manovra finanziaria e regolamentazione delle professioni(2014-2020), tenuto conto anche del supporto...

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Edizione del 7 settembre 2011 Sicurezza sul lavoro Autocertificazione della valutazione rischi per aziende fino a 10 lavoratori Fondoprofessioni 3 mln per la formazione dei dipendenti Quesiti La storica rubrica a cura del Centro Studi MANOVRA FINANZIARIA E REGOLAMENTAZIONE DELLE PROFESSIONI Reg. Tribunale Civile di Roma - sez. stampa n. 371|2009

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Page 1: MAnovrA FinAnziAriA e regoLAMentAzione deLLe proFeSSioni(2014-2020), tenuto conto anche del supporto dall’ampio consenso popolare recen-temente testato anche da un sondaggio dell’Euroba-rometro

Edizione del 7 settembre 2011

Sicurezza sul lavoroAutocertificazione della valutazione rischi per aziende fino a 10 lavoratori

Fondoprofessioni3 mln per la formazionedei dipendenti

QuesitiLa storica rubricaa cura del Centro Studi

MAnovrA FinAnziAriA e regoLAMentAzione deLLe proFeSSioni

Reg. Tribunale Civile di Roma - sez. stampa n. 371|2009

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SoMMArioredAzioneBollettino ufficiale

Associazione NazionaleConsulenti del Lavoro

Sindacato Unitario

Anno 3 - Numero 15 (41)Reg. Tribunale Civile di Roma

sezione stampan. 371 del 19.11.2009

Direttore responsabileFrancesco Longobardi

Capo redattoreDiana Paola Onder

Coordinatori di redazioneSilvia Bradaschia

Giuliana Della Bianca

Redazione e impaginazioneSolcom srl

via Salvatore Matarrese, 2/G70124 Bari

EditoreAncl - Segreteria Nazionale

via Cristoforo Colombo, 456Scala B, II piano

00145 Roma

Contattiwww.anclsu.com

[email protected]@anclsu.com

chiuso alle ore 17:00del 7 settembre 2011

EDIZIONE DEL7 settembre 2011

EDITORIALE Lotta all'evasione fiscale.

Se non ora, quando?pag. 3

PRIMO PIANOManovra finanziariae regolamentazione

delle professionipag. 5

FOCUSGli approfondimenti

degli espertipag. 6

qUESITILe risposte a cura

del Centro studi Anclpag. 20

NEWSSicurezza sul lavoro

pag. 26

NEWSFondoprofessioni, 3 mln

per la formazionedei dipendenti

pag. 28

CHI SIAMOin ultima

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editoriALepAg. 3 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Lotta all’evasione fiscale.Se non ora, quando?editoriale del presidente nazionale Ancl, Longobardi,sul delicato momento economico-finanziario

Il periodo feriale appena concluso, non ha lasciato tranquilli nessuno. Né i professionisti, né le imprese, né i lavoratori e le loro famiglie.

Dal contributo di solidarietà che prima c’è e poi non c’è, dalla rimozione dei riscatti di lauree e naia ai fini pensionistici che prima c’è e poi non c’è, dalle tredicesime nel settore pubblico alla cancellazione delle province, si è assistito ad un poco edificante spettacolo ferragostiano, che ha destato profondo sconcerto. Si è avuta netta l’impressione di una evidente difficoltà della compagine governativa nell’individuare misure tecnicamente corrette e sostenibili per far fronte all’emergenza economica.

Tra le altre, ritengo personalmente un errore gravissimo l’ipotesi di aumento (anche temporaneo) dell’Iva, che si risolverebbe sicuramente in un deterrente per i consumi e una ulteriore penalizzazione del consumatore finale. Stupisce, in proposito, la posizione di Confindustria che accoglieva positivamente una tale ipotesi, per la quale evidentemente, un Iva maggiore non significa maggiori costi di materie prime, né svantaggio delle imprese italiane rispetto a quelle europee.

Stupisce anche come una misura semplice, certa e immediata quale quella della tassazione sulle transazioni finanziarie (TTF) abbia solo sfiorato le intenzioni del legislatore.

Peraltro, è stata di recente la Commissione Europea a proporre l’introduzione di tale tassazione per finanziare attraverso proprie risorse il prossimo bilancio comunitario (2014-2020), tenuto conto anche del supporto dall’ampio consenso popolare recen-temente testato anche da un sondaggio dell’Euroba-rometro secondo il quale il 61% dei cittadini europei è a favore della TTF.

Si preferisce colpire il solito lavoro dipendente, il lavoro autonomo e o professionale o le solite pensioni, per poi rimettere tutte le aspettativa alla lotta all’evasione fiscale.

Nel momento in cui scrivo, il testo della manovra finanziaria approda all’aula del Senato per la conseguente discussione.

Nel frattempo, ho avuto modo di scrivere sommessamente al Capo dello Stato per rivolgergli il più sincero apprezzamento per il suo forte richiamo espresso a Rimini in ordine alla necessità di azioni efficaci di contrasto all’evasione fiscale, per dirla in breve, una volta

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editoriALepAg. 4 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

per tutte.Il nostro problema è tutto lì. Da una parte è

evidente che gli strumenti di lotta all’evasione, ad oggi, non sono risolutivi, e dall’altra, vi sono difficoltà non da poco anche a recuperare quanto accertato.

I centri di evasione sono ben noti al fisco, ma si continua a insistere su quanti le tasse già le pagano o su quanti le dichiarazioni reddituali le presentano con regolarità. Assistiamo in questi giorni a storie parallele di presunte tangenti milionarie o altrettanto milionarie dazioni a titolo di liberalità: un autentico ceffone a tutti quegli italiani ampiamente spremuti dal livello di tassazione più alto d’Europa.

E’ evidente che bisogna cambiare dal fondo il sistema di accertamento per ottimizzarne i risultati.

E’ evidente che bisogna partire dal possesso o dalla disponibilità dei beni.

E’ evidente che bisogna indagare con sistematicità sulla legittimità dei patrimoni.

Ma anche nel quotidiano, nel piccolo. Bisogna cioè porre in atto un nuovo sistema complessivo di repressione, ed anche misure che incentivano il consumatore ad esigere da chiunque il corretto comportamento fiscale. Una fattura o uno scontrino che al consumatore non servono, non saranno mai richieste.

E allora, proprio in questo momento in cui tutti indistintamente verremo interessati dagli effetti dalla manovra bis, vanno chieste a gran voce risoluzioni efficaci, innovative e decise che ristabiliscano equità sociale.

L’evasione erode gli altri.E gli altri, ora, sono stanchi.

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priMo piAnopAg. 5 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Manovra finanziaria e regolamentazione delle professioniil ruolo sindacale dell’Ancl e la critica ad ogni progettodi liberalizzazione selvaggia

La manovra finanziaria bis è giunta oggi all’esame del Senato.

Com’è noto, le preannunciate misure inerenti le libere professioni e le liberalizzazioni hanno tenuto in tensione tutte le organizzazioni professionali, istituzionali e sindacali.

L’azione incisiva della Presidente Marina Calderone ha portato ad un ottimo risultato, dopo che la prima versione della nuova normativa era veramente inaccettabile.

L’Ancl ha svolto il suo ruolo sindacale da una parte con l’aspra critica ad ogni progetto di liberalizzazione selvaggia

o di assimilazione degli studi professionali alla attività di impresa, e dall’altra, con frequenti interventi presso il legislatore e presso le parti sociali , valorizzando i precetti costituzionali delle professioni ordinistiche e la normativa vigente.

Si è volutamente e con responsabilità attendere il testo finale licenziato dalla V commissione Bilancio del Senato che approda in aula, per rivendicare il lavoro meticoloso e silenzioso che il Sindacato ha realizzato nel decorso mese di agosto.

L’esito del testo pressochè definitivo riporta il deciso riconoscimento della valenza delle professioni ordinistiche, decisamente separate dal-le altre, la valenza degli attuali sistemi di accesso alla professione attraverso l’esame di Stato, e non

ultima la valorizzazione della formazione continua quale strumento idoneo ed essenziale alla specificità ed eccellenza della professione.

Deve ritenersi questo un ottimo successo della Nostra Presidente ,dell’Ancl e dell’intera Categoria che con un lavoro pressante e continuo hanno saputo far trionfare le regole costituzionali e normative a fondamento delle proprie posizioni.

In particolare , si è riusciti a far superare il metodo decisamente non condivisibile per il quale le nuove regole delle attività professionali debbano essere dettate dai mercati finanziari.

Ancl rimane vigile tuttavia su quella parte di provvedimento che attiene la riforma costituzionale dell’art 41 della Carta che può potenzialmente riaprire la problematica.

scriveFrancesco Longobardipresidente nazionaleAncl Sindacato Unitario

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FoCUSpAg. 6 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Sospensione per i professionisti che non rilasciano la fattura

scriveCeleste vivenzi

Il Decreto Legge 138/2011 (manovra bis di Ferragosto) prevede la sospensione dell’iscrizione all’Albo o all’Ordine dei professionisti che dimenticano di rilasciare ai clienti le fatture per le prestazioni effettuate.

