malattia di tearra
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Libro di poesiaTRANSCRIPT
GIUSEPPE IULIANO
"MALINCONIA DI TERRA"
RACCOLTA
P R E S E N T A Z I O N E
La raccolta poetica di Giuseppe Iuliano, autobiografia e malinconia di terra impareggiabile, è densa di figure umane: amici e parenti, pensionati e studenti, vecchi e pupi, ubriachi e spose sognanti sono fissati in una luce nitida, da memoria, che avanza nelle pagine scabre come il ticchettio d’un messaggio sui fili del telegrafo.
La storia del poeta è la nostra stessa storia, intessuta di miti e ricordi, di incontri con cari volti familiari e sguardi correnti fino al “verde di sterpagli e di rovi”, tra le povere case del paese natale, rimasto “sempre più solo a cantare la propria canzone di fallimento, di emigrati”.
Il dramma dell’emigrazione dà alla voce poetica unità d’ispirazione, martellante ritmo al silenzio straziante di colui che la rabbia “sfoga solo con le lacrime” o il conforto trae “dalla stretta del pugno”.
Quello che importa al Nostro non è il fatto, ma l’uomo; non una storia marginale, ma di emarginati: insomma la vita che pur “lascia smorzare questa progenie di uomini contadini”. Sgorgano, come acqua da polla, sensazioni scattanti e nuove nell’animo del cantore, cullato dalla madre dolente per l’addio, assorto a scorgere “tra i filari ingialliti” il malioso canto d’amore, che fatalmente si perde nel fondo delle valli buscane, voglioso persino di forzare il lettore a interrogarsi su se stesso e sul senso del suo destino, ch’è tragico ed emblematico di tutta una situazione.
Abbiamo così una serie di quadri vivi e immediati, di ambiente reale e sconvolto, tragico e grottesco, sfiduciato e sognante, in cui protagonista vero mi sembra il poeta, che solo vive e soffre per la disperazione della sua gente, cosciente dei mali cronici e dell’abbandono, delle furbizie e della “logica del potere”.
E’ tutta dentro la lacerazione; ampia è la solidarietà per gli uomini necessitati a divenire sinceri nel vino e nel maledire il tempo e la storia che trascorrono senza volto: “Le luci rischiarano il buio; qui tutto il progresso”.
Il linguaggio aderisce all’intensa vita che anima i personaggi e al mondo ideologico che non acquieta la disperazione e l’acredine nello stridore della rassegnazione e della passività.
Siamo di fronte a uno schietto poeta che improvvisamente riscopre la malinconia di una terra che ora si ribella, ora fa “il discorso d’un tempo” e ad essa dedica i suoi palpiti giovanili, il suo anelito filiale, le dolci illusioni, la felice elaborazione affettiva, la dignitosa fierezza morale.
VINCENZO NAPOLILLO
MALINCONIA DI TERRA
Tra poche case
lo sguardo corre veloce
nel verde di sterpagli e rovi.
Un paese d’ Irpinia
sempre più solo
vive a cantare
la propria canzone
di fallimento,
di emigrati,
di vecchi e donne,
di giovani
soli a gridare
il diritto alla vita,
muti a contemplare
quello che il sapere chiama
esistenza,
condannati a vivere
il proprio destino
di disoccupati.
CANZONE D’ EMIGRANTE
Giorni comuni
segnano il passo del tempo.
L’ Irpinia terra
sempre più avara
lascia partire
un altro suo figlio,
perché qui
la rabbia dell’emigrazione
si sfoga solo con le lagrime.
C’è gente che parte
che la vuole finire
che trova conforto
nella stretta del pugno!
Un piccolo nato
guarda nel pianto
la madre sdegnata
stringere il suo uomo
che va.
Abbracci, promesse
non sfuggiranno
nelle nere fumate delle fabbriche.
Il seno magro della mamma
cui si attacca a pretendere
il ninno
porta per il mondo
il triste cantore,
un emigrante padre.
TEMPO DI VACANZE
C’è questa parte di terra
dove il migrare è senza stagione.
Uccelli-uomini
ignorati dal Padre,
giocati da altri uomini,
partono e vanno lontano
là dove
il pane è di un altro sudore
di altra lingua,
rinviati a giudizio
dalla logica di potere.
La giustizia sociale
promuove
questa colonia
di turisti forzati.
La mia Irpinia si prepara
da tempo
a questa amara villeggiatura.
RACCONTO DI UNA SERA
Un vecchio ubriaco
commenta
la povera storia
di questo paese.
Gli siamo vicini
storditi,
per ridere
da poveri illusi,
di un mondo
qualunque
non nostro,
prossimo alla risurrezione!
Contentezza di vino
alimenta
la vena del nonno cantore
e sfrenata sussurra nell’animo
d’ispirazione nuova:
qui vive
un drogato povero
PROMESSA A UNA SPOSA
Se potessi
ti farei regina
per darti di tutto:
dal pane sicuro
al grande smeraldo.
Se potessi
ti regalerei il mondo
per farti padrona
di cielo e di terre.
Se potessi
ti farei madre
per darti mille e mille soldati
a governare uomini e cose
d’altro colore.
