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1 PROGRAMMA DI LABORATORIO a cura del dipartimento di scienze naturali Anno Scolastico 2014 – 2015 Ambito del progetto “Ai confini tra due terre” per la valorizzazione delle discipline scientifiche nel liceo classico A cura della prof. Maria Viotto e dei suoi allievi

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Page 1: Manuale del Laboratorio di scienze naturali · cellule di sughero al microscopio : introduzione alla microscopia (scheda storica ) confronto tra cellule vegetali di sughero, cipolla

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PROGRAMMA DI LABORATORIO a cura del dipartimento di scienze naturali

Anno Scolastico 2014 – 2015

Ambito del progetto “Ai confini tra due terre” per la valorizzazione delle discipline scientifiche nel liceo classico

A cura della prof. Maria Viotto e dei suoi allievi

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ELENCO DELLE ESPERIENZE :

CELLULE DI SUGHERO AL MICROSCOPIO : INTRODUZIONE

ALLA MICROSCOPIA ( SCHEDA STORICA ) CONFRONTO TRA CELLULE VEGETALI DI SUGHERO, CIPOLLA ED ELODEA PER LE CLASSI V GINNASIO

OSMOSI NELLE CELLULE DELLA CIPOLLLA PER LE CLASSI V

GINNASIO

SEPARAZIONE MEDIANTE CROMATOGRAFIA SU CARTA DEI PIGMENTI CONTENUTI IN UN INCHIOSTRO E NELLA CLOROFILLA DI UNA FOGLIA per le classi IV e V ginnasio

MISURE DIRETTE E INDIRETTE PER LE CLASSI IV GINNASIO

MISCUGLI E COMPOSTI PER LE CLASSI IV E V GINNASIO

LA DENSITA’ E’ UNA PROPRIETA’ INTENSIVA PER LE CLASSI IV

GINNASIO

SOLUZIONI E MOLARITA’ PER LE CLASSI V GINNASIO E I LICEO

IDROLISI SALINA PER LE CLASSI II LICEO

DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’ DEL SUCCO DI LIMONE

PER LE CLASSI II LICEO

LA PILA DI DANIELL PER LE CLASSI II LICEO

DISSEZIONE DI UN CUORE DI UN MAIALE PER LE CLASSI II LICEO

CLASSIFICAZIONE DI ALCUNI MINERALI SECONDO I SETTE

SISTEMI PER LE CLASSI III LICEO

ANALISI DEI CARBOIDRATI PER LE CLASSI III LICEO

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CELLULE DI SUGHERO AL MICROSCOPIO:

Questa   fotografia   presenta   una   superficie   di   legno   di  sughero  a  400  ingrandimenti.  Fu   proprio   osservando   un   pezzo   di   sughero   attraverso   il  microscopio   da   lui   stesso   inventato   che,   nel   1665,   l´inglese  Robert  Hooke  (1635-­‐1703)  scoprì  le  cellule.    In  realtà  Hooke  non  vide  le  cellule  del  sughero,  ormai  morte,  ma   le   cavità  da  esse   lasciate,   simili   appunto  a  delle  piccole  celle,  da  cui  il  nome.  

Nel  1665,  Robert  Hooke  (1635-­‐1703)  pubblicò  un  libro  intitolato  Micrographia.    Hooke,  era  uno  scienziato  e   inventore   inglese  che  aveva  costruito  un  microscopio  ottico  di  gran  lunga   superiore  ai  modelli   grossolani   reperibili   a  quell’epoca.  Con  esso  egli   esaminò  una  grande  

quantità  di  materiali  -­‐  minerali,  fibre  tessili,  e  piccole  piante  e  animali.  Tra   l’altro  esaminò   il  sughero.  La  descrizione  che  egli   ne   fece   occupa   una   posizione   così   importante   nella  storia   dei   tentativi   umani   per   comprendere   la   struttura  fondamentale  degli  esseri   viventi   che  è   interessante   sapere  cosa  egli  disse:   "Osservazione XVIII. Sullo schematismo o struttura del sughero e sulle cellule e pori di alcuni altri corpi leggeri." << Ho preso un bel pezzo di sughero chiaro e ne ho tagliato un frammento con un temperino ben affilato, in modo da lasciare la superficie ben liscia; quindi, esaminandola molto

attentamente al microscopio, pensavo di riuscire a vedere che era porosa. Purtroppo non riuscii a distinguere chiaramente e con certezza i pori, né tanto meno che forma avessero. Tuttavia, in base alla leggerezza e alla morbidezza del sughero, pensando che la sua struttura non poteva essere tanto strana ma che probabilmente, se mi fossi applicato un po’ di più, sarei riuscito a distinguerla al microscopio, preparai con lo stesso temperino affilato e dallo stesso pezzo di prima una sottilissima fetta e la misi su una piastra portaoggetti nera perché il sughero è un corpo chiaro. Illuminandola direttamente con un raggio di luce proveniente da una lente piano-convessa, potei osservare in maniera chiarissima che il sughero era completamente perforato e poroso, simile ad un favo, ma con cellette irregolari. Nei seguenti particolari somigliava a un favo di api. Innanzitutto, per il fatto che era scarsamente costituito da materiale solido in confronto agli spazi vuoti che conteneva. Gli interstizi o pareti (come li chiamo io) o setti tra i pori erano infatti molto sottili in confronto ai pori stessi, come le sottili pellicole di cera rispetto alle cellette esagonali di un favo di api. Secondariamente, per il fatto che questi pori o cellule non erano molto profondi o spessi, ma erano costituiti da un gran numero di piccole caselle, derivate tutte da un unico lungo canalicolo continuo, mediante la formazione di diaframmi, come si vede nella figura, che rappresenta una sezione longitudinale dei pori. Io non li avevo notati prima (furono davvero i primi pori

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microscopici che vidi e forse che furono visti, perché non trovai nessun scrittore o persona che li avesse menzionati prima) ma con la loro scoperta pensai di aver fatto balenare dinnanzi alla mia mente la vera e logica ragione di tutti i fenomeni del sughero, come ad esempio: Primo: se mi fossi chiesto la ragione della estrema leggerezza di tale corpo, il microscopio mi avrebbe detto che essa era la stessa per cui la schiuma, un favo vuoto, la lana, una spugna, la pietra pomice, ecc. sono leggeri, cioè una piccolissima quantità di sostanza solida si estende in proporzioni estremamente vaste. Secondo: sembrava non esservi nulla di più difficile da spiegare del fatto che il sughero non assorbe acqua, anche se lasciato galleggiare su di essa per lungo tempo, e che possa chiudere e trattenere aria all’interno di una bottiglia, benché essa sia molto compressa e tendente ad aprirsi un passaggio, senza lasciar filtrare neanche una bolla. Anche qui il microscopio ci mostra che il sughero è impregnato d’aria, la quale è contenuta nelle cellette. Sembra chiaro che né l’acqua né l’aria possono penetrare in esso, essendovi già un intus existens. Questa è la ragione per cui pezzi di sughero sono ottimi galleggianti per reti e tappi per fiale ed altri recipienti chiusi. Terzo: se ci si chiede perché il sughero, quando viene compresso, si presenta così elastico e capace di rigonfiarsi, e come può subire una così grande compressione, o contrazione delle dimensioni, e tornare in seguito come prima ad occupare lo stesso spazio, il microscopio ci dice che l’intera massa consiste di una infinità di cellette o vescichette d’aria, sostanza di per sé elastica, e che può subire una notevole compressione (come potei vedere diverse volte, servendomi solo delle mie mani, senza ricorrere a nessun congegno, e riuscendo a comprimerla a un ventesimo delle sue dimensioni normali vicino alla terra). Inoltre, sembra che le pareti sottili che circondano i pori abbiano esse pure una proprietà elastica, come in genere tutte le sostanze vegetali, in modo da facilitare il loro ritorno alla forma primitiva. Noi potremmo così scoprire facilmente e con certezza lo schematismo e la struttura anche di questi sottili setti e di numerosi altri corpi. Sembra che nulla si opponga a ciò e che presto sarà possibile renderci ragione di tutti i loro fenomeni, cioè quale è la causa della loro elasticità, e della resistenza di alcuni, della flessibilità e della capacità di tutti di reintegrarsi nella condizione iniziale, della friabilità e fragilità di altri, e così via. Ma fintantoché il microscopio, o qualche altro mezzo, non ci consentirà di scoprire il vero schematismo o la vera struttura di tutti i corpi, dobbiamo vagare nel buio, come è successo, e fare delle congetture sulla base di confronti e similitudini. Ma ritorniamo alla nostra osservazione. Contai parecchie file di questi pori e vidi che vi erano circa 40 cellule in un millimetro, 160.000 cellule in un centimetro quadrato e 64 milioni di cellule in un centimetro cubo, un numero quasi incredibile …..>> Il  documento  continua  con  una  serie  di  domande  e  ragionamenti  mediante  i  quali  R.  Hooke  cerca  di  comprendere  le  proprietà  del  sughero  alla  luce  di  quanto  osservato  al  microscopio.    Hooke   è   il   primo   a   descrivere   le   cellule,   senza   tuttavia   coglierne   il   significato   come   unità  strutturale   di   tutti   gli   esseri   viventi.   È   comunque   una   delle   tappe   importanti   nella   storia   della  Biologia.          

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CONFRONTO  TRA  CELLULE  VEGETALI    DI  SUGHERO,  CIPOLLA  ED  ELODEA    

PER  LE  CLASSI  V  GINNASIO  

 OBIETTIVO  DELLA  PROVA  

•   osservazione  di  fettine  sottili  di  sughero,  cipolla,  elodea  •   ricerca  delle  analogie  e  delle  differenze  tra  sughero,  cipolla,  elodea  •   confrontare   quanto   descritto   per   il   sughero   con   il   documento   storico   delle   osservazioni  

fatte  da  Robert  Hooke  sul  sughero  con  uno  dei  primi  microscopi  nel  1665.    

PROCEDIMENTO    

1.   realizzare  una  sottile  sezione  di  sughero,  depositarla  su  un  vetrino  portaoggetti  con  una  goccia  di  acqua  

2.   effettuare  l’osservazione  a  piccolo  ingrandimento  (10X)  e  a  massimo  ingrandimento  (40X);  disegnare  ed  illustrare,  in  modo  approfondito,  ciò  che  si  osserva.    

3.   ripetere  le  osservazioni  con  elodea  e  disegnare  a  10X  e  40X  4.   ripetere  le  osservazioni  con  epidermide  di  cipolla  a  10X  e  40X  utilizzando  anche  una  goccia  

di  Lugol      Verifica  e  Valutazione  dell’  attività  in  laboratorio:    Confrontare  i  tre  diversi  tipi  di  cellule  vegetali  osservati  evidenziando  le  analogie  e  le  differenze.  Disegni  sul  quaderno  di  laboratorio  .    -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐  

 

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Osmosi  nelle  cellule  dell’epitelio  di  cipolla  per  le  classi  V  ginnasio  

 

Finalità:    Osservare  la  brattea  di  una  cipolla  e  il  suo  comportamento  in  una  soluzione  salina;  

Disegnare  sul  quaderno  di  laboratorio.  

Materiale  utilizzato  

1.   Cipolla  rossa.  2.   Microscopio  ottico.  3.   Materiale  per  prelevare  parti  sottili  della  sostanza  (lametta,  bisturi,  pinzette).  4.   Vetrino  porta  oggetti.  5.   Vetrino  copri  oggetti.  6.   Acqua.  7.   Pipetta.  8.   NaCl  e  glucosio.  