L’art. 2, comma 5 del Decreto di cui sopra introduce (in presenza di quattro distinte violazioni dell’obbligo di emettere il documento nel corso di un quinquennio) a carico dei professionisti iscritti in Albi o ad Ordini professionali (violazioni compiute in giorni diversi) l'applicazione della sanzione della sospensione dell’iscrizione all’Albo o all’Ordine per un periodo da tre giorni a un mese e, in caso di recidiva, la sospensione per un periodo da quindici giorni a sei mesi.

La norma chiarisce che se le violazioni sono state commesse nell’esercizio della professione in forma associata

, la sanzione è applicabile a tutti i professionisti associati.

La sospensione deve essere immediatamente ese-cutiva, comunicata all’Ordine o all’Albo presso cui è iscritto il soggetto sanzionato e pubblicata sul sito Internet professionale.

Si è sostanzialmente pre-visto per i professionisti quanto disposto per le altre tipologie di contribuenti ovvero i soggetti tenuti all'emissione di scontrini fiscali e ricevute.

La norma , di primo acchito, appare però di non semplice attuazione in quanto non sembra affatto agevole poter contestare la violazione nei confronti della clientela dei professionisti.

I professionisti infatti sono soggetti che emettono la fattura al momento del pagamento delle prestazioni ed inoltre, ai fini pratici,occorre considerare che il solo fatto di scovare un cliente fuori dallo

studio senza ricevuta,non costituisce un fatto automa-ticamente riconducibile “ad una omessa fatturazione” ma potrebbe trattarsi di un evento addebitabile ai motivi più disparati (consegna e ritiro documenti, esame di una pratica ecc.).

A questo punto non resta che rimanere in attesa delle misure pratiche che l'Amministrazione Finanziaria metterà in campo per rendere più incisiva la nuova normativa prevista dalla Manovra bis e dalla quale, secondo le dichiarazioni rilasciate, lo Stato si aspetta un incasso considerevole.

Fatturazione

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FoCUSpAg. 7 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Apprendistato quale rapportoa tempo indeterminato: anzi, no

scriverenzo La Costa

Con la riforma dell’ap-prendistato, si sta introducendo - in un assordante silenzio – una nuova tipologia di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con facoltà di recesso temporale.

Un rapporto cioè a tempo indeterminato, con facoltà di recesso non connesso a giusta causa o giustificato motivo.

Sin’ora, il licenziamento è considerato illegittimo in assenza di una delle predette condizioni : con la riforma, il licenziamento sarà legittimo anche a causa del termine della formazione.

Sulla qualificazione a tempo indeterminato del rapporto, cogliendo gli indirizzi prevalenti assunti in giurisprudenza, il Ministero del Lavoro era già intervenuto in risposta ad istanza di interpello n. 79/2009, nella quale si affermava che “appare possibile ritenere l’apprendistato quale contratto di lavoro a tempo indeterminato, dal quale il datore di lavoro può recedere solo per giusta causa o giustificato motivo, anche anteriormente alla scadenza del termine per il compimento dell’addestramento.

Logica e coerente la posizione ministeriale, considerata l’at-trazione dell’apprendistato nel-

l’ambito delle regole generali del tempo indeterminato.

Il testo di riforma recita ora ( art. 1) che “l’apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato “ e che vi è la “ possibilità per le parti di recedere dal contratto con preavviso decorrente dal termine del periodo di formazione ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2118 del codice civile. Se nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso al termine del periodo di formazione il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato” (art. 2). Si dirà, ma dov’è la novità?

Si dirà anche: ma anche la Legge n. 25/55 all’articolo 19 (ed anche il D.Lgs. n. 276/03) prevedeva che “Qualora al termine del periodo di apprendistato non sia data disdetta a norma dell’art. 2118 del Codice civile, l’apprendista e’ mantenuto in servizio..”; certo, ma ciò era decisamente coerente con la statuizione dell’art. 2 della legge 25/55 secondo la quale “L’apprendistato e’ uno speciale rapporto di lavoro”. Quindi, trattandosi di un rapporto di lavoro “speciale” , è anche logica una speciale regolamentazione del rapporto e della sua

cessazione. Ma ora che per legge il rapporto è qualificato quale a tempo indeterminato e non più speciale ma ordinario, la facoltà di recesso a fine formazione appare decisamente incongruente.

La qualificazione a tempo indeterminato rimane quindi solo un proclama di facciata, ben lungi dalle diverse misure che ci si dovrebbero attendere da una norma che vuole incentivare l’occupazione dei giovani, mirate alla valorizzazione delle competenze acquisite attraverso la stabilizzazione del rapporto.

Proprio nel momento quindi in cui il datore di lavoro ha formato a misura della sua azienda il lavoratore, investendo evidentemente tempo e risorse e proprio nel momento in cui il lavoratore ambisce legittimamente a quella stabilizzazione derivante anche dal completato inserimento

Apprendistato

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FoCUSpAg. 8 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

aziendale, si dà facoltà alle parti ( ma in realtà ad una sola parte) di recedere, non per chissà quale motivazione legale o congiunturale, ma per il semplice fatto che la formazione è terminata. Con tante grazie anche per le agevolazioni che il sistema ha concesso al datore di lavoro, per bilanciare gli oneri formativi sopportati.

Con il risultato che l’inserimento lavorativo dei giovani in prospettiva di una

stabilizzazione qualificata, rimane la solita chimera.

Devo aver letto da qualche parte, che la facoltà di recesso al termine della formazione prevista dal T.U. di riforma, è una forma di libera determinazione rimessa alle parti.

Credo di conoscere almeno una delle parti, che di tale libertà ne farebbe volentieri a meno.

Ma le (mancate) novità non si esauriscono solo al descritto profilo.

Vale la pena evidenziare anche la previsione data dall’art. 1 alla lettera l): “ divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo”. Si dimentica che una delle parti è il lavoratore, che per rassegnare le dimissioni non ha bisogno di giusta causa o di giustificato motivo. Ma forse, farei bene a tornare a studiare, perché qualcosa deve essermi sfuggito.

doppia contribuzione inpsper i soci delle srl commercianti

scriveClaudio Milocco

I soci amministratori di società a responsabilità limi-tata del settore commercio, che prestano anche attività lavorativa nell’azienda in modo abituale e prevalente devono versare i contributi Inps sia alla gestione dei commercianti sia alla gestione separata come amministratori (se ricevono un compenso).

In sostanza il socio amministratore di una srl del

terziario che presta nell’impresa attività lavorativa può trovarsi in una delle fattispecie sottoindicate.

1° ipotesi: partecipa personalmente al lavoro nell’impresa con carattere di abitualità e prevalenza, mentre l’incarico di amministratore è svolto invece a titolo del tutto gratuito, con rinuncia al compenso (salvo il rimborso spese documentato).

In questo caso sussiste l’obbligo alla sola iscrizione alla

Contribuzione inps

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FoCUSpAg. 9 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

gestione commercianti dell’Inps.2° ipotesi: l’attività di

amministratore è invece prevalente rispetto al lavoro prestato nell’impresa con carattere occasionale o accessorio, mentre per l’attività di amministratore percepisce un compenso.

In questa fattispecie sussiste l’obbligo dell’iscrizione come amministratore alla sola ge-stione separata del lavoro autonomo con base imponibile rappresentata dal compenso effettivamente percepito.

La società provvede in questo caso al versamento all’Inps del contributo nella misura del 26,72% di cui un terzo a carico dell’amministratore.

3° ipotesi: l’amministratore partecipa personalmente al lavoro nell’impresa con carat-tere di abitualità e prevalenza, mentre come amministratore riceve dalla società un compenso.

In questo caso l’ammini-stratore andrà iscritto all’Inps sia alla gestione esercente attività commerciale sia alla gestione separata dei lavoratori autonomi.

La contribuzione è versata a ciascuna gestione con le modalità proprie di tale gestione; nella gestione separata si applica l’aliquota del 17% in quanto il soggetto è iscritto ad altra gestione obbligatoria.

La giurisprudenza sul problema

Sul tema si è formata un’interessante giurisprudenza.

Si evidenzia in particolare quella della sezione unite della Corte di Cassazione n. 3240 del 12 febbraio 2010 che così si è espressa: “Va enunciato il principio di diritto per cui la regola dettata dalla Legge n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, secondo la quale i soggetti che esercitano contemporaneamente in una o più imprese commerciali, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente, si applica anche al socio di società a responsabilità limitata che eserciti attività commerciale nell’ambito della medesima e contemporaneamente svolga attività di amministratore anche unico.

In tal caso la scelta dell’iscrizione nella gestione di cui alla Legge n. 335 del 1995, art. 2, comma 26 o nella gestione degli esercenti attività commerciali, ai sensi della Legge n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, spetta all’Inps secondo il carattere di

prevalenza.La contribuzione si

commisura esclusivamente sulla base dei redditi dell’attività prevalente e con le regole vigenti nella gestione di competenza”.

In questi casi il Giudice deve in sostanza accertare:

1) se il ricorrente partecipi personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità, ed in misura preponderante rispetto agli altri fattori produttivi, intendendosi per partecipazione al lavoro aziendale come svolgimento dell’attività operativa in cui si estrinseca l’oggetto dell’impresa;

2) in caso di verifica dell’insussistenza di tale elemento, mancando i requisiti per l’iscrizione alla gestione commercianti, non vi sarà necessità di procedere al giudizio di prevalenza tra detta attività e quella di amministratore, con conseguente obbligo di iscrizione del ricorrente esclusivamente alla gestione separata.