Se volessero
mi renderebbero uomo
dandomi la mia libertà,
quella perduta da tempo
per le strade di Svizzera.
Ti farò donna
appena ritornerò a casa.
LA TERRA SI RIBELLA
L’ Irpinia triste e sola
aspetta il freddo e l’inverno,
così cade la neve
a coprire le proprie vergogne,
le miserie dell’abbandono.
Candida
si prepara
come sposa vestita
a voler consacrare
il suo sogno d’amore.
Lo sposo possente
dimentico
rimanda l’atteso connubio.
Batte il cuore
della mia terra,
pulsa la vita
fremendo nel bianco candore
della sua verginità;
ma l’ Irpinia sposa
senza dote
è compromessa
per un matrimonio mai consumato.
L’attesa ammonisce i Padri
al prossimo risveglio
di ogni Primavera!
AL POETA MALEDETTO
(per la morte di P. P. Pasolini) Provasti a cercare
l’ Assoluto
per le vie dei poveri.
L’umanità distratta
pensava
a se stessa;
il Cristo sdegnato
lanciava la sua sfida
dalla Montagna.
Le beatitudini
del tuo Vangelo
si perdevano
nell’eco nel caos del benessere.
La gente di vita
disoccupata
emarginata
aspettava
con te
la sua redenzione.
Il tuo Giuda
ti ha tradito.
I fratelli poveri
dovranno ancora
aspettare…
NOTTURNO NUSCANO Le luci rischiarano
il buio;
qui tutto il progresso.
Guardi sicuro la gente.
Torna il vecchio
da una cantina:
tossisce
barcolla
è pieno di vino.
Senza problemi
vive
di pensione.
Stasera è felice,
parla del figlio
partito, ricordo
per dove!
Mi offre da bere,
mi parla dei suoi;
diventa sincero
a maledire il tempo e la storia.
Ha forza di un uomo,
coraggio a morire
per la vita
che mai gli ha dato
e più non gli appartiene.
I MALI ETERNI
Incerti
guardavamo l’oratore,
diffidenti
seguivamo le promesse,
vecchi e bambini
in piazza a mostrare
i resti
di tante famiglie.
In quel cupo silenzio
maledivamo
possibili scelte.
Si è fatto il discorso
di un tempo,
si è fatto pure il nome
di Cristo.
Nessuno ha saputo negare.
Ci siamo accorti
poi
di avere ancora sbagliato.
La pena durerà con noi
solo per qualche tempo,
non così i gestori
della nostra miseria.
PREGHIERA DI CAINO
L’ Onnipotente
Padre degli uomini
ascolta
la voce dei poveri
in rivolta.
Un coro si leva,
cantano gli umili,
disperati
disoccupati
bisognosi di tutto
nella dannazione continua
di essere maledetti
e poveri nello spirito;
i figli delle tenebre
hanno solo
tante tasche vuote.
Pregano con parole di sdegno,
piangono a un gesto d’amore,
uniti ribelli
nella lotta e nella miseria.
La convenzione umana
lascia sperare
in un mondo diverso e migliore
e così prepara la via
del Cristianesimo.
ALLA RICERCA DELL’ UMANITA’ PERDUTA
Ho lottato
deciso a trovarmi
uno spazio per respirare.
Deluso ho voluto
essere qualcuno
importante,
avendo visto da sempre
quanta gente
calpesta
il diritto alla vita.
Ho sognato
un avvenire cristiano.
Credente
ho sperato diventare
altruista,
sapendo che il mondo
è lo spazio di tutti
per vivere.
Continuo a cercare e sognare
stanco
di essere grande
nella povertà di un mondo
di giusti.
NATALE 1975
Dipingiamo
sulla tela del tempo
impressioni d’umanità;
colori stinti
parlano
in un’eco perduta
di tanti ieri…
fino a scomparire.
Un oggi più chiaro
tinge di rosso
gli incerti destini dell’uomo.
Resta per tutti
la festa di Natale.
La lotta della sopravvivenza
lascia all’uomo
la cassa d’integrazione,
dono inviso ai Magi.
DIASPORA IRPINA
Dobbiamo lasciare la casa
per avere una vita decente.
Anch’io
sui banchi ritorno
a dover riproporre
il giuramento d’ Ippocrate.
L’arrivismo
produce la corsa
ad essere servi!
Oro e soldi
allettanti
funesti
riempiono di luce
tre stanze di casa;
là dove in sei
avevamo appreso
il mestiere di vivere.
Ognuno
ora va per il mondo
a barattare
qualche anno di vita.
Costretti ad emigrare
portiamo con noi
pure il ricordo!
MESTIERE DI PADRE
Cerchiamo
figli del tempo
protezioni sicure.
Corrosi da vili interessi
saliamo
l’albero della vita.
Il bene e il male
tornaconti
divini
morali
giocano la fortuna di ognuno.
Langue il destino
dell’uomo
obbligato a percorrere
la scalata sociale.
Padri sicuri aprono
la via ai figli.
Un ragazzo padre
solo impiegato
apre alla vita
l’amore con la sua donna.