 

Premessa    teorica  

Nell’ambito  dello  scambio  di   sostanze  attraverso   la  membrana  plasmatica   (detta  semipermeabile,  perché  impermeabile  a   certe  molecole  ma  non  ad  altre)   si   individuano  due   tipi  di   trasporto.   Il   trasporto  passivo  (diffusione  semplice,  facilitata  e  osmosi)  che  non  richiede  energia  in  quanto  avviene  secondo  gradiente  di  concentrazione   e   il   trasporto   attivo   che   necessita   dell’idrolisi   dell’ATP   (molecola   energetica)   in   quanto  avviene  contro  il  gradiente  di  concentrazione.  

La   diffusione   è   il   fenomeno  mediante   il   quale   si   realizza   il  movimento   casuale   e   spontaneo   di  molecole    verso  uno  stato  di  equilibrio.    La  velocità  di  diffusione  è  influenzata  da:  

1.   Diametro  delle  molecole  o  ioni  (le  sostanze  piccole  diffondono  più  velocemente);  2.   Temperatura  (maggior  temperatura  significa  maggior  movimento  di  particelle);  3.   Carica  elettrica  della  molecola;  4.   Gradiente  di  concentrazione  (differenza  di  concentrazione  tra  i  due  soluti).  

Ricordando   la   composizione   della   membrana   plasmatica   si   afferma   che   le   molecole   apolari   e   di   piccole  dimensioni   diffondono   nella  membrana   grazie   alla   diffusione   semplice,   quelle   polari   diffondono   grazie   a  proteine  di  trasporto  o  attraverso  canali  proteici  siti  sulle  proteine  intrinseche  della  membrana  cellulare.  

L’osmosi  è  il  particolare  fenomeno  dove  la  diffusione  riguarda    l’acqua.  Separate  dalla  membrana  cellulare  possono   esserci   due   soluzioni   a   diversa   concentrazione.   La   più   concentrata   è   detta   ipertonica,   l’altra  ipotonica.  Risulta  chiaro  che  è  presente  una  minor  percentuale  d’acqua  nella  soluzione  ipertonica.  L’acqua,  per   osmosi,   tende   a   muoversi   da   dove   è   concentrata   maggiormente   (sol.   ipotonica)   verso   la   soluzione  ipertonica  fino  a  raggiungere  una  concentrazione  omogenea.  Le  due  soluzioni  diventano  così  isotoniche.  Il  movimento  dell’acqua  è  determinato  solo  dal  gradiente  di  concentrazione.  

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 In   un   organismo   animale   è   fondamentale  mantenere   isotonici   citoplasma   e   liquido   extracellulare   (detto  matrice):  un  liquido  ipertonico  farebbe  migrare  l’acqua  oltre  la  membrana  plasmatica  sgonfiando  le  cellule;  un   liquido   ipotonico   farebbe  gonfiare   le  cellule   in  modo  pericoloso.  Le  cellule  vegetali,   invece,  assorbono  acqua  che,   immagazzinata  nei  vacuoli,  genera  pressione  sulla  parete  cellulare  dando  turgidità  al  vegetale.  Un’eccessiva   perdita   d’acqua,   inoltre,   farebbe   staccare   la   membrana   dalla   parete   della   cellula  provocandone  la  morte.  

Il  trasporto  attivo,  il  cui  motore  è  l’idrolisi  dall’ATP,  sposta  le  sostanze  contro  il  gradiente  di  concentrazione  bruciando  energia  chimica,  affinché  alcune  reazioni  possano  essere  portate  a  termine.  

Esecuzione  dell’esperienza  

Preparazione  del  composto  da  osservare:  

1.   Apro  la  cipolla;  2.   Prelevo  un  sottile  strato  della  brattea  rossa  utilizzando  lametta  o  pinzette;  3.   Pongo  sul  vetrino  porta  oggetti  il  pezzettino  di  brattea;  4.   Con  la  pipetta  aggiungo  una  goccia  d’acqua;  5.   Copro  il  composto  con  il  vetrino  copri  oggetti.  

Preparazione  del  microscopio  ottico  e  osservazione:  

1.   Colloco  il  tavolino  porta  oggetti  al  livello  minimo  con  la  vite  macrometrica  del  microscopio;  2.   Utilizzo  l’obiettivo  a  ingrandimento  minimo;  3.   Accendo  il  microscopio;  4.   Metto  il  vetrino  sul  tavolino  porta  oggetti;  5.   Con   le   viti   dei   grandi   e   piccoli   spostamenti   (  macrometrica   e  micrometrica   )   cerco   di  mettere   a  

fuoco  il  composto;  6.   Compiuta  la  precedente  messa  a  fuoco,  ripeto  l’operazione  del  punto  5.  con  l’obiettivo  10x;  7.   Osservo  il  composto  e  lo  disegno  su  carta;  8.   Abbasso  il  tavolino  porta  oggetti  al  minimo  e  spengo  il  microscopio.  

Aggiunta  della  soluzione  H2O  +  NaCl  e  soluzione  di  glucosio:  

1.   Preparo  una  soluzione  di  acqua  e  cloruro  di  sodio  e  una  di  glucosio  ed  acqua;  2.   Tolgo  il  vetrino  copri  oggetti  dal  composto;  3.   Verso  qualche  goccia  di  una  e  dell’altra  soluzione  in  due  vetrini  diversi;  4.   Rimetto  ai    vetrini  il  copri  oggetti;  5.   Eseguo  nuovamente  i  punti  “Preparazione  del  microscopio  ottico  e  osservazione”.  

Osservazioni  

Nel  primo  disegno  osserviamo  le  cellule  della  brattea  della  cipolla:  hanno  forma  con  spigoli  ben  accentuati  definiti  dalla  parete  cellulare  (spazio  bianco  tra  le  cellule  in  rosa).  Con  l’ingrandimento  10x  (cui  va  sommato  l’ingrandimento   10x   delle   lenti   degli   oculari   per   un   totale   di   100x)   non   si   notano  organuli   all’interno   del  citoplasma  (colore  rosato  -­‐  rosso).  

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Con  l’aggiunta  della  soluzione  salina  o  di  quella  di  glucosio  si  osserva  una  riduzione  di  citoplasma.  Si  notano  anche  delle   linee  nere:  esse  evidenziano   la  membrana  plasmatica   staccatasi  dalla  parete  cellulare.  Si  è    dunque  verificato  un  processo  di  osmosi  attraverso  il  quale  l’acqua  contenuta  nei  vacuoli  e,  in  parte,  nel  citoplasma  è  uscita  dalla  cellula,  sgonfiandola  e  facendo  staccare  la  membrana  plasmatica  (processo  di  plasmolisi).  La  soluzione  è  sicuramente  ipertonica:  per  renderla  isotonica  a  se  stesse  le  cellule  hanno  ceduto  acqua.  

Conclusioni  

Con   l’aggiunta   di   una   soluzione   ipertonica   rispetto   all’ambiente   cellulare  abbiamo   osservato   l’osmosi   dell’acqua.   La   soluzione   era   sicuramente  ipertonica   perché   si   è   verificato   anche   il   fenomeno   della   plasmo   lisi:   la  membrana   plasmatica   si   è   staccata   dalla   parete   cellulare,   quindi   i   vacuoli  

hanno  ceduto  acqua  facendo  raggrinzire  e  morire  le  cellule  della  cipolla  rossa.  

 

 

 

 

 

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Separazione  mediante  cromatografia  su  carta  dei  pigmenti  di  un  inchiostro  e  di  una  foglia  per  le  classi  IV  e  V  ginnasio  

 

Introduzione  La  cromatografia  è  una  tecnica  di  separazione  che  si  basa  sulla  diversa  velocità  di  migrazione  che  più   sostanze   sciolte   in   un   solvente   (eluente)   hanno  quando   vengono  depositate   in   un   supporto  adatto   (carta   da   filtro,   gel   di   silice   o   di   allumina,   ecc.)   e   vengono   trasportate   da   un   opportuno  solvente,  stratificandosi  in  punti  diversi  del  supporto.  La   cromatografia   permette   quindi   la   separazione   e   la   purificazione   di   miscele   anche   molto  complesse  di  sostanze  inorganiche  ed  organiche.  Nella  cromatografia  su  carta  la  fase  fissa  è  costituita  da  una  striscia  di  carta  da  filtro.  I  componenti  della  miscela  da   separare   vengono  depositate   sotto   forma  di  minuscole  gocce  ad  una  delle  due  estremità   della   striscia   di   carta.  Quest'ultima   viene   inserita   all'interno   di   un   becher   nel   quale   è  presente  un  solvente  il  cui  livello  deve  essere  inferiore  rispetto  al  punto  in  cui  è  stata  depositata  la  miscela  da  separare.  

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Dopo   un   certo   intervallo   di   tempo   il   solvente   risale   lungo   il   foglio   di   carta   per   capillarità,  trascinando,   a   velocità   diverse,   le   sostanze   solubili   presenti   nella   miscela   che   vengono   così  separate.    

Cromatografia  su  carta:  procedura  generale  

In   un   barattolo   di   vetro   munito   di   coperchio   inseriamo   circa   mezzo   centimetro   dell'opportuno  solvente  (come  di  seguito  indicato).  Ritagliamo  un  rettangolo  di  carta  da  filtro  di  altezza  inferiore  a  quella  del  barattolo.  Sulla   carta   da   filtro   tracciamo   con   la  matita   una   linea   orizzontale   a   circa   1,5   cm   dal   fondo   del  foglio.    Tramite  un  capillare  pratichiamo    la  "semina",  depositando  più  gocce  della  miscela  da  separare  in  corrispondenza  della  linea  orizzontale.  Poniamo  il  rettangolo  di  carta  all'interno  del  recipiente  in  modo  che  resti  in  posizione  orizzontale  stando  attenti  che  il  punto  della  semina  si  trovi  al  di  sopra  del  livello  dell'eluente.  Tappiamo   il   barattolo   e   lasciamo   che   il   solvente,   risalendo   per   capillarità,   trascini   con   se,     a  velocità  diversa,  i  vari  componenti  solubili  della  miscela.  Togliamo  la  carta  dal  barattolo  quando  il  solvente  si  trova  a  1-­‐2  cm  dal  bordo  superiore  del  foglio  di  carta.  Evidenziamo  con  la  matita   l'altezza  raggiunta  dal  solvente  e  quindi   lasciamo  asciugare   il   foglio  di  carta.  Osserviamo  infine  le  macchie  dei  diversi  componenti  della  miscela  e  misuriamo,  tramite  una  riga  millimetrata,  la  distanza  dalla  linea  di  partenza.      

