manuale di letteratura italiana 800 in poi
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Utile sintesi per studiare o ripassare la letteratura contemporaneaTRANSCRIPT
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INDICE
UNITÀ I L’Ottocento, l’uomo e la letteratura.....................................2
UNITÀ II L’uomo tra ombra e realtà .................................................33
UNITÀ III Influssi di letteratura straniera..........................................72
UNITÀ IV Il decadentismo.................................................................83
UNITÀ V Diseroicizzazione............................................................145
UNITÀ VI L’uomo e il teatro...........................................................164
UNITÀ VII Conflitto umano e letteratura.........................................218
UNITÀ VIII Letteratura e contemporaneità .....................................245
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I UNITA’ : L’Ottocento, l’uomo e la letteratura.
Prerequisiti:
- Conoscenza del discorso letterario del tardo Settecento e del periodo del
Preromanticismo.
- Capacità elaborativi e di contestualizzazione dei processi di cambiamento
nell’ambito letterario.
Obiettivi:
- Acquisizione dei cambiamenti metodici ed espositivi dei poeti della prima
metà del secolo ottocento.
- Acquisizione del concetto di “romantico” nella letteratura.
- Acquisizione del contesto socio-politico dei primi anni dell’Ottocento e dei
suoi contagi letterali.
- Acquisizione del nuovo modello letterario quale fu il Romanzo storico italiano.
- Acquisizione del confronto Dio/ uomo, uomo/ società.
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Si studieranno:
- La poetica del Romanticismo e il contesto storico nel quale si sviluppa e cresce.
- Alessandro Manzoni.
- Giacomo Leopardi.
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IL ROMANTICISMO
Il Romanticismo fu un complesso movimento culturale che produsse profondi
trasformazioni nelle lettere, nelle arti, nel pensiero politico e nel costume, sorge sul
fine del ‘700 in Inghilterra e in Germania, presto in tutta l’Europa.
Il nome del movimento deriva all’aggettivo romantic che apparve per la prima
volta in Inghilterra intorno al 600. Via via assumeva il significato di cosa
fantastica, irreale, conservando in parte l’antico significato di narrazione poetica in
versi. È difficile stabilire una cronologia precisa: in Germania si fa sorgere il
Romanticismo intorno al 1798 con la pubblicazione della rivista “Ateneum”, in
Francia con la pubblicazione della prefazione al dramma Cromwell di Victor
Hugo.
Contesto storico
La rivoluzione Romantica si fonda su un nuovo modo di concepire la realtà e i
rapporti tra gli uomini, connesso alle trasformazioni ideologiche, politiche e
morali, dell’Europa tra ‘700 e ‘800.
La Rivoluzione Francese sostituisce all’ideale statico del mondo feudale un’idea
della vita come movimento, liberando le forze genuine della natura umana
compresse da istituzioni secolari.
La proclamazione dell’ideale della libertà corrisponde all’esaltazione di una
società di uomini liberi ed uguali, intesi a proclamare la propria individualità. Ma
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l’illuminata politica liberale si scontra ben presto col grave problema del
proletariato che costituiva una classe sempre più consapevole della mancanza di
un’adeguata legislazione sociale e aprì la strada a nuovi fermenti rivoluzionari. Fu
allora che il Romanticismo poté apparire in parte un movimento reazionario. Se in
un primo tempo, soprattutto in Germania e in Francia, con la sua difesa della
tradizione ed un ritorno al passato in funzione anti-napoleonica coincise con la
volontà politica della restaurazione, ben presto Romantico divenne sinonimo di
liberale e il Romanticismo assecondò ed ispirò il movimento di liberazione dei
popoli.
La nuova concezione della realtà
Durante la corrente Romantica si parlerà di spiritualismo, individualismo, di
storicismo e dialettica.
Spiritualismo: il Romanticismo diviene consapevolmente specchio di un divenire
storico problematico e tormentato. L’Illuminismo aveva esaltato la ragione come
facoltà sovrana a cui tutte le altre dovevano essere subordinate criticando le
religioni e proponendo un vago deismo o una concezione materialistica del mondo.
Il Romanticismo invece pervaso da un’ansia religiosa che sfocia in una religione
dell’umanità fondata sul concetto dei valori spirituali più alti che dirigono la storia.
Nasce così un concetto più ampio della vita dello spirito, fondata sulla libera
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associazione di tutte le facoltà fra le quali però il sentimento è la forma più alta
perché nasce nella profondità dello spirito umano.
Individualismo: la cultura Romantica esalta in primo luogo la libera individualità
creatrice dell’uomo. A differenza della ragione che lo accomunava agli altri, il
sentimento lo distingue come essere unico legato alla natura, alla tradizione, alla
storia, ma da esse emergente con una propria libertà. Questa affermazione dell’Io,
del suo diritto a ribellarsi a ogni repressione e tipica del nuovo ottimismo borghese.
Nell’atmosfera stagnante della restaurazione l’individuo Romantico appare spesso
chiuso in una tragica solitudine, alla ricerca di una impossibile comunione con
l’infinito. Ecco perché il poeta rifiuterà la falsa morale borghese del successo, del
profitto, della vittoria contro la società.
Molti scrittori invece avvertivano il valore progressivo della rivolta e anche della
sconfitta ma diviene denuncia e lotta per la libertà e per la giustizia.
Storicismo: mentre l’Illuminismo aveva respinto il medioevo perché intralciava lo
sviluppo della civiltà borghese, il Romanticismo invece sente la tradizione come
elemento essenziale della vita dell’individuo e dei popoli, il medioevo è
considerato l’età in cui si forma la civiltà moderna cristiana. Si concretizza così
l’idea di nazione che ha anche radice dell’individuo e per questo che i movimenti
di liberazione delle nazionalità oppresse sono considerati riscatti delle proprie
radici.
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Dialettica: nasce da qui il senso drammatico della vita che è proprio del
Romanticismo, l’infinito è la nuova vera divinità del romantico.
Il Romanticismo e la poesia
Il Romanticismo concepì la poesia come una delle più alte espressioni della vita
dello spirito. Canone fondamentale dell’estetica Romantica è che la poesia è libera
espressione del sentimento individuale, della forza più profonda dell’animo.
Furono quindi esaltate la sincerità, la spontaneità, la poesia popolare, poiché nata
dall’ingenua anima del popolo di cui il rifiuto romantico di tutte le altre poetiche.
Se la poesia è continuo divenire tale doveva essere anche l’arte e quindi abolire
l’imitazione, le regole dettate dai classici. Il poeta Romantico cercò un pubblico
vasto, non solo persone colte, vuole parlare al popolo, esserne l’interprete e la
guida. Tale concezione della poesia fu svolta dai Romantici in due direzioni: da un
lato portò allo scavo interiore o al protendersi dell’anima verso il sogno dall’altro
condusse alla rappresentazione della realtà oggettiva, delle tradizioni e della vita di
un popolo o di una società.
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ALESSANDRO MANZONI
La vita di Alessandro Manzoni fu solitaria e raccolta, aliena dalla confessione,
antilirica, si potrebbe dire, e antieroica, intesa non all’affermazione
individualistica, ma a ritrovare il proprio significato nella realtà quotidiana e nelle
comuni aspirazioni degli uomini.
Per questo il Manzoni seppe esprimere, meglio del Foscolo e del Leopardi, gli
ideali democratici e liberali, che l’ambiente lombardo aveva saldato alle istanze
migliori dell’Illuminismo, e che egli congiunse alle proprie persuasioni cristiane.
Nacque a Milano nel 1785 dal nobile Pietro e da Giulia, figlia di Cesare Beccarla,
e compì gli studi prima presso i frati Somaschi, a Merata e a Lugano, poi a
Milano, presso i Barnabiti. Tuttavia la prima formazione intellettuale fu
razionalistica e illuministica, antitirannica e anticlericale. Lo attesta un suo
poemetto giovanile, Il Trionfo della libertà (1801), concepito secondo il gusto
della “visione” montana, che è una fiera invettiva contro la “superstizione”
cattolica e il dispotismo, e un’esaltazione della libertà portata nel mondo della
Rivoluzione.
Al di là delle forme enfatiche e poeticamente acerbe, già in esso si avverte un
impegno civile, un ideale di poesia legata alla vita e posta al servizio della verità.
La meditazione delle opere del Parini, dell’Alfieri e del Foscolo, col quale ebbe
rapporti amichevoli, ribadì, nel Manzoni, l’esigenza di una poesia fusa con la vita
della coscienza, e tale da configurarsi come nobile messaggio; e d’altra parte, il
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contatto con l’ambiente culturale milanese, illuministico e riformistico, sviluppò la
sua tendenza verso una letteratura rivolta alla soluzione dei problemi concreti della
società, a una battaglia morale e culturale in senso democratico.
Assai importanti furono anche i contatti con gli esuli napoletani del ’99 da cui
apprese la filosofia del Vico, cioè la concezione della storia come storia della
civiltà dei popoli e del suo continuo progresso e svolgimento; e apprese inoltre, dei
principi politici a cui tenne poi sempre fede, cioè che la libertà non può essere un
dono ma deve essere conquista d’un popolo, e che l’Italia non poteva conseguirla
se non attraverso l’unità e l’indipendenza totale dello straniero.
I frutti di questa maturazione intellettuale e artistica appaiono nelle opere di
questo periodo, fra le quali si ricordino l’idillio Adda, di elegante fattura, e i
Sermoni (1802-1804), vivace satira morale, politica e letteraria. Ma la più
importante fra le opere giovanili del Manzoni sono gli sciolti
In morte di Carlo Imbonati (1806), composti a Parigi, dove il poeta accompagnò la
madre, dopo la morte dell’Imbonati, col quale elle, separata legalmente dal marito,
aveva convissuto. Il carme rivela una certa spregiudicatezza nei confronti della
morale corrente, ma enuncia anche una poetica che, per molti aspetti, resterà
definitiva. Essa propone come fine della poesia la testimonianza del vero, del
giusto e del retto, ribadita poi nel poemetto neoclassico Urania (1809).
A Parigi egli frequentò i più importanti fra i nuovi ideologi, intesi ad orientare i
principi illuministici, dopo le delusioni della Rivoluzione, verso una sensibilità
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romantica, più rispettosa della tradizione e della storia. Importante fu soprattutto
l’amicizia con Claude Fauriel, il principale storico del gruppo, seguace dello
storicismo tedesco, che rafforzò nel poeta l’amore della storia e lo scrupoloso
rispetto dei fatti, che tanta parte avrà nella struttura delle sue opere maggiori.
Frattanto, nel 1809, il Manzoni aveva sposato Enrichetta Blondel, di religione
calvinista, una donna di elevata virtù morali. Il matrimonio segnò l’inizio del
travaglio spirituale che portò il poeta dal deismo al razionalismo illuministico al
ritorno alla fede cattolica, e fu certo intenso e profondo, anche se egli, col pudore
che era in lui caratteristico, non ce ne ha lasciato precise testimonianze. La
conversione, l’avvenimento senza dubbio più importante della sua vita di uomo e
di poeta, avvenne nel 1810 dopo quello della moglie, e che non fu
un’illuminazione improvvisa, ma un fatto a lungo meditato, il coronamento di tutta
la sua precedente storia spirituale. La fede cattolica consentì infatti, al Manzoni di
ancorare ad una verità, che egli sentì assoluta, le sue esigenze morali, di placare la
sua ansia etico-religiosa nella certezza di una fede comune, radicata nella
coscienza popolare da secoli. Non lo portò a rinnegare i suoi ideali illuministici di
libertà, uguaglianza, fraternità e giustizia, né la sua critica recisa alle forme retrive
delle lettere, della politica, del costume, né la sua concezione della letteratura
come mezzo di edificazione spirituale; gli consentì, anzi, di fondare più saldamente
questi principi, non più sull’astratto razionalismo, ma su una fede che fosse slancio
totale della persona e che gli desse, di là delle delusioni del presente, la certezza
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nell’immancabile trionfo del bene e d’un intervento divino nella storia degli
uomini.
La conversione accompagna il nascere della grande poesia manzoniana. Ritornato
in Italia nel 1810, il poeta visse stabilmente fra la sua casa di Milano e le sue ville
di Brusuglio e di Lesa, immerso nel lavoro.
Il suo grande periodo creativo è compreso negli anni fra il ’12 e il ’27.
Dal ’12 al ’15 compose i primi quattro Inni Sacri, ai quali ne aggiunse un quinto
nel ’22 la Pentecoste, la sua prima tragedia Il Conte di Carmagnola e dal ’20 al ’22
la seconda, L’Adelchi: nel’21 le due grandi Odi politiche, Marzo1821 e il Cinque
Maggio.
Il Manzoni partecipò sebbene la malferma salute lo tenesse lontano da ogni
impegno pratico alla passione politica del Risorgimento.
Nonostante il suo cattolicesimo fu avverso al potere temporale dei Papi e convinto
assertore dell’idea Roma capitale d’Italia, e soprattutto della necessità della
risoluzione del problema nazionale in senso unitario. Ancora più importante fu la
battaglia che egli combatte per portare la nostra letteratura ad un livello moderno
ed europeo e, nello stesso tempo nazionale e popolare. Riconoscendo il popolo
come protagonista della storia, volle, nella sua opera, interpretarne l’animo e gli
ideali, educarlo ad acquistare piena consapevolezza di sé, moralmente e
politicamente, congiungendo alle comuni tradizioni cattoliche i nuovo ideali di
libertà e di giustizia del Risorgimento, in tal modo la sua opera si allineava a quella
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![Page 12: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/12.jpg)
dei nostri primi Romantici, ossia degli uomini raggruppati attorno al Conciliatore,
esprimendone però le aspirazioni in forma poeticamente più valida e destinata
quindi ad una diffusione maggiore. Col 1827 l’attività creativa del Manzoni si
concluse definitivamente., e si limitò in seguito quasi soltanto alla correzione del
romanzo, che uscì in edizione definitiva nel’41.
La poetica manzoniana
Dalla sua prima educazione illuministica il Manzoni trasse gli ideali che rimasero
in lui sempre vivi, pur armonizzandosi successivamente con la sua adesione alla
cultura romantica e alla fede cattolica, di democrazia, di libertà e, soprattutto, di
giustizia.
L’amicizia col Cuoco e i contatti con gli ideologi francesi lo distolsero dall’astratto
intellettualismo illuministico, facendogli sentire l’esigenza di calare i suoi ideali in
una visione storica più matura, fondata sullo studio delle tradizioni e dell’anima
del popolo. L’indagine storica rivelò al Manzoni, fuori da ogni astrattismo
dottrinale, la centralità nella storia delle masse così a lungo oppresse e spregiate, lo
spinse a rigettare i falsi miti della potenza, di un “eroismo”, che, a ben guardare,
altro non era se non un tentativo di giustificare ideologicamente l’ingiustizia, la
sopraffazione, il concetto assurdo e colpevole e di una fatale disuguaglianza fra gli
uomini.
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Queste esigenze liberali e democratiche trovano il loro coronamento nel ritorno del
poeta al Cattolicesimo, nel quale egli vide la radice dei più nobili ideali umani. La
rivelazione di Cristo gli apparve come la fondamentale rivelazione dell’uomo a se
stesso, e quindi il principio di ogni vera moralità e civiltà; il dolore e il male,
tragicamente presenti nella storia, gli apparvero derivati dall’oblio del messaggio
cristiano, non da una legge fatale d’infelicità.
La professione di fede del Manzoni ebbe una sostanza moderna e progressiva che
la portò a denunciare ogni contaminazione tra la religione e gli interessi materiali,
cioè ogni tentativo delle classi dirigenti di giustificare, con una presunta difesa dei
principi religiosi i propri privilegi di casta. La meditazione della storia lo portava a
comprendere meglio l’uomo nella sua vita sociale e nell’intimità della sua
coscienza.
Nella storia egli ritrovava su uno sfondo più vasto, lo stesso dramma di peccato e
redenzione che si svolge nell’anima del singolo, vedeva in essa nonostante il
frequente trionfo di ideali ingannevoli, contrari allo spirito cristiano, la presenza
amorosa di un Dio Provvidenza, che vi svolge un suo piano di redenzione e di
finale trionfo del bene. Forte di questa persuasione il Manzoni giunge da un lato a
superare il pessimismo suscitato in lui dalla visione della presenza sempre
incombente nel mondo del dolore e del male, dall’altro a considerare la storia e la
vita dell’uomo, anche nei momenti apparentemente più umili ed insignificanti non
come un cammino verso il nulla ma come conquista dell’eternità.
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![Page 14: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/14.jpg)
In una schematica dichiarazione del 1823 il Manzoni affermava che la poesia deve
proporsi “il vero per oggetto, l’utile per iscopo e l’interessante per mezzo”. L’utile
coincideva, per lui, come la moralità, in senso rigorosamente cristiano. La poesia
doveva avere un valore formativo delle coscienze, essere meditazione sull’uomo,
sulla sua anima, sulla sua vita, che il Manzoni vedeva incentrata sul dramma di
peccato e redenzione, secondo la fede religiosa. Questo era il vero che il poeta
doveva sentire e meditare, un vero oggettivo, universalmente valido. La fede
religiosa faceva rendere il Manzoni “verso un’arte vera che avesse per oggetto,
cioè la realtà umana, che aderisse alla vita per diventare a sua volta strumento di
vita, patrimonio di civiltà per tutti”.
Il Manzoni rigettava il romanticismo lirico e individualistico, che attribuiva
importanza fondamentale al sentimento, o meglio, alla passione, intesa come
presentimento dell’infinito; intendeva, anzi, risalire di là dal dramma dell’io e della
passione ai supremi valori spirituali trascendenti al Dio cristiano.
Nasce di qui il realismo manzoniano, che vede nella storia la fonte più alta
dell’ispirazione poetica. Il vero perseguito dalla poesia doveva essere il vero
storico, la meditazione di ciò che gli uomini operano e sentono, del loro cammino
nel mondo, proteso, pur tra cadute ed errori, verso una meta più alta, illuminato
dalla Provvidenza e dalla Grazia.
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![Page 15: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/15.jpg)
L’aspetto più interessante della meditazione manzoniana sull’arte è il tentativo di
distinguere il vero poetico dal vero storico, di ritrovare un ambito specifico e una
finalità propria della poesia.
Lunga e travagliata fu la sua meditazione su questo punto, con frequenti
oscillazioni di pensiero. Egli pensò che mentre lo storico deve darci la conoscenza
dei fatti, la loro concatenazione e la loro successione cronologica, il poeta,
mediante la sua profonda conoscenza del cuore umano deve risalire da essi alla
coscienza che li ha generati, di trovare nell’anima dell’uomo il significato della
storia. Il vero storico serviva dunque al poeta come mezzo per ritrovare la autentica
verità della psicologia umana e la radice e il significato della vita.
“Più si va addentro a scoprire il vero nel cuore dell’uomo e più vi si trova
poesia”: la grandezza e la novità della poesia manzoniana, è infatti, in questa
capacità di scavo interiore della coscienza, che l’adesione alla storia distacca
dall’individualismo solitario, conducendo l’autore alla scoperta della serietà e
dell’importanza della vita quotidiana e della dignità di ogni persona, anche della
più umile. Le formulazioni più importanti della poetica manzoniana appartengono
al periodo del più intenso fervore creativo. La prefazione al Carmagnola e la Lettre
à Monsieur Chauvet sur l’unitè de temps et de lieu danss la tragèdie, combattendo
l’assurdità delle “regole” aristoteliche, insistono sul fatto che il poeta deve proporsi
una rappresentazione il più possibile genuine e meditata della verità storica e
psicologica. La poetica del Manzoni giunge alla sua piena maturazione negli anni
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![Page 16: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/16.jpg)
della composizione dei Promessi Sposi che rappresentarono la fondazione di una
nuova narrativa, nazionale e popolare nel contenuto e nelle forme.
I Promessi Sposi
I Promessi Sposi sono l’espressione definitiva della concezione manzoniana della
vita, di quella tensione spirituale che aveva caratterizzato fin dall’inizio la sua
attività culturale e poetica e la sua stessa testimonianza cristiana.
Nel romanzo assistiamo ad un rasserenamento che nasce da un’approfondita
visione umana e religiosa, e che, senza indulgere mai a un facile ottimismo,
approda a un’attesa più fiduciosa del trionfo del bene anche sulla terra. Rispetto
alla tragedia, il romanzo rappresenta una svolta decisiva della poetica manzoniana:
non vi è più in esso, un’invenzione rigorosamente condizionata da evento storici
precisi, ma una vicenda del tutto immaginaria, quella di Renzo e Lucia, ancorata
tuttavia al reale, immersa nei costumi storici di un’epoca ben definita, colta nella
concretezza del suo spirito e della sua civiltà. I romanzi storici erano allora di
moda, e celeberrimi erano quelli di Walter Scott; ma mentre in essi la storia era un
pretesto di narrazione avventurosa e pittoresca, il Manzoni intendeva di applicarsi
a considerare nella realtà il modo di agire degli uomini in ciò che esso ha di
opposto allo spirito romanzesco, di risalire cioè dal vero storico al vero morale.
Voleva, insomma, cogliere, attraverso una visione attenta e circostanziata del suo
agire, la psicologia dell’uomo e la lotta continua che si svolge nella sua coscienza
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![Page 17: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/17.jpg)
fra il bene e il male. Il romanzo diventa così per lui un romanzo d’idee, un
meditazione sulla condizione umana nel mondo.
In questo ambito, il romanzo storico manzoniano rivela un’ispirazione nuova
rispetto alle tragedie. Là il popolo appare nello sfondo, visto come una massa
amorfa e sofferente, destinata non ad agire ma a subire la storia, “fatta” dai potenti,
anche se ad essi il poeta indicava, come unico mezzo di salvezza e di redenzione
da un mondo di sangue e di violenze, l’essere collocati dalla “provvida sventura”
fra gli oppressi.
La novità dei Promessi Sposi è, invece, la scoperta che anche i volghi spregiati
collaborano alla storia, e in modo, sostanzialmente più importante dei “grandi”
perché con la loro umile fede e la loro mansuetudine, e con la loro sete di giustizia,
sono meglio disposti ad accogliere il messaggio cristiano, e quindi capaci di attuare
la vera civiltà, che, è per il Manzoni, coincide con l’affermazione integrale dello
spirito del Vangelo.
Gli Inni Sacri
Dopo la conversione, il Manzoni ripudiò la sua attività letteraria precedente come a
sottolineare la rinascita della sua anima nella Grazia e il radicale impegno cristiano
della sua poesia rinnovata.
Primo frutto di essa furono gli Inni Sacri. Aveva stabilito di comporne dodici, che
celebrassero le festività maggiori del calendario liturgico, ma ne compose solo
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![Page 18: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/18.jpg)
cinque: La Risurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, e La
Pentecoste.
C’è negli Inni una parte “storica”, cioè la rievocazione del mistico evento, come un
fatto accaduto storicamente un giorno, e tuttavia perennemente attuale, nel senso
che si ripete ogni volta nella celebrazione liturgica, e riacquista il proprio valore
attivo e dispensatore di Grazia. Ma nello stesso tempo, esso è visto attraverso
l’animo dei fedeli che , uniti nella preghiera, sentono e vivono il miracolo della
presenza divina e ne ricavano un significato che illumina la vita.
La parte poeticamente più viva degli Inni è quest’ incontro tra umano e divino,
questo sentire l’esistenza santificata della presenza di Dio. Nasce di qui quello che
è stato definito il tono “democratico” di essi : non le personalità eroiche e
aristocratiche, non i momenti e le esperienze eccezionali interessano al poeta, ma
tutta la vita, che è grande se vissuta con la ferma coscienza del dovere e rivolta alla
liberazione del peccato e al trionfo del bene. Dietro l’esistenza più umile, il
Manzoni sente la presenza di un dramma che si prolunga nell’eternità; anche nei
diseredati e negli oppressi egli vede l’uomo fatto a somiglianza di Dio, oggetto
della sua passione e della Redenzione: avverte, insomma, la suprema dignità della
persona umana. Gli Inni Sacri sono una lirica nuova, oggettiva e corale. In essi il
Manzoni non rappresenta un’esperienza individuale, non allude ai momenti della
sua conversione, non esprime un’esperienza solitaria, ma si fonde con gli uomini
nella coralità della preghiera.
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![Page 19: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/19.jpg)
GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi nacque a Recanati, nel 1798, dal conte Monaldo e da
Adelaide Antici. Il padre amante degli studi, ma di ingegno mediocre, era un uomo
pieno di pregiudizi e di scrupoli. La mamma, era intenta con severa disciplina a
restaurare il dissestato patrimonio domestico. In quell’ambiente familiare, gelido,
immobile, privo di slancio, il giovane si era rifugiato in una sua oasi di sogni, in
uno splendido mondo interno da cui doveva poi fatalmente generarsi, in contatto
con la realtà, il suo pessimismo, ma anche la sua inconfondibile voce poetica.
Giacomo trascorse la prima giovinezza in una serie smisurata di letture; una cultura
nata tra gli scaffali della biblioteca paterna, con qualcosa di vecchio, di inutile; con
una curiosità particolare per gli argomenti peregrini e bizzarri, con lacune
inavvertite e gravissime; una cultura di cui ci restano testimonianze, sermoni sacri,
recensione di testi classici, dissertazioni storiche, compilazioni.
In quegli studi il poeta perse i suoi migliori anni, sino a ritrovarsene compromessa
la sua salute. Il forzato abbandono degli studi (culminato nell’anno 1819 con una
infermità agli occhi) accentuò quel processo interiore di conversione filosofica e
letteraria che già si era iniziato sui diciott’anni, ed aveva spinto il Leopardi ad
abbandonare la fede religiosa cattolica per una concezione rigidamente
meccanicistica, e l’erudizione minuta per un incontro più libero ed aperto con la
poesia. Il periodo in cui si maturò e giunse a compimento questa crisi giovanile,
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![Page 20: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/20.jpg)
cioè il periodo che va dal 1816 al 1822, fu tra i più intensi della sua vita; egli
accoglie e formula in quel tempo, con una coerenza ed una consapevolezza del
tutto ignorata dal Foscolo, i principi di una dolorosa e pessimistica concezione del
mondo.
Egli tenta in quegli anni una fuga da Recanati, quasi una ribellione estrema ed
eroica dell’animo prima di soggiacere alle conclusioni della ragione; tentativo che
fu troppo facilmente scoperto e lasciò nel suo animo uno sconforto ed
abbattimento grandissimo, lo spegnersi di ogni volontà e desiderio, l’abbandono di
tutto se stesso alla noia, alla sensazione prima e fondamentale dell’uomo quando
egli abbia oltrepassato le soglie della giovinezza; egli incontra, al di là dei volumi
della biblioteca paterna, le prime voci della nuova letteratura, l’Alfieri, il Foscolo,
il Goethe, lo Chateaubriand; e stringe un’amicizia epistolare con Pietro Giordani,
che gli fu di conforto e di ammaestramento, e per primo rivelò al mondo la
grandezza “spaventevole” del suo giovane amico. Ma già in quegli anni medesimi
egli perviene ai motivi più profondi della sua ispirazione, e conquista e risolve il
suo mondo interiore in poesia, con i componimenti che vanno dall’Infinito alla
Vita solitaria.
Nel 1822 ottiene dal padre il permesso di soggiornare per alcuni mesi a Roma; ma
il mondo, anche al di là delle mura di Recanati, non poteva ormai rivelarsi che
vano e ridicolo, come i decrepiti e presuntuosi letterari della capitale. Ritornò a
Recanati e vi rimase per più di due anni, intento alla composizione delle Operette
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![Page 21: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/21.jpg)
morali. Nel 1825 accettò l’invito dell’editore milanese Antonio Fortunato Stella,
che gli offriva di curare l’edizione di alcuni classici latini ed italiani. Visse a
Milano, a Bologna, a Firenze, attendendo con scarso entusiasmo e profitto alla
nuova attività editoriale. La sua voce poetica dopo i primi felicissimi “idilli”,
sembrava ormai spenta, in una freddezza ed aridità che appariva più grave del
pessimismo medesimo.
Soltanto a Pisa, nella primavera del ’28, avvertì di nuovo la capacità di
commuoversi e concedersi al canto; e ne nacquero il Risorgimento e la lirica A
Silvia. Per le aggravate condizioni fisiche dovette sciogliersi da ogni impegno con
Stella; ritornare a Recanati, rinchiudersi in sedici mesi di “notte orribile”, come
egli stesso ne scrisse. Ma proprio nel borgo di Recanati, in quelle strade, in quel
cielo, in quelle immagini della natura, il Leopardi, ormai rinato alla poesia,
rinveniva la materia prima del suo poetare, i ricordi ed i luoghi dell’infanzia, i
dolci moti dell’età prima.
Solo nell’aprile del 1830 egli usciva da Recanati, inducendosi ad accettare, in
qualità di anticipo sui proventi di un’edizione dei Canti, una somma offerta, senza
palesare il suo nome, dall’amico Pietro Colletta. A Firenze conobbe un giovane
esule napoletano, Antonio Ranieri, ardente e fervido di entusiasmo; ed a lui si legò
con un amicizia che si concluse in un progetto di vita in comune. A Firenze il
poeta incontrò anche la sua più notevole esperienza amorosa, non più soltanto un
sogno od una speranza d’amore, come quelli della sua giovinezza, ma una passione
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![Page 22: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/22.jpg)
accolta e vissuta con tutto l’animo; e troncata ben presto dal disinganno. Nel 1833
il Ranieri ritornò a Napoli; ed il Leopardi, a cui la famiglia aveva ormai concesso
un assegno mensile, lo seguì sperando di trovare sollievo dal nuovo clima.
A Napoli egli visse gli ultimi anni, assistito dall’amico e dalla sorella di
quest’ultimo. Nel poeta urgeva forse il bisogno di superare la desolata solitudine,
di offrire agli uomini un suo messaggio, una parola fraterna e coraggiosa. Ma il
nuovo motivo della poesia leopardiana, così coerente con il tono più consolatore
dei Canti, era destinato a rimanere più accennato che poeticamente compiuto. Nel
1837, il 4 giugno, il poeta, che aveva visto a Napoli aumentare senza speranza le
proprie sofferenze, cedeva ad un attacco di asma.
Le Opere
Dal furore erudito della prima giovinezza non derivarono opere di un qualche
valore positivo. Quella moltitudine di scritti rivela una dottrina straordinaria, una
stupefacente capacità di lettura e di studio, ma non ancora una maturità
consapevole, una capacità sicura di giudizio e di sintesi.
L’interesse dei lettori moderni potrebbe apparire quasi ozioso, se non fosse il
fascino di qualche argomento, che appare vicinissimo alla sensibilità particolare
della poesia leopardiana. La compilazione di una Storia dell’astronomia,
strabocchevole di notizie e di date, non provoca in noi soltanto una facile
stupefazione, perché non ci sembra privo di significato il fatto che il giovanetto
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![Page 23: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/23.jpg)
abbia dedicato tanta parte della sua adolescenza a studiare la storia delle
osservazioni celesti, i viaggi stellari degli uomini antichi e moderni; la
compilazione, sui diciassette anni, del Saggio sopra gli errori popolari degli
antichi, suscita in noi ancor maggior interesse, per quelle indagini peregrine sui
sogni, sulle paure, sui fantasmi, sulle superstizioni e gli sgomenti dei popoli
antichi. Il furore produttivo dei primi anni continuò anche dopo la conversione
poetica, con un’abbondanza straordinaria di versioni e di rifacimenti; da Mosco, da
Omero, da Esiodo, da Virgilio; sino al 1818, in cui il Leopardi affrontava
criticamente, con il Discorso di un italiano, il problema dell’arte romantica. Subito
dopo, con la gravissima crisi fisica del ’19, si placa e quasi si spegne il furore delle
opere varie. Nel ventennio successivo il poeta perverrà ai suoi capolavori, alla
poesia dei Canti e alla prosa delle Operette, ma non più alla fertilità operosa della
giovinezza. Da quegli anni il poeta affida ai suoi quaderni solo una serie di
appunti, minute, pensieri ed osservazioni, immagini poetiche, moti dell’animo.
E’ questo lo Zibaldone, il suo fitto diario quotidiano in sette volumi manoscritti.
Le poche opere culturali posteriori al 1818 sono esclusivamente dovute agli
impegni con l’editore Stella, dal commento alle Rime del Tetrarca alla
Crestomazia italiana, alla versione del Manuale di Epitteto.
Ma già dal 1818 datano le prime liriche significative della poesia leopardiana, le
due canzoni All’Italia e Sopra il monumento di Dante, con cui si apre la raccolta
dei Canti. Alle due poesie patriottiche seguirono, negli anni che precedettero il
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![Page 24: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/24.jpg)
breve soggiorno in Roma, i cosiddetti “primi idilli”, cioè l’Infinito, Alla luna, La
sera del dì di festa, Il sogno, La vita solitaria; ed il gruppo delle canzoni
filosofiche, o di stile, come egli volle chiamarle, difficili per la concentrazione del
pensiero e del linguaggio, tra le quali il Bruto minore, Alla primavera o delle
favole antiche, l’Ultimo canto di Saffo, l’Inno ai Patriarchi.
Il lungo silenzio poetico che seguì a questa fioritura fu interrotto solo una volta,
con il canto Alla sua donna, nel quale il poeta vagheggia un’immagine ideale ed
astratta della perfezione femminile, un fantasma puro dell’animo, inesistente e
irraggiungibile sulla terra. Cede all’inizio di questo periodo di silenzio, e più
precisamente al 1824, la composizione di quasi tutte le Operette morali. Le
Operette sono una raccolta di ventiquattro scritti di argomento largamente
filosofico: considerazioni sull’ineluttabile dominio del male, sulla vanità di ogni
vita e di ogni speranza, sulla miseria universale del cosmo.
Le Operette si presentano quasi tutte in forma dialogica, con interlocutori
piuttosto strani e remoti, attinti alla mitologia o alla fantasia (Storia del genere
umano; Elogio degli uccelli; Dialogo d’Ercole e di Atlante; della Moda e della
Morte…). L’ispirazione poetica si rinnovò nel 1828 e continuò sino a tutto il 1830,
con i componimenti più felici della produzione leopardiana (i cosiddetti “secondi o
grandi idilli”, cioè il Risorgimento, che documenta il rinascere del Leopardi alla
commozione poetica, A Silvia, Il passero solitario, Le ricordanze, La quiete dopo
la tempesta, Il sabato del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante
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![Page 25: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/25.jpg)
nell’Asia). Seguirono un gruppo di canti ispirati dalla passione amorosa, tra i quali
Il pensiero dominante, Amore e morte, A se stesso. Nell’anno che precedette la
morte il Leopardi compose, a Napoli, la Ginestra o il fiore del deserto, che è la
sua lirica di più vaste proporzioni, e deriva dalla contemplazione della forze di
struggitrici del Vesuvio e delle rovine sulle quali fiorisce l’umile pianta, e il
Tramonto della luna.
Appartengono al periodo napoletano anche un piccolo gruppo di opere minori, dai
Paralipomeni della Batracomiomachia, con i quali il Leopardi finse di completare
il poemetto attribuito ad Omero e descrisse in forma allegorica, con accento
satirico, le tristissime condizioni della penisola e le disordinate insurrezioni dei
patrioti, ai Pensieri, in cui sono raccolte un centinaio di meditazioni morali e
filosofiche. Alle opere che abbiamo sommariamente citate è da aggiungere
l’amplissimo Epistolario.
Il Pensiero
Alle origini del pensiero leopardiano è la consueta contraddizione, che noi già
conosciamo, tra le aspirazioni profonde e nuove a scorgere un significato ed un
fine spirituale nella vita e la concezione meccanicistica della realtà. Ma laddove il
Foscolo rinviene, di sull’iniziale pessimismo, la forza per ricostruire a se stesso i
valori dello spirito, il pessimismo leopardiano si fa invece sempre più complesso
ed amaro, sino ad investire le radici stesse dell’esistenza. Non si tratta di una
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![Page 26: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/26.jpg)
organica e sistematica concezione filosofica, come si amò a lungo credere, perché
niente di rigoroso e logicamente giustificato è possibile dedurre dagli scritti
leopardiani; ma di un atteggiamento sentimentale e soggettivo, o meglio di uno
stato d’animo, che si fece col tempo sempre più lucido e consapevole, e si illuse a
volte di tradursi in termini filosofici. Tuttavia, pur non essendo possibile elevare la
concezione leopardiana a sistema universale di verità, è possibile riconoscervi un
certo svolgimento, dalla primitiva consapevolezza della vita umana come dolore al
giudizio negativo sul cosmo intero.