Se invece verrà accertato l’elemento di cui al n. 1 si dovrà procedere al giudizio di prevalenza verificando se il medesimo ricorrente dedichi personalmente la propria opera professionale prevalentemente ai compiti di amministratore della società, ovvero ai compiti di cui al punto 1).

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FoCUSpAg. 10 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Ultime novità dagli istituti previdenziali

scriveCe. vi.

In data 3 agosto 2011 è stato firmato un protocollo d’intesa tra INAIL ed INPS per favorire lo scambio delle informazioni contenute nei rispettivi archivi avente lo scopo di potenziare le attività di ispezione e controllo.

Si tratta di un ulteriore tassello organizzativo che si aggiunge alle collaborazioni già in essere come previsto dal decreto n. 124/2004 che ha riorganizzato la vigilanza in materia di lavoro. Lo scopo finale è evidentemente da ricercare nel miglioramento dell'azione ispettiva al fine di contrastare l'evasione contributiva e il lavoro nero.

Gli Istituti, con la firma del sopra indicato protocollo di durata triennale, potranno scambiarsi informazioni per mezzo della consultazione degli archivi messi a disposizione on-line.

ISTANZA TELEMATICA PER LA DOMANDA

DELL'ASSEGNO PERIL NUCLEO FAMILIARE

L’INPS ha migliorato le procedure telematiche consentendo la possibilità di presentare le domande di autorizzazione per gli Assegni per il Nucleo Familiare per tutte le categorie di lavoratori compresi gli iscritti alla Gestione Separata e i lavoratori domestici.

I soggetti interessati potranno utilizzare diverse modalità

operative:1) via Web;2) attraverso i Patronati

che utilizzeranno la procedura telematica;

3) con il numero verde 803.064 ( Contact/center).

Tuttavia per adesso sarà ancora possibile presentare le domande cartacee ma , quando l'Istituto comunicherà la data ufficiale di entrata in vigore del nuovo sistema, le modalità di cui sopra diverranno obbligatorie.

Il cittadino richiedente, per poter accedere al servizio telematico, dovrà essere in possesso del Pin di autenticazione e accedere al sito www.inps.it - sezione servizi on line - invio domande di prestazioni a sostegno del reddito/Assegno al nucleo familiare .

Per la presentazione tramite il Contact Center occorre invece telefonare al numero verde e l'utente dovrà essere dotato dell'apposito PIN.

Se l’utente non è in possesso del PIN , il Call Center recepirà i dati essenziali per la presentazione della domanda che verrà inviata successivamente, tramite po-sta, al contribuente il quale provvederà a completare i dati mancanti, alla sottoscrizione della domanda e alla spedi-zione della stessa all'INPS con allegata la copia della carta d'identità.

ATTIVO IL CANALE BANCARIO PER IL VOUCHER DEL LAVORO OCCASIONALE

L'Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane e l'INPS hanno sottoscritto un accordo per l'erogazione dei Voucher Lavoro Occasionale Accessorio tramite il canale bancario. Il nuovo sistema si aggiunge alle modalità già in essere ovvero: acquisto presso le Sedi INPS territoriali e presso i tabaccai autorizzati; presentazione con la modalità telematica sul sito www.inps.it.

Il nuovo canale dovrebbe entrare in funzione da Settembre e , secondo l'inps, renderà la procedura più semplice e veloce . Il datore di lavoro, che intende usufruire del lavoro accessorio, dovrà pertanto acquistare i voucher presso uno degli sportelli convenzionati e comunicare all'INPS in maniera telematica l'inizio della prestazione lavorativa occasionale da parte del lavoratore che in seguito incasserà il relativo voucher in banca.

istituti previdenziali

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il piL e crisi economica

scrivevaleria Marchitelli

In economia il PIL è un flusso, misura la quantità di beni e servizi prodotti all’interno di un determinato Paese.

Non vi è dubbio però che la dinamica del nostro ben-vivere dipende, invece, da una serie più articolata e complessa di fattori quali: l’ammontare di beni pubblici e risorse comuni disponibili (il verde, i paesaggi, la qualità dell’aria, ecc), il livello di istruzione e le competenze della popolazione, il capitale sociale dei cittadini (fiducia e senso civico). La dinamica del PIL non basta a farci capire se queste variabili crescono o vanno riducendosi.

Facciamo qualche esempio. Se il mio nuovo posto di lavoro è salubre, è piacevole, è sicuro e l’ambiente umano è impostato alla correttezza e allo spirito di collaborazione, io aggiungo qualità alla mia vita, e così pure se per raggiungere il luogo di lavoro ho una distanza di percorrenza breve con un

servizio pubblico efficiente in termini di puntualità e gradevole in termini di confort e ancora, se il mio lavoro prevede un orario flessibile. Oppure: se sono sposata e ho un figlio piccolo, e sia io che mio marito lavoriamo, una scuola materna nelle vicinanze è un servizio che influenzerebbe positivamente la nostra routine quotidiana.

Uno dei fattori del ben-vivere meno studiati, e recentemente al centro dell’attenzione, è quello della qualità delle relazioni.

Per la contabilità nazionale la pizza mangiata da soli al ristorante vale, mentre quella consumata in casa con i propri cari no! Non è un caso che l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) abbia iniziato a misurare in maniera sistematica le social connection ossia le persone sulle quali possiamo contare e la pressione che ci impedisce

di dedicare tempo alla vita di relazione.

Tutto questo per dire che se il PIL deve necessariamente sussistere come indicatore del quadro macroeconomico di un Paese, non necessariamente, invece, deve essere eretto a indicatore obiettivo del benessere di un singolo individuo. Ad oggi l’unico misuratore del benessere materiale di un individuo che conosco è il suo reddito personale contrapposto al costo della vita…e sotto questo punto di vista l’Italia non può dirsi di certo “felice”.

Crisi economica

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FoCUSpAg. 12 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Manovra di ferragosto

scriveva. Ma.

Il D.L. 138/2011 (cd “manovra di ferragosto”), prevede fra le diverse misure adottate per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo, anche una serie di rilevanti interventi in ambito lavoristico e previdenziale. Le principali novità che interessano, in particolare i datori di lavoro e i dipendenti del settore privato sono i seguenti.

Pensione di vecchiaia (art.1co.20): viene disposto l’anticipo dell’entrata in vigore dei requisiti anagrafici previsti dal D.L. n.98/2011. In pratica il requisito anagrafico di 60 anni subirà i previsti incrementi mensili non più dal 1^ gennaio 2020 al 1^ gennaio 2032 ma dal 1^ gennaio 2016 al 1^ gennaio 2028 anno in cui la pensione di vecchiaia di uomini e donne sarà parificata a 65 anni (ma da qui al 2028 ci sarà tutto il tempo per eevare ulteriormente la soglia minima d’età di pensionamento).

Contrattazione collettiva di prossimità (art.8): si interviene in materia di contrattazione prevedendo che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, ovvero dalle rappresentanze sindacali

operanti in azienda, possano realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. La norma prosegue specificando che queste intese possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, incluse quelle relative: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative, a progetto e le partite Iva, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il

licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio. Si chiarisce, infine, che le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.

Collocamento obbligatorio (art.9): la norma, modificando l’art.5 della L. n.68/99 prevede che i datori di lavoro privati che occupano personale in diverse unità produttive e i datori di lavoro privati di imprese che sono parte di un gruppo, possono assumere in un’unità produttiva o in un’impresa del

d.L. 138/2011

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FoCUSpAg. 13 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

gruppo avente sede in Italia, un numero di lavoratori aventi diritto al collocamento mirato superiore a quello prescritto, portando in via automatica le eccedenze a compenso del minor numero di lavoratori assunti nelle altre unità produttive o nelle altre imprese del gruppo aventi sede in Italia. I datori di lavoro che si avvalgono di questa facoltà trasmettono in via telematica a ciascuno dei servizi competenti delle province in cui insistono le unità produttive della stessa azienda e le sedi delle diverse imprese del gruppo,il prospetto con le richieste di avviamento dal quale risulti l’adempimento dell’obbligo a livello nazionale sulla base dei dati riferiti a ciascuna unità produttiva ovvero a ciascuna impresa appartenente al gruppo.

Fondi inteprofessionali per la formazione continua (art.10): la norma integra l’art.118co.1 della L. n.338/2000, disponendo che tali fondi possono altresì utilizzare parte delle risorse per misure di formazione a favore di apprendisti e collaboratori a progetto.

Tirocini (art. 11): in particolare la norma riguarda i livelli di tutela essenziali per l’attivazione di tirocini. Secondo le nuove disposizioni i tirocini formativi e di orientamento possono essere promossi unicamente da soggetti in possesso di specifici requisiti determinati in via preventiva da normative regionali in funzione di idonee garanzie all’espletamento delle iniziative medesime. Fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i

tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neodiplomati o neolaureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio.

