magzine 12
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mag | zine - La free-press della Scuola di giornalismo dell'Università CattolicaTRANSCRIPT
121FEBBRAIO
28FEBBRAIO2011
Periodico di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
www.magzine.it
magzine
Twitter journalism,la guerra in tempo reale
Andrea Nicastro,l’inviato digitale
Doc Gerry, l’ecoreporterche sfidava Manila
Gestalten tv, da Berlinol’arte del video collage
The Bold Italic, il meglio di San Francisco
I N F O G R A P H I C S !
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 20112
infodesign
di Giacomo Segantini e Francesca Sironi
D i a gra m m i ,database e gra fici possono ra c c o n t a re la re a l t àmeglio di un art i c o l o.Un lavo ro di illustrazione dei contenu t iche tra s f o rma i nu m e ri in immagini evo c a t ive e facilmenteaccessibili ai lettori .Elogio del giornalismo tutto da ve d e re
O M A N Y N E W S, S O L I T T L E T I M E: con il bombardamento di
informazioni cui siamo quotidianamente esposti, riusci-
re a trasmettere un messaggio con chiarezza è sempre
più difficile. E allora addio all’articolo di fondo di 15 mila
battute. La lettura approfondita, che richiede tempo, è
sostituita dalla pratica immediata del “guardare le figure”. Se que-
sto è il trend, gli specialisti dell’informazione si adeguano.
Nasce così l’infografica, l’arte di veicolare informazioni sot-
to forma di immagini. Dalla sua forma primigenia, la cartografia,
si è passati ai grafici di corredo sui giornali stampati, per arrivare
fino alle animazioni interattive sul. Nel 2008, per citare un esem-
pio, il New York Times ha pubblicato sul suo sito un grafico inte-
rattivo sui risultati delle elezioni presidenziali. Centinaia di
migliaia i click sulla pagina, decine le persone che vi hanno lavo-
rato. Ma il New York Times non è rimasto solo ad investire nel
mondo dell’information graphics: il Guardian, il National Geo-
graphic, El Mundo, il Sole24Ore, sono solo alcuni degli altri gran-
di nomi dell’informazione che credono nella forza di quello che
ormai viene definito “Visual Journalism”.
Ma se il giornalismo si trova, così, a fare i conti con la neces-
sità di parlare per immagini, anche i grafici devono ragionare in
termini di informatività e chiarezza. La grafica deve raccontare
una storia. Lo crede fermamente J o h n G r i m w a d e, Graphics
Director del gruppo editoriale Condé Nast e collaboratore di
Sports Illustrated e Popular Science. « Mi piacciono tutti i pro-
getti dove sento che sto aiutando le persone a capire qualcosa che
fino ad allora non avevano veramente compreso. Credo ferma-
mente che si possano comunicare idee in maniera molto efficace
usando le immagini». Per Grimwade la forza dell'infografica è
strettamente legata alla sua capacità informativa: «Viviamo nel-
l'età dell'informazione. Le infografiche avranno un grande ruolo
nel futuro. A livello giornalistico, tutti i dati a cui possiamo ora
accedere aprono inaspettate opportunità per creare nuovi tipi di
storie. La grafica ha un ruolo chiave: deve illuminare i fatti, farli
emergere nella loro complessità. Le migliori infografiche ci infor-
mano senza intimidirci».
Da ventitré anni Grimwade firma insieme ai suoi collabora-
tori le infografiche di Condé Nast, e inse-
gna alla Scuola di Arti Visuali di New
York. I suoi studenti imparano a dare
priorità all’informazione sull’arte: «Una
buona infografica deve avere chiarezza
nella visualizzazione. E questa si rag-
giunge con l'editing, la gerarchia dei con-
tenuti, la divisione in sequenze, il colore,
la tipografia e in generale un buon senso
del design». Per Grimwade un infografica deve rispondere a que-
ste domande: posso capirla facilmente? La sequenza è chiara?
L'informazione principale è preminente? Attrarrà l'attenzione
del lettore?
Sebbene Grimwade usi ancora carta e matite per fare chia-
rezza fra le idee, gli strumenti dell’infografica sono in grande evo-
luzione. E non solo sul lato software, dove rimangono intoccabi-
li i classici del design, Illustrator e Photoshop. La sfida si è sposta-
ta sulla visualizzazione: dai video interattivi all’adattabilità rispet-
to al supporto: «Il potere sta passando nelle mani delle informa-
zioni dinamiche. L'Interactive Design è il futuro dell'infografica.
Stratificare l'informazione, dare all'utente la possibilità di con-
trollare la sua esperienza ed esplorare il suo lavoro è davvero ecci-
tante. Un'altra tendenza importante è quella delle grafiche adat-
tabili al supporto (un cellulare, un tablet, un computer), che pos-
sano funzionare su schermi di diverso formato o risoluzione».
Non a caso, infatti, la grande novità di quest’anno del festi-
val internazionale dell’infografica, che avrà luogo a Pamplona dal
20 al 25 marzo, è la sessione tematica (accanto a quelle su stam-
pa e web) focalizzata sulle infografiche per iPhone, iPad e altri
portable devices. Nato negli anni 80, il Malofiej Infographics
World Summit è considerato il “Premio Pulitzer” del visual
journalism. Deve il suo nome ad Alejandro Malofiej, cartografo
argentino morto nel 1987 e pioniere della rappresentazione gra-
fica delle informazioni. Il suo motto, Show, don’t tell, “mostra,
non parlare”, cattura perfettamente lo spirito dei suoi partecipan-
ti: utilizzare le immagini al posto delle parole.
L’evento vede la partecipazione dei maggiori esperti di info-
La notiziaè da ve d e re
S
grafica del mondo e l’assegnazione di premi in più di 100 catego-
rie, tra stampa e online, da parte di una giuria internazionale.
L’anno scorso a trionfare sono stati, tra gli altri, il giornale svede-
se Svenska Dagbladet per la sua infografica interattiva online
su come l’Europa, divisa tra blocco Est e Ovest, ha votato nell’ul-
timo Festival europeo della canzone (manifestazione canora sco-
nosciuta in Italia, ma seguitissima in altri paesi), la mappa del-
l’alta marea a Venezia disegnata dal National Geographic, e il
giornale tedesco Die Zeit per la sua illustrazione dei risultati del-
le elezioni del Bundestag nel 2009 con i colori della bandiera
tedesca. Tra gli italiani, si segnalano le grafiche curate da F r a n-
cesco Franchinel mensile del Sole 24 Ore Intelligence in Life-
s t y l e .
