa preferenza perl’umano. Il sistema mentale del pa-dre si esprime non a parole ma a fat-ti, nell’amore di compassione. L’at-

teggiamento valido davanti a un uo-mo, minore o maggiore che sia, è ilrispetto della sua indigenza. L’espe-rienza dell’altro dev’essere oggetto dicomprensione e di compassione. Lapedagogia consiste nell’insegnare avedere le cose non in base al morali-smo della ragione o all’intellettuali-smo della perfezione, ma in base al-la compassione.

Il perfezionista

Il terzo personaggio della parabola, ilfiglio maggiore, si rivela il prototipodel rifiuto del limite. Ancorato alla co-noscenza dell’errore, egli finisce percondannare il colpevole e per esalta-re se stesso, per il fatto di non essersiinfangato. Legato al senso del dovere,il perfezionista richiede l’altrui colpaperché è un soggetto privo di miseri-cordia. Mentre per il padre, il minoreera tornato più ricco di quando sen’era andato (se n’era andato igno-rando il limite, tornava col limite co-me compagno della sua esistenza),per il fratello maggiore, il minore eratornato più disgraziato che mai. C’èqualcosa di differente nella vita delfratello minore. Non c’è nulla di cam-biato nella vita del fratello maggiore,che continua nell’ignoranza dellarealtà più ovvia e quotidiana della suaesistenza: «Tu sei sempre con me - ri-sponde il padre al primogenito - e tut-to ciò che è mio è tuo». Aveva tutto aportata di mano. Era proprietario diqualcosa di più grande del patrimo-nio e dei beni che amministrava: pos-sedeva la comprensione del padre perun figlio che si riteneva perfetto. Manon riconosceva questa verità, non lavedeva. Ragionava troppo, intuivatroppo poco.

Riassumendo, possiamo vedere neitre personaggi della parabola gli ele-menti o istanze presenti nel nostro si-stema mentale. Il figlio minore è l’i-stanza di evadere sovente dai confinidella vita, istanza che permetterà unacomprensione più profonda della vi-ta, suscitando la dinamica dell’ap-prendimento mediante errori. Il figliomaggiore rappresenta la tendenza co-stante al rimprovero, l’inestirpabileistanza di diventare impeccabile: unavera pazzia che può venire in mentesolo a una mentalità clericale. Il pa-dre misericordioso è l’unica istanzacapace di offrire compassione al mi-nore e comprensione al maggiore, l’i-

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a n g o l o d i l e t t u r a

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stanza della coscienza del limite. Ilpadre tollerò la possibilità dell’eva-sione; forse la sua stessa esperienzagli aveva dimostrato l’essenzialità del-l’errore nella vita dell’uomo. L’istan-za del padre misericordioso è la stra-tegia per vivere con entrambi i figli:col volubile figlio minore e con l’in-tollerante figlio maggiore; con il di-sordinato e con l’ansioso di poter tut-to controllare; con quello che fa ma-le le cose e con quello che si accostaalla vita sulla base del «dovrei»; conquello che si avverta spontaneamen-te nel rischio e con quella parte ste-reotipata di noi che non ci dà il per-messo di essere.

Concludendo: scienza,tecnica, compassione

Accogliere la propria indigenza di-venta l’espressione etica più alta chepossa esprimere l’uomo. Qualsiasi al-tro dovere viene al secondo posto;primo dovere è di essere un essere fi-nito. In seguito all’incontro col padre- istanza che opera il miracolo del-l’accettazione di sé - l’esperienza

umana del figlio minore diverrà inse-parabile dal perdono. Mentre il pen-timento poggia sulla realtà dell’esse-re, la colpa, quando giunga a preva-lere, umilia l’essere. La colpa ha lesue radici nella superbia dinanzi al li-mite, non nella verità della realtà.Quando l’uomo emette un giudiziodi condanna contro se stesso si de-stina alla morte, all’abolizione diquello che è. L’odio di se stesso nonè un merito; non perdonarsi è unpeccato di lesa umanità. Contro laspiritualità della perfezione (distilla-ta nel nostro sistema mentale dall’i-stanza del fratello maggiore), quelladel figlio minore perdonato (perdonoofferto dall’istanza del padre miseri-cordioso) si converte in espressionedella spiritualità della povertà. Rico-

noscere le nostre «frontiere» è il mo-do di praticare l’istanza del padre mi-sericordioso. Quando ci offendiamo,sia a causa del figlio minore che delmaggiore, non siamo misericordiosi.Se la compassione non abbracciacompletamente la nostra realtà, nonè una compassione salutare, ma for-male e vuota.

Non c’è bisogno di conclusione(che sarebbe ancora, in questo caso,una ricerca di... perfezione concet-tuale). Solo il desiderio e l’auspicioche il vero dialogo interculturale (dia-logo tra persone) associ alla necessa-ria ricerca di perfezione dei mezziper vivere, voluta dalla scienza e dal-la tecnica (homo sapiens e homo fa-ber), la profonda e semplice acco-glienza del limite della vita umana,perché i mezzi di civiltà abbianosempre a servire la comprensione ela compassione per l’uomo «in carneed ossa».

Enzo Demarchiesperto di letteratura

sudamericana.Vive nella provincia di

Ferrara.

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a n g o l o d i l e t t u r a

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La non leggerezza della cultura

Nel 1952 Kroeber e Kluckhohn elen-carono quasi 300 definizioni di cul-tura e ne analizzarono 164. Altre de-finizioni furono elaborate in seguito,senza numero.

C. Geffré definisce la cultura così:«Un vincolo invisibile, però moltostretto, che unisce una persona aisuoi predecessori, contemporanei esuccessori. Appartenere a una cultu-ra equivale a radicarsi in una tradi-zione concreta, essere invitato adabitare il mondo con un determinatolinguaggio».

Nel suo libro Filosofia e cultura del-l’Europa di domani, G. Battista Mon-din scrive: «Secondo la definizione diChristopher Dawson, la cultura è “laforma di una società”: è ciò che uni-sce tra di loro i membri di un grupposociale, un popolo, una nazione e, al-lo stesso tempo, li distingue dai mem-bri degli altri gruppi sociali. Così, peresempio, la cultura francese è ciò cheunifica e distingue i francesi, la cul-tura tedesca i tedeschi, la cultura po-lacca i polacchi, la cultura croata icroati, la cultura ucraina gli ucraini.Si tratta di un vincolo profondo, vita-le: è l’anima di un popolo, di una na-zione. Per essa si è quindi disposti apagare qualsiasi prezzo: per essa sicombatte e si muore. […] La culturaè una realtà estremamente comples-sa, in quanto abbraccia tutto ciò chela genialità e l’operosità di un popo-lo riesce a produrre: dalle scarpe, […]ai monumenti, […] alla televisione».

La tazza e l’arco

Per comprendere cos’è cultura, lametafora illustra meglio della defini-zione.

La cultura è una tazza. Un pelleros-sa disse (all’etnologa Ruth Benedict):«Dio diede ad ogni popolo una bel-

lissima tazza, ciascuna diversa dallealtre. Grazie alla propria tazza, ognipopolo può attingere l’acqua della vi-ta. La nostra tazza è stata rotta e noisiamo destinati a morire».

La cultura è un arco. Un discepolochiese al suo maestro: «Cos’è cultu-ra?». Il maestro non rispose verbal-mente, ma scoccò tre frecce: su un al-bero, sulla silouette di una persona esu un’alta figura totemica. Quindi di-segnò tre bersagli intorno alle frecce.Il discepolo si inchinò in segno di rin-graziamento. Aveva capito: cultura èil rapporto di un popolo con la natu-ra circostante, con i suoi simili (il suogruppo sociale) e con il mondo sim-bolico. Inoltre ogni popolo ritiene diaver centrato perfettamente il rappor-to con le tre realtà.

Le due metafore ci fanno capire chela cultura è vitale, globale e… ten-denzialmente etnocentrica, cioè ognigruppo ritiene che la sua cultura siala migliore. Relativismo e dialogo cul-turali non sono spontanei; devonoquindi essere oggetto di una propostaeducativa. «Il concetto di intercultu-ralità, per il pedagogista, è un con-cetto forte, perché interculturalità nonappartiene ai fenomeni naturali, madev’essere voluta e provocata» (Duc-cio Demetrio).

Quale futuro per le culture

«Oggi abbiamo estremo bisogno dimondiologhi» - disse Ernesto Sabato.Chi scrive su questo tema diventa fa-moso e vende bene. Ma mondiologhidobbiamo diventare tutti. Significa di-ventare «esperti in umanità» (PaoloVI) in un’era in cui il mondo è diven-tato villaggio globale.

Parlando di interculturalità nella so-cietà odierna , ci sono posizioni dif-ferenti.

C’è chi propone una megaculturabasata sull’economia e la comuni-

Interculturalità

di Arnaldo De Vidi

7

d e n t r o i l g u s c i o

«Oh, il peso della cultura

non è piccolo!

La cultura ha quasi

il peso del mondo!».

«Il nostro primo compito

nell’avvicinarci

ad un altro popolo,

ad un’altra cultura,

ad un’altra religione,

è toglierci le scarpe, perché

il luogo al quale ci stiamo

avvicinando è sacro.

Qualora non ci

comportassimo così,

correremmo il rischio

di schiacciare il sogno altrui.

Peggio ancora: correremmo il

rischio di dimenticarci

che Dio già stava lì,

prima che noi arrivassimo».

[Anonimo latinoamericano]

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cazione, e la definisce come il pun-to d’arrivo della storia (FrancisFukuyama).

Altri propongono di limitare la con-vivialità e riconoscere che ci sonoculture incompatibili come quellaconfuciana, islamica e occidentale(Samuel Huntington).

Altri chiedono ogni sforzo per l’uni-versalismo, denunciando una perni-ciosa tendenza attuale al fondamen-talismo (Fernando Savater).

Altri, partendo dal fatto della plane-tarizzazione dei problemi che con-cernono natura, società e simboli,concludono che la cultura non puòpiù essere regionale, ma planetaria(Ernesto Balducci).

Altri, infine, parlano del “villaggiomondo” dove per sopravvivere civuole una visione olistica, un’analisisistemica dei problemi e un interven-to sinergico nelle soluzioni, in vistadella triade pace, sviluppo e ambien-te (Johan Galtung).

Fra tante proiezioni dobbiamo trac-ciare il nostro cammino:

1. interculturalità non significa mi-nimamente adesione alla megacultu-

ra. Essa comincia con l’accettazionedelle differenze in casa, a scuola, nel-la regione, nella nazione, con il radi-camento locale, il dialetto…; dobbia-mo scongiurare il ripetersi di ciò cheavvenne nella conquista dell’Ameri-ca: la morte di centinaia di culture;

2. occorre rivisitare criticamentecerti stereotipi (il nero, il barbaro, lozingaro, il terrone…) e rileggere lastoria partendo da un approccio in-terculturale e dall’ermeneutica del-l’altro;

3. occorre riconoscere che ogni cul-tura è buona e limitata, può quindi ar-ricchirsi del dialogo con le altre, acondizione che sia libera e abbiachiara la sua identità (la nostra cultu-ra avrà molto da ricevere dalle “cul-ture di sobrietà”);

4. bisogna avere il coraggio anchedel dialogo interreligioso.

Dal limite al dialogo –Harry Truman

Ma il vero dialogo, quello fecondo efraterno, è possibile quando le cultu-

re si incontrano sullo stesso piano,senza complessi di superiorità/infe-riorità. In altre parole, io devo acco-stare le altre culture con la coscienzache la mia è degna, valida e… limita-ta. Infatti, il dialogo è possibile solotra due poveri. Se io mi considero po-vero e povero si ritiene anche il miointerlocutore, allora nell’incontro ciarricchiamo vicendevolmente. Quipovero non vuol dire miserabile, pi-tocco, ma limitato. Il povero ha unasua dignità; nel nostro caso, occorreche colui che dialoga abbia chiara lasua dignità e identità, senza la qualené può arricchire l’interlocutore, néricevere con la necessaria libertà i do-ni dell’interlocutore che gli possonoessere utili. La storia ha registrato piùdi un dialogo mancato.

Riteniamo, per esempio, il 20 gen-naio 1949 una data molto triste dellanostra storia recente. Il presidente de-gli Stati Uniti, Harry Truman, lanciò ilPoint Four del suo Development Act,nel quale si diceva disposto ad aiuta-re i paesi del Sud del mondo perchéerano sottosviluppati. In quell’occa-sione il mondo fu diviso in due parti

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sulla base dell’economia e della tec-nologia, dimenticando le culture disobrietà dei popoli del chiamato ter-zomondo. Solo ora stiamo prenden-do coscienza della tragedia provoca-ta da quell’atto: durante quasi cin-quant’anni i popoli del Sud accetta-rono di vedere se stessi come “pitoc-chi”. Rimasero “in via di sottosvilup-po” proprio per questo equivoco; per-dendo la loro cultura-identità, la lorosituazione generale è peggiorata; èpeggiorata perfino la loro situazioneeconomica.

L’inteculturalità che cos’è

Abbiamo seminato molti elementi,come fili, sulla natura dell’intercultu-ralità. Adesso si rende necessario an-nodarli per avere una visione d’insie-me. Per capire cos’è interculturalità,possiamo dire prima cosa non è.

Ci sono situazioni in cui non si am-mette pluralità, c’è un graduale pro-cesso di azzeramento delle differen-ze in favore del monoculturalismo.Questa non è interculturalità, maomologazione o pensiero unico.

Ci sono situazioni in cui gruppi cul-turali diversi coesistono l’uno accan-to all’altro senza necessariamente in-teragire tra di loro, se interagiscono lofanno con un rapporto oggettuale,estrinseco, cumulativo, enciclopedi-co. Questa non è interculturalità, mamulti o pluriculturalità.

Ci sono situazioni dove persone diculture diverse interagiscono. Lo fan-no intenzionalmente, dentro di un pro-getto educativo, frutto di una scelta. Lofanno con rapporto soggettuale, intrin-seco, interattivo, epistemico. Questa èinterculturalità (cfr. A. Nanni, L’educa-zione interculturale oggi in Italia, EMI,Bologna 1998, pagg. 27-30).