Infine, un’ultima novità importante è data dall’art.12 del decreto che prevede l’inserimento di due nuovi articoli nel codice penale riguardanti l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. il primo l’art. 603bis del c.p. stabilisce che chiunque svolga attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, verrà punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da mille a 2 mila euro per ciascun lavoratore reclutato. La norma specifica poi cosa debba intendersi per “sfruttamento”. Sono indicati più “indici presuntivi”; tra questi la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato; la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; la sussistenza di violazioni della normativa in

materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale; la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Costituisce invece aggravante specifica (con l’aumento della pena da un terzo alla metà): il fatto che il numero dei lavoratori reclutati sia superiore a tre; il fatto che uno o più soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa; l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro. In più l’eventuale condanna per il reato di caporalato ( o riduzione in schiavitù ma solo se lo sfruttamento ha ad oggetto prestazioni lavorative) comporta anche pene accessorie. L’art. 603 ter del c.p. prevede per questo tipo di condanna, in caso di condanna, l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti. Viene altresì prevista l’esclusione per due anni (cinque in caso di recidiva) da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell’Unione europea relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento.

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FoCUSpAg. 14 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

il "Caporalato" diventa un reato penaledal 13 agosto 2011

scrivevi. Ce.

Una novità del decreto 138-2011 (manovra di ferragosto) è la modifica dell'art. 603 -bis del codice penale relativo alla intermediazione illegale della manodopera e allo sfruttamento dei lavoratori.

Si tratta certamente di una normativa avente uno scopo repressivo in materia di lavoro nero e di contrasto al fenomeno del caporalato che prevede il seguente reato: reclusione da cinque a otto anni e la multa da mille a 2mila euro per ciascun lavoratore reclutato.

Il caporalato è essenzialmente uno strumento di sfruttamento dell'attività lavorativa compiuto da parte di organizzazioni criminali che reclutano manodopera per lo svolgimento di attività lavorative in “nero” facendosi riconoscere una percentuale della paga giornaliera da parte dello stesso lavoratore ( il fenomeno è soprattutto sviluppato nelle Regioni del Sud: Calabria,Campania e Basilicata nel settore agricolo e dell'edilizia e, ai giorni nostri,è molto diffuso

nei lavoratori extracomunitari grazie al numeroso flusso immigratorio). Vi è da sottolineare che interessate alla novità ci potrebbero essere anche quelle pseudo cooperative che di fatto, attraverso la loro attività lavorativa, nascondono un fenomeno di intermediazione della manodopera.

La nuova normativa in materia di reato penale del caporalato punisce testualmente " chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa attraverso lo sfruttamento( mediante violenza, minaccia, o intimidazione) approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”.

Il reato , dal tenore letterale della norma , non sembra pertanto colpire il soggetto persona fisica che svolge l' attività illecita in conto proprio e non in forma organizzata come recita la norma.

Dalla lettura della norma si ritiene pertanto necessario un chiarimento da parte del

Legislatore onde evitare possibili raggiri consistenti nell'impedire l'applicazione pratica del reato commesso dal soggetto privato che , nascondendo l'evidenza, agisce palesemente in nome e per conto di una struttura organizzata.

La norma chiarisce inoltre il significato della parola”sfruttamento “ che si può identificare nelle seguenti circostanze:

- retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

- la violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale,

Caporalato

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all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;

- la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale;

- lavoratore sottoposto a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni di alloggio degradanti.

Alcune violazioni, ai fini della perseguibilità penale, devono essere sistematiche ovvero reiterate (esempio quelle relative all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie) mentre , al contrario, per altri tipi di violazioni questo non è previsto facendo ritenere che

, da parte del contravventore, non sia necessario un costante ricorso a tali azioni contra legem ai fini della relativa condanna (esempio violazioni in materia antinfortunistica o in materia di salute del lavoratore).

La nuova normativa ha previsto anche un' aggravante che comporta l'aumento della pena da un terzo alla metà ( fino a 12 anni di reclusione) in presenza delle seguenti situazioni:

- numero di lavoratori reclutati superiore a tre;

-se uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

-se i lavoratori sono stati sottoposti a situazioni di grave pericolo.

L'art. 12 del decreto legge n. 138/2011 introduce infine anche delle pene accessorie da applicarsi in caso di condanna:

1) l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese;

2) il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi sub-contratti ;

3) l'esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento.

il lavoro autonomo occasionale

scriveCla. Mi.

Il contratto di lavoro riconducibile alla nozione di “lavoro autonomo occasionale” è stato inserito nel nostro ordinamento giuridico dalla norma contenuta nell’art. 2222 c.c., secondo la quale si può definire lavoratore autonomo

chi si obbliga a compiere dietro corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio senza vincolo di subordinazione né potere di coordinamento del committente.

Andrà detto, anche in

Lavoro autonomo

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relazione alla visione restrittiva degli organi di vigilanza, che il lavoro autonomo occasionale non ha avuto quella diffusione che molti datori di lavoro speravano.

Nell’esame dell’istituto si dovrà partire con lo studio della tradizionale differenza fra lavoro autonomo (vedi art. 2222 c.c.) e lavoro subordinato (vedi art. 2094 c.c.).

Per lavoro autonomo occasionale si deve intendere qualsiasi attività di lavoro caratterizzata dall’assenza di abitualità, professionalità, continuità e coordinazione.

La disciplina del lavoro autonomo occasionale trova, come già detto in precedenza, la propria regolamentazione generale nell’articolo 2222 del c.c.

Tuttavia negli ultimi anni si sono succeduti degli apporti normativi che hanno individuato delle fattispecie inquadrabili nel rapporto di lavoro autonomo occasionale: la Legge 14 febbraio 2003 n. 30, il d.lgs. n. 276/2003 attuativo della Legge Biagi, la circolare del Ministero del lavoro n. 1 dell’ 08/01/2004 e le circolari Inps n. 9 del 22 gennaio 2004 e n. 103 del 6 luglio 2004.

Le caratteristiche principali del lavoro autonomo occa-sionale sono:

1) assenza di coordinamento della prestazione con l’attività del committente;

2) mancanza di inserimento funzionale nell’organizzazione aziendale;

3) assenza di continuità delle prestazioni;

4) completa autonomia del lavoratore circa il tempo ed il modo della prestazione fornita dallo stesso.

L’Inps con circolare n. 9 del 22 gennaio 2004 ha chiarito che il lavoro autonomo occasionale (come sopra indicato) si caratterizza per l’assenza del coordinamento con l’attività del committente (presunto poi datore di lavoro per gli organi di vigilanza).

E’ stato ribadito che la fattispecie si identifica nella mancanza di inserimento funzionale nell’organizzazione aziendale, nel carattere episodico dell’attività e nella completa autonomia del lavoratore circa il tempo ed il modo della prestazione.

Il Ministero del lavoro con circolare n. 1/2004 aveva ribadito tale indirizzo (vedi anche interpello n. 65 del 23.12.2008).

In buona sostanza nel lavoro autonomo occasionale l’attività deve essere finalizzata ad un risultato istantaneo.

L’art. 44 c. 2 del d.l. n. 269/2003 convertito in l.

n. 326/2003 ha disposto l’iscrizione alla Gestione separata, a decorrere dal 1° gennaio 2004, dei lavoratori autonomi occasionali, ma solo per redditi fiscalmente imponibili superiori a 5.000 euro nell’anno solare, considerando la somma dei compensi corrisposti da tutti i committenti occasionali.

Alla luce delle disposizioni dell’art. 2222 c.c. sul contratto d’opera, si può definire lavoratore autonomo occasionale chi si obbliga a compiere dietro corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione né potere di coordinamento del committente ed in via del tutto occasionale.

Rispetto alle co.co.co. e alle collaborazioni a progetto, il lavoro autonomo occasionale si distingue quindi per:

1) la completa autonomia del lavoratore circa i tempi e le modalità di esecuzione del lavoro, dato il mancato potere di coordinamento del committente;

2) la mancanza del requisito della continuità, dato il carattere del tutto episodico dell’attività lavorativa;

3) il mancato inserimento funzionale del lavoratore nell’organizzazione aziendale.

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Com’è noto il d.lgs. n. 276/2003, disciplinando il campo delle collaborazioni coordinate e continuative, ha istituito la disciplina del progetto per quei rapporti lavorativi che superano i 30 giorni e/o i 5000 euro nel corso dell’anno solare con lo stesso committente.

A tal proposito il Ministero del lavoro ha precisato che la disciplina del progetto non ha abrogato le disposizioni di cui all’art. 2222 e seg. del Codice Civile, per cui, anche qualora una prestazione lavorativa dovesse superare uno dei suddetti limiti, non necessariamente questo configurerebbe una collaborazione coordinata e continuativa a progetto o a programma, poiché si potrebbe essere semplicemente in presenza di uno o più contratti d’opera resi al committente (v. circ. n. 1 del 08/01/2004 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali).

BASE IMPONIBILEI primi 5.000 euro annui

costituiscono una soglia di esenzione dall’obbligo contributivo.

I redditi di lavoro autonomo occasionale sono fiscalmente classificati fra i “redditi diversi”, ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. l del TUIR.

L’art. 71, c. 2 del TUIR

dispone che l’imponibile sia ricavato per differenza tra l’ammontare percepito nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione.