Quest’anno il parterre di esperti che faranno da giudici al
concorso e animeranno i workshop è veramente notevole: oltre
allo stesso Grimwade, saranno presenti Kat Downs d a l
Washington Post eHaika Hinze dal Die Zeit tedesco. Dall’Ita-
lia unico ospite è Paolo Ciuccarelli, direttore del Density
Design Lab; oltre a partecipare alla giuria, porterà un intervento
dal titolo L’estetica delle conversazioni, sulle informazioni estra-
polabili dalle discussioni in Internet e il modo per trasformarle
in conoscenza visiva. Non solo celebrazione, il Malofiej è quindi
anche un’occasione per i giovani di imparare dai migliori e inqua-
drare gli ultimi trend.
Un modo per riscoprire umiltà, inoltre, secondo A l b e r t o
C a i r o, responsabile multimedia della rivista brasiliana Época,
autore di Infografìa 2.0, e vincitore di numerosi premi, tra cui
svettano i lavori svolti presso El Mundo, in Spagna, sugli attac-
chi terroristici del 2004: «La redazione è come un bozzolo. Esse-
re isolati dal mondo esterno può farti credere che il tuo lavoro sia
superbo, ma al Malofiej capisci di essere solo uno tra i tanti di
talento». Tra i lavori degni di nota di quest’anno, secondo Cairo,
la grafica di Hannah Wallanderdel New York Times D r i v i n g
shifts into reverse, sulla relazione tra abitudini di guida degli
americani e il prezzo della benzina, alla luce dei vari rivolgimen-
ti storici dagli anni 50 a oggi. O le mappe pubblicate dal giornale
Estado de Sao Paulo sui risultati delle elezioni presidenziali del-
lo scorso anno.
Ma in che direzione va l’infografica, oggi? «Verso un approc-
cio più funzionale», dice Cairo. «Il designer deve pensare a come
il lettore fruirà dell’infografica, e adattarla di conseguenza». Que-
sto non significa non utilizzare forme grafiche nuove, ma farlo
sempre con un scopo preciso, «bilanciando innovazione con
chiarezza e funzionalità». E cita l’esempio del grafico “a bussola”
realizzato dal suo team, sempre in occasione delle elezioni: a col-
po d’occhio è possibile capire in quali stati, organizzati in base alla
posizione geografica, abbia trionfato la Roussef e in quali, inve-
ce, abbia preso più voti lo sfidante José Serra.
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Oggi la grafica ha un ruolo chiave: deve illuminare i fatti e farli emergerenella loro complessità. Le migliori infografiche informano senza intimidire
A O L O CI U C C A R E L L I E I L S U O T E A M
di ricercatori lavorano come
una squadra di minatori. Ogni
giorno prendono pale e picconi,
salgono sul montacarichi e si
inabissano nelle viscere della terra. Nel buio
delle gallerie cercano una vena d’oro da sca-
vare e riportare in superficie. “Data mining”
e “information visualization” chiamano que-
sta attività speleologica, che costruisce per-
corsi di conoscenza visuale a partire da
numeri, statistiche, database, testi e docu-
menti di ogni tipo.
«È una tendenza che si sta affermando negli
ultimi anni e che aiuta, per esempio, a vede-
re fenomeni complessi come la povertà con
altri occhi», spiega il professor Ciuccarelli,
docente di Design della comunicazione al
Politecnico di Milano Bovisa e direttore
scientifico del laboratorio di ricerca D e n s i t y
D e s i g n. Spesso i temi più interessanti sono
anche quelli più ostici, o complessi, come
preferisce definirli Ciuccarelli: un labirinto
di dati e informazioni che normalmente ven-
gono comunicati attraverso tabelle e statisti-
che, che il “data visualization” trasforma in
splendide illustrazioni che rendono conto
dei numeri e delle loro relazioni.
Professor Ciuccarelli, come nasce
l’idea di mettere il design al servi -
zio del data-mining?
Volevo mettere alla prova le competenze e
gli strumenti tipici del design della comuni-
cazione per rendere fruibile la complessità
dei fenomeni. Troppo spesso tendenze
sociali complesse vengono rappresentate in
modo frammentario e distante dal pubblico
più ampio, con un grande dispiegamento di
numeri e grafici che confondono le idee. Noi
invece cerchiamo di rendere visibili le rela-
zioni tra i frammenti e ricreare quella che
viene definita la “big picture”, una rappre-
sentazione visuale che sappia spiegare ma
anche incuriosire chi guarda. Le nostre
immagini non semplificano i problemi, ma
esaltano la complessità delle relazioni e dei
punti di vista.
Come scegliete gli oggetti di ricer -
c a ?
Per la loro attualità o la rilevanza sociale e
per le sfide che ci permettono di affrontare.
L’anno scorso avevamo tematizzato il con-
cetto di povertà, un fenomeno decisamente
complesso, che viene spesso visualizzato
come una linea retta che divide la popola-
zione in base al reddito. Noi volevamo far
emergere la complessità, gli effetti e le
cause connessi al concetto di povertà.
Quest’anno, invece, abbiamo affrontato il
fenomeno dell’incertezza. Oltre a questi
temi abbiamo anche progetti commissio-
nati dall’esterno, come una mappa delle
scuole di diverse contee Usa per una ong
a m e r i c a n a .
Partner internazionali?
Lo Humanities Center di Stanford e
SciencePo a Parigi. Con Stanford stiamo
lavorando a un progetto sulla Repubblica
delle Lettere: l’idea è ricostruire la mappa
delle relazioni fra gli intellettuali nel periodo
fra il 1500 e il 1800. Con Parigi, invece, stia-
mo lavorando a un progetto per raccontare
visivamente lo sviluppo delle controversie,
ovvero le discussioni fra posizioni scientifi-
che radicalmente opposte, sulla rete come
nella realtà.
Quali strumenti di lavoro utiliz -
zate per le vostre creazioni?
Illustrator per la grafica. Per il design delle
interfacce e le applicazioni web principal-
mente Flash finora, anche se ci stiamo spo-
stando verso Javascript. HTML5 non è
ancora abbastanza potente.
Chi si avvicina al vostro lavoro?