Separazione  dei  pigmenti  di  inchiostri:    

Scopo  dell'esperienza  Separare  tramite  cromatografia  su  carta  i  componenti  di  un  inchiostro.    Attrezzature  e  strumenti  Vaso  di  vetro  minuto  di  coperchio  Carta  da  filtro  Capillare  di  vetro  Riga  millimetrata    Materiali  e  reagenti  Alcol  etilico  C2H5OH  Acetone  CH3COCH3  Penne  a  sfera  e  pennarelli  di  diversi  colori  e  marche  

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Procedimento  Eluente:  alcol  etilico,  acetone  o  una  miscela  dei  due.  Con  pennarelli  e  penne  a  sfera  di  vari  colori  e  di  varie  marche  tracciare  più  punti  sovrapposti  sulla  linea  di  partenza.  Procedere  come  descritto  in  precedenza  (procedura  generale).  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐  

Separazione  dei  pigmenti  da  una  foglia:  

OBIETTIVO  DELLA  PROVA  Estrazione  e  classificazione  dei  pigmenti  di  una  foglia  di  Spinacia  oleracea  

Materiale  utilizzato:  

Alcune  foglie  di  Spinacia  oleracea  (spinacio)  

•   Mortaio  •   Pestello  •   Pipetta  Pasteur  •   Alcool  etilico  •   Spatolina  •   Carta  da  cromatografia  •   Becher  con  coperchio  •   Eluente  Avio  (miscela  di  isomeri  dell’esano  e  di  cloropropano)  

   Premessa  teorica  La  fotosintesi  La  fotosintesi  clorofilliana  è  un  processo  con  il  quale,  mediante  la  clorofilla,  l'energia  solare  (luce)  viene   trasformata   in   una   forma   di   energia   utilizzabile   dagli   organismi   vegetali   per   la   propria  sussistenza.   La   quasi   totalità   della   fotosintesi   è   compiuta   da   piante   e   alghe   (che   ricavano  l'idrogeno  dall'acqua).  L’equazione  chimica  che  riassume  il  processo  è:  6  CO2  +  6  H2O  +  Energia  luminosa  da  C6H12O6  +  6  O2  La   fotosintesi  avviene   in  due   fasi:  una   luminosa  e  una  oscura.   La  prima  comprende   reazioni   che  possono  avvenire   solo   in  presenza  di   luce,  mentre   la   seconda  non   richiede  energia   luminosa  ed  elabora   i   prodotti   fotosintetici   forniti   dalla   fase   precedente.   Nella   fase   luminosa   la   clorofilla,   i  carotenoidi  e  le  ficocianine  assorbono  la  luce  nelle  varie  lunghezze  d’onda  tipiche  di  ogni  pigmento  e   si   ha   la   produzione   di   ATP   e  NADPH.  Nella   fase   oscura   viene   invece   sintetizzato   il   carbonio   a  partire  dalla  CO2.    Cromatografia  L'invenzione   della   cromatografia   viene   attribuita   al   biochimico   russo   Mikhail   Cvet   nel   1906,  quando  riuscì,  con  questa  tecnica,  a  separare   la  clorofilla  da  un  estratto  vegetale.  Con  il  termine  cromatografia  oggi  si  indicano  in  genere  tutte  le  varie  tecniche  separative,  applicabili  a  miscele  di  sostanze.   La     cromatografia   è   molto   usata   per   l'analisi   dei   cibi,   delle   droghe,   del   sangue,   dei  prodotti  petroliferi.  

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 Fasi  di  lavoro  I.  Abbiamo  sminuzzato  manualmente  alcune  foglie  di  spinaci  all’interno  del  mortaio;  II.  Con  il  pestello  e  alcune  gocce  di  alcool  etilico  abbiamo  ridotto  in  poltiglia  i  frammenti  di  foglia  facendo  fuoriuscire  un  succo  verde,  ricco  di  pigmenti;  III.  Con  la  pipetta  Pasteur  abbiamo  estratto  alcune  gocce  di  succo  e  tracciato  sulla  carta  da  cromatografia  una  lunga  linea  a  circa  2  cm.  dal  bordo  inferiore;  IV.  Abbiamo  lasciato  asciugare;  V.  In  seguito  abbiamo  ripetuto  un’altra  volta  le  operazioni  indicate  ai  punti  III  e  IV  ;  VI.  L’assistente  di  laboratorio  ha  versato  nel  becher  una  piccola  quantità  di  eluente  Avio;  VII.  Abbiamo  inserito  nel  becher  la  carta  da  cromatografia;  VIII.  Abbiamo  notato  come  l’eluente  sia  risalito  attraverso  la  carta  per  capillarità;  IX.  Abbiamo  notato  come  l’eluente,  risalendo,  abbia  trascinato  con  sé  i  pigmenti  che  si  trovavano  nella  linea  che  avevamo  tracciato.    Conclusioni  Durante   questa   esperienza   abbiamo   notato   come   l’eluente,   risalendo   attraverso   la   carta,   abbia  diviso   e   reso   riconoscibili   i   vari   pigmenti   presenti   nelle   foglie,   trascinando   più   in   alto   quelli   più  leggeri.  In  questo  elenco  sono  indicati  i  pigmenti  riconosciuti  nell’ordine  in  cui  l’eluente  li  ha  fatti  emergere.    Clorofilla  A  e  B  Verde  intenso    Xantofilla  Verde  giallastro    Carotenoidi  Giallo  intenso                -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐    

Misurazioni  dirette  e  indirette  per  le  classi  IV  ginnasio  

 

Lo   scopo   delle   esperienze   tenutesi   in   laboratorio   è   quello   di  misurare   il   volume   di   determinati  solidi  con  misurazioni  dirette  e  indirette  per  stabilire  quale  delle  due  è  più  conveniente  utilizzare  in  determinate  situazioni.    Materiale  utilizzato  Per  l’esperienza  abbiamo  utilizzato:  Ø   3  solidi  di  differenti  materiali  e  dimensioni;  Ø   un  righello  (sensibilità=1mm);  

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Ø   un  cilindro  graduato  (sensibilità=1ml);  Ø   uno  spruzzino.    Premessa  teorica  Una  misurazione  si  può  ottenere  in  due  differenti  modi:  direttamente  o  indirettamente.    Una  misurazione  diretta  è   tale  quando  non  dobbiamo  utilizzare   formule  e  calcoli  per  ottenere   il  risultato:  leggiamo  il  numero  sullo  strumento  di  misura.  Sono  pertanto  misure  dirette,  ad  esempio,  la  lunghezza  e  la  massa.    Le   misurazioni   indirette,   invece,   sfruttano   formule   matematiche   applicandole   a   misure   di   altre  grandezze  per  ottenerne  una  derivata  e  giungere  al   risultato.  Alcuni  esempi  sono   la  densità  e   la  velocità.    Le  misurazioni  dirette   sono   in  genere  più  affidabili,  ma  non   sempre  è  possibile  applicarle  o  può  essere  più  conveniente  utilizzare  quelle  indirette.  Appunto  per  questo  lo  scopo  delle  esperienze  è,  come  già  detto,  capire  in  che  casi  è  più  corretto  utilizzare  le  une  o  le  altre.    Il   materiale   utilizzato   è   semplice   e   non   sono   necessari   difficili   passaggi   per   compiere   le  misurazioni.  L’unico   strumento   nuovo   è   il   cilindro   graduato,   oggetto   in   vetro   che   contiene   liquidi.   Le  misurazioni  si  leggono  grazie  ad  un  a  serie  di  tacche  orizzontali  poste  sul  cilindro  stesso.  Ognuna  di  queste  vale  1ml,  cioè  1cm3.    Lo  spruzzino  contiene  l’acqua  che  abbiamo  usato  durante  l’esperienza.    Montaggio  ed  esecuzione  dell’esperienza    -­‐  Misurazione  indiretta:  per   prima   cosa   ho  misurato   con   il   righello   le   dimensioni   dei   tre   solidi   e   ho   calcolato   il   volume.  Anche  i  miei  due  compagni  hanno  eseguito  lo  stesso  procedimento.  Avevamo,  così,  tre  misurazioni  del   volume   e   abbiamo   adottato   come  misurazione   reale   la  media   delle   tre.   Abbiamo   registrato  tutti  i  dati  sui  nostri  quaderni  e  siamo  passati  alla  misurazione  diretta.    -­‐  Misurazione  diretta:  con  lo  spruzzino  abbiamo  versato  nel  cilindro  graduato  30  ml  d’acqua.  Per  versare  la  giusta  quantità  di  liquido  bisogna  procedere  nel  seguente  modo:  a.   si  immette  una  quantità  di  acqua  che  si  avvicina  a  quella  desiderata;  b.   il   liquido   tende   ad   essere   più   alto   ai   bordi,   come   se   si   arrampicasse:   si   forma   quindi   una  

superficie  concava,  in  gergo  un  menisco;  c.   le   ultime   gocce   si   devono   versare   con   lo   sguardo   perpendicolare   al   cilindro   graduato   e  

all’altezza  della  tacca  considerata.  Quando  il  fondo  del  menisco  si  trova  sulla  tacca  desiderata  abbiamo  raggiunto  la  quantità  di  liquido  necessaria.  

Dopo  aver  versato  30  ml  d’acqua,  abbiamo   inserito  nel   cilindro   il   cubetto.  Considerando  che  un  corpo  immerso  in  un  liquido  sposta  una  quantità  di  liquido  pari  al  volume  dell’oggetto,  l’acqua  si  è  alzata  di  livello  nel  cilindro  graduato.  Da  questo  consegue  che  la  differenza  tra  il  livello  dell’acqua  e  i  30  ml  versati  in  origine  costituisce  il  volume  dei  cubetti.  

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N.B.:  il  più  grande  dei  tre  solidi  non  è  stato  misurato  con  il  metodo  diretto  a  causa  del  fatto  che  il  cilindro  graduato  non  era  sufficientemente  largo  per  contenerlo.      Dati  e  loro  elaborazione  Sono  riportate  le  tabelle  che  raccolgono  i  dati  delle  misurazioni  indirette  (1)  e  quelle  dirette  (2).      Volume  calcolato  con  formule  geometriche  

Solido   Misura  1  [cm]  

Misura  2  [cm]  

Misura  3  [cm]  

Volume  1  [cm3]  

Volume  2  [cm3]  

Volume  3  [cm3]  

Solido  1:        l1  

1.2   1.2   1.2        

         l2   1.3   1.3   1.3   1.8   1.8   1.8  l3   1.2   1.2   1.2        

Solido  2:        l1  

1.2   1.2   1.2        

         l2   1.2   1.2   1.2   1.7   1.7   1.7  l3   1.2   1.2   1.2        

Solido  3:        l1  

8.8   8.8   8.8        

         l2   2.5   2.5   2.5   13.2   13.2   13.2  l3   0.6   0.6   0.6        

   Volume  per  immersione  

Solido   Misurazione  1  [cm3]   Misurazione  2  [cm3]   Misurazione  3  [cm3]  Solido  1   2   2   2  

Solido  2   2   2   2  

   Osserviamo   che   il  metodo  diretto,   il   secondo  utilizzato,   ha   dato   in   tutti   i   casi   lo   stesso   volume,  mentre  il  primo,  il  metodo  indiretto,  ha  dato  risultati  più  precisi.  E’   necessario   ricordare,   però,   che   generalmente   è   il   contrario,   in   quanto   ci   avvaliamo   di   un  procedimento  più  veloce  e  con  meno  errori  che  si  propagano  durante  i  calcoli.      Conclusioni  Ho  ottenuto  il  volume  dei  solidi  in  due  modi  differenti  e  ho  accertato  che,  nel  nostro  caso,  il  primo  metodo   (indiretto)   si   è   rivelato  più  preciso.  Con   la  misurazione  diretta,   infatti,   avremmo  potuto  pensare   che   i   due   solidi   avessero   lo   stesso   volume,   fatto   dimostratosi   falso   con   la  misurazione  indiretta.  Ho  spiegato  perché  prima  di  ogni  misurazione  eseguibile  con  i  due  metodi,  è  opportuno  domandarsi   quale   dei   due   sia   più   conveniente   utilizzare,   in   quanto,   come   illustrato   nelle   due  tabelle,  non  sempre  le  misurazioni  dirette  garantiscono  i  dati  più  affidabili.    