Non mancano documenti che par-lano di interculturalità. Specialmentedecreti e circolari del Ministero dellaPubblica Istruzione. Ci limitiamo a ri-portare un passo della circolare n. 73del 2 marzo 1994 che annota pun-tualmente: “È da sottolineare che l’e-ducazione interculturale non si esau-risce nei problemi posti dalla presen-za di alunni stranieri a scuola, ma siestende alla complessità del confron-to tra culture, nella dimensione euro-pea e mondiale dell’insegnamento, ecostituisce la risposta più alta e glo-bale al razzismo e all’antisemitismo.Essa comporta la disponibilità a co-

noscere e a farsi conoscere, nel ri-spetto dell’identità di ciascuno, in unclima di dialogo e solidarietà”.

Sull’interculturalità si è pronunciata,in termini felici, la Commissione Giu-stizia e Pace (della CEI): “In primo luo-go è da richiamarsi la responsabilitàdei luoghi e delle forze educative, chedevono proporre e aiutare la com-prensione delle differenze, passandodalla cultura dell’indifferenza alla cul-tura della differenza, e da questa allaconvivialità delle differenze, senza perquesto sfociare in forme di eclettismonei riguardi della verità o di indiffe-renza di fronte ai valori della vita.Quest’opera di promozione educativadeve essere sostenuta da tutti e deveessere accompagnata non solo dai sin-goli e dai gruppi, ma anche dall’orga-nizzazione giuridica della società edai suoi comportamenti. Pertanto, an-che sul piano legislativo bisogna chesi passi da un approccio che tiene pre-senti soltanto le esigenze monocultu-rali, ad un altro aperto a logiche piùampie di tipo interculturale”.

Arnaldo De Vididirettore di CEM

Mondialità, Brescia

Bibliografia• Bori P.C., Per un consenso etico delle

culture, Marietti, Genova 1991.• Cassano F., Il pensiero meridiano, La-

terza, Roma-Bari 1997.• Huntington S.P., Lo scontro delle civiltà

e il nuovo ordine mondiale, Garzanti,Milano 1997.

• Latouche S., Il pianeta dei naufraghi,Bollati-Boringhieri, Torino 1993.

• Latouche S., L’occidentalizzazione delMondo, Bollati-Boringhieri, Torino1992.

• Melucci A., Il gioco dell’io. Il cambia-mento di sé in una società globale, Fel-trinelli, Milano 1992.

• Morin E. – Kern B., Terra-Patria, Ed. R.Cortina, Milano 1994.

• Nanni A., L’educazione interculturaleoggi in Italia, EMI, Bologna 1998.

• Panikkar R., Ecosofia: la nuova saggez-za. Per una spiritualità della Terra, Cit-tadella, Assisi 1993.

• Petrella R., Il bene comune. Elogio del-la solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia1997.

• Ricoeur P., Sé come un altro, Jaca Book,Milano 1993.

• Vandana Shiva, Monoculture della men-te, Bollati-Boringhieri, Torino 1995.

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d e n t r o i l g u s c i o

i n f o r m i a m o

L’agendadi Macondo

9 g e n n a i o 1 9 9 9

presso la sede nazionale

di Macondo a Pove del Grappa

presentazione del corso

di introduzione

alla socio-politica

3 0 m a g g i o 1 9 9 9

festa nazionale di Macondo

a Bassano del Grappa

sul tema di Macondo per il 1999

«Che nome dare al presente?»

a g o s t o 1 9 9 9

campiscuola di Macondo

n o v e m b r e 1 9 9 9

assemblea triennale dei soci

per il rinnovo delle cariche

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Il nuovo ordinamento mondiale

L’anno scorso P. Huntington ha pub-blicato un saggio (Lo scontro delle ci-viltà), dal quale è nato un ampio e ac-ceso dibattito. In esso lo studiosoamericano sosteneva che, con la finedella guerra fredda seguita al crollodel blocco sovietico, lo scontro trapotenze economiche e militari si statrasformando in uno scontro tra cul-ture. Forse l’intuizione di Huntingtonprende le mosse da una semplifica-zione eccessiva della realtà, ma nonvi è dubbio che essa offra un contri-buto nuovo e importante alla com-prensione di come sta cambiandol’ordinamento mondiale. Noi ne ter-remo conto in particolare nella primaparte della nostra riflessione.

Durante il periodo della guerra fred-da, il quadro politico mondiale si pre-sentava sotto ogni aspetto (militare,economico, culturale…) bipolare. Ungruppo di società ricche e democrati-che guidate dagli Stati Uniti d’Ameri-

ca competeva con un gruppo di so-cietà più povere capeggiate dall’U-nione Sovietica. Gran parte dei con-flitti generati da questa competizionesi consumava fuori dei due campi, nelcosiddetto Terzo Mondo, dove veni-vano fatti affluire armi, ideologie e ca-pitali. Il Terzo Mondo doveva comun-que soggiacere agli interessi dei dueattori principali. Anche quando veni-va liberato da un tipo di imperialismoera per essere colonizzato dall’altro.

Con il termine della guerra fredda,alla bipolarità si è sostituita la multi-polarità. La multipolarità non deveessere intesa nella sua accezione ma-tematica (da due a molti riferimenti),ma soprattutto come dato culturalenuovo. Non esiste più un “noi” e un“loro”, il bianco e il rosso, i buoni e icattivi. In nessun angolo del mondoarrivano più i “nostri”. C’è invece unamolteplicità di soggetti che non sol-tanto interagiscono tra loro, ma che sipropongono anche come un nuovointerlocutore plurale. Ciò segna ilpassaggio dalla semplicità della di-cotomia alla complessità del dialogo.

1.Nel blocco di società che facevano ri-ferimento all’ideologia socialista, ve-nuti meno i vincoli ideologici ed au-toritari, assistiamo ad una faticosa ri-cerca di identità. Tolto il coperchiooppressivo dell’imperialismo sovieti-co, molti popoli cominciano a porsila domanda basilare, propria di ogniessere umano: chi siamo?

Intere popolazioni stanno utilizzandola politica per definire la propria iden-tità e, all’interno di questa, per identifi-care e difendere i propri interessi.

Ciò significa che alla disgregazionedi un universo tenuto insieme dall’i-deologia e dal controllo politico, su-bentra un processo di riaggregazionesu basi culturali. Ricercare la propriaidentità, infatti, vuol dire cercare la

Per un umanesimo meticcio

di Mario Bertin

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propria definizione in termini di lin-gua, di storia, di costumi, di istituzio-ni, di valori condivisi…, in una paro-la in termini di cultura.

Fattori predominanti di questa ri-cerca sono i fattori etnici e i fattori re-ligiosi, che sono alla radice di qual-siasi cultura (assistiamo ovunque auna riscoperta di Dio, che è legata an-che alla crisi della modernità).

Il processo descritto è sotto gli oc-chi di tutti. Basti pensare a quantosuccede nella ex Jugoslavia, nelle exrepubbliche sovietiche, in Africa, inalcuni paesi del mondo arabo (Alge-ria, Egitto…).

Perché le forme di nuova aggrega-zione che si connotano per la ricercadella propria identità (aggregazioniculturali) sono caratterizzate dal con-flitto? Esiste conflitto perché ogni cul-tura unisce sì tra loro i soggetti che siriconoscono nel complesso di valoriche essa rappresenta, ma anche divi-de questi stessi soggetti da tutti gli al-tri. Ogni cultura postula un “nemico”.

Inoltre, siccome ciò che più insidiala cultura di una comunità è la comu-nità vicina tenuta insieme da una cul-tura diversa (i serbi si sentono minac-ciati dai musulmani, non dagli indiosbrasiliani), il nemico oggi è il vicino:è l’hutu per i tutsi, il macedone per glialbanesi, il kurdo per i turchi ecc.

Possiamo quindi dire che nell’areaex socialista i conflitti esistenti sonoprevalentemente conflitti di naturaculturale e, come li chiama Hunting-ton, “conflitti di faglia”.

2.Nell’universo capitalista (il cosiddet-to “mondo occidentale”, del qualeperò fanno parte anche alcuni paesiorientali, come il Giappone) assistia-mo ad una fenomeno diverso, anchese non del tutto opposto.

In questi paesi, da una parte è in at-to un diffuso processo di unificazionelegato al fenomeno della globalizza-zione economica. È questo un feno-meno che, avvalendosi della derego-lamentazione economica e finanzia-ria, dello sviluppo della tecnologia, deitrasporti e delle comunicazioni, dàluogo ad attività (produttive, economi-che, finanziarie…) integrate a livellomondiale, che prevedono una strate-gia a livello planetario e che, di con-seguenza, producono realtà economi-che, sociali e culturali nuove. La glo-balizzazione è, dunque, una cosacompletamente differente dall’attività

internazionale. Infatti, mentre questasottolinea il rapporto tra nazioni diver-se (inter-nazione), la globalizzazionedà luogo ad azioni pensate e realizza-te a livello planetario. In questo nuovocontesto gli Stati-nazione vengonocompletamente scavalcati e non han-no alcun potere di regolamentazionee di controllo. La globalizzazione as-sume manifestazioni diverse. Ad esem-pio, è connotata dalla libertà di agiresui mercati finanziari producendo an-che nuove situazioni politiche (si vedaquanto è avvenuto in Indonesia); favo-risce fenomeni di omologazione nellaproduzione e nel consumo; disartico-la la produzione di uno stesso prodot-to in differenti paesi del globo (es.Ford); unifica i modelli di vita, ecc.

Questo processo:a. tende ad unire paesi diversi per di-

fendere interessi comuni (UnioneEuropea);

b. tende ad assorbire al suo interno isistemi economici dei paesi più de-boli, disconoscendone le specifi-cità ed esponendone i ceti più mar-ginali di essi (Brasile, Argentina,Messico);

c. per il suo alto livello di astrazione,si pone contro la cultura, la politi-ca, l’ambiente. Assume come uni-che regole quelle del mercato ;

d. dà vita ad una “superclasse” di ric-chi ed impoverisce il ceto medio.

In una parola, questo processo ten-de a far coincidere la civilizzazionecon lo sviluppo economico e a espel-lere l’uomo dal centro della realtà.

Ogni fenomeno di universalizzazio-ne fa riemergere l’individuo con le suespecificità, le sue domande, la suanuova solitudine. Inoltre, le società piùesposte alle logiche della globalizza-zione sono anche quelle che più siframmentano al loro interno, che chie-dono alla politica il rispetto delle di-versità. Anche nei paesi europei in cuiesistono comunità di immigrati dellaseconda generazione, alla domanda diintegrazione subentra la rivendicazio-ne del riconoscimento delle identità.

3.Il terzo fenomeno caratteristico delnuovo ordine mondiale post-guerrafredda - peraltro strettamente legato aquanto abbiamo appena finito di di-re - è che l’Occidente, pur essendol’unica civiltà ad avere interessi so-stanziali in tutte le altre civiltà delmondo, ed essendo la civiltà vincen-

te, è una civiltà in via di declino. Le aree controllate dalla civiltà oc-

cidentale stanno infatti diminuendosia in termini di territorio, che di po-polazione, che di attività economica.A puro titolo di esempio, basti pensa-re che, mentre nel 1900 il territoriosotto il controllo politico della civiltàoccidentale era pari al 38,7%, oggiriesce a malapena a raggiungere il24%. Il processo inverso si verifica perl’Islam che nello stesso periodo è pas-sato dal 6,8 al 22 per cento. Più scon-volgenti ancora sono i dati relativi al-la popolazione. Nel 1900 la popola-zione sotto il controllo politico dellaciviltà occidentale rappresentava il44,3% della popolazione mondiale;oggi rappresenta il 13% e scenderà al10% entro il 2025. Se prendiamo an-cora come termine di confronto l’I-slam, vediamo che esso controllava il4,2% della popolazione mondiale nel1900, il 15,9% nel 1995 e si prevederaggiunga il 19,2% nel 2025. Anda-menti analoghi sono riscontrabili perle culture africana (dallo 0,4 al 14,4%)e indù (dallo 0,3 al 16,9%).

4.In conclusione, mi pare si possa direche a segnare le traiettorie lungo lequali si va formando il nuovo ordina-mento del mondo sia sostanzialmen-te un problema di civiltà. Per civiltà in-tendo ciò che all’estero viene chia-mato civilizzazione, e cioè la culturadi una società e il processo attraversoil quale ad essa si perviene. La cultu-ra è quel complesso di valori e di prin-cipi che, essendo condivisi da gruppiestesi di persone, sono capaci di de-terminare comportamenti collettivi.

La cultura del dialogo

5.Il problema culturale si colora di tut-ta intera l’ambiguità che presenta l’e-voluzione recente del mondo.

Da una parte, possiamo constatareche la negazione della cultura impli-cita nel fenomeno della globalizza-zione (che attraversa le culture e quin-di ne prescinde) contiene in sé una in-confessata e incomprimibile aspira-zione alla cultura come complesso diregole per la convivenza; come fon-dazione stessa della comunità; comeesito di un’attività che non compren-de soltanto merci e capitali, ma ancheuomini.

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La società attuale, pur affermandocome ideale ultimo il successo indi-viduale e pur affermando di crederesoltanto nei valori materiali, se vuolesopravvivere in modo ordinato, deveappoggiarsi ancora ai valori tradizio-nali che apparentemente nega o dicui non tiene conto, come l’onestà, lafedeltà, la solidarietà… Nessuno in-fatti avvalla il disimpegno e la corru-zione. La società insomma vive deivalori del passato.

6.Talvolta si dice che alla mondializza-zione degli scambi e dei rapporti de-ve corrispondere una cultura univer-sale e si comincia a parlare di cultu-ra globale.

Si tratterebbe di una tendenza ana-loga, anche se capovolta, a quella ve-rificatasi con il cosmopolitismo sette-centesco che dalla universalità dellaragione e dello spirito postulava l’uni-versalità della vita economica e politi-ca. Cosmopolita era l’uomo senza pa-tria che poteva vivere in tutte le patrie.

In realtà una cultura universale ap-pare oggi improponibile:a. perché sradicherebbe l’individuo

dalla sua propria storia e dal suoproprio passato, perdendo così lasua stessa legittimazione;

b. perché cancellerebbe la funzionedella memoria come archivio cheinfluisce sulla costruzione del pre-sente. I materiali usati nei processidi globalizzazione infatti verrebbe-ro avulsi dal luogo e dal tempo cheli ha prodotti. Così devitalizzati, es-si sarebbero destinati a essere buoniin qualsiasi luogo e in qualsiasi tem-po. Il non luogo e il non tempo di-venterebbero un luogo e un tempo,il nuovo luogo e il nuovo tempo;

c. la mondializzazione culturale sa-rebbe una forma di dittatura uni-versale, di imperialismo politico-culturale.