Quindi l’imponibile previdenziale è costituito dal compenso lordo erogato al lavoratore, dedotte eventuali spese poste a carico del committente e risultanti dalla fattura.

ADEMPIMENTII lavoratori interessati

devono comunicare tempe-stivamente ai committenti occasionali il superamento della soglia di esenzione e, solo per la prima volta, iscriversi alla Gestione, a meno che non si tratti di collaboratori o soggetti assimilati già iscritti.

Qualora tale soglia fosse superata col concorso di più compensi nello stesso mese, ciascun committente concorrerà in misura proporzionale, in base al rapporto fra il suo compenso ed il totale di quelli erogati nel mese, secondo la regola già esposta nella circ. n. 56/04 per l’aliquota aggiuntiva dell’1%, in vigore dal 2004 al 2006.

CONTRIBUTO, VERSAMENTO, DENUNCIA

Ai lavoratori autonomi occasionali si applicano le

stesse regole già previste per i collaboratori coordinati e continuativi in materia di iscrizione, ripartizione del contributo, versamento e denuncia, nonché le regole generali in materia di aliquote, massimale ed accredito contributivo.

ESEMPI DI LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE

Nella pratica, stante la rigida interpretazione sul tema dagli organi di vigilanza, i casi per i quali è possibile, con la dovuta prudenza, indicare un contratto autonomo occasionale possono essere:

1. nell’ipotesi di affidamento al lavoratore di una traduzione in lingua italiana di un testo commerciale;

2. l’affidamento della confezione di una tesi di laurea (già elaborata);

3. alcuni incarichi commerciali per progetti relativi;

4. servizi di pulizia istantanea;

5. lezioni di musica e di ginnastica particolari e limitate nel tempo.

Casi invece di contestazione del contratto, ritenuto un rapporto di dipendenza, riguardano la sostituzione temporanea in un’attività commerciale di un lavoratore assente per ferie.

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il licenziamento per giustificato motivodi ordine soggettivo

scriveMi. Cla.

Fra le ipotesi di risoluzione di un rapporto di lavoro con un dipendente da parte di un datore di lavoro privato figura anche quella del licenziamento per giustificato motivo di ordine soggettivo.

La nozione di tale licenzia-mento è contenuta nell’art. 3 della legge 13 luglio 1966 n° 604 e consiste in un attuale inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro.

Andrà detto che si tratta di un licenziamento da attivare con la procedura disciplinare prevista dal contratto di lavoro (vedi art. 7 della Legge n° 300/70), con onere della prova a carico del datore di lavoro, ed in sostanza si riferisce alla violazione del dovere di diligenza (art 2104 c.c.).

Sono i contratti collettivi di lavoro delle varie categorie che indicano le ipotesi per giustificato motivo di ordine soggettivo ed, in generale, si distingue dal licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.) in relazione alla minor gravità della violazione contestata.

Andrà detto anche che nella

pratica i datori preferiscono in questi casi scegliere come provvedimento disciplinare il licenziamento in tronco.

In sintesi la differenza per giustificato motivo e per giusta causa stà nel fatto che nell’ipotesi di giustificato motivo soggettivo, il lavoratore deve essere licenziato con preavviso; obbligo che non sussiste in caso di licenziamento in tronco.

Alcuni casi di licenziamento per giustificato

motivo soggettivoUna delle fattispecie più

comuni di giustificato motivo soggettivo di licenziamento è rappresentata dallo scarso rendimento del lavoratore, che non raggiunga in un prefissato periodo di tempo i minimi di pro-duzione pattiziamente stabiliti ovvero ottenuti dalla media dei dipendenti che disimpegnano le medesime mansioni (si-tuazione tipica degli addetti alle lavorazioni in serie, nelle quali è possibile determinare con sufficiente precisione i risultati conseguibili con un impegno medio).

Naturalmente lo scarso

rendimento è configurabile an-che nei rapporti di lavoro che non presentino le evidenziate caratteristiche allorché l’ese-cuzione della prestazione sia carente e irregolare per effetto di un comportamento negligente ed impreciso regolarmente provato.

Lo scarso rendimento è qualificabile come adempimento parziale del lavoratore e potrà riscontrarsi quando al fare del lavoratore non si accompagni la diligenza esigibile in virtù della particolare natura del rapporto, determinando l’assenza di utilità della prestazione.

La S.C. ha elaborato una serie di criteri volti a determinare l’idoneità del sottorendimento a costituire giustificato motivo soggettivo

Licenziamento

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di licenziamento, cui attenersi in caso di contestazione della legittimità del recesso operato dal datore di lavoro:

1) valutazione dell’elemento soggettivo del comportamento del lavoratore (doloso e colposo);

2) accertamento del nesso di causalità immediata tra la negligenza e l’adempimento scadente del dipendente: se ne esclude la responsabilità solo nell’ipotesi in cui lo scarso rendimento non sia imputabile allo stesso;

3) verifica se il risultato disatteso dal dipendente rientri nelle possibilità medie dei suoi colleghi aventi la medesima qualifica ed addetti alle stesse mansioni, utilizzando come parametri per la determinazione del rendimento utile la quantità del lavoro svolto, la qualità dello stesso e il tempo impiegato a tal fine;

4) accertamento che l’insuf-ficiente rendimento sia notevole ex art. 3 legge n° 604/1966 e cioè che in concreto tenuto conto del tipo di rapporto e degli obblighi assunti dal lavoratore, il sottorendimento abbia rilevanza tale da frustare fondatamente l’aspettativa del datore di lavoro che il dipendente renda nel futuro la prestazione dovuta (e quindi faccia apparire inutile l’irrogazione di sanzioni conservative e non lasci altra alternativa al datore di lavoro all’infuori del licenziamento).

- accertamento dell’inde-bolimento della fiducia che il datore di lavoro nutriva nei confronti del dipendente;

- accertamento che lo scarso rendimento non sia dovuto a fattori socio-ambientali o all’organizzazione dell’impresa;

- valutazione del com-portamento complessivo del lavoratore e non solo apprez-

zamento di singoli episodi di rendimento inferiore.

Appare opportuno ribadire come l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento spetti al datore di lavoro ex art. 5 legge n° 604/1966.

Viceversa il lavoratore dovrà provare che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ovvero che l’esatto adempimento è mancato nonostante il lavoratore abbia seguito le regole dell’ordinaria diligenza e abbia fatto tutto il possibile per adempiere l’obbligazione dovuta.

L’onere della prova posto in capo al datore di lavoro non viene meno nemmeno in presenza della clausola cd. di rendimento minimo, seconda la quale il dipendente si obbliga al raggiungimento di un determinato livello minimo di produzione. Tali clausole vengono utilizzate nei confronti di particolari tipologie di lavoratori che operano fuori dei locali dell’impresa e che sono dotati di autonomia operativa, come i produttori delle compagnie di assicurazione.

La giurisprudenza ritiene valide tali clausole, ma non consente che possano tras-formare l’obbligazione del prestatore di lavoro subordinato da obbligazione di mezzi in quella di risultato, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato costituisce il mero indice dell’inesatta esecuzione e che per procedere al licenziamento del dipendente è necessario l’accertamento della sussistenza di altri elementi, anche in presenza di difformi previsioni del contratto individuale o collettivo.

Altri casi concreti

Le ipotesi di licenziamento di giustificato motivo soggettivo sono, ad esempio, quelle previste dall’art. 10 del CCNL dell’industria metalmeccanica stipulato in data 15/10/2011.

In tale provvedimento incorre il lavoratore che commetta infrazioni alla disciplina ed alla diligenza del lavoro che, pur essendo di maggior rilievo di quelle contemplate nell’articolo riguardante le ammonizioni scritte, le multe e le sospensioni, non siano così gravi da rendere applicabile la sanzione del licenziamento in tronco.

A titolo indicativo rientrano nelle infrazioni di cui sopra: a) l’insubordinazione ai superiori; b) sensibile danneggiamento colposo al materiale dello stabilimento o al materiale di lavorazione; c) esecuzione senza permesso di lavori nell’azienda per conto proprio o di terzi, di lieve entità senza impiego di materiale dell’azienda; d) rissa nello stabilimento fuori dei reparti di lavorazione; e) abbandono del posto di lavoro da parte del personale a cui siano specificamente affidate mansioni di sorveglianza, custodia, controllo fuori dei casi previsti dal regolamento; f) assenze ingiustificate prolungate oltre 4 giorni consecutivi o assenze ripetute per tre volte in un anno nel giorno seguente alle festività o alle ferie; g) condanna ad una pena detentiva comminata al lavoratore, con sentenza passata in giudicato per azione commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, che leda la figura morale del lavoratore; h) recidiva in qualunque delle mancanze quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione.

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pAg. 20 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011QUeSiti

a cura dipaola diana onderCoordinatrice Centro StudiNazionale Ancl

Matrimonio tra dipendente e sociodi una snc. Come funziona?Quali sono le regole?