 

 

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I  miscugli  ed  i  composti  per  le  classi  IV  e  V  ginnasio    

Materiali  occorrenti:  

Zolfo  in  polvere  -­‐  Ferro  limatura  -­‐  Acido  cloridrico  sol.  1:3  -­‐  Solfuro  di  carbonio  -­‐  Calamita  –  Mortaio  -­‐  Vetreria.    Richiami  teorici:  

Per  miscuglio  si   intende   un   insieme   di   sostanze   che   mantengono   inalterate   le   loro  caratteristiche  originarie  e  che  sono  separabili  con  mezzi  fisici  semplici.  

Per  composto  si  intende  una  sostanza  con  caratteristiche  proprie  che  differiscono  da  quelle  delle  sostanze  che  lo  hanno  originato.  Le  sostanze  originarie,  elementi,  sono  sempre  in  rapporto  costante.  E'  possibile  ricavare  gli  elementi  da  un  composto  solo  utilizzando  dei  sistemi  chimico-­‐fisici  complessi  (  es.  elettrolisi  ).    

Esecuzione  dell'esperienza:  

Parte  prima:  analisi  dei  comportamenti  chimico-­‐fisici  dei  reagenti:  

Si  dispone  su  un  vetro  da  orologio  una  piccola  quantità  di  limatura  di  ferro.  Su  un  secondo  vetro  da  orologio  se  ne  dispone  una  di  polvere  di  zolfo.  

Avvicinando  una  calamita  alle  due  sostanze  si  osserva  che  il  ferro  risente  del  campo  magnetico  essendo  attratto  dalla  calamita.  Diversamente   lo  zolfo  non  è  attratto  e,  quindi,  non  risente  della  vicinanza  di  un  campo  magnetico.  

Si   recupera   il  ferro  che   aderisce   alla   calamita   ponendolo   in   una   provetta.   In   una   seconda  provetta  si  mette  una  piccola  spatolata  di  polvere  di  zolfo.  Si  aggiungono  ad  entrambe  2  mL  circa  di  acido  cloridrico  sol.  1:3.  

Si   osserva   che   il   ferro   si   consuma   rapidamente   con   formazione   di   una   soluzione   di   colore  grigiastro,  e  sviluppo  imponente  di  gas,  secondo  la  reazione:    

Fe  +  2HCl  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  FeCl2  +  H2  ↑  

Nella  seconda  provetta  si  nota,  invece,  che  lo  zolfo  non  si  è  sciolto  e  che  una  parte  galleggia  alla  superficie:  non  è  avvenuta,  infatti,  alcuna  reazione.  

In   altre   due   provette   si   pongono   un   paio   di  mL   di  solfuro   di   carbonio;   si   pone   una   punta   di  spatola  di  polvere  di  ferro  in  una  delle  due  provette  e  nella  seconda  una  simile  quantità  di  zolfo  ;  si  osserva  che  il  ferro  non  dà  alcuna  reazione  con  il  solfuro  di  carbonio,  mentre  lo  zolfo  rapidamente  si  solubilizza,  dando  una  soluzione  debolmente  gialla.    

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Parte  seconda  :  formazione  del  miscuglio  ed  analisi  del  suo  comportamento:  

Si  pesano  5.6  g.  di  limatura  di  ferro  e  3.2  g.  di  polvere  di  zolfo;  si  pongono  i  due  elementi  in  un  piccolo  mortaio  o   in  un  crogiolo  mescolando  e  pestando   la  massa,   fino  ad  ottenere  una  polvere  uniforme  di  colore  grigio  chiaro;  si  suddivide  il  tutto  in  tre  parti.  

Si   prende   la   prima   ponendola   su   un   vetro   da   orologio   avvicinando   ad   essa   una   calamita.   Si  osserva   la   separazione   della   polvere   di   ferro  che   aderisce   alla   calamita   risentendo   del   campo  magnetico;  nel  vetro  resta  solo  la  polvere  di  zolfo.  

Si   prende   la   seconda   parte   di   polvere   e   la   si   pone   in   una   provetta   aggiungendo   2   mL   circa  di  acido   cloridrico  sol.   1:3.   Si   nota   che   il  ferro  reagisce   colorando   la   soluzione   di   giallo-­‐bruno,  mentre  lo  zolfo  resta  inalterato,  tendendo  a  disporsi  alla  superficie.  

La  reazione  che  avviene  può  essere  così  descritta:    

(Fe  +  S)  +  2HCl  -­‐-­‐-­‐-­‐>  FeCl2  +  H2  ↑+  S  

Infine,   si  pone   la   terza  aliquota   in  una  provetta  contenente  1  o  2  mL  di  solfuro  di   carbonio.   Si  nota  che  lo  zolfo  si  scioglie  completamente,  ingiallendo  la  soluzione,  mentre  il  ferro  non  dà  alcuna  reazione,  depositandosi  sul  fondo.  

Le  prove  sopra  effettuate  indicano  chiaramente  che  ci  troviamo  di  fronte  ad  un  miscuglio.  

 

Parte  terza:  formazione  del  composto  ed  analisi  del  suo  comportamento:  

Si   prepara   un   miscuglio   come   nella   fase   precedente,   avendo   l'accortezza   di   aggiungere   un  eccesso  di  zolfo,  circa  1  o  2  g  (  vedere  nota  operativa  )  e  lo  si  pone  in  un  tubo  da  saggio  asciutto.  Si  avvicina   il   tubo   alla   fiamma   di   un   bunsen,   tenendolo   con   una   pinza,   e   lo   si   arroventa  gradualmente;   dopo   di   ciò   si   lascia   raffreddare   il   tutto   per   alcuni   istanti   e   si   rompe   il   vetro  recuperando  la  massa  di  colore  scuro  che  si  è  formata.  

Si  raccoglie  la  stessa  nel  mortaio,  la  si  riduce  in  polvere  e  la  si  suddivide  in  tre  parti.  

Si   pone   la   prima   parte   su   un   vetro   da   orologio,   avvicinando   la   calamita;   non   si   nota   alcuna  influenza  del  campo  magnetico.  

Si  pone   la  seconda  parte   in  una  provetta  e   la  si   fa  reagire  con   l'acido  cloridrico;  si  verifica  una  reazione   chimica   con   produzione   di   un   gas   dall'odore   di   uova   marce,   l'acido   solfidrico  ed   il  progressivo  annerimento  della  soluzione,  secondo  la  reazione:    

FeS  +  2HCl  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  FeCl2  +  H2S  ↑  

Si  pone,  per  ultimo,  la  restante  parte  in  una  provetta  contenente  1  o  2  mL  di  solfuro  di  carbonio,  osservando  che  nessun  fenomeno  chimico-­‐fisico  ha  luogo.    

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Questi   fatti   indicano  chiaramente  un  comportamento  chimico  diverso  da  quello  degli  elementi  di   origine   e,   quindi,   l'avvenuta   formazione   di   un   composto,   il   solfuro   di   ferro   II,   secondo   la  reazione:    

 T  Fe  +  S  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  FeS  

Nota   operativa:  la   formazione   del   solfuro   di   ferro,   affinchè   esso   abbia   le   descritte  caratteristiche,  deve  avvenire  con  un  completo  arroventamento.  Poichè  lo  zolfo  tende  a  fondere  e  ad  evaporare  è  necessario  operare  con  eccesso  dello  stesso.  In  caso  contrario  parte  del  ferro  non  reagisce  conferendo  al  composto  una  relativa  capacità  a  risentire  del  magnetismo.  

Prestare  molta  attenzione  nell'uso  del  solfuro  di  carbonio,  evitando  di  avvicinarlo  a  fiamme;  se  possibile  operare  sotto  cappa.  

 

 

 

 

 

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La  densità  è  una  proprietà  intensiva  per  le  classi  IV  ginnasio      

Titolo Densità

Obiettivo

•   Determinare la densità di alcuni campioni allo stato solido e riconoscerli dal confronto con dati tabulati.

•   Verificare se la densità é una grandezza intensiva o estensiva.

Cenni teorici

Densità: Grandezza fisica che esprime il rapporto tra la massa ed il volume, nel S.I. viene misurata in Kg/m3

Massa: Quantità di materia contenuta in un corpo, la sua unità di misura è il Kg.

Peso:E' la forza con cui un oggetto è attratto dalla Terra o da

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qualsiasi altro grande corpo.

Volume: Spazio tridimensionale occupato da un oggetto. Materiali

usati Asta metallica, pinza a ragno, buretta, becher, bilancia tecnica, campioni di vari metalli, calibro, spruzzetta.

Sostanze utilizzate

Acqua. H2O

Disegno schematico

Procedimento

A ciascun gruppo vengono assegnati dei campioni dello stesso materiale, di forma cilindrica e di dimensioni diverse tra loro. Su ognuno dei campioni vengono effettuate le seguenti operazioni: Determinare la massa del campione utilizzando la bilancia tecnica, annotare il valore in tabella. Riempire la buretta con acqua e dopo averla portata ad un volume noto ad es. 30 ml introdurre il primo campione nella buretta. Annotare il secondo volume nella tabella. Dalla differenza delle due letture si avrà il volume del campione. Con questo metodo il volume viene determinato direttamente. Dal rapporto fra lamassa del campione ed il suo volume si determina la densità. Utilizzando il calibro ventesimale misurare l'altezza ed il diametro del campione, annotare i dati in tabella. Il volume sarà calcolato utilizzando la formula Sb* h, cioè (3,14*raggio2*altezza). Dal rapporto massa/volume si determina la densità, in questo caso col metodo indiretto.

Conclusioni •   Dal confronto tra la densità media ottenuta e i valori

di densità tabulati, si può identificare il campione, nel nostro caso esso è costituito da rame.

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•   Dai dati riportati in tabella, tenuto conto dei possibili errori sperimentali, si osserva che all'aumento della massa corrisponde un aumento di volume, mentre il rapporto dei due parametri( M.e V.) resta sostanzialmente costante. Quindi si può concludere che la densità non dipende dalle dimensioni dei campioni esaminati. La densità é pertanto una grandezza intensiva.

Tabella dati

Campioni

Massa campione(

g)

Volume iniziale(ml)

Volume finale(ml

)

Vi-Vf (ml

)

Densità diretta(g/m

l)

V=Sb*h

Densità indiretta(g/m

l)

5 7.58 20 19.1 0.9 8.42

4 8.39 21 20 1 8.39

2 9.62 10 8.9 1.1 8.74

3 14.00 25 23.3 1.7 8.23

1 17.67 30 27.8 2.2 8.83

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------  

         

Soluzioni  e  molarità  per  le  classi  V  ginnasio  e  prime  liceo      Finalità:  Creare  soluzioni  a  molarità  nota.  

Materiale  utilizzato  

1.   Becher.  2.   Pipetta.  3.   Bacchetta  in  vetro  per  miscelare.  4.   Cilindro  graduato  (sensibilità:  1ml).  

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5.   Bilancia  elettronica  (sensibilità:  0.01g)  6.   Sostanze  utilizzate:  

a.   Cloruro  di  sodio  (NaCl)  b.   Solfato  di  rame  pentaidrato  (CuSO4*5H2O)  c.   Acqua  distillata  (H2O)  

 

Premessa  teorica  

Una   soluzione   è   un  miscuglio   omogeneo   di   due   o   più   sostanze.   Il   materiale   più   abbondante   è  chiamato  solvente,  i  materiali  presenti  in  quantità  minore  sono  definiti  soluti.    