Proporre la possibilità di una cultu-ra universale significa riproporre il mi-to di Babele. Racconta la Bibbia:«Tutti gli uomini avevano una sola lin-gua e le stesse parole […] Poi disse-ro: “Venite, costruiamoci una città euna torre, la cui cima tocchi il cielo efacciamoci un nome per non disper-derci su tutta la terra!” […] Ma il Si-gnore disse: “Ecco, essi sono un solopopolo e hanno tutti una lingua sola”[…] Il Signore li disperse di là su tut-

ta la terra» (Gen. II, 1 – 8).Contrariamente a quanto si dice abi-

tualmente, il castigo di cui parla laBibbia non è la separazione delle cul-ture, il pluralismo delle lingue. Il ca-stigo consiste nel fatto che gli uomininon si capiscono più. La maledizionedivina è l’incomunicabilità, non lamolteplicità delle lingue.

E lo stesso Dio, quando nella Pen-tecoste manda il suo spirito, salval’uomo non costituendo una unità diuguali, ma rendendo possibile l’unitàdei diversi attraverso il dialogo, ilconfronto: «Ed essi furono tutti pienidi Spirito Santo e cominciarono a par-lare in altre lingue come lo Spirito da-va loro il potere di esprimersi.

Si trovavano allora in GerusalemmeGiudei osservanti di ogni nazione cheè sotto il cielo. Venuto quel fragore, lafolla si radunò e rimase sbigottita per-ché ciascuno li sentiva parlare la pro-pria lingua. Erano stupefatti e fuori disé per lo stupore dicevano: costoroche parlano non sono forse tutti Ga-lilei? E com’è che li sentiamo ciascu-no parlare la nostra lingua nativa?»(Att 2, 4 – 8).

La Chiesa che nasce il giorno dellaPentecoste è un corpo in cui ciascunmembro ha una sua funzione, in cuiciascuno ha un suo carisma. E l’interocorpo vive nella coesistenza e nella li-bertà di espressione di ciascun carisma.

7.Una nuova cultura capace di ridaresenso e regole a un mondo multipola-re, dominato dai processi di globaliz-zazione, non può che essere una cul-tura plurale, basata sul dialogo, nellaparità dei differenti. La cultura pluraleè la cultura capace di cogliere e di fon-dere al suo interno anche le altre cul-ture. È una cultura unica che affonda lesue radici e si alimenta in altre culture.È un “io” che nasce dal confronto contutti gli altri “io”. La cultura plurale nonè costituita da una accozzaglia di cul-ture. È un unico tronco che si regge sumolte radici e dal quale prendono vitamolti rami. Solo così la cultura sarà ca-pace di costruire una nuova dimensio-ne comunicativa che aiuti a superare iconflitti tra civiltà e all’interno delle ci-viltà, che caratterizzano, come abbia-mo visto, il nostro tempo.

Perché le culture possano accettaredi dialogare tra loro, esse devono es-sere messe alla pari attraverso un’a-zione di decolonizzazione, che già,sotto alcuni aspetti, è avviata.

Decolonizzazione delle colture si-gnifica sì che le colture si devono li-berare dei gioghi che ne hanno mor-tificato ed impedito l’espressione, mavuol dire anche decolonizzare i co-lonizzatori, far loro cambiare la pro-spettiva dalla quale hanno guardatoalle culture diverse da quella loro (eu-ropea-occidentale).

È l’intera logica coloniale che deveessere soppiantata. Dobbiamo impa-rare a vivere assieme e alla pari con gliex-colonizzati. Dobbiamo cercare chele loro colture vengano “tradotte” (da“tradere”: portate nel nostro mondo).

Questo però significa schierarci dal-la parte degli ex-colonizzati perchécolonizzazione significava subalter-neità, esclusione, imperialismo. Veradecolonizzazione vuol dire innanzi-tutto restituire alla vita ciò che era sta-to soffocato. Vuol dire cioè schierarsidalla parte dei più deboli, di coloroche dal processo di colonizzazionehanno subito deprivazioni.

Vera decolonizzazione culturale èpromuovere il colloquio delle differen-ze all’interno di un quadro planetario.

Il colonialismo culturale è una rela-zione. Ed è dunque questa relazioneche va cambiata per costruire «un sa-pere critico utopico» (Gnisci) che in-dichi nel sud del mondo una speran-za che gli restituisca la parità neces-saria al dialogo.

Il risultato sarà un nuovo umanesi-mo plurale fondato cioè non sull’in-dividuo ma sul dialogo tra culture; unumanesimo meticcio, nel quale ci siaparità e scambio, nel quale tutti sia-mo culturalmente meticci, portatori,nella nostra visione del mondo, oltreche del nostro colore, anche dei co-lori dell’altro.

Da qui nascerà la novità del mondo.

8.Questo implica che il nord del mon-do sposi il sud del mondo, ad ogni li-vello, a cominciare da casa nostra,(ogni realtà ha un suo nord e un suosud), perché non cadiamo nel perico-lo di cui parla Jean-Jacques Rousseaunell’Émile: «Diffidate di quei cosmo-politi che vanno a cercare lontano neiloro libri i doveri che non si degnanodi adempiere a casa loro. Amano itartari per essere dispensati dall’ama-re i propri vicini».

Mario Bertinscrittore, direttore di

Edizioni Lavoro - Roma

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Un centinaio di anni dopo la fonda-zione, la Città ha raccolto uomini ditutte le religioni monoteistiche e del-le culture da queste derivate, innu-merevoli lingue diverse e forme di vi-ta che queste lingue contengono insé. È diventata un microcosmo, cen-tro del mondo che, come ogni centrosecondo l’insegnamento degli esote-rici, contiene tutto il mondo. Per que-sto Sarajevo è, senza dubbio, unacittà interiore nel significato che allaparola attribuiscono gli esoterici: tut-to ciò che nel mondo è possibile sitrova a Sarajevo in miniatura, ridottoal suo nucleo ma presente, perché Sa-rajevo è il centro del mondo (e l’e-

sterno è sempre e completamentecontenuto nell’interno, quindi anchenel centro, dicono gli esoterici) […].

Già dalla sua fondazione, la Città fupopolata da genti di tre religioni mo-noteistiche - islamica, cattolica e or-todossa -, e vi si parlava il turco, l’a-rabo e il persiano, il bosniaco, il croa-to e il serbo, l’ungherese, il tedesco el’italiano. Poi, cinquanta anni dopo,quando i pii governanti Ferdinando eIsabella scacciarono dalle loro terregli ebrei, alcuni si rifugiarono a Sa-rajevo, portando con sé la quarta con-fessione monoteistica, altre lingue euna nuova cultura, costruitasi intornoa questa religione in un errare di se-

Una nuova Babelee una nuova Gerusalemme

di Dzevad Karahasan

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coli. Sarajevo è diventata così unanuova Babele e una nuova Gerusa-lemme: la città di una nuova confu-sione linguistica dove, con uno solosguardo, è possibile abbracciare fe-deli di tutte le religioni del Libro.

Questa mescolanza di lingue, fedi epopoli, destinati a vivere insieme inuno spazio così ristretto, ha prodottouna forma di cultura davvero specifi-ca, che caratterizza la Bosnia-Erzego-vina e soprattutto Sarajevo, la suaspiccata originalità. Nell’impero otto-mano multinazionale e multiconfes-sionale c’erano naturalmente moltiterritori e città in cui popoli, lingue ereligioni si mischiavano, ma certa-mente nemmeno in quell’enorme sta-to esisteva una città in cui così tantelingue-religioni-culture si incontranoe si mescolano in così poco spazio.Forse anche questo potrebbe spiega-re come mai la Bosnia godesse dellostatus di pascialato autonomo all’in-terno dell’impero: la specificità del si-stema culturale bosniaco (e qui concultura intendo ciò che Claude Lévi-Strauss ha definito come modo di vi-ta, vale a dire l’insieme dei compor-tamenti e dei fatti che danno forma al-la quotidianità) sottintende una spe-cie particolare di status politico.

Il sistema culturale bosniaco, costi-tuito nella sua forma più pura e rea-lizzato nel modo più conseguentepossibile proprio a Sarajevo, si po-

trebbe descrivere abbastanza precisa-mente con l’attributo di «drammati-co», e definire in opposizione conquello che si potrebbe descrivere conl’attributo di «dialettico». I suoi prin-cipi fondamentali sono affini a quellisui quali si costituisce il dramma e sipossono capire per comparazione. Ilrapporto essenziale fra gli elementidel sistema è la tensione che li oppo-ne, questo significa che sono postiuno di fronte all’altro e che sono re-ciprocamente legati proprio dallacontrapposizione che li definisce l’u-no rispetto all’altro. Gli elementi en-trano nella composizione del sistemasenza perdere la loro natura primor-diale, mantenendo tutte le particola-rità che hanno al di fuori del sistemadi cui vanno a far parte: ogni tesseraentra nella struttura del sistema arric-chita di nuove particolarità senza ab-bandonare quelle che già possedeva.Ciascun elemento è anche da solo unintero complesso, composto da dueparti collegate fra loro da un rappor-to di opposizione.

Il segno fondamentale di un siste-ma culturale del genere è il plurali-smo e, in questo senso, è diretta-mente opposto ai sistemi culturalimonistici, che si potrebbero anchedefinire dialettici, ancora dominantinelle grandi città occidentali dove sicreano mescolanze di religioni, lin-gue e popoli come già accadde a Sa-

rajevo. Se in un sistema culturaledrammatico il rapporto essenziale èla tensione, nella quale ciascuno deifattori del rapporto conferma la pro-pria natura primaria, nel sistema dia-lettico il rapporto fondamentale è ildivorarsi reciproco, oppure, se devesuonare meglio, l’essere ricompresodell’inferiore nel superiore, del piùdebole nel più forte. A ciascun mem-bro del sistema drammatico l’Altro ènecessario come prova della propriaidentità, perché la propria particola-rità si dimostra e articola in relazio-ne alla particolarità dell’Altro, men-tre in un sistema dialetticamente co-struito l’Altro è solo apparentementeAltro, mentre in realtà è un Io ma-scherato, è l’Altro contenuto in me,poiché nel sistema dialettico (nel mo-do di pensare dialettico) i fatti con-trapposti sono in realtà Uno. È que-sta la differenza fondamentale fra Sa-rajevo e le babeliche mescolanzecontemporanee delle città occiden-tali, differenza che richiedeva unaspiegazione fugace, e un po’ tecnica,dei sistemi culturali che si sono ve-nuti formando.

Dzevad KarahasanIl centro del mondo

Sarajevo, esilio di una cittàEdizioni EST, 1997

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L’IMPRESA STRUMENTODI SOLIDARIETÀ

INTERNAZIONALEper informazioni: Fondazione “Etica ed Economia” - Bassano del Grappa - Tel. 0424 570635 - www. unietica.it - [email protected]

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Piccola senza nome

Ci seguiva da un pezzo con un passodeciso e mi si affiancò per un trattocon aria spavalda, senza dire nulla.Così piccola e graziosa, in calzonci-ni e maglietta, di sei o sette anni, agiudicare dalla statura: figura esile,ma ben proporzionata.

«Toh, ti segue come un cagnolino»- dissero gli altri. «Come ti chiami?» -le chiesi, con la sensazione vaga-mente angosciante che quella bam-bina, sola per le strade di Rio de Ja-neiro, potesse aver bisogno di prote-zione e tenerezza.

«Eu nao tenho nome» - fu la sua stu-pefacente risposta, cioè «sono senzanome». Non potei trattenermi dal sol-levarla tra le mie braccia. «Cosa pos-so fare per te?». «Lasciami andare» -disse; e la rimisi a terra.

Ci sorpassò subito con una certaostentazione e al primo incrociosvoltò a destra. Non era purtroppo ilnostro percorso (dovevamo raggiun-

gere il mezzo pubblico programma-to) ed io mi volsi indietro a guardar-la: si era fermata, come aspettando.La salutai a distanza: «Até logo, pic-cola senza nome». Lei alzò il bracciodestro e restò a farmi cenno d’addiocon la mano finché non scomparim-mo l’uno alla vista dell’altra. Per tut-ta la giornata rimasi pensoso, conquell’immagine fitta nel cuore: un’e-sile figuretta, tutta sola per le strade diRio de Janeiro. Gli altri mi chiedeva-no: «Pensi ancora alla piccola senzanome? Avresti voluto portarla con tecome un gattino randagio, non è ve-ro?». Mio Dio! che fa una bambina,dall’apparente età di sei anni, tutta so-la, per le strade di una grande città?

Dolcezza e simpatia

Era una notte di luna, calda, sul mare.Ero uscito dalla stanza con un asciu-gamano. Avevo voglia di entrare in ac-qua: era così invitante la distesa cal-

Dopo l’omologazione della TorreL’abbraccio della comprensione

di Giuseppe Stoppiglia

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c o n t r o c o r r e n t e

«Dio chi è? Prima importa

sapere se Dio c’è.

I poveri chi sono? Prima importa

sapere se ci sono.

Non importa che vi spieghi

chi sono i poveri,

se non ci siamo ancora accorti

che i poveri ci sono.

Sembra molto comodo scordare

che Dio esiste,

ugualmente è comodo scordare

che i poveri esistono.

…Se Dio c’è, la mia vita non può

essere quella che conduco;

se ci sono i poveri, la mia vita

non può essere la vita

che conduco».

[Primo Mazzolari]

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ma, il silenzio… Ma mi accorsi di nonessere solo con la mia insonnia: unacoppia giovane tubava sulla terrazza.Mi vennero accanto: Elvira e Renzo.Non so più cosa ci dicemmo. L’indo-mani mi cercarono, volevano portar-mi in pizzeria, da qualche parte. Ciscambiammo gli indirizzi. E piovverole cartoline illustrate. Non risposi, peril solito vizio di non trascrivere subitosull’agenda. Finché giunse pressante,un fax che mi obbligò perentoriamen-te a scovare tra le carte. Volevano es-sere informati, rassicurati… «perchédolcezza, simpatia e pazzia non sipossono dimenticare».