C’è un interesse crescente per la visualizza-
zione dei dati e delle informazioni. È u n ’ a t-
trazione spinta soprattutto dai media, con le
infografiche o l’emergente data-journalism,
ma anche dagli studiosi di computer science,
che da anni si occupano di database e ora
sentono l’esigenza di restituirli anche a un
pubblico meno specialistico. Anche sociolo-
gi, politologi e artisti si stanno appassionan-
do alle modalità con cui la visualizzazione di
dati permette di mettere a fuoco un proble-
ma. La capacità di visione e di sintesi dell’in-
formation design può favorire nuovi livelli di
c o n o s c e n z a .
Dal numero all’immagineIl fascino discreto dei dati
Come una squadra di minatori espert i , i ri c e rc a t o ridel Density Design Lab di Milano analizzanoi flussi di dati complessi per ri c ava rne infogra fi c h eche raccontano emerg e n ze e tra s f o rmazioni sociali
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infodesign
di francesca sironi
P
a una nuvola di capelli
scuri in testa e un visto-
so paio di occhiali neri.
Alto e magro, con un
sorriso accennato sul viso, sem-
bra sempre soddisfatto, anche
quando è agitato. A 27 anni,
Francesco Franchiè direttore
artistico di IL - Intelligence in
l i f e s t y l e, supplemento “maschi-
le” de Il Sole 24 Ore. Il suo lavoro
è probabilmente più apprezzato
all’estero: al Malofiej Infogra-
phics World Summit 2009, uno
dei più prestigiosi concorsi riser-
vati alla grafica editoriale, ha vin-
to cinque premi. La tesi con cui si
è laureato si intitola “Il Re-desi-
gner”. Vi si propone un nuovo
paradigma dell’informazione, in
cui le redazioni dei giornali sono
più simili a studi di design che a
fredde catene di assemblaggio.
Chi sono i tuoi autori di
riferimento e quali ope -
re ispirano la tua creati -
v i t à ?
Non ho autori di riferimento in
particolare. Ci sono piuttosto dei
personaggi che seguo come
Nicholas Feltron. Si è reinventato
la professione dell’infografico.
Lui tiene traccia ogni giorno di
cosa mangia, in quali posti è sta-
to, che musica ascolta, che film
ha visto. Alla fine dell’anno, li
rielabora in forma grafica e distri-
buisce un annual report.
Come trovi la grafica
dei giornali italiani
rispetto a quella dei
giornali stranieri?
La grafica italiana è più confusa.
C’è meno attenzione verso la gri-
glia, meno pulizia. Sono aspetti
che vengono considerati un po’
“fighetti” nei giornali italiani. Si -
pensa che popolare voglia dire
scontorni. In realtà ci sono gior-
nali britannici che sono popolari
eppure sono molto razionali.
Dipende molto dalla cultura.
Quando hai cominciato
a pensare che la tua
arte grafica potesse
essere utilizzata per
fare informazione?
Qual è stato il primo
lavoro in cui hai fuso
questi due aspetti?
Il primo progetto è stata una boz-
za di un quotidiano che avevamo
sviluppato all’interno di Leftloft
in cui si iniziava ad integrare l’in-
fografica nei progetti editoriali.
Spesso l’infografica viene conce-
pita come un apparato comple-
mentare al testo. Invece la diffe-
renza che cercavamo di sviluppa-
re è quella di sostituire il testo con
delle doppie pagine infografiche,
che erano una vera e propria
alternativa a un articolo di dieci-
mila battute.
Quali passaggi segui
nella creazione di un
g r a f i c o ?
Prima di tutto c’è l’idea del gior-
nalista, ciò che vuole comunica-
re. Il secondo passaggio è la fase
di ricerca, sia dal punto di vista
delle informazioni, sia dal punto
di vista visivo. Bisogna cercare
quale stile usare, se si vuole rea-
lizzare un’infografica più fredda,
come istogrammi e torte, oppure
una più illustrata. Poi si inizia a
lavorare ad una bozza a mano,
per prefigurarti la pagina e capire
come vuoi organizzare le infor-
mazioni. Dopo si trasferisce sul
computer e si decide con il gior-
nalista quali informazioni sele-
zionare. La parte finale è l’editing
del testo.
Qual è il valore aggiun -
to di un’ infografica
rispetto ad un normale
a r t i c o l o ?
Il valore aggiunto è la non lineari-
tà. Il lettore si approccia in
maniera diversa. Può scegliere le
informazioni che vuole, come in
una sorta di palinsesto, in cui può
scegliere il suo percorso all’inter-
no delle pagine.
Nel tuo libro R e - D e s i-
gner parli di un muta -
mento di paradigma,
da redesign a redesi -
g n e r .Quale sarebbe il
ruolo di questa nuova
figura professionale nel
mondo dell’informazio -
n e ?
Un designer in una redazione è
un plusvalore. Il giornale dovreb-
be nascere da una fusione di
conoscenze diverse, poste tutte
sullo stesso piano. Spesso nei
giornali, la realizzazione è verti-
cale e quindi non c’è molta libertà
di esprimersi, di partecipare al
processo creativo. La realizzazio-
ne di I L invece avviene in manie-
ra molto orizzontale, c’è una divi-
sione funzionale dove ognuno
condivide le sue idee e competen-
ze al massimo. È i m p o r t a n t e
capire che non si può concepire la
grafica come un pacchetto chiu-
so, che si consegna al giornale. I
giornali che funzionano fondono
il punto di vista grafico con quello
del contenuto sin dalle fasi di
progettazione. La grafica è conte-
nuto e il contenuto è design.
“IL” sperimentaun nuovo modo di trattare le notizie.La redazione? Più simile a unostudio di designche a una catenadi assemblaggiodelle news
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infodesign
hdi Denis Rizzo l i
Fo rm a ,pulizia e rigo reCosì il giornale si fa bello
NF L U S S OC O N T I N U Odi informazio-
ni. Essenziali, veloci. Anzi, istan-
tanee. Le rivolte iraniane del
2009 hanno rivelato al mondo la
capacità di T w i t t e r, il social net-
work che permette di condividere brevi mes-
saggi (tweet) da 140 caratteri, di arrivare
dove i mezzi di informazione tradizionali non
riescono. Chiunque, digitando le parole chia-
ve giuste, può leggere tutti i tweet del mondo
su un argomento. I cittadini iraniani condi-
videvano on-line slogan e informazioni, e
usavano il social network per convocare le
m a n i f e s t a z i o n i .