La vita appare al Leopardi dolore senza possibilità di conforto; dolore per
l’insaziabile brama di facilità e per le angosciose domande senza risposta che
rivolgiamo all’universo. Causa prima del male la nostra ragione, con la quale
pretendiamo di indagare i misteri dell’esistenza e ci foggiamo ideali e sogni
sempre superiori al mondo reale; e la memoria, nella quale è la radice prima della
noia. L’unica età immune dal tedio è l’adolescenza, l’età dei sogni luminosi, degli
occhi liberi e vergini dinanzi alle meraviglie del mondo, l’età in cui i colori stessi
delle cose appaiono più nuovi e più vividi, in cui la capacità di vedere, l’ “idillio”,
è ancora intatta nel cuore. Più tardi con la giovinezza, all’apparire del vero, i sogni
si disperdono, gli inganni si rivelano vanità senza costrutto.
Alla riflessione del Leopardi può apparire in un primo tempo, che gli uomini
primitivi, liberi dal tarlo della ragione, abbandonati alla vita irriflessiva e istintiva,
abbiano potuto attingere, come i fanciulli, la felicità o almeno la speranza di essa;
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![Page 27: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/27.jpg)
concezione, come ognun vede, di derivazione illuministica, anche se di un
illuminismo negativo, di un illuminismo che non conduce all’esaltazione dei tempi
presenti ma al disprezzo e all’irrisione. Ma questo primo aspetto del pessimismo
leopardiano è superato da una concezione negativa dell’intero sistema naturale.
Chi può essere incolpato della felicità umana se non la Natura stessa che in noi
creò la ragione? La Natura non è la madre benefica degli esseri ma la matrigna
spietata, anzi una forza misteriosa ed impassibile che ignora le sue stesse creature e
le travolge senza conoscerle verso il nulla. Non solo l’uomo moderno è infelice,
ma l’uomo sempre e dovunque, per la sua stessa costituzione; e non l’uomo
soltanto, ma dovunque e comunque ogni essere vivente. Il cosmo intero è male,
gran mole immensa senza una ragione o un significato; il non essere è migliore
dell’essere.
Da questa visione del mondo derivò nel Leopardi quella solitudine che già
abbiamo notato, quella sua incomprensione della civiltà contemporanea, quel
sentirsi estraneo ed indifferente di fronte alle speranze più generose del secolo; di
qui la sua irrisione per i tentativi ed i sogni dei liberali e l’atteggiamento distaccato
della sua esperienza letteraria; senza che per questo egli possa in alcun modo
essere confuso con gli astiosi conservatori dell’epoca, così nel campo della politica
che in quello delle lettere.
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![Page 28: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/28.jpg)
Le “Operette Morali”
La prima impressione che noi riceviamo dalle Operette è quella di un cattivo riso,
come disse il De Sanctis, di una freddezza solitaria, quasi il frutto di uno spirito
ostile e distaccato dalle ragioni degli uomini. Le Operette possono apparire come il
momento del tutto negativo del Leopardi, l’opera in cui il poeta non solo espone le
proprie concezioni filosofiche ma ironizza, con un tono sdegnoso e polemico, su
chi sente e vive diversamente, e si abbandona con l’istinto alla gioia dell’esistere;
ciò che è esattamente il contrario della poesia, se la poesia scaturisce dalla fede e le
Operette, non che esserne prive, vorrebbero toglierla anche a chi di questa fede pur
vive. Senonchè, anche tenendo presenti queste osservazioni, non è possibile
sottrarsi al fascino che le Operette esercitano sul lettore.
La solennità degli argomenti, la sconsolata freddezza che vi si avverte, lo stile ed il
linguaggio di una composta perfezione, turbano e rapiscono il lettore in
un’atmosfera rarefatta e lontana. Sembra, leggendo quest’opera, di entrare in
contatto con un essere che si sia ormai distaccato – anche materialmente – dalla
vita, di udire la parola non di un vivente, con le sue passioni e i suoi dolori e le sue
ire, ma di una gelida ombra sapientissima.
Quest’impressione si accentua in modo straordinario quando ci avviciniamo agli
unici versi che accompagnano le Operette, cioè a quel mirabile Coro dei Morti con
cui si apre il Dialogo di Federico Ruysch. I morti, che pur giacciono nel nulla
assoluto, serbano nel Coro quel tanto di coscienza che basta ad essi per esprimere
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![Page 29: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/29.jpg)
la pace suprema del non essere, quella loro ignoranza attonita e completa
dell’esistenza terrena, di quel “punto acerbo” ed “ arcano” che fu per essi la vita.
Versi di una perfezione astrale ed immobile, in cui la vita è veramente contemplata
da una lontananza senza confine; senza possibilità alcuna di proseguimento o
sviluppo; estremo tentativo di risoluzione nel canto della meditazione leopardiana.
Sul significato artistico delle Operette si è soffermata con maggior attenzione la
critica più recente, ed ha presto avvertivo, accanto al fascino delle pagine più
solenni, la bizzarria di alcune di quelle invenzioni, l’aerea stranezza di alcuni di
quei dialoghi,in cui davvero il pessimismo è solo un dato anteriore, un fatto già
compiuto e indiscusso; non più motivo di ragionamento ma un occasione da
risolversi in favola, in paradosso, in bizzarrie umoresche e peregrine. In pagine
come quelle del Dialogo d’Ercole e di Atlante, del Dialogo di un Folletto e di uno
Gnomo, del Dialogo della Terra a della Luna, l’interesse filosofico appare
veramente dissolto nel gioco fantastico , nello stile del dialogo.
Anche la prosa leopardiana, quasi sempre sostenuta e freddamente lavorata, si
risolve, nelle operette migliori, in una limpidità incantata o addirittura sognante,
come nel bellissimo dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.
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![Page 30: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/30.jpg)
Test
Si sviluppino le seguenti tematiche:
1) Cosa si intende per periodo Romantico.
2) Quali sono le tematiche nuove che il movimento Romantico introduce
nell’ambito letterario e quali conserva e trascina del passato Illuminismo.
3) Cosa si intende per romanzo storico.
4) Quale relazione forte intercorre tra l’uomo e Dio nel pensiero Manzoniano.
5) Quale valenza ha l’ultraterreno e l’ignoto nel pensiero leopardiano.
6) L’uomo e il suo mondo: aspetti intimistici della poesia del Leopardi.
7) Il Romanticismo leopardiano e manzoniano: affinità e divergenze.
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![Page 31: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/31.jpg)
II UNITA’: L’uomo tra ombra e realtà.
Prerequisiti:
- Conoscenza delle nuove tematiche del Romanticismo
- Conoscenza degli aspetti socio-politici dei primi dell’Ottocento.
- Capacità elaborativi di contestualizzazione e di critica.
Obiettivi:
- Acquisizione del concetto del “vero storico”.
- Acquisizione concetto di esistenza come continuo trapasso.
- Acquisizione del nuovo rapporto uomo/ natura.
- Acquisizione del concetto di destino, volontà e Provvidenza.
Si studieranno:
- La poetica del Verismo e Giovanni Verga.
- Giovanni Pascoli.
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![Page 32: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/32.jpg)
Il Naturalismo francese e la poetica del Verismo
Le nuove istanze positivistiche e realistiche della nostra cultura vennero portate
alle conseguenze più rigorose del Verismo, il movimento letterario la cui poetica si
venne elaborando tra il ’70 e l’80 e le cui opere più significative furono pubblicate
nel decennio successivo.
Letterariamente esso è legato al Naturalismo francese del Maupassant, dello Zola,
dei Gongourt, ma risente anche l’influsso del realismo inglese, di quello russo di
Tolstoi e Dostoevskij, e del precursore del Naturalismo francese, il Balzac.
Questi avevano detto che il romanziere deve ispirarsi alla vita contemporanea,
studiando l’uomo quale appare nella società, e aveva rappresentato la società
capitalistica, con un nuovo interesse per il fattore economico. Procedendo su
questa linea e rafforzandola con le idee positivistiche, il Naturalismo si era
proposto uno studio scientifico della società e della psicologia dell’uomo,
rigettando ogni idealismo e studiando di preferenza i ceti più umili, che, per le loro
reazioni psicologiche elementari, meglio sembravano prestarsi ad un’analisi
scientifica oggettiva.
Lo Zola, ad esempio in Germinale, aveva rappresentato le condizioni disumane di
vita dei proletari di un distretto minerario abbrutiti dalla miseria, ma anche le loro
prime sommosse sociali, i primi scioperi. Nella psicologia dell’uomo egli vede dei
caratteri uguali e costanti,. Come quelli degli altri fenomeni della natura, ne vedeva
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![Page 33: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/33.jpg)
svolgersi deterministicamente il meccanismo di cause ed effetti. L’arte non
rinunciava alle finalità morali e sociali, ma si pensava che solo su una ricerca
scientifica rigorosa del vero potesse fondersi un miglioramento effettivo della
società.
Di qui parte il Verismo, sia pure con un interesse di rinnovamento sociale assai
meno deciso e attenuando l’analisi naturalistica dei fenomeni patologici, ma
trasferendo nell’arte il metodo della scienza e fondandosi sulla concezione
positivista della realtà. La sua poetica può essere riassunta nel concetto che l’arte è
lo studio disinteressato del documento umano. Di qui si vede la differenza fra esso
e il realismo romantico.
Per il Manzoni il vero era sempre illuminato da un’interpretazione religiosa o
idealistica della vita; nei veristi, invece, l’angolo visuale è materialistico e
scientifico. Antiromantico è poi soprattutto il canone dell’impersonalità: il verista
si propone di rappresentare la realtà oggettivamente, senza alcun intrusione
soggettiva, né di sentimenti, né di ideologie, procedendo dallo studio scientifico
dei fatti alla formulazione delle leggi che li determinano. Il Verga vagheggiava un
romanzo che “sembrasse essersi fatto da sé, aver maturato ed essere sorto
spontaneo come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto col suo
autore”.
L’importanza del Verismo va considerata nel contesto culturale del suo tempo.
Esso infatti, mentre rigettava il sentimentalismo romantico, ormai banalizzato, e il
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![Page 34: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/34.jpg)
romanzo storico estenuato e convenzionale, sviluppava le esigenze più profonde
del Romanticismo realistico. Suo fine era infatti una letteratura che fosse strumento
di conoscenza e diffusione del vero, considerazione critica delle strutture sociali
presenti, onde stabilire nuovi rapporti fra gli uomini e fondare la ricerca degli
ideali di libertà e giustizia fuori da ogni utopia, estendendoli a tutta la società e non
ad una piccola parte di essa.
Il Verismo è l’espressione più profonda della crisi che seguì all’Unità, quando
apparvero chiare le insufficienze della rivoluzione risorgimentale e le
contraddizioni del nuovo Stato italiano. Sotto l’aspetto della libertà e della
democrazia sopravviveva una struttura burocratica e poliziesca “inetta a produrre
una vera solidarietà delle forze sociali diverse, a immettere nella vita dello Stato,
come forza attiva e partecipe, le plebi meridionali, soffocate dall’ignoranza e da
un’inveterata consuetudine di rapporti feudali.
Per questo il Verismo ebbe come principali rappresentanti degli scrittori
meridionali, anche se il suo centro fu a Milano, la città dove si erano svolti i
movimenti illuministici e romantici, propugnatori di una cultura moderna ed
antiaccademica. Esso assunse un carattere regionale e dialettale adeguato al mondo
delle plebi del Mezzogiorno e delle isole, ancora chiuse in una civiltà arcaica, fra le
barriere di una secolare solitudine e di un secolare abbandono. Mentre però gli
scrittori realistici europei erano i portavoce di un’esigenza consapevole di un’intera
società, i nostri veristi dovevano interpretare il desolato silenzio di una moltitudine
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![Page 35: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/35.jpg)
inerte e miserabile estranea alla cultura e ai problemi della vita nazionale. Per
questo la loro opera appare più solitaria di quella degli scrittori europei, è un
inchinarsi pietoso sui diseredati, ma sempre un po’ distaccato, pessimistico e senza
slancio rivoluzionario: senza la fiducia razionale del progresso che fu propria del
positivismo ed espresse il sostanziale ottimismo con cui una borghesia saldamente
egemone contemplava una realtà sociale da lei stessa determinata. Tuttavia il
Verismo rappresentò il desiderio di rottura nei confronti di una tradizione letteraria
troppo spesso accademica ed estetizzante, la ricerca di un’adesione alla verità e di
uno stile semplice, diretto, legato alle cose e al parlato, tale da assorbire nella
lingua nazionale modi, forme e sintassi dialettali.
Il maggior teorico del nostro Verismo fu il catanese Luigi Capuana (1839-1915),
che fu anche autore di romanzi e di novelle. Rigorosamente legato alle teorie
naturalistiche fu Federico De Roberto nato a Napoli ma siciliano d’origine. Il suo
miglior romanzo, I Vicerè, è una vasta rappresentazione della vita sociale della
Sicilia, nel trapasso dal regno borbonico all’unità, con un’acuta analisi delle
contraddizioni etico-politiche di una rivoluzione mancata.
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![Page 36: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/36.jpg)
GIOVANNI VERGA
Il Verga nacque a Catania nel 1840 e in Sicilia trascorse l’infanzia e la prima
giovinezza. Qui scrisse i primi romanzi, Amore e patria, I carbonari della
montagna, Sulle lagune, primo e ancora incondito rivelarsi di una vocazione
narrativa, per la quale interruppe gli studi di giurisprudenza. Dal ’65 al ’71 visse a
Firenze, dove entrò in contatto col mondo letterario, strinse amicizia col Capuana e
scrisse i suoi primi romanzi di successo, Una peccatrice e Storia di una capinera,
la più fortunata delle sue opere minori. Passò poi a Milano dove conobbe Arrigo
Boito, il De Roberto, il Praga, frequentò i salotti letterari, partecipò alle discussioni
e alle polemiche delle varie tendenze e meditò gli autori del realismo e naturalismo
francese, Flaubert, Balzac, Zola,i Goncourt, maturando lentamente la sua
conversione al Verismo.
Proseguiva intanto la sua attività di romanziere incentrata sull’esperienza degli
ambienti borghesi elevati e oscillante fra una ricerca d’osservazione psicologica
realistica e una vena effettiva di un autobiografismo romantico. Ma nel’74
componeva la sua prima novella di ambiente siciliano e d’ispirazione veristica,
Nedda, alla quale seguirono, nei quindici anni successivi, i suoi capolavori: le
novelle di Vita dei campi, I Malavoglia, le Novelle rusticane, Mastro don
Gesualdo, il dramma Cavalleria Rusticana, riduzione teatrale della novella
omonima, che nell’84, interpretato da Eleonora Duse, ebbe grande successo.
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![Page 37: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/37.jpg)
Tutte queste opere erano ambientate in Sicilia, ed esprimevano con un linguaggio
essenziale e una tecnica ispirata al Verismo, il dramma della lotta per la vita, colto
nelle classi umili e diseredate. Meno felici sono invece, i racconti nei quali l’autore
si accosta alla vita delle plebi cittadine del Settentrione, raccolti in Per le vie,
Vagabondaggio ed altre, dove rappresenta la squallida vita dei guitti. Dal’93 in
avanti Verga si ritirò a Catania, dove visse per circa un trentennio in un silenzio
pressoché completo, amareggiato dall’incomprensione che circondava la sua opera.
Morì nel 1922.
Fu la sua una vita spiritualmente concreta e solitaria, dominata dalla sua passione
di scrittore. Nonostante il carattere schivo e la tendenza, nelle opere maggiori, a
calarsi totalmente nel racconto oggettivo, senza sfoghi autobiografici, l’arte fu per
lui costante e appassionata ricerca della verità, un guardare con occhio fermo e
coraggioso, ma intimamente desolato, il dramma della condizione umana.
Le idee e la poetica
Prima di aderire alla poetica del verismo, un’adesione peraltro, originale e
sostanziata di profonde ragioni, non solo letterarie, ma morali ed umane, il Verga
sembra ripercorrere il cammino della nostra narrativa ottocentesca. Infatti nelle sue
prime prove (I carbonari della montagna, Sulle lagune) ricalca i moduli del
romanzo storico, con echi frequenti del romanticismo dello Scott, del Byron, di
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![Page 38: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/38.jpg)
Dumas padre, in Una peccatrice, Storia di una capinera, Tigre reale, Eva, Eros,
appare legato al tardo romanticismo e alla Scapigliatura.
La materia di questi romanzi è passionale, l’ambiente è quello di una vita
borghese individualistica e raffinata, che nell’amore cerca un diversivo, una
romantica evasione alla piattezza del vivere quotidiano, un mondo di sensazioni
nuove ed intense; anche se, alla fine piomba nell’angoscia della passione delusa.
Ma già in essi l’ispirazione più genuina del Verga comincia a farsi strada pur
attraverso un fondo di torbido romanticismo autobiografico. Nelle pagine migliori
c’è, infatti, la tendenza a un’analisi psicologica obiettiva, volta a studiare con
sguardo lucido il meccanismo delle passioni; inoltre i personaggi e le loro vicende
romanticamente aristocratiche sono calati in un ambiente quotidiano, rappresentato
realisticamente, indicativo del contrasto che è nell’autore fra l’abbandono ai miti
romantici e un bisogno di verità più autentica. Questi romanzi saranno
caratterizzati da un senso di fatalità cupa, un pessimismo che sarà anche nelle
opere maggiori e da uno stile ancora sciatto e provvisorio ma deliberatamente
antiaccademico, attento alle cose e non alle parole.
I migliori tra questi romanzi sono Storia di una capinera ed Eva. Nel primo la
storia di un’educanda costretta dalla famiglia a farsi monaca, che, innamoratasi,
impazzisce e muore, consumata dalla tisi, fra le mura tetre di un convento, rivela
una sensibilità ultraromantica, ma presenta anche uno studio dell’ambiente ben
documentato e la ricerca di verità e di efficacia sociale.
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![Page 39: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/39.jpg)
Il secondo racconta, invece, la passione di Enrico Lantieri per la ballerina Eva; una
passione che conduce il giovane, abbandonato dall’amante, a morire di tisi e
passione nella natia Sicilia.
Anche qui accanto alla materia ultraromantica, appare un notevole realismo nello
studio della psicologia di Eva e nella considerazione del motivo economico che
incide in modo definitivo sulla vicenda amorosa. Nelle pagine finali, poi, la Sicilia
appare come l’approdo in un mondo più vero e un richiamo alla spontaneità della
natura e degli affetti domestici.
Alla Sicilia ritorna decisamente il Verga con la novella Nedda del’ 74 che
costituisce l’inizio della sua “conversione” letteraria, o meglio, la tappa decisiva
nella conquista del suo mondo poetico originale. E’ una storia di miseria e di
sventura: Nedda, una giovane bracciante siciliana, lavora duramente per mantenere
la madre ammalata; dopo la sua morte, cede all’amore d’un giovane povero come
lei, Janu, ma questi muore prima di poterla sposare e di stenti muore la bimba nata
dalla loro unione.
Il poeta adesso lascia parlare le cose e tutto ciò che segue il meccanismo delle
vicende, senza intrusioni soggettive dell’autore, ma cogliendo la concatenazione
necessaria. E’ motivo, questo tipicamente veristico, come l’adesione al mondo
della plebe, dei diseredati sfruttati ed oppressi da secoli e tragicamente rassegnati
al loro destino di sofferenza.
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![Page 40: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/40.jpg)
Alle romantiche individualità d’eccezione dei primi romanzi succedono ora
personaggi comuni, calati in un ambiente definito con scrupolo realistico, che
vivono e soffrono la lotta per la vita, dominata da una legge impietosa. Sono figure
corali, in quanto vivono una comune vicenda di dolore, e corale è la voce stessa
dell’autore, che sembra tradurre immediatamente il ritmo, la sintassi, le immagini
d’un racconto popolaresco.
Questo mondo di passioni elementari, di storie “vere”, di dolore “vero”, non nato
dalle artificiose costruzioni di una fantasia romantica ma dalla vita crudele ed
oppressiva, è rappresentato in tutte le opere rusticane maggiori del Verga, nelle
raccolte di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane, nei romanzi I Malavoglia e
Mastro don-Gesualdo. La poetica del verismo serve all’autore a ritrovare la verità
della vita e a rappresentarla senza intrusioni autobiografiche, come uno “studio,
dice egli, nella prefazione ai Malavoglia, sincero e spassionato”.
La breve introduzione a Nedda e a L’Amante di Gramigna, la novella
Fantasticheria e la prefazione ai Malavoglia, rivelano che l’adesione del Verga al
verismo costituì un approdo spirituale prima ancora che letterario. Il ritrovamento
della Sicilia, terra d’infanzia e di memoria, fu per lui un evadere “dalle
irrequietudini del pensiero vagabondo”, per ritrovarsi “nella pace serena di quei
sentimenti miti se4mplici, che si succedono calmi ed inalterati di generazione in
generazione”, un risalire alle ragioni profonde ed essenziali del vivere, una
riscoperta delle cose e del mondo. Rigettando la falsità di una società stanca e
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![Page 41: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/41.jpg)
decadente di ricchi borghesi, di gaudenti, di spostati ( quella raffigurata nei primi
romanzi), ritrovava nei suoi umili personaggi l’uomo, con le sue reazioni
elementari, i suoi dolori veri, la pena del vivere fondata su ragioni concrete,
economiche, la sua durezza implacabile. Ma quella Sicilia, riscoperta nella verità
dei suoi paesaggi e della sua gente, quella realtà economica impietosa, quei
diseredati curvi da sempre sotto un destino di miseria e di angoscia, divenivano
simbolo della condizione umana del mondo. La prefazione ai Malavoglia rivela
l’ambizione del Verga di fare della sua opera una rappresentazione e
un’interpretazione totale della vita dell’uomo. I suoi due romanzi maggiori
dovevano costituire l’inizio di un ciclo dei vinti, inteso ad esprimere la condizione
universale dell’individuo, proteso ad affermare se stesso in tutte le classi sociali e
in vari modi, “ dalla ricerca del benessere materiale alle più elevate ambizioni”,
cooperando, ma inconsapevolmente, al “cammino fatale, incessante, spesso
faticoso e febbrile che segue l’umanità per raggiungere la conquista del progresso”.
Ma il Verga sentiva che il progresso fatale della specie era costruito sull’infelicità
della persona; donde il suo tragico sentimento della vita e la pietà per i vinti, cioè,
sostanzialmente, per tutti gli uomini, condannati al dolore e alla morte, che
costituisce la sostanza profonda della sua poesia. Nonostante l’affermata
impassibilità veristica e il rifiuto di ogni ricerca metafisica in nome dio una pura e
obiettiva rappresentazione dei fatti, si avverte costantemente, nelle pagine
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![Page 42: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/42.jpg)
verghiate, l’angoscia del nulla in cui precipitano i dolori, le passioni, le speranze
degli uomini.
La morte sommerge implacabilmente l’ansia dei personaggi verghiani. Essa si
esprime soprattutto nel mito della roba, cioè nel desiderio di possedere, di
costruirsi, col duro lavoro, una fortuna, nel tentativo di dominare la avvita, la sua
legge oscura è implacabile, è nel mito del focolare domestico che è quasi un’oasi,
strappata al crudo determinismo economico della lotta per la vita, dove l’uomo può
sentirsi uomo nel culto di affetti semplici e puri. Ma tutto infrange e calpesta il
destino: i personaggi del Verga vivono la loro pena in una solitudine irreparabile,
quella dell’uomo in un mondi senza Dio, sommerso nel meccanismo impietoso di
una natura impassibile. L’unico valore che resta è la dignità umile ed eroica con
cui l’uomo sopporta il destino, senza vane ribellioni e senza viltà. E’ la dignità
austera dei pescatori d’Aci Trezza o di Mastro don Gesualdo, la loro
“rassegnazione eroica”.
All’originalità del mondo rappresentato fa riscontro nell’opera verghiana,
l’originalità dello stile antiaccademico, antiletterario, semplice ed elementare come
le reazioni psicologiche dei protagonisti e il loro modo di vedere le cose. Quello
del Verga è un linguaggio intimamente dialettale, non nel lessico ( che è,
comunque, un italiano ancor più svincolato dalla tradizione umanistico- letteraria
di quella del Manzoni), ma nella sintassi e nelle immagini che riflettono il discorso
mentale prevalentemente emotivo ed intuitivo degli umili personaggi popolari. Lo
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![Page 43: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/43.jpg)
scrittore, soprattutto nei Malavoglia, sembra anch’egli far parte di quel coro di
umili, essere una voce recitante che racconta la vicenda monotona ed implacabile
del loro destino. Una vicenda dolorosa, sottolineata dai mirabili paesaggi che a
tratti affiorano nel ritmo serrato e più frequentemente dialogato del racconto, e
sono visioni di una terra desolata ed arsa, di un mare sempre uguale nel suo
brontolio monotono, di campi fertili, gravati però dal senso della fatica dell’uomo e
dallo spettro della malaria; o, a volte, visioni di certe improvvise aperture di cieli
limpidi, di notti stellate che sembrano, per un istante, accennare ad una speranza di
felicità, dopo la quale l’uomo ripiomba nella sua deserta solitudine. Nei momenti
più intensi, dialogo e descrizioni si modulano in quella che è stata chiamata la
“mesta cantilena siciliana”, chiusa e rassegnata, vibrante di un dolore antico quanto
l’uomo. Quella del Verga è spesso una prosa con una cadenza d’epopea: quella
tragica e dolorosa del vivere.
Vita dei campi
La prima raccolta di novelle del Verga, Vita dei campi (1880), rivela la conquista
del suo vero mondo poetico: la Sicilia, gli umili. Fra essi l’autore trasferisce quelle
passioni che aveva prima rappresentato in ambienti mondani e raffinati. Ma in
questi esseri primitivi, che vivono la vita nella sua verità essenziale, esse
acquistano un tono fiero e generoso, una verità umana più autentica. Anche
l’omicidio passionale nasce da sentimenti austeri e profondi: l’amore e l’onore, la
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![Page 44: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/44.jpg)
difesa della santità del focolare domestico. Le novelle più celebri sono Cavalleria
rusticana, Jeli il pastore, Rosso Malpelo, La lupa. Interessanti sono anche
L’Amante di Gramigna, nella cui prefazione il Verga definisce la sua poetica, e
Fantasticheria, che espone in sintesi la vicenda e il significato dei Malavoglia.
I MALAVOGLIA
Il romanzo narra le vicende di una famiglia di pescatori, uniti nel culto religioso
della famiglia e del focolare domestico. Essi sono: padron ‘Ntoni, il nonno, uomo
onesto e saggio, rassegnato alla sua vita di stenti e di duro lavoro, inteso soprattutto
a mantenere l’affettuosa coesione dei suoi, suoi figlio Bastianazzo, la longa,
moglie di questo, e i nipoti ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia.
Per migliorare le loro condizioni i Malavoglia decidono di commerciare dei lupini,
presi a crediti dall’usuraio zio Crocifisso. Ma il mare ingoia la loro barca (la
Provvidenza”) che li trasportava e Bastianazzo, lasciando la povera famiglia priva
di due forti braccia, con la barca sconquassata e il grosso debito dei lupini. D’ora
innanzi il destino si accanisce implacabile contro i Malavoglia, che, guidati dal
nonno tentano eroicamente, ma spessi invano, di resistere. Il debito si porta via la
loro casa, la casa de nespolo, la “Provvidenza” torna a naufragare, Luca muore
nella battaglia di Lissa, la Longa di colera. Ancor più amaro è il destino dei
sopravvissuti. Il nipote ‘Ntoni si ribella all’esistenza grama, cerca di far fortuna col
contrabbando, ma scivola sulla china del vizio e del disonore, finché scoperto in
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![Page 45: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/45.jpg)
flagrante da don Michele il brigadiere, lo accoltella e finisce in prigione. Lia,
sconvolta dalle chiacchiere, messe in giro dagli avvocati per salvare il fratello, che,
cioè egli abbia ferito don Michele per motivi di onore per causa di lei, fugge da
casa e si perde nella città. Il nonno muore affranto nell’ospedale, senza aver avuto
la gioia di vedere attuato il suo sogno: il ritorno nella casa del nespolo.
Solo Alessi, dopo tante sventure, riesce a riscattare la casa e a formare di nuovo la
famiglia: con lui resta Mena, che ha dovuto rinunciare all’amore ed a una vita sua.
Ritorna anche ‘Ntoni, una sera, ma per andarsene via disperato, dopo aver saputo
ogni cosa, straziato dal rimorso di essere stato la rovina della famiglia. Attorno ai
Malavoglia c’è come un vasto coro, la gente del paese, con le sue vicende che si
intrecciano alle loro. Tutti appaiono legati ad una liturgia di atti, di gesti, di morale
e costumanze comuni, tutti sono, nello stesso tempo, soli nella lotta contro il
destino. La loro vita è una vicenda dura di miseria e di dolore davanti ad una
natura ostile o impassibile, in un mondo privo di ogni luce, di provvidenzialità.
Sola risplende la religione del focolare domestico, che conforta i protagonisti dalla
brutalità della lotta economica per sopravvivere e li fa sentire uomini nel dolore e
nell’amore. Nella novella Fantasticheria il Verga indica il nucleo lirico del
romanzo nell’esaltazione del “tenace attaccamento di quella povera gente allo
scoglio sul quale la fortuna li ha fatti cadere”, della “rassegnazione coraggiosa ad
una vita di stenti”, della” religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere,
sulla casa, e sui sassi che la circondano”; e così definisce il tema centrale della
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![Page 46: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/46.jpg)
tragedia dei Malavoglia, con particolare riferimento a ‘Ntoni: “allorquando uno di
quei piccoli, ,o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi
dai suoi…il mondo, da pesce vorace che egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi
con lui”. Voleva inoltre rappresentare nel romanzo” il movente dell’attività umana,
che produce la fiumana del progresso”, colto nel suo aspetto elementare, quando è
ancora ricerca di soddisfare i bisogni materiali immediati dell’esiste4nza. Ma
quest’ultima intenzione, positivistica e scientifica, resta sullo sfondo; l’arcaico
mondo contadino, da secoli fuori dalla storia nel suo avvilimento escluso, sembra
da ogni possibilità di progresso, diventa emblema d’una condizione più generale
dell’uomo.
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![Page 47: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/47.jpg)
GIOVANNI PASCOLI
Nacque a San Mauro di Romagna nel 1855. Nel '62 entrò nel collegio dei Padri
Scolopi a Urbino, rimanendovi fino al '71. Il 10 agosto del '67 accadde l'evento
capitale della sua vita: il padre, agente dei principi Torlonia, fu assassinato da
ignoti. Fu l'inizio, per la famiglia, d'un periodo di sventure: l'anno seguente morì
una sorella, poi, di seguito, la madre e, più tardi, due fratelli. Questa precoce
esperienza di morte rimase per il poeta una ferita non chiusa, che si venne
risolvendo sempre più in un senso sgomento dell'inesplicabilità del destino umano.
La prima reazione all'assassinio rimasto impunito e coperto dall'omertà di chi
seppe ma non volle dire, fu un senso di ribellione contro l'ingiustizia.
Nel '73 il poeta vinse una borsa di studio all'Università di Bologna (giudice della
prova d'esame fu il Carducci), dove s'iscrisse alla Facoltà di lettere, che frequentò
per due anni con grande impegno.
Ma nel '76 la morte del fratello Giacomo lo gettò in una cupa prostrazione.
Abbandonò gli studi, perdendo così l'assegno concessogli dai Torlonia, e conobbe
la povertà. In quegli anni strinse amicizia con Andrea Costa, capo dell' anarchismo
romagnolo, e s'iscrisse all'Internazionale, partecipando ai primi moti socialisti. Nel
'79, in seguito a dimostrazioni connesse all' attentato dell' anarchico Passanante
contro Umberto I, subì alcuni mesi di carcere preventivo. Ne uscì assolto e non più
disposto a impegnarsi nella politica attiva, ma rafforzato nel suo umanitarismo e
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![Page 48: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/48.jpg)
convinto che soltanto l'amore fra gli uomini potesse essere un conforto alloro
oscuro destino.
Riprese l'Università, si laureò nell’ '82 e intraprese la carriera dell'insegnamento.
Fu professore di latino e greco nei licei di Matera, Massa, Livorno, poi, dal 1895 al
'97, di Grammatica greca e latina a Bologna, dal 1898 al 1902, di Letteratura latina
a Messina, dal 1903 al 1905 di Grammatica greca e latina a Pisa, e infine, dal 1906,
successore del Carducci nella cattedra di Letteratura italiana dell'Università di
Bologna.
Morì nel 1912, a Bologna e fu sepolto a Castelvecchio di Barga, dove aveva
abitato dal '95 in una villa di campagna con Maria, la sorella fedelissima.
Sin da quando era studente a Bologna, il Pascoli compose, soprattutto fra il 1876 e
il 1880, numerose liriche, che venne pubblicando su giornali goliardici (fra di esse
è la prima redazione di Romagna, uno dei suoi componimenti più celebri), ma il
periodo creativo più intenso si ebbe negli anni fra il 1885 e il 1900 all'incirca. In
questo quindicennio egli compose le sue poesie più significative, che sistemò poi
in successive raccolte, lontane, a volte, dal tempo della composizione: Myricae
(1891) ma si tratta d'una prima edizione, comprendente soltanto ventidue delle
centocinquantasei liriche dell'edizione definitiva, uscita nel 1900), i Poemetti
(1897), in seguito ampliati e sdoppiati in due raccolte, i Primi poemetti (1904) e i
Nuovi poemetti (1909), i Canti di Castelvecchio (1903), i Poemi conviviali (1904),
Odi e Inni (1906), i Poemi Italici, le Canzoni di re Enzio, i Poemi del
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![Page 49: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/49.jpg)
Risorgimento, tutti composti nell'ultimo periodo bolognese, fra il 1908 e il 1911.
Fra i capolavori della poesia pascoliana vanno annoverati molti dei Carmina, cioè
dei poemetti latini, composti fra il 1885 e il 1911, per i quali il poeta fu più volte
premiato al concorso di poesia latina di Amsterdam. Egli seppe fare, infatti, del
latino, una lingua poetica prodigiosamente viva, mentre esprimeva la sua solitudine
di uomo moderno, la sua perplessità davanti al mistero e la sua ansia sempre
delusa. Accanto a essa va ricordata la prosa, che possiamo suddividere in
saggistica letteraria e discorsi di varia umanità.
Alla prima appartengono, innanzitutto, i volumi di critica dantesca, Minerva
oscura (1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1902), cui la sorella
Maria aggiunse postuma la raccolta di Conferenze e studi danteschi. Questi saggi,
impegnatissimi e a lungo misconosciuti, propongono una complessa chiave di
lettura simbolico-allegorica della Commedia, interessante per la conoscenza che il
Pascoli rivela di autori certo presenti all' orizzonte culturale di Dante, a partire da
S. Agostino, e per la sua capacità di coglierne gli echi e le suggestioni nel poema.
Ma oggi l'attenzione dei critici è rivolta anche a ritrovare in questi saggi spunti
della poesia pascoliana di quegli anni, come s'è visto, decisivi nella sua
produzione. Analogo interesse presentano i saggi leopardiani (Il sabato, La
ginestra) e quello manzoniano (Eco di una notte mitica), dove il Pascoli coglie le
ascendenze strutturali virgiliane del cap. VIII dei Promessi sposi.
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![Page 50: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/50.jpg)
Altrettanto importanti appaiono i saggi dedicati alle letterature classiche, da La mia
scuola di grammatica, prolusione del suo corso universitario a Pisa, alle
introduzioni e ai commenti ai testi delle antologie Epos e Lyra, dedicate
rispettivamente all'epopea e alla lirica latina. In queste opere, come, del resto, nei
Poemi conviviali, il mondo classico diviene un mondo primitivo, in cui i poeti
vedono le cose come per la prima volta, con lo stupore di fanciulli che il Pascoli
teorizzò come necessario alla intuizione e trasfigurazione poetica del mondo nella
prosa Il fanciullino, dove propose un' estetica di stampo simbolistico; oppure, colto
in momenti di crisi, riflette emblematicamente la problematica del poeta e del suo
tempo in una prospettiva decadentistica. In entrambi i casi, non è più il mondo
esemplare del vecchio classicismo umanistico fondato su una misura di razionalità
e di equilibrio etico, ma riflette un rapporto difficile col reale, sia sul piano
conoscitivo sia su quello pratico, quale fu, in sostanza, quello del Pascoli e del suo
tempo.
Fra i discorsi del Pascoli, affidati poi alle raccolte Miei pensieri di varia umanità
(1903), ripubblicato, ampliato, nel 1907 col titolo Pensieri e Discorsi, ad Antico e
sempre nuovo, e a Patria e umanità, pubblicati postumi, sono contenuti testi che
illustrano la concezione pascoliana del mondo, da L'era nuova a L'avvento. Assai
significativo è poi il discorso La grande proletaria s'è mossa, pronunciato nel
1911, in occasione dell'impresa libica, ispirato a un vago socialismo umanitario e
nazionalistico, che non rifugge tuttavia dall' approvare una guerra colonialistica;
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![Page 51: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/51.jpg)
con una sostanziale incoerenza ideologica che non fu, tuttavia, solo del Pascoli, ma
anche, allora e davanti al primo conflitto mondiale, di molti socialisti.