L’intimità, nucleo della libertà

Se chiamiamo intimo ciò che si negaall’esterno per concederlo solo a chivogliamo far entrare nel nostro segre-to profondo e spesso ignoto a noi stes-si, allora il pudore, che tutela la no-stra intimità, difende pure la nostra li-bertà. La protegge, in quel nucleo do-ve la nostra identità personale decideche relazione instaurare con l’altro. Ilpudore allora non è una faccenda divestiti o di abbigliamento intimo, mauna sorta di corpo di guardia che de-cide il grado di apertura e di chiusu-ra verso l’altro. Si può infatti esserenudi senza nulla concedere, senzaaprire all’altro neppure una fessuradella propria anima.

Siccome agli altri siamo irrimedia-bilmente esposti, e dallo sguardo de-gli altri irrimediabilmente oggettivati,il pudore è lo sforzo di mantenere lapropria soggettività, in modo da esse-re segretamente se stessi in presenzadegli altri. E qui l’intimità si coniugacon la discrezione, nel senso che seessere in intimità con un altro signifi-ca essere irrimediabilmente nelle ma-ni dell’altro, nell’intimità occorre es-sere discreti e non svelare per interola propria anima, affinché non si dis-solva quel mistero che, interamentesvelato, estingue la fonte della fasci-nazione e il recinto della nostra iden-tità; che a quel punto non sarebbe di-sponibile neppure per noi.

L’omologazionedella confessione pubblica

Ma contro tutto ciò, soffia il vento delnostro tempo che vuole la pubblica-zione del privato perché, nelle società

conformiste, questa è l’arma più effi-cace per sottrarre agli individui il lorotratto discreto, singolare, privato, inti-mo, dove è custodita quella riserva disensazioni, sentimenti, significati pro-pri che resistono all’omologazione (si-mile al processo a catena di montag-gio) cui il potere tende per una più co-moda gestione degli individui.

Allo scopo, vengono solitamente im-piegati i mezzi di comunicazione che,dalla televisione ai giornali, con sem-pre più insistenza irrompono in modoindiscreto nella parte più riservata del-l’individuo, per ottenere non solo at-traverso test, questionari, statistiche,sondaggi di opinione, indagini di mer-cato, ma anche con intime confessio-ni, emozioni in diretta, storie d’amore,spaccato di vite private, per otteneredicevo, che sia l’individuo stesso in di-retta a consegnare la sua intimità, lasua parte discreta, secondo quei trac-ciati di spudoratezza che vengono ac-clamati come espressioni di sincerità.

Avviene così quella omologazionea cui tendono tutte le società confor-miste, con somma gioia di chi le de-ve gestire perché, una volta pubbli-cizzata, l’intimità viene dissolta e conessa la nostra soggettività segreta e lanostra libertà di relazione con l’altro.Quando infatti cadono quelle paretiche difendono il dentro dal fuori, l’in-teriorità dall’esteriorità, l’anima di cia-scuno di noi viene, in un certo modo,smontata e depauperata.

Quando le istanze del conformismoe dell’omologazione lavorano per por-tare alla luce ogni segreto, per rende-re visibile ciascuno a tutti, per toglie-re di mezzo ogni interiorità, come fos-se impedimento alla comunicazione,allora il terribile è già accaduto ed èl’omologazione totale della società finnell’intimità dei singoli individui.

Di intimo rimane solo il dolore, lamalattia e la povertà che ciascuno dinoi cerca di nascondere per non esse-re trascurato dagli altri, abbandonato.E così proprio ciò che avrebbe biso-gno di comunicazione (il dolore, lamalattia, la povertà) resta chiuso nelsegreto della solitudine, dove nessunavoce giunge ad attutire quello che lasolitudine rende insopportabile.

Abbiamo capovolto il senso del pu-dore a cui abbiamo dato da custodi-re non più la nostra intimità, in cui siradica la nostra identità personale ela nostra libertà, ma il fondo opaco ebuio del nostro dolore, reso muto daldivieto di comunicarlo.

Incontro urgente, rischioso

«L’incontro tra le tradizioni religiosedell’umanità oggi è inevitabile, impor-tante, urgente, confusionale, rischioso,purificante…». Così scriveva qualcheanno fa Raimundo Panikkar, conside-rato il più grande esperto vivente distudi interculturali ed interreligiosi.

La scansione degli aggettivi dà lamisura della grande sfida che l’uma-nità alberga dentro di sé in questomomento conclusivo del secondomillennio: o si prende coscienza cheil dialogo fra mondi religiosi e cultu-rali diversi è oggi l’unica ancora disalvezza, o il destino del pianeta è inbalia del libero sfogo degli istinti ag-gressivi e dominatori.

Il lettore a questo punto può rimane-re sconcertato; pensare di aver saltatopagina e trovarsi in un altro articolo,quello della porta accanto: Il largo spa-zio che si dà alle confidenze dell’inti-mità sui giornali e in TV non vieneconcesso al confronto delle culture,che sono una minaccia alle abitudinied agli schemi interpretativi ed ai pro-grammi universali che le grandi istitu-zioni propongono ed impongono.

Non c’è spazio in questo momentoper l’organizzazione autonoma deipopoli del cosiddetto Terzo Mondo.Le politiche neoliberiste sono tal-mente strutturate che non ammettonoconfutazioni. O ubbidisci alle indica-zioni della Banca Mondiale e del Fon-do Monetario Internazionale, o l’al-ternativa è l’esclusione e l’emargina-zione. Vedo in questo processo selet-tivo la forma moderna del coloniali-smo. Abbandonandosi al mito dellaTorre di Babele (una sola lingua, unsolo impero ed un solo re), l’uomodell’Occidente ha costruito questo si-stema demoniaco che tiene nell’ab-bondanza una piccolissima porzionedi persone e nella fame la stragrandemaggioranza.

L’alternativa sta nel cambiamentoradicale delle regole del gioco. Nonè più possibile sopravvivere a questacrescita economica centralizzata senon si alzano in piedi le tante tradi-zioni culturali che popolano lo spa-zio del pianeta. Solo un pluralismovero ed un dialogo senza egemoniepermetteranno all’umanità di sperarein un futuro fecondo e al pianeta diriequilibrare le proprie risorse.

Perciò è necessario che i diversimondi culturali mantengano la pro-pria indipendenza e dal loro contesto

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contraggano le risorse e la creativitàindispensabili per rispondere alle sfi-de della storia. Il colonialismo politi-co e religioso è praticamente finito, ilcolonialismo economico ancora no:ha anzi raggiunto l’apice della suaforza, per i vincitori naturalmente, edil culmine della debolezza per i vin-ti, che sono il 75% dell’umanità.

Ma la cultura non è folclore ed ognicultura ha il suo sistema economico,giuridico, monetario… Per arrivare aquesto cambiamento si devono ac-cettare quelle piccole isole di colle-gamento che chiamerei con il termi-ne inter-in-dipendenza. Non è soloun problema di tecnica economica,ma di fiducia culturale e di coraggiopersonale.

Incontro necessarioa partire dall’interiorità

Il tempo in cui le religioni portavanoa rifugiarsi nel loro splendido isola-mento è finito. Non si può ignorarel’esistenza di milioni di stranieri chevivono in Europa con un’altra cultu-ra. Dialogo sì, ma non senza condi-

zioni. Distinguendo tra dialogo interreligioso e dialogo intra religioso. Ildialogo inter religioso mette faccia afaccia religioni già costruite e riguar-da temi di dottrina o di disciplina. Ildialogo intra religioso non cominciacon la dottrina o la teologia, ma ini-zia dall’interiorità, dall’Intra.

Vuol dire che se io non scopro inme il luogo in cui il buddista, il mu-sulmano, l’ebreo, l’ateo, l’altro puòavere un posto nel mio cuore, nellamia intelligenza, nella mia vita, nonpotrò mai entrare in vero dialogo conlui. Se arrivo ad abbracciarti, lì ti com-prendo. Comincia in me stesso ed èscambio di esperienze religiose, piùche di dottrine.

È senza dubbio una strada difficileperché occorre elaborare una sag-gezza adatta alla nostra società.

Sto scrivendo da uno di quei paesipedemontani e alpini, un tempo radi-cati su per le montagne, ma deside-rosi di vivere; ora impiantati sulle lo-ro conquiste, difesi dai loro recinti, tu-telati da un lavoro perenne che non siconcede tempi fecondi di incontro.Sono dei paesi, questi, assai tradizio-nali, per lo più caratterizzati da uno

spirito comunitario conformista e riot-toso, bigotti, ritualisti e abitudinari,necessariamente chiusi e poco incli-ni al mutamento culturale. No, no;chi li conosce sa che non può esserequesto il terreno di una rivoluzioneculturale… eppure il nostro è l’atto disperanza di chi intraprende un viag-gio nuovo, sull’onda dell’intuizioneche sia possibile il cambiamento.

Vorremmo ritrovare il sapore dell’u-mano in quanto tale, la sua bellezzae anche grandezza, consapevoli di es-serne ancora ben poco all’altezza, percui urge scegliere di diventarlo, ab-bandonando la presunzione, tutta oc-cidentale, di appartenere ai migliori,ai più forti, ai riusciti, al modello va-lido per tutti. La Verità è una parteci-pazione reale ed autentica al dinami-smo della realtà. Quando Gesù dice:«Io sono la verità» non mi chiede diassolutizzare il mio sistema dottrina-le, ma di entrare nella Via che portaalla Vita.

Pove del Grappa, novembre 1998

Giuseppe Stoppigliafondatore e presidente

dell’Associazione Macondo

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Che non si spengano le fiamme dell’indignazioneche l’orrore rimanga per sempre nelle nostre mentiche la nube rossa della furia ci accechi prima che dimentichiamo:

arrivarono nella luce tenera del mattino innocenteavevano in mano pesanti macchine di mortema era più pesante l’acciaio dell’odionei loro cuori:

un odio indotto, cresciuto in segretofrutto marcio di un’aggressione,una cecità fredda e pagata.

Fratello: ricevesti i denariper assassinare il tuo stesso sangue.

Che non spengano le fiamme dell’indignazione

Pregavano in ginocchio implorando la pace e li riempiste di proiettili

la data fu sceltaerano gli agnelli pasqualicosì mansueti che senza voltarsifurono colpiti alle spallenella Pasqua della natività.

Che non si spengano le fiamme dell’indignazione

Al tuono delle armi da fuocosi levò uno stormo di uccellimentre l’eco risuonavadi vallata in vallata.

E allora iniziò la cacciama le prede erano umanee l’orrore si diffuse e non ebbe finementre il giorno cresceva

Che non si spengano le fiamme dell’indignazione

Il saldo del terrore fino alla nottefu: 21 donne, 9 uomini, 14 bambinipiù un neonato. Tutti morti.

E i feriti senza contare i fetidelle donne incinteestratti a colpi di coltello e buttatiper mano degli assassini nel folto del bosco

Questo rituale macabro di “Kaibiles”era già stato annunciato:essi dissero...«non lasceremo vivere il seme zapatista»

Che non si spengano le fiamme dell’indignazione

Fu un crimine commesso nel cuoredi noi tutti. Altri nomi?Fu una strage eseguita a sangue freddoassassinio di massamassacro, genocidio crimine di stato. Sconfinataignominiaper seminare il terrore che viene dal potere

Infine il rappresentante di colui che morì sulla crocedecise di benedire i cannoniche avevano vomitato morteda ora in avanti

I nonni maya, le nonneche sono a Winajelfaranno giustiziae daranno severi castighi.

Al debole governo che fu complice della strageal proprietario terriero miserabile e al riccopotenteche assoldano e paganoviolenza irrazionale.

A coloro che consegnarono le armia coloro che si macchiarono le mani di sanguea coloro che addestrarono i sicarima anche a coloro che diffusero le menzognee addormentarono le coscienze,a tutti loro spetta la giustizia finale.

Lidice, Guernica, Tlateloco e Actealsono divenuti luoghi che ricordano l’infamia

Che mai, mai, si spengano le fiammedell’indignazione.

Miguel Angel Mendoza KuauhkoatlNatale 1997

Il sangue in fiamme

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Una salita è una salita. Può essere ir-ta e scoscesa, più o meno scivolosa,quel che è certo è che richiede co-munque un certo impegno fisico.

La pendenza che caratterizza le sa-lite qui a Todi è notevole, e per giun-gere dal monastero che ci ospita allapiazza centrale dobbiamo necessa-riamente arrampicarci per delle stra-de che assomigliano più alle muraverticali di una fortezza inespugnabi-le che a vie umanamente percorribi-li. Oggi gli altri sono andati con Ma-rio Bertin a visitare i luoghi france-scani, io invece sono rimasto qui, hoprovato ad uscire verso mezzogiorno,mi sono arrampicato per qualche me-tro sulle strade in salita e ho desistito

quasi subito, ché il sole a picco qua-si mi spalmava sulla strada e ho deci-so con coraggio di restarmene da so-lo con le suore.

Ma i ragazzi alle sei sono già di ri-torno e Mirko mi dice qualcosa di in-comprensibile in veneto (la lingua uf-ficiale di Macondo) che forse signifi-ca un invito ad andare in piazza.

Usciamo. Il sole tenue del tardopomeriggio cuoce i nostri corpi a fuo-co lento e le strade scorrono lentissi-me sotto alle nostre gambe, ma cel’abbiamo quasi fatta, manca poco al-la piazza pianeggiante bianca magi-co sepolcro di luce ci siamo quasi ar-rivati Mirko ed io sfiniti ma orgoglio-si dell’impresa siamo proprio alle so-

E in piazza c’era leiA colloquio con Naja

di Ivo Grande

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glie della piazza quando Mirko pro-nuncia le seguenti parole: «C’è laNaja». Inutile dire che non so mini-mamente cosa sia la Naja, anche se iltono stupefatto di Mirko mi lascia pre-supporre che la Naja sia una bellissi-ma ragazza con la pelle giovane e ab-bronzata. Così alzo lo sguardo spe-ranzoso e credo improvvisamente diessere vittima di un miraggio, naufra-go nel deserto di Todi.