QUeSito

Il Tribunale di Agrigento ha annullato il rapporto di lavoro intercorrente tra una dipendente ed una società in nome collettivo a quote paritariamente divise tra due soci dalla data del matrimonio di uno di essi con la stessa lavoratrice. La Corte di Appello di Palermo riformando la sentenza del giudice di prime cure ha stabilito che è onere dell´Inps dimostrare il comportamento delle parti in ordine al contenuto ed alle modalità di svolgimento del rapporto successivo alla data del matrimonio. Troverete entrambe le sentenze sul sito www.studiorago.com e si presume che se il contratto di lavoro fosse stato certificato, anche dopo la data del matrimonio, per confermarne le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, la società avrebbe evitato due gradi di giudizio.

riSpoStA Esperto:Rosario D’Aponte

Una lavoratrice dipendente è stata assunta in data 20/06/2005. Il datore di lavoro è una società di persona con due soci al 50%. In data 6/4/2006 la dipendente ha contratto matrimonio con uno dei soci.

Con verbale di accertamento l’INPS

disconosce il rapporto di lavoro subordinato a far data dal celebrazione del matrimonio in quanto “da tale ultima data non può più ritenersi sussistente, tra la società e la dipendente il rapporto di lavoro subordinato e che la prestazione lavorativa debba essere

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riSpoStA Esperto:Rosario D’Aponte

considerata come resa a titolo di collaborazione gratuita: donde 1’indebito conguaglio della indennità di maternità erogata da maggio ad ottobre 2006”

Pronunzia del Tribunale di AgrigentoLa società ricorre in giudizio e il Tribunale

di Agrigento (Sentenza 135/2008) che ha rigettato l’opposizione.

Il Tribunale, con esplicito richiamo a due precedenti di Cassazione (Cass. SL 2660/84 e SL 6867/1987) ritiene che le prestazioni lavorative rese nell’ambito di società di persone da persone legate da vincolo di parentela si presumono riconducibili ai rapporti di collaborazione, qualora l’impresa sia gestita ed organizzata, strutturalmente ed economicamente, con criteri prevalentemente familiari (non quando abbia notevoli dimensioni e, per quanto condotta da familiari, sia amministrata con criteri rigidamente imprenditoriali. Ciò premesso era onere della ditta superare la presunzione con la prova dell’assoggettamento della lavoratrice al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro, avendo riguardo al reale contenuto della prestazione e alle concrete modalità di svolgimento della stessa.

Pronunzia della Cortedi Appello di Palermo

La Corte di Appello di Palermo, a cui la Società aveva proposto ricorso, ha riformato l’impugnata sentenza ritenendo che la preesistenza del rapporto di lavoro subordinato e la prosecuzione della prestazione lavorativa, senza soluzione di continuità, impedisce di formulare la presunzione di gratuità.

La Corte accusa l’INPS di superficialità nel non aver dedotto alcuna sopravvenuta modifica del rapporto di lavoro né con riguardo al contenuto né con riguardo alle modalità di svolgimento. Ed inoltre che il sopravvenuto rapporto di coniugio non è di per sé sufficiente a provare l’intervenuta novazione del rapporto,

Peraltro il rapporto di lavoro non era intercorrente tra i futuri coniugi ma tra uno dei coniugi e una società della quale l’altro coniuge è socio per il 50%.

L’infondatezza del verbale è pertanto

riconducibile alla mancata prova da parte dell’istituto del mutamento del titolo della prestazione lavorativa.

La narrazione dei fatti esposti con le diverse

interpretazioni di causa da parte del giudice di prime cure e del giudice di Appello, sono solo un esempio che ci aiuta a fornire la risposta all’interrogativo iniziale e se cioè la Società avrebbe evitato i due gradi di giudizio con la certificazione del contratto di lavoro almeno dalla data del matrimonio.

In pratica è vero che se le parti avessero certificato il rapporto di lavoro tra la dipendente e la Società anche successivamente alla data del matrimonio tra la dipendente ed uno dei soci della Società, gli effetti di tale accertamento da parte dell’organo di certificazione si sarebbero prodotti anche nei confronti dei terzi. (nel caso di specie l’Istituto previdenziale).

Ma, dal momento che il legislatore, in virtù del diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione, non può sottrarre al giudice la qualificazione del rapporto di lavoro da cui derivano appunto diritti dei singoli, gli effetti dell’atto certificato possono venir meno se le parti e/o i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, propongono ricorso, presso l’autorità giudiziaria di cui all’articolo 413 del codice di procedura civile, motivando il ricorso con l’erronea qualificazione del contratto oppure per la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione o per vizi del consenso.

Nel caso sopra indicato vero è che l’istituto previdenziale non avrebbe potuto elevare il verbale amministrativo, ma ben avrebbe potuto esperire il ricorso ex art. 413 c.p.c. per difformità del programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Infatti, la Corte di Appello che pure ha riconosciuto le ragioni della Società ricorrente ha bacchettato l’INPS per non aver dimostrato alcuna sopravvenuta modifica del rapporto di lavoro che potesse suffragare l’affermazione che la sola celebrazione del matrimonio avrebbe trasformato il rapporto di lavoro subordinato con la Società in rapporto di coniugio con uno dei soci della Società stessa.

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QUeSito

Accordo società-dipendenteper modifica contratto telelavoro.Ci sono obblighi da rispettare?

riSpoStA

Un'Azienda, di comune accordo con una propria dipendente, ha modificato il contratto di lavoro, nello specifico sede lavorativa, optando per il lavoro a distanza ("telelavoro"). L'Azienda fornisce i sistemi informatici per l´attività della lavoratrice. Sull´accordo (scritto) viene specificato che il costo dell'energia elettrica per l'almentazione del PC è a carico della dipendente, compensato dai minori costi sostenuti dalla stessa per recarsi con propri mezzi agli uffici aziendali. Vi sono particolari adempimenti da effettuarsi oltre alla sottoscizione dell'accordo scritto? Ci sono comunicazioni da fare ad Enti (INPS,INAIL o DPL) ovvero ad altri uffici?

Il telelavoro costituisce una forma di organizzazione e di svolgimento del lavoro che si avvale di sistemi informatici di telecomunicazione. Quindi il primo ragionamento da effettuare è quello di verificare se l’attività di lavoro sia “telelavorabile”. L’opera del telelavoratore è prestata generalmente nel domicilio del lavoratore.

Il contratto di telelavoro nel settore privato non costituisce oggetto di regolamentazione legislativa e pertanto si devono osservare i medesimi obblighi previsti per il lavoro subordinato, autonomo o parasubordinato.

Alcuni contratti collettivi hanno inserito norme comportamentali e principi di cui occorre tenere conto. Anche il contratto del Terziario ha disciplinato la materia negli accordi e nelle appendici al CCNL del Commercio del 2 luglio 2004 e nel precedente accordo del 20 giugno 1997, nonché nell’ultimo rinnovo del 18 luglio 2008.

Nel caso di nuove assunzioni per quanto riguarda gli obblighi e le comunicazioni da fare valgono le norme generali ed i normali adempimenti, mentre per ogni cambiamento in costanza del rapporto occorre un accordo scritto fra le parti, dove il punto essenziale è dato dall’elemento della volontarietà

della decisione di modificare la sede di lavoro, l’organizzazione e lo svolgimento in genere del rapporto di lavoro. In assenza di previsioni di legge specifiche non ci sono dunque particolari adempimenti aggiuntivi ma una particolare attenzione andrà rivolta agli obblighi assicurativi relativi all’INAIL poiché il tasso di rischio andrà aggiornato sulla base delle aumentate o diminuite pericolosità compresa la valutazione del rischio ambientale. L’ultimo pensiero anche se non ultimo in termini di importanza va al documento di valutazione rischi che deve essere effettuato sulle condizioni di lavoro anche in questo caso. Il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore in materia di sicurezza tutte le protezioni necessarie mettendo a disposizione i mezzi di sicurezza. E’ quasi inutile ricordare che la normativa sulla sicurezza di cui al D. Lgs. 81/2008 trova integrale applicazione anche in materia di telelavoro. Faccio solo l’esempio di ciò che è previsto sulle pause di lavoro per i lavoratori addetti ai videoterminali.

Segnalo infine per ulteriori approfondimenti la circolare INPS n. 80 del 22 luglio 2008 e la Guida al Telelavoro di Renzo La Costa e Valeria Marchitelli che si possono trovare nel sito nazionale dell’ANCL.

Esperto:Giovanni Cruciani

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pAg. 23 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011QUeSiti

QUeSito

Azienda ora iscritta a Confindustria applica ancora il ccnl artigiano.è corretto?

Una srl, non svolgendo più la maggioranza dei soci lavoro personale nel processo produttivo, perde il requisito di artigiana e viene ad essere inquadrata nel settore industria e, per tale settore versa i contributi. In considerazione del fatto che per tutto il resto, l'attività rimane invariata, si continua ad applicare, al personale dipendente occupato il ccnl chimica, gomma e plastica artigiani, pur essendo la srl associata a confindustria, si chiede se il suddetto comportamento (ccnl artigiano) è corretto o obbligatoriamente deve essere applicato il ccnl chimica industria? Risulta occupato anche un dipendente assunto con contratto di apprendistato professionalizzante, come comportarsi nel caso di variazione di ccnl?

riSpoStA

Ai sensi dell’art. 2070 cod. civ. il contratto di riferimento applicabile si individua sulla base della categoria professionale di appartenenza dei lavoratori, che corrisponde all’attività concretamente svolta dal datore di lavoro e non alla concreta attività esercitata dal lavoratore nell’ambito dell’impresa.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza più recente e consolidata, tale criterio non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti o a coloro che, anche implicitamente, abbiano aderito al contratto stesso applicandone di fatto la maggioranza delle norme (c.d. criterio di autodeterminazione sindacale).