Le concezioni
La concezione pascoliana della realtà è fondata sulla dominante presenza di un
mistero (o ignoto) insondabile al fondo della vita dell'uomo e del cosmo. Mentre il
Positivismo, fiducioso nella scienza, aveva relegato l'inconoscibile ai margini della
conoscenza, concependolo tuttavia come una sorta di territorio ignoto da sottoporre
progressivamente a una ricerca condotta con metodo sperimentale, il Pascoli ne fa
il centro, l'interesse dominante e, in sostanza, statico d'una sofferta meditazione. La
scienza, a suo avviso, «ha confermato la sanzione della morte», ha ricondotto, nel
momento in cui riconosceva di essere impotente di fronte a essa e incapace di
vincerla, la mente dell'uomo alla coscienza del suo destino inesplicabile.
D'altra parte, ha infranto l'antica fede religiosa, anch' essa, peraltro, fallita, dal
momento che «in tanti secoli non è riuscita a distruggere il lievito cattivo, per il
quale sono ora temute a un tempo guerre coloniali, nazionali ed etniche» (cioè
razziali). Queste parole scriveva il Pascoli nel discorso L'era nuova, allo scadere
del secolo XIX (l'era di cui parlava era, appunto, il Novecento), aggiungendo al
timore di guerre sterminatrici, rese più cruente dalla nuova potenza delle macchine,
quello d'una dura rivolta sociale delle classi oppresse.
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![Page 52: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/52.jpg)
L'era nuova terminava esortando l'uomo ad abbracciare con lucida consapevolezza
il suo destino di creatura mortale. Questa doveva essere la sua nuova religione,
congiunta a una rinnovata solidarietà con gli altri nell' amore e nel dolore. Ne
derivava un messaggio di fraternità e di pace che si ritrova in molte liriche
pascoliane, come nei Due fanciulli.
Si tratta, di un messaggio vagamente cristiano, privo però di un tema essenziale del
Cristianesimo, ossia del riconoscimento della responsabilità individuale, e fondato,
d'altra parte, sulla volontà d'una giustificazione della vita e su una ricerca del
divino che rimasero, nel Pascoli, sempre insoddisfatte. Se mai, il messaggio
pascoliano potrebbe essere paragonato a quello leopardiano della Ginestra; se non
che manca nel Pascoli la volontà della lotta eroica contro la natura e il destino. La
natura è, per il Pascoli, buona, è una «madre dolcissima», contemplata e amata sia
nella quiete e nella dolcezza dei paesaggi campestri, sia negli spazi sterminati dei
cieli. Se i primi sembrano sussurrare una parola arcana ma dolce, i secondi ispirano
spesso un senso di vertigine e di smarrimento, col continuo nascere e morire, anzi
crollare, in loro, di mondi, e per la loro infinità che sembra annullare il limitato
destino dell'uomo.
Certo quello del Pascoli è uno spazio sterminato, senza una direzione, dove
l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, l'astro e il filo d'erba, si toccano,
partecipano egualmente dell'unico mistero della vita; questa nel suo continuo
rinnovarsi, nella sua vastità imponderabile è amata e poeticamente vissuta dal
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poeta. Il senso pascoliano del mistero coincide spesso con la visione dell'infinità
della vita, della sua perenne metamorfosi, dell'intatto, perenne fluire della sua
energia, del suo apparire in una luce di labilità ma anche di bellezza. Leggiamo, ad
esempio, nella prefazione ai Canti di Castelvecchio, là dove il poeta ricorda la
madre, queste parole rivelatrici: «lo sento che a lei devo la mia abitudine
contemplativa, cioè, qual ch'ella sia, la mia attitudine poetica.
Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata, dopo un
giorno lungo di faccende, avanti i prati della Torre. Ella stava seduta sul greppo; io
appoggiava la testa sulle sue ginocchia. E così stavamo a sentir cantare i grilli e a
veder soffiare i lampi di caldo all' orizzonte».
In queste meditazioni senza parole, in questo vivere l'infinità della vita sta la radice
prima dell'ispirazione pascoliana.
La poetica
Il Pascoli svolge la propria ricerca poetica in due direzioni. Da un lato egli
concepisce la poesia come ispiratrice «di buoni e civili costumi, d'amor patrio,
famiglia re e umano», assegnandole il compito di rendere gli uomini «più buoni».
Nasce di qui una serie di liriche di tono oratorio, umanamente sincere, ma spesso
ideologicamente nebulose; un omaggio estremo all'idea ottocentesca del poeta-
vate, educatore dei popoli e dell' umanità. In esse appaiono però i limiti vistosi del
pensiero del poeta: basta pensare al suo tentativo di mescolare all'iniziale
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![Page 54: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/54.jpg)
socialismo suggestioni francescane e magari, come si è visto, un nazionalismo
imperialistico.
Egli visse, in sostanza, la crisi del positivismo, accompagnata dall' affermarsi di
correnti irrazionalistiche, da un vago misticismo decadentistico, da nuove
esaltazioni del sentimento contro il rigore del metodo scientifico.
La poesia pascoliana originale nasce invece fuori d'ogni intenzione
intellettualistica e predicatoria ed esprime l'intuizione del ritmo ignoto della vita in
rapide illuminazioni, in una dimensione evocativa e suggestiva.
La poetica pascoliana è espressa nella prosa Il fanciullino. Secondo il Pascoli,
poeta è colui che conserva intatta la sua anima di fanciullo, un contatto fresco e
immediato con le cose, che si stupisce davanti alla continua rivelazione del mondo,
del suo mistero che palpita in ogni aspetto della vita. Egli parla alle bestie, agli
animali, ai sassi, alle nuvole, alle stelle.
La poesia, ci mette in comunicazione immediata con esso, è la forma suprema di
conoscenza. È questo il carattere decadentistico, o meglio, simbolistico, della
poetica pascoliana, sottolineato dall' affermazione che «a costituire il poeta vale
infinitamente più il suo sentimento e la sua visione del mondo che il modo col
quale agli altri trasmette l'uno e l'altra».
Sul piano espressivo, questa poetica ha esiti nuovi e originali, rispetto alla nostra
tradizione. Rinuncia alle architetture concettuali, per volgersi alla creazione
d'atmosfere suggestive. Inoltre tende spontaneamente al simbolo, poiché la realtà
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![Page 55: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/55.jpg)
che essa rappresenta è metafora spontanea del mistero donde dirama la vita degli
esseri e del cosmo. La «situazione» tipica della poesia pascoliana è quella del poeta
solitario, immerso nella campagna silenziosa e inteso non a confessare il proprio
io, ma ad esprimere le rivelazioni delle cose e l'ombra che le prolunga in una
distanza indefinita, le illuminazioni che gli giungono dall'ignoto; oppure quella del
poeta sperduto nell'immensità degli spazi cosmici, con un senso sgomento di
vertigine davanti all'essenza indecifrabile dell'universo. Il paesaggio, comunque, è
sempre il protagonista della lirica pascoliana più originale.
L'animo del poeta sembra calato nelle cose, intento a coglierne il sorriso e la
lacrima, la vita arcana, anche se, in realtà, è esso a proiettare nel paesaggio la sua
perplessità smarrita, il senso d'una continua presenza della morte nella vita, il suo
sentimento dolente ma anche la sua ansia dell'ignoto.
Momenti analoghi caratterizzano i punti poeticamente più intensi delle liriche in
cui il Pascoli tenta strutture ideologiche e compositive più complesse, dai Poemetti
del '97 alle composizioni più tarde (Odi e Inni, Poemi del Risorgimento, ecc.),
dove tuttavia si avverte sovente un impaccio costruttivo, una ricerca di contenuti
complessi che non sempre evita zone di oscurità o di alchimie ideologiche un po'
lambiccate. La sua poetica più originale e ricca di avvenire, nel senso che ha inciso
nella poesia del Novecento, è stata quella del frammento intenso e rapido,
rifuggente da architetture complesse, inteso a ritrovare nel particolare, nelle forme
più elementari e quotidiane del reale un'espressione totale della vita.
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L'albero, l'ape, il fiore, lo stelo - per riprendere l'espressione d'una sua lirica -
coesistono con la visione dei mondi turbinanti nello spazio astrale, con pari dignità
poetica: gli uni e gli altri riflettono il mistero e il miracolo dell' esistenza che il
poeta cerca di guardare con occhi e stupore di fanciullo, quasi che la poesia fosse
ogni volta una prima scoperta del mondo.
Nelle raccolte Myricae, Poemetti, Poemi conviviali, Canti di Castelvecchio,
nuovissimo appare il linguaggio, aderente, in apparenza, alle cose, ma in realtà più
suggestivo che realistico. Il Pascoli, in un suo saggio, rimproverava il Leopardi per
il «mazzolin di rose e di viole» della «donzelletta», avvertendo che i due fiori
crescono in stagioni diverse, ed esortava a dare il proprio nome a ogni cosa, alberi,
uccelli, fiori, come egli fa, rinnovando dall'interno il linguaggio poetico italiano.
Né qui si arresta la sua sperimentazione linguistica, in quanto egli unisce a questo
linguaggio esattissimo quello che il Contini ha chiamato «linguaggio
pregrammaticale» (i versi degli uccelli) e linguaggi specializzati (i pezeteri o fanti
di Alexandros, la terminologia della montagna lucchese dei Canti di Castelvecchio,
indicante oggetti e lavori della campagna).
In realtà, però, è costante in lui una dialettica di determinato e indeterminato anche
nel linguaggio: il mandorlo e il melo dell'Assiuolo (due parole e cose ignote
all'aristocratico vocabolario di ascendenza petrarchesca della nostra tradizione
lirica, che giunge fino a Leopardi, il quale non parla di fucili ma di «ferree canne»;
e oltre) sfumano nell'indefinito d'una «nebbia di latte»; le cose, pur evocate nella
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![Page 57: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/57.jpg)
loro precisione, sembrano sempre lì per svanire, per riconfondersi nell'indistinta
fiumana della vita donde sono emerse.
Pascoli e gli Antichi
Fondamentale, nella formazione della personalità pascoliana, fu lo studio dei
classici; e non soltanto perché egli riuscì a ricrearne originalmente la lingua nei
suoi carmi latini, ma perché egli individuò in loro un modello poetico e umano
sempre attuale. Antico sempre nuovo fu il titolo dato a una raccolta di prose
critiche scritte fra il 1893 e il 1910; che era, nel contempo, un programma culturale
e poetico, evidente se si pensa ai Poemi conviviali, dove l'antichità rivive in figure
e vicende sentite ancora attuali.
La poesia degli Antichi è vicina al «fanciullino», al suo stupore vergine, intatto
davanti al mondo; è un mito delle origini che contiene in sé un'idea esemplare del
fare poetico, una fondazione di esso avvenuta in una sorta di infanzia del mondo,
che rimane incentivo di rifondazione-perenne. Per questo, ad esempio, il Pascoli
può ritrovare, nel capitolo VIII dei Promessi Sposi, strutture narrative e cadenze
del II libro dell'Eneide, dato che 1'epopea antica è per lui il modello d'ogni narrare.
Si possono distinguere due atteggiamenti del Pascoli verso gli Antichi, anche se
poi finiscono per concordare: la ricerca in essi d'un primitivo che significa
concordia con la «natura» e la spontaneità del vivere sia sul piano umano sia su
quello poetico (e allora il Pascoli rievoca nostalgicamente Omero, Esiodo o le
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![Page 58: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/58.jpg)
origini della poesia latina), e quella d'un declino, colto in un definitivo momento
storico, di questa prima, esemplare civiltà.
Questo secondo aspetto è più vicino alla sua sensibilità decadentistica e lo induce,
sia nei Conviviali sia nei Carmina latini ad approfondire i momenti di crisi delle
civiltà greca e latina e a ritrovare in essi la coscienza inquieta sua e del suo tempo.
Sia che rievochi la figura di Alessandro Magno (Alexandros) o il crollo del mondo
classico davanti alle invasioni barbariche (Gog e Magog), il mondo antico racconta
la storia del presente del Pascoli, della civiltà minacciata di cui egli si sente parte.
Soprattutto, poi, nei Carmina egli s'addentra nel periodo che vede il tramonto di
Roma e il primo affermarsi del Cristianesimo, in una malinconia di declino, aperto
faticosamente a una combattuta speranza di pace e fraternità.
Ma del mondo romano il Pascoli avverte anche la violenza, l'obbrobrio e
1'angoscia della schiavitù, e il perenne, vano combattere dell'uomo contro la morte
e il nulla. Accanto a questo tema, nei carmi latini sugli antichi poeti, egli rivela una
prodigiosa capacità mimetica, nel ricostruire la loro personalità stilistica, in un
latino che è, per esempio, insieme, oraziano e pascoliano.
Il classicismo pascoliano è, per un verso, decadentistico. Ma per un altro verso, si
potrebbe dire che non sia più classicismo, almeno nel senso tradizionale, per
l'abbandono dell'ideale di euritmia, di composta saggezza che aveva fino ad allora
caratterizzato il classicismo; e anche per l'abbandono dell'immagine plastica e
conclusa per l'immagine aperta, musicale, allusiva.
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![Page 59: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/59.jpg)
Questi aspetti sono evidenti, oltre che nelle liriche e nei poemetti, anche in alcuni
saggi, fra i quali spiccano le prefazioni a Lyra (1895) e a Epos (1897), due
antologie scolastiche che si rivelano notevolmente importanti per ricostruire la
poetica e la sensibilità pascoliane. Ne riportiamo due passi, con un commento
rapidissimo, da approfondire in un successivo esercizio di lettura.
«Myricae»
Questa prima raccolta pascoliana ha una storia lunga e complessa, che copre circa
un ventennio, dalle poesie, come Romagna, pubblicate nei primi anni ottanta (ma
poi largamente rielaborata), all'edizione praticamente definitiva del 1900; ed è un
ventennio ricco di esperienze umane, culturali e poetiche. Alla prima edizione, in
un opuscolo per nozze, del 1891, con ventidue liriche, succedono quelle del '92,
del '94, del '97, del 1900, con, rispettivamente, 72, 116, 152, 156 poesie.
Oltre al numero, muta anche la divisione in sezioni, mentre è evidente lo sforzo,
ogni volta, del Pascoli di conferire al libro un'organicità. L'ultimo espediente in tal
senso è il collocare all'inizio un ampio poemetto, Il giorno dei morti, che rievoca i
lutti della sua famiglia, ribaditi poi nella prefazione e nella dedica al padre, e alla
fine tre liriche con funzione di epilogo della propria storia che da quei lutti ha
ricevuto un'impronta indelebile e ormai tale da predeterminare una vocazione
esistenziale anche futura.
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![Page 60: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/60.jpg)
In realtà, tuttavia, il libro rimane incerto fra un' antologia della produzione poetica
di vent'anni e il «mito» dei morti da far rivivere nella poesia, e nella gloria, del
figlio che ha, ora, ricostruito il «nido» domestico. Questa ricerca di unità, e il suo
successo soltanto parziale, anzi, a ben vedere, il suo insuccesso, riflettono la crisi
etica e conoscitiva del Pascoli, una visione dell'universo senza più direzioni né
gerarchie che costituisce, insieme, il suo tormento e la sua modernità.
Nella sua parte più originale Myricae presenta una poesia d'oggetti, immagini,
quadri sintetici (o «idilli») di natura: una poesia, come dice il titolo tratto da un
verso delle Bucoliche di Virgilio (le «mirice» o tamerici sono arbusti bassi), di
cose umili, vicine a terra, della vita dei campi. «Son frulli d'uccelli - dice nella
prefazione il Pascoli - stormire di cipressi, lontano cantare di campane»,
affermando così la volontà d'una poesia voce non di sentimenti individuali, ma
della natura che parla attraverso il poeta, immerso in essa, aperto al messaggio
elementare delle cose, che effigiano il fluire alterno della vita e della morte, la loro
compresenza di sempre.
Nel vagheggiamento della natura «madre dolcissima», dice la prefazione, che «ci
vuol bene», dei paesaggi campestri, rivelazione di vita semplice, intatta, il Pascoli
riusciva a obliare il senso di vertigine che gli ispiravano il mistero dell' essere (le
ragioni non conoscibili della vita) e il problema del male, del dolore, della morte.
Rievocava la vita della campagna, gli esseri più minuscoli o umili (fiori, uccelli),
uguali, per lui, in dignità a quelli considerati «grandi», perché in loro scopriva lo
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![Page 61: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/61.jpg)
stesso movimento che anima il cosmo, la coscienza umana: il filo d'erba e gli astri
remoti. E chiamava ogni cosa col suo nome; rinnovando il linguaggio stilizzato ed
esangue della lirica italiana, tentando nella poesia la rivoluzione che il Manzoni
aveva operato nella prosa col suo romanzo.
Anche attraverso il linguaggio cercava di cogliere la vita nella sua elementarità, di
«vedere e udire», o, come dice nel Fanciullino, di «riconfondersi con la natura»,
per penetrare, attraverso una comunione esistenziale con essa, nell' «abisso della
verità», rifacendosi, nel contempo, alla «psiche primordiale e perenne» dell'uomo.
Per questa via egli giunge a un proprio simbolismo: a cogliere nei rapidi quadretti
di natura o in brevi palpiti lirici, le cose come segni, o manifestazioni-rivelazioni
della realtà profonda dell' essere. Una voce dai campi - un grido d'uccello, un
rintocco di campane, o un moto elementare, un volo di rondine, un molleggiare di
passeri al suolo - diventano non solo e non tanto simbolo del moto cosmico della
vita, ma il perenne instaurarsi di esso, che la poesia coglie in una ritrovata
essenzialità sentimentale ed espressiva: in una perenne «infanzia» del cuore.
Ne risulta una poesia nuovissima, ben diversa dal classicismo umanistico del
Carducci.
Essa non rappresenta più una vicenda esemplare dell'io: la persona del poeta è
quella dell'uomo che si aggira fra le parvenze molteplici, attento alla voce delle
cose, alla loro rivelazione, non a intonarle al proprio individuale sentire e alla
propria vita come costruzione di valori e civiltà. La parola sprigiona una virtù
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![Page 62: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/62.jpg)
analogica, che parte proprio dalla sua sostanza fonica: tende a ricostruire la voce
elementare della natura, il perenne mormorio delle cose, del mondo. La voce
umana sembra elevarsi come un canto dalla campagna, ritrovarne e continuarne in
linguaggio umano la voce. Così la sintassi compositiva appare come franta:
ricomincia a ogni periodo, a ogni istante, aderendo al modularsi della percezione,
al discorso d'una mente calata negli oggetti, ansiosa di riflettere il ritmo della vita
che essi manifestano nel loro apparire e scomparire nella perenne metamorfosi del
mondo.
I «Canti di Castelvecchio»
La raccolta (prima edizione 1903) comprende poesie scritte dal 1897 al 1907
(quindici furono aggiunte nelle edizioni successive, l'ultima delle quali, postuma, è
del 1912).
Molte di esse attestano, rispetto al primo libro, l'ampliarsi della tematica pascoliana
nel senso della meditazione storica e cosmica.
A Castelvecchio di Barga, nella casa di campagna dove abitò a partire dal '95, il
Pascoli scrisse queste nuove Myricae, che egli chiamò «autunnali», alludendo alla
declinante stagione del suo vivere. Comuni alle due raccolte sono l'amore per la
vita della campagna, per le cose umili, e l'atteggiamento contemplativo; ma c'è, qui
nei Canti, accanto alla rappresentazione realistica dell’ambiente contadino
lucchese, una visione simbolistica più decisa e le cose umili divengono come un
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![Page 63: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/63.jpg)
rifugio dalla trepidazione ansiosa davanti alla morte e al mistero, presenza continua
e fortemente sottolineata. Si può anzi dire che le balenanti intuizioni di Myricae si
sviluppano, nei Canti, su di una tastiera più vasta, con l'indubbio pericolo di
disperdere la concentrata purezza dell'emozione lirica, ma con risultati, spesso,
originali e suggestivi. Due temi, in gran parte nuovi,appaiono dominanti nel libro:
quello delle memorie di giovinezza, che giunge ad espressione altissima nel gruppo
di liriche raccolte sotto il titolo generale Il ritorno a San Mauro,e il dilatarsi del
senso del mistero in ampie visioni cosmiche.
L’ angoscia del vivere viene come personificata dalle figure dei morti che
ritornano (basta pensare a Ultimo sogno o al Ritorno a San Mauro), squallidi e
queruli, avidi di preghiere e del sacrificio costante dei vivi, soprattutto d'una vita
perduta per sempre che diviene metafora dell'impossibilità stessa del vivere. Il
senso della loro pena senza conforto e, insieme, della loro non esistenza se non
nella nevrosi ossessiva ispirata al vivo, è dato dal modo in cui il Pascoli li
rappresenta: come fantasmi che recano in sé la spia evidente del loro disfacimento
(al fantasma della madre il pianto cola «lungo le guance smorte»; la Tessitrice non
può parlare se non ripetendo in un'eco sfatta e dolorosa le parole del vivo, il suo
vano interrogare; i famigliari morti aspettano «con pupille fisse» il ricordo dei
vivi,si lamentano nella bufera d'inverno della vita perduta).
Una posizione centrale ha la madre, segno di inesausta nostalgia e di volontà di
annullamento. Essa diviene emblema della vita e della morte, proprio come datrice
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![Page 64: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/64.jpg)
d'una vita che continuamente si cancella nella perenne metamorfosi, e declina
verso il nulla da cui è emersa. Il poeta la rivede giovane, bionda, bella: unico
emblema di femminilità, che diviene, però, anche il simbolo dell'amore negato,
della vita che il poeta non propagherà; né lui,né Mariù e ai figli non nati è dedicato
l'ultimo patetico dialogo fra i due fratelli, nella nota alla fine dei Canti di
Castelvecchio, perché hanno scelto la morte, come dice chiaramente Ultimosogno.
Queste, e altre immagini che sarebbe troppo lungo ora seguire, ma va citata almeno
quella dell'eros negato, che si traduce, spesso, in un'idea del sesso fatta di
attrazione e repulsione: quasi una mancata crescita, un indugio all'età
adolescenziale.
E allora, accanto alle sue nevrosi funebri, occorrerà considerare la problematica
culturale, che egli condivide con tutta una civiltà. l'abbandono, ad esempio, delle
certezze offerte dalla razionalità dispiegata e sicura e dalla scienza, la ricerca di
nuove irrazionalistiche dimensioni ,conoscitive, l'abbandono alle oscure
suggestioni della psiche, concepite come rivelazioni conclusive, mentre
definiscono l'infrangersi di un'idea secolare di armonia del mondo e di razionalità
del reale, sanciscono un'inquietudine che abbiamo indicato caratteristica della
filosofia e della cultura di fine Ottocento e che abbiamo collegata a una crisistorica
e conoscitiva. Quando, nel Fanciullino,il Pascoli ci dice che la poesia ci colloca sul
cuore della verità senza farci percorrere le catene dei sillogismi, allude a una
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![Page 65: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/65.jpg)
conoscenza per partecipazione, a un tentativo di penetrare una dimensione diversa
e più significativa.
I «Poemi conviviali»
La raccolta (1904), che comprende venti poemetti composti a partire dal 1892,
alcuni pubblicati sul Convito, la rivista di Adolfo De Bosis, deve il titolo al ricordo
dei poemi cantati, presso gli Antichi, nei banchetti. Il Pascoli si ispira al mondo
classico, quasi esclusivamente a quello greco (mentre i Carmina latini, che sono un
ideale complemento dei Conviviali, si ispirano a quello romano e paleocristiano),
rivivendolo, però, con la sua sensibilità moderna e tormentata, ritrovando nelle
figure di esso la sua stessa perplessità esistenziale e il senso del mistero, e
trasfigurandolo, quindi, in una dimensione simbolistica.
I Poemi conviviali vogliono essere, infatti, una storia ideale del mondo classico,
tracciando la parabola della civiltà greca dai tempi cantati da Omero ad Alessandro
Magno, e di lì, attraverso la rievocazione della gloria e della decadenza di Roma
(Tiberio), giungendo al presentimento delle imminenti invasioni barbariche (Gog e
Magog) e al primo albore della rivelazione cristiana (La buona novella),che il
Pascoli sente soprattutto come messaggio di fraternità e di pace, ma anche come
approfondita coscienza dell' arcano dramma del nostro esistere. Ma anche quando
il poeta canta l'armonia dell'anima greca (Solon), in una luce di eroismo e di
bellezza(Ulisse, Achille), di poesia, di giustizia, avverte in essa un senso
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![Page 66: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/66.jpg)
d'inquietudine, nato dal sentimento del destino effimero dell'uomo. Questo senso
sofferto e problematico del vivere riscatta i migliori poemetti da un certo
compiaciuto alessandrinismo, dall' estetismo che insidia quasi sempre la poesia dei
Conviviali. Il Pascoli stesso, nella prefazione, si richiamava al programma del
Convito, il quale si proponeva «di salvare qualche cosa bella e ideale dalla torbida
onda di volgarità che ricopriva ormai tutta la terra privilegiata dove Leonardo creò
le sue donne imperiose e Michelangelo i suoi eroi indomabili», e chiamava il
D'Annunzio «fratello maggiore e minore», mostrando la sua adesione alla nuova
atmosfera culturale, aristocratica ed evasiva, del Decadentismo.
«Odi e Inni»
Nelle odi e negl inni (i primi maturarono già al tempo di Myricae; la raccolta è del
1906) il Pascoli rivela il suo impegno etico, sociale e storico-politico, e cioè la sua
volontà, legata alla tradizione romantico-carducciana del poeta educatore e vate
d'un popolo, d'una poesia-messaggio, che evadesse dall'immediata esperienza
lirico-autobiografica.
Ad essa era portato da una tensione sincera, anche se appoggiata a teorie incerte e
contraddittorie (si ricordi che da un vago socialismo iniziale passò a idee
nazionalistiche e imperialistiche, e, quel ch' è peggio, si sforzò di conciliare i due
opposti atteggiamenti), e a una visione piuttosto astratta della realtà storico-sociale
del suo tempo. I temi più personali di Odi e Inni sono il vivo senso del dramma
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![Page 67: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/67.jpg)
dell'uomo, l'appassionato e accorato anelito alla fraternità umana, la volontà di
cantare «i diritti e anche le guerre delle nazioni e degli eroi come mezzo per una
migliore giustizia sociale e universale»; vero è però che la nebulosità ideologica e
la stessa incapacità del poeta di connettere le proprie intuizioni liriche su una trama
organica di pensiero, sommergono molte di queste poesie in un' oratoria enfatica. li
Pascoli non fu, né poteva essere, poeta della storia: il suo simbolismo lo portava a
dissolvere il concreto agire umano in una
vicenda dove non l'uomo, ma il mistero diveniva il protagonista effettivo. Meglio
egli riusciva a cantare l'eroe solitario, staccato da ogni complesso riferimento
storico.
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![Page 68: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/68.jpg)
Test
Si sviluppino le seguenti tematiche
1) Cosa si intende per corrente Verista.
2) Cosa si intende per vero storico.
3) Perché la poesia pascoliana è stata intesa come poesia delle ombre.
4) Come l’uomo moderno vive il progresso.
5) Ambiente verghiano e ambiente pascoliano:Immagini e paesaggi a
confronto.
6) Cosa si intende per poesia prosaica.
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![Page 69: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/69.jpg)
III UNITA’: Influssi di letteratura straniera.
Prerequisiti:
- Conoscenza delle innovazioni letterarie attuate dai poeti di primo Ottocento.
- Approccio critico- letterario a nuove tendenze e tematiche.
- Conoscenza del germe filosofico nella letteratura straniera.
Obiettivi:
- Capacità di riflessione e confronto di fronte a nuove problematiche.
- Acquisizione della nuova realtà vissuta dall’uomo che si avvicina al nuovo
secolo.
- Acquisizione dei cambiamenti politici e sociali che portano l’uomo del periodo
preso in esame a nuove e decisive risoluzioni.
Si studieranno:
- Poe.
- Boudelaire.
- Verlaine.
- Mallarmè.
- Rimboud.
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![Page 70: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/70.jpg)
-
Influssi delle letterature straniere
Edgar Allan Poe
Alcoolizzato, soggetto a nevrosi depressiva, l'americano Poe (1809-1849) esasperò
la vena lugubre del Romanticismo, con capacità straordinaria di penetrazione nelle
zone più oscure dell' animo. I suoi racconti sono spesso avvolti da un alone
macabro e surreale, le vicende, dominate da arcane forze soprannaturali, si
risolvono in atmosfere d'incubo e di terrore. li Poe scrisse anche poesie, la più
celebre delle quali è Il corvo.
Nelle sue meditazioni estetiche (Il principio poetico; Filosofia della composizione)
precorse sviluppi dell'estetica del tardo Ottocento: l'idea della poesia come
«creazione ritmica di bellezza», esaltazione necessariamente breve dello spirito,
anticipa la poetica decadentistica del frammento lirico; così come la ricerca d'uno
stile musicale e suggestivo, come mezzo di espressione del mistero che sta dietro le
cose, non attingibile per via intellettuale, anticipa posizioni simbolistiche.
L'influsso esercitato dal Poe sulla letteratura europea fu notevole, dopo che il
Baudelaire lo ebbe «scoperto» nel 1846 e ne ebbe, poco dopo, tradotto i racconti.
Opere principali: Le avventure di Gordon Pym (1838); Grotteschi e arabeschi
(1839); Racconti (1845); Il corvo e altre poesie (1845).
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Charles Baudelaire
Bauldelaire (Parigi, 1821-1867) è uno dei maestri della lirica europea
contemporanea.
Ebbe vita travagliata e sregolata, fra nobili aspirazioni ideali e abbandoni alle
seduzioni del senso fra ansia romantica di elevazione e ricerca di «paradisi
artificiali» nel vino e nella droga. Visse il tema romantico dell' evasione, ora con
atteggiamenti satanici, ora con volontà di purezza e trasfigurazione della vita; sullo
sfondo della metropoli moderna (Parigi), che egli chiamò «vasto deserto umano»,
avvertendo l'analogia fra le contraddizioni del suo animo e lo squallido paesaggio
urbano di brutture e dissonanze, di folla anonima e alienata. Le sue poesie sono
raccolte nel libro I fiori del male (1857) che provocò un processo per una presunta
offesa alla morale e al buon costume. In prosa scrisse I paradisi artificiali (1860), i
Poemetti in prosa e Il mio cuore messo a nudo,postumi. Assai notevoli sono pure i
suoi saggi critico-estetici (Curiosità letterarie; L'arte romantica), dove elaborò
un'idea nuova della poesia e rivelò una profonda comprensione della musica
wagneriana, che avrà un importante influsso sulla cultura decadentistica,come le
opere di Poe che egli tradusse e diffuse in Europa.
Secondo l'estetica baudelairiana, la poesia esprime l'anelito dello spirito «verso una
bellezza superiore», come liberazione dallo spleen, cioè dalla noia che nasce dalla
coscienza del relativo. È una sorta di mistico approdo, di là dalla contingenza, dal
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dolore, dal male, a un mondo più vero. La natura quale appare ai nostri sensi si
fonda, infatti, su un altro universo soprassensibile, di cui le cose non sono che
simbolo; è, dunque, una «foresta di simboli». Il poeta deve decifrarli, scoprire il
loro senso riposto, la trama di analogie che essi intrecciano nella «tenebrosa e
profonda unità» dell'universo. In tal modo la poesia diventa rivelazione metafisica,
superiore intuizione che consente un'intima partecipazione al mistero dell' essere.
La lirica baudelairiana rifugge quindi dall'espressione di un messaggio concettuale
definito, per affidarsi piuttosto alla fascinazione dei suoni, delle metafore, delle
ardite trasposizioni analogiche, unico mezzo per evocare magicamente e
suggestivamente un ignoto altrimenti inattingibile alla conoscenza umana. Sarà
questo il principio fondamentale del simbolismo.
Paul Verlaine
Quella del francese Verlaine (1844-1896) fu la vita d'un poeta «maledetto» (sua è
la definizione), con le squallide vicende dell'alcoolismo, dell'equivoco rapporto
con Rimbaud, i viaggi senza meta, la prigione, le conversioni e le ricadute:
espressione d'una crisi ideologica ed esistenziale che s'esprime come rifiuto della
civiltà borghese, come una rivolta senza approdo sicuro. La sua poetica è quella
della sfumatura, dell'indefinito, della musica, fra una stanchezza sensuale morbida
e melanconica, che ispirerà tutto un filone della lirica contemporanea fino ai nostri
Crepuscolari, e una ricerca simbolista, intesa a togliere ogni elemento ideologico
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dalla poesia per privilegiare le capacità musicali ed evocative del linguaggio come
mezzo per raggiungere, di là dal fenomeno, 1'essenza delle cose. In tal senso la
poesia di Verlaine si rivela originale sviluppo della tematica baudelairiana.
Stéphane Mallarmé
Nato a Parigi nel 1842, visse vita solitaria e ritirata; morì nel 1899. Compose nel
'75 Il Pomeriggio d'un fauno, poi Erodiade e altre liriche, raccolte nell"87 in
Album di versi e di prose e nella raccolta Poesie, successivamente ampliata.
Importanti, per la definizione della sua poetica, sono il saggio La musica e le
lettere (1895) e le Divagazioni (1897).
Come Baudelaire, volle dare, nella poesia, voce all'inesprimibile, superare la realtà
fenomenica per scoprire le segrete corrispondenze e analogie fra le cose. Egli
riduce a simboli le immagini della natura; simboli peraltro soggettivi, intuizioni
sollevate in una astratta luce intellettuale e allontanate sempre più, nel corso della
sua carriera, da ogni riferimento alle occasioni sentimentali e alle immagini
primitive, sì da, giungere a un ermetismo consapevole. La fuga dalla
rappresentazione realistica culmina nella ricerca di un linguaggio «puro», in cui le
parole siano liberate dal significato loro assegnato nella conversazione quotidiana e
riacquistino un potere magico, incantatorio, suggestivo.
Le parole nella frase vengono tolte dalla costruzione abituale, sono aboliti i segni
d'interpunzione, le congiunzioni, le preposizioni; nel poemetto Un tratto di dadi
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non abolirà mai il caso le parole sono disposte come segni d'uno spartito musicale,
con un uso speciale degli spazi bianchi e altri accorgimenti grafici. La ricerca è
quella d'una purezza immacolata della parola poetica, intesa come creatrice di
realtà, spogliata da ogni riferimento alle comuni idee e aspirazioni degli uomini.
Quella di Mallarmé è spesso poesia sulla poesia, intesa a ritrovare una pronuncia e
un' efficacia primitive del linguaggio e un sogno di bellezza che quanto più
s'allontana dall' esperienza concreta tanto più assume il carattere d'un assoluto che
confina col nulla. La «poesia pura», che ha in lui il suo primo teorico, sembra voler
emulare il Verbo divino, la sua efficacia conoscitiva e creativa, ma con la
coscienza sempre immanente d'uno scacco. Con Mallarmé si conclude il processo
di svalutazione dei modi poetici tradizionali e di fondazione d'una nuova ricerca
espressiva che va dal Simbolismo francese (il cui manifesto fu lanciato da Jean
Moréas nel 1886) all'Ermetismo italiano.
Arthur Rimbaud
Anch'egli,come Verlaine, poeta «maledetto», Rimbaud (1854-1891), dopo aver
vissuto, fra i 17 e i 20 anni, una bruciante e intensa esperienza poetica, abbandonò
repentinamente la poesia, per dedicarsi a oscure attività commerciali in Africa.
Anticonformista, ribelle a ogni forma di morale piccolo-borghese fino a uno
sfrenato anarchismo, portò nella sua lirica lo stesso spirito di rivolta, la volontà di
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ripartire da zero. Il poeta è, per lui, il visionario, il veggente, che, attraverso una
nuova percezione delle cose, si addentra nella regione dell'ignoto, dell'inconscio
collettivo. Suo compito è quello di definire «la quantità d'ignoto 'che nel suo tempo
si desta nell'anima universale». Rimbaud divenne una sorta di mito, un modello déi
movimenti d'avanguardia fra fine Ottocento e primo Novecento. Fra le sue opere
ricordiamo: Poesie; Ultimi versi; I deserti dell'amore; Una stagione all'inferno;
Illuminazioni.
Henrik Ibsen
I drammi del norvegese Ibsen (1829-1906) ebbero largo influsso non soltanto sul
teatro, ma anche sulla cultura del tardo Ottocento. Fra i più importanti sono La
commedia dell'amore(1862); Brand (1866); PeerGynt (1867); Le colonne della
società (1877); Casa di bambola(1879); Gli spettri (1881); Rosmersholm (1886);
La donna del mare (1888); Edda Gabler(1890); Il costrutto re Solness (1892);
Quando noi morti ci destiamo (1899).
Ibsen rappresenta i conflitti morali della società borghese, demistificando la
menzogna e il convenzionalismo del costume, le costrizioni e la nascosta violenza
del cosiddetto «decoro »; i suoi personaggi lottano duramente, e spesso senza
successo, per affermare la loro esigenza di libertà e di autenticità contro le
repressioni conformistiche della società.