Lei,i Top Gun

La piazza non è una piazza. Almenonon lo è più. È interamente occupa-ta da uomini in uniforme. Saettanti,scattanti, rapidi e battaglieri dietro aifornelli, sopra a un carro armato,dentro a un percorso di guerra in tu-ta mimetica a tenere per mano i bam-bini. Già, perché quello che colpiscenon è tanto l’assurda situazione ditrovarsi in un accampamento milita-re nel bel mezzo di una piazza di unpaese, non è tanto la colonna sono-ra di “Top Gun” a fare da ininterrot-to commento sonoro alla situazionee non è tanto la soubrette simil-ber-lusconiana che interpella i giovani ei vecchi del paese su cosa pensinodell’esercito. Quello che colpisce dipiù sono i bambini. Tanti, tantissimisono i bambini che corrono nel per-corso di guerra, che salgono sui car-ri armati, che imparano dai militari acaricare un’arma con un proiettile.Provano il brivido di imbracciare unfucile vero, un fucile che se schiacciil grilletto spara un proiettile che tra-passa la carne, le ossa e il sangue diun uomo. Questo imparano i bambi-ni nel campo di battaglia di Todi. Pic-coli, sorridono coi loro sorrisi bian-chi, intervallati da qualche spazio ne-ro laddove qualche dente è caduto.Sorridono con le armi in mano, sopraun carro armato, mentre guardanodentro a un mirino, sorridono i bam-bini di questa piazza che giocano al-la guerra con le facce impiastricciatedi crema mimetica.

Scendiamo con rassegnazione lastrada che ci riporta al monastero cheal ritorno è una discesa ripidissima,che ci sembra faticosa il doppio.

E a cena con tutti gli altri discutia-mo su cosa è meglio fare: se andare aprotestare, a manifestare il nostro dis-senso, o piuttosto cercare un contat-to verbale, per trovare un dialogo.

Molti sono per il dialogo, per cercaredi capire, per parlare. E allora tornia-mo in piazza tutti insieme e c’è l’en-tusiasmo e la paura di affrontare qual-cosa di grande e più forte di noi chenon ci piace e non ci sta bene.

Il generalee gli spaghetti

Cerchiamo il comandante eccolo quipiacere di conoscerla generale Gra-ziani fiero tarchiato pelato e rubicon-do, che per prima cosa ci proponeuno show degno dei peggiori filmamericani sul Vietnam: si strappa ilgrado dalla divisa e si siede per terraper parlarci alla pari e urla spavaldo«Chi resta in piedi è un vigliacco», esono io il primo scemo a sedersi. Ini-zia ora quello che Graziani definiscein apertura di discorso un “dialogo”ma che sarebbe più opportuno defi-nire “monologo”.

L’apertura è dedicata alle adulazio-ni: gli obiettori di coscienza sono es-seri sublimi magnifici pulitissimi (quia dire il vero esagera perché è moltodifficile non sentirsi presi in giro), poisi gonfia di fierezza perché ci vuoledifendere perché noi con i nostri dis-sensi siamo il sale della sua vita. Poiqualcuno riesce finalmente ad arre-stare il profluvio torrenziale di paro-le e parolacce (che lo fanno tantosentire un uomo vissuto) e a porrequalche timida domanda ma il gene-rale non lascia neanche finire di par-lare gli altri, ché quelle domande sele aspetta tutte, le spezza col suo to-no stentoreo, e riparte con un mono-logo riuscitissimo e pittoresco, sta-volta tira dentro anche Hemingway eDio, in un delirio pulsante e passio-nale, nel quale trova anche il tempodi fare una domanda a una ragazzachiedendole: «Se ci sono dieci uo-mini che tentano di ammazzare un

bambino e lei ha un’arma in mano epuò sparare cosa fa, non spara?». Laragazza ha un attimo di esitazione inpiù, e il generale non glielo perdonatuonando dall’alto dei suoi quasi ses-sant’anni e gioendo della vittoria.Bravo generale, sei riuscito a metterea tacere un gruppo di ragazzi senzarispondere neanche a una loro do-manda farcendo il tuo discorso di ar-gute figure retoriche e motti da spa-ghetti-western.

Ci allontaniamo tutti per un po’ e di-scutiamo, riflettiamo, cantiamo.

Lei, generale è sempre lì a stringerele mani della gente di Todi che è tut-ta con lei, che la sostiene, che ha vo-luto che Lei e i suoi soldati veniste inquesta piazza a insegnare ai bambinia sparare. E come Lei ci ha detto allafine del suo ultimo discorso, è dove-re di un genitore impedirLe di inse-gnare a sparare ai suoi figli, se è con-trario. Altrimenti Lei si sente libero dieducare i bambini alle armi in modoche da grandi poi potranno scegliereresponsabilmente se usare o menoun’arma.

Sono stanco. Me ne vado. Lei, ge-nerale non ha risposto neanche a unadelle domande che Le abbiamo po-sto, o meglio, non ci ha dato neanchela possibilità di formularne molte didomande e quando gliel’ho fatto no-tare mi è parso che abbia avuto un at-timo di trasalimento mentre ascoltavail silenzio dei cittadini di Todi che at-tendevano invano una delle sue ri-sposte argute. Ho provato piacere, loammetto, a vedere per un attimo losmarrimento nel Suo sguardo, e se neè accorto anche il sergente che non èriuscito a nascondere la sua rabbia emi ha detto fra i denti che se non erosoddisfatto delle Sue risposte potevoparlare con lui.

Ma nessuno di noi ha più voglia diparlare né con Lei né con il sergente,anche perché i Suoi bei monologhi si-gnificano molto probabilmente chenoi abbiamo ragione, ma che è co-munque Lei a comandare e a decide-re per noi. Vada a dormire, è tardi, trapoche ore come Lei ci ha ricordato,dovrà alzarsi presto: anche domaniinfatti Le toccherà essere in un’altrapiazza di un’altra città ad insegnareai bambini a sparare.

Ivo GrandeMacondo Giovani

studente universitarioSiena

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È possibile restare per anni in Brasilesenza capire nulla di nulla ed è al-trettanto possibile visitare questo Pae-se immenso e dolcissimo, commise-rando una povertà che si scorge sem-pre e solo da lontano e illudendosi diavere capito molto, senza rendersiconto di essere rimasti di fatto nell’a-trio di ingresso. Certamente una co-sa, una soltanto, si capisce subito: chel’ingiustizia può raggiungere un gra-do di perversione così sottile da por-re a chiunque il dubbio del male chesi impone sul bene, nel momento incui si constata che la vittoria e lasconfitta toccano sempre agli stessi.

Non esiste la mediazione

L’impatto con la società brasiliana ri-vela e mantiene sempre una sua for-za intrinseca. Da una parte i colori, irumori, gli odori, le immagini e tuttoquanto può stimolare le emozioni ela fantasia; da un’altra parte que-st’apparente atmosfera di sogno e di

poesia si infrange subito contro le le-gioni di bimbi abbandonati, di lustra-scarpe piegàti in due, di venditori am-bulanti vocianti, di mendicanti ormaiconsumati e sudici, di prostitute tristie senza denti che popolano strade equartieri. È in questo contesto di in-contro e di scontro tra la bellezzasconfinata delle persone e l’orroredella loro povertà che maturano lecontraddizioni del Brasile.

In questo paese non esiste la media-zione: c’è il bene o c’è il male, la ric-chezza o la povertà, la passione o ladisperazione, il piacere più intenso oil dolore più profondo. La storia passa-ta e presente del Brasile è un itinerariodi sfruttamento, di miseria e di stravol-gimenti umani che ne hanno scosso lefondamenta, lasciando campo liberoalla costruzione di una società appa-rentemente lasciata alla libera iniziati-va di tutti, ma di fatto imprigionata dauno sviluppo capitalistico selvaggio eviolento che ha consentito alle éliteslocali e straniere di affermarsi soprauna massa di poveri e di esclusi.

Il popolo bambino

di Egidio Cardini

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Fino a quandopochissimi ricchi

Oggi l’esclusione sociale è il proble-ma numero uno e tutte le questioniaperte conducono inesorabilmente alnodo cruciale che prima o poi si do-vrà sciogliere: la necessità di un’evo-luzione strutturale del sistema socia-le latino-americano.

Fino a quando pochissimi ricchi sa-ranno detentori di tutto il potere eco-nomico, sarà del tutto illusorio pen-sare di cambiare alcunché in Brasi-le. L’economia di sussistenza si staimpadronendo di ogni strada o vico-lo: si vende di tutto e a qualsiasiprezzo, dalle ciabatte alle collane,dai pezzi di ricambio ai gettoni te-lefonici, dalle immagini sacre alle fi-nestre di casa.

In questo mercato sfrenato e inin-terrotto si diffonde a macchia d’oliouna disperazione silenziosa e rasse-gnata, quella di chi si rende conto (esono decine di milioni) che non cisarà mai un futuro per sé e per i pro-pri figli fino a quando la ricchezzanon sarà distribuita con equità e giu-stizia. La crescita esponenziale deltasso di violenza nelle città brasilianenon è determinata da un collettivocolpo di follia di chi le abita, bensìdalla pressione angosciata di chi nonsa più come ricreare un’esistenza di-gnitosa e si affida disperatamente al-la lama di un coltello o alla canna diuna pistola.

Una societàordinata in gabbie

Questo ha consentito la costruzionedi una società ordinata in gabbie. Iricchi hanno le loro gabbie dalle qua-li non escono mai: palazzi splenden-ti e fortificati, difesi ovunque da guar-diani di ogni specie e provenienza,centri commerciali giganteschi, ricol-mi di ogni ben di Dio a prezzi im-possibili, spiagge e club privati doveil mondo sembra essersi fermato co-me in una favola felliniana.

Anche i poveri hanno le loro gabbiedalle quali uscirebbero volentieri senon vi venissero ricacciati ogni voltadi più. La favela ha un fascino sepol-crale, dove la vita e la morte si incro-ciano senza riguardo. La miseria, lafame, la malattia e la morte violentafanno parte di una quotidianità ritua-le che si ripete noiosamente.

Uomini e donnesempre stracarichidi valigie

Mi hanno lasciato un’impressioneprofonda questi viaggi interminabiliin autobus nella periferia di San Pao-lo in compagnia di questi uomini edonne sempre stracarichi di valigie,come se stessero partendo per un lun-go viaggio. Andavano invece solo nelcentro della città per vendere le loroquattro cianfrusaglie e tornare poi disera, sfiniti e addormentati a boccaaperta fino al capolinea di Itaim. Ognigiorno sempre la stessa lotta per quat-tro reais, ogni notte sempre le solitesparatorie per la merce, ogni fine set-timana sempre le solite sbronze perdimenticarsi un po’.

Dentro queste contraddizioni c’ètutto il Brasile, un Paese dove il valo-re della vita è direttamente propor-zionale alle condizioni socioecono-miche di chi vive; chi ha molto valemolto, chi non ha nulla scompare infretta dagli occhi e dal cuore.

La povertà,semplicementeuna colpa

I colpi di arma da fuoco che sentonoregolarmente ogni notte risuonarenell’aria la dicono lunga sulla feritaormai aperta e sanguinante di una so-cietà dove, per comprendere vera-mente che cosa sia mai l’esclusionesociale, è sufficiente calcolare comesia possibile sopravvivere (e non vi-vere) in cinque con mezzo milione dilire al mese, dove non ci sono anti-biotici e antipiretici per chi non puòpagare, dove la maggioranza dei bim-bi arriva a malapena alla quarta ele-mentare, dove la prostituzione infan-tile ormai è endemica, dove non c’èuno straccio di garanzie sociali checonsenta a chiunque di guardare alfuturo con la testa un po’ alta.

Tutto questo i poveri lo capisconomolto bene, ma la stratificazione so-ciale è ormai un meccanismo cosìperfetto e collaudato da svuotare disignificato ogni possibile protesta. Losquilibrio nella ripartizione delle ric-chezze genera dipendenza su ognicosa e favorisce la convinzione cheil lavoro non sia un diritto, ma unaconcessione benevola dei ricchi, eche la povertà sia semplicementeuna colpa.

In un contesto simile, una società diesseri umani dolcissimi e teneri si tra-sforma in modo quasi innaturale in uncampo di battaglia dove, in mancan-za di regole e di tutele, vale solo lalegge del più forte, del più abile e delpiù fortunato. Ecco perché, secondome, l’esplosione sociale tanto temutadai potenti è già in atto.

Ma nonostante tutto noi non saremomai nella condizione di capire perchéquesto popolo inginocchiato e umi-liato da uno sfruttamento plurisecola-re non assuma l’iniziativa di rove-sciare le parti, assumendosi la re-sponsabilità del proprio destino. Amolti interessa mantenerlo in unacondizione infantile, così da poterlocontrollare meglio. Però, come tutti ibambini, l’esplosione delle contrad-dizioni e dei drammi più profondipuò costituire anche una ricchezza.

Questo è un popolo che sa trovaremomenti di umanità intensissima, digioia irrefrenabile e di trasparenza in-teriore e tutto ciò può costituire allalunga un’arma vincente contro ogniapparente logica di potere.

Un popologiovane

È un popolo giovane che ha tutta lavita davanti, potendo fare leva so-prattutto sulla sua vivacità culturale esulle sue potenzialità creative. Den-tro l’orrore della miseria e dello sfrut-tamento c’è già un seme di liberazio-ne di quest’infanzia difficile vissutasenza madri e senza padri.

Ecco perché il Brasile è come i suoibambini, quotidianamente violentatinel corpo e nello spirito, ma pur sem-pre bambini, con la loro voglia di gio-care e di passare oltre ogni conflitto eogni rabbia. Resta il dubbio sulla rea-le possibilità di cambiamenti socialia breve termine, considerata l’assolu-ta marginalità economica e politica diquesto Paese, di fatto colonizzato da-gli Stati Uniti e dall’Europa.

La sfida è aperta e lo sarà ancora dipiù quando la moltitudine dei poverie degli esclusi prenderà coscienza delproprio valore e del proprio ruolo.Queste sono le vere rivoluzioni che ciattendono.

Egidio Cardiniinsegnante nella

scuola media superiore.Risiede a Castano Primo (Mi)

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i t i n e r a r i

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Carissimo Giuseppe,

la ringrazio per la sua lettera; sonorimasta molto impressionata dalle sueparole.