Oggi A l - J a z e e r asembra essere riusci-
ta a domare questa tecnologia, creando una
lista Twitter (@AJEnglish/egyptprotests)
per seguire in maniera professionale, ordina-
ta e giornalisticamente attendibile la crisi egi-
ziana. Si tratta di un canale in cui vengono
raccolti i resoconti dal Cairo di cinque repor-
ter che seguono in prima linea le proteste. È
visualizzabile anche dal sito ufficiale del net-
work televisivo e la copertura degli eventi è
24 ore su 24. La brevità dei messaggi è com-
pensata dal fatto che ne vengono pubblicati
centinaia ogni giorno. Nei momenti di mag-
giore crisi, come nel caso degli scontri in piaz-
za Tahrir del 1 febbraio notte, la raffica di
informazioni si fa pressoché continua. Il
reporter Dan Nolan è persino riuscito a
comunicare il proprio arresto in tempo rea-
le. Fermato dall'esercito il 31 gennaio insie-
me ad altri cinque colleghi, è stato rilasciato
poche ore dopo, ma le loro telecamere, i loro
laptop ed i loro telefoni sono stati sequestra-
ti. La notizia è poi apparsa sui principali quo-
tidiani del mondo.
«Alcuni media statunitensi avevano già
sperimentato l'uso di queste liste in occasio-
ne di alcuni eventi, come ad esempio la stra-
ge di Fort Hood del 2009 – precisa C r a i g
K a n a l l e y, redattore dell'Huffington Post e d
esperto di twitter journalism –. Anche la C n n
e il New York Timeshanno validi reporter al
Cairo che pubblicano gli aggiornamenti su
Twitter. Ma Al -Jazeerasta facendo un gran-
dissimo lavoro. È probabilmente la prima
volta che un grande avvenimento internazio-
nale è seguito in modo così capillare. Per
situazioni di tale importanza, in cui le cose si
evolvono molto rapidamente, credo che la
loro lista sia un sistema estremamente effica-
ce per garantire l'informazione in tempo rea-
le. I giornali americani e di tutto il mondo in
questi giorni stanno seguendo i tweet di A l -
Jazeera con estrema attenzione. Mi aspetto
che questo format abbia sempre più succes-
so in futuro e che diverse testate on-line ini-
zino ad usarlo regolarmente».
La velocità ha anche i suoi aspetti nega-
tivi. Alcuni tweet si rivelano imprecisi, e mol-
ti riportano voci non ancora verificate. Per
Craig Kanalley, però, non è l'utilizzo del social
network il problema: «Qualunque informa-
zione trasmessa da contesti in rapido svilup-
po va presa con le pinze. È un limite con cui i
corrispondenti che lavorano in situazioni di
crisi si devono confrontare in ogni caso. È
l'insieme delle diverse informazioni a dare
un quadro complessivo attendibile. Sta ai
giornalisti distinguere nei loro tweet i fatti
certi dalle impressioni e dalle dicerie. In
generale però, è vero che esiste il rischio per i
reporter di rimanere intrappolati nella corsa
ad arrivare per primi sulle notizie e dimenti-
carsi del problema nel suo insieme, che per il
lettore è poi la cosa più importante».
La guerra in tempo realeRivoluzione via Twitter
Dalle rivolte iraniane del 2009 a piazza Ta h ri r,il twe e t - re p o rting sta re i nventando il modo dira c c o n t a re i confl i t t i . Un flusso di inform a z i o n iimmediate che però nasconde qualche insidia
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 20116
social network
Di Paolo Frediani
Per sap e rne di più
twitter.com/ajenglish/egyptprotests
U
er Giuseppe Carlo
M a r i n o la globaliz-
zazione ha un doppio
volto: quello di atto
finale del capitalismo
e quello di un’economia globale
ma sommersa, alimentata e
gestita della criminalità. Una
vita spesa nella ricerca sulla
fenomenologia delle mafie,
Marino, storico all’università di
Palermo, torna a parlare di orga-
nizzazioni criminali in un libro,
Globalmafia. Manifesto per
un’internazionale antimafia,
che non si limita a costruire un
quadro interpretativo dei rap-
porti internazionali costruiti
dalle mafie, da quelle sudameri-
cane a quelle europee e asiati-
c h e .
Nel suo libro-manifesto Mari-
no vuole mettere in chiaro un
dato di fatto: non si può pensare
di vincere un fenomeno globale,
come ormai è la mafia, con isti-
tuzioni nazionali. Perché l’effet-
tivo valore delle politiche statali
di contrasto, nel quadro com-
plessivo, risulta irrilevante. Da
qui la necessità di una "Interna-
zionale antimafia”, un’unione di
Stati che garantisca una forza
equipollente a quella criminale.
Quanto c’è di utopistico
nell’idea di un’ “Inter -
nazionale antimafia”?
L’idea è in se stessa un’utopia,
ma questo non significa che non
debba rappresentare un impe-
gno e un traguardo da raggiun-
gere. L’utopia non è l’irrealizza-
bilità assoluta, ma la tensione
per realizzare gli ideali. Sono le
voci progressiste e utopistiche a
poter guidare un percorso che
porti a un’unificazione reale nel-
la lotta alla criminalità.
Quali poteri dovrebbe
avere un’Internaziona -
le antimafia per essere
e f f i c a c e ?
Prima di tutto dovrebbe poter
operare indagini supernazionali
tramite la fondazione, come ha
suggerito Antonio Ingroia, di
una procura internazionale. In
secondo luogo dovrebbe avere la
forza di mobilitare un’opinione
pubblica trasversale agli stati,
attraverso un’iniziativa comuni-
cativa permanente. C’è poi la
questione della tracciabilità dei
capitali e della trasparenza
finanziaria, ma da questo siamo
davvero troppo lontani.
Perché nell’appendice
del libro ha deciso di
pubblicare la D i c h i a r a-
zione universale dei
Diritti dell’Uomo?
Ho voluto inserire i riferimenti
normativi per indicare quello
che si è pensato e scritto ma non
ancora realizzato. La dichiara-
zione dei diritti umani sarebbe
la base di un’”Internazionale
antimafia”, perché un’autentica
lotta per la legalità internazio-
nale è una condizione impre-
scindibile per la giustizia sociale
tra i popoli. Combattere per la
legalità significa lottare per la
giustizia sociale. È d e l l ’ i n g i u s t i-
zia che le mafie si avvalgono per
far germinare dal basso la cri-
m i n a l i t à .