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Antòn Pàvlovic Cechov
Cechov(1860-1904) esprime una scorata stanchezza che corrisponde alla
depressione.
Della vita russa nell'ultimo Ottocento, ma anche a una diffusa crisi europea. Egli
rinuncia ai complessi temi ideologici di Tolstòj e di Dostoevskij, si sofferma su
esistenze grigie, sulla vita soffocante della provincia russa, su vicende piccolo-
borghesi, sulla tristezza che nasce dall'incapacità di credere e di volere, con u,n
acuto realismo psicologico e una pietà malinconica. Nelle raccolte Racconti
variopinti (1884), La steppa (1888), Gente tetra (1889), I contadini (1897), per
citarne solo alcune, creò il racconto psicologico-realistico di struttura moderna.
Risonanza anche maggiore ebbero i suoi drammi (Ivanov,1888; Il gabbiano,1896;
Zio Vanja, 1899; Le tre sorelle, 1901;Il giardin odei ciliegi, 1904). Il suo teatro di
stati d'animo e di atmosfere, povero d'azione, è tutte giocato su sfumature
psicologiche e su un sommesso lirismo. I personaggi si muovono fra orgoglio e
timidezza paralizzante, frustrazione e ansia di redenzione che s'esprime nei
cosiddetti «miraggi» della loro fantasia, fra noia e scoppi di passione sterile.
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Test
Si sviluppino le seguenti tematiche:
1) L’uomo e il suo tempo.
2) La folla come concetto di esistenza ed annullamento del singolo individuo.
3) Cosa si intende per poeti maledetti.
4) Come la letteratura italiana sarà contagiata dai poeti maledetti.
5) La morte nello scenario della vita quotidiana.
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![Page 78: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/78.jpg)
IV UNITA’: IL Decadentismo
Prerequisiti:
- Conoscenza della situazione politica e sociale dell’Italia nei primi del
Novecento.
- Capacità di contestualizzaze nuove problematiche.
- Conoscenza del secolo Ottocento dal punto di vista letterario e sociale.
Obiettivi:
- Acquisizione del concetto di decadenza.
- Acquisizione delle nuove tematiche del superuomo, della morte e del
disfacimento fisico.
- Acquisizione del nuovo concetto di borghesia nascente.
Si studieranno:
- Il Decadentismo: aspetti sociali e letterali.
- Quadro storico del primo Novecento.
- Gabriele D’Annunzio.
- Benedetto Croce.
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Premessa
La divisione per secoli della storia letteraria (e di quella generale) è una divisione
di comodo. Il secolo, infatti, è un' entità astratta, anche se conserva un'idea di
tempo concluso e significante, ereditata dal passato. Le religioni antiche
computavano il tempo storico in cicli millenari, suddivisi in «mesi» secolari,
ipotizzando, alla fine di ogni ciclo, una fine e una successiva rinascita del mondo:
un ricominciamento come riscatto dall'orrore e dal male presenti nella storia. Tale
aspettativa, privata dell'istanza religiosa, è ancor viva a livello psicologico, anche
se l'idea di tempo prevalente nella nostra civiltà è lineare e non più ciclica, fondata
cioè sull'interpretazione del tempo storico come continuità e progresso. Un secolo,
comunque sia, nasce non alla mezzanotte di quello precedente, ma quando un
gruppo di idee, rappresentazioni, eventi viene assunto, dagli attori e, in seguito,
dagli storici, come tradizione del nuovo, del diverso: d'una svolta del cammino
della civiltà.
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La periodizzazione letteraria
Quanto s'è detto vale anche per la divisione della storia letteraria sia in secoli sia in
«scuole» o poetiche localizzate nel tempo (il Romanticismo); nel primo caso si
insiste sul complesso generale delle forme della civiltà con cui la letteratura si
correla, nel secondo, su aspetti di poetica più specificamente (e limitatamente)
letterari. In quel genere letterario che è la storia della letteratura, secoli e correnti
sono una sorta di capitoli che pausano il racconto, indicandone gangli essenziali.
La differenza fra la storiografia letteraria e le altre storiografie consiste però nel
fatto che è impossibile fissare in essa un movimento progressivo (che si può
riscontrare, ad esempio, nella storia della scienza e della tecnologia). Vi è, tuttavia,
una continuità evidente nella produzione letteraria, che si individua nel carattere
specifico della letteratura come insieme di convenzioni (linguistiche, strutturali,
come i generi letterari, formali, ecc.), organizzate in una tradizione, cui ogni
scrittore si rifà, anche quando si oppone a essa in una ricerca del nuovo. Da un
lato, nella nostra tradizione, l'opera letteraria istituzionalizza la soggettività,
l'irripetibilità dell'individuo; dall'altra si pone come un particolare tipo di
comunicazione che si confronta con la società, cioè col pubblico, anch' egli
partecipe della tradizione letteraria. In tal senso, si potranno distinguere due
fondamenti della periodizzazione:
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![Page 81: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/81.jpg)
a) quello che tiene conto dell'affermarsi di nuove tecniche espressive, o di
comunicazione, di principi nuovi di gusto e di poetica, in base a un nuovo
orizzonte di attese formatosi nel pubblico;
b) quello storico generale del modificarsi della cultura e della mentalità: d'una idea
di civiltà che anche la letteratura contribuisce a costruire.
I due aspetti, strettamente correlati, offrono una chiave di lettura valida per
interpretare il linguaggio del testo: dal significato letterale delle parole, che muta
nei diversi tipi di civiltà, alle strutture compositive e fantastiche che le opere
assumono in omaggio o in opposizione alla tradizione. La periodizzazione e la
definizione dei caratteri generali delle correnti letterarie servono a darci il senso
dei problemi espressivi affrontati dall'autore, a misurare l'originalità della sua
risposta alle attese d'un tempo e d'una società: insomma, dell' humus storico-
culturale nella quale e in risposta alla quale l'opera nasce, come nuova lettura del
mondo.
Si può parlare di «Novecento» in generale?
Confortano a dare una risposta affermativa alla domanda, a distinguere, cioè, nel
continuo flusso storico, un periodo definito, il Novecento, questi fatti:
a) il Novecento come epoca moderna, caratterizzata da un grande sviluppo del
progresso scientifico era aspettazione comune negli ultimi decenni dell'Ottocento,
e coincise, già nei primi anni, con un polemico ripudio del passato (col
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![Page 82: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/82.jpg)
Futurismo); fu, dunque, un'idea posta a fondamento d'una particolare civiltà
letteraria;
b) è evidente, a partire dall'ultimo Ottocento, una vera e propria rivoluzione
tecnico-espressiva nelle arti figurative, nella musica, della poesia, che si legò a una
nuova idea dell' arte e, prima, della realtà;
c) nella mentalità comune ancora negli anni Trenta, «Stile Novecento» non indicò
soltanto uno stile architettonico, ormai diffuso nell' edilizia residenziale, ma anche
uno stile di vita, avverso al moralismo convenzionale, schietto e diretto,
«giovane», secondo un mito della giovinezza - e cioè dell' energia vitale - esteso
allora dal Fascismo anche alla politica (i popoli giovani, come l'Italia, degni per
questo, di fortuna e d'impero).
Una definizione del periodo non potrà non tenere conto, tuttavia, anche nel campo
letterario, di alcuni fatti storici che hanno avuto influssi notevoli sulla psicologia di
massa e sulla produzione artistica e letteraria. Basterà, per ora, accennare a eventi
come le due guerre mondiali, la rivoluzione russa, i movimenti di liberazione dei
popoli coloniali, le sanguinose dittature; e ancora, il grande sviluppo scientifico e
tecnologico e il loro riflesso sociale, le nuove forme di comportamento, i nuovi
mezzi di diffusione culturale,1'aumento fortissimo del numero dei lettori, il
cinema: esperienze e istituzioni che hanno portato a mutamenti anche nell'idea
dell'uomo e del suo rapporto col mondo.
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Una proposta di periodizzazione
Non sembra inutile, sul piano didattico, suddividere il discorso sul Novecento in
quattro momenti:
a) la fine del secolo XIX (tra il 1880 e il 1903 circa) col primo affermarsi di nuove
istanze filosofiche, culturali, letterarie, politiche e di costume, e d'un rinnovamento
di poetiche;
b) il periodo che va dai primi anni del secolo alla fine della prima guerra mondiale,
col fitto dialogo delle «avanguardie» e dalla sperimentazione fin spericolata di
livelli espressivi inediti;
c) il periodo fra le due guerre, con forme di restaurazione, sul piano letterario, ma
anche con nuove poetiche (surrealismo, espressionismo) che, insieme con
prospettive filosofiche quali 1'esistenzialismo, propongono un'idea nuova
dell'uomo e della letteratura e accompagnano il rafforzarsi d'una tradizione del
Novecento;
d) il periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri, con la
possibile distinzione, al suo interno, di due periodi, separati da un anno cruciale, il
1968.
Probabilmente il Novecento, come ha avuto inizio nell'ultimo ventennio
dell'Ottocento, così è già finito (si parla ora, per esempio, soprattutto per le atti
figurative, di «postmoderno»). Converrà, a questo proposito, lasciar procedere il
cammino della storia, prima di tentare un'interpretazione storiografica.
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![Page 84: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/84.jpg)
Decadentismo e Simbolismo
Premessa
Prima di considerare il fitto dialogo di poetiche nuove della fine dell'Ottocento,
converrà osservare:
a) che esse nascono sulla base di mutate prospettive storiche, culturali, esistenziali;
b) che vanno messe in relazione anche con l'aumentato numero dei lettori, prodotto
dall' elevazione culturale della borghesia, delle aristocrazie operaie e del
proletariato, che, attraverso la lotta sociale, elabora una propria cultura.
A riprova di ciò, va sottolineata la vasta diffusione di quella letteratura per tutti che
viene chiamata «paraletteratura» o «letteratura di consumo», o con altri nomi:
almanacchi popolari, romanzo d'appendice (pubblicato, cioè, come appendice nei
quotidiani), ecc. Si può in tal senso parlare d'una industrializzazione della scrittura,
dinanzi alla quale gli scrittori di livello «alto» assumono posizioni di dialogo o di
contrasto.
Col nome Decadentismo si tenta di porre un' etichetta unitaria su fenomeni letterari
non sempre omogenei; tanto che alcuni critici rifiutano questa denominazione, o la
riservano a una parte soltanto dei fenomeni di quest'epoca (all'incirca fra il 1870 e
il 1903), catalogandone altri sotto l'insegna del Simbolismo. Ma anche questa
distinzione non gode oggi di grande fortuna.
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![Page 85: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/85.jpg)
Sappiamo tuttavia che queste denominazioni hanno un valore approssimativo.
Converrà pertanto servircene soltanto per coordinare i punti salienti del dibattito
culturale e letterario di quegli anni.
La crisi del Positivismo
A partire dagli anni ottanta/novanta si accentua la crisi del Positivismo, cui
s'accompagna un'ansia del nuovo e del diverso.
Al Positivismo nocque l’impazienza di pervenire a spiegazioni o ipotesi conclusive
sulla struttura ultima e sulle ragioni del reale , invadendo in tal modo il campo
della filosofia speculativa senza strumenti intellettuali adeguati. Si tradiva così la
vera essenza del metodo scientifico sperimentale, che consiste nella verifica di
successive ipotesi, senza preoccuparsi di cause ultime.
I tentativi corrispondevano alla domanda, anch'essa impaziente, del pubblico: ma
finirono di rivelare che la scienza non poteva risolvere in sé tutta la cultura e la vita
dell'uomo. Da un lato, dunque, il non conosciuto divenne l'Inconoscibile, il
Mistero, con una svalutazione della scienza considerata inadeguata a rispondere
alle domande supreme dell'uomo; dall' altro fu messo in discussione il metodo
positivistico.
Questo, se portò lentamente a un'idea nuova della scienza - il cui fine non è
scoprire una razionalità o armonia implicita della «natura», ma verificare anche i
sistemi e le procedure con cui la mente si sforza di conoscere il mondo - fu,
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![Page 86: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/86.jpg)
immediatamente, un facile pretesto di svalutazione di essa e di esaltazione di
atteggiamenti conoscitivi diversi, delineati dalle varie filosofie irrazionalistiche di
fine secolo.
Il progresso scientifico aveva portato con sé uno sviluppo tecnologico, e quindi
industriale, che provocò anch'esso una rivoluzione nei rapporti umani. La
borghesia lasciava cadere l'ideologia con cui si era identificata per molti anni (la
scienza come sicura fautrice di democrazia e di progresso), davanti a problemi
sociali che richiedevano nuovi strumenti conoscitivi e pratici.
La grande città industriale, con le sue masse di proletari sfruttati e indifesi,
diventava espressione di alienazione e di solitudine; lo sviluppo dell'industria
comportava l'accumulazione capitalistica, le guerre coloniali per 1'accaparramento
delle materie prime, e quelle per la conquista dei mercati. Era un disfrenarsi di
egoismi che metteva a dura prova sia le forme ancor vive di idealismo romantico,
sia la fiducia positivistica nella ragione, nella scienza; nel progresso.
La lotta fra capitale e lavoro, le agitazioni operaie, causate dalla miseria delle
classi lavoratrici finirono per sconvolgere lo stato liberale, troppo spesso inteso alla
difesa dei privilegi delle classi più forti e resero sempre meno probabile il
ritrovamento d'una struttura razionale dell' agire umano e della storia, lasciando
emergere egoismi sopraffattori che avranno un triste seguito nelle guerre e nelle
dittature novecentesche.
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![Page 87: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/87.jpg)
Letteratura della crisi
Un senso di disagio è diffuso fra gli intellettuali di fine secolo, che, di fronte
all'incapacità del nuovo tipo di civilizzazione di conciliare progresso tecnologico e
politico-sociale, ripiegheranno spesso su ideologie e filosofie pessimistiche,
interpretando l'attuale disarmonia della vita come destino. Non mancarono poi
filosofie che giustificavano la violenza e il diritto del più forte, imposte dalla classe
dominante che sfruttava lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e diffusione.
Gli atteggiamenti in cui si manifestò la letteratura della crisi si vennero coagulando
sempre più in una reazione agli aspetti ideologici, e quindi anche morali e letterari
del Naturalismo, del Verismo e del Positivismo in genere.
La ribellione esprimeva la sfiducia nell'ideologia borghese d'un progresso,
garantito dalla conservazione delle strutture presenti della società e della cultura.
L'emarginazione di cui gli scrittori si sentivano vittima in un' organizzazione
sociale fondata sull' onnipotenza della ricchezza, modificò il loro rapporto col
pubblico. Nell'età romantica e in quella positivistica, il letterato era stato interprete
e guida dei popoli, o coscienza intellettuale e problematica in cui una società si
riconosceva; nella nuova età capitalistica, invece, egli avverte la propria solitudine
in una società che lo rinnega, intenta com'è a interessi materiali, e si rinchiude in sé
o tenta di imporsi alla folla, tramutando il complesso d'inferiorità in orgoglio. A
ogni modo, la nuova letteratura non è impegnata in un dialogo diretto con la
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![Page 88: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/88.jpg)
società, in nome di comuni ideali, come nell' età delle rivoluzioni liberali, e com'
era avvenuto ancora nell' epoca del Carducci, anche se limitatamente a quello che
Mazzini chiamava popolo: la borghesia, gli artigiani delle città, un' esigua
aristocrazia operaia. Ora si afferma l'ideale dell'arte per l'arte: di un'arte, cioè, e
d'una poesia come affermazione pura della bellezza, priva d'ogni preoccupazione
morale o civile. Questo diede a molti contemporanei la persuasione d'una
decadenza dei valori.
Letteratura «decadente»
D'un movimento cui può essere assegnato il nome di Decadentismo si può parlare
in Francia, intorno al 1880, anche se già da prima se ne avvertono manifestazioni,
connesse all'esasperazione delle tematiche romantiche soggettivistiche del mistero
e del sogno.
Nacque, per esempio, allora una rivista, «Le Décadent», attorno alla quale
gravitarono autori di ispirazione diversa; come Verlaine che aveva scritto nella
lirica Languore (1883), di sentirsi come l'Impero romano nell'età della decadenza.
Il termine «decadente» ebbe, in origine, un senso negativo. Fu infatti rivolto
polemicamente contro poeti che esprimevano lo smarrimento delle coscienze e la
crisi dei valori, di là dall' ottimismo ufficiale e dal materialismo gaudente e spesso
ipocrita della società. Ma gli scrittori colpiti fecero di questa definizione un'insegna
di lotta, richiamandosi anche, per rivalutarle, alle età storiche dette di decadenza, in
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cui si gettavano, di fatto, i fondamenti d'una nuova visione del mondo e d'una
nuova realtà. Essi ebbero la coscienza di vivere un' età di trasformazioni e di
trapasso, si sentirono scrittori della crisi, e avvertirono che il loro compito non era
tanto quello di proporre nuove certezze, ma di approfondire i termini esistenziali di
questa crisi sul piano conoscitivo.
Tema comune fu il rifiuto della società presente, del costume e dell'etica imperanti:
della massificazione, da un lato, del perbenismo borghese dall' altro, con le sue
ipocrisie che nascondevano un egoismo gretto. Per questo, come afferma Franco
Fortini, «il personaggio decadente cerca e sperimenta quanto possa esaltare il suo
io (egotismo); desidera quanto è nuovo, soprattutto se artificiale; esaspera la
propria sensibilità con l'introspezione. Nella letteratura e nell'arte, che non vuole
distinguere dalla vita, promuove l'ornamentale, il decorativo, il mosaico, la fattura
artigianale, in odio dell' arte industriale e al prodotto di massa».
In politica vi furono esiti diversi e sovente opposti. Il «decadente» disprezza le
correnti umanitarie e socialiste, è, spesso, fautore dell'espansione imperialistica,
ma a volte ripiega sul pacifismo tolstoiano o su nostalgie di vita claustrale, o d'un
francescanesimo estetizzante. Il suo dispregio della morale corrente lo porta infine
a forme dierotismo morboso e aberrante, presentate come una discesa nel profondo
della psiche, alla ricerca d'una verità più autentica. È, sostanzialmente, una rivolta
antinaturalistica, che rifiuta gli aspetti oggettivi dell' esistenza e ogni vincolo
sociale, affermando la solitudine fatale dell'individuo, e interpreta la natura, come
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![Page 90: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/90.jpg)
insieme di parvenze, come uno schermo che cela una realtà più vera ma
inconoscibile. Esalta l'io soggettivo, creatore, nell'arte, che diviene ora essenziale
mezzo di conoscenza, di evasioni o «paradisi artificiali» che consentono di
sfuggire alla miseria della condizione umana e di attingere una conoscenza più
sostanziale, anche se soltanto in brevi folgorazioni, della realtà.
Lo spiritualismo romantico è soppiantato insieme con lo storicismo, cioè col senso
della vita come divenire e creazione progressiva di valori e di civiltà. La vita
diviene una successione di attimi, di rivelazioni poetiche dell'ignoto, fuori del
tempo e della storia, e del grigio re dell' esistenza quotidiana.
Della fase iniziale del Decadentismo, ricordiamo in primo luogo l'Estetismo
(rappresentato, ad esempio, dal D'Annunzio, da Oscar Wilde, da J.K. Huysmans),
che deriva dalla già esposta concezione della poesia. Se 1'arte è il solo valore
autentico dell' esistenza, questa dovrà, a sua volta, configurarsi come un' opera
d'arte, essere pura ricerca della bellezza, rigettando ogni considerazione morale,
ogni dovere imposto dalla convivenza.
Donde tutta una schiera di esteti, aristocratici e raffinati, intesi al culto della bella
parola e del bel gesto, alla ricerca dei piaceri più sottili, delle sensazioni più
complicate. D'altra parte, l'esaltazione della vitalità istintiva, la svalutazione della
moralità e della razionalità, portarono, fra l'altro, al mito del superuomo cioè a un
egocentrismo anarchico che culminò nelle figure dittatoriali del nostro secolo e nei
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![Page 91: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/91.jpg)
miti collettivi del sangue, della stirpe e della volontà di potenza, che divenne
impulso aggressivo e imperialistico.
Ragioni del Decadentismo
Si è parlato poc’ anzi di «fase iniziale», ma forse sarebbe producente limitare a
essa la denominazione di «Decadentismo», usare, cioè, questo termine per la
letteratura di fine secolo, precisando:
a) che molte problematiche esistenziali ed estetiche allora manifestatesi penetrano
bene addentro nel Novecento e giungono a tempi vicini a noi;
b) che il termine denota un complesso di tematiche che non approda a poetiche
unitarie; ove si escluda il Simbolismo, che rappresenta un modo nuovo e
rivoluzionario di concepire l'arte e lo stile e che converrà considerare a parte.
Sul piano della storia della cultura e delle idee, si possono individuare due aspetti
fondamentali del movimento, di là dalle particolari mitologie del sangue, della
corruzione, della trasgressione ideologica e morale:
a) la scoperta della sfera istintiva, arazionale, come dimensione dell'uomo che la
poesia deve esplorare, aprendosi alle sue suggestioni e rappresentandole;
b) la ricerca d'una nuova definizione della coscienza e delle cose, coerente con
l'esperienza nata dalle nuove conquiste scientifiche e tecnologiche e dalle nuove
forme della vita associata.
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![Page 92: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/92.jpg)
Si può dire pertanto che il Decadentismo è la prima presa di coscienza d'una
trasformazione ideologica, politica, di sensibilità e di costume che ancora travaglia
l'Europa. Dalle prime affermazioni abnormi e plateali esso ha approfondito le
proprie ragioni fino a tentare una nuova definizione dell'uomo. Ha infranto i miti
più facili e superficiali del Positivismo, ha rivendicato la concretezza del dramma
individuale della persona dalle astrattezze dello storicismo idealistico. Movimento
di rottura, piuttosto che di costruzione, ha contribuito a distruggere le forme ormai
vuote o mistificate della cultura precedente.
I Simbolismo
La tendenza più significativa di questa letteratura di fine secolo, destinata ad
un'ampia fortuna anche nel Novecento, fu il Simbolismo; un insieme di
propensioni letterarie, congiunte a un'idea radicalmente mutata dei fatti espressivi.
I poeti simbolisti (il movimento ebbe origine in Francia) riconobbero il loro
maestro in Baudelaire, e più tardi in Verlaine, Rimbaud, Mallarmé che di questa
tendenza rappresentarono l'espressione più alta; diedero vita a numerose riviste,
dalla «Revue wagnerienne» (1885) - ed è caratterizzante questo porre in stretto
contatto la poesia con la nuova idea e pratica della musica portata da Wagner a «Le
symboliste» (1886) a «La pleiade» (fondata nell'86 da scrittori vicini a Verlaine),
che nell'89 diverrà «Le Mercure de France». Non mancarono, infine, i manifesti,
dal Trattato della parola di Renè Ghil al Manifesto del Simbolismo di Jean Moréas
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![Page 93: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/93.jpg)
(1886). Fra gli autori interessati alla nuova poetica vanno ricordati inoltre Jean
Claudel e Paul Valéry, Gustave Kahn, sostenitore del verso libero come conquista
d'una «musicalità» poetica inedita, Maurice Maeterlinck, Francis Vielé Griffin,
Jules Laforgue, Emile Verhaeren, Georges Rodenbach, Albert Samain, e altri. Il
movimento ebbe vasta risonanza europea, con seguaci inglesi (Algernon Charles
Swinburne, Gerard Manley Hopkins), tedeschi (Gottfried Benn, Stephan George,
Rainer Maria Rilke), russi (Aleksàndr Blok), spagnoli (Ruben Dario, Antonio
'Machado, Juan Ramòn Jimenez). In Italia furono legati al Simbolismo Pascoli,
D'Annunzio, DinoCampana e, in genere, i poeti del primo cinquantennio del
secolo.
Il nome del movimento, deriva da' un'idea del mondo come una rete di simboli (le
cose) mediante la quale il poeta evoca una realtà più profonda, ricostruendola (e
dunque ricostruendo e re-inventando la «natura») su una trama di analogie e
corrispondenze (si legga, più avanti, la lirica Corrispondenze di Baudelaire).
Questa visione del mondo produce nell' arte una rivoluzione totale, del contenuto e
delle forme.
Ammessa l'impossibilità di conoscere la realtà vera mediante l'esperienza, la
ragione, la scienza, si pensa che soltanto la poesia, per il suo carattere d'intuizione
arazionale e immediata, possa attingere il «mistero», esprimere le rivelazioni
dell'ignoto. Essa diviene dunque la più alta forma di conoscenza, l'atto vitale più
importante: coglie le arcane analogie che legano le cose, scopre la realtà che si
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![Page 94: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/94.jpg)
nasconde dietro le loro apparenze esteriori, esprime i presentimenti e i trasalimenti
che affiorano al fondo dell' animo. Per questo è concepita come pura
illuminazione, messaggio che giunge da una zona remota, opposta all'esperienza
usuale: come espressione, appunto, simbolica.
Non rappresenta più immagini o sentimenti concreti, rinuncia al racconto, alla
proclamazione di ideali; la parola non è più usata come elemento del discorso
logico, ma per la sua virtù evocativa e suggestiva. È come una musica che suscita
una vibrazione indefinita, una rivelazione. In tal senso si può parlare di misticismo
estetico.
La struttura espressiva e il senso dell'euritmia, propri della tradizione classica,
vengono infranti, insieme con ogni torma di costruzione intellettuale e sintattica.
Nascono la poesia del frammento illuminante, denso, spesso, di una molteplicità di
significati simbolici, e una nuova metrica, sciolta dagli schemi della tradizione,
intesa a rendere il ritmo della vita interiore, il suo fluire libero. La nuova poesia
non si rivolge all'intelletto o al sentimento del lettore, ma alla profondità del suo
inconscio, lo invita non a una lettura, ma a una partecipazione vitale. Donde la
difficoltà di riassumere una poesia moderna, di spiegarne in termini logici il
significato. Essa si propone di darci non dei concetti, ma un'esperienza dell'ignoto,
di porci in comunione con esso. Il poeta non è più il Vate romantico, guida e
coscienza dei popoli: è il veggente, o sacerdote dell'invisibile, che trasfigura la
realtà, ne fa l'oggetto d'una miracolosa/olgorazione, come si disse allora
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![Page 95: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/95.jpg)
sottolineando il suo carattere di scoperta e fondazione del mondo. Il poeta canta
essenzialmente questo miracolo, che è poi, di fatto, la stessa poesia, stabilendo un
rapporto con un pubblico rigidamente selezionato.
La vera novità di questa poetica si verifica a livello di linguaggio e di espressione.
Si prediligono le metafore dense, che alludano alla complessità del mondo e ne
riflettano la cangiante metamorfosi, le analogie fra le cose come manifestazione
d'una profonda e riposta unità. Di qui, ad esempio, l'uso frequente delle sinestesie,
cioè il passaggio, nell'immagine, da un ordine di sensazioni a un altro; per
esempio, in Pascoli: «soffi di lampi», dove l'impressione visiva è sostituita da
quella tattile del soffio, come a denotare la simultaneità di tutte le pulsioni della
coscienza nel singolo atto conoscitivo, che è poi, a sua volta, non conoscenza d'un
oggetto chiuso in se stesso, ma del manifestarsi in esso della comune energia
vitale. La ricerca d'una musicalità verbale, non cantabile (lo dimostra l'uso del
verso libero), ma allusiva e impressionistica, proclamata, fra gli altri, da Verlaine
nella sua Arte poetica, rivela la volontà di effigiare in forma unitaria l'apparente
diversità della vita e di ritrovare l'eco profonda che le «occasioni» o
«illuminazioni» (le cose penetrate da questa nuova sensibilità poetica) producono
nella coscienza.
La poesia appare pertanto - è questo uno dei miti fondamentali del simbolismo -
una creazione del mondo attraverso il linguaggio, una riprova della creatività
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![Page 96: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/96.jpg)
dell'io; un modo per il poeta, di isolarsi dalla «tribù» degli altri uomini, dal loro
modo di conoscere e di esprimersi.
Introduzione storica
Nei primi anni del secolo maturano le condizioni economiche, politiche e
ideologiche che porteranno l'Europa alla guerra c’è, nei singoli stati, un
disfrenarsi d'avidità di dominio e di tendenze imperialistiche: l'espansione
industriale, la logica stessa d'un capitalismo che accetta come unica finalità il
profitto, portano, in genere, i governanti europei a rinnegare il genuino spirito
liberale dell'Ottocento e a sostituire ai principi di democrazia, d'uguaglianza e di
solidarietà fra i popoli, la volontà di potenza e il diritto del più forte.
Alla crisi dei rapporti internazionali si accompagna, all'interno dei singoli stati,
quella dei rapporti sociali. In quest'età s'inasprisce il conflitto fra capitale e
lavoro, divampa la lotta di classe. L'alta borghesia, compiuta la grande
rivoluzione industriale, tende a fare dello stato lo strumento di conservazione dei
privilegi acquisiti, mentre il proletariato, ispirandosi alle idee marxiste e
sindacaliste, minaccia di rovesciare l'ordine costituito.
Da questa situazione derivano, nonostante la pace e la prosperità economica, un
sentimento d'insicurezza, la sensazione di essere a una svolta decisiva della
storia, e, di conseguenza, ora l'affermazione di torbidi miti nazionalistici e
imperialistici, ora un senso inquieto di crisi.
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![Page 97: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/97.jpg)
Agli inizi del Novecento l'Italia, uscita dal faticoso travaglio formativo che seguì
la conquista dell'unità, si avviava a divenire una potenza europea, con un moto
d'ascesa che sembrò culminare nell'impresa libica (1912). All'interno, dopo la
crisi del '98 e il fallimento dei tentativi reazionari, il Giolitti rafforzò le istituzioni
dello stato liberale, sforzandosi di porre le premesse di un dialogo democratico
fra le forze politiche e le ideologie contrastanti: il liberalismo, il socialismo e i
cattolici. Furono anni di sviluppo economico e industriale e di progresso delle
istituzioni, ove si escluda la grande arretratezza economica e sociale in cui fu
lasciato il Mezzogiorno.
Ma all'Italia giolittiana mancò un profondo slancio ideale: il liberalismo fu allora,
come osservò Benedetto Croce, «una pratica e non già una viva e intima fede»,
una teoria economica e non una religione della libertà, come era stato alle origini.
Gli ideali risorgimentali perduravano molto spesso come un'antica memoria di
giovinezza, contemplati con nostalgia e capaci ancora di commuovere (quando
non erano puro pretesto di celebrazioni enfatiche), ma non più di essere un
fondamento attuale del vivere e dell'operare. Né, d'altra parte, ebbero la forza di
costituire una vera alternativa le due nuove forze politiche, i socialisti e i
cattolici, irretiti, i primi, in una politica riformistica e attratti nell'orbita giolittiana
perdendo la loro spinta rivoluzionaria più genuina, ancora isolati, i secondi, dalla
vita culturale moderna e faticosamente intenti a uscire dalle posizioni arretrate in
cui 1't aveva relegati il Sillabo di Pio IX.
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![Page 98: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/98.jpg)
Questa carenza ideologica favorì il sorgere del nazionalismo, cioè un'esaltazione
dell'idealità patriottica, ma pervertita e nata nel clima estetizzante di cui il
D'Annunzio fu esempio vistoso. Fu un movimento antiliberale e
antiparlamentare, militarista e imperialista, che vagheggiò la guerra come «igiene
del mondo» e stravolse l'amor di patria a impeto d'affermazione violenta e di
conquista, sognando impossibili grandezze e assurde vocazioni imperiali della
stirpe. Rappresentò da un lato un'evasione da quelli che erano i problemi reali
della nazione, dall'altro la deliberata intenzione di eluderli mediante una politica
estera avventurosa, che desse una giustificazione pseudoideologica all'azione
della ricca borghesia industriale, intesa a rafforzare il proprio dominio dallo stato
e a opporsi al «pericolo socialista», cioè all'elevazione materiale e spirituale delle
masse oppresse.
La crisi dello stato liberale si concluse con la guerra del '15-'18, che se nella
scelta dell'avversario sembrò continuare la tradizione antiaustriaca
risorgimentale, in realtà rappresentò per molti interventisti un'impresa
imperialistica, un'affermazione della «volontà di potenza» della nazione.
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![Page 99: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/99.jpg)
La cultura del primo Novecento
Temi dominanti delle complesse e spesso contrastanti esperienze culturali di
questo periodo furono, in Italia, la reazione antipositivistica e la rinascita d'un
atteggiamento di pensiero idealistico, che, però, se nel Croce s'inserì nella linea
della grande filosofia storicistica tedesca dell'Ottocento, in altri approdò a
soluzioni irrazionalistiche (Bergson, Pragmatismo, Nietzsche, Sorel), che
proclamavano il dominio della volontà sull'intelletto o venivano legate, a volte
attraverso interpretazioni fuorvianti, all'esaltazione decadentistica dell'io e alla
«contrapposizione di bellezza e di potenza a verità e virtù».
Agli inizi del secolo la fiducia positivistica nella ragione e nella scienza era in
netto declino. Alcune rivoluzionarie scoperte nel campo della fisica avevano
distrutto la pretesa di validità assoluta dei principi tradizionali della conoscenza
scientifica; e, d'altra parte, le sintesi frettolose di scienziati improvvisatisi filosofi
facevano chiaramente avvertire le angustie d'un sistema di pensiero che si
fondava su un grossolano e statico materialismo, degradava la ragione a una pura
registrazione di fenomeni e privava il uomo, immergendolo in un meccanico
universo fisico, della sua libertà, misconoscendone la capacità inventiva e la
responsabilità nella storia.
Questo venir meno della fiducia nel metodo scientifico (che, in realtà, doveva
soltanto, come ha fatto in tempi più vicini a noi, liberarsi dal dogmatismo e dalla
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![Page 100: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/100.jpg)
pretesa di costituire l'unica e totale spiegazione della realtà) portò a una piena
svalutazione della ragione e della scienza e a un nuovo insorgere
dell'irrazionalismo decadentistico. L'affermazione dell'uomo come libertà
divenne in molti esaltazione dell'io, della sua: potenza operativa, concepita quasi
come una forza magica, capace di creare il mondo conforme al suo pensiero e alla
sua volontà, o meglio, al suo arbitrio, alla sua volontà di potenza, e si concluse
nel culto estetizzante della personalità eccezionale. Furono inoltre applicati al
mondo della storia e proclamati con esaltazione febbrile certi motivi del pensiero
positivistico, come la legge della «selezione naturale», cioè della sopravvivenza,
nella lotta per la vita, degli individui e delle specie più forti, e di qui derivarono
l'attivismo e il razzismo, l'idea del superuomo e della razza e del popolo eletto, il
culto del barbarico e del primitivo e il dispregio degli ideali democratici.
Tuttavia, nonostante questa apparenza volontaristica ed energica, l'irrazionalismo
decadentistico esprime, anche in questa sua fase aggressiva, una debolezza.
Esso nasce al tramonto d'ogni precedente fede morale, intellettuale e religiosa, e
dalla conseguente disperazione di poter conoscere il mondo e le cause della
realtà; disperazione che invano il culto dell'io e il mito dell'azione per l'azione
cercano di celare. Per questo, estetismo e angoscia esistenziale appaiono le due
componenti centrali e complementari della cultura del Novecento.
L'estetismo, anche quando si spogli dei toni preumanistici dannunziani, è un
tentativo di aderire misticamente al flusso vitale, orzandosi di comporlo in una
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![Page 101: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/101.jpg)
costruzione aristocratica e solitaria; è un ideale di vita eroica e autosufficiente che
nei momenti di più autentico ripiegamento interiore si vela come effimero sogno.
Di qui nasce il senso della vita come vanità e frustrazione, me delusione e nulla,
un motivo, questo, che verrà approfondito ed esasperato dalle filosofie
dell'Esistenzialismo.
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![Page 102: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/102.jpg)
Letteratura italiana del primo Novecento
La letteratura del primo Novecento riflette questa inquietudine. L'ultima voce
d'una visione dell'uomo considerato pienamente responsabile della sua storia,
concepita con consapevole conquista della civiltà e della piena coscienza di sé, fu
la filosofia idealistica e storicistica di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, fedele
a un'idea di progresso fondato su valori spirituali, fiduciosa nella razionalità del
reale e della storia, avversa al Positivismo, al Marxismo, alle correnti
irrazionalistiche. Dopo un'iniziale collaborazione, i due filosofi seguirono, però,
vie diverse. Il Gentile, riallacciandosi all'idea hegeliana del superiore valore etico
dello Stato, si allineò su posizioni fasciste. Il Croce continuò, invece, la
tradizione liberale, riaffermando la fede nella «religione» laica e immanentistica
della libertà.