Un   miscuglio   si   definisce   omogeneo   se   si   distingue   una   sola   fase,   una   porzione   di   materia  delimitata  con  proprietà  intensive  uniformi.  

Definizione  di  mole:  una  mole  di  una  sostanza  è  una  quantità  di  sostanza  che  contiene  un  numero  definito  di  particelle.  

Il  concetto  di  mole  può  essere  utilizzato  per  esprimere  la  concentrazione  di  una  soluzione,  che  si  definisce   come   rapporto   tra   la   quantità   di   soluto   e   una   quantità   unitaria   di   soluzione.  Considerando   però   moli   di   soluto   e   litri   di   soluzione   in   cui   il   soluto   è   disciolto   otteniamo   la  molarità,  o  concentrazione  molare,  di  una  soluzione.  

La  molarità   (unità   di   misura:  mol/l   o  M)   di   una   soluzione   si   calcola   con   la   formula:  M=n/V.   La  molarità  è  il  rapporto  tra  il  numero  di  moli  di  soluto  e  il  volume  (espresso  in  litri)  della  soluzione.  

Il  numero  di  moli   (unità  di  misura:  mol)  presenti   in  una  quantità  di  una  certa  sostanza  si  calcola  con  la  formula:  n=m/M.  Il  numero  di  moli  è  uguale  alla  massa  in  grammi  di  campione  fornito  diviso  per  la  massa  molare,  espressa  in  grammi  mole,  della  sostanza.  

 

Prima  parte  

Montaggio  ed  esecuzione  dell’esperienza  

1.   Calcolo  la  quantità  di  soluto:  a.   Calcolo  il  numero  di  moli  di  NaCl:  n=M*V  (molarità  della  soluzione  *  volume)  b.   Calcolo  la  massa  di  soluto  necessaria:  m=n*MM  (numero  di  moli*massa  

molecolare)    

2.   Preparo  la  soluzione:  a.   Taro  il  becher  b.   Metto  la  quantità  di  soluto  richiesta  (0.14g)  pesandola  con  la  bilancia  elettronica  c.   Aggiungo  un  po’  di  acqua  distillata  d.   Sciolgo  il  soluto  con  la  bacchetta  per  miscelare  e.   Verso  la  soluzione  nel  cilindro  graduato  f.   Facendo  attenzione  al  menisco,  aggiungo  acqua  distillata  

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g.   Al  fine  di  operare  con  maggiore  precisione  uso  una  pipetta  per  raggiungere  il  volume  di  soluzione  desiderato  (26ml).  

Dati  e  loro  elaborazione  

NaCl  Gruppo   Molarità  [M]   Volume  soluzione  [ml]   massa  soluto  [g]  1   0.12   25   0.17  2   0.14   27   0.22  3   0.16   29   0.27  4   0.21   32   0.39  5   0.19   30   0.29  6   0.23   41   0.55  7   0.11   31   0.20  8   0.09   26   0.14  9   0.20   39   0.45    

Calcolo  il  numero  di  moli:  n=M*V=0.09M*0.026l=0.00234mol  

Calcolo  la  massa  molecolare  di  NaCl:  MM=MaNa+MaCl=22.99u+35.45u=58.44u  

Massa  molare  di  M(NaCl)=58.44g/mol  

Calcolo  la  massa  di  NaCl:  m(NaCl)=n*M=0.00234mol*58.44g=0.14g  

 

Seconda  parte  

Montaggio  ed  esecuzione  dell’esperienza  

1.   Calcolo  la  quantità  di  soluto:  a.   Calcolo  il  numero  di  moli  di  CuSO4*5H2O:  n=M*V  (molarità  della  soluzione  *  

volume)  b.   Calcolo  la  massa  di  soluto  necessaria:  m=n*MM  (numero  di  moli*massa  

molecolare)    

2.   Preparo  la  soluzione:  a.   Taro  il  becher  b.   Metto  la  quantità  di  soluto  richiesta  (3.44g)  pesandola  con  la  bilancia  elettronica  c.   Aggiungo  un  po’  di  acqua  distillata  d.   Sciolgo  il  soluto  con  la  bacchetta  per  miscelare  e.   Verso  la  soluzione  nel  cilindro  graduato  f.   Facendo  attenzione  al  menisco,  aggiungo  acqua  distillata  g.   Al  fine  di  operare  con  maggiore  precisione  uso  una  pipetta  per  raggiungere  il  

volume  di  soluzione  desiderato  (46ml).        

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Dati  e  loro  elaborazione  

CuSO4*5H2O  Gruppo   Molarità  [M]   Volume  soluzione  [ml]   massa  soluto  [g]  1   0.09   46   1.03  2   0.12   46   0.38  3   0.15   46   1.72  4   0.18   46   2.06  5   0.21   46   2.41  6   0.24   46   2.76  7   0.27   46   3.10  8   0.30   46   3.44  9   0.33   46   3.74    

Calcolo  il  numero  di  moli:  n=M*V=0.30M*0.046l=0.0138mol  

Calcolo  la  massa  molecolare  di  CuSO4*5H2O:  MM=MACu+MaS+4MAO+10MAH+5MAO=249.7u  

Massa  molare  di  M(CuSO4*5H2O)=249.7g/mol  

Calcolo  la  massa  di  CuSO4*5H2O:  m(CuSO4*5H2O  )=n*M=0.0138mol*249.7g=3.44g  

Conclusioni  

Per  mezzo  dei  calcoli  necessari  siamo  riusciti  a  preparare  una  soluzione  a  molarità  nota.  

-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐              

IDROLISI  SALINA  PER  LE  CLASSI  SECONDE  LICEO  

Materiali  occorrenti:  

Ammonio   cloruro   -­‐   Ammonio   acetato   -­‐   Sodio   cloruro   -­‐   Sodio   acetato   -­‐   Rame   solfato   -­‐   Sodio  carbonato   -­‐   Potassio   nitrato   -­‐   Cartine   all'indicatore   universale   -­‐   Vetreria.    

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Richiami  teorici:  

Per  idrolisi  salina  si  intende  una  riassociazione  completa  o  parziale  di  ioni  di  un  sale  in  molecole  che  avviene  quando  detto  sale  deriva  da  una  base  e  da  un  acido  di  differente  forza  o  da  una  base  e  da  un  acido  entrambi  deboli.    

Esecuzione  dell'esperienza:  

In  tutte  le  quattro  fasi  si  scioglie  una  spatolata  del  sale  in  20/30  mL  di  acqua  distillata  posti  in  un  becher;  si  immerge  una  cartina  all'indicatore  universale  e  si  misura  il  pH.    

 

Parte  prima:  sale  da  acido  forte  e  base  debole:  soluzione  di  NH4Cl:  

Nella  soluzione  sono  presenti:  molecole  di  H2O  indissociate  e  gli  ioni:  ,  Cl  -­‐,  H3O+,  OH  -­‐.  

Gli   ioni  H3O+  e  Cl  -­‐non   sono   in   grado   di   riassociarsi   per   dare   una   molecola   di  HCl  in   quanto  trattasi   di   acido   forte   e,   quindi,   completamente   dissociato  (  Ka  =  1  ·∙  10  7  mol/L  ).  

Tra   gli   ioni   e  OH  -­‐  è   possibile   la   reazione,   in   quanto  NH4OH  è   una   base   debole   e,   quindi   poco  dissociata  (  Kb=  1.8  ·∙10  -­‐5  mol/L  );  per  questo  si  ha  l'equilibrio:  

NH4+  +  OH  -­‐  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  NH3  ·∙  H2O.    

Questa   reazione   consuma   OH  -­‐  e   poichè  [   H3O+  ][   OH  -­‐  ]   =   1   ·∙   10  -­‐14,   delle   molecole   di   H2O   si  dissociano  in  H3O+  e  OH  -­‐  fino  a  portare  la  Kw  =  1  ·∙10  -­‐14.    

Gli  equilibri  sono  due:  

NH4+  +  OH  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  NH3  ·∙  H2O  e  

2H2O  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  H3O+  +  OH  -­‐  

Si  ha  pH  <  7  per  eccesso  di  ioni  H3O+  rispetto  agli  ioni  OH  -­‐.    

In   alternativa   o   a   complemento   possibile   effettuare   un'idrolisi   di   questo   tipo   utilizzando  del  solfato  di  rame  II.  

In   questo   caso,   nella   soluzione   sono   presenti:   molecole   di  H2O  indissociate   e   gli  ioni:  Cu2+,  H3O+,  OH  -­‐.  Tra  gli  ioni  H3O+  e  OH  -­‐non  c'è  possibilità  di  riassociazione  in  quanto  H2SO4  è  un  acido  forte  (  Ka  =  1  ·∙10  3  mol/L  )  e,  quindi,  completamente  dissociato.    

Tra  gli  ioni  Cu2+  e  OH  -­‐  è  possibile  la  reazione,  in  quanto  Cu(OH)2  è  una  base  debole  per  cui  si  ha  l'equilibrio:  

Cu2+  +  OH  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  Cu(OH)2.    

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Anche  qui  molecole  di  H2O   si  dissociano  per  portare   la  Kw  =  1   ·∙10  -­‐14  ;   esse  non   sono,   tuttavia,  sufficienti  a  ripristinare  del  tutto  la  neutralità,  per  cui  si  ha  un  pH  <  7.  

   

Parte  seconda:  sale  da  acido  debole  e  base  forte:  soluzione  di  CH3COONa:  

Nella  soluzione  sono  presenti:  molecole  di  H2O  indissociate  e  gli  ioni:  Na+,  CH3COO  -­‐,  H3O+,  OH  -­‐.  

Tra  gli  ioni  Na+  e  OH  -­‐  non  c'è  possibilità  di  riassociazione  in  quanto  NaOH  è  una  base  forte  (  Kb=  5  mol/L  )  e  quindi  completamente  dissociata.  

Tra  CH3COO  -­‐  e  H3O+  si  ha  l'equilibrio:  

CH3COO  -­‐  +  H3O+  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  CH3COOH  +  H2O.    

Questa  reazione  fa  diminuire  il  numero  di  H3O+  in  soluzione,  per  cui  si  ha:  

2H2O  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  H3O+  +  OH  -­‐  

Il  pH  è  >  7  per  eccesso  di  OH  -­‐  rispetto  H3O+.    

In   alternativa   o   a   complemento   possibile   effettuare   un'idrolisi   di   questo   tipo  utilizzando  carbonato  di  sodio.  

Nella  soluzione  sono  presenti  molecole  di  H2O  indissociate  e  gli  ioni:  Na+  ,  H3O+,  OH  -­‐  e  CO32+  (  in  

questo  caso,  semplificando).  

Tra  gli   ioni  Na+  e  OH  -­‐  non  è  possibile  una  riassociazione  in  quanto  NaOH  una  base  forte  (  Kb=  5  moli/L  )  e  quindi  completamente  dissociata.    

Tra  CO32+  e  H3O+  si  ha  l'equilibrio:  

CO32+  +  H3O+  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  H2CO3  +  2H2O.    

Anche  questa  reazione  fa  diminuire  il  numero  di  H3O+  in  soluzione,  per  cui  si  dissociano  molecole  di  acqua  per  cercare  di  riportare  la  Kw  =  1  ·∙10  -­‐14  ;  questo  non  è,  tuttavia,  sufficiente,  per  cui  si  ha  un  pH  <  7.  