Ci sono delle responsa -
bilità italiane nella
proliferazione delle
mafie internazionali?
Credo ci sia una responsabilità
metodologica. È la tradizione ita-
liana che ha diffuso la cultura del-
la mafiosità. Una cultura che ha
poi assunto varie sfumature a
seconda dei territori. Oggi le
mafie intrattengono tra loro una
varietà di rapporti che spazia dal-
la collaborazione alla competizio-
ne, fino alla specializzazione set-
toriale, ma tutte sono unificate da
una metodologia dei comporta-
menti e delle scelte. Tutte le mafie
hanno in comune la pretesa di
esercitare un potere che non ha
bisogno di leggi perché sta al di
sopra di tutte le leggi possibili.
La guerra contro la mafiaè un affa re intern a z i o n a l e
mafie
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 2011 7
Per sap e rne di più
Francesco Forgione,
Mafia Export ( D a l a i ) ; G i u s e p p e
Carlo Marino, G l o b a l m a f i a
( B o m p i a n i )
di Cristina Lonigro
p
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 20118
giornalismo
di giacomo segantini
R A Q, A F G H A N I S T A N e Haiti
sono solo alcune delle aree
di crisi raccontate dal
“veterano” Andrea Nica-
stro, inviato del C o r r i e r e
della Sera. È stato tra i primi a fir-
mare servizi che si appoggiano sui
video pubblicati sul sito, come
quello, nel 2003, dal nascondiglio
di Saddam, il famigerato “spider
hole”, o i tumulti scoppiati dopo la
rielezione di Ahmadinejad in Iran.
La sua prima volta è stata in Koso-
vo, a 31 anni: «Ho iniziato nel ’96 –
racconta - appena arrivato agli
esteri. Dato che non tutti vogliono
andare in aree di crisi, mi hanno
chiesto di tornarci in seguito e da lì
sono stato in tante altre parti del
globo».
Come si controlla la pau -
r a ?
Più acquisti esperienza, e più sei
consapevole dei rischi. All’inizio
non avevo la più pallida idea di
cosa fosse un fucile o una pallotto-
la. Mi ricordo un episodio, a inizio
carriera: stavo facendo
un’intervista in Koso-
vo, quando sono arri-
vati i carri armati serbi.
Eravamo su una collina, e
questo carro armato era un pun-
tino lontano che non mi incuteva
alcun timore. Vedendolo arrivare,
tutti sono scappati, e io sono rima-
sto lì, guadagnandomi, tra l’altro,
la fama dell’intrepido reporter.
Assolutamente inconsapevole,
però: giorni dopo, parlando con
un soldato Nato, scopro che il mar-
gine di errore di una mitragliatrice
pesante, da quella distanza, è di 3
o 4 dita. Potevano decidere se
prendermi in mezzo agli occhi o in
pieno petto. Non avevo la più pal-
lida idea del rischio che si corresse.
È stato facile comportarmi in quel
modo perché non conoscevo il
pericolo. Poi ho capito quali sono i
rischi che si corrono, tanto da
volerli evitare. Ma più “entri” nella
storia e più vuoi essere vicino a
quello che accade.
Che curriculum deve
avere il giornalista di
g u e r r a ?
Ci sono dei corsi organizzati dal-
l’esercito, dalla Rai e da alcune fon-
dazioni per gli inviati di guerra. Ma
le uniche persone che ho visto rea-
gire in modo professionale in un
conflitto armato sono i soldati del-
le forze speciali, vere e proprie
“macchine da crisi”. Non trovo
quindi credibile l’idea
che i giornalisti possano
imparare con un corso a
gestire la loro emotività
in una situazione di
rischio per la vita. Credo che
la soluzione sia quella dell’espe-
rienza sul campo, maturata attra-
verso la buona fede e la prudenza.
Lei è sposato, con 3 bam -
bini. Cosa ne pensa la
sua famiglia di quello
che fa?
Quello che penso io: è
un lavoro che qualcuno
deve fare perché è fon-
damentale per un’infor-
mazione libera e per la
dinamica democratica.
Senza fare gli eroi però:
c’è tutta una serie di
situazioni da evitare, in
cui ci si finisce dentro.
La mia famiglia ha un
atteggiamento respon-
sabile verso il mio lavoro: sa che mi
piace, e non mi chiede di non farlo.
Si fida della mia capacità di discer-
nere tra ciò che è possibile e ciò che
non lo è.
Prima di partire per
un’area di crisi, quali
sono i passaggi di prepa -
razione essenziali?
Sapere cosa si può trovare in ter-
mini logistici: alloggio, cibo e
comunicazione. Poi cercare di
essere autosufficiente dal punto di
vista alimentare, con strumenti
per potabilizzare l’acqua, formag-
gio grana sottovuoto, o anche
tubetti di latte condensato. Poi, se
è una zona pericolosa, munirsi di
giubbotto, elmetto e kit di pronto
soccorso.
Quali sono gli strumenti
di lavoro nello zaino di
un giornalista in zone di
c r i s i ?
Un pannello solare pieghevole,
per alimentare le batterie dei vari
sistemi elettronici, un modem e
un telefono satellitari, un paio di
cellulari, uno internazionale e uno
con la scheda locale, il Pc (con con-
sole di montaggio video), teleca-
mera, macchina fotografica e regi-
stratore digitale. Ma la mia espe-
rienza multimediale, fino ad oggi,
è stata un’esperienza volontaristi-
ca, perché il giornale non aveva e
non ha, ad oggi, uno strumento
per capitalizzare tramite pubblici-
tà il lavoro multimediale dei pochi
inviati che lo fanno. Il primo servi-
zio multimediale commissionato
e pagato è stato nella primavera
dell’anno scorso, il 2010, quando
ho fatto un reportage in tre punta-
te per il giornale dal Caucaso, e una
serie di cinque video per l’online,
in concomitanza con il lancio del
C o r r i e r e su iPad. Per dieci anni,
insomma, è stata la passione più
che il guadagno a spingermi in
questa direzione.
Quali sono i requisiti per
essere giornalisti multi -
m e d i a l i ?