Le posizioni neoidealistiche prevalsero nella scuola e nell'alta cultura
universitaria, in opposizione, spesso, alla letteratura militante, dominata dal senso
di crisi dei valori e della stessa persona, dall'avvertita problematicità del vivere e
del conoscere, lontana da ogni certezza di approdi. Di qui l'alternarsi di
«avanguardie», ossia di posizioni artistiche dominate da un'idea conflittuale della
realtà, evidente anche nel sovvertimento delle strutture formali, e di
«restaurazioni», o difese d'un passato migliore, che il Croce impersonò nel
Carducci, visto come il poeta della «sanità» morale e spirituale, opposta alla
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![Page 103: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/103.jpg)
«malattia» contemporanea. Tali posizioni coinvolgevano scelte etico-culturali di
fondo, in una civiltà che assegnava ancora importanza dominante alla poesia,
riducendo quella di altre branche del sapere, ad esempio, della scienza.
Le nuove poetiche
Il senso della realtà come fluire di labili parvenze, a cominciare dal proprio io, la
rinuncia a ogni ideale, ad ogni certezza e ad ogni avventura spirituale, che si
concreta in un deluso ripiegamento sulla vita quotidiana meschina e consunta,
ispirano la poesia dei Crepuscolari, dal Corazzini al Gozzano. A questa
malinconia romantica volle reagire il Futurismo, che portò alle estreme
conseguenze l'intuizione romantico-decadente della vita come istinto e azione e
volle esprimere nell'arte questo slancio vitale nella sua realtà di sensazione e di
violenza aggressiva, cantando la civiltà delle macchine, la guerra, l'attivismo
frenetico. Crepuscolarismo e Futurismo, quest'ultimo in forma più drastica,
vollero anche negare la tradizione letteraria e dar vita a un'arte nuova nello spirito
e nelle forme.
La ricerca di rinnovamento e di esperienze d'avanguardia è presente in quasi tutti
gli scrittori del primo Novecento, spesso in forme immature e febbrili, altre volte
con più matura consapevolezza e una considerazione approfondita della
letteratura europea coeva. A tale ricerca portano un importante contributo di
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![Page 104: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/104.jpg)
discussione le riviste di cultura quali L e o n a r d o , L a c e r b a , L a V o c e , che
accompagnano con una impegnata analisi critica il sorgere delle nuove poetiche.
Si propugna ora, e spesso si attua, una rivoluzione stilistica che investe le
immagini, il lessico, la versificazione, e lo stesso modo di porsi davanti
all'oggetto. Prevale una tecnica di rappresentazione analogica, allusiva, che
rifletta il flusso della coscienza, il suo essere e il suo rapportarsi alle cose, che
giunge - come si vede anche nelle arti figurative - fino alla deformazione, nella
ricerca di un contatto reale col mondo, non mistificato dal convenzionalismo e
dall'abitudine.
In pratica, entra in crisi un concetto di poesia e di rapporto col pubblico. Pascoli e
D'Annunzio sono ancora considerati importanti per la loro sperimentazione
formale connessa al simbolismo europeo; ma si rigetta di loro ciò che li tiene
ancora legati all'Ottocento, e cioè la perdurante idea umanistica della poesia come
celebrazione degli «eroi», o esaltazione dei grandi ideali mazziniano-romantici, a
cominciare da quello patriottico, o messaggio, comunque sia, di civiltà. L'arte
vive ora la crisi che coinvolge non soltanto le mitologie romantiche dell'io, ma la
stessa identità della persona.
La morte dell'arte preannunciata da Hegel sembra incombere sulla nuova era
capitalistica. La violenza dei contrasti sociali e delle guerre fa del poeta una
coscienza inquieta, un «uomo di pena» (Ungaretti), un «fanciullo che piange»
(Corazzini), un uomo dalla desolata chiaroveggenza che sorride e guarda vivere
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![Page 105: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/105.jpg)
se stesso (Gozzano), un «saltimbanco» che porta la poesia fino a una parodia
sofferta, dato che gli uomini non chiedono più nulla ai poeti (Palazzeschi).
Ricerca e rifondazione
L'inquietudine conoscitivo-esistenzíale dei due primi decenni del secolo va
considerata tuttavia anche in senso positivo: come espressione della volontà d'un
rapporto nuovo con le cose, col mondo, congruente con lo sviluppo scientifico-
tecnologico e le nuove, conseguenti, forme di convivenza. Parallelamente si fa
strada un senso rinnovato della responsabilità dell'artista nella civiltà di massa, con
l'abbandono delle sue astratte pose di educatore o vate o superuomo.
Vero è che la dialettica fra il vecchio e il nuovo non si risolve sempre a favore del
secondo, che al tramonto delle antiche certezze non corrisponde la nascita d'una
coerente visione del mondo, ma piuttosto l'ansia, il tormento, spesso, d'una ricerca
non conclusa. Si può tuttavia affermare che l'interesse della letteratura del primo
Novecento - e anche la sua originalità - consiste, prima di tutto, nella sua volontà
di demistificazione etico-conoscitiva, e, mediatamente, letteraria; nella volontà
d'una rifondazione del rapporto autore-pubblico e poesia-realtà.
In tal senso si può assegnare a questo periodo il merito di avere liquidato forme di
sensibilità e di scrittura ormai viete, romantiche, veristiche e decadentistiche;
anche se non si giunse a scalzare del tutto l'idea simbolistica della poesia-
rivelazione e organo privilegiato di conoscenza.
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![Page 106: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/106.jpg)
Sul piano specificamente formale e letterario due aspetti vanno messi in evidenza.
Il primo è il dialogo impegnato con le letterature europee, non più assorbite, per
esempio, attraverso gli echi fastosi, ma, almeno parzialmente, livellatori del
D'Annunzio, bensì penetrate direttamente, come nel caso di Rimbaud e Mallarmé.
Soprattutto importante è però la volontà di rifondazione dello stesso patto letterario
fra autore e pubblico, che è poi l'origine e la motivazione prima dei movimenti di
avanguardie che si succedono e si intrecciano in questi anni. Dalla parodia di
Gozzano a quella di Palazzeschi, dalle parole in libertà dei Futuristi a quelle
ritrovate da Ungaretti nel suo silenzio e distillate con una pronuncia rarefatta, per
così dire, e sofferta, dal gusto del poema in prosa al verso libero e al
frammentismo, si determina un distacco radicale fra eloquenza e poesia, e,
comunque sia, una ricerca di autenticità espressiva congiunta alla novità
linguistico-formale che conduce a un rinnovamento della nostra letteratura anche, e
soprattutto, sul piano della comunicazione, del coinvolgimento del lettore.
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![Page 107: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/107.jpg)
Gabriele D'Annunzio
La vita
Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara nel 1863. Dal '74 all'81 studiò al Collegio
Cicognini di Prato, poi si stabilì a Roma, dove si iscrisse alla Facoltà di lettere,
senza però laurearsi. Nel '79, mentre ancora frequentava il Liceo, aveva
pubblicato un libro di versi, Primo vere; nell'82 ne uscì un secondo, Canto novo,
dove rivelava, accanto all'imitazione del Carducci paganeggiante, un'ispirazione
sensuale e naturalistica, espressa, lo stesso anno, in una raccolta di novelle, Terra
vergine (primo nucleo della raccolta definitiva Novelle della Pescara), fedele
al Verismo.
A Roma incominciò una brillante avventura letteraria e umana. Cronista per più
anni dell'aristocrazia della capitale e partecipe della sua vicenda mondana,
collaborò a vari giornali, il «Fanfulla della domenica», la «Tribuna», il «Capitan
Fracassa», la «Cronaca bizantina», e s'immerse in una vita di esteta, di dilettante
di sensazioni, alla ricerca di piaceri raffinati esasperati dal giuoco sottile
dell'intelligenza. Quell'erotismo complicato da pose estetizzanti resterà un aspetto
fondamentale della sua personalità e della sua poesia.
È appena il caso di accennare alle numerose esperienze amorose di questi anni e
di quelli successivi, che crearono intorno a lui un'atmosfera scandalistica,
compiaciuta, tuttavia, e da porre fra le ragioni dei suoi successi editoriali. A
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![Page 108: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/108.jpg)
vent'anni sposò, dopo una fuga romantica, Maria Hardouin di Gallese: un
matrimonio presto fallito. Pochi anni dopo ebbe una passione sconvolgente per
Barbara Leoni, ispiratrice di un paio di protagoniste dei suoi romanzi.
Ma basterà dire, data la sostanziale uniformità dei personaggi femminili del
D'Annunzio, che un gruppo di lettere a Barbara entrerà nel romanzo il Trionfo
della morte, e che questa reversibilità totale di vita e arte, con la subordinazione
della prima alla seconda, fu un modello più volte ripetuto negli amori e nell'opera
dannunziana: come dimostra, per esempio, il suo rapporto con una grande attrice,
Eleonora Duse, amante, ispiratrice, interprete di tragedie dannunziane e
personaggio d'un romanzo, Il fuoco.
Con le avventure amorose si accompagnò la smania sfrenata del lusso, che espose
fin da allora il poeta a difficili guerre coi creditori. Anch'essa riflette una volontà
di trasgressione, concessa al genio che si sente superiore alla moralità comune e
anela a un'affermazione sociale; a una «vita inimitabile», superiore a quella del
«gregge» plebeo e piccolo-borghese, e anche a quella delle classi elevate.
Sin dalle prime prove vi fu nel D'Annunzio la volontà di imporsi al pubblico, non
rifuggendo da espedienti pubblicitari. Tali furono l'invio del suo primo libro di
versi al Carducci e ad altri letterati importanti, e la notizia divulgata ad arte della
propria morte quando, nell'80, stava uscendone la seconda edizione. Più tardi vi
fu il viaggio in Grecia, con un gruppo di letterati (1895), seguito da una sapiente
orchestrazione di stampa, e rievocato nel poema della Laus vitae (Maia); esso
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![Page 109: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/109.jpg)
volle apparire come continuazione potenziata del messaggio «pagano» del
Carducci, dal quale, invece, mai il D'Annunzio era stato così lontano. Più tardi,
durante la guerra '15 - '18, il D'Annunzio apparve nella veste del letterato-eroe -
questa volta in imprese realmente audaci e a rischio della vita -, fondando,
comunque sia, anche in questo caso (o meglio, rinforzando), un'immagine
esemplare di individualità creatrice che incontrò largo consenso fra i giovani.
A questa volontà di affermazione si congiunse una capacità straordinaria di
lavoro, come attesta la mole della sua produzione - lirica, romanzo, teatro, prose
autobiografiche - con una gamma estesa di sperimentazioni che vanno dal
verismo delle prime novelle, al simbolismo, alla prosa originalissima del
Notturno. Si aggiunga a questo la straordinaria capacità di riconoscere fra i primi
e di far proprie le novità letterarie e ideologiche d'Oltralpe: dalla filosofia del
Nietzsche, al Preraffaellismo inglese, al Simbolísmo francese; mentre non meno
costante fu l'appropriazione della nostra tradizione letteraria, a cominciare dalle
Origini. Egli fu, anzi, accusato di plagi, per l'uso disinvolto di numerose fonti: dai
nostri poeti del Quattrocento a Pascoli, da Tennyson a Swinburne; tutti assorbiti
nella sua raffinata scrittura.
Fin dal periodo vissuto a Roma e a Napoli il D'Annunzio lesse i poeti del
Decadentismo e maturò, anche per loro sollecitazione, l'amore quasi sensuale
della parola che espresse con tecnicismo a volte esasperato.
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![Page 110: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/110.jpg)
Frutto di queste esperienze letterarie furono le raccolte di liriche: Intermezzo di
rime ('84), Isotteo ('86), Elegie romane ('92). Ma intanto l'autore aveva
incominciato a dedicarsi a un genere letterario più vicino ai gusti del grande
pubblico, il romanzo, con Il piacere ('89), Giovanni Episcopo ('91),
L'innocente ('92), nell'ultimo dei quali accoglieva con sorprendente eclettismo la
lezione di Tolstoi e Dostoevskij, dopo aver creato nel primo uno dei capolavori
dell'estetismo europeo. Alla lirica ritornò col Poema paradisiaco ('93),
testimonianza d'una crisi che segnò il passaggio a una nuova mitologia: quella del
superuomo, ispirato dalla filosofia dei Nietzsche.
Si trattava, come vedremo in seguito, d'una variante del sensualismo e
dell'estetismo di prima, che comportava, sulla scia di un'interpretazione in gran
parte arbitraria del filosofo tedesco, l'esaltazione della volontà di potenza di
individualità privilegiate, intese a esprimere la propria volontà di dominio e di
avventura fuori d'ogni legge morale e al di sopra della massa.
Questo ideale rimase limitato a nuove avventure erotiche, a un ribadito
esibizionismo, all'esaltazione della propria personalità eccezionale; ma da questo
momento il dannunzianesimo diventò moda e costume, esaltato e imitato da una
borghesia ambiziosa e megalomane, soprattutto quando dall'esaltazione del
superuomo il D'Annunzio passò a quella della supernazione, l'Italia, dotata di
un'oscura vocazione d'impero. Egli divenne così il massimo esponente d'un
nazionalismo aggressivo, comodo alibi per la classe dirigente, in quanto le
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![Page 111: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/111.jpg)
consentiva di celare la propria incapacità di risolvere i problemi di fondo del
nuovo stato unitario dietro speciosi sogni di grandezza.
Il tema del superuomo ispirò la produzione dannunziana a partire dal Trionfo
della morte ('94) e dalle tragedie (una produzione iniziata nel '99); e trovò piena
espressione nel periodo della maturità artistica, fra il '98 e i11910, quando il
D'Annunzio visse nella sontuosa villa della Capponcina, presso Settignano. Sono
di questo periodo le Laudi (1903), il capolavoro della sua poesia, tragedie come
La figlia di Iorio (il capolavoro del suo teatro), il romanzo Il fuoco.
Nel 1910 le preziose suppellettili della Capponcina furono sequestrate dai
creditori, il D'Annunzio riparò in Francia, dove compose e rappresentò Le
martyre de Saint Sébastién (1911) e scrisse un libro di prose fra i suoi migliori,
La contemplazione della Orte ('12). Scoppiata la Grande guerra, rientrò in
Italia, fu tra gli interventisti più accesi e combatté valorosamente, partecipando ad
alcune memorande imprese (il volo Vienna, la «beffa» di Buccari). Ferito a un
occhio in un incidente aereo, scrisse, durante la degenza, la sua opera in prosa più
suggestiva, il Notturno. Terminata la guerra, pensando che, con 1'assegnazione
della Dalmazia alla Jugoslavia, la vittoria fosse stata «Mutilata», marciò da
Ronchi, con un gruppo di volontari, su Fiume e la occupò dalla fine del '19
all'inízio del '21, quando fu costretto ad abbandonarla dalle truppe inviate dal
Governo italiano. Si ritirò allora a Gardone, nella villa detta «Il Vittoriale», tolo
di Principe di Montenevoso. Salutò con entusiasmo l'avvento del Fascismo, ma fu
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![Page 112: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/112.jpg)
messo risolutamente da parte da Mussolini. Sopravvissuto ormai a se stesso, e se,
negli ultimi anni, scrisse ancora prose autobiografiche di livello notevole, morì a
Gardone nel 1938.
La vita del D'Annunzio rimase sempre quella di un esteta, amante della bella
parola e del bel gesto, con una risoluta tendenza anarchica ed egocentrica.
Qualcosa di analogo può dirsi della sua produzione, imperniata sulla confusione
decadentistica di arte e vita pervasa da una tensione eroica di messaggio totale
alla società e alla nazione, e tuttavia non immune da atteggiamenti plateali e da
un'eloquenza reboante. Questi atteggiamenti, si vedrà, furono almeno in parte
connessi alla volontà di colpire il lettore, di assicurarsi un successo sul piano
editoriale, in un'età in cui il rapporto autorepubblico era radicalmente mutato
rispetto a quello dell'epoca romantica.
Ma D'Annunzio fu anche applaudito come modello di vita aristocratica dall'alta
borghesia dell'Italia umbertina per la sua esaltazione dell'individualismo e il suo
sogno di volontà eroica in un momento della vita nazionale che appariva grigio.
La poetica
La poetica dannunziana è l'espressione più appariscente del Decadentismo
italiano. Dei poeti «decadenti» europei D'Annunzio accoglie modi, forme,
immagini, con una capacità assimilatrice notevolissima; quasi sempre, però,
senza approfondirli, ma usandoli come elementi della sua arte fastosa e portata a
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![Page 113: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/113.jpg)
un'ampia gamma di sperimentazioni. Per quest'ultimo aspetto lo si può avvicinare
al Pascoli, anch'egli impegnato in una ricerca di nuove fondazioni tematiche e
linguistiche.
Anche per il D'Annunzio fu importante l'incontro col Simbolismo europeo,
soprattutto francese, a cominciare dal Poema paradisiaco (1893; ma le liriche
sono frutto d'un triennio), dove s'avverte la ricerca della parola suggestiva,
dell'analogia simbolistica, l'ansia d'una poesia che evochi il «mistero» attraverso
raffinate atmosfere sentimentali e di sensibilità e oggetti ridotti a emblemi d'una
realtà più profonda: il non-dicibile delle cose e dell'animo, aperto soltanto
all'intuizione, al presentimento, alla ricerca d'una rifondazione poetica della
realtà.
È stato spesso osservato che D'Annunzio subisce 1'influsso prevalentemente dei
Simbolisti «minori», e rimane fuori dalla linea Baudelaire-Verlaine-Rimbaud'-
Mallarmé, quella, cioè, più ricca di futuro nella letteratura europea; e si è parlato,
per lui e per il Pascoli, d'una sorta di simbolismo «indigeno», di livello inferiore,
cioè «provinciale». Ma la condanna non pare sempre giustificata, per quel che
riguarda la prima accusa - e, in effetti, non dovrebbe neppure essere una
condanna, ma il segno d'un mondo poetico diverso -, e quanto al provincialismo
degli atteggiamenti meno persuasivi dei due poeti, converrebbe confrontarli con
altri «provincialismi» europei.
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![Page 114: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/114.jpg)
Del D'Annunzio in particolare si può dire che egli aderì soprattutto alla tendenza
irrazionalistica e al misticismo estetico, fondendoli con la propria ispirazione
naturalistica e sensuale, ben evidente nelle sue prime raccolte poetiche e non mai
rinnegata, che potremmo schematicamente definire così:
a) rigetto della ragione come strumento primario di conoscenza e fondazione
di valori spirituali;
b) abbandono alle suggestioni del senso e dell'istinto (dell'erotismo e della
percezione sensibile immediata) come mezzo per porsi in diretto contatto - inteso
come unica conoscenza possibile - con le forze primigenie della natura-vita.
Nasce di qui quello che fu detto il panismo di molta poesia dannunziana: per un
verso un dissolversi dell'io, un suo farsi forma, colore, suono, un immergersi
totale nelle cose, dietro la suggestione dei sensi e dell'istinto; per un altro verso,
una nuova creazione della realtà in una luce di bellezza, coincidente con l'impeto
inesausto della vita, col moltiplicarsi costante delle forme davanti alla vigile
«attenzione» del poeta. La poesia diviene così per D'Annunzio scoperta
dell'armonia del mondo; il poeta a suo avviso continua e completa l'opera della
natura.
È questo, in sostanza, il nucleo primario dell'ispirazione dannunziana, evidente
soprattutto nella poesia, da Primo vere alle ultime raccolte; spesso sommerso
dall'enfasi, quando il poeta complica il suo naturalismo istintivo col desiderio di
dire cose mai dette o di rivelare una sensibilità d'eccezione o di esaltare un
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![Page 115: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/115.jpg)
proprio dominio creativo sulle cose. Abbiamo allora i falsi miti del barbarico, del
primitivo, dell'erotismo, del proprio io, nelle due direzioni dell'estetismo o del
superumanismo. Comune a entrambe è l'esaltazione di quella che il poeta chiamò
la sua «quadriga imperiale» cioè l'unione di voluttà e istinto, orgoglio e volontà (í
due ultimi termini sono espressione soprattutto dell'esperienza «superumana»).
Estetismo e superumanismo rappresentano, in sostanza, due aspetti concomitanti
e complementari dell'ispirazione sensuale. Con questo aggettivo alludiamo non
tanto al contenuto eroico di molte opere dannunziane, ma all’accettazione della
vitalità pura ed istintiva come norma suprema, con piena negazione della
razionalità e della storia.
Il poeta e il suo pubblico
Un carattere saliente dell'arte del D'Annunzio è una continua e sin impaziente
volontà comunicativa nei confronti del pubblico, che s'accompagna alla
costruzione, quasi in ogni pagina, del proprio io come modello esemplare. Non è
più, tuttavia, l'immagine romantica e carducciana del poeta come maestro di
civiltà, d'una moralità e di ideali che lo trascendono, ma un nuovo emblema di
vitalità, di intelligenza, di raffinatezza da imporre a un pubblico alto-borghese
che tende a comporre la propria vita sociale in forme aristocratiche.
Ha scritto Asor Rosa che la capacità del D'Annunzio di essere «multanime», di
passare cioè attraverso le più varie esperienze di vita e di scrittura, costituisce
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![Page 116: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/116.jpg)
l'unità della sua opera, e che in tal modo egli impose la figura del poeta «come
figura sociale dominante, come modello imitabile per rutti». Va tuttavia precisato
che questa essenza «multanime» ha una sostanziale monotonia: esaspera il culto
del piacere e della bellezza in varianti non sostanziali d'una tematica sola: l'io
poetico, creatore, in cui confluisce l'oscura volontà di tutti, sottratto alle leggi
comuni dell'esistenza, e soprattutto a quelle morali, dato che egli deve tutto
sperimentare e comprendere. Imitabile, poi, non vuol dire raggiungibile (c'è
sempre una differenza di «natura», invalicabile fra lui e gli altri); ma vuol dire
ispiratore d'un costume di vita eletto, raggiungibile soltanto dalle classi elevate
che sono espressione delle oscure virtù della stirpe. Il D'Annunzio insiste per tanto
su tematiche - come quella erotica - facilmente partecipabili, o sulla proposta d'un
eroismo politico e militare in cui si assommano i desideri imperialistici della bor-
ghesia industriale e capitalistica.
Tutto questo ebbe un notevole effetto in un'età di costrizioni a livello sociale e di
costume, di volontà di riscatto da sconfitte (Lissa, Adua), di grandi ambizioni di
un' Italia che voleva diventare grande potenza prima di avere superato miserie e
arretratezze secolari. Naturalmente il poeta non poteva essere un liberatore se non
nell'illusione e nel sogno; ma questo lo capirono in pochi; e, comunque sia, il
D'Annunzio seppe gestire con avvedutezza la funzione di incantatore cui lo
chiamava una società che preferiva i grandi sogni all'aspra fatica di affrontare il
vero.
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![Page 117: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/117.jpg)
D'Annunzio fu così lo scrittore della nuova civiltà industriale, che giungeva ora,
in ritardo, in Italia; lo scrittore che entra, di conseguenza, nella nuova economia
di mercato: che deve piacere al pubblico e saperselo scegliere e gestire, dato che
vive del proprio lavoro letterario. Vedremo fra breve, riportando alcuni passi dell'
intervista concessa a Ugo Ojetti, come egli, fin dall'inizio, fosse ben consapevole
di questo e come costruisse con cura il proprio personaggio.
Derivano di qui la sua narrativa che tiene conto del pubblico femminile in quanto
maggior consumatore di romanzi; la ricerca d'una comunicazione immediata con
un pubblico vasto (i romanzi, il teatro), senza trascurare però la poesia,
considerata ancora in Italia come la sommità del discorso umano; 1'ostentazione
di lusso e di amanti, che gli garantisce uno spazio importante nelle cronache
mondane; la più volte proclamata volontà di «rinnovarsi o morire» (cioè di offrire
un prodotto sempre nuovo e legato alle mode letterarie straniere); e la sua vena
infaticabile. D'altra parte questa coscienza d'un mestiere si presenta in forme di
altissimo livello, soprattutto linguistico: lo scrittore è il signore della lingua ed
esibisce inoltre una cultura pittorica, musicale, letteraria. È, insomma, l'artefice
della Bellezza in ogni sua forma, in ogni suo aspetto.
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![Page 118: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/118.jpg)
La produzione dannunziana fra il 1879 e il 1893
1.Una suddivisione di comodo. Questa prima suddivisione della produzione dan-
nunziana a scopo didattico giunge fino alla conclusione dell'apprendistato
letterario dell'autore che culmina in due testi fondamentali: un romanzo, Il
Piacere, i1 primo capolavoro della narrativa dannunziana e un libro di versi, Il
poema paradisiaco, che conclude una prima fase poetica col decisivo incontro
col Simbolismo francese (già peraltro presente nel romanzo).
La fase così delimitata si svolge seguendo un'ispirazione naturalistico-sensuale
che si viene definendo nel segno dell'Estetismo e del Simbolismo. In tal senso, il
Piacere può essere visto come un punto d'arrivo e, insieme, di crisi, approfondita
poi, sul piano della produzione in versi, nel Poema paradisiaco. L’ansia di
rinnovamento condurrà il poeta all'incontro, decisivo, con le teorie del
«superuomo» e con l'avventura nazionalistico-imperialistíca. Seguiranno le opere
della maturità poetica (le Laudi, La figlia di Iorio, e, tra i romanzi, Il fuoco) e,
infine, un ultimo D'Annunzio, quello del Notturno e di altri notevoli scritti
autobiografici.
È una storia priva d'uno svolgimento lineare, ché anzi certe tematiche contenutisti
che ed espressive seguiranno una sorta di percorso ciclico. La produzione poetica
più matura, le Laudi, riprenderà l'iniziale naturalismo e anche le tematiche del
superuomo, strettamente connesse a quelle estetizzanti, che, a loro volta,
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![Page 119: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/119.jpg)
appaiono un affinamento dell'esperienza naturalistico-erotica. Dal tripudio dei
sensi, dal loro libero espandersi alla ricerca estetizzante di nuovi e più raffinati
piaceri, allo sviluppo, nell'esteta, di una forma di esemplarità aggressiva e
dominatrice: queste le tappe della sperimentazione dannunziana in verso e in
prosa.
Le opere fra il 1879 e il 1893.
2. Il D'Annunzio si mosse fin dall'inizio con uguale impegno nel campo della
poesia e in quello della prosa, ripercorrendo il cammino degli autori più
importanti -Carducci in poesia e Verga nella narrativa -, ma accogliendo altri
suggerimenti, soprattutto di autori stranieri, da Flaubert a Maupassant, a Tolstoi e
Dostoevskij nella prosa, dai Parnassiani ai Simbolisti francesi e inglesi nella
poesia. Ci si limiterà qui a una presentazione schematica in ordine cronologico:
-1879. Primo vere (1880, seconda edizione): poesie in metri «barbari» a
imitazione del Carducci, che ne sviluppavano il «paganesimo», e cioè
1'esaltazione naturalistica e immanentistica della vita.
-1881-82. Canto novo: ancora poesie in metri barbari, ma con sviluppo
originale della tematica vitalistica, arricchita d'una forte carica sensuale ed
edonistíca, lontana dalla ispirazione carducciana.
-1882 (1884). Terra vergane: comprende novelle, ambientate nella campagna
abruzzese, fra contadini e pastori; di tonalità veristico-verghiana.
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![Page 120: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/120.jpg)
-1883 (1884). Intermezzo di rime: raccolta poetica, la cui veemenza
naturalistico-sensuale suscitò scandalo. Il primo libro fu completamente
rielaborato e arricchito nel '94, col titolo di Intermezzo.
-1884.I1 libro delle vergini: quattro novelle di ispirazione zoliana. Vi si nota
una particolare attenzione ai fenomeni fisiopatologici.
-1886. Isaotta Guttadauro e altre poesie: liriche, ripubblicate nel 1890 coi
titoli L'Isotteo e La Chimera, in cui continua l'ispirazione erotica.
San Pantaleone: raccolta di novelle, ancora di ispirazione abruzzese e
naturalistica.
Nel 1902 Le novelle della Pescara si presenteranno come un'antologia della
produzione novellistica dell'autore, che, di fatto, rifiuterà i testi non raccolti; ma il
primitivo tono veristico risulterà soverchiato dallo studio psicologico.
-1889. Il Piacere: è il primo grande romanzo dannunziano, idealmente
autobiografico; importante soprattutto perché abbandona il modello naturalistico
e instaura un dialogo con le correnti decadentistiche europee (J.K. Huysmans,
Controcorrente, per esempio), con originalità di contenuti e di stile.
Confluiscono nel romanzo esperienze personali di vita e di scrittura, dalla
produzione novellistica a quella di cronista mondano sulla «Tríbuna», agli amori
e alle personali avventure nel «bel mondo» romano e, vi si afferma l'estetismo
dell'autore come proposta culturale. Il romanzo fu un'esperienza fondamentale.
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![Page 121: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/121.jpg)
-1891. Giovanni Episcopo: uscito a puntate sulla «Nuova Antología», indica
l'attenzione vigile dell'autore a ogni forma contemporanea di successo e di
produzione letteraria europea. Il modello emulato è Dostoevskij, nel periodo in
cui il romanzo russo ebbe vasta fortuna in Europa. Accanto al procedimento
narrativo veristico si avverte l'interesse per l'analisi del dramma psicologico e
psichico dei personaggi.
-1892. L'Innocente, pubblicato anch'esso a puntate nel '91: qui D'Annunzio
fonde l'esperienza estetizzante, intesa a costruire personalità d'eccezione, col
modello russo di analisi di tormentate psicologie del profondo e di drammi etici
complessi (accanto a Dostoevskij, c'è l'impronta di Tolstoi).
Il protagonista, Tullio Hermil, egocentrico e raffinato esteta, trascura la moglie
Giuliana, seguendo le suggestioni del proprio raffinato erotismo. Quando
ritornerà a lei, saprà che ella è incinta, essendosi abbandonata per breve tempo,
nella sua disperazione, a un amore. Tullio la perdona, ma l'odio verso il bambino
che poco dopo nasce lo spinge ad esporlo, di nascosto, al freddo, mentre tutti
sono in chiesa per la novena di Natale, causandone la morte.
Il romanzo vuole scandagliare - con risultati diseguali - le trame tortuose della
coscienza; ma ancora una volta il protagonista è l'uomo che si sente superiore alle
leggi, alla morale comune.
Elegie romane: liriche in metro «barbaro» incentrate sull'amore per Barbara
Leoni.
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![Page 122: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/122.jpg)
-1893. Poema paradisiaco: segna un nuovo atteggiarsi della lirica dannunziana,
meglio legata al Simbolismo europeo. È un libro di stanchezze e di languori, di
vicende amorose crepuscolari e stremate. Nell'ideale ritratto di sé che il
D'Annunzio viene componendo, il libro rappresenta la stanchezza dei sensi e
l'ansia d'una purezza da riconquistare, un rinnovamento interiore che prepari una
nuova avventura artistica e umana.
Odi navali: esprimono il desiderio che l'Italia torni ad essere potente sul mare:
no una delle prime manifestazioni dell'impegno dell'autore in senso
nazionalistico.
Di tutta questa produzione si darà qui una modesta documentazione, non
adeguata alla sua importanza, ma imposta da tirannia di spazio. Tale importanza
va attestata su due direzioni: nella storia della produzione dannunziana e nella
storia della letteratura italiana.
Per il primo aspetto si può osservare soprattutto l'affermarsi di tematiche che
rimarranno acquisite e presenti nelle opere successive: il naturalismo panico, per
esempio 1'ispirazione sensuale, la ricerca ritmico-musicale d'una nuova
versificazione, l'estetismo, la struttura narrativa originale che tende a sostituire ai
fatti l'analisi dell’avventura interiore delle oscillazioni della coscienza, la
creazione di un personaggio, portatore ideologia e sensibilità dell'autore, che si
presenta come individuo inteso all'autosufficienza egocentrica ed egoistica (già,
in questo, modello del futuro superuomo), ribelle ad ogni legge comune, anzi
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![Page 123: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/123.jpg)
legge a se stesso, nella totale accettazione dei propri impulsi a propria carica
vitalistica.
Sul piano storico-letterario queste prime opere segnano un atteggiamento nuovo
nella cultura letteraria italiana: la liquidazione del Verismo, del carduccianesimo,
delle à romantiche e il tentativo di sprovincializzare la letteratura italiana
stabilendo un re contatto con quella europea; più specificatamente con le varie
correnti del Decadentismo.
La produzione dannunziana fra il 1894 e il 1912.
E’ il periodo della maturità, e vede ampliarsi la gamma degli interventi letterari
dannunziani con un’amplia produzione teatrale, con due romanzi più significativi
e la pubblicazione delle poesie più importanti: i tre libri delle Laudi.
Evento culturale decisivo di questi anni è l’incontro col “superuomo”, quale il
D’Annunzio lo desunse ed interpretò dalle pagine del Nietzsche ( che egli per
altro considerò un poeta, piuttosto che un filosofo), in particolare da Così parlò
Zarathustra (1883-1885), non ignoto, prima, anzi vagamente presente nella figura
dell’esteta dei romanzi precedenti. Ma è nel Trionfo della morte che gli accenni
al filosofo tedesco si fanno precisi ed insistenti, per rimanere, anche dopo,
radicati nell’immaginario dannunziano.
2. Anche qui si procederà con una notizia sintetica delle opere, seguendo, in
prevalenza, l'ordine cronologico.
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![Page 124: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/124.jpg)
• 1894. Trionfo della morte: romanzo
• 1895. Le vergini delle rocce: romanzo.
•1897. Sogno d'un mattino di primavera: dramma, rappresentato dalla Duse a
Parigi. Sarà seguito nel '99 dal Sogno d'un tramonto d'autunno. Entrambi i testi
sono in prosa .
La città morta: tragedia, interpretata con successo a Parigi da Sarah Bernhardt
• 1898-1899Rispettivamente le tragedie La Gioconda e La Gloria
• 1900. Il fuoco: romanzo che alcuni considerano il capolavoro della narrativa
dannunziana.
• 1901. Francesca da Rimíní, tragedia.
• 1903. Uscirono in questo anno i tre volumi delle Laudi del cielo del mare
della terra e degli eroi, ossia Maia, Elettra, frutto di un lavoro intenso, fra il
1896 e il 1903, ma soprattutto nell'ultimo anno.
• 1904. La figlia di Iorio, tragedia: l'opera più significativa del teatro
dannunziano .
• 1905-1909 La fiaccola sotto il moggio (1905); Più che l'amore (1906);
'La Nave (1907); Fedra (1909): tragedie.
• 1910. Forse che sì forse che no: romanzo, concentrato ancora su una figura
di «superuomo», Paolo Tarsis, appassionato di automobili e aeroplani e dunque
vicino a una nuova «modernità» (si ricordi che sono già apparsi i primi manifesti
del Futurismo).
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• 1911. Le martyre de Saint Sébastien: tragedia scritta in francese antico,
accompagnata dalle musiche di Claude Debussy e dalla coreografia di Ida
Rubinstein, rappresentata a Parigi (è l'anno dell'«esílío» francese). Un'altra
tragedia in francese, in prosa, sarà, nel 1914, Le chèvrefeuille, tradotta in
italiano col titolo Il ferro.
• 1912. Canzoni della gesta d'oltremare: scritte fra 1'11 e il '12 per la guerra
italo-turca che si concluse con la conquista della Libia. Il volume uscì nel '12 -
dopo la pubblicazione delle canzoni sul «Corriere della sera» - col titolo
Merope, quarto libro delle Laudi.
La contemplazione della morte: prose di memoria che rievocano
l'amicizia del D'Annunzio con Adolphe Bermond e Giovanni Pascoli, morti lo
stesso giorno (6 aprile 1912). Incomincia con questo libro la pubblicazione di una
prosa memoríale che comprenderà alcune delle pagine più belle dell'autore e che
considereremo nel terzo momento della produzione dannunziana.
II «Trionfo della morte» e il «superuomo»
Il romanzo ebbe una lunga vicenda compositiva, tanto che il D'Annunzio,
pubblicandolo nel 1894, vi appose le date 1889-1894 (la prima si riferiva a un
abbozzo, L'invincibile e a partire dal '93 il romanzo era apparso a puntate su «La
Tribuna»). Nel frattempo, dal '92 (dall'articolo La bestia elettiva), egli aveva
dibattuto, con consenso sempre più convinto, il pensiero del Nietzsche, ed era
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![Page 126: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/126.jpg)
venuto sovrapponendo alla figura dell'esteta quella del superuomo, adattando il
pensiero nietzschiano alla sua idea dell'io creatore, nell'arte e nella «vita
inimitabile», superiore a ogni legge o costrizione. L'idea del filosofo tedesco
della morte di Dio, e cioè dei valori considerati fondamentali nella civiltà
occidentale per secoli e denunciati da lui, invece, come del tutto relativi - il che
consentiva al superuomo la sua ampia iniziativa liberatrice e fondatrice d'una
umanità nuova -, appariva al D'Annunzio coincidente con la sua idea del poeta
come libero creatore di sé e della sua vita, portatore d'un messaggio totale. Da
questa persuasione nasce 1'«assioma» che egli presenterà come «fin troppo
semplice» nel romanzo del '95, Le vergini delle rocce:
«Il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi
uomini superiori, i quali lo hanno creato e quindi ampliato e ornato nel corso del
tempo e andranno sempre più ampliando e ornando nel futuro. Il mondo quale
oggi appare è un dono magnifico largito dai pochi ai molti, dai liberi agli
schiavi: da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare».