 

Parte  terza:  sale  da  acido  forte  e  base  forte:  soluzione  di  NaCl:  

Nella  soluzione  sono  presenti:  molecole  di  H2O  indissociate  e  gli  ioni:  Na+,  Cl  -­‐,  H3O+  ,  OH  -­‐  .  

Non  è  possibile  alcuna  riassociazione  in  quanto  NaOH  e  HCl  sono  rispettivamente  base  ed  acido  forti  e,  quindi,  completamente  dissociati.  

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Il  pH  resta  quindi  neutro  (  =  7  ).    

In  alternativa  o  a  complemento  è  possibile  effettuare  un'idrolisi  di  questo  tipo  utilizzando  nitrato  di  potassio.      

Parte  quarta:  sale  da  acido  debole  e  base  debole:  Soluzione  di  CH3COONH4:  

Nella   soluzione   sono   presenti:   molecole   di  H2O  indissociate   e   gli   ioni:  CH3COO  -­‐  ,  NH4+  ,  

H3O+,  OH  -­‐.  

L'acetato   di   ammonio   in   soluzione   reagisce   con   H2O   e   per   retrocessione   ionica   dà   un   po'   di  CH3COOH  e  un  po'  di  NH4OH  indissociati.  Questi  sono  elettroliti  deboli.  

La  reazione  è:  

CH3COONH4  +  2H2O  -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐>  CH3COO  -­‐  +  NH4+  +  H3O+  +  OH  -­‐  

 

In   generale   si   può   dire   che   un   sale   proveniente   da   una  base   debole  e   da   un  acido   debole  in  soluzione  acquosa  si   idrolizza  e  la  soluzione  reagisce  acida,  neutra  o  basica  a  seconda  che  l'acido  sia  meno  debole,  ugualmente  debole  o  più  debole  della  base.  

     

 

   

Determinazione  dell'acidità  del  succo  di  limone  per  le  classi  seconde  liceo    

Materiali occorrenti:

Limone - Idrossido di sodio sol. 0.1 M - Fenolftaleina sol. 1% - Buretta da 50 mL - Filtri in carta - Vetreria.

Esecuzione dell'esperienza:

Si spreme completamente un limone in un becker da 100 mL. Si filtra il succo utilizzando un filtro rapido in carta ( ad es. filtro a banda nera o filtro Wathman 113 o 91 ), se ne prelevano,

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con pipetta tarata o graduata, 2 mL versandoli in una beuta da 250 mL; si aggiungono 100 mL circa di acqua distillata e 3 o 4 gocce di fenolftaleina sol. 1% quale indicatore; la soluzione rimane, ovviamente, incolore.

Si riempie la buretta con 50 mL di idrossido di sodio sol. 0.1 M, si pone la beuta sotto il rubinetto e si procede alla titolazione, gocciolando lentamente il titolante ed agitando la beuta.

Al punto di viraggio al rosa-violetto dell'indicatore si chiude il rubinetto della buretta e si annota la quantità di idrossido di sodiosol. 0.1 M consumata.

A questo punto tutto l'acido citrico presente nel succo di limone è stato neutralizzato dall' idrossido di sodio con la reazione:

Come si vede per neutralizzare una mole di acido citrico, idrossiacido alifatico tricarbossilico, sono necessarie 3 moli diidrossido di sodio, per cui il numero di moli presenti nella quantità di idrossido di sodio gocciolata è 3 volte il numero di moli diacido citrico presenti nei 2 mL di succo di limone.

Si sono utilizzati 20 mL di NaOH sol. 0.1 M per titolare 2 mL di succo di limone; calcoliamo le moli presenti:

Con la formula: nmoli = M · VL si ha :

nmoli = 0.1 · 0.02 per cui, nmoli = 0.002

ovvero, con la proporzione V1 : M1 = V2 : Mx si ha:

1000 : 0.1 = 20 : x x = 20 0.1 / 1000 x = 0.002

Il valore ricavato corrisponde al numero di moli presenti nei 20 mL di idrossido di sodio sol. 0.1 M, per cui il numero di moli diacido citrico presenti in 2 mL di succo di limone è 1/3 di tale valore, cioè nmoli = 0.00066.

Da questo valore si può risalire al titolo molare dell'acido citrico del succo di limone con la proporzione:

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0.00066 : 2 = x : 1000 x = 1000 0.00066 / 2 x = 0.33 M

Il succo di limone è, quindi, una soluzione 0.33 M di acido citrico.

E' possibile, poi, trasformare il valore molare in concentrazione g/L moltiplicando il numero di moli per la massa molecolare relativa dell'acido citrico ( = 192.13 ):

0.33 192.13 = 63.40 g/L

ovvero circa il 6 %.

Infatti il succo di limone contiene circa il 6 % di acido citrico e presenta una concentrazione idrogenionica circa 2 · 10 -3 M che determina un pH = 2.8.

La  pila  Daniell  per  le  classi  seconde  liceo  

 

Materiali occorrenti:

Lamine di rame, zinco, magnesio - Soluzioni 0.1 M di solfato di rame II, solfato di zinco, solfato di magnesio - Soluzione concentrata di cloruro di ammonio - Voltmetro - Tester - Cavi di collegamento - Vetreria.

Richiami teorici:

Le ossidoriduzioni consistono in un flusso di elettroni dall'elemento meno elettronegativo a quello più elettronegativo; tale flusso altro non è che energia elettrica. Se teniamo separate le due semireazioni in modo tale che il flusso compia un percorso esterno al sistema di reazione, è possibile trasformare l'energia in lavoro.

Il lavoro svolto dal flusso di elettroni si chiama f.e.m. ( forza elettromotrice ) o potenziale elettrico.

I sistemi che trasformano una redox in un potenziale si dicono celle elettrochimiche o pile elettrochimiche.

Una pila è formata da due elementi galvanici ( semicelle ) formati ognuno da una lamina metallica immersa in una soluzione salina dello stesso metallo.

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I due elementi sono collegati da un ponte salino ( tubo ad U contenente una soluzione concentrata, ad es., di KNO3 o di NH4Cl, ) che permette la migrazione degli ioni al fine di mantenere elettricamente neutre le soluzioni senza il completo mescolamento delle stesse; tale evenienza farebbe, infatti, sì che gli ioni possano scambiarsi direttamente per contatto gli elettroni senza generare alcuna f.e.m.. Il ponte salino può essere sostituito da un setto poroso con la stessa funzione.

Le due lamine metalliche sono collegate con fili elettrici ad un circuito esterno comprendente un utilizzatore, in genere un voltmetro o un multimetro. Nel circuito passeranno gli elettroni partendo dall'elettrodo che ne possiede di più, ovvero quello della semicella ove si ha l'ossidazione ( anodo o polo negativo ), per giungere all'elettrodo della semicella ove si ha la riduzione (catodo o polo positivo ). Attraverso il voltmetro o il multimetro è possibile misurare la f.e.m. generata.

Quando il sistema raggiunge l'equilibrio, il processo ha termine.

Potenziale standard ( E0 ): si intende il potenziale di una redox che si svolge a 25 °C e a 1 atm. tra un elettrodo di un qualsiasi metallo in una soluzione 1 M di un suo sale ed un elettrodo ad idrogeno.

Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: cella Zn // Cu :

Si pongono in un becker ca. 100 mL di soluzione 0.1 M di solfato di rame immergendo la lamina di rame. In un secondo becker si pone una identica quantità di solfato di zinco sol. 0.1 M immergendo la laminetta di zinco. Si collegano con due fili di diverso colore la lamina di rame all'ingresso positivo del voltmetro e la lamina di zinco all'ingresso negativo.

Si riempie completamente il tubo ad U di soluzione concentrata di nitrato di potassio, tappando le due estremità con due batuffoli di cotone; il tubo serve, come detto, da ponte salino.

Si rovescia il ponte salino, controllando che vi sia continuità e si immergono i tubi nei due beckers. Se tutto è stato fatto correttamente, sul voltmetro si può osservare una f.e.m. di 1.1 volts circa.

Detta f.e.m. è data dalla differenza tra i potenziali dei due elettrodi:

E = E0 (Cu2+

/ Cu) - E0 (Zn2+

/ Zn) = 0.34 - (- 0.76) = 1.1 volts

La reazione di ossidoriduzione che si è verificata è la seguente:

ossidazione Zn ----> Zn2+ + 2e

riduzione Cu2+ + 2e ----> Cu --------------------------------- Zn + Cu2+----> Zn2+ + Cu

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Lo zinco funziona da anodo ( polo negativo ) e, quindi si ossida consumandosi, mentre il rame funziona da catodo ( polo positivo ) riducendosi e, quindi, aumentando di volume.

Se si dispone di un amperometro o di un multimetro, collegandolo al posto del voltmetro, è possibile misurare l'intensità della corrente.

Parte seconda: Cella Mg // Cu:

Si opera come nella fase seguente, sostituendo il becker della semipila Zn con un becker contenente 100 mL circa di soluzione 0.1 M di solfato di magnesio ed immergendo una lamina di magnesio.

Si osserverà una f.e.m. di circa 2.71 volts.

Detta f.e.m. è data dalla differenza tra i potenziali dei due elettrodi:

E = E0 (Cu2+

/ Cu) - E0 (Mg2+

/ Mg) = 0.34 - (- 2.37) = 2.71 volts

La reazione di ossidoriduzione che si verifica è la seguente:

ossidazione Mg ----> Mg2+ + 2e

riduzione Cu2+ + 2e ----> Cu --------------------------------- Mg + Cu2+ ----> Mg2+ + Cu

Il magnesio funziona da anodo ( polo negativo ) e, quindi si ossida consumandosi, mentre il rame funziona da catodo ( polo positivo ) riducendosi e, quindi, aumentando di volume.

Anche in questo caso è possibile misurare l'intensità della corrente con l'ausilio di un amperometro.

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La pila Daniell  

 

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Dissezione  del  cuore  di  maiale  

 per  le  classi  seconde  liceo  

 

OBIETTIVI:  

•   Riconoscimento  delle  parti  anatomiche  del  cuore:  1.   Coronarie;  2.   Vasi  Sanguigni  in  ingresso  (Vene  Cave,  Vene  Polmonari);  3.   Vasi  Sanguigni  in  uscita  (Aorta,  Arteria  Polmonare);  4.   Muscoli  Pettinati,  Papillari,  Corde  Tendinee;  5.   Valvole  Atrioventricolari  (Bicuspide,  Tricuspide);  6.   Valvole  Semilunari  (Aorta,  Arteria  Polmonare);  

•    •   Ricostruzione  del  circolo  sanguigno;  

   

STRUMENTI,  APPARECCHI  e  SOSTANZE:  •   Bisturi;  •   Forbici;  •   Guanti  di  plastica;  •   Mascherina;  •   Tubo  di  Plastica;  •   Vaschetta  di  plastica,  •   Pinzetta;  

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•   Cuore  di  suino;  RELAZIONE:  

CONOSCENZE  TEORICHE:  

 

 Il cuore è l’organo più importante del nostro organismo, esso ha la funzione di pompare il sangue in tutto il corpo senza mai fermarsi. È formato da tessuto muscolare cardiaco, il miocardio, rivestito da una sottilissima membrana epiteliale detta endocardio e da una membrana protettiva esterna detta pericardio. Il cuore è contenuto nel mediastino del torace, tra i due polmoni, proprio per essere protetto dalle costole.

Esso è situato per 1/3 nella parte destra del corpo e per 2/3 nella parte sinistra; la punta è rivolta a sinistra.