Pertanto, un’azienda associata ad una confederazione sindacale rappresentativa dei datori di lavoro, la quale è parte firmataria di un Contratto Collettivo, sarà obbligata ad applicare

tale contratto.Nel caso di specie, essendo l’azienda affiliata a

Confindustria, dovrà applicare obbligatoriamente il ccnl Chimica Industria.

In definitiva si può affermare che solo i datori di lavoro che non aderiscono, nemmeno implicitamente, alle associazioni stipulanti non hanno l’obbligo di applicare il ccnl di riferimento.

Ricordo, inoltre, che l’inquadramento previdenziale dell’attività svolta dall’azienda non vincola la stessa in sede di scelta del Contratto Collettivo da applicare.

In merito al trattamento della posizione dell’apprendista, anch’esso al momento della variazione del ccnl sarà coinvolto nel passaggio. In tal caso, trattandosi pur sempre di apprendistato professionalizzante, sarà sufficiente procedere con l’armonizzazione del livello di inquadramento e alla riproporzione del periodo di apprendistato ancora da svolgere sulla base del ccnl Industria.

Esperto:Antonio Stella

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riSpoStA Esperto:Claudio Baldassari

DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICAUFFICIO PERSONALE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONISERVIZIO TRATTAMENTO PERSONALECIRCOLARE N. 10

Decreto legge n. 112 del 2008 - "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" - art. 72 - "Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo".

QUeSito

Funzionario comunale 65ennecon 38 anni e 10 mesi di contribuzione può proseguire il rapporto di lavoro fino a 40 anni di servizio?

Un funzionario, tutt'ora in servizio presso un comune della provincia di Agrigento, (economo) nato il 16.11.1946 vanta contributi dal 1.1.74. al 16.11.2011 compie 65 anni di età e 38 anni e 10 mesi di contribuzione. Il lavoratore vorrebbe proseguire il rapporto fino al raggiungimento dei 40 anni di servizio per maturare la pensione di anzianità. è possibile la prosecuzione e quale è la normativa che, eventualmente, lo consentirebbe?

Soluzione proposta. Il Comune, interessato dalla questione, ritiene che l'attuale normativa sugli Enti locali non consente la prosecuzione per il periodo necessario al raggiungimento dei 40 anni di anzianità, pertanto provvederà al licenziamento del funzionario, malgrado la domanda di prosecuzione, al compimento dei 65 anni di età.

Di seguito la circolare redatta dal Dipartimento Funzione Pubblica che chiarisce la richiesta del collega. La risposta - negativa per il lavoratore - si trova nel commento al testo della circolare: mentre secondo la disciplina previgente, in caso di domanda, l’amministrazione non era titolare di discrezionalità nel disporre il trattenimento, dovendolo in ogni caso accordare, in base al nuovo regime l’istanza di trattenimento è soggetta a valutazione discrezionale e quindi può non essere accolta dal datore di lavoro.

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pAg. 25 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011QUeSiti

2. Disposizioni relative al trattenimento in servizio (commi da 7 a 10).

La modifica del regime del trattenimento in servizio.

I commi da 7 a 10 dell’art. 72 del d.l. n. 112 hanno innovato la disciplina di cui all’art. 16 comma 1 del d.lgs. n. 503 del 1992, modificando il regime dei trattenimenti in servizio. L’art. 16 comma 1 del citato decreto, come modificato, prevede: “È in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. In tal caso è data facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.”

Mentre secondo la disciplina previgente, in caso di domanda, l’amministrazione non era titolare di discrezionalità nel disporre il trattenimento, dovendolo in ogni caso accordare, in base al nuovo regime l’istanza di trattenimento è soggetta a valutazione discrezionale e quindi può non essere accolta dal datore di lavoro. La valutazione deve tener conto di alcune condizioni oggettive: le esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione, la particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti e l’efficiente andamento dei servizi. In proposito, è opportuno che ciascuna amministrazione

adotti preventivamente dei criteri generali per regolare i trattenimenti in servizio, tenendo conto delle proprie peculiarità, in modo da evitare condotte contraddittorie o incoerenti. Tali criteri si configurano quale atto di indirizzo generale e quindi, in linea con quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. n. 165 del 2001 dovrebbero essere contenuti nell’atto di programmazione dei fabbisogni professionali o adottati dall’autorità politica o dagli organi di indirizzo. Nel compiere le valutazioni, che dovranno trovare riscontro nella motivazione dell’atto, sarà opportuno tenere in debita considerazione il parere del responsabile della struttura nella quale il richiedente è inserito.

Considerato che, in base alla normativa vigente, il trattenimento in servizio viene disposto in relazione alle esigenze dell’amministrazione e che il citato art. 16 stabilisce che esso può avere la durata massima di un biennio, lo stesso può essere motivatamente accordato anche per un periodo inferiore al biennio.

La nuova disposizione fissa poi dei termini per la presentazione dell’istanza da parte dell’interessato e, cioè, dai 24 ai 12 mesi antecedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.

La previsione di tali termini è funzionale alle esigenze organizzative dell’amministrazione, che deve poter compiere una valutazione a medio termine nell’ambito della programmazione dei fabbisogni professionali. In tale contesto si spiegano anche le norme di cui ai commi 9 e 10, che prevedono interventi di riesame di fattispecie già concesse, in quanto riferite a trattenimenti in servizio con decorrenze spostate nel tempo, che quindi devono essere rivalutate anche al fine di rendere reale ed immediata l’efficacia del nuovo regime.

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newSpAg. 26 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Sicurezza sul lavoro

La Cassazione Penale Sezione III con sentenza n. 23968 del 15 giugno 2011 ha fatto ulteriore chiarezza sulla questione dell’autocertificazione della valutazione dei rischi già prevista dal D. Lgs. 626/94 e confermata dal D. Lgs. 81/2008 per le aziende che occupano fino a 10 lavoratori.

E’ opportuno dare risalto a tale sentenza, ritengo, non tanto per l’aspetto meramente formale legato alla mera redazione del documento di valutazione dei rischi sebbene in forma semplificata che tale sentenza richiede ma soprattutto per mettere in risalto il vero senso dell’autocertificazione della valutazione dei rischi che molto spesso è stata, ed è ancora oggi, interpretata dall’azienda come una semplice dichiarazione “scollegata” da una reale valutazione dei rischi aziendale. Quante

volte abbiamo assistito al datore di lavoro di aziende che a seguito di verifiche ispettive o verifiche a seguito di infortuni dichiaravano “ho l’autocertificazione” come se quel pezzo di carta fosse il concentrato di tutti i suoi adempimenti. Non considerando che autocertificare la valutazione dei rischi voleva e vuole dire di aver comunque provveduto ad effettuare la valutazione dei rischi, all’individuazione delle misure di prevenzione e protezione, l’utilizzo dei DPI nonché a sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria.

Ma venendo al contenuto della citata sentenza e per comprenderne il fondamento vediamo in sintesi il caso.

Il titolare di una ditta di impermeabilizzazione è stato imputato del reato di cui al D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 4 comma 2 (mancata redazione del documento di valutazione

dei rischi) perché, in qualità di datore di lavoro ha omesso di elaborare un documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori. Tale omissione era stata accertata dal personale dell’organo di vigilanza della ASL di Lanciano nel corso di una visita ispettiva il quale, durante il sopralluogo in azienda, aveva rinvenuto a lavorare due operai dipendenti della ditta, della quale il legale rappresentante era l’imputato, ed aveva contestato allo stesso con apposito verbale di ispezione la violazione di cui sopra (oggi sostituito dall’art. 17 del D. Lgs. 81/ 2008) per non aver appunto elaborato il documento di valutazione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori. Il Tribunale ha dichiarato il datore di lavoro colpevole del reato a lui ascritto e lo ha condannato alla pena di 1.500 euro di ammenda oltre al pagamento

La Cassazione fa chiarezza in merito all’autocertificazione della valutazione dei rischi per le aziendefino a 10 lavoratori

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newSpAg. 27 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

delle spese processuali.Avverso la sentenza

pronunciata dal Tribunale l'imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo che l’art. 4 comma 11 del D. Lgs. n. 626/1994 espressamente prevede che "il datore di lavoro delle aziende che occupano fino a dieci addetti non è soggetto agli obblighi di cui ai commi 2 e 3, ma è tenuto comunque ad autocertificare per iscritto l'avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi. L’autocertificazione deve essere inviata al Rls”. Per cui lo stesso ha sostenuto che il documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori fosse obbligatorio e soggetto a ispezione per le sole aziende che occupino più di dieci addetti.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso ed ha ricordato in proposito che il comma 11 del citato art. 4 del D. Lgs. n. 626/1994 prevedeva effettivamente che il datore di lavoro delle aziende che occupassero fino a dieci addetti non era soggetto agli obblighi di cui ai commi 2 e 3 dello stesso articolo e che quindi era esonerato, in particolare dal predisporre e tenere il documento di valutazione dei rischi nel contenuto più

complesso di cui al secondo comma consistente in una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale devono essere specificati i criteri adottati per la valutazione stessa, l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, in relazione alla valutazione stessa, nonché il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.