Sono appena rientrata da Israele espero di essere in tempo per scriverealcune righe. Non mi è facile espri-mermi con le parole, non solo perchélo sto facendo in una lingua che nonè la mia, ma anche perché si tratta diun’esperienza profonda ed unicaquella sperimentata al campo di Au-ronzo. Il ricordo mi ha seguito fino acasa, in Israele, dove ho raccontatodelle attività di Macondo che hanno

suscitato grande interesse.Quando ho ricevuto la telefonata di

Paola, in cui mi invitava a partecipa-re al campo, ho acconsentito con en-tusiasmo, ma poi mi sono accorta chequesto voleva dire rimandare il mioritorno a casa. Mi consultai con miamadre, la quale con grande saggezzami disse: «Vai, perché te ne potrestipentire»… non sapeva quanto sareb-be stato vero…

Pensavo di tenere la solita relazio-ne, rispondere alle domande e tor-narmene a casa. Si dice che le coseche non ci aspettiamo sono le piùmagiche, ed io per la prima volta ho

La diversità corresu frequenze compatibili

di Yarona Pinhas

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c o r r i s p o n d e n z e

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sperimentato un momento alchimico,la trasformazione di un semplice in-contro tra relatore e pubblico, paroledette e parole ascoltate, confrontoisraeliano-italiano-brasiliano, con-fronto cristiano-ebraico, in un’atmo-sfera che esprimeva un tutt’uno. Nonc’era né l’inizio né la fine, né la dua-lità delle cose ma soltanto il sentirsiin fondo tutti esseri umani che intra-prendono lo stesso cammino…

Chi a piedi scalzi, chi meno, chisceglie un sentiero, chi un altro, perarrivare all’infinito ed allo stesso tem-po a se stesso. Chi lascia spazio ad al-tre conoscenze ed esperienze e chi nefa a meno.

La mia esperienza è quella di un’i-sraelita in Italia già da quattro anni. Ilmio entusiasmo iniziale era di vivereun’esperienza in un paese totalmen-te diverso dal mio, di cui ammiravo lacultura. Sono arrivata con una valigiae senza pregiudizi o grandi aspettati-ve. Volevo utilizzare questo soggior-no per confrontarmi ed allo stessotempo arricchirmi tramite l’incontro

con una cultura ed una religione di-verse dalle mie. Ho dovuto tante vol-te spiegare cosa vuol dire essereebrea, affrontare pregiudizi sugli ebreie giustificare la politica in Israele.

Così, per le persone non ero più Ya-rona, ma soprattutto «la israeliana direligione ebraica» e per la burocraziauna straniera che per di più sarebbevenuta in Italia per fare lavori saltua-ri. Ho scoperto che l’Italiano medio èmolto gentile e simpatico, ma non sifida a far entrare uno straniero a casasua. Il mio senso di esclusione è ter-minato quando ho conosciuto variepersone che facevano parte dell’or-ganizzazione “Servas”, il cui scopo èampliare la conoscenza dei vari po-poli tramite uno scambio di ospitalità.Finalmente ho iniziato ad ambientar-mi anche grazie al lavoro.

Purtroppo da questa esperienza hocapito che con tutta la buona volontànel sentirsi “un cittadino del mondo”,ci sia sempre qualcuno o qualcosache ti farà capire che sei soltanto unospite di passaggio. Paradossalmente,alla fine di questo processo, la tua

identità di casa si accentua.Poi è arrivato l’incontro con Macon-

do che mi ha fatto capire che ci sonotante altre persone che con tanta de-vozione stanno costruendo un pontedi amicizia, solidarietà e comunioneper far sì che tutti noi possiamo vive-re in un mondo di fratellanza e pace.

Vorrei unirmi a voi ed essere partedi tutto questo. Quanto simbolica esplendida fu l’esperienza della scala-ta di gruppo sulla montagna per poiriunirci la sera per ballare e cantareinsieme fino a notte fonda. Mi è ve-ramente dispiaciuto lasciare il campoprima della sua conclusione e quan-do ho salutato i partecipanti sentivodi aver conquistato nuovi amici chesperavo di rivedere presto.

Senza aspettare un altro diluvio uni-versale, vorrei vedere un arcobalenocomposto dei colori che simbolizzi-no tutti i popoli in questa terra, distintie uniti allo stesso tempo, che si riflet-ta sulla terra e risplenderà nel cielo.

Tacla (grazie) di tutto cuore, un ca-loroso shalom,

Yarona

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c o r r i s p o n d e n z e

Macondo 1999Madrugada anno 9

Macondoè contaminazione,

è costruzione attiva di un pezzo di storia,è volontà di dialogo, crescita personale, terra molto fertile,

è luogo di incontro, laboratorio umano che educa all’incontro.Promuove iniziative di “contaminazione” di giustizia,

è uno stile.Propone un pensare senza ideologie,

è ricerca personale, è punto di incontro,è crescita,

è sensibilizzazione,è scambio di sentimenti comuni,

è testimonianza,è impegno.

Macondo è poca cosa… ma continua con Te.Macondo non è indicizzato al tasso di inflazione.

La quota di adesione a Macondo per il 1999 è ancora fissata a lire 50.000,ma ha un forte valore simbolico.

Se vuoi invece partecipare alle sole spese di Madrugada, contribuisci con lire 15.000.Troverai il conto corrente postale allegato a questo numero.

Puoi segnalare sul retro del bollettino l’indirizzo di un amico al quale desidereresti fosse inviata la nostra rivista.

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Quando Amelia - quattro anni e mez-zo e alcuni recenti successi al suo pri-mo corso di nuoto - deve affrontare lavasca da bagno oppone una fiera re-sistenza. Si apre quindi un lungo con-tenzioso con mamma e papà. Ameliasi dimostra un “osso duro” e rispon-de colpo sul colpo ai tentativi di ac-cerchiamento. La sua risposta preferi-ta è un chiaro e secco: «Non è vero!».

Ad esempio. Non è vero, come i ge-nitori vorrebbero farle ammettere, cheesista una perfetta identità, o almenouna qualche somiglianza tra la pisci-na e la vasca da bagno. Anzi, a partel’acqua (e Amelia ci fa anche notareche in piscina l’acqua è tanta, mentrenella vasca è poca), la piscina è deci-samente “un’altra cosa”. Su questopunto Amelia esprime un convinci-mento, per così dire, inaffondabile.

Battuti alla scuola di dialettica, i ge-nitori ripiegano su un argomento piùclassico ma che almeno ha il pregio -ai loro occhi - di essere incontestabi-le. «Non vedi come sei sporca?». Co-sa potrà obiettare Amelia davanti al-

l’esibizione delle prove: mani nerissi-me, avanzi di colore sulla faccia, stra-ne carte geografiche sulle braccia, ca-pelli color topo, piedi formaggiosi?

Ebbene, contro ogni evidenza, Ame-lia contrattacca. Sì, ammette di esseresporca, ma non «abbastanza sporca».Non abbastanza per meritare un ba-gno. Un bagno che si può benissimoposticipare: dopo, domani, un altrogiorno. Anche perché Amelia ha inmente altre e più importanti priorità:guardare un cartone, giocare con lebambole, telefonare alla nonna, an-dare a trovare i cugini.

• • •

Quando, alla fine, Amelia si ritrovanuda e insaponata - è chiaro che coni grandi bisogna perdere qualche bat-taglia - sembra dimenticarsi delle suemille obiezioni. Subito dopo troveràil modo di divertirsi anche nella va-sca da bagno, e vorrà rimanerci persempre, e ne verrà estratta solo a vi-va forza.

Onore ai soldatinivigliacchi

di Francesco Monini

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Adesso, avvolta nell’asciugamano,è di nuovo arrabbiata. Forse avrebbequalcosa da dire sulla coerenza deisuoi genitori. Meglio non indagare.

Bisogna rivestirsi. Ad Amelia tornail sorriso. Si mette un dito sulla pan-cia nuda e, canticchiando la ballatarap di Lorenzo Cherubini, sentenzia:«L’ombelico del mondo...».

Primo commento: non è facile fareil bagno ad Amelia.

Secondo commento: non è facile in-tendersi tra grandi e piccoli.

Piccola morale: non è facile il dia-logo tra due ombelichi. L’ombelico diAmelia e l’ombelico dei genitori diAmelia. Perché ogni ombelico è alcentro esatto di un mondo. Esprimeuna soggettività, una identità, un de-siderio che non può essere ridotto al“tuo” desiderio, alla “tua” identità, al-la “tua” soggettività.

• • •

Non è chiaro, anzi è fortemente dub-bio, se il mondo abbia - oggi, mentrefinisce il millennio - un unico, vero ericonoscibile ombelico.

Per le pagine economiche, sembre-rebbe Wall Street l’ombelico dell’e-conomia mondiale. Se la borsa diNew York sale, salgono anche le altreborse. E viceversa.

Peccato che Wall Street sia stata direcente fortemente influenzata dallastoriella a puntate tra Clinton e unagiovane stagista. Forse l’ombelico delmondo corrisponde esattamente al-l’ombelico di un presidente degli Sta-ti Uniti “incontinente” e bugiardo?

Può essere. Ma tutto sta se l’opinio-ne pubblica americana, cioè se l’om-belico di 250 milioni di americani, siappassiona alla storiella, ovvero sidimostra stanca di riascoltarla perl’ennesima volta.

Visto che nelle ultime elezioni ame-ricane (poco più del 30% di votanti) iDemocratici non sono crollati, hannoanzi guadagnato 5 seggi alla Cameraa spese dei Repubblicani (un’inezia),forse Clinton è salvo e riuscirà a fini-re il suo mandato. Quindi, il dollarorespira. Quindi, Wall Street riprendea salire. Quindi, lo spettro del crollodei mercati si allontana.

• • •

Quindi, non esistono sostanziali dif-ferenze tra il funzionamento dei mer-cati mondiali e il fenomeno collettivo

che ha “costretto” milioni di italiani afar la coda davanti alle ricevitorie delSuperenalotto.

Aggiudicati salomonicamente i 62miliardi ad un intero paese, la corsanon accenna ad esaurirsi. Già sonoallo studio nuovi giochi e succulentisuper-super-premi.

Che ci sia sotto qualcosa di sporco?È naturale che qualcuno nutra qualchedubbio sulla correttezza del gioco.

Io non mi preoccupo e, quando miricordo, gioco le mie 1.600 lire. Nonvedo cosa ci sia di male a fantastica-re su come diavolo farò a spenderetutti quei soldi che prima o poi mipioveranno addosso.

Mi preoccupa invece che le primepagine dei giornali, e le aperture deitelegiornali, siano interamente devo-lute a questo nuovo sport nazionale.Ma come, non è successo nient’altronel mondo?

Mi preoccupa, anzi mi fa rabbrivi-dire, che nessuno si preoccupi chel’economia ed i mercati mondiali fun-zionino come il nostro Enalotto. Il fat-to cioè di essere governati dall’“Effet-to domino” che significa, in sintesi,essere in balia dell’assoluta casualità.

È già successo con alcuni paesi, conle cosiddette e ormai ex “tigri asiati-che”. Interi stati, milioni di uomini edi donne di buona volontà (e i loro ri-sparmi, progetti, sogni) possono esse-re distrutti nel giro di due giorni. Inbarba, anzi, spesso con la complicità,dei cosiddetti organi di controllo del-l’economia mondiale.

Ma, dico io, non ci sarà sotto qual-cosa di sporco?

• • •

Pinochet, 83 anni suonati, pensava diaverla scampata per sempre. Peggio,era tanto convinto, e tanto sincera-mente, di essere stato un Grande Sta-tista e un Salvatore della Patria, cheusava paragonarsi a Napoleone easpettava con ansia di essere merita-tamente inserito tra i manichini delmuseo delle cere.

Probabilmente - nonostante un co-raggioso e spregiudicato giudice spa-gnolo, e nonostante il coro delle vo-ci dei torturati e dei parenti delle vit-time che si sta levando da ogni ango-lo del mondo - il generale torturatoretornerà a casa e scamperà il processoe la galera.

Ma non potrà dimenticare le urla dichi chiede giustizia. Se riuscirà ad ad-

dormentarsi, il sonno non gli porteràcorone d’alloro ma incubi di sangue.

Dopo Pinochet, comunque finisca,speriamo che qualcuno sollevi la fo-glia di fico di una giustizia che si fer-ma sui confini degli Stati Nazionali,che lascia impuniti i crimini control’umanità per basse ragioni di politi-ca interna o di amicizia commercia-le tra “Nazioni sorelle”.

• • •

In un paese di montagna, austriacoprima del 1918 e oggi italiano, ci so-no due piccoli cimiteri militari. In unodormono i “fanticini” italiani, nell’al-tro i coetanei che combatterono perl’Impero Austroungarico. È passatotanto tempo: i visitatori, dell’una edell’altra parte, si contano ogni annosulle dita di una mano.

In quel paese di montagna c’è peròun unico monumento ai caduti dellaGrande Guerra. Sul basamento ci so-no due semplici liste di nomi. Non èperò facile capire a prima vista qualisiano i “nostri” e quali invece gli an-tichi “nemici”, perché nomi e cogno-mi, tedeschi ed italiani, ricorrono e sirincorrono in entrambe le liste.

Il premier francese Lionel Jospin - ènotizia di questi giorni - ha riabilitatole migliaia di disertori francesi del’15-’18. Si erano rifiutati di gettarsi al-lo scoperto e di andare a mani nudecontro il fuoco delle mitragliatrici. Fu-rono fucilati dai loro comandanti co-me codardi e disertori. Carne da ma-cello, in ogni caso. E per una guerrache nessuno di loro - né gli eroi né idisertori - avevano scelto.

Anche in Italia c’è qualcuno chepensa di ridare l’onore a non meno di10.000 fanti fucilati come disertori daufficiali che preferivano stare nelle re-trovie.

Sarebbe giusto. E sarebbe giusto ri-scrivere tutti i nostri monumenti ai ca-duti. Mettendoci i nomi di tutti i mor-ti: dell’una e dell’altra parte, quelli ca-duti sotto il piombo nemico e quelliuccisi dai plotoni d’esecuzione. Ecambiare la scritta:

«La patria si è sbagliata.Chiede scusa a tutti per l’orrore del-

la guerra».

Francesco Moninidirettore responsabile

di Madrugada.Vive a Ferrara.

Lavora in una cooperativa libraria.

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28 giugno 1998 - Farinel-li parte per il Brasile. Faràuna scappata in Argentina,a Buenos Aires; e poi andràpure ad Alcobaça, a trovareSalvino Medeiros che si ètrasferito nel paese natio,senza fare il nido, raffor-zando i nodi della memo-ria. Insegnante e avvocato;maestro di musica e pro-motore sociale. Saranno suoiospiti in tappe successive:Egidio Cardini da Milano;inoltre Donatella, Samuel eAlessia che passeranno so-lo a ottobre. Si incontreran-no con i giovani e le ragaz-ze del paese. E poi l’ocea-no, e l’isola dei coralli, i fio-ri ed il grido dei gabbiani.