L’ i nv i at od i g i t a l e
Da quindici anni A n d rea Nicastro racconta i confl i t t isulle pagine del C o rri e re della Sera.Del giorn a l emilanese è stato anche uno dei primi a pre n d e re in mano una telecamera per fi l m a re.Da autodidatta
I
La cosa fondamentale è essere
veramente giornalisti. Non puoi
fare questo lavoro, anche se sei
bravissimo a girare e a montare,
se non capisci qual è la notizia e
non hai un senso etico che ti gui-
di nel leggere la realtà. La tecnica,
poi, è qualcosa che si acquisisce.
Ma è la testa che comanda la
mano che riprende o che scrive:
prima di tutto ci vogliono giorna-
listi intelligenti e liberi. A quel
punto, con gli strumenti che ci
sono oggi, non è neppure neces-
sario avere una macchina foto-
grafica. Ti basta una telecamera
ad alta risoluzione, e devi comin-
ciare a girare. Fondamentale,
poi, è montare: facendolo impari
a girare, perché capisci quali
immagini ti servono. Chi vuole
essere perfetto nelle riprese,
però, deve fare il cameraman,
non il giornalista. Ma l’industria
dell’informazione è capace di
reggere entrambe le figure per un
servizio? Se il servizio non è a
pagamento e non è emanazione
del potere politico, purtroppo la
risposta è no. Allora, cosa dob-
biamo fare, non fare informazio-
ne perché il mercato è ristretto?
No: è una funzione sociale che
dobbiamo svolgere.
All’estero invece il multi -
mediale è più valorizza -
t o ?
Il New York Times ci ha provato.
Hanno fornito ai loro inviati una
“valigetta multimediale”, che den-
tro ha già tutto pronto, un kit con
computer, telecamera Flip, satel-
litare, sfruttando però quella che è
la loro rete di uffici di cor-
rispondenza. Il N e w
York Times però è
anche una sorta di
“agenzia”, che vende
servizi a tutti i giornali anglofoni
del globo. Non lanci, ma articoli di
qualità. E quindi ha una struttura,
una capacità economica che è
diversa da qualunque altro gior-
nale del pianeta.
Come è avvenuto, nel
suo caso personale, il
passaggio a reporter
m u l t i m e d i a l e ?
Ero a Jabal Saraj, all’ingresso del-
la valle del Panjshir in Afghani-
stan, nell’ottobre 2001, prima del-
l’invasione. I giornalisti dormiva-
no tutti assieme in edifici semi-
diroccati assegnati loro dai muja-
heddin dell’ex-comandante Mas-
sud, tranne quelli di C n n e B b c,
che avevano edifici affittati per
conto loro. C’era un collega turco
di Cnn Türk,Irfan Sapmaz, che la
Cnn International non voleva nel
suo c o m p o u n d. Arrabbiatissimo
con i colleghi, si è vendicato dan-
dogli una serie di “buchi”, da solo,
che sono stati spettacolari. Non
aveva contatti, supporto tecnico,
l’autista, e nemmeno la scorta
armata, tutte cose che aveva la
C n n. Ma, essendo turco si fece
capire in farsi dai mujaheddin, e
con la sua camerina riuscì a fare
una serie di servizi che la grande
struttura C n n non riuscì a fare.
Andandogli appresso, capii l’op-
portunità di effetto che, in certe
situazioni, ha il mezzo espressivo
visivo rispetto a quello cartaceo. È
più bello fare un’analisi o
un’intervista scritta,
ma è più efficace
riprendere una trin-
cea, un carcere, un
ambiente per dare
e m o z i o n e .
Utilizzi social network e
blog come fonti?
Certo: sono indispensabili. Sono
un nuovo sistema per scovare
notizie. Prima si andava in un bar
a Pristina a sentire cosa dicevano i
vecchi, o nelle università a sentire
cosa dicevano i giovani, adesso
devi cercare luoghi di aggregazio-
ne virtuale per capire cosa pensa la
gente.
Il servizio di cui va più
fiero, se dovesse sce -
glierne uno?
Un inedito: l’ingresso a Kabul nel
2001 dei mujaheddin dell’allean-
za del Nord. Non è mai uscito per-
ché all’epoca non avevo gli stru-
menti per inviare i file e montarli,
ma comunque mi avevano presta-
to la telecamera, e quei 10 minuti
di girato, che sono un pezzo di sto-
ria perché eravamo pochi ad
entrare a Kabul, sono ancora nel
mio cassetto. Nessuno lo ha mai
visto: l’immagine entrata nella
storia è John Simpson della B b c
su un carro armato. Ma ci sono
anch’io, sul cofano di una vecchia
Lada sovietica guidata da un
mujaheddin che entra a Kabul.
Quello sarebbe stato un valore, un
qualcosa in più, ma non esisteva il
mezzo per valorizzare quel tipo di
prodotto. Oggi speriamo di sì.
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 2011 9
Non credo si diventi giornalista diguerra grazie a corsi che insegnanoa gestire l’emotività. L’unico modo è fare esperienza diretta sul campo
libertà di stampa
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 201110
I N Aè una di quelle che
le storie le vanno a
cercare in strada, ma
soprattutto è una
blogger tunisina che la rivolta la
racconta da dentro. «I rischi ci
sono - spiega - ma fanno parte
delle regole del gioco. Ero in
mezzo agli scontri quando ho
scoperto che le milizie del parti-
to dell’ex presidente Ben Ali
offrivano soldi e alcol alla gente
perché aggredisse i manifestan-
ti. Ho rischiato di essere malme-
nata anch’io mentre me lo face-
vo raccontare».
Assistente di linguistica nel-
la facoltà di Scienze umane e
sociali dell’Università di Tunisi,
Lina Ben Mhenniha studiato
e insegnato anche negli Stati
Uniti .
Quella dei tentativi di corru-
zione dei controrivoluzionari è
solo una delle storie che la
27enne di Tunisi ha scritto sul
suo blog, A Tunisian Girl, onli-
ne dal 2007 ma censurato per
due anni, insieme a molti altri e a
Facebook. «Hanno revocato la
censura un giorno prima che
Ben Ali fosse destituito: un gesto
che mirava a placare in extremis
la rabbia del popolo virtuale, ma
non ha raggiunto il suo scopo»,
spiega. «Comunque - continua
Lina a nome della comunità dei
blogger - non ci siamo mai arre-
si. Diffondevamo via web i pro-
grammi per aggirarla. Purtrop-
po non tutti erano capaci a usar-
li». Guai a tirarsi indietro.