 

Il cuore può raggiungere i 10 cm di lunghezza, 10 cm di larghezza e 5 cm di spessore, per un peso di circa 300 grammi nell’adulto.

La sua conformazione è caratterizzata dalla presenza di quattro cavità: due superiori (gli atri) e due inferiori (i ventricoli). La parte destra e la parte sinistra del cuore sono completamente separate dal setto interatriale e dal setto interventricolare. L’atrio e il ventricolo destro comunicano tra di loro per mezzo della valvola tricuspide, chiamata così perché presenta 3 lembi; l’atrio e il ventricolo sinistro comunicano per mezzo della bicuspide formata da 2 lembi.

Il cuore arriva a battere mediamente 100.000 volte in un giorno, pompando circa 5 litri di sangue al minuto in condizioni di riposo e 25 litri in stato di stress fisico. Il cuore compie due movimenti: la contrazione, detta sistole e il rilassamento, detto diastole. Quando il cuore si contrae, gli atri si contraggono spingendo il sangue nei ventricoli. Una volta riempiti, i due ventricoli si contraggono e spingono il sangue fuori dal cuore.

La    circolazione  sanguigna  si  divide  in  due  sezioni:  la  grande  circolazione  e  la  piccola  circolazione.  La  grande  circolazione  origina  dal  ventricolo  sinistro  passando  per  l’arteria  aorta  e  concludendo  nelle  vene  cave  che  portano  all’atrio  destro  del  cuore.  Durante  questa  circolazione,  il  sangue  porta  le  sostanze  nutritive  alle  cellule  e  riceve  le  sostanze  di  scarto  trasformandosi  così  da  sangue  arterioso  a  sangue  venoso.  

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 La  piccola  circolazione  ha  origine  dal  ventricolo  destro  comprendendo  le  vene  e  l’arteria  polmonari  che  sfociano  nell’atrio  sinistro  del  cuore.  Nella  piccola  circolazione  il  sangue  circola  nei  polmoni,  all’interno  dei  quali  il  sangue  cede  l’anidride  carbonica  e  assume  ossigeno  per  trasportarlo  in  tutte  le  cellule  del  corpo  tramite  la  grande  circolazione.  

L’arteria  polmonare  e  l’arteria  aorta  sono  entrambe  provviste  di  una  valvola  a  forma  di  “coppetta”  chiamate  in  corrispondenza  semilunare  polmonare    e  semilunare  aortica  che  hanno  lo  scopo  di  impedire  al  sangue  di  tornare  nel  ventricolo.  I  ventricoli,  come  gli  atri,  si  contraggono  contemporaneamente,  pertanto  le  due  valvole  semilunari  si  aprono  e  si  chiudono  contemporaneamente.  Le  valvole  bicuspide  e  tricuspide  sono  aperte  attraverso  i  muscoli  papillari  che  sono  agganciati  alle  estremità  dei  cuspidi  per  mezzo  delle  corde  tendinee.  

I  muscoli  pettinati  sono  chiamati  così  perché  la  loro  forma  ricorda  i  denti  del  pettine.  Essi  hanno  il  compito  di  potenziare  la  capacità  contrattile  delle  pareti  degli  atri  senza  aumentarne  lo  spessore  e  la  massa  muscolare.  

Il  sangue  che  passa  all’interno  degli  atri  e  dei  ventricoli  non  entra  nei  tessuti  del  cuore  fornendo  sostanze   nutritive,   ma   viene   solo   pompato.   Per   nutrirsi,   il   cuore   possiede   una  circolazione  coronarica  formata  da  vasi  sanguigni  che  portano  sangue  al  muscolo  cardiaco.  I  vasi  che  portano  sangue   ricco  di   ossigeno   si   chiamano   arterie  coronarie  epicardiali.   Esse   hanno  origine  nel   primo  tratto   dell’aorta,   subito   dopo   la   valvola   semilunare   e   percorre   tutto   il   tratto   centrale   del   cuore  sfociando  direttamente  nell’atrio  destro  tramite  la  valvola  del  Tebesio.  

DESCRIZIONE  DELLA  PROVA:  

Prima  di  tutto  bisogna  ruotare  il  cuore  in  modo  che  la  punta  sia  rivolta  verso  la  sua  sinistra.  Con  il  cuore   in   questa   posizione   è   più   facile   riuscire   a   determinare   la   localizzazione   delle  vene  e  delle  arterie.   Le   due  vene   cave  si   trovano   a   destra   e   comunicano   tra   di   loro,   quindi   è   più   facile  trovarle  usando  un  tubo  di  plastica.  L’aorta  è  l’arteria  più  evidente  grazie  al  suo  spessore,  alla  sua  rigidità  rispetto  agli  altri  vasi  e  alla  presenza  di  tre  fori  su  di  essa.  

 

Figura  1:  Corde  tendinee  collegate  ai  muscoli  papillari  ed  ai  cuspidi      

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Dopo   aver   riconosciuto   tutti   i   vasi   sanguigni,   si   procede   nel   dissezionare   il   ventricolo   e   l’atrio  destro  usando  il  bisturi  ed  aiutandosi  con  le  forbici.  Una  volta  sezionato  il  lato  destro  del  cuore  si  possono  analizzare  gli  elementi  in  esso  presenti.  La  prima  cosa  a  risaltare  all’occhio  sono  le  corde  tendinee  che   collegano   il   tricuspide   ai   muscoli   papillari  (Figura   1).   I   lembi   del  tricuspide,   nel  nostro   caso,   erano   ben   collegati   alle   corde   tendinee,   mediante   la   pinzetta   siamo   riusciti   ad  osservarli  meglio  .  

 

Figura  2:  I  muscoli  pettinati  dell’atrio      

Dell’atrio  si  possono  invece  notare  i  muscoli  pettinati  (Figura  2)  ed  un  piccolo  foro  oltre  alle  vene  cave.  Molto  probabilmente  quel  foro  è  collegato  alle  coronarie.  

 

Ora  si  disseziona  anche   l’altra  parte  del  cuore  osservando  2   lembi   invece  di  3.  Tutto  sommato   il  resto  è  simile  alla  parte  destra  del  cuore  tranne  per  il  fatto  che  il  ventricolo  sinistro  ha  le  pareti  più  spesse  perché  deve   far   arrivare   il   sangue   in   tutto   i   corpo,  mentre  quello  destro  ha  pareti   sottili  perché   pompa   il   sangue   ai   polmoni.   Si   continua   a   sezionare   proseguendo   verso   l’aorta  per  individuare   anche   la  valvola   semilunare   aortica.   Eseguendo   delicatamente   si   può   individuare  anche  un  foro  che  porta  alle  arterie  coronarie.  

 

Posso  dire  di  esser  riuscito  ad  esaminare  tutte  le  componenti  del  cuore  eseguendo  correttamente  i  vari  passaggi.  

 Da  questa  esperienza  ho  imparato  ad  interagire  anatomicamente  con  il  cuore,  un  organo  fondamentale  per  la  vita,  ma  che  sinceramente  mi  aspettavo  più  complesso.

 

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Classificazione  di  alcuni  minerali  secondo  i  sette  sistemi  cristallini  per  le  classi  terze  liceo  

 

Materiali occorrenti:

Campioni di minerali - Lente.

Esecuzione dell'esperienza:

Si osservano attentamente i caratteri morfologici dei minerali, classificandoli secondo i sette sistemi cristallini.

Di seguito sono descritti detti sistemi cristallini ed alcuni campioni di minerali tra i più comuni e significativi.

Sistema cubico

Tutti e 3 gli assi della croce assiale hanno uguale lunghezza e si incrociano tra loro ad angolo retto. Si considera cubico un cristallo che abbia almeno 2 assi di simmetria ternari.

a = b = c α = β = γ = 90°

Pirite: FeS2, cubo e piritroedo, più raramente ottaedro,a facce striate; lucente, colore bruno o nero, poco sfaldabile, frattura concoide, durezza 6÷6.5, densità 4.9÷5.1. E' il solfuro più diffuso. Si altera abbastanza facilmente per l'azione di agenti atmosferici in ossidi ed idrossidi di ferro ( es. in limonite FeO(OH) ).

Cristalli di pirite

Galena: PbS, cubo od ottaedro, a volte geminato; lucente, colore grigio piombo, sfaldatura perfetta, frattura subconcoide, durezza 2.5÷2.75, densità 7.4÷7.6. E' il più importante minerale di piombo.

Salgemma ( Alite ): NaCl, cubo, raramente ottaedro, lucentezza vitrea, incolore, sfaldatura facile secondo le facce del cubo, durezza 2, densità 2.17.

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Cristalli di salgemma

Fluorite: CaF2, cubo, raramente ottaedro o altre forme più complesse, lucentezza vitrea, incolore o colorata per impurezze (es. azzurro-viola), sfaldatura facile, frattura concoide, durezza 4, densità 3.18.

Sistema tetragonale

Due assi della croce assiale hanno uguale lunghezza, il terzo è più lungo o più corto. Tutti e 3 gli angoli che formano sono retti.

Un cristallo si considera tetragonale se ha un solo asse di simmetria quaternario.

a = b ≠ c α = β = γ = 90°

Calcopirite: CuFeS2, tetraedro a volte geminato e con facce striate, lucente, colore giallo ottone, sfaldatura imperfetta, frattura concoide, durezza 3.5÷4, densità 4.1÷4.3. E' il più diffuso minerale del rame ( ne contiene fino al 35 % ).

Cristalli di calcopirite

Cassiterite: SnO2, prisma, spesso geminato o fibroso, lucente, di colore bruno scuro o nero, sfaldatura perfetta, frattura subconcoide, durezza 6÷7, densità 7. E' praticamente l'unico minerale di stagno sfruttato industrialmente.

Pirolusite: MnO2, di solito compatto, a volte raggiato o fibroso, lucente, di colore grigio-nero, durezza 2÷6, densità 4÷5. E' il minerale più comune del manganese.

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Sistema esagonale

Impiega una croce assiale a 4 assi. 3 assi di uguale lunghezza giacciono sul piano orizzontale facendo un angolo di 120° l'uno con l'altro. Il quarto asse è più lungo o più corto ed è disposto perpendicolarmente al piano degli altri tre. E' considerato esagonale un cristallo avente un asse senario.

a = b = c ≠ d α = β = γ = 120° ; δ= 90°

Grafite: C, cristalli appiattiti e deformati, spesso a scaglie; lucente, di colore grigio-nero, sfaldatura perfetta, frattura assente, durezza 1, densità 2.2. Appare untuosa al tatto. Conduce la corrente elettrica.

Cristalli di grafite

Apatite: nome generico dato a fosfati di calcio contenenti fluoro ( fluoroapatite, Ca5[(F)(PO4)3], idrossiapatite Ca5[(OH)(PO4)3] , cloroapatite Ca5[(Cl)(PO4)3] ). Prisma o bipiramide, spesso compatti o complessi, lucentezza vitrea, colore variabile (bianco latteo, grigio, blu, giallo-verde etc.), sfaldatura scarsa, frattura concoide, durezza 5, densità 2.9÷3.2 .

Sistema trigonale o romboedrico

Croce assiale a quattro assi. 3 assi di uguale lunghezza giacciono su un piano orizzontale facendo un angolo di 120° l'uno con l'altro. Il quarto asse è più lungo o più corto degli altri ed è perpendicolare al loro piano orizzontale. Un cristallo è trigonale se ha un asse ternario.

a = b = c ≠ d α = β = γ = 120° ; δ= 90°

Calcite: CaCO3, romboedro, scalenoedro, spesso geminato o fibroso, lucentezza vitrea, incolore o di colore bianco, sfaldatura perfetta, frattura concoide, durezza 3, densità 2.72. E' uno dei minerali più diffusi nella superficie terrestre. La varietà spato d'Irlanda è limpida ed incolore e presenta il fenomeno ottico della birifrangenza.