1 luglio 1998 - Rocca San-ta Maria (Mo). Mentre il cal-do imperversa e le vespepungono anche i muri di ce-mento e langue il pensieronei rivoli del sudore e la fan-tasia ghermisce dal fondoopaco larve di donne e ca-valieri, per superare la mo-notonia dei fast food si riu-niscono i monaci della for-mazione, gli indiani dellaprogettazione, i contadinidei campi scuola, che an-che quest’anno si terrannoin regioni climatiche, sismi-che e accampamenti ziga-ni. Hanno cercato le lineeguida di un senso inesplo-rato e hanno scoperto pa-scoli reconditi e animali dalfiero cipiglio. Cirigliano, To-di, Auronzo sono i nomi del-le località in cui si svolge-ranno i lavori: ed ora si apra-no le danze balneari.

4 luglio 1998 - Bologna.

La cooperativa “Lo scoiat-tolo” ha organizzato un con-vegno sul tema Lavorare as-sieme, tenuto nella sala del-l’Associazione Industriali.Ha introdotto i lavori Giu-seppe Stoppiglia. Non daesperto, ma da testimone,afferma: lavorare assieme èun processo educativo, è uncammino di liberazione. Sisono susseguiti molti altri re-latori il cui nome è ancorascritto sui muri di Bologna,in attesa di essere docu-mentato nei cieli.

7 luglio 1998 – Roma.Convegno su L’orientamen-to come social work. L’ini-ziativa a livello nazionaleera preparata da diverse isti-tuzioni, tra cui l’AIF. All’in-contro era invitato ancheStoppiglia che ha tenuto larelazione su orientamentoglocale, un neologismo danon barattare con “mi cale(mi interessa) il Glo(mme-rulo)”. Il seminario era sul-l’orientamento: apertura almondo e radicamento nelterritorio; scoperta di inte-riorità e voglia di relazioninon programmate.

10 luglio 1998 - Bassanodel Grappa (quartiere di San-ta Croce). Matrimonio di Na-talino e Sabrina, nella chie-sa di santa Croce. Si raccontache Sant’Elena, madre di Co-stantino, che qualcuno ve-nera come santo, abbia do-nato la Santa Croce alla par-rocchia omonima; per que-sto vi si celebrano i matri-moni del secolo. A confer-ma di questo, approfittandodel caldo afoso, i promessi

hanno raggiunto il banchet-to ai piedi dell’altare, perconfermare davanti all’as-semblea il loro consenso. Lacorte si era ritirata a Versail-les, per ristorarsi dal caldo.La corte minore degli sposiha rallegrato la giornata inun banchetto gioviale.

20 luglio 1998 - Pove delGrappa. Nella sede di Ma-condo, nei sotterranei, lon-tano da occhi indiscreti, siè tenuta la verifica della Fe-sta di Macondo, perché tut-ti sappiano. Si è detto che alCentro giovanile di Bassanola grande sala del convegnoè stata accogliente. Il loca-le del centro forse menoadatto ad accogliere tantepersone in un clima di scam-bio. Il pasto è stato servitocon tempestività. La musicanon ha coinvolto piena-mente i presenti (degli as-senti non s’è parlato, che co-munque non sono l’altra fac-cia dell’umanità). La sotto-scrizione a premi ha offertouna resa ancora da definire.Naturalmente un ringrazia-mento è andato ad AlbertoBordignon per l’organizza-zione, a Giuseppe per il li-vello della tavola rotonda.Un ulteriore grazie a quan-ti hanno dato il loro tempoed il loro ingegno alla pre-parazione della giornata. Atutti, non mancate alla pros-sima, che si terrà, oh! si terrà.

22 luglio 1998 - Dosolo(Mantova). Gianni, Giusep-pe, Giorgio definiscono le li-nee del campo scuola di Au-ronzo, gli argomenti, e i te-stimoni. Viene dato un no-

me, che è la linea di con-dotta del lavoro: Dall’obbli-gatorietà alla gratuità. Sul ti-tolo era stata pure imbastitauna discussione linguisticaa partire dal primo termine:obbligazione, che poi si ètrasformato nel presente, cheha meno sapore giuridico, eforse non guasta. Il vicino Poè basso, un tempo ci si po-teva fare un bagno: unico pe-ricolo era di trovarsi all’u-scita senza abiti, come donCamillo. Al campo sarannopresenti giovani, ragazze ecoppie sposate con figli, an-che piccoli.

26 luglio 1998 - Cavasodel Tomba (Tv). Giuliana diBelem, figlia di Lúcio FlávioPinto, è ospite in casa diGiorgio e Sonia. Ha fatto uncorso di lingua italiana a Sie-na, ospite presso la famigliaGrande. Si fermerà in Italiafino ad agosto. E sarà ospi-te presso la famiglia Ansa-loni; credo che Alessia ri-cambierà la visita dell’ami-ca brasiliana.

29 luglio 1998 - Venezia.Partono per il Brasile Tomas,Chiara, Marco, Davide. Han-no fatto un breve corso diportoghese con notizie edinformazioni sul Brasile. Re-steranno trenta giorni, viag-giando tra aerei, bus, jeep,aquile e pantere; feste uma-ne e incontri da non scor-dare. Chi potrà riferire legioie ed i tormenti di quan-ti sono passati per la casa diRio de Janeiro? RicordiamoStefano, Adriano, Filippo ela sua sposa promessa. Qual-cuno, nella fretta di partire,

Macondo e dintorniCronaca dalla sede nazionale

di Gaetano Farinelli

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ha dimenticato pannolini,dentiere, medicine provvi-sorie, unguenti solari, par-rucche, insulina. Per l’insu-lina era pronto l’aereo po-stale Rio-Vicenza; ma poihanno ripiegato per una far-macia del centro. Gli amicihanno vagato per le foresteed il verde del Pantanal; han-no incontrato i Senza Terra;e le manifestazioni di piaz-za contro Cardoso, che poihanno rieletto ancora, forseper il gusto di fischiarlo; operché si ama quel che siodia; o perché i turni di not-te non li vuol fare nessuno.Sul litorale, nelle strade, alsole e nella penombra han-no visto Leonidas, Adelaidee Silvia; Salvino e Monica eMatteo; Corina, Gino ed isacerdoti del Candomblé;Maria, Vera, Sara e Cristia-no; e Gianni che sposavauna donna del Sud, Martadagli occhi verdi.

2 agosto 1998 – Todi (Pg).Inizia il primo campo scuo-la, diretto da Gianni Pe-drazzini. Per tracciare le li-nee della cronaca è bene ri-farsi alla memoria del cor-so, non certo alla mia. Tito-lo: In cerca d’ali. Sottotito-lo: Alla scoperta dell’altro.Segue poi, come nelle pel-licole, l’elenco dei produt-tori, dei partecipanti e del-le comparse, che varrebbela pena farli comparire, an-che perché sono personesimpatiche, che oltre a por-tare il peso della testimo-nianza, raccontano storie dicampi dorati, di stelle filan-ti e di coleotteri giganti chetrasportano treni di gitantisvagati. Eccoli nell’ordine,e non applaudite, per nonarrestare la penna malfermadel cronista scontroso: Giu-seppe Stoppiglia, AugustoCavadi, Mario Bertin, Raf-faele Bonanni, Mario Aldi-ghieri, sulla traccia lieve deifenicotteri; e volavano ver-so: Il senso; Umanesimo me-ticcio; Il bene comune e lagiustizia, Il bene globale, chesono terre lontane, dentro di

noi; ho scritto tutto d’un fia-to, ma m’è parso di sentirefioco e tremulo un “ip ip,urrà!” di qualche clown sfug-gito ai controlli. Ora sonoatterrati sulle loro terre, ecercano ancora l’Eldorado,adesso che l’oro è finito.

4 agosto 1998 - Firenze.Monte Senario. Tendopolidei Servi di Maria. Cosa siaavvenuto dentro e oltre letende non lo so. Forse pia-ni di assedio sulla città diDante: Guelfi o Ghibellini?O forse solo paciosi mona-ci all’assalto? Cinquanta gio-vani ricercavano il senso del-la fede. Erano ospiti sotto latenda, perplessi (furto d’ar-te sfacciato) Giuseppe Stop-piglia e p. Umberto Scala-brini. Sul mare scivolano lebarchette; ed i villeggiantierano a mollo sotto l’ondadel bagnasciuga, come do-po un nubifragio. Mangia-vano i meloni e succhiava-no le granatine, sotto gli om-brelloni dei bagnini.

8 agosto 1998 – Todi (Pg).Nel monastero, che è un la-birinto accogliente; dove l’in-teriore non fagocita i rap-porti e rimane spazio per lemani e per la mente, si con-clude il campo. Erano tren-ta, sopra i vent’anni. Pienidi vita; eppure fermi sul ci-glio della strada a chiedereal viandante: per dove si va,per andare dove vogliamoandare. E la risposta era al-legra, e la risposta era seria,come nelle burrasche dellavita. In questo numero unanota di colore a parte sul co-mandante pacifista armato,a penna di Ivo.

20 agosto 1998 - Pove delGrappa (Vi). Casa e adia-cenze. In occasione delcompleanno di Giuseppe,nel prima e nel poi passanoper la casa amici i cui nomifigurano nelle pagine illu-strate di libri antichi e roto-calchi in bianco e nero del-l’era postmoderna. Gianni eLuigia, don Gianni Gambin,

Mario e Benita, Sergio e Sil-vana. Con sobrie cene a Ene-go, Onara, e Pove. Non ar-riverà mai un fax speditotempestivamente da Rio, ilcui contenuto non era co-munque compromettente.

24 agosto 1998 - Ciriglia-no (Matera). Inizia il campodel Sud. Direttrice AngelicaSansone. Al campo, parte-ciperà anche padre Edilber-to Sena, proveniente dal Bra-sile. Si incontrano ragazzi eragazze del Sud e del Nord.L’obiettivo del corso era laricerca di sé nella scopertadell’altro; che poi si è sno-dato tramite i relatori testi-moni nelle varie tappe: Lavitalità interiore; Società epolitica; Scuola e cultura;Solidarietà e mondialità; Larelazione: spazio da riem-pire di gratuità. I relatori ri-spondevano alla proclama-zione di Mariangela Turco,Domenico Amalfitano, Pie-ro Fantozzi, p. Edilberto Se-na e Giuseppe Stoppiglia. Ilposto incantato; i vani es-senziali, ma ospitanti. Nerala terra e il cielo blu, comenella canzone del vecchioModugno; anche se quelloera dipinto di blu, perché isogni, quelli di primo mat-tino, sono vivaci. I ragazzierano giovani e pronti. I tem-pi forse troppo stretti perascoltare ed assimilare leconversazioni profonde.

25 agosto 1998 - Milano.Arriva p. Edilberto Sena inItalia. Ad accoglierlo quan-ti si sono salvati dalla cani-cola estiva. Capofila per leonoranze, Egidio Cardini; adistanza Giuseppe Stoppi-glia, nella città di Vicenzache il Bacchiglione lambi-sce. Dalla foresta all’asfaltogrigio e caldo che copre granparte del suolo italico, untempo orgoglio, ahimè, oraanche sciagura e orrore.

28 agosto 1998 - Verona.Arriva, dopo due mesi di per-manenza in Brasile, Gaeta-no Farinelli. Sono ad atten-

derlo gli amici Giuseppe edEdilberto. Mentre a Ciriglia-no si conclude il campo, rul-lano i tamburi per quello diAuronzo; e si avvia per imonti il dio Pan, con le sueninfe a controllare che co-sa fanno gli angeli custodisenz’ali, angeli atteri in lin-guaggio tecnico michelan-giolesco cappella sistinico.Lo staff al completo antici-pa gli eventi e le ricorrenze;senza incasellare il flussomultiforme della vita.

30 agosto 1998 – Auron-zo di Cadore (Bl). Prende ini-zio l’ultimo campo. Ci sonogiovani e ragazze, e diversecoppie con bambini picco-li e implumi. Lo staff è italobrasiliano e non è un gioco:Edilberto e Angelica Martins,infatti, fanno parte del grup-po dirigente. Dalla obbliga-torietà alla gratuità era il te-ma che si dipanava poi suinodi de: I giovani nella so-cietà della paura, Vivere latenerezza: i luoghi del ma-schile e del femminile, Lagratuità come categoria del-l’agire politico, Camminarea piedi scalzi verso la pro-pria terra, ed infine Vitalitàdegli spazi interiori: Sui mon-ti che si rincorrono sotto lenubi ferme, dentro i boschiche il capriolo attraversa ve-loce per paura di morderela polvere o il sacco, si so-no susseguiti in qualità di te-stimoni Andrea Bramucci,Yarona Pinhas, Michele delGaudio, p. Edilberto Sena eGiuseppe Stoppiglia. Il me-todo era quello dell’educa-zione degli adulti, attivo ecoinvolgente nei gruppi enegli intergruppi. La sera laSonia assoldava un gruppodi saltimbanchi fino alle un-dici, che imbastiva fila-strocche, canzoni, giostrecaracollanti, incontri d’a-more al passato, sproloquiincandescenti e vedette sen-za le velette di prassi.

15 settembre 1998 - Aba-no Terme (Pd). Nel trenten-nale di fondazione dell’A-

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genzia SAI, Pino Scotton hatenuto una serie di incontri.Oggi il tema recitava: Asso-ciazioni no profit: quali re-sponsabilità e loro proble-matiche. Non poteva man-care una presenza qualifica-ta di Macondo, che si è con-solidata in Stefano Benacchioe Carmelo Miola. La rela-zione, che diveniva poi di-scussione e colloquio, era te-nuta dal dottor Mauro Ta-rantino, commercialista diAncona, esperto del no-pro-fit. Era interessante capire imeccanismi assicurativi chesi innestano nell’area del vo-lontariato, a tutela di quantipartono con il cuore gonfiodi emozioni e di progetti.

19 settembre 1998 – Co-macchio (Fe). Con prove-nienza da Bassano, una tria-de non conforme giunge lanotte in un campiello irre-golare di case ammucchia-te e furtivamente si introdu-ce nella casa di un amico,seguendo un filo di fumo ap-peso ad una lisca di pesce.Luigi aveva loro preparatouna cena a base di pesce edi vino tenue, con cui si de-gusta il sapore caldo del-l’anguilla. La triade era inviaggio per la redazione diMadrugada che, dovendo ri-vestire nuova pelle, ci pro-va con la pelle croccante delpesce non conforme.