Lina ha scoperto di essere
stata censurata due settimane
dopo essere arrivata negli Stati
Uniti, dove teneva corsi di gior-
nalismo e sociologia. Era il
2008. «Le spiegazioni - raccon-
ta - non me le hanno mai date, a
me come agli altri blogger. Buio
e basta. Probabilmente pensano
che le mie idee siano pericolose.
Sarà per questo che non si sono
limitati a oscurarmi ma sono
entrati in casa dei miei genitori,
hanno perquisito la mia stanza e
mi hanno sequestrato il compu-
ter e i dvd».
All’inizio Lina scriveva di
arte, cultura, letteratura e
soprattutto questioni sociali. Nel
2008, quando iniziarono le
campagne contro la censura, e
iniziò a testimoniare le violazio-
ni dei diritti umani. Erano appe-
na scoppiate le proteste studen-
tesche organizzate nella General
Union of Student of Tunisia, e i
manifestanti erano picchiati e
arrestati con frequenza dalla
polizia. «Erano le avvisaglie del-
la rivoluzione che stiamo viven-
do ora», conclude Lina.
L
Il rep o rter ambientaleche sfidava Manila
Un postdalla rivolta,in prima filail blog di L i n a
a un anno girava con
la guardia del corpo,
ma non è bastato. La
mattina del 24 gen-
naio Marlon
Bechavez Recamata, un sicario
venuto dall'area metropolitana
di Manila, lo ha ucciso. Gli ha
sparato in pieno giorno, in un
mercato di Puerto Princesa,
capoluogo dell'isola di Palawan.
Gerardo Ortega in quella
città era un personaggio in vista.
Si faceva chiamare “Doc Gerry”
ed era il conduttore di
R a m a t a k, un programma di
informazione trasmesso sulla
filiale locale del network radio-
fonico R m n. Aveva dedicato la
sua vita alla difesa dell'ambien-
te, e dai microfoni della sua tra-
smissione non risparmiava
attacchi alle società minerarie
che operano nella regione.
Palawan è una delle isole
più belle e incontaminate del-
l'arcipelago delle Filippine e ha
un potenziale turistico enorme.
Il suo sottosuolo è ricco di nic-
kel, e questo ne ha fatto una
preda appetibile per le aziende
estrattive. Tra queste, l'inglese
Toledo Mining Corporation e la
MicroAsia di Lucio Tan, secon-
do uomo più ricco delle
F i l i p p i n e .
Gerardo Ortega da tempo
denunciava casi di corruzione e
devastazioni del territorio, e
aveva subito diverse minacce.
In Palawan ci sono molte aree
protette in cui non è possibile
l'attività estrattiva, ma questa
viene portata avanti abusiva-
m e n t e .
«Doc Gerry aveva diverse
frecce nel suo arco. Era project
manager di una campagna per
promuovere l'ecoturismo sul-
l'isola. Era anche presidente del-
l'associazione Klm, che si occu-
pa di denunciare casi di corru-
zione nell'industria del metano.
Aveva un sacco di documenti e
prove schiaccianti che avrebbe-
ro potuto rivelare casi di corru-
zione del governo», ha scritto
Redempto Anda sul quotidiano
Philippine Daily Inquirer.
Anche Anda, giornalista e amico
di Ortega, è stato vittima di
minacce, nel 2008.
«Ortega alla corruzione
non era semplicemente contra-
rio. Lo mandava su tutte le
furie», dice l'arcivescovo di
Palawan Pedro Arigo. Il prelato
è tra i sostenitori di una raccolta
firme per chiedere al governo di
fermare completamente le
estrazioni sull'isola. Ortega è
stato uno dei promotori della
campagna. Non si sa con certez-
za chi ci sia dietro il suo assassi-
nio. Si sa però che non doveva
essere l'unico a morire. Rodolfo
Edrad Jr, uno dei complici del
sicario che gli ha sparato, ha
rivelato che era in progetto
l'omicidio un'altra personalità
del mondo dei media, non
ancora identificata.
Gerardo Ortegadenunciava concoraggio da annile ecobarbariecommesse dalleindustrie e avevaprove schiacciantidella corruzionedel governo. Unsicario lo ha uccisoin pieno giorno
di Destefanis e Daina
di Paolo Frediani
d
Per sap e rne di più
www.gestalten.tv
O N O T R E L E P A R O L E che riassumono
il progetto Gestalten tv: e x p l o r i n g
visual culture, esplorare la cultura
dell’immagine. Perché l’immagine
è sempre il frutto di un’elaborazio-
ne creativa e pratica, che i curatori del progetto
“made in Deutschland” seguono passo dopo
passo, documentando ogni sequenza del lavo-
ro. Gestalten è nata a Berlino nel 1995 come edi-
trice e da allora si è fatta conoscere per i 400 libri
che documentano e anticipano i trend di design,
illustrazione, architettura e tipografia, ma anche
arte urbana e contemporanea.
La rete di distribuzione è diventata il cana-
le per entrare in contatto con artisti e avanguar-
die di tutto il mondo. La web tv è arrivata in un
secondo momento, come un fuori programma,
racconta il direttore, Ole Wagner: «L’idea di
fondo alla quale ci siamo ispirati, nel 2007, è sta-
ta la continuazione dell’esperienza acquisita da
Gestalten negli anni di documentazione delle
avanguardie della cultura visiva».
Tra queste, Gestalten ha individuato Erwin
Wurm. L’artista austriaco è, secondo Wagner ,il
simbolo perfetto «dell’influenza dell’arte sulla
realtà attraverso il canale dell’umorismo e del-
l’ironia».
Gestalten è, allo stesso tempo, un think
tank al quale si rivolgono marchi globali, ed una
pagina bianca sulla quale si scrivono le storie
che coprono «tutto lo spettro del mondo dei
designer, dagli artisti in senso lato, agli architet-
ti, ai tipografi», continua Wagner. «Per noi –
aggiunge – la cultura visiva si genera dall’inter-
relazione tra design, arte, architettura, fotogra-
fia e altre discipline visive. E di queste ultime con
isole di creatività come la musica e la cultura
pop. Combinare influenze eterogenee sposta la
linea della frontiera dell’espressione creativa
contemporanea più in là».
Il “palinsesto” di Gestalten propone ogni
due settimane un nuovo mini-documentario.
Il ritratto degli artisti e il loro lavoro è assem-
blato sotto forma di videocollage. «Alcuni
esempi del nostro approccio – suggerisce
Wagner – sono “Studio on Fire”, un viaggio
nell’ossessione del processo di design, ed “Erik
Spiekermann”, racconto in prima persona di
un tipografo, graphic designer e uomo d’affari
che ha alle spalle 30 anni di lavori metafisici».