Ambizione suprema del poeta è quindi «portare un qualche ornamento...
aggiungere un qualche valor nuovo a questo umano mondo che in eterno
s'accresce di bellezza e di dolore».
Siamo fra Nietzsche e Schopenhauer, fra la cieca volontà vitale (il dolore) e la
rappresentazione liberatrice dell'arte che è pur sempre illusione: il pensiero del
passo riportato va interpretato su questo sfondo ideologico, che spiega l'impeto
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![Page 127: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/127.jpg)
del «creare con gioia», come dice il Fuoco, ossia l'esaltazione di sé, da un lato, e
dall'altro un senso nichilistico che affiora di frequente nell'opera dannunziana.
Non appare pertanto incongruo che il primo romanzo fondato sulla teoria
superumanistica abbia non soltanto una soluzione, ma anche un andamento
tragico: sia la storia di un lungo dibattersi entro una sconfitta che il suicidio
finale non riesce a tramutare in vittoria.
Il protagonista, Giorgio Aurispa, è anche lui, come tutti i protagonisti dei
romanzi dannunziani proteso ad una «vita inimitabile», ma si dibatte fra la
voluttà sensuale, impersonata dall'amante Ippolita Sanzio, e la volontà di
infrangerne la suggestione, di dominarla. Quest'ansia di liberazione resta
tuttavia velleitaria: l'eroe cade in una spenta abulia dalla quale si riscatta
soltanto alla fine del libro, suicidandosi trascinando con sé l'amante nella morte:
un gesto nel quale ritrova, per un attimo, il proprio orgoglio e la propria
«volontà di potenza».
Questa trama si arricchisce di numerosi episodi, che sarebbe ozioso qui
ripercorrere rattamente; anche perché ripetono, come in cerchi ora eccentrici,
ora concentrici, la situazione di fondo. Ma almeno un episodio va ricordato ed è
l'incontro fra il protagonista e la sua terra: un Abruzzo arcaico e tuttavia vero,
amato e respinto (il protagonista tenta invano una liberazione attraverso questo
contatto), ma sostanzialmente positivo per la sua oscura carica di energia vitale.
superuomo dannunziano, mentre impone il proprio dominio sulle classi
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![Page 128: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/128.jpg)
subalterne nella terra e nella stirpe l'origine della propria forza, concepita
naturalistiche. Questa base fisica, naturalistica, biologica è tipica del
D'Annunzio e sempre presente nella sua poesia; e diverrà, soprattutto nelle
tragedie, il fondamento della sua à di potenza trasformatrice del mondo.
La massa che il D'Annunzio stesso saprà ere e guidare con la parola - dalla
propaganda interventista all'impresa di Fiume composta anche dal popolo e
dalla borghesia cittadina, ma nelle masse contadine te l'intatta forza della terra e
della vita, da lui mitizzate sia nelle Laudi sia in tragedie come La Gloria.
Resta da fare qualche considerazione sul finale tragico In primo luogo esso è
dovuto al fatto che il superuomo (anche per Nietzsche) è una tensione, non una
méta raggiunta: l'uomo è visto da Zarathustra come un tramonto, un ponte
gettato verso questa oltre-umanità. Giorgio Aurispa esprime la crisi dell'uomo
proteso verso una il superuomo - che è ancora lontana, che è una conquista
eroica non ancora né ipotizzabile con precisione. La volontà di andare oltre
l'umano è, almeno edita dalle leggi etiche e sociali d'un mondo vicino alla
dissolvenza ma non consapevole dell'auspicato futuro.
Il teatro dannunziano
La produzione teatrale del D'Annunzio incomincia nel' 97 e giunge fino alla
vigilia della prima guerra mondiale. Ancora una volta come e più che col
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![Page 129: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/129.jpg)
romanzo, egli sceglieva un mezzo di divulgazione immediata, un confronto col
pubblico conforme alla sua ansia di lotta e di vittoria.
In realtà, lotta vi fu: non mancarono insuccessi anche clamorosi, nonostante
l'aiuto che a questo teatro diede una grande attrice, Eleonora Duse; e lotta vi
sarebbe ancora oggi, se questo teatro potesse sopravvivere. In realtà esso ha
espresso un solo capolavoro, La figlia di Iorio (1904), e qualche testo
apprezzabile in parte, come La città morta (1897), La fiaccola sotto il moggio
(1905) e forse Francesca da Rimini (1902). La Nave (1907) godette qualche
favore in epoca fascista; oggi essa e la maggior parte delle tragedie dannunziane
appaiono fin troppo datate e improponibili.
Esse hanno tuttavia un valore di testimonianza di un'epoca e soprattutto di una
ideologia che ha poi dominato decenni di vita italiana: quella che va dal
Superuomo alla supernazione, con una sua prassi coerente e implacabile, che
alimentò i falsi miti dei fascismi posteriori: quelli del sangue, della terra, della
razza e della potenza dominatrice di Roma, del capo carismatico c della sua
volontà di potenza, di assoluto dominio sugli uomini. E il sangue, la terra, l'anima
oscura della stirpe sono anche il lievito della Figlia di Iorio, dove è assente la
tematica politica, ma tutto appare fondato su un destino cieco e irrazionale, sugli
oscuri richiami del sangue. Solo che l'atmosfera leggendaria conferisce un suo
fascino al poema tragico della terra abruzzese, che non si ritrova nell'eroismo
frenetico e astratto delle tragedie «politiche».
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![Page 130: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/130.jpg)
Si ripropone qui innanzitutto una delle tragedie «politiche» più significative in
questo senso, La Gloria (1899), e quindi il discorso del protagonista della Nave.
Termineremo con una delle scene più intense della Figlia di Iorio.
«La Gloria»
La tragedia è ambientata in una ideale Roma moderna, in un presente-avvenire
visitato da ombre imperiali: la romanità col suo richiamo di grandezza e dominio
che ispira inizialmente il protagonista, Ruggero Flamma e i suoi partigiani, e
anche Bisanzio, l'Impero Romano d'Oriente amato dal Decadentismo, come
implacabile volontà di affermazione e di dominio impersonata dalla protagonista
femminile, Elena Comnèna Flamma si batte per ricostruire la Città, la Patria, la
Forza latina (le maiuscole sono del D'Annunzio) contro Cesare Bronte, anch'egli
dominatore di tempra forte, popolano, in origine, e quindi legato alla terra, ma
vecchio, circondato da vecchi e non più atto a portare avanti i sogni che Flamma
fa balenare: anzi, rassegnato ormai a essere l'amministratore del decadimento,
della corruzione di un popolo e d'una società civile in cui appaiono spente le
antiche virtù della Stirpe.
Mentre è ancora viva la lotta fra i due, la Comnèna va da Flamma, affascinata
dalla sua impetuosa eloquenza e da quella che le appare una volontà risoluta di
vittoria. Ella dà subito l'idea «d'una forza che deve inevitabilmente andare a
segno»; anela alla liberazione totale di sé (i suoi l'hanno data in sposa, per
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![Page 131: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/131.jpg)
meschino interesse, al Bronte) «per la gioia, per il gran respiro, e per il lungo
volo, per la sete che scopre le fonti, per la fame che coglie il suo frutto, per il
coraggio che sceglie il suo rischio, per la musica della vita bella». Dalla voce di
lei si sprigiona, accanto alla fermezza implacabile, una «melodia» che «sembra
prolungarsi nel più remoto mistero dell'essere, nella cieca oscurità naturale ove
risiedono le leggi primitive per cui le sorti delle creature dinanzi alla Vita e alla
Morte si congiungono nelle mille spire dell'odio e dell'amore». È questa una
didascalia essenziale, che anticipa il nodo tragico della Figlia di Iorio e nel
contempo esprime lo scoppio di passioni elementari e d'una volontà
irrazionalistica che domina i rapporti umani e dunque anche la vita politica,
secondo il D'Annunzio.
Innamoratasi di Flamma, la Comnèna avvelena Bronte, e diviene quindi
l'ispiratrice dell'amante, che incita a un dominio sempre più assoluto sugli altri,
fino a fargli dimenticare ogni ideale politico in nome del potere, fino a lasciare
massacrare i contadini (il popolo «forte, rude, sobrio, tenace, sano») cui egli
voleva dare la terra, e uccidere alcuni dei suoi seguaci più fedeli, puntando sugli
istinti «più acri» delle masse (cupidigia, gelosia, paura) per dominarle, dando loro
la speranza di soddisfarli. Flamma, prigioniero della sua passione, intuisce che
dovrebbe uccidere la Comnèna per liberarsi, ma non ne ha la forza; e quando il
popolo gli si rivolta contro rinuncia a combattere, a chiede ed ottiene che la
donna lo uccida.
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![Page 132: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/132.jpg)
Ruggero Flamma è l'uomo che non riesce a divenire superuomo, il genio latino
che on riesce ad essere se stesso, a sviluppare la sua volontà di potenza, e in
questo sta la Sua tragedia: la «gloria» non raggiunta. L'opera è enfatica, priva di
razionali motivazioni ideologiche e politiche e punta sulla scoperta del legame di
volontà/voluttà, sesso e dominio; ma soprattutto fa balenare alcune idee destinate,
in politica, a triste fortuna: virtù del sangue, della terra e della stirpe, il falso della
romanità imperiale, eredità del popolo italiano, la grande figura del capo che
assomma in sé il popolo, accogliendone la vitalità istintiva in una vitalità
superiore. E qui appunto Flamma fallisce: nell'eros (è capace di dominare la
Comnèna) e nella volontà di potenza.
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![Page 133: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/133.jpg)
Benedetto Croce
La più decisa reazione al Positivismo fu, alle soglie del '900, quella di Benedetto
Croce, filosofo, storico e critico letterario che ebbe un influsso dominante sulla
cultura del primo cinquantennio del secolo. Nato a Pescasseroli nell'Abruzzo
(1866), passò presto a Napoli, dove visse fino alla morte svolgendo una
vastissima attività di studioso. Dopo un giovanile avvicinamento al marxismo, si
orientò verso un liberalismo progressista, che riconosceva l'importanza del
movimento operaio, ma cercava d'inserirlo come forza attiva nella vita nazionale,
armonizzandolo con gli ideali più alti del liberalismo ottocentesco.
Avversò, in nome della libertà, sentita come il valore fondamentale della persona
umana, il Fascismo. Dopo un'iniziale incertezza (lo stato liberale coltivò per
qualche tempo l'illusione di spingere questo partito in una direzione democratica),
votò, nel '25, contro le leggi liberticide e scrisse il Manifesto degli intellettuali
italiani antifascisti, in opposizione al Manifesto degli intellettuali fascisti di
Giovanni Gentile. Da allora fu, negli anni della dittatura, una delle maggiori
forze morali d'opposizione. Dopo l'ultima guerra fu deputato alla Costituente, ma
era ormai tagliato fuori dalla problematica sociale e politica del nostro tempo,
anche se fa sua figura restava pur sempre un modello di coerenza.
Morì nel 1952. A noi qui interessa la sua opera di filosofo dell'arte, di critico, di
storico. Rícordíamo, a questo proposito, fra le sue opere più importanti, l'Estetica
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![Page 134: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/134.jpg)
(1902), i Nuovi saggi di estetica (1920), La poesia (193G); i saggi La
letteratura della nuova Italia (1914-40), 6 voll., Poesia e non poesia (1923),
Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920), La poesia di Dante (1921); e, fra le
opere storiche, la Storia della età barocca in Italia (1929), la Storia d'Italia
dal 1870 al 1915 (1928), e La storia come pensiero e come azione (1938).
La filosofia del Croce oppose al culto della scienza sperimentale e all'ingenuo
materialismo positivistico un rinnovato idealismo storicistico. Egli, cioè, concepì
la realtà come storia, come continuo divenire e continua creazione dello spirito
umano, nel quale distinse due attività: una pratica, riguardante la vita economica
e quella morale, e una contemplativa, riguardante l'attività del conoscere e
comprendente due distinte forme, la poesia e la filosofia. Poesia, filosofia,
economicità, moralità risultavano così i quattro momenti distinti e tuttavia
convergenti nel continuo svolgersi della vita spirituale.
Trascurando le implicazioni filosofiche di questo pensiero, diremo che, per il
Croce, poesia è liricità, cioè espressione, in immagine lirica e fantastica, d'un
sentimento che, attraverso la contemplazione artistica, si spoglia d'ogni
immediatezza soggettiva e diviene intuizione universale della realtà.
Essa costituisce la forma aurorale e primigenia, e quindi autonoma, del
conoscere, la prima forma di autocoscienza, di presa di possesso della realtà; è il
primo consapevole affermarsi della spiritualità. Riprendendo le concezioni del
Vico e del De Sanctis, il Croce considerava, dunque, la poesia come un momento
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![Page 135: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/135.jpg)
essenziale nella storia dell'uomo e della civiltà. Il Croce eliminava la confusione
romantica fra il sentimento vissuto dal poeta come uomo, nella sua esistenza
quotidiana, e quello che egli esprimeva nella sua poesia, trasfigurato in una luce
universale e assurto a nuovo valore spirituale valido per tutti. Ma nello stesso
tempo rigettava il Decadentismo e il suo misticismo estetico, che esaltava l'arte
come suprema e unica rivelazione d'un mistero fuori di noi e come atto vitale per
eccellenza. Essa era invece, per il Croce, un valore fra altri valori, un'attività di
contemplazione che, mentre sintetizzava in sé tutti i momenti della vita della co-
scienza, contribuendo a rigenerarci e a rinvigorirci spiritualmente, veniva poi a
sua volta riassorbita nel divenire dello spirito, nella sua vicenda continua e
sempre nuova e ascendente di pensiero e azione.
La critica letteraria del Croce è volta a ritrovare e a riconoscere, nelle opere
esaminate, i momenti veramente poetici, quelli, cioè, in cui si dispiega il puro
valore della bellezza, distinguendoli dalle forme extrapoetiche, cioè, da quei
motivi sentimentali e contenutistici che non hanno saputo trovare piena
espressione lirica. A prescindere dai pur pregevoli risultati particolari delle
singole indagini, essa servì, nel suo complesso, a richiamare i nostri critici,
ancora immersi in certi schemi aridi della metodologia positivistica (lo studio del
genio come fenomeno patologico, l'erudizione oziosa e pedantesca), a un'indagine
propriamente estetica della poesia.
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![Page 136: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/136.jpg)
Questa riduzione del complesso mondo dell'opera d'arte all'intuizione-espressione
di generici sentimenti universali rischiava però di togliere all'opera stessa la sua
dimensione storica concreta, nonostante la volontà storicistica del Croce, e di
impoverire il significato reale del testo.
Il ridurre, ad esempio, la Commedia di Dante ad alcune liriche o momenti
autentici di poesia da tenere rigorosamente distinti dall'impoetico «romanzo
teologico», cioè dal resto del poema, dalla sua costruzione etico-religiosa,
portava, infatti, a misconoscere il reale messaggio poetico di Dante, che si
costituiva proprio nel dialettico incontro fra passione umana e norma religiosa.
Allo stesso modo, il Croce era spesso portato a trascurare gli elementi della
tecnica compositiva che non sono neppure essi un dato estrinseco, ma la struttura
concreta del linguaggio poetico.
Analogamente il concepire la storia come storia della libertà, con un idealistico
ottimismo che considerava il male come un momento dialettico dell'immancabile
trionfo del bene, rischiò di apparire, soprattutto dopo la rivelazione degli orrori e
della negazione dell'uomo perpetrati nell'ultima guerra, e nel momento in cui si
chiedeva una libertà concreta per tutti, da attuare nell'impegno incessante della
lotta di tutti contro ogni tirannide, un messaggio genericamente idealizzante,
destinato a pochi spiriti aristocratici. Ma non è qui il luogo di insistere sui limiti
del pensiero crociano. Conviene piuttosto sottolineare il significato che ebbe la
sua opera sia agli inizi del secolo sia più tardi, fra le due guerre, nella resistenza
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![Page 137: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/137.jpg)
al totalitarismo fascista e nazista. In entrambi i casi, davanti al trionfante
irrazionalismo che si traduceva in torbidi miti letterari e politici, in esaltazione
della violenza contro la razionalità, della mera politicità contro ogni impegno o
preoccupazione morale, egli tenne fede ai valori spirituali ed etici della persona e
riaffermò, con la sua concezione storicistica, la sua fede nella libertà.
Soprattutto nella rivista La critica, che egli scrisse e pubblicò dal 1903 alla sua
morte, e che fu per decenni in Italia «lo strumento più valido per penetrare in
ogni campo del sapere», possiamo cogliere il tentativo di educare culturalmente il
Paese, abituandolo a pensare, fuori d'ogni angusto provincialismo, in una
dimensione europea.
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![Page 138: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/138.jpg)
Test
Si sviluppino le seguenti tematiche:
1) Cosa si intende per periodo Decadente.
2) Come vive l’uomo l’inizio del nuovo secolo.
3) Cosa si intende per superomismo.
4) La nuova concezione della vita crociata.
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![Page 139: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/139.jpg)
V UNITA’ : Diseroicizzazione
Prerequisiti
- Conoscenza della poetica dannunziana e delle filosofie da essa prese in
considerazione.
- Conoscenza della nuova figura dell’essere umano emerso attraverso la poetica
dannunziana e dei poeti maledetti.
Obiettivi
-Acquisizione della nuova realtà umana immersa nel disagio del suo tempo.
- Acquisizione del concetto di antieroe.
- Acquisizione delle nuove tecniche sintetiche e scarne dell’elaborazione
crepuscolare e futurista.
Si studieranno:
- I Crepuscolari.
- Il Futurismo: Martinetti e Palazzeschi.
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![Page 140: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/140.jpg)
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I C r e p u s c o l a r i
La poesia che fu detta «crepuscolare» (più che di una «scuola», si trattò d'uno
stato d'animo diffuso) fiori fra il 1905 e il 1915, e rappresentò da un lato
un'esasperazione della tonalità del Poema paradisiaco del D'Annunzio, e della
poetica del fanciullino e delle umili cose del Pascoli, dall'altra una reazione ai
miti del dannunzianesimo e dell'affermazione eroica dell'io. Infatti questi poeti
denunciano una condizione di fiacchezza e di estenuazione spirituale, un
bisogno di rinchiudersi in se stessi, rifiutando d'aderire ai problemi politici,
sociali, culturali del tempo, per ritrovare, nel silenzio e nell'ombra, una nuova
spontaneità del sentimento. Ma non si tratta d'una conquista e d'un
rinnovamento spirituale, bensì d'uno stanco, sfiduciato abbandono. La loro è la
poesia dell'assenza, dell'incapacità d'aderire a una fede, a degli ideali, d'uno
stato di crisi e di stanco crepuscolo della persona, sentito come la realtà vera e
unica dell'esistenza; poesia, potremmo dire, dello sfiorire, del vanificarsi.
Oltre a quello dannunziano e pascoliano, è evidente, in questi poeti, l'influsso
di certo Decadentismo francese (Jammes, Maeterlinck, Rodenbach, Samain); e
decadente fu anche il loro rifiuto della realtà, quel vivere la propria esperienza
di vita soltanto nella letteratura, cosa che dà alla loro poesia un carattere
estetizzante, nonostante gli accenti intimistici sinceri. La poesia crepuscolare
vive in un'atmosfera, appunto, di crepuscolo: ha toni smorzati, un linguaggio
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![Page 141: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/141.jpg)
volutamente dimesso, canta cose umili e banali. Ha un suo paesaggio
caratteristíco, continuamente rievocato: lo squallore dei solitari pomeriggi
domenicali, organetti di Barberia che suonano nelle vie deserte, piccoli interni
domestici, corsie d'ospedale, pallide e scialbe amanti provinciali. E tutto è
avvolto da un sentore d'autunno e di rinuncia, di rimpianto per ciò che non è
stato, e soprattutto da un senso di morte imminente, o meglio, da un sentirsi
morire un poco ogni giorno, che riflette l'avvertita incapacità di vivere.
La ragione prima del crepuscolarismo è, come s'è detto, il rifiuto del
dannunzianesimo più esteriore e reboante, sia sul piano formale sia su quello
esistenziale. Ma questa «diseroicizzazione» si estende alla stessa concezione
della poesia e dell'attività poetica. Lungi dalle «illuminazioni», dall'orgoglio
d'un contatto privilegiato con l'ignoto, questi poeti cercano un colloquio diretto
col pubblico (o per lo meno questa è la loro finzione, il loro tipo di
stilizzazione del discorso), uno stile di confessione umile, trita, quoti diana,
anche se, in realtà, ben sorvegliata sul piano formale e lontana
dall'immediatezza ingenua che raffigura. Si coglie in essa un voluto
declassamento dell'ideale di poesia, parallelo a quello dell'uomo e della sua
vita. Quando Gozzano esclama «mi vergogno d'essere un poeta!», collega il
proprio fallimento poetico e conoscitivo a quello esistenziale, con una sofferta
ambiguità in cui palpitano, insieme, l'orgoglio baudelairiano e decadentistico
del poeta come anima nobile e per questo misconosciuta dalla mediocri tà
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![Page 142: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/142.jpg)
borghese, e la parodia amara della maschera di eccezionalità che il poeta
continua ad assumere nonostante la delusione e che lo rende incapace di vita,
d’azione, d'entusiasmo, nell'attuale assenza o negazione di tutti i valori.
Tuttavia proprio la «prosaicità» di questa poesia, la sua coscienza amara d'un
fallimento preparavano un possibile superamento della crisi.
In questa discesa, per così dire agli Inferi del quotidiano, del cosiddetto
impoetico, nella conseguente abolizione dei confini astratti stabiliti dai sempre
risorgenti classicismi, era possibile un approccio non mistificato con la realtà.
La definizione di poesia “crepuscolare” risale a un critico e romanziere
Giuseppe Antonio Borgese, che l'usò in un articolo su «La Stampa», nel 1910,
recensendo liriche di Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves
(ma l'aveva preceduto, in parte, il Cecchi, l'anno prima, recensendo Gozzano).
A questi possiamo aggiungere altri poeti, come Carlo Vallini e Corrado
Govoni, per il quale, tuttavia, il crepuscolarismo rappresentò soltanto
un'esperienza momentanea. Più originale e intensa appare oggi la lirica di
Sergio Corazzini e di Guido Gozzano, il maggiore fra questi poeti.
In una prospettiva generale di storia della cultura e della civiltà la
testimonianza dei Crepuscolari assume un carattere significativo. Il loro rifiuto
del dannunzianesimo (contrastato, per certi aspetti e mai totale) fu anche, e
forse prima di tutto, rifiuto d'un certo tipo d'impegno politico.
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![Page 143: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/143.jpg)
I Crepuscolari avversarono quel «complesso di superiori tà» nazionalistico, che
era poi, a ben vedere, il rovesciamento, interessato, d'un complesso
d'inferiorità radicato obiettivamente nelle arretratezze e contraddizioni della
giovane nazione italiana, propugnato da una cultura alto-borghese che nelle
avventure coloniali e nell'orgoglío di sbandierati superiori destini della
Nazione, eludeva gli urgenti problemi sociali.
Il rifiuto dei Crepuscolari coinvolgeva, peraltro, l'esaltazione parallela, ormai
a-critica ed enfatica, dei vecchi ideali risorgimentali che nessuno si curava di
adeguare alla realtà del Paese. Dirà il Gozzano: «La Patria? Dio? l'Umanità?
Parole / che i retori t'han fatto nauseose!...». Questa critica dissolvente
implicava anche quella del poeta-vate, romantico, carducciano, dannunziano,
legato a una vicenda risorgimentale conclusa e alla sua cultura ormai
tramontata per lasciar luogo a nuove esigenze culturali, politiche, civili. In
sostanza i Crepuscolari soffrono la baudelairíana «perdi ta d'aureola», ma
cercano tuttavia di rifiutare l'estetismo della nostra tradizione recen te, dal
quale neppure il Pascoli, con la sua poetica dell'umiltà, era rimasto immune.
La poesia rimaneva per loro ancora rivelazione, ma d'una crisi morale e d'una
sofferenza, di cui essi non sapevano vedere una via d'uscita.
Sarebbe scorretto stabilire un rigido e fatalistico rapporto di causa ed effetto
fra depressione etico-politica e crepuscolarismo. Non foss'altro perché si
assiste, in quegli stessi anni, all'esaltazione, da parte dei Futuristi, della nuova
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![Page 144: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/144.jpg)
civiltà della macchina, e anche dei suoi aspetti capitalistico -imperialistici; e
alla ricerca «ílluministica» degli uomini della «Voce», alla loro diagnosi
corretta delle problematiche culturali e civili del l' Italia.
Il tema unificatore era la coscienza d'un passaggio di civiltà, che comportava
nuove soluzioni letterarie. I Crepuscolari partirono dal ripudio di ogni forma di
trionfalismo e di esaltazione dell'esistente, dalla verifica dell'inadeguatezza dei
vecchi miti culturali, sociali, etico-politici a esprimere una realtà mutata, e
dalla volontà di un linguaggio letterario più «vero», d'un nuovo «patto» da
stabilire col lettore e con le cose. La demitizzazíone del poeta e della poesia da
loro tentata ebbe una notevole importanza nella civiltà letteraria del Nove -
cento.
Sergio Corazzini
Nacque a Roma nel 1887. In seguito al fallimento del padre conobbe la miseria
e dovette, ancor giovanetto, impiegarsi in una compagnia di assicurazioni e
vivere una vita scolorita e grama. La precoce esperienza di frustrazione vitale
fu tragicamente approfondita dall'insorgere della tisi, che lo condusse ventenne
alla tomba.
La poetica crepuscolare fu da lui vissuta con totale abbandono: divenne
1'espressione della sua deserta tristezza di fanciullo che si sente morire e
s'attacca alle piccole cose, anzi, alle povere piccole cose, che vede sfiorire con
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![Page 145: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/145.jpg)
la sua persona. La sua poesia ha un tono di musicale estenuazione, di una
tristezza che si esala, senza speranza, alle soglie del silenzio.
Guido Gozzano
Nacque ad Agliè (Torino) nel 1883. Studiò giurisprudenza, ma la lasciò presto
per la poesia. Nel 1907 uscì La via del rifugio, il suo primo volume di liriche,
alcune delle quali entrarono anche nella seconda raccolta, 1 Colloqui, del
1911. Colpito dalla tisi verso il 1908, si appartò dalla vita mondana. Invano
tentò di ricuperare la salute con un viaggio in India, le immagini e í ricordi del
quale sono raccolti nel suo libro in prosa più bello, Verso la cuna del mondo.
Morì a trentatré anni, nel 1916. Uscirono postume due raccolte di fiabe, La
principessa si sposa, l tre talismani, e due di novelle, L'ultima traccia,
L'altare del passato.
Il Gozzano può essere avvicinato ai Crepuscolari, di cui condivise il senso
d'estenuazione spirituale e d'uno scorato rifugio nel grigiore del mondo
quotidiano, in seguito al tramonto d'ogni fede e d'ogni certezza, e anche per la
tendenza a una poesia colloquiale e prosastica. Ma l'ironia e la spietata
chiaroveggenza con cui si guarda vivere («sorrido e guardo vivere me stesso»)
e un più raffinato impegno artistico lo distinguono nettamente dagli altri. La
sua situazione lirica fondamentale è l'amara consapevolezza di essere figlio
d'un tempo colto ma arido, senza miti, incapace di risollevarsi dalla propria
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![Page 146: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/146.jpg)
indifferenza non soltanto verso la speranza, ma neppure verso una disperazione
virile e combattiva di stampo leopardiano.
La sua, potrebbe essere chiamata poesia dell'assenza, della vita mancata, d'una
stanca aridità, conseguita al crollo dei miti fastosi romantici o dannunziani e
approfondita da quel suo sentirsi morire giorno per giorno. Egli resta perplesso
davanti all'assurdità della vita e del suo stesso io (è strano / fra tante cose
strambe / un coso con due gambe / detto guido gozzano), ed esprime il suo
tormento, ora abbandonandosi a un cinismo spinto fino alla crudeltà, ora
insistendo sulla propria disperata aridità sentimentale.
La tristezza del poeta non assume accenti tragici, ma s'esprime attraverso 1'iro -
nia corrosiva di chi sente assurda anche la ribellione; ed è un'ironia
contraddetta di continuo da un desiderio di vita semplice e sana, dal rammarico
di non amare
e di non essere amato, da un bisogno d'amore sentito come poesia serena del -
l'esistenza.
Espressione pregnante di questo suo contrasto sono i versi finali di una delle
sue poesie più belle, Paolo e Virginia (Amanti; Miserere, / Miserere di
questa mia giocosa / aridità larvata di chimere!) . Altrove (La signorina
Felicita, L'amica di nonna Speranza) il poeta cerca rifugio in un mondo
umile, in un'atmosfera di piccola borghesia provinciale, ignara delle
complicazioni morbose del pensiero e della sensibilità moderna, dei miti
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![Page 147: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/147.jpg)
estetizzanti e «superumani» del D'Annunzio; magari un po' pettegola e goffa,
ma ancora capace di sentimenti schietti. È un ritorno a un mondo
d'adolescenza e d'infanzia, fatto di buone cose di pessimo gusto, ma riposante
per le sue semplici certezze e vagheggiato come approdo di pace. Il poeta ne
rievoca gl'interni domestici, i salotti decrepiti, gli oggetti, con una precisione
puntigliosa, con un atteggiamento che di continuo trascolora dalla parodia alla
nostalgia e con uno stile volutamente dimesso, discorsivo, che mescola
all'abbandono lirico espressioni prosastiche, banali, quotidiane. Si tratta,
comunque, d'un mondo immobile, pervaso dal sentore di morte che sempre
accompagna la rievocazione d'un tempo perduto.
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![Page 148: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/148.jpg)
Il Futurismo
Parallela all'esperienza dei Crepuscolari, anche se opposta sul piano
ideologico e formale, fu quella del Futurismo, che partì anch'esso da premesse
antidecadentistiche e parzialmente antidannunziane, da un'adesione sostanziale
al diffuso pensiero irrazionalistico, dall'esaltazione d'un contenuto psicologico
come unica sorgente di poesia e dalla volontà di nuovi modi espressivi, in
contrasto con la tradizione, e d'un nuovo rapporto col pubblico.
I due movimenti furono coevi, al punto che diversi autori poterono, in un breve
giro d'anni, collaborare a tutti e due ed entrambi segnano la crisi e il tramonto
dell'ideologia letteraria ottocentesca. Qui si arrestano le analogie. Intanto il
Futurismo, a differenza del Crepuscolarismo, si organizzò in una scuola ben
definita, con tanto di capo storico e di atto di nascita, il Manifesto, pubblicato
da Filippo Tommaso Marinetti, su un giornale francese, «Le Fígaro», nel
1909; e a questo ne seguirono poi altri; con espedienti pubblicitari, quali le
famose «serate» di incontro col pubblico nei teatri, tempestose perché
volutamente provocatorie; con riviste come «Lacerba», ove venivano dibattute
le idee futuriste.
Forte anche di questa organizzazione, che si appoggiò ai movimenti
nazionalistici e al Fascismo, il Futurismo perdurò oltre l'occasione storica
reale, con manifestazioni che giunsero fino alla guerra d'Etiopia e alla seconda
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![Page 149: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/149.jpg)
guerra mondiale. In secondo luogo, quanto il Crepuscolarísmo è umbratile e
rinunciatario, tanto il Futurismo è volontaristico e aggressivo: una vera
avanguardia che s'impone con un'organizzazione culturale, politica, editoriale,
con un'ideologia espansiva, di trionfante attivismo, almeno nelle intenzioni,
che tenta di tramutarsi in una moda, in un costume di vita.
Mentre rigettava certi aspetti del D'Annunzio, ne riprese ed esasperò la
tensione vitalistico-eroica, l'esaltazione dell'energia irrazionale e della vitalità
immediata e aggressiva. Volle essere l'espressione del dinamismo del mondo
moderno, cantare la civiltà della macchina, attingere sensazioni nuove dal
mondo della scienza e della tecnica, rigettando l'analisi dell'interiorità, tipica, a
suo avviso, della letteratura «passatista».
L'ipotesi era che la rivoluzione tecnologica e la mutata organizzazione della
vita associata imponessero non soltanto un nuovo costume, ma anche nuove
forme di sensibilità: si rilevava, ad es., che la velocità di una automobile
conduceva a una percezione diversa del paesaggio, a un diverso modo di
viverlo. Il futurismo esaltò, infine, le forme materiali, istintive della vita,
1'amore del pericolo e l'audacia, fino alla violenza e alla guerra, che Marinetti
definì come «sola igiene del mondo».
Per esprimere adeguatamente questi contenuti, stabilì che doveva essere
abolito il culto della tradizione, nelle poetiche e nel linguaggio; rigettò la
sintassi, le parti qualificative del discorso (avverbi, aggettivi), propose di usare
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![Page 150: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/150.jpg)
le parole in libertà (cioè senza alcun legarne grammaticale-sintattico fra loro,
senza organizzarle in frasi e periodi), onde esprimere per via analogica e
suggestiva l'immediatezza del meccanismo psichico dell'impressione.
Il Futurismo ebbe valore soprattutto come movimento di rottura; servì, per
esempio, a sotterrare una ormai consunta enfasi ottocentesca e a far nascere
l'esigenza di nuove forme d’ espressione.
In tal senso venne effettivamente incontro a una domanda; si può ricordare, a
riprova di ciò, l'interesse che suscitò, a detta del Granisci, fra gli operai di
Torino la diffusione che ebbe nella Russia rivoluzionaria: basta fare il nome di
un poeta come Majakovskij. Le stesse «serate», o spettacoli teatrali,
esasperatamente anticonformisti, organizzati dai futuristi, richiedevano una
nuova coni partecipazione del pubblico, sia pure nella forma della discussione e
del rifiuto; anzi, la maggiore importanza del movimento , anche se non fu
percorsa fino in fondo, fu la nuova coscienza dell'opera d'arte come
straniamento, della partecipazione critica e non più della romantica
identificazione richiesta al pubblico, oltre alla richiesta d'un nuovo rapporto fra
umanesimo e civiltà industriale. Ma anche qui non si andò oltre alla premesse.
Nel campo letterario il Futurismo non espresse il meglio di sé, anzi, finì per
ridursi a un uso fin esasperato e al limite della parodia più o meno involontaria
dell'analogia di tipo simbolistico; senza contare che l'adesione al Fascismo
rinchiuse il movimento in forme di enfasi convenzionale, di novità soltanto
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![Page 151: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/151.jpg)
apparente e sostanzialmente mistificata. Risultati assai più convincenti si ebbero
sul piano delle arti figurative (si pensi a Carrà, Severini, Boccioni, Balla), dove
il movimento fu uno dei principali incentivi a quella che si può chiamare la
rivoluzione dell'arte moderna.
Filippo Tommaso Marinetti
Nato ad Alessandria d'Egitto nel 1876, studiò a Parigi e in francese scrisse le
sue prime opere, poi tradotte in italiano, La conquista delle stelle (1902),
Distruzione (1904) e La città carnale (1908), raccolte poetiche nel solco della
crisi del Simbolismo francese. Già notevoli in esse alcuni fatti: l'uso del verso
libero (preludio alle «parole in libertà») e la mistica del superuomo di
ascendenza dannunziana.
Nel 1909 pubblicò, sul giornale «Le Figaro», il “Manifesto del Futurismo”, cui
seguirono nel 1912 il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” e altri quali
quelli apparsi sulla rivista «Lacerba», Dopo il verso libero, le parole in
libertà; L’immaginazione senza fili e le parole in libertà; pubblicati tutti fra
il '13 e il '14. Per Marinettí, il manifesto diventa un genere letterario originale,
tanto che numerosi critici vedono nei suoi manifesti futuristi le sue cose
migliori. Hanno, comunque sia, un notevole interesse storico-letterario il
romanzo Mafarka il futurista (1910) e i due scritti legati alla teorica del
«paroliberismo», Zang Tumb Tumb (1914); sul piano dei risultati, Spagna
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![Page 152: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/152.jpg)
veloce e toro futurista (1931) e i due volumi, pubblicati postumi, La grande
Milano tradizionale e futurista e Chiara sensibilità italiana nata in Egitto.
Numerose sono le sue opere, le antologie, gli interventi, le interviste (come
L'Inchiesta sul verso libero), le prese di posizione, connesse alla sua qualità di
riconosciuto capo del movimento; una qualifica, tuttavia, nella quale rimase
come imprigionato, dopo che, a partire all'incirca dal 1920, il Futurismo apparve
come un fenomeno ormai archiviato, mentre nuovi movimenti d'avanguardia,
che pure a esso, in parte, si rapportavano, cominciavano a delinearsi in Francia
e, in genere, in Europa.