20 settembre 1998 - Fer-rara. Dopo aver dormito neipressi della torre della co-lombaia, che si erge dietroun casa di campagna delCinquecento, che il padredi Francesco a suo tempo harestaurato, e rallegrato conla presenza dei figli, gli ospi-ti della famiglia del diretto-re responsabile di Madru-gada, sono partiti per la città,alla cooperativa Le Paginedove si è tenuta la riunioneper predisporre i numeri tren-tadue e trentatré. Avrete no-tato che stiamo tentando unnuovo esperimento: quellodel monografico, che nonvuole essere monolitico, e

neppure tentacolare; forseun modo di soffermarsi piùa lungo su di un tema chepiace. Senza dimenticare ilbello della riffa. All’incon-tro erano presenti, con di-ritto di parola: Corrado, Fran-cesco, Gaetano, Stefano eStefano, Enzo; ne esce unservizio su Interculturalitàed uno sull’Africa.

22 settembre 1998 - Mila-no. Pino Scotton accompa-gna a Milano p. Edilberto inpartenza per il Brasile. La suapresenza ci ha rallegrato; unsorriso caboclo; ora ci man-ca, e arriva anche l’autunnocon le piogge; ma noi resi-steremo al tempo e pense-remo sulle ali migranti degliaironi, e degli albatri tenuied altissimi. E ci ritroveremosulle brume e sulle nubi cal-de, cariche di folgori.

26 settembre 1998 - Bo-logna. Ospiti in una salettaal neon della Cisl regionalesi incontra il gruppo deglianimatori dei vari campiscuola. Anche Angelica, pro-veniente da Taranto, è pre-sente; e Paola che viene daCaserta. Si parla del rapportotra tempo e contenuti; traambiente e gruppo che cimangia e ci lavora; di quelche gli animatori ed i ragazzihanno gestito nel program-ma di formazione prepara-to da altri; delle relazioni tracoppie sposate e giovani al-la ricerca di senso nel cam-po di Auronzo. Nell’aria luc-cica la voce del che fare ecome continuare. E si pen-sa già all’incontro verifica diDosolo.

27 settembre 1998 - Bo-logna. Festa della Collina suicolli dell’Appennino, tra l’e-remo e il santuario. Gli ami-ci di Bologna ci hanno con-vocato attorno al tema deldebito estero, che in occa-sione del Giubileo duemilasi presentava con il titoloprovocatore Rimetti i nostridebiti. Relatori famosi e me-no; esperti e più esperti: PierLuigi Castagnetti, europar-lamentare - Stefano Zama-gni, economista - GiuseppeStoppiglia, presidente di Ma-condo - Mario Cavani, vicepresidente Banca Etica -Claudio Avallone, direttorecentro missionario - OttavioRaimondo, direttore Editri-ce missionaria italiana. Iltempo inclemente non hafavorito le presenze. Con unpugno di uomini si può con-quistare il forte.

30 settembre 1998 – Me-stre/Pove del Grappa. Giu-seppe chiude la sua attivitàdi lavoratore dipendente.Francesco diceva: o frati, sia-te sottomessi a tutti. Per tut-ti, ad esclusione degli anar-chici. Siate uomini liberi. Edio credo che al fondo il buonFrancesco, che Dio l’abbiain gloria, parlava di un’au-torità che è servizio; e di unadisponibilità all’ascolto, cheanche allora forse era cosastravagante e rara.

Padova. Si apre un Semi-nario internazionale di stu-dio sui Modelli di pianifica-zione per uno sviluppo eco-sostenibile, sotto la direzio-ne dei prof. Ivano Spano eDario Padovan. La giornatasi è aperta con un titolo sug-

gestivo: La visione dinami-ca della realtà: dai sistemifisici al sociale. GiuseppeStoppiglia era stato invitatoin qualità di uditore.

2 ottobre 1998 - Sant’A-nastasio di Cessalto (Tv). Al-berto Camata organizza unaserata musicale con i Lagu-nablè al Petin e Petee, cuisono invitati gli amici dellamusica latino americana, equanti amano i ritmi cheesorcizzano gli zombi. Ca-tia e Alberto, da poco rien-trati dal Brasile, ricordanocon affetto, senza ricostrui-re facili nostalgie.

4 ottobre 1998 – Dosolo(Mn). Si incontrano quantihanno partecipato ai campiscuola di questa estate. Alladirezione della verifica ci sta-va il buon Gianni, coadiu-vato dagli animatori, chehanno pure condotto i grup-pi che si sono formati in ba-se alla partecipazione aicampi. Gruppo per gruppo,con modalità diverse: pan-nelli, chitarre, sussurri, gri-da a squarciagola, tutti han-no presentato quanto elabo-rato in mattinata. Ci sono sta-te critiche allo svolgimento,ci sono stati consensi, ci so-no state pure delle proposteper il futuro; si è detto co-munque di continuare, per-ché la cultura del narcisismoè tanto forte che specchiar-si nell’altro attutisce forse idanni della competizione edel parlarsi addosso.

La parrocchia di Dosolo,ed in particolare gli amici diGianni, hanno preparato unpranzo delicato ed abbon-dante, che va annoverato trale delizie della terra di Ben-godi. Erano presenti giova-ni da Taranto, da Siena, dalVeneto, dalla Romagna.

7 ottobre 1998 – Stroppa-ri di Tezze sul Brenta (Vi). Setu la ricerchi nelle carte delmedioevo, forse la ritrovi al-la voce: bronchi; ma se chie-di oggi al passante, ti do-manda se cerchi lavoro; se

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poi insisti allora ti indica ladirezione. Dopo aver buca-to la ruota, due della segre-teria di Macondo ed un ad-detto stampa hanno cenatoin casa di Carlo, Patrizia eAndrea, per non fare la fi-gura dei lebbrosi che non siripresentarono dopo la gua-rigione, e si beccarono lanota di richiamo. Il bambi-no Andrea, dopo alcuni at-timi di reticenza, ha preso ilcontrollo della situazione.Gli altri a tavola, per festeg-giare la donazione dello stu-dio in legno alla sede di Ma-condo da parte di Carlo Val-le e della Prestige. Non di-telo al tarlo, e scrivetelo nelvento, che porta il sussurrodella tortora ed il fruscio delserpente.

10 ottobre 1998 – Bassa-no del Grappa (Vi). La cittàdi Bassano, la conferenzadei sindaci, la ULSS n. 3,nell’attività compresa nelprogetto incontri sul volon-tariato, hanno proposto unconvegno dal titolo com-plesso, incasellato in un ri-quadro perché non scappi-no le lettere mal pronunciatedal convegnista inesperto: Ildare e l’avere nell’auto-mu-tuo-aiuto. È un atto di buo-na volontà, rivolto a racco-gliere quanti si dedicano alvolontariato sul territorio ea far emergere le forze chehanno speranza nell’uomo;alla tavola rotonda, che con-cludeva la mattinata, sede-va pure Giuseppe Stoppiglia,che allargava il tema al rap-porto tra i popoli.

11 ottobre 1998 - Ferrara.Don Piero Tollini a 77 annilascia la parrocchia di San-ta Maria di Borgo Punta, perritirarsi a vita privata, comesuol dirsi. Ed è vero chequando si abbandona unavita ufficiale, non sentiraipiù quelli che ti richiedonocon sussiego; ma intanto turesti quello che sei, e la tuapresenza mantiene la stessasolidità di prima: affabile etenue. Don Piero si porta

dietro la simpatia degli ami-ci che lo hanno seguito inquesti anni; ed ha loro la-sciato un libro, rosso; ardentecome il suo carattere: gli an-ni di Borgo Punta.

14 ottobre 1998 – Castel-franco Veneto (Tv). L’asso-ciazione Gli altri siamo noiorganizza un incontro conDino Frisullo, giornalistascrittore, incarcerato in Tur-chia per aver manifestato infavore dei diritti umani; pa-re una cosa ridicola, eppu-re ad Ankara lo schiaffanodentro perché chiedeva inmodo pacifico la libertà delpopolo curdo. Lo stato è ve-ramente una cosa seria, nonride mai; a meno che nonsia un capo di stato che glidia ragione; ma pure allora,solo in foto. All’incontro Giu-seppe Stoppiglia, coordina-tore sorridente.

18 ottobre 1998 - Pezzo-li Villadose (Ro). Per chi ciabita è facile riconoscerlo,e magari si meraviglia che ilcronista ponga tante coor-dinate; ma è solo per docu-mentare di quante attenzio-ni viene circondato un pae-se. Don Giuliano, il parro-co, ha voluto organizzareuna giornata missionaria, in-vitando don Giuseppe Stop-piglia; il quale ha parlato diquanto debba rivedersi (emagari ravvedersi) la mis-sione per non essere la com-missione che preconfezionila parola e le buone opere.La parrocchia ha poi inten-zione di costruire un lega-me solidale con un paesedel Brasile, forse Alcobaça;e si vanno sollecitando i gio-vani per un viaggio in Bra-sile ed in America Latina.

20 ottobre 1998 – Rosà(Vi). All’interno di un per-corso titolato: Un secolo intasca, questa sera l’argo-mento sarà: Questa è casamia! Che mi ricorda il ritor-nello della canzone: e quicomando io; che forse gli or-ganizzatori (organizzatrici?)

hanno voluto tralasciare, pernon provocare l’ira di chi lacasa se l’è costruita, ed il suopaese se l’è fatto. Il sottoti-tolo infatti recita: La convi-venza interrazziale ieri e og-gi. Relatori il prof. EmilioFranzina, docente di Storiacontemporanea; e Giusep-pe Stoppiglia. Da una parteil ricordo delle emigrazionie le carovane del dolore; dal-l’altra le religioni che noneducano alla tolleranza, eproducono steccati. Ho vo-luto mettere questa frase, si-curamente tendenziosa, per-ché forse nella sua estem-poraneità è un atto d’accu-sa ad un popolo cristiano,che non ha ancora bruciatola bandiera dell’ultima cro-ciata.

22 ottobre 1998 – Casar-sa (Ud). So che non dovreiriportare questa notizia; malo faccio un poco per il pae-se, che mi ricorda Pasolini;e per l’argomento: Il lavo-ro come espressione dell’Iosolidale; era rivolto a deisindacalisti. Ed è interes-sante riprendere il lavorosecondo questa categoria:la solidarietà; speriamo chel’occhio non cada nel set-tore della assistenza. Face-va da relatore GiuseppeStoppiglia.

28 ottobre 1998 - Pezzo-li (Ro). Don Giuliano apreun percorso di formazioneper un gruppo di giovani,per costruire assieme a lorola speranza. Il programma sidipana su tre incontri preli-minari: l’ascolto di sé; l’ac-coglienza dell’altro; l’in-contro con Dio. Allo scopoha invitato un esterno, unconferenziere come ai vec-chi tempi, quando il sofistagirava nei paesi del Medi-terraneo per versare il suoscibile, e guadagnarsi il pa-ne; e magari fermarsi comeApuleio da qualche parte persposare la vedova ricca delpaese invidioso. Il primo in-contro è stato aperto da Fa-rinelli Gaetano.

29 ottobre 1998 - Bastiglia.Il Comune di Bastiglia e l’as-sessorato alla cultura nellapersona di Sandro Fogli han-no convocato la cittadinan-za sul tema: Emergenza Chia-pas. Anche se quel fuoco siè acceso all’inizio del 1994,resta pur sempre emergen-za; perché è emergenza an-che per noi che chiudiamogli occhi ai segnali che civengono dagli orizzonti, ol-tre i nostri montarozzi. Hatenuto la relazione Giusep-pe Stoppiglia, che ha vistodirettamente in Messico gliuomini ed il popolo che con-ducono quella lotta. Anchequest’anno diversi amici so-no partiti per il Chiapas, co-me osservatori internazio-nali. La serata di oggi fa par-te di una serie di incontri;nel prossimo incontro, chesi terrà il 12 novembre 1998,sarà ospite Ettore Masina apresentare ben due libri: “Ilvolo del passero” e “Diariodi un cattolico errante”.

30 ottobre 1998 - Vicen-za. Partono per Roma i si-gnori Burato, vincitori delterzo premio della lotteriaMacondo, con il bigliettoA1083. Non è il gratta e vin-ci della Carrà, e neppure ilsuperenalotto… Pernotte-ranno all’hotel Fiori di viaNazionale, vicino alla Ban-ca d’Italia. In occasione ilgovernatore Fazio ha ab-bassato il tasso di sconto suiprestiti, per facilitare l’ac-cesso alle spese del fine set-timana.

1 novembre 1998 - Festadei Santi. Pove del Grappa.Arrivano alla sede di Ma-condo tre amici da Mode-na: Nadia, Adriana e Pier-luigi, che parte per il Brasi-le. Quando un fuoco s’ac-cende, è difficile spegnerlo.

Gaetano Farinelliinsegnante di lettereal liceo scientifico.

Componente la redazionedi Madrugada.

Risiede a Pove del Grappa.

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E una semplice giostra diventa un’astronave cheruota in cielo.

È il modo incosciente dei bambini di inserirsinel grande gioco della vita: costruiscono unospazio in cui non vigono più le regole e le leggidella società adulta.

Nel gioco la vita viene rappresentata con del-le metafore che ne modificano il senso comune,facendo cadere le pseudo-logiche dei “grandi”.Per il bambino, infatti, la logica del gioco è pro-prio il suo non avere logiche.

In questo modo delimita un suo universo in cuiniente è più ciò che appare e dove può muoversiliberamente ed avere le proprie sicurezze che loproteggono dalla durezza del mondo esterno.

Il bambino è così libero di essere se stesso e

può inseguire i suoi sogni.Non siamo stati davvero bambini, allora, se non

lasciamo che la nostra infanzia ci provochi, chia-mandoci fuori da un mondo in cui l’infanzia ècalpestata perché non ne viene riconosciuto ilcarattere “altro” dalle logiche degli adulti.

Non siamo veramente liberi se non lasciamoche il fanciullino che siamo stati venga final-mente da noi.

Chiara Cucchini è insegnante di letterenella scuola media superiore

[informazioni tratte da L’infanzia tra nostalgia e uto-pia di Raffaele Mantegazza]

I capogiriLe immagini di questo numero

di Madrugada

di Chiara Cucchini

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