Il messaggio finale resta immutato: la realtà è
qualcosa che si può scomporre, analizzare,
assemblare nuovamente, fino a farla diventa-
r e i r r e a l e .
i chiama Q w i k i . c o m ed è una
nuova piattaforma multime-
dialeintenzionata a ribaltare il
modo con il quale interroghia-
mo il web. Presentata come un video
search engine, è in realtà un’enciclo-
pedia video. Una volta introdotto l’og-
getto della ricerca nella barra di navi-
gazione, parte una sorta di presenta-
zione multimediale che, avvalendosi
di immagini, video, grafiche e di una
voce narrante simile a quella delle
audioguide dei musei, sintetizzerà le
informazioni salienti riguardanti un
personaggio, un fatto storico, una cit-
tà, un tipo di tecnologia, un genere
musicale.
Dopo il rodaggio della versione
beta, il 24 gennaio il sito è diventato
open public; in poco tempo i lemmi
contenuti nel sistema sono già oltre 3
milioni. Gli argomenti spaziano dalla
geografia allo spettacolo, dalla storia
alla moda, dal cinema alla politica,
passando da cronaca e sport.
Facendo un breve test si scoprono
presentazioni molto accurate su Steve
Jobs come su Letizia Moratti, su
Michelangelo come sugli spaghetti alla
puttanesca. Mente e cassa del progetto
sono Eduardo Saverin (l’ex braccio
destro di Mark Zuckerberg) e Jawed
Karim, fondatore di YouTube; insieme
hanno iniettato nel progetto 8 milioni
di dollari con l’intenzione di «migliora-
re per sempre il modo in cui la gente
fruisce l’informazione».
Gestalten tv,l’arte del collage
Una web tv di Berlino remixa design, architetturae fotografia per documentare come si costruisceu n ’ o p e r a d’arte. Puntando gli occhi sul backstage
multimedia
Wikipedia add i o,il futuro è video
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 2011 11
di Luigi Serenelli
di Giuliana Grimaldi
Per sap e rne di più
www.gestalten.tv
s
S
A L M I G L I O R B R U N C H i n
città a bizzarre gite
collettive in luoghi
sacri, dalla ricetta per
il limoncello messa a punto dal
catering più esclusivo ai segreti
della caccia ai granchi: un argo-
mento al giorno per raccontare
San Francisco, riunendo le voci
di commercianti e consumatori,
curiosità e tendenze. Tutto que-
sto è The Bold Italic (www.the -
b o l d i t a l i c . c o m ), sito web che da
due anni detta la linea delle ten-
denze cittadine grazie alla poten-
za dell’impianto grafico e della
squadra di scrittura, composta
da giovani cantastorie (i B o l d
L o c a l s) costantemente in giro
per la città. Una comunità nella
comunità, che mette le potenzia-
lità globali della rete al servizio
del locale, come spiega la produ-
cer, Nicole Grant.
Com’è nato The Bold
I t a l i c?
È un progetto della Gannett,
gruppo editoriale proprietario di
grandi testate, tra cui U s a
T o d a y. I lettori non credono più
nell’oggettività, per capire cosa
fare e dove andare vogliono
punti di vista autentici da parte
di persone del luogo. Amano i
negozi locali, cercano i consigli
degli organizzatori di professio-
ne, di chi vive attivamente la città
ed è in grado di creare aggrega-
zione. Per veicolare efficacemen-
te questi contenuti è necessario
un design pulito, lontano dalla
confusione di Facebook. Par-
tendo da questi presupposti T h e
Bold Italic ha riunito i B o l d
L o c a l s, persone comuni più che
scrittori di professione che
hanno accettato la scommessa di
uscire di casa per raccontare la
vita urbana e raccontare espe-
rienze originali. Tutte storie che
non trovano spazio su altri siti o
quotidiani locali.
Come vi finanziate?
Riceviamo denaro dalle attività
locali che hanno interesse a rag-
giungere il nostro pubblico.
Siamo i campioni dell’imprendi-
toria locale, perché gli abitanti di
San Francisco si identificano
molto con i negozi che sostengo-
no, dal caffè in cui vanno ogni
mattina al negozio di design che
visitano nel weekend. Pubbli-
chiamo una storia al giorno e
quasi tutte hanno al loro interno
un negozio locale.
Cosa c’è nel vostro futu -
ro? The Bold Italic s a r à
replicato in altre città?
San Francisco è piena di gente
creativa e questo la rende un ter-
reno fertile per simili esperimen-
ti. Penso però che ci siano perso-
ne che vivono esperienze uniche
in tutte le città americane e l’idea
di espanderci ci piace molto. Per
questo invitiamo i nostri lettori a
darci i loro feedback sul nostro
f o r u m .
Bold Italic è un labora t o rio virtuale di giovani aspira n t is c ri t t o ri che raccontano storie e tendenze della gentedi San Fra n c i s c o. Un viaggio dove gra fica e re p o rtage si fondono, a metà tra Kerouac e il gonzo journalism
Periodico realizzatodal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore
d i r e t t o r eMatteo Scanni
c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia
r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Matteo Battistella,Marco Billeci, Valeria CastellanoSalvo Catalano, MicheleD’Onofrio, Chiara Daina, GiuliaDedionigi, Giulia Destefanis,Fabio Forlano, Giacomo Galanti,Carlotta Garancini, GiulianaGrimaldi, Cosimo Lanzo,Andrea Legni, Cristina Lonigro,Paolo Massa, AlessandroMassini Innocenti, AntonioNasso, Ambra Notari, TancrediPalmeri, Simona Peverelli, RosaRicchiuti, Denis Rizzoli,Gregorio Romeo, GabrieleRusso, Stefania Saltalamacchia,Giacomo Segantini, BiancaSenatore, Luigi Serenelli,Francesca Sironi, Matteo Sivori,Alessandro Socini, EnricoTurcato, Gianluca Veneziani
a m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m
progetto graficoMatteo Scanni
service providerw w w . u n i c a t t . i t
Autorizzazione del Tribunale
di Milano n. 81 del 20 febbraio
2 0 0 9
grafica
di Antonio Nasso
MAGZINE 12 | 1 febbraio - 28 febbraio 201112
N ews on the ro a d
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