Ma ciò non esonerava anche il datore di lavoro dal predisporre e tenere il documento di valutazione dei rischi nel contenuto meno analitico di cui al comma 1; documento che doveva comunque contenere la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro”. Quindi la Suprema Corte non solo ha ribadito l’obbligo di documentare la valutazione dei rischi sebbene

in forma semplificata ma ha anche superato l’eccezione legata all’abrogazione dell’art. 4 del D. Lgs. 626 rammentando che l'obbligo della valutazione dei rischi e di elaborazione del relativo documento è ora confermato dal D. Lgs. n. 81/2008 con gli artt. 17, 28 ed art. 29 comma 5, e che tale decreto prevede parimenti modalità semplificate di adempimento di tale obbligo per i datori di lavoro che occupino fino a dieci dipendenti ed ha quindi confermato la legittimità della sentenza impugnata concludendo che “c'è quindi continuità normativa con conseguente esclusione dell'abolitio criminis per effetto dell'abrogazione della disposizione recante l'incolpazione”.

In conclusione secondo la Corte suprema autocertificare la effettuazione della valutazione dei rischi non significa che il datore di lavoro non debba provvedere ad effettuare la valutazione dei rischi secondo le modalità stabilite dalla legge ma che una volta effettuata tale valutazione il datore di lavoro stesso è tenuto comunque ad elaborare con l’autocertificazione un documento dal contenuto sia pure meno analitico.

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newSpAg. 28 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

Fondoprofessioni, 3 mln per la formazionedei dipendenti

Tre milioni di euro per la formazione dei dipendenti degli studi professionali e delle aziende, è questa la quantità di risorse messa sul piatto da Fondoprofessioni attraverso l’avviso 01/11.

Le risorse saranno ripartite tra attività corsuali e seminariali, alle prime saranno riservati 2,5 milioni di euro e alle seconde 500 mila euro.

Le attività corsuali finanziate da Fondoprofessioni prevedono una durata dell’in-tervento formativo che va dalle 16 alle 40 ore, con un minimo di 4 partecipanti ed un massimo di 16. Una durata di 4 o 8 ore è prevista, invece, per

i seminari, ai quali dovranno prendere parte almeno 20 dipendenti.

Singoli studi/aziende, associazioni di categoria, confederazioni datoriali socie del Fondo, organizzazioni sin-dacali dei lavoratori, consorzi, associazioni temporanee di scopo, studi professionali per aziende collegate. Sono questi i soggetti che possono richiedere il finanziamento della formazione per i dipendenti di studi e aziende nell’ambito dell’avviso 01/11.

Fondoprofessioni, attraverso la pubblicazione del nuovo avviso, mira a valorizzare le competenze professionali

dei lavoratori degli studi/aziende attraverso interventi formativi qualificanti, realizzati da istituti di formazione accreditati presso il Fondo e altamente specializzati.

La presentazione dei piani/progetti formativi, attraverso la piattaforma informatica presente sul sito www.fondoprofessioni.it, dovrà avvenire entro il 30 settembre 2011. Sul sito del Fondo è consultabile il testo del nuovo avviso. Per informazioni relative all’avviso 01/11 inviare una mail all’indirizzo [email protected] o contattare il numero di telefono 06-54210661.

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eventipAg. 29 - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011

eventi dell'ordine di vareseL’Ordine di Varese ha programmato per i giorni 21 e 22 settembre 2011 due momenti formativi: - 21 settembre 2011 - Crociera sul Lago Maggiore - con ritrovo alle ore 14.30 e partenza alle ore

15,00 da Angera – Navigazione, visite guidate e Cena a bordo - Costo complessivo € 100,00 - la partecipazione darà diritto a n. 2 crediti deontologici (sul sito www.anclsu.com, nella sezione eventi, disponibili il programma e il menu)

- 22 settembre 2011 - convegno sul tema “L’Etica del Lavoro - Legalità e Valori” – con registrazione dalle ore 8.30 ed inizio dalle ore 9,00 alle ore 13,00 presso Ata Hotel – Varese - incontro gratuito - la partecipazione darà diritto a n. 4 crediti deontologici (sul sito www.anclsu.com, nella sezione eventi, disponibili il programma e la scheda di iscrizione)

Maggiori informazioni nella sezione eventi del sito www.anclsu.com.

MonzA - 20 settembre 2011Il Consulente del Lavoro 2.0 CONVEGNO

organizzato da: Ancl - UP Monza e Brianzadata: martedì 20 settembre 2011 dalle ore 14:30 presso l'Hotel della Regione - Sala Meeting - Monza (MB) Viale Elvezia 4tema: Le nuove prospettive della professione: - selezione del personale e collocamento - tirocini formativi - consulenza previdenziale

bergAMo - 28 settembre 2011

Orizzonte giovani: lavoro e competenze per l´Italia che cambiaV CONGRESSO PROVINCIALE

organizzato da: Ancl - Sindacato UnitarioOrdine dei Consulenti del Lavoroin collaborazione con:Università degli Studi di Bergamodata: mercoledì 28 settembre 2011 dalle ore 14,30 presso il Seminario Vescovile Giovanni XXIII - Auditorium - via Arena 11tema: Orizzonte giovani: lavoro e competenze per l’Italia che cambia (Le proposte dei Consulenti del Lavoro)

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Ultima - edizione del 7 settembre - n. 41 - Xv del 2011CHi SiAMo

ConSigLio nAzionALeda chi è composto il ConsiglioConsiglieri di estrazione congressualeAgostini Walter, Alborno Mario, Arteritano Pasquale, Baldassari Claudio, Besio Giovanni, Biscarini Paolo, Borelli Adele, Bravi Bruno, Bruno Luciana, Canavesio Marina, Cocchi Maria Rosaria, Cocorullo Fernando,D’Alessandro Nestore, D’Angelo Franco, Della Bianca Giuliana, Di Paolo Mauro, Dolli Franco,Eleonori Guglielmo R., Faggiotto Claudio, Fanfani Antonio, Formentin Giovanna, Furlan Debora, Giacomin Antonietta, Giarola Zeno, Granata Annamaria, Graziano Alessandro, Izzo Alfonso, Lezzi Antonio, Maffiotti Manuela, Mirtoni Annamaria, Monticelli Giammaria, Morini Roberto, Nicoli Loredana, Notarnicola Danilo, Onder Paola Diana, Paone Luca Andrea, Pascazio Leonardo, Pasquini Roberto, Piceci Roberto, Rama Valeria, Rota Porta Alessandro, Sanna Mauro, Sartore Roberto, Sassara Stefano, Sciacca Guido, Scoglio Stefania, Sighinolfi Roberta, Spalletti Antonella, Tonegutti Stefano, UmbaldoMassimiliano, Vannicola Enrico, Zanella Rossano, Zeppi Leonardo, Zimmile Calogero

giUntA eSeCUtivA nAzionALeda chi è composta la giuntaPresidente Francesco Longobardi - Vice Segretario Generale Nazionale Vicario Stefano Sassara - Vice Segretario Generale Nazionale Franco Dolli - Segretario Tesoriere Giammaria Monticelli - Segretario Amministrativo Guido Sciacca - Coordinatore Centro Studi Paola Diana Onder

ALtri CoMponenti giUntA eSeCUtivAtutti i componenti della giuntaClaudio Baldassari, Giovanni Besio, Adele Borelli, Marina Canavesio, Nestore D’Alessandro, Roberto Morini, Danilo Notarnicola, Leonardo Pascazio, Roberto Sartore, Rossano Zanella, Collegio Nazionale Sindaci RevisoriDario Montanaro (presidente), Renato Boscutti e Tiziano Belotti (revisori)Collegio Nazionale ProbiviriPatrizia Gagliardi (presidente), Luciano Ognissanti e Andrea Pozzatti (probiviri)

Dirigenti e sedi Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro Sindacato Unitario

preSidenti ConSigLi regionALi AnCLi presidenti dei Consigli regionali dell'Associazione nazionale Consulenti del LavoroCrocifisso Baldari (Puglia), Elisabetta Battistella (prov. aut. Bolzano), Pier Luigi Begliuomini (Valle d'Aosta), Alessandro Bonzio (Veneto), Filippo Carrozzo (Piemonte), Galileo Casimiro (Molise), Maria Paola Cogotti (Sardegna), Luigi Schenone (Liguria), Elisabetta Plevano (Abruzzo), Maria Rosaria Cocchi (Lombardia), Anna Maria Granata (Campania), Giovanna Manca (Basilicata), Giacobelli Gianni (Marche),Francesca Antonia Laganà (Calabria), Luca Piscaglia (Emilia Romagna), Paolo Rossi (Lazio), Calogero Zimmile (Sicilia), Alessandro Signorini (Toscana), Paolo Dressi(Friuli Venezia Giulia), Claudia Paoli (Umbria), Fabiano Paoli (prov. aut. Trento).