Né giovò allo scrittore la sua fervida adesione prima ai movimenti interventisti e
quindi, dal 1919, al Fascismo. Diventò accademico d'Italia (l'Accademia d'Italia
era stata fondata dal Fascismo e accoglieva i più importanti intellettuali del
Paese) e poeta di regime, fedele a esso fino alla Repubblica di Salò; continuò le
sue «serate», sempre più anacronistiche, e la fedeltà a un movimento concluso.
Di fatto, divenne egli stesso un «passatista», anche se, in opere come Il fascini
dell’Egitto, rivela la sua attenzione alle nuove poetiche italiane ed europee.
Morì nel 1944.
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![Page 153: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/153.jpg)
Aldo Palazzeschi
Le opere di maggior successo del fiorentino Aldo Palazzeschi (pseudonimo di
Aldo Giurlani, 1885-1974) furono composte dopo il 1930: alludiamo ai tre libri
di racconti Stampe dell'Ottocento ('32), Il palio dei buffi 07), Bestie del
Novecento ('S1) e ai romanzi Sorelle Materassi ('34), I fratelli Cuccoli ('48),
Roma ('S3), che gli assicurano un posto di primo piano nella narrativa
contemporanea. Ma la sua formazione si svolse fra le polemiche letterarie del
primo Novecento, cioè fra Crepuscolari, Futuristi e la rivista fio rentina
"Lacerba".
Nel Futurismo, cui aderì, pur mantenendo una propria indipendenza di
sviluppi, egli vide essenzialmente rappresentato lo «spirito d'avanguardia»,
un'esigenza di rinnovamento culturale, capace di far meglio aderire la
letteratura alla vita, che è dinamicità e movimento, e di far meglio
comprendere il ritmo vario e molteplice, spesso imprevedibile e illogico di
questa. A tale intuizione Palazzeschi si mantenne sempre fedele,
rappresentando uomini e cose con un tono fra l'oggettivo e il fantastico, con
un atteggiamento fra l'ironico e il pensoso.
Cominciò come poeta, e le sue prime raccolte (I cavalli bianchi, '905;
Lanterna, '907; L'incendiario, '910) riunì, più tardi, nel volume delle Poesie,
che ebbe numerose edizioni. Questa esperienza ebbe grande importanza nella
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![Page 154: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/154.jpg)
formazione del narratore, ma ha valore anche per se stessa. Nessuno, infatti, in
quegli anni, reagì come lui al pascolismo e al dannunzianesimo e a ogni forma
di imitazione letteraria e sentimentale. Contro un mondo poetico divenuto
ormai irreparabilmente convenzionale, egli affermò il proprio rifiuto
ponendosi come temi il nulla, il divertimento, l'ironia e dissolvendo le forme
della letteratura precedente in un puro giuoco bizzarro, apparentemente senza
senso; ma questa non-partecipazione era una protesta radicale.
La poesia del Palazzeschi si fonda soprattutto sull'invenzione estrosa, su
atmosfere tra visionarie e fiabesche, sul rifiuto d'ogni contenuto determinato,
su un ritmico apparire e dissolversi d'immagini in libertà, sottolineate da un
metro cantilenante, a tratti ossessivo. È, la sua, la libertà del funambo lo, del
clown (Sono forse un poeta? / no certo, scrive egli, ma: il saltimbanco
dell'anima mia); un movimento che sembra svolgersi nel vuoto, un riflettersi
del reale in una molteplicità di specchi deformanti e un frantumarsi digesti
umani in un giuoco meccanico di marionette.
Era, comunque sia, importante la sua accettazione della «perdita d'aureo la» del
poeta; la sua volontà anticonformistica di rigettare i travestimenti di vaticinio,
o attività superumana, o di magia evocativa e rivelatrice che la poesia tardo
ottocentesca si era assunti. In tal senso la sua rivolta di «incendiario» era più
radicale di quella di molti futuristi, ancora compromessi, come Marinetti, col
dannunzianesimo e il simbolismo.
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![Page 155: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/155.jpg)
Un'atmosfera fra scanzonata e patetica si ritrova nella sua opera narrativa, a
cominciare dal Palio dei buffi. Più tardi l'autore affermò che sotto questa
insegna va collocata tutta la sua opera, e che per buffi intendeva «tutti coloro
che per qualche caratteristica, naturale divergenza e di varia natura, si
dibattono in un disagio fra la generale comunità umana; disagio che assume ad
un tempo aspetti di accesa comicità e di cupa tristezza», e riconobbe come
«divino maestro d'arte e di vita» il Boccaccio, ideale modello degli scrittori
che «attraverso le infinite qualità di peste che affliggono l'umanità in ogni
epoca, novellando si danno buon tempo».
Ma piuttosto che cupa o drammatica, quella del Palazzeschi è comicità
sorridente ed estrosa, anche se malinconica; è una caricatura del mondo
piattamente quotidiano e convenzionale, che mentre riduce gli uomini ad
aspetti marionettistici, ne suggerisce la sofferenza interiore con pietà
compartecipe e rivela la nostalgia d'un mondo di naturalità istintiva e serena.
II romanzo più noto del Palazzeschi è le Sorelle Mataressi. Esso racconta la
storia di due dignitose zitelle la cui vita è sconvolta dall'apparizione di Remo,
un nipote scapestrato, privo d'ogni sensibilità morale, ma animato da
un'istintiva e insaziabile gioia di vivere. Le sorelle si rovineranno per
soddisfare í capricci del bellissimo nipote che le ha affascinate, e dovranno
alla fine, quand'egli se ne sarà andato, ricostruirsi faticosamente una vita; ma
non gliene vorranno, anzi, rimarranno ancora estasiate dinanzi al ricordo di
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![Page 156: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/156.jpg)
quella vampata di giovinezza che ha rotto il corso grigio e incolore della loro
«rispettabile» esistenza.
Questo romanzo è come la sintesi del mondo dell'autore, con quello svariare
del tono, dall’arguzia alla bizzarria, alla tenerezza, dal gusto del ridicolo alla
pietà, che culmina in una visione compartecipe, fra ironica e malinconica,
della vita umana.
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![Page 157: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/157.jpg)
Test
Si sviluppino le seguenti tematiche:
1) Cosa si intende per antieroe.
2) Come l’uomo vive il trapasso del suo tempo.
3) Perché si parla di innovazioni stilistiche.
4) Quali motivazioni spingono il poeta futurista ad adottare nuove tecniche
comunicative.
5) Il nuovo poeta.
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VI UNITA’ : L’uomo e il Teatro.
Prerequisiti:
- Conoscenze dei nuovi influssi letterari
- Conoscenza degli aspetti salienti del teatro italiano contemporaneo.
- Conoscenza del quadro storico-politico dell’Italia.
Obiettivi
- Acquisizione del nuovo concetto di realtà e irrealtà
- Acquisizione del concetto di “inetto” e condizione dell’essere umano nel
sistema del progresso contemporaneo.
- Acquisizione del nuovo genere letterario del racconto breve.
Si studieranno;
- Italo Svevo
- Luigi Pirandello.
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-
ITALO SVEVO
Nacque a Trieste nel 1861, da padre tedesco, israelita, figlio di un'italiana, che
sposò anch'egli un'italiana, la madre del nostro autore. Lo pseudonimo (il vero
nome fu Ettore Schmitz) non intendeva tanto indicare questa sua origine - il padre
e il nonno si sentivano triestini - quanto la volontà di conciliare la cultura tedesca
(nel Profilo autobiografico si esprimeva ammirazione soprattutto per un filosofo,
lo Schopenhauer) e quella italiana.
Inviato in Germania a imparare bene il tedesco e a compiere studi di avviamento
al commercio, fu, al ritorno, impiegato in banca. Maturava intanto una vocazione
letteraria che lo spingeva a vaste letture, di autori italiani, prima di tutto
Machiavelli, Guicciardini, Boccaccio, De Sanctís, Carducci: una linea che si può
definire realistica, dal momento che per Svevo suddito dell'Impero austro-
ungarico, che allora comprendeva anche il «porto franco» di Trieste, l'italianità
era la scelta d'una tradizione di civiltà e di cultura, oltre che di lingua.
Ma Trieste era anche un «crocevia di più popoli»,,permeato «dalle culture più
varie», «adatto a tutte le coltivazioni spirituali» e questo spiega l'importanza che
ebbero nella formazione di Svevo non soltanto le letterature francese (il romanzo
ottocentesco), inglese, tedesca, russa (Turgenev), ma anche la cultura e la
filosofia, che allora potevano considerarsi d'avanguardia, diffuse in Austria: da
Marx a Schopenhauer a Freud a Nietzsche a Darwin. Svevo si trovò così al centro
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d'un dialogo più ricco di quello di cui poterono ruíre i letterati italiani verso la
fine dell'Ottocento. Basta pensare, in proposito, alla psicoanalisi, che egli
conobbe soprattutto a partire dal 1910, ma di cui ebbe forse notizia anche prima
(è del 1900 una delle opere più importanti di Freud, L'interpretazione dei
sogni, un cui compendio sul sogno, sarà tradotto da Svevo nel 1918, con un
cugino medico). D'altra parte la sua appartenenza a un ceto mercantile e
affaristico (dopo impiego in banca fu anche direttore d'azienda), mentre impediva
una sua dedizione totale alla coevi, della crisi del letterato nella civiltà
capitalistica.
Di qui l'insistenza, nella sua narrativa, che riflette, in parte, esperienze
autobiografiche, sulla figura dell'«inetto» - direbbe oggi del disadattato -: il
sognatore e artista che si trova in rapporto conflittuale con il vivere comune.
Certamente fu ben lontana da Svevo la prospettiva superomistica di D'Annunzio,
uno scrittore che egli non amò e di cui non subì l'influsso.
La sua visione critica della realtà contemporanea e il senso della solitudine
dell'intellettuale e dello scrittore nel mondo moderno furono ribaditi
dall'insuccesso che a go incontrò la sua opera. Esso fu in parte dovuto alla
posizione eccentrica della letteratura triestina rispetto ai centri di produzione
letteraria dell'Italia di allora; anche ché Svevo non ebbe la possibilità che ebbero
altri scrittori triestini più giovani, come Giotti, Michelstaedter, Slataper, di
entrare in diretto contatto, a Firenze, col movimento culturale e letterario guidato
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![Page 161: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/161.jpg)
dalle riviste. La sua cultura europea gli risentì tuttavia di evitare alcune delle
mode più appariscenti ma meno significative della letteratura italiana coeva.
Il primo romanzo, pubblicato da Svevo a sue spese (come poi gli altri), fu Una
vita che ebbe un successo di stima a Trieste, ma passò inosservato in Italia. Più e
fu l'insuccesso di Senilità (1898), per il quale invano cercò di ottenere una recen-
sione sui giornali italiani. Fu questo il culmine di quello che egli definì il «caso
Svevo», che si costrinse a un silenzio quasi venticinquennale, nel senso che per
questo o non pubblicò nulla, pur seguitando a coltivare la letteratura.
Nel 1919 incominciò, all'indomaní dell'occupazione italiana di Trieste, salutata
con entusiasmo, il terzo romanzo, La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923, e
rimasto anch'esso ignoto, fuori che a Trieste, fino a quando un amico, James
Joyce, uno dei maggiori scrittori europei del secolo, non lo fece conoscere in
Francia, dove ebbe vasti consensi per opera soprattutto di due importanti letterati,
Benjamin Crémieux e Valéry Larbaud. Nel '27 il romanzo veniva tradotto in
francese e venivano ristampati in Italia gli altri due romanzi; già, tuttavia, dal '25
Eugenio Montale aveva attestato in un articolo importante la grandezza di Svevo.
Questi si pose al lavoro con rinnovata alacrità, ma nel 1928 incontrava la morte in
un incidente di macchina.
Postume uscirono raccolte di prose narrative, alcune delle quali incompiute: La
novella del buon vecchio e della bella fanciulla, Corto viaggio sentimentale,
e ancora Saggi e pagine sparse, La teoria del conte Alberto; Il ladro in casa;
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![Page 162: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/162.jpg)
Una commedia inedita; Prima del ballo; La verità; Terzetto spezzato; Atto
unico; Un marito; Inferiorità; Con la penna d'oro; La rigenerazione, che
rimase incompiuta). A parte vanno considerati i frammenti di quello che si è
convenuto di chiamare il Quarto romanzo, che avrebbe dovuto essere una
continuazione della Coscienza di Zeno: Il vecchione, Le confessioni di un
vegliardo; Umbertino; Il mio ozio; Un contratto.
Si parlerà più ampiamente di queste opere (tranne che delle commedie) nel corso
dell'antologia. Ma conviene fin da ora precisare che i protagonisti dei romanzi di
Svevo rivelano una crisi del personaggio che accompagna il senso della crisi della
concezione classico-cristiana dell'uomo, della sua centralità nella vita, nella
realtà. In tal senso l'opera di Svevo è idealmente vicina a quella di Pirandello, di
Proust, di Joyce, di Kaflca, o all' Uomo senza qualità di Musil, pur conservando
una propria peculiarità. Svevo ha rappresentato la solitudine e la non
comunicabilità dell'uomo alienato, la sua sconfitta esistenziale, con un umorismo
graffiante e un senso della precarietà d'ogni approdo che gli conferiscono un
posto di assoluto rilievo nella narrativa contemporanea.
Saggistica sveviana
Le pagine saggistiche di Svevo possono essere suddivise in autobiografiche (è
un'autobiografia che commenta la sua opera) e saggi dedicati a problemi culturali
del tempo. Fra le prime vanno ricordati il Profilo autobiografico (1927), il
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![Page 163: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/163.jpg)
Diario per la fidanzata (Livia Veneziani), scritto nel 1896, le Pagine sparse,
che delineano un diario intellettuale, il Soggiorno londinese, scritto forse fra il
'25 e il '26, in occasione d'un soggiorno in Inghilterra, dove il suocero lo inviò a
impiantare una fabbrica. Qui come nelle Lettere sono interessanti gli spunti di
poetica e il racconto della vicenda culturale dell'autore.
Carattere intellettualmente più sistematico è nella seconda serie di scritti,
importanti perché il dibattito delle idee scientifiche e filosofiche del tempo non fu
soltanto, per Svevo, una curiosità e un impegno di intellettuale, ma anche un
importante elemento della sua attività di narratore.
I suoi romanzi non prescindono mai da quel dibattito, lo assumono, anzi, nella
propria ricerca di verità, anche se poi questa si muove consapevolmente su
un'altra strada, che unisce al rigore intellettuale la rappresentazione della vita e
umanizza, come voleva l'autore, le singole filosofie e l'espressione specialistica
del pensiero. Fra questi saggi segnaliamo L'uomo e la teoria darwiniana, La
corruzione dell'anima, Ottimismo e pessimismo.
C'è poi tutta una fitta attività giornalistica di Svevo, che, giovanissimo, collaborò
con recensioni, critiche teatrali e articoli di vario argomento a «L'indipendente»,
un giornale irredentista triestino. Questa attività durò fino al 1890. Un altro
impegno giornalistico fu quello legato a «La Nazione», fondato a Trieste verso la
fine della guerra. Importanti, nella sua saggistica letteraria, furono gli Scritti su
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![Page 164: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/164.jpg)
Joyce (all'amicizia personale col grande scrittore che soggiornò a Trieste si deve,
come s'è visto, il «lancio» della narrativa sveviana in Francia).
« U n a v i t a »
È il primo romanzo di Svevo, pubblicato a proprie spese nel 1892, dopo che
l'editore Treves lo aveva respinto. Il primo titolo, Un inetto, rifiutato dall'editore,
scomparve per lasciare il posto a quello attuale; identico, a insaputa dell'autore, a
quello d'un celebre romanzo di Maupassant.
Il protagonista, Alfonso Nitti, si trasferisce dal proprio paese a Trieste, dopo
aver trovato lavoro presso la banca Maller. È animato da un forte desiderio di
emergere, sul piano sociale, unito, però, a un temperamento di sognatore, che
aspira a un successo letterario, ed è più attento a scrutare se stesso, nella ricerca
di una verità che sia anche ispirazione poetica, che non al mondo aspro e positivo
dell'alta finanza e dell'affermazione sociale, in cui è entrato.
Un'occasione risolutiva sembra essergli offerta dalla figlia di Maller, che riunisce
attorno a sé un salotto letterario, dove Alfonso viene ammesso, incominciando
così una scalata sociale che culmina nella seduzione di Annetta; un rapporto,
tuttavia, mistificato, congiunto, com'è, nella donna a un capriccio volubile, nel
protagonista alla volontà di successo mondano. Proprio nel momento a lui più
favorevole, Alfonso ritorna al paese, per assistere la madre ammalata, ma anche
per ritrovarsi nella solitudine e analizzare i propri reali sentimenti. Morta la
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![Page 165: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/165.jpg)
madre, ritorna a Trieste, dove apprende che Annetta si accinge a sposare il
cugino; e si rassegna all'evento, sperando di potersi ritrovare in un'interiorità non
più turbata da tentazioni esterne, e di potersi dedicare alla letteratura.
Ma il grigiore della vita impiegatizia lo riafferra, isterilisce il suo animo, mentre
il trasferimento a un ufficio meno importante gli fa pensare di essere perseguitato
dalla famiglia Maller. La cosa è senza dubbio vera, e il suo tentativo di farla
cessare spinge i suoi persecutori a credere che egli voglia ricattarli; pertanto a un
incontro, chiesto dal Nitti, con Annetta, si presenta, in sua vece, il fratello di lei e
lo sfida a duello. Il Nitti, convinto che anche Annetta voglia la sua morte, si
suicida.
Il romanzo rivela la capacità dell'autore di dominare originalmente numerosi in -
flussi della letteratura coeva. Un modello importante è la narrazione naturalistica
francese, e, in genere, un'ascendenza realistica che si rivela nella scrupolosa resa
degli ambienti. Ma accanto a questo, e dominanti, si riscontrano altri due modelli:
il romanzo di formazione e soprattutto il romanzo incentrato sull'analisi
psicologica del protagonista.
Svevo oltrepassa la tecnica naturalistica, per avvicinarsi piuttosto a suggestioni
decadentistiche nella rappresentazione dell'«inetto», del personaggio che non
riesce a vivere con gli altri, intento com'è all'auscultazione di sé, paralizzante nel
momento delle scelte decisive.
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![Page 166: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/166.jpg)
Incapace di godere; di amare, di afferrare la vita, di affermarsi in un mondo
dominato da interessi economici materiali, sceglie la morte come una stanca
esecuzione di pena su se stesso; e il suo è il suicidio di chi si sente incapace di
vivere, di chi passa dai sogni infranti a una volontà stanca del nulla.
L'urto reale è quello fra una modesta esistenza piccolo-borghese, coi suoi ideali di
pulizia e di decoro, di semplici affetti, di pietà compartecipe per gli umili e la
sventura, e quella, implacabile, d'una ricca borghesia (la famiglia Maller) che
impone la propria egemonia su un mondo impiegatizio privò di ideali e di
iniziativa e oppone ai sentimenti spontanei il proprio capriccio, come fa la
volubile Annetta nei confronti di Alfonso. Ma l'interesse maggiore di questo
personaggio, che anticipa gli altri «inetti» della narra tiva sveviana, sta nella sua
psicologia depressa, nella sua vitalità sempre sul punto di negarsi, come
paralizzata da una delusione esistenziale sentita come destino.
Nelle Pagine autobiografiche Svevo afferma di avere concepito il romanzo
dietro la spinta dominante della filosofia di Schopenhauer. Ma, com'egli stesso
dice altrove, i romanzieri non sono atti a chiarire i filosofi: li falsificano, anche
se li umanizzano. Si può, infatti, parlare, a proposito di questo romanzo, d'una
generica suggestione schopenhaueriana per quel che riguarda il pessimismo di
fondo con cui è guardata la vita, non soltanto quella crudele e avida dei
dominatori, ma anche quella degli umili, anch'essi legati a un materialismo
basso e privo d'ogni vera luce di ideali, come attestano le squallide vicende
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![Page 167: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/167.jpg)
della famiglia Lanucci, presso la quale Alfonso sta come pigionante. Ancora si
potrebbe indicare come tema genericamente schopenhaueriano il contrasto fra
volontà e rappresentazione; fra i falsi miti che ispirano la condotta comune e
una cieca volontà irriflessa di vivere che coincide con l'egoismo più totale, che
diviene vitalismo cieco, senza motivazioni né scopi.
Senilità
Il romanzo, scritto fra il 1892 e il 1897, uscito nel '98 prima sul quotidiano
«L'Indipendente» di Trieste, poi in volume, a spese dell'autore, presso l'editore
Vram, fu ripubblicato a Milano nel 1927, con una prefazione in cui Svevo
parlava dell'insuccesso di esso, che lo aveva indotto al silenzio venticinquennale,
e della fortuna che esso aveva incontrato, dopo la «scoperta» di Zeno, presso
molti critici, a cominciare da Montale.
Il romanzo ha una struttura meno radicalmente innovativa della Coscienza di
Zeno, un intreccio narrativo saldamente equilibrato, e, nel contempo, una
passione e una drammaticità, anche se contenute nella linea severa appresa dal
Naturalismo, che conquistano il lettore.
La sostanza autobiografica di partenza lo accomuna agli altri. Ma qui c'è
maggiore abbandono, almeno nelle pagine in cui viene rappresentata la vicenda
amorosa fra Angiolina ed Emilio, e il dibattito interno, la furia, la disperazione
del protagonista, quando si vede tradito. Angiolina, ci avverte Svevo, fu persona
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![Page 168: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/168.jpg)
reale, di cui egli fu innamorato: una popolana per 1'«educazione» della quale fu
scritto il romanzo, i cui personaggi principali, avverte ancora l'autore, erano ben
noti a Trieste. Un «pezzo di vita», dunque, fra autobiografia e studio psicologico
di ascendenza naturalistica?
L'ipotesi sembrerebbe plausibile, se si pensa che l'autore avverte ancora che, nel
romanzo, «non ci sono propositi di filosofia, né le debolezze umane, quella del
Brentani in primo luogo, sono sublimate da teoremi» (dove l'ultima parola indica
evidentemente `dimostrazioni' o `esemplificazioni' filosofiche).
Ma Svevo sapeva bene, e lo ha scritto, che il romanziere, in genere, «tradiva» le
invenzioni del filosofo, o meglio, le «umanizzava»; le metteva cioè in diretto
contatto con la complessità e contraddittorietà, organica, si direbbe, della vita. Fra
lo Schopen hauer di Una vita e la psicoanalisi compresa e dibattuta della
Coscienza di Zeno, Senilità è il romanzo in cui meno si rivela l'impegno
concettuale; non è, come gli altri romanzo-dibattito d'idee, ma orientato verso la
pura narrazione. Ma tuttavia, esso sottende una visione del mondo complessa. Vi
si ritrova la rappresentazione d'una società dove i sentimenti vengono adulterati
(la bellezza di Angiolina, la sua condanna alla prostitzione, negata, peraltro, da
lei stessa, che ancora sceglie l'amore indipendentemente dall'interesse); dove
l'arte, la poesia, l'impegno dell'intellettuale appaiono scissi dalla realtà
dell'esistenza degli altri, ridotti a una sterile superbia e a una totale incapacità di
modificare l'esistente. Quanto all'amore, la patetica figura di Amalia, la donna
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![Page 169: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/169.jpg)
giovane, della famiglia «bene», che non può viverlo come scelta, ma deve
attenderlo nel grigiore d'una squallida vita di faccende domestiche e lavori
all'uncinetto, diviene emblematica di una vita negata da un conformismo sociale
feroce.
Fin qui si potrebbe parlare di ascendenze naturalistiche o verístíche. Ma il fatto
nuovo è la sintassi narrativa e descrittiva del tutto originale.
Ha scritto il De benedetti che anche questo è un «romanzo d'analisí», certo
ricordando il significato che la parola ha nella psicoanalisi, e paragonandolo,
implicitamente, a La coscienza di Zeno. Esso, infatti, è molto spesso racconto del
riflettersi degli eventi nella coscienza di Emilio.
Egli si lascia, di fatto, portare dalla vita; è uno degli «inetti» tipici della narrativa
di Svevo, espressione della crisi del personaggio che riflette quella dell'uomo
contemporaneo: e il romanzo, di conseguenza, si struttura liberamente c quasi
senza cercare un ordine, sui modi del suo sentire e della sua psicologia, magari
attraverso espedienti narrativi quali il discorso indiretto libero, di cui certo Svevo
avrà parlato, più tardi, con l'amico Joyce, che ne fece uno degli strumenti della
sua poetica narrativa. Si vedano i passi qui trascelti: il paesaggio d'un incontro
d'amore si configura sulla coscienza di Emilio, che vive quell'incontro e, nel
contempo, lo sogna, come bacia la luna sul viso di Angiolína, fondendo la
bellezza di lei con quella, riscoperta in quell'attimo, del mondo. Persino la
straziante fine di Amalia è intercalata dal tormento d'amore del protagonista. Qui
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![Page 170: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/170.jpg)
sale in primo piano la «coscienza» dei personaggi, che costruisce lo spazio e il
tempo delle vicende narrate, commisurati sui loro impeti e le loro angosce.
Nella prefazione del '27 alla seconda edizione del romanzo, Svevo ne difende il
titolo che appariva improprio al Valéry Larbaud, uno dei suoi critici più
favorevoli, pur ammettendo che anche a lui sembrava incongruo avere attribuito
alla senilità «un eccesso in amore» (la passione bruciante di Emilio).
E tuttavia pensava che quel titolo potesse «spiegare e scusare qualche cosa». La
«senilità», infatti, è l'inettitudine di Emilio (e di Amalia, la sua prima vittima) di
fronte alla vita, l'eccesso della vita interiore elevata a supremo e unico valore che
rende inadatti ad affrontare la realtà. Siamo sulla linea della Coscienza di Zeno.
La Coscienza di Zeno
Il romanzo interruppe il silenzio quasi venticinquennale che Svevo si era
imposto dopo l’insuccesso dei due precedenti.
Nacque nel’19, subito dopo l’entrata italiana in Trieste, da un attimo di forte
travolgente ispirazione (quindici giorni durò, secondo la moglie, la prima stesura,
poi distrutta), e fu pubblicato nel 1922, incontrando la stessa glaciale indifferenza
degli altri. Soltanto tre anni dopo venne il riconoscimento, via via consolidatosi
fino all'indicazione del romanzo come una delle opere più significative della
letteratura europea del Novecento.
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![Page 171: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/171.jpg)
L'opera ha una sintassi originale: s'impernia su una trama narrativa che procede
per episodi senza curarsi della loro successione temporale, ma presentandoli
come momenti d'una coscienza che il protagonista viene assumendo lentamente;
o meglio, crede di assumere, anche se, alla fine, si ritrova fondamentalmente, e
inconfessatamente, in un'insuperabile perplessità esistenziale.
Il libro dovrebbe rappresentare la storia d'una guarigione; è, anzi, una sorta di
«compito» scritto, imposto dal dottor S., psicoanalista, che dovrebbe consentire al
paziente di vedere meglio in se stesso, essere il momento culminante d'una
terapia psicoanalitica, di cui conserva la libera successione concessa al fluire dei
ricordi e al flusso di coscienza. Si viene così articolando nei capitoli di cui si
presenta qui una rapida sintesi, imperniati ciascuno su un nucleo tematico che
ripercorre un momento della «malattia» del protagonista.
a) Il firmo. Il capitolo narra il nascere e l'esasperarsi in Zeno, fin dall'infanzia,
di questo vizio, di cui cerca poi invano di liberarsi, con propositi che culminano
infinite volte in un'«ultima sigaretta» collegata a date stabilite come importanti. Il
vizio, in realtà, riflette una volontà di rivalsa contro la pur mite figura paterna, ma
anche la volontà di trasgressione, che non sa, tuttavia, legarsi a una progettazione
coerente della propria vita: ed è questa la malattia. Zeno è un «giovin signore»
ozioso e annoiato, che cerca un'affermazione di sé a buon mercato e non sa, né
vuole, se non velleitariamente, affrancarsi dal conformismo della società in cui
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![Page 172: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/172.jpg)
vive. Il capitolo si chiude con l'internamento volontario in una clinica per
disintossicarsi e la fuga da essa.
b) La morte di mio padre. Viene qui esaminato il difficile rapporto di Zeno
col padre, in cui egli non sa trovare, come pur vorrebbe, una guida, ma verifica
soltanto un'incomunicabilità e un'assenza. Il padre, una sera, si accinge a dirgli
qualcosa di importante (è il problema, che lo travaglia, con un presentimento
oscuro di morte imminente, di un'altra vita, che sia giustificazione di questa), ma,
come al solito, la confidenza non avviene, e durante la notte il padre è colpito da
un edema cerebrale. Seguono i lunghi giorni dell'agonia, in cui si manifesta il
contrasto insanabile fra il dottor Coprosich, che, secondo la deontologia medica,
tenta di prolungare la vita del paziente e Zeno, che teme che il padre possa
riprendere conoscenza e accorgersi del proprio stato, e ne desidera quindi la
rapida morte, pur pentendosi di questo desiderio, contrario alla morale
convenzionale, ma espressione, anche, d'un proprio oscuro egoismo. Poco prima
di morire il padre schiaffeggia Zeno: è un gesto inconsulto, che appare però al
figlio come una punizione irrevocabile: una condanna inscritta nel fondo oscuro
della propria vita.
c) La storia del mio matrimonio. Entrato in confidenza con Giovanni
Malfentí, un importante uomo d'affari, Zeno ne frequenta la famiglia (madre e
quattro figlie, tre in età da marito). Si innamora di Ada, la più bella, che però gli
preferisce un altro, Guido Speier. Dopo lunghe schermaglie si giunge al momento
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![Page 173: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/173.jpg)
conclusivo. C'è una serata in casa Malfenti, nella quale, dopo varie vicende, Zeno
viene respinto da Ada, e si rivolge successivamente alle altre due, chiedendo loro
di sposarlo. Lo accetta soltanto la più brutta e da lui non amata, Augusta, che
riuscirà però a garantirgli un matrimonio felice.
Il lungo episodio attesta 1'inettitudine del protagonista, il suo lasciarsi
trascinare dalla vita, la fragilità d'una coscienza che non sa definirsi secondo
scelte responsabili e consapevoli.
d) La moglie e l'amante. Nonostante la felice vita matrimoniale, Zeno sente
l'esigenza di avere, secondo una prassi sociale codificata e conformistica,
un'amante, e la trova in una fanciulla povera, Carla.
Ne segue una relazione continuamente contrastata, in Zeno, dalla volontà di
non fare soffrire la moglie, alla quale costantemente ritorna come a una meta di
sanità e di purezza che, insieme, lo attirano e lo invitano alla trasgressione, come
sempre in lui, velleitaria. L'adulterio, insomma, coincide con la sua volontà di
non guarire, che è poi, a sua volta, un'oscura volontà di contrapporsi alla
normalità, di avere una vita ben sua, o meglio di essere superiore alla vita, alla
costrizione; una volontà, tuttavia, che, ancora una volta, non sa definirsi in un
progetto responsabile. L'avventura finisce: Carla sposa il suo maestro di canto,
Zeno diventa padre e ritorna così alla vita della famiglia.
e) Storia di un'associazione commerciale. Incapace di gestire il proprio
patrimonio, Zeno viene pregato da Guido di aiutarlo a mettere in piedi un'azienda,
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![Page 174: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/174.jpg)
e accetta, per «bontà», come egli dice a se stesso, ma in realtà per un oscuro
desiderio di rivalsa, di superiorità nei confronti del fortunato rivale in amore che,
nel frattempo, ha sposato Ada. Anche Guido, peraltro, è un inetto, e incomincia,
per insipienza, a sperperare il suo patrimonio, mentre Zeno ha la soddisfazione di
essere incaricato da Ada di aiutare e proteggere il marito.
Questi, dopo un'ennesima perdita (s'è messo a giuocare in borsa) simula un
tentativo di suicidio, per indurre la moglie a sovvenzionarlo con la propria dote.
Più tardi, ritenterà il colpo astuto, ma, per un banale giuoco della sorte, si ucciderà
davvero. Svevo che, impegnato a salvarne, per quanto è possibile, il patrimonio,
non riesce a giungere in tempo al suo funerale, è accusato da Ada, divenuta nel
frattempo brutta e non più desiderabile per una malattia, di avere in tal modo
espresso la sua gelosia, il suo malanimo verso il marito.
Il famoso «triangolo» matrimoniale termina con tre sconfitte irreparabili, ma
anche con l'autoinganno dei tre protagonisti, incapaci di distinguere fra sogno e
realtà.
La psico-analisi. Il capitolo precedente aveva chiuso il racconto autobiografico
imposto dal medico a Zeno come cura. Ma ora, a distanza di sei mesi, il
protagonista lo riprende, prima di tutto per ribellarsi al medico, che non l'ha
guarito, come crede, ma ha aggravato la sua malattia costringendolo a riportare alla
coscienza la storia dei suoi fallimenti. Mentre mostra il suo disprezzo verso i
metodi e la sostanza della p9lcoanalisi, egli esalta la scrittura come metodo vero di
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![Page 175: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/175.jpg)
autocoscienza e guarigione. A questo punto incontra la guerra (siamo nel maggio
del 1915), che affronterà da navigato uomo d'affari, impegnandosi in fortunate
speculazioni. È dunque «guarito», secondo la comune opinione, rientrato nel
conformismo, o meglio, nella malattia che ora scopre in tutti, nella società, nella
stessa guerra: che vede, anzi, come consustanziata alla vita.
Paradossalmente, la sua guarigione consiste nella coscienza di questa malattia
universale e inevitabile, che coincide con lo stesso sviluppo della civiltà. Forse un
giorno verrà creato un ordigno perfezionatissimo (la civiltà dell'uomo consiste
nella produzione di ordigni), e un uomo lo collocherà in un punto strategico,
provocando una deflagrazione immane, dopo la quale la terra, ritornata in forma di
nebulosa, «errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie». la «sanità», dunque,
potrà coincidere soltanto con la scomparsa dell'uomo e della vita.
Protagonista del libro è, come dice il titolo, una coscienza, il suo difficile tentativo
di costruirsi nel flusso travolgente della vita. Ma è proprio il concetto tradizionale
di coscienza a entrare in crisi, e il romanzo è il racconto di questa crisi.
La coscienza non coincide né con una vocazione alla trascendenza né con una
consapevolezza fondata su valori universali e riconosciuti che siano il modello
intellettuale o morale su cui essa ossa costruirsi e verificarsi; è soltanto lo scatto al
quale l'intelligenza si sforza di rendere atto del flusso vitale, di comprenderlo, di
indirizzarlo, ma sempre rassegnata a propria precarietà, a una costituzionale
insufficienza.
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![Page 176: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/176.jpg)
La psicoanalisi non è trattata molto bene nel libro: l'intelligenza, anzi, la
contesta, e ne definisce il valore come meramente funzionale e di per sé
insufficiente (ma nonostante certa aperta ironia, era poi una posizione corretta, che
la riconosceva come un metodo scientifico, da sottoporre, come tale, a una
continua verifica, e non come una filosofia); tuttavia Svevo, unico fra i letterari
italiani del suo tempo, ove si escluda Saba, che ha inteso il valore rivoluzionario e
demistificatore; in primo luogo nei confronti dell’idea tradizionale di coscienza cui
si alludeva prima: quella che la concepiva come ordinatrice consapevole e coerente
della vita, come sostanza spirituale autonoma di fronte a essa.
La psicoanalisi, con le teorie del rimosso, con la scoperta dell'inconscio
rivelato la presenza fondamentale di questo alla coscienza, la sua legge, la sua
dimensione esistenziale del tutto diversa dalla prospettiva razionalistica su cui si
fondava tradizionalmente l'idea dell'interiorità.
Con questa scoperta si allineano la «morte di Dio» o crisi radicale di valori
scoperta da Nietzsche, e la crisi della società capitalistica, il cui stesso «realismo»
o materialismo trionfante nei personaggi «forti» del romanzo, è messo in crisi
dalla guerra imperialistica che Zeno incontra alla fine.
II tramonto dell'antica ragion d'essere della coscienza porta con sé un
dissolversi del concetto stesso di realtà, come trama di rapporti razionali e
coerenti.
176
![Page 177: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/177.jpg)
In un universo senza direzioni, in una società dove l'erompere degli egoismi
individuali chiude ognuno nel cerchio invalicabile delle proprie rappresentazioni,
diviene precario il colloquio con l'altro, e anche quello con se stessi, per
l'impossibilità di trovare una direzione che organizzi le pulsioni incoerenti del
vivere, in una storia della persona. Zeno riesce parzialmente a risalire alle origini
della propria malattia soltanto quando dissolve il concetto di sanità e identifica la
malattia con la vita, dato che essa si conclude con la morte; ama, ma non sa
isolare adeguatamente l'oggetto del desiderio, indifferente per il puro impulso
vitale inconscio, per la schopenhaueriana volontà di viversi della vita universale
che portiamo in noi; altre volte odia chi crede di amare, e, comunque sia, non
riesce mai a chiarirsi completamente a se stesso; ogni pensiero, infatti, appare a
lui, e al suo autore, come una mistificazione, in quanto tenta di chiudere in una
torma statica il prepotente flusso vitale.