Dolomite: CaMg(CO3)2, romboedro con facce a volte ricurve ( d. selliforme ), sfaldatura perfetta, incolore o grigia-biacastra o scura, lucentezza vitreo-madreperlacea, durezza 3.5÷4, densità 2.8÷2.9. Insolubile in HCl diluito a freddo. In massa compatta microcristallina è il costituente principale della dolomia.

Quarzo: SiO2, trapezoedro (simula una bipiramide esagonale), spesso geminato o irregolare, lucentezza vitrea, incolore o colorato per impurezze, sfaldatura assente, frattura

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concoide, durezza 7, densità 2.65. E' uno dei più comuni minerali della litosfera. Moltissime varietà: quarzo ialino ( cristallo di rocca ), ametista, q.affumicato, q.rosa, q.giallo, q.occhio di gatto.

Cristallo di quarzo

Ematite: Fe2O3, romboedro lamellare, a volte granulare, fibroso e reniforme, lucente. Il colore delle masse compatte a cristalli spessi è nero metallico; nei cristalli e frammenti sottili e nelle varietà terrose è rosso ocra ( rose di ferro ). Sfaldatura assente, frattura subconcoide, durezza 5÷6, densità 5.3. E' uno dei minerali di ferro più comuni e diffuso in moltissime rocce.

Magnesite: MgCO3, scalenoedro compatto, a volte fibroso o granulare, lucentezza vitrea, colore solitamente biancastro, sfaldatura facile, frattura concoide, durezza 4÷4.5, densità 2.9÷3.1. E' il più importante minerale del magnesio ed è molto utilizzato dall'industria.

Sistema ortorombico

I 3 assi della croce assiale hanno lunghezza differente e formano tra loro 3 angoli retti. Si considera ortorombico un cristallo che presenta solo assi binari e/o 2 piani di riflessione insieme.

a ≠ b ≠ c α = β = γ = 90°

Zolfo (fase a): S, bipiramide rombica, spesso regolare e compatto, lucentezza resinosa, colore giallo, sfaldatura scarsa, frattura concoide, durezza 2, densità 2.07.

Baritina ( barite ): BaSO4, bipiramide rombica, spesso a tabulato, lamelle o granuli, lucentezza vitrea, colore vario ( incolore, bianco, giallo, etc. ), sfaldatura perfetta, frattura ruvida, durezza 3÷3.5, densità 4.5.

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Cristallo di baritina

Celestina: SrSO4, bipiramide rombica, cristalli grandi, a volte fibrosi, lucentezza vitrea, incolore o azzurra, sfaldatura buona, frattura concoide non perfetta, durezza 3÷3.5, densità 3.95. Da essa si estrae lo stronzio.

Sistema monoclino

I 3 assi della croce assiale sono di diversa lunghezza. 2 assi formano tra loro angoli di 90°; il terzo forma con il loro piano un angolo >90°. Si definisce monoclino un cristallo avente un solo asse binario ed un solo piano di simmetria.

a ≠ b ≠ c α = γ = 90° ; β> 90°

Muscovite ( mica bianca ): KAl2[(OH,F)2|AlSi3O10] fillosilicato, lamine flessibili e squamose, lucentezza madreperlacea, incolore o biancastra, sfaldatura ottima, durezza 2÷2.5, densità 2.76÷3. E' una delle miche più diffuse.

Biotite ( mica nera ): K(Mg,Fe)3[(OH,F)2|AlSi3O10] fillosilicato, lamine elastiche irregolari o in scaglie, lucentezza vitrea, colore nero o verde scuro, sfaldatura ottima, durezza 2.5÷3, densità 2.8÷3.2. Diffusa in moltissime rocce.

Ortoclasio: K[AlSi3O8], prismi allungati, spesso geminati e granulati, lucentezza vitrea, incolore o biancastro, sfaldatura perfetta, frattura concoide o ruvida, durezza 6÷6.5, densità 2.55÷2.63. Componente di molte rocce, appartiene alla famiglia dei feldspati.

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Cristallo di ortoclasio

Talco: Mg3[(OH)2|Si4O10], fillosilicato, lamine pseudoesagonali a rosetta, lucentezza perlacea, colore bianco-grigio, sfaldatura perfetta, durezza 1, densità 2.58÷2.83.

Sistema triclino

I 3 assi della croce assiale sono di differente lunghezza e formano tra loro angoli diversi da 90°. Il cristallo triclino non deve presentare né assi di simmetria né piani di riflessione.

a ≠b ≠ c α ≠ β ≠ γ ≠ 90°

Microclino: K[AlSi3O8], prismi compatti, spesso geminati, lucentezza vitrea, colore biancastro o grigio, sfaldatura perfetta, frattura concoide o ruvida, durezza 6, densità 2.56.

Cianite: Al2[O|SiO4], subnesosilicato di alluminio, prismi colonnari allungati, spesso geminati o a lamine, lucentezza vitrea, colore azzurro-grigio, sfaldatura buona, durezza 4.5 (7 perpendicolarmente), densità 3.56÷3.68. Utilizzata nell'industria delle porcellane.

Cristallo di cianite

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Le sette classi cristalline

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Analisi  dei  carboidrati  per  le  classi  terze  liceo  

Materiali occorrenti:

Saccarosio - Glucosio - Fruttosio - Amido - Reattivo di Fehling - Acido solforico sol. 95 % - Acido cloridrico sol. 37 % - Iodio sol. 0.01 M - Vetreria.

Richiami teorici:

I carboidrati o glucidi sono composti organici, in generale, con formula elementare Cn(H2O)n. Presentano dei gruppi -OH, per cui possono essere considerati alcooli polivalenti e un gruppo aldeidico ( aldosi ) o un gruppo chetonico ( chetosi ).

I carboidrati più semplici sono i monosaccaridi . Ad es. ribosio, galattosio e glucosio sono monosaccaridi aldosi; il fruttosio è un monosaccaride chetoso.

Più unità di monosaccaridi (da 2 a migliaia) possono legarsi con un legame glicosidico che si stabilisce tra un gruppo -OH di un monosaccaride ed uno in posizione 1 di un altro monosaccaride, con perdita di una molecola di H2O.

Se i monosaccaridi sono due si hanno i disaccaridi, tra i quali: saccarosio ( glucosio + fruttosio ), lattosio ( glucosio + galattosio) e maltosio ( glucosio + glucosio ).

Se i monosaccaridi sono in numero superiore si hanno i polisaccaridi, tra i quali:

o   glicogeno : catena ramificata di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. o   cellulosa : catena lineare di β-D-glucosio con legami β-1,4-diglicosidici. o   amilosio : catena lineare di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. o   amilopectina : catena ramificata di α-D-glucosio con legami α-1,4-diglicosidici. o   amido : costituito da amilosio e amilopectina.

I carboidrati a basso peso molecolare sono anche detti zuccheri.

Esecuzione dell'esperienza:

Parte prima: disidratazione del saccarosio:

Il saccarosio, C12H22O11 può essere disidratato a carbonio con perdita di 11 molecole di H2O per azione dell'acido solforicoconcentrato.

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In un vetro da orologio si pongono 10 g circa di saccarosio commerciale e su questi si versano 2 o 3 mL di acido solforico 95 % . In pochi secondi si forma una massa scura. La reazione che è avvenuta è la seguente:

C12H22O11----> 12C + 11H2O .

Parte seconda: esame del potere riducente di alcuni zuccheri:

Come noto gli zuccheri possono presentare un gruppo aldeidico o un gruppo chetonico. Il primo conferisce un potere riducente maggiore del secondo.

Il saccarosio, disaccaride, è formato da una molecola di glucosio e da una di fruttosio legate con legame α-1,2-diglicosidico; per questo non vi sono più gruppi carbonilici liberi con capacità riducenti.

La verifica sperimentale di quanto sopra si effettua con il reattivo di Fehling, già utilizzato per le aldeidi. In questo reattivo è presente del Cu2+ , ione dal tipico colore blu, che può essere ridotto a Cu+, precipitando sotto forma di Cu2O dal colore mattone, per azione di un agente riducente.

Si preparano 10 mL di reattivo di Fehling completo ( 5 mL sol. A + 5 mL sol. B ) e tre provette contenenti 5 mL circa di acqua distillata. In una provetta si versa una piccola spatolata di glucosio, nella seconda una di fruttosio e nella terza una di saccarosio; si agitano le provette e a ciascuna si aggiungono 3 mL di reattivo di Fehling. Si porta la provetta con il glucosio al bunsen e si scalda; in pochi secondi si nota la formazione del precipitato color mattone di Cu2O. Il Cu2+ si è ridotto a Cu+ e il gruppo aldeidico del glucosio in posizione 1 si è ossidato a gruppo carbossilico, dando l'acido gluconico.

Si pone sul bunsen la provetta con il fruttosio e si nota che il precipitato si forma un po' più lentamente ed appare lievemente meno intenso, ad indicare una minore reattività riduttiva del gruppo chetonico. Nel fruttosio è il gruppo chetonico in posizione 2 che si ossida a gruppo carbossilico.

Riscaldando al bunsen la provetta contenente la soluzione di saccarosio non si forma alcun precipitato, in quanto il disaccaride non presenta siti carbonilici disponibili per la reazione ossidoriduttiva.

Parte terza: inversione del saccarosio:

Trattando il saccarosio con un acido forte si ottiene la rottura della molecola dei due esosi componenti, il fruttosio e il glucosio. Tale processo è detto inversione e, ovviamente, rende disponibili i siti carbonilici per una reazione ossidoriduttiva.

Il saccarosio invertito può, quindi, ridurre il reattivo di Fehling.

In due provette con 5 mL di acqua distillata ciascuna si sciolgono due piccole spatolate di saccarosio commerciale. Una provetta serve da " bianco ", mentre alla seconda si aggiungono 2 o 3 gocce di acido cloridrico 37 % ; si scaldano entrambe al bunsen ed ad esse si

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aggiungono, ciascuna, 3 mL di reattivo di Fehling completo. Solo la provetta ove ha avuto luogo l'inversione presenta il precipitato di Cu2O.

Parte quarta: idrolisi dell'amido:

L'amido è, come noto, un polisaccaride formato da una catena di monomeri di α-D-glucosio legati da legami α -1,4-diglicosidici.

Lo iodio in soluzione se posto in una soluzione acquosa di amido dà una colorazione blu.

L'azione di un acido forte, ad esempio acido cloridrico, a caldo porta all'idrolisi del legame glicosidico e quindi al rilascio dei monomeri; di conseguenza scompare la colorazione blu.

In una provetta si scioglie una punta di spatola di amido solubile in 5 o 6 mL di acqua distillata; alla soluzione si aggiungono alcune gocce di soluzione 0.01 M di iodio che impartiscono il colore blu.

A questo punto, si aggiungono 3 o 4 gocce di acido cloridrico sol. 37 % e si porta la provetta al bunsen per il riscaldamento; in pochi secondi il colore blu scompare, indicando la demolizione della molecola del polisaccaride.

Nota: La reazione di Fehling, riferita ad un monosaccaride generico è:

 

 

 

 

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