Fa solo questo.
VANGELO 2000
L’uomo pensa a se stesso.
Cinico
fa scelte sicure
cerca ricchezze,
beni supremi
di questa società.
Ci compri di tutto,
onore
casa
professione.
Da tempo è la nostra religione.
Un mondo di satrapi
divora gli uomini.
Resta solo Francesco
un uomo di cuore
con nuovi ideali
per gli uomini
fratelli da sempre
del Figlio dell’ Uomo.
La giustizia sociale
ha promesso per ora
solo rivoluzioni.
POESIA
Vorrei cantare
le bellezze del mondo
le grazie di donna,
attimi incantevoli.
Potrei cullarmi
in dolci sorrisi
e teneri abbandoni.
Farei poesia.
La povertà della mia terra
mi suggerisce
poche note stonate.
Mai un attimo di contentezza
solo speranze.
Con esse
provo a guardare
mio figlio
mai nato
calpestare mendico
i gradini di pietra
di questo antico paese.
VERDE IRPINIA
Il mio paese
ha l’aria buona
cieli nitidi
poche case,
molto verde.
Poca gente
s’affanna a guadagnare la vita.
Gli altri
corrono per il mondo
a portare il sudore
gli occhi liberi
il respiro pulito.
Nusco è bellissima.
Ma l’aria il cielo il verde
riempiono il vuoto;
non saziano
l’irpino errante,
malato ecologico
di sola miseria.
SENZA UNA META
Sognavamo
a trent’anni
destini diversi.
Donne,
donnine
folletti
maligni
corporei
riscaldavano momenti
di poveri ragazzi falliti.
Pensieri ossessivi
di loro
nel rosso tramonto
dell’età giovanile.
L’età perduta
in facili rinvii
ci troverà disoccupati
anche nell’amore.
ULTIMA ATTESA
Nella piccola piazza di Nusco
c’è la statua marmorea
del Santo Patrono;
sui gradini seduti
aspettano il corso degli eventi
vecchi pensionati.
Parlano
dei figli partiti
di vaghi ricordi
di guerra
di giovani donne
di spensierati bivacchi.
Tanta vita
prossima alla fine
lascia smorzare
questa progenie
di uomini contadini.
DIRITTO ALLA MISERIA
Tanti principi
reggono le sorti
dei nostri consessi.
Rimandiamo tristi burocrati
i bisogni delle nostra terra.
L’Irpinia aspetta
la casa
la fabbrica
la su dignità.
Povera
dà solo un manciata
di grano e di olive.
Qui si attende da tempo
una mensa più ricca,
e prostrati
senza orgoglio
si vive da accattoni.
VIA ATRI
Tra le mani stringo
una valigia carica
di speranze e di libri.
Ansante
annaspo
gli odori del cumulo
di sporcizia.
Una donna mi apre la casa
a mostrarmi il triste paesaggio
di Napoli.
Qui devo passarci degli anni,
per diventare dottore.
Il cielo pulito di casa
l’odore di fieno e di muschio
compaiono snervanti
nella mia pensione.
Invidio i tempi
della prima scuola
quando a mala pena
potevo mangiare un pezzo di pane.
L’obbligo a diventare
qualcuno
mi allontana da casa;
così si compie
il destino della mia
riabilitazione sociale.
A MIA MADRE
Negli occhi arrossati di pianto
leggo la disperazione
di vedermi partire.
Mi aspettano lunghe salite,
un duro lavoro,
una casa baracca.
Mentre mi stringi
provi a cullarmi,
mi canti l’ultima
nanna.
Senza fatica
rubo il tuo pane.
Premurosa e ferma
mia madre
ha venduto
per non farmi partire
preziose stoviglie
e i suoi neri fluenti capelli.
TURISMO IRPINO
Una scritta sul muro
ammonisce
da tempo:
qui manca la casa.
La legge di un piano
contempla
solo le ville.
Il diritto dei grandi
disconosce
di essere poveri.
Parlano di solo turismo
salvezza sicura
all’abbandono,
sapendo che offende
la terra
che ad agosto accoglie
i suoi figli emigrati
i soli a poter villeggiare.
SPERANZA DI VIVERE
Avvolta nel capo
tra i filari ingialliti
la fidanzata zappa.
Gli occhi ammiccanti
torbidi
sviano lo sguardo
dal padrone voglioso.
In una cesta di vimini
sotto un’ombrosa quercia
un tondo visino
vagisce affamato.
Nei campi passa
il canto d’amore
di madre ragazza
prossima sposa.
Ha pagato il podere,
non ha potuto sposarsi,
per amore
ha dato se stessa
al suo uomo emigrato,
che è tornato per sempre.
La speranza
di vivere meglio
comincia con un pezzo di terra.
CONTRASTI
Le idee
accomunano gli uomini.
L’assemblea dei Titani
costruisce il suo mondo,
la diaspora dei poveri
malinconica ed eterna
lo manda in rovina.
Gli uomini sono tutti uguali
diversi solo per necessità.
Finito di stampare nel mese di maggio 1976 Tip. “G. Foglia” – Lauro (Avellino)