Soltanto l'egoismo riesce a trovare in lui un cammino rettilineo, nonostante
le oscillazioni di quella che viene tradizionalmente detta «coscienza», ossia
l'insieme di convenzioni più o meno sincere (ma mai sincere fino in fondo) della
società. D'altra parte il disordine e l' inautenticità di questa finiscono per ribadire
la falsità, o per lo meno, l'inadeguatezza dei valori costituiti davanti alla realtà
profonda dell'esistere; sanzionano il divorzio irreparabile fra coscienza e vita cui
è giunta la civiltà contemporanea, o quella che si può chiamare civiltà in senso
lato.
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![Page 178: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/178.jpg)
L'ordigno (la macchina, l'ideologia, il complesso delle convenzioni sociali)
rischia ormai di proseguire fino in fondo l'opera di distruzione della natura, che
ha già incominciato con la sua lotta contro la libertà dell'inconscio o dell'istinto
vitale, non più incentrata, tuttavia, su principi universalmente condivisi. Mentre
tramuta la crisi storica della borghesia e della civiltà europea in una crisi radicale
dell'idea dell'uomo, Svevo intraprende coraggiosamente un cammino originale
nei meandri della coscienza (anche propria, dato l'autobiografismo intimo dei
personaggi dei suoi romanzi); invita a una verifica non soltanto della razionalità e
dei principi, ma anche delle rappresentazioni mentali e della psicologia: di
un'immagine dell'uomo che egli avvertiva usurata e bisognosa d'una
riedificazione.
Romanzo e antiromanzo
La mutata prospettiva esistenziale mette coerentemente in crisi la struttura
del romanzo, quale era stata tramandata dal Settecento e dall'Ottocento. Romanzo
d'idee e romanzo realistico erano stati concordi nel concepire la realtà come
qualcosa di organico e unitario, cui corrispondeva una struttura narrativa fondata
mimeticamente su quelle stesse qualità. La coscienza di Zeno prende invece atto
della struttura dissociata del mondo, la riflette nella propria, confondendo spazi e
tempi della narrazione, o meglio, fondendoli nella realtà senza tempo della
«coscienza»: uno spazio, a sua volta, d'illusione, perché aperto alle suggestioni
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![Page 179: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/179.jpg)
d'una dimensione più profonda, l'inconscio, irriducibile a leggi intelligibili. Così
ogni episodio in cui viene suddiviso il libro non soltanto si presenta con una
propria individualità, disponendosi con gli altri in una relazione problematica, ma
confonde o non correla i tempi, nel senso che ciascuno ha un proprio tempo e un
proprio spazio, anela a una significazione propria; e anche dove si può stabilire
una correlazione (la storia di Zeno con Ada, affidata a due episodi diversi), non
delinea tuttavia una logica di svolgimento progressivo.
Ada rifiuta Zeno, poi ne chiede l'aiuto, infine lo respinge di nuovo
quand'egli ormai non l'ama più: o l'ama come un passato che la scrittura gli
ripropone privato del suo non senso di mera contingenza; non, comunque sia,
nella sua realtà attuale di donna sfiorita. E Zeno, in qualche modo sta al giuoco,
trascinato da una logica mondana falsa, cui tuttavia, come i personaggi
pirandelliani, non sa rinunciare.
Altra dimensione originale del romanzo è l'incapacità che hanno i personaggi di
comunicare, anche con se stessi; donde il loro consistere soltanto nel confronto
inutile, nella «chiacchiera» quotidiana.
Anche il personaggio principale è statico: si analizza, ma non giunge mai a
comprendersi veramente, a modificare la propria vita con scelte decise: è uomo
senza qualità (per parafrasare il titolo d'un grande romanzo dell'epoca, quello di
Musil) e senza storia; o, per meglio dire, senz'altra storia che non sia quella dello
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![Page 180: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/180.jpg)
scorrere del tempo che lo conduce progressivamente a uno scadimento biologico
da cui anche la mente verrà influenzata.
In effetti, però, le sole modifiche di Zeno derivano dal «tempo», per dir così,
bloccato che il romanzo configura; dall'accumularsi di esperienze in qualche
modo ripetitive che sottolineano e rendono irrevocabile il suo misconoscimento
della propria «malattia», gliela fanno apparire come un fatto biologico e non
come espressione d'una particolare società e civiltà. In tal senso la Coscienza è il
rovesciamento del «romanzo di formazione» dal quale pure prende le mosse; è il
romanzo della formazione mancata e avvertita impossibile.
II romanzo è percorso da una vena umoristica sottile, che rivela anche il
sostanziale accettarsi del personaggio che dice io, dell'anti-eroe.
E ironica è anche la conclusione, soltanto apparentemente apocalittica, o, per lo
meno, tale non in senso drammatico. Fino alla conclusione il personaggio rifiuta
di porsi in conflitto con la vita, anela a un comporsi con le cose che mentre
giunge, a volte, a esiti comici, sottolinea l'amarezza e l'assenza di speranza dello
scrittore.
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![Page 181: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/181.jpg)
Luigi Pirandello
Nacque presso Agrigento nel 1867 e morì nel 1936 a Roma, dopo aver
conosciuto una rinomanza mondiale, sanzionata, nel '34, dal Premio Nobel.
Basterà qui ricordare pochi eventi della sua vita: gli studi universitari e la
laurea a Bonn, in Germania (1891); lo sconvolgimento portato nella sua vita
dalla malattia mentale della moglie manifestatasi quando (1904) l'economia
della famiglia subì un tracollo, essendosi allagata la miniera di zolfo che ne
garantiva il benessere (solo nel '19 la donna sarà internata in casa di cura);
l'angoscia quando il figlio fu preso prigioniero, nella prima guerra mondiale.
Pirandello visse la vicenda d'una famiglia fra piccolo e medio-borghese,
con angustie e miserie, e le difficoltà implicite nello Stato post-unitario
italiano; quella d'un uomo del Sud, radicato da una parte nella sua Sicilia,
dall'altro anelante a una posizione di intellettuale di livello europeo.
La fama gli arrise relativamente tardi, con la pubblicazione, nel 1904, del
romanzo Il fu Mattia Pascal, e, in forma più decisa, e anche all'estero, a partire
all'incirca dagli anni venti, quando il pur contrastato successo dei suoi drammi
più importanti lo impose sui palcoscenici italiani ed europei. A partire dal
1925, anno in cui fondò il «Teatro dell'Arte» a Roma e ne assunse la direzione,
all'attività di drammaturgo accompagnò quella di regista, aiutato da Marta
Abba che gli fu affettuosa compagna e interpretò molti suoi drammi.
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![Page 182: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/182.jpg)
Nel '24, dopo il delitto Matteotti, aderì al Fascismo. Fu un gesto in cui si
può vedere la rivolta, comune ad altri intellettuali, contro la degenerazione del
sistema parlamentare, e forse anche uno spirito di classe che gli proveniva
dalla condizione sociale della sua famiglia.
Certamente le idee che il suo teatro veniva allora sostenendo non erano
conformi al programmatico ottimismo fascista; d'altra parte, però, se è giusto
riconoscere a Pirandello una volontà demistificatrice nei confronti del
conformismo borghese, non si può affermare che egli proponesse
un'alternativa sul piano politico; questo, anzi, dopo la lucida diagnosi
dell'Italia post-unitaria compiuta nel romanzo I vecchi e i giovani, esce dal
campo dei suoi interessi.
Cronologicamente, Pirandello è vicino non tanto agli uomini della
«Voce», ma a un Pascoli, a un D'Annunzio: la sua formazione si svolge
nell'ultimo decennio dell'Ottocento fra rifiuto del Positivismo, Decadentismo,
e vaghe tensioni spiritualistiche.
La sua produzione può essere suddivisa in due periodi. Nel primo, che
giunge fino alla Grande Guerra, predomina l'interesse narrativo, dopo un
periodo di tirocinio poetico; nel secondo quello per il teatro.
Le raccolte poetiche furono: Mal giocondo (1889), Pasqua di Gea ('91),
Elegie renane ('95).
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![Page 183: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/183.jpg)
Più insistita e importante fu la produzione narrativa di romanzi e novelle,
un impegno, quest'ultimo, che si potrebbe dire sistematico, per tutta la vita.
Delle 365 novelle ideate, Pirandello ne scrisse 225, più alcuni abbozzi, e da
esse trasse molte volte spunto per í suoi drammi. I romanzi vanno da l’Esclusa
(scritta nel 1893), a Il turno, Il fu Mattia Pascal (1904), I Vecchi e i
giovani;Quaderni di Serafino; Gubbio operatore;Suo marito Giustino Roncella
nato Boggiolo, , pubblicato dopo una gestazione di anni, che si colloca al
centro dell'attività drammaturgia più importante e può essere considerato come
una conclusione dell'itinerario ideologico dell'autore.
Fra il '16 e il '36 cade, invece, la composizione e rappresentazione di
quasi tutti i drammi, e la fervida attività di uomo di teatro cui s'è alluso. Fra le
opere teatrali, le più celebri rimasero Pensaci Giacomino!, Liolà, Questa sera si
recita a soggetto, Così è (se vi pare), Enrico IV, Sei personaggi in cerca
d'autore; che colpirono il pubblico per la nuova idea di teatro, non meno che
per la critica demistificatrice delle persuasioni comuni più intatte e
inattaccabili, provocando un'alternativa di discussioni vivaci, di cadute e di
trionfi. Pirandello godé d'una fama internazionale, perché offrì soluzioni
originalissime anche nel campo della rappresentazione scenica, del dialogo
drammatico, della concezione stessa del personaggio, imprimendo la propria
impronta in tutto il teatro mondiale contemporaneo, da O'Neíll ad Anouilh, da
Ionesco a Beckett.
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![Page 184: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/184.jpg)
Fra i saggi e le conferenze vanno ricordati in primo luogo L'umorismo
(1908), dove Pirandello raccolse la materia delle sue lezioni universitarie e di
articoli pubblicati su riviste. Il saggio è la sua formulazione più matura di
estetica e, soprattutto, di poetica, e costituisce un'introduzione necessaria alle
opere più importanti. Fra gli altri saggi vanno ricordati Arte e Scienza (1908) e
gli interventi su Verga, Tozzi, D'Annunzio.
II pensiero
Pirandello appare costantemente inteso a porre drammatici interrogativi
alla vita; teorico d'un'ispirazione che egli chiama umorismo o sentimento del
contrario, e coincide con una visione scissa e conflittuale, o comunque sia,
paradossale della realtà. Converrà seguire questo suo dialogo-dibattito col
reale nel vivo delle singole opere, tenendo conto anche dell'atteggiamento
diversificato che gli imposero i generi letterari in cui calò la sua ispirazione:
poesia, novella, romanzo, teatro.
Si tenterà qui una prima sintesi generale e uno sguardo al significato
complessivo del suo messaggio. La critica recente (negli ultimi trent'anni
all'incirca) ha liberato l'opera pirandelliana dal peso d'una «filosofia» sin
troppo sistematica che alcuni interpreti coevi, a cominciare dal Tilgher (ma
Pirandello stette al giuoco), credettero di poter desumere da essa.
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![Page 185: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/185.jpg)
É stato osservato che i grandi problemi dibattuti dal teatro (e dal romanzo)
pirandelliano - il nostro rapporto con gli altri e, prima, con noi stessi, con la
«maschera» che ciascuno di noi si impone, l'urto tra una verità che avvertiamo
nascosta (e indefinibile) nel nostro essere e la finzione della vita associata, e
così via non vengono considerati nella prospettiva d'una filosofia sistematica,
ma nei termini in cui li definisce la coscienza comune.
Nuovo è lo spirito di demistificazione, connesso a una tensione
intellettuale che si esprime soprattutto nella forma d'un dibattito tormentato, in
cui l'impegno razionale, consequenziario in forma persino rigida, si scontra
con la pietà del caso umano, la passione del protagonista che l'impersona e una
sofferenza che coinvolge l'autore, anch'egli implicato in una lotta sempre
problematica per la verità.
La produzione pirandelliana nasce in margine all'oggettivismo del
Verismo meridionale, ma se ne distacca per una visione dei contrasti del reale
spinta fino al paradosso e a un'ironia corrosiva. Piuttosto che a una pittura
d'ambienti, Pirandello è interessato al dramma dell'individuo, alla sua angoscia
di uomo solo, umiliato e offeso dalla società.
I suoi personaggi sono, in genere, piccoli borghesi dall'esistenza grama,
che oppongono al conformismo d'una società in sfacelo la brama di essere
qualcuno, di trovare un significato alla propria pena. Ma questa brama, sempre
insoddisfatta, si esaspera in gesti bizzarri, in una stravaganza allucinata che
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![Page 186: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/186.jpg)
trapassa in forme di una più o meno lucida follia. Il rifiuto della vita
inautentica riflette la scoperta dell'impossibilità di vivere così, e, insieme, la
coscienza che, se assurda è la vita, lo è altrettanto ogni ribellione. La società,
respingendo nella follia ogni tentativo di anticonformismo del singolo, conferi -
sce a questa scoperta una sanzione definitiva: e tuttavia oltre la menzogna
della convivenza non c'è la libertà, ma il vuoto dell'anarchia, i1 nulla.
Pirandello è consapevole che tutto questo deriva da una frattura storica,
dalla disgregazione della civiltà romantica e borghese. Essa è resa evidente
dall'attuale società o banalmente materialistica o intesa a smascherare
1'egoismo e l'assenza (il ideali nell'enfasi astratta dell'eroismo superumano,
ultima, definitiva espressione d'un'etica falsa, fondata non sull'essere, ma
sull'apparire, e sulla volontà sopraffattrice del singolo.
La sua critica, dunque, non parte, com'era avvenuto, ad esempio, nelle
prime novelle dannunziane, da un'esasperazione di realismo brutale nella
descrizione di turbe fisiche o psichiche: da una crisi, cioè, vista nell'ambito
della «natura». Come avverte chiaramente il romanzo I vecchi e i giovani,
Pirandello individua una crisi storica precisa; la difficile realtà dell'Italia post-
risorgimentale, soprattutto nel Mezzogiorno. Ma la deiezione storica divi,-ne
poi incentivo ad approfondirla nel senso di ricercarvi quella umana (il sempre,
tramutando la storia in natura e destino. In tal senso non si può dare torto ai
critici secondo i quali la fermezza demistificatrice d'un falso costume di vita
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![Page 187: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/187.jpg)
non approda in Pirandello alla costruzione, o per lo meno, al presentimento di
un altro e diverso che l'uomo può e deve costruire. Dietro la realtà attuale
alienata, Pirandello scopre l'alienazione di sempre; non indaga le cause sociali,
morali, ideologiche di una forma storica di incomunicabilità e di alienazione,
ma ne fa una tipica forma della condizione umana.
Il suo interesse si appunta così sul dibattersi dell'io, quando giunge a
coscienza del caos della realtà. In un universo e in una società inesplicabili,
tutto appare - e di fatto diventa - relativo, inessenziale; anche la persona,
ridotta a una molteplicità di atti e di gesti mutevoli, che è impossibile fissare in
una prospettiva unitaria.
Ciascuno è uno e centomila, e cioè, in pratica, nessuno. Invano cerchiamo
di sovrapporre al libero fluire della vita una «forma», una personalità che
servano a definirci, a possederci: questi fragili schemi vengono di continuo
travolti, e il nostro lo, la realtà quotidiana, sono soltanto un'apparenza
multicolore, diversa per ogni persona che ci guarda e anche per noi stessi nel
trascorrere del tempo, dello stesso istante; esse rivelano la loro reale
inconsistenza soprattutto quando il dolore, la morte o il giuoco cieco del caso
distruggono le illusioni e mettono a nudo la vita.
187
![Page 188: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/188.jpg)
Dall'ideologia al teatro
La scoperta del vuoto, del baratro continuamente in agguato sotto di noi è
la situazione centrale dei drammi pirandelliani. Ma va aggiunto che la scelta
dell'espressione teatrale non fu un fatto estrinseco: il teatro fu per Pirandello il
luogo e l'immagine della vita, la scena dove recitiamo, volta per volta,
centomila parti, simili ad attori.
Questa corrispondenza è evidente in uno dei più bei drammi di Pirandello,
i Sei personaggi in cerca d'autore, dove i personaggi, rifiutati dall'autore, gli
chiedono invano di proseguire nella sua opera creativa, di donar loro una vita
reale, piena; e, in genere, nella più importante novità strutturale del dramma
pirandelliano: il «teatro nel teatro» (o «metateatro»), che si propone
criticamente a se stesso durante lo stesso svolgimento scenico, che, cioè, si
interroga sulle ragioni e, in primo luogo, sulla realtà del proprio movimento. Il
metateatro corrisponde a quello che nell'uomo è il vedersi vivere che approda
alla coscienza d'un proprio contrasto insanabile con la vita, coincide, anzi, con
questa coscienza.
L'uomo pirandelliano
L'arte di Pirandello è caratterizzata e a volte inquinata dal prevalere del
gusto del paradosso, da un intellettualismo lucido ma capzioso. I suoi
188
![Page 189: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/189.jpg)
personaggi si dibattono, in una continua disputa con se stessi e con gli altri,
denunciano, con ironia ora appassionata ora gelida, l'artificiosità di tutte le
costruzioni spirituali, la vanità d'ogni più salda certezza. È un'ironia
dissolvente, perché, come si diceva, dietro i falsi rapporti sociali e morali non
c'è che l'incomprensibile caos primordiale.
Tuttavia, di là dalle negazioni dell'intelletto, Pirandello scopre nell'uomo
la nostalgia d'un'esistenza vera, naturale e pura. La tragedia dell'Uomo
pirandelliano è il suo essere per il nulla: il destino angoscioso di chi porta in sé
una scintilla divina (ma si tratta d'un Dio sconosciuto e inconoscibile), un'ansia
di verità e d'eternità, ma per vederla morire in un mondo futile d'apparenze.
I1 suo dramma consiste nel non riuscire a placarsi nell'insensibilità che è
propria delle cose, né, d'altra parte, a risalire dalla dispersione e dall'esilio del
relativo a una comunione con la realtà dell'essere, di cui il nostro protenderci,
nell'arte e nella vita, verso una -forma esprime il presentimento e il desiderio
vano. In questa angoscia Pirandello scopre la dignità vera dell'uomo, che lo
spinge a inchinarsi sulla sua pena con dolente pietà.
Pirandello resta così sospeso fra l'intuizione d'una natura pacificata con lo
spirito, d'uno «slancio vitale» armonico e grandioso, e un nichilismo totale
relativo alla vita dell'uomo, al problema dell'io. In questo si rivela legato alle
prospettive del Decadentismo e dell'irrazionalismo delle filosofie coeve.
189
![Page 190: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/190.jpg)
Decadentistica è anche la sua esaltazione dell'arte come creazione che
permane, nel fatale relativismo dell'io e delle cose.
Pirandello è un genio essenzialmente distruttore: rivelatore e indagatore
d'una crisi. La sua volontà di costruzione d'una vita diversa si rivela, infatti,
verso la fine della sua attività drammatica in opere come La nuova colonia,
miti sociali, piuttosto che formulazioni critiche: miti consapevoli di essere tali
e quindi della propria precarietà.
L'ispirazione profonda di Pirandello resta pertanto il contrasto, av -vertito
e sofferto come insanabile, fra esistere ed essere, fra prigionia nella banalità
quotidiana della vita associata e volontà di rapporti umani veri, fra il senso
della limitatezza dell'io e d'ansia di riconfondersi con la pienezza vitale della
natura. Questa tematica venne approfondita dalla cultura europea soprattutto
nel periodo fra le due guerre.
«L'umorismo»
Il saggio L'umorismo, in cui confluiscono saggi già pubblicati, frutto di
lezioni tenute all'Istituto Superiore di Magistero di Roma, uscì nel 1908 con la
dedica «Alla buon'anima di Mattia Pascal bibliotecario» (il romanzo è del
1904). Una seconda edizione, con l'aggiunta di parti polemiche contro un
critico severo del saggio, Benedetto Croce, apparve nel 1920, alla vigilia dei
capolavori del teatro pirandelliano.
190
![Page 191: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/191.jpg)
Nella prima parte dell'opera, che è una riflessione di poetica al centro
della produzione dell'autore, si definisce l'ispirazione umoristica, seguendone
le manifestazioni nella storia della letteratura italiana ed europea; nella
seconda, intitolata Essenza, carattere e materia dell’umorismo, si tende a
conferire a tale ispirazione un carattere privilegiato, presentandola come forma
tipica di poesia moderna.
L'umorismo viene definito come «sentimento del contrario»; una forma,
potremmo dire, del «comico» in cui s'insinua però la coscienza d'una
contraddizione intellettuale ed esistenziale irrimedíabile. Umoristici sono, ad
esempio, lo spettacolo d'una anziana signora imbellettata, che nasconde, dietro
la goffa apparenza, la volontà di piacere al marito assai più giovane: o il Renzo
manzoniano che dice «A questo mondo c'è giustizia finalmente», in una
società, come osserva amaramente e «umoristicamente» Manzoni, del tutto
pervertita.
L'umorismo nasce, insomma, col senso acuto e sofferto della
contraddizione fra apparenza e sostanza, fra volontà di essere autenticamente e
il limite costituito dall'incapacità di volere, d'una vera coerenza e sincerità con
se stessi e con gli altri: dai mille compromessi del vivere quotidiano, dalle
maschere in cui ci nascondiamo. Più in generale, esso viene pertanto a
coincidere con la coscienza sofferta di quello che, per Pirandello, è il
paradosso di fondo: il tentativo continuo e sempre insoddisfat to dell'uomo di
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![Page 192: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/192.jpg)
chiudere in una «forma» statica, e perciò stesso tranquillizzante, l'inar restabile
e imprevedibile fluire della «vita», nell'uomo e nella realtà tutta. Questo
tentativo di «mascherare» tale contraddizione, per esorcizzarla, in un
«comico» di cui ci si possa sentire superiori, congiunta alla coscienza dello
scacco cui approda tale tentativo, conduce appunto al «sentimento del
contrario».
Quanto più procede il saggio, tanto più vi si delineano con chiarezza la
poetica e la concezione del mondo dell'autore; sì che esso si configura, alla
fine, come una chiave di lettura fondamentale dell'opera di Pirandello.
Non che, per questo, l'autore rinunci al tentativo d'una proposta ideologica
oggettiva, ché anzi, egli instaura un impegnato dialogo polemico col Croce,
mentre accetta l'idea dell'arte come libera creatività spirituale, autonoma nei
confronti della razionalità o della filosofia (donde la definizione
dell'umorismo, che è, poi, la poesia quale egli la concepisce, come sentimento
(crocianamente), anche se «del contrario»), Pirandello non rinuncia a un
contenuto e a un impegno intellettuale di fatto dominanti: a quel dibattito
razionale con se stessi e con gli altri, continuo, implacabile, che i suoi
personaggi affrontano fino al paradosso; consapevoli che esso li riduce all'assurdo,
a quella che gli altri avvertono come «pazzia», ma anche del fatto che, una volta
scoperto il nulla, il vuoto, 1' inautentico dell'esistenza, esso rimane l'unico modo
possibile per loro di «consistere», sia pure in un'individualità o «persona» sempre
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![Page 193: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/193.jpg)
precaria. Questo scacco, d'altra parte, come suggeriscono le pagine conclusive del
saggio, coincide con la percezione profonda dell'illusione su cui si fondano la
nostra e 1'esistenza di tutti, avvertita dall'uomo «in certi momenti di silenzio
interiore», o di «vuoto strano», di «arresto del tempo e della vita».
Pirandello rifiuta, dunque, la fede idealistica nella razionalità del reale,
avvicinandosi piuttosto a una posizione esistenzialistica, che concepisce l'esistenza
umana come scissione, frattura insanabile, insidiata di continuo dall'assurdo. Alla
faticata saggezza del Croce, legata a ideali ottocenteschi e al classicismo e
umanesimo del Carducci, al suo ottimismo vitale costruttivo, Pirandello oppone la
crisi d'identità dell'uomo moderno, la sua coscienza inquieta. Egli rimase l'uomo
del paradosso, della ricerca non conclusa, che faceva discutere negli intervalli dei
suoi drammi, i «benpensanti», che li provocava, portando il teatro dalla scena alla
platea, e fuori. Egli proclamava che ciò che noi chiamiamo verità assoluta rischia
di essere impossibile; o per lo meno è tutta da verificare, ma partendo dai sempre,
a suo avviso, precari fondamenti dell'essere, del discorrere, del conoscere.
La rappresentazione umoristica
In questa parte del saggio Pirandello si sforza di definire quel particolar
modo di considerare il mondo che costituisce la materia e la ragione
dell'umorismo.
193
![Page 194: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/194.jpg)
I1 definizione si attiene al campo fenomenologico: non indica cause, ma
descrive i modi d'un manifestarsi. La difficoltà maggiore consiste nel
giustificare il carattere riflessivo che pare connaturato al tipo suddetto
d'espressione. Esso, infatti, non è un semplice avvertimento del contrario, come
il comico, ma un sentimento del contrario, ispirato da una riflessione, che, di per
sé, sembrerebbe dover rimanere estranea al processo di produzione artistica. Ma
essa, dice Pirandello, non è tanto una riflessione cosciente, quanto una
proiezione dell'attività fantastica: uno sdoppiamento che si ha nell'atto stesso
della concezione; è, insomma, un modo alternativo di vedere il mondo.
Nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non
resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio
in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza,
spassionandosene; ne scompone 1'immagine; da questa analisi però, da questa
scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e
che io difatti chiamo il sentimento del contrario.
Vedo una vecchia signora, coi capelli tinti, tutti unti non si sa di quale orribile
manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a
ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia
rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente,
arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del
contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella
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![Page 195: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/195.jpg)
vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo,
ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s'inganna che, parata
così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé ]'amore del
marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima,
perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo
avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario
mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza
tra il comico e l'umoristico.
Abbiamo detto che, ordinariamente, nella concezione d'un'opera d'arte, la
riflessione è quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il
sentimento si rimira. Volendo seguitar quest' immagine, si potrebbe dire che, nella
concezione umoristica, la riflessione è, sì, come uno specchio, ma d'acqua, in cui la
fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere
dell'acqua è il riso che suscita l'umorista: il vapore che n'esala è la fantasia spesso
un po' fumosa dell'opera umoristica.
Riassumendo: l'umorismo consiste nel sentimento del contrario, provocato
dalla speciale attività della riflessione che non si cela, che non diventa, come
ordinariamente nell'arte, una forma di sentimento, ma il suo contrario, pur
seguendo passo passo il sentimento come l'ombra segue il corpo. L'artista
ordinario bada al corpo solamente: l'umorista bada al corpo e all'ombra, e
talvolta più all'ombra che al corpo; nota tutti gli scherzi di quest'ombra, come
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![Page 196: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/196.jpg)
essa ora s'allunghi ed ora s'intozzi, quasi a far le smorfie al corpo, che intanto
non la calcola e non se ne cura.
I r o m a n z i d i P i r a n d e l l o
L'esclusa, scritto nel '93, uscito a puntate nel 1901 su «La Tribuna» e poi
in volume nel 1908, fu il primo romanzo pubblicato da Pirandello. Sullo
sfondo d'una società gravata da un pesante conformismo e da pregiudizi
inveterati si svolge la vicenda della protagonista, Marta che, accusata,
innocente, di tradimento dal marito e scacciata, si vede respingere dalla società
ogni possibilità di lavoro, di libera sistemazione. Ma gli stessi pregiudizi che
la condannano la «salvano». Dopo che ella avrà veramente avuto una relazione
con un altro, il marito, per opportunismo, la riprende con sé: esclusa mentre
era innocente, non lo sarà più ora che potrebbe essere considerata, secondo la
morale comune, «colpevole».
Nel 1902 uscì Il turno (scritto nel '92) di impegno minore e risolto in
forme comico-macchiettistiche. Per avere in moglie la bella Stellina, Pepè
dovrà aspettare il suo turno, che verrà dopo la separazione o la morte di altri
due legíttimi mariti.
Queste due prime prove sono ancora incerte; vicine al Verismo, anche se
la singolarità dei casi, sottolineati, soprattutto nel primo romanzo, da un
umorismo amaro, e la visione, in entrambi, della realtà quotidiana e della
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![Page 197: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/197.jpg)
morale comune portate all'assurdo dallo stesso conformismo su cui si fondano,
fanno presentire il Pirandello maggiore.
L'autore giunge a uno dei vertici della propria attività narrativa con il
primo capolavoro, Il fu Mattia Pascal (1904), che tratteremo a parte, come un
discorso a parte verrà dedicato a Quaderni di Serafino Gubbio operatore
(1915/16-1925) e a Uno, nessuno e centomila (1925 a puntate; 1926 in volume).
Restano due romanzi non privi d'importanza, Suo marito (1911), divenuto poi
Giustino Roncella nato Boggrolo (così intitolato nell'edizione postuma curata
dal figlio Stefano nel 1941) e I vecchi e i giovani (1913). Nel primo si parla del
difficile rapporto fra Giustino, che vive come ombra della moglie Silvia,
scrittrice di successo, cercando in ogni modo di amministrarne la fama a
rischio di rovinarne la vita, e Silvia, che tenta invano di essere se stessa, fra il
conformismo del marito e quello del mondo. Nel secondo, che è uno dei
capolavori della letteratura meridionalistica, è presentata la difficile vicenda
del Mezzogiorno fra crollo del Regno Borbonico e nascita faticosa, spesso
contraddittoria, del nuovo stato unitario. L'azione si svolge in Sicilia, al tempo
dei Fasci siciliani, e si conclude con la scorata consapevolezza dei «giovani»
dell'assenza di ideali, d'ogni guida spirituale.
« I I f u M a t t i a P a s c a l »
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![Page 198: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/198.jpg)
Mattia Pascal, che dopo una vita scioperata ha sposato Romílda, è costretto a
vivere in casa della suocera, donna difficile, e, orinai rovinato
economicamente, a fare il bibliotecario nell'assai poco frequentata biblioteca
del paese. Stanco d'una vita grama, fugge di casa e giunge a Montecarlo, dove
una forte vincita al giuoco lo pone in condizione di vivere agiatamente per il
resto dei suoi giorni. Ma mentre sta per ritornare a casa legge su un giornale
che al suo paese, è stato ritrovato il cadavere d'un suicida riconosciuto, da sua
moglie e da sua suocera, come il suo. Morto per lo stato civile, Mattia assume
un altro nome, Adriano Meis, si dedica ai viaggi, fino a che, desiderando un
momento di tranquillità, si stabilisce a Roma presso una pensione privata. Ma
qui il caso comincia a giocargli le sue beffe: il non avere più un'identità
pubblica non gli consente di sposare Adriana, di cui s'è innamorato, né di
denunciare chi lo deruba, né di sostenere in duello il proprio onore: egli, cioè,
si rende conto di non esistere più socialmente. Simula pertanto un suicidio, e
scompare da Roma, per ritornare a Miragno, alla vita di prima. Ma qui scopre
che Romilda si è sposata e ha avuto una bambina: che il suo ritorno alla vita è
divenuto per tutti un imprevisto insopportabile, perché minaccia di far crollare
equilibri ricostruiti. Decide pertanto di lasciare la moglie alla sua nuova
famiglia, non fa valere il suo diritto di rientrare in società, ritorna nella
biblioteca, va ogni giorno a portare fiori sulla propria tomba.
198
![Page 199: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/199.jpg)
La vicenda è, come si vede, largamente paradossale; tanto che l'autore si
preoccupò di offrire la documentazione di casi analoghi realmente avvenuti,
concludendo che la vita è capace di inverosimiglianze e che a volte «copia»
dall'arte i suoi «romanzi». Ma importa soprattutto osservare, come ha fatto un
critico, che si ha qui un rovesciamento della convenzione riconosciuta dal
Verismo; che, cioè, quanto veniva narrato fosse - o potesse essere - vero. Nel
romanzo, infatti, si narra come vera una vicenda che fa di tutto per parere falsa
o almeno poco verosimile. Si può aggiungere che questo procedimento tende a
confondere i confini fra vero e falso, fra la realtà e l'illusione: a destabi lizzare,
insomma, le forme consuete di percezione e di giudizio con cui crediamo di
conoscere la realtà, anzi di costruirla. La stessa insicurezza riguarda quella che
appare una certezza immediata: l'unità e coerenza della propria persona. I casi
del romanzo mettono continuamente in crisi l'identità del protagonista, che,
prima, la smarrisce in una morte presunta, poi sceglie questa condizione di
non-essere imposta dal caso, poi non riesce più a rientrare nella realtà. Esiste,
alla fine, ma in una dimensione che ignora il progetto e la speranza; e,
soprattutto, esiste in quanto è stato (Il fu Mattia Pascal) una «forma» che gli
altri gli imposero un tempo. Paradossalmente, la sua liberazione avvie ne
proprio quando egli rifiuta questa forma, cerca dì essere padrone della sua vita;
ma per riconoscere che la libertà dalla menzogna sociale confina col non
199
![Page 200: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/200.jpg)
essere, con 1'«identità sospesa», com'è stato detto, con cui si conclude la sua
avventura.
Con questo romanzo Pirandello instaura il proprio mondo più originale, quello
che giunse al culmine più tardi nei drammi; e «inventa» la crisi del
personaggio, collocandosi nella letteratura europea della crisi della personalità
che contraddistingue opere fondamentali del Novecento, da Svevo a Joyce a
Kafca a Musil. Premessa seconda (filosofica) a mo' di scusa l'altro, è intitolato
un altro romanzo pirandelliano che sembra essere il prosieguo del Pascal e
vanno letti l'uno in controluce dell'altro (si tralasciano qui alcuni passi dove il
protagonista parla della biblioteca abbandonata e caotica nella quale vive, con la
compagnia di don Egidio Pellegrinotto, occupato nell'impossibile lavoro di
mettervi ordine). II tema è l'identità sospesa d'un personaggio che non può più
avere la certezza elementare di dire che si chiama Mattia Pascal, ma che
continua a dire io, a essere consapevole di avere avuto una storia, che anzi, si
accinge, come controvoglia e spinto da don Peliegrinotto, a narrarla,
consapevole della dissolvenza perpetua che è il limbo in cui vive: in un presente
senza tempo, senza speranza e senza rimpianti. Fatalità? O non piuttosto libera
scelta, dopo che la doppia morte - quella infertagli dal Caso e quella voluta - gli
hanno consentito di «vedersi vivere», di divenir consapevole del continuo
penetrare del nulla nell'esistenza? Certo quei libri abbandonati gli dicono
qualcosa: anche la storia invecchia, finisce nel tanfo, nella muffa, nel
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![Page 201: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/201.jpg)
vecchiume. Ma questo non dovrebbe comportare anche la fitte, la morte dei
romanzo?
Il romanzo incomincia, dunque, negandosi, parallelamente alla negazione dell'io
e della vita (o storia) e alla negazione del personaggio (morto non una, ma due
volte). La scrittura si disloca su un'assenza, non può essere che testimonianza di
questa. Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era
questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta
qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d'aver perduto il senno fino al
punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle
spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:
- Io mi chiamo
Mattia Pascal. -
Grazie, caro. Questo
lo so. - E ti par
poco?
Il teatro
L'opera teatrale di Pirandello cominciò a essere raccolta, dal 1918, in volumi col
titolo «Maschere nude», rimasto poi definitivo. Se ne dà qui l'elenco completo,
secondo l'anno della prima rappresentazione delle singole commedie, avvertendo
che qualche volta la pubblicazione precede l'esecuzione teatrale. La data prescelta,
201
![Page 202: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/202.jpg)
tuttavia, è quella che segna la divulgazione effettiva dei testi, ossia l'impatto, a
volte negativo, quasi sempre caratterizzato da discussioni, e, comunque sia, non
pacifico, col pubblico. Questo dibattito era, d'altronde, voluto e implicito nei testi.
Se, infatti, Pirandello ha, da un lato, applicato sovente e sistematicamente l'artificio
del «teatro nel teatro», ossia del teatro che discute se stesso, proprio sulla scena,
nella struttura stessa dei singoli testi, dall'altro ha abolito la distanza non soltanto
fra palcoscenico e platea (cosa, appunto, necessaria alla suddetta discussione), ma
fra palcoscenico e vita. Nascono di qui le innovazioni strutturali - si potrebbe
anche chiamarle sceniche - che hanno profondamente influito sul teatro mondiale
post-pirandelliano. Si pensi, ad esempio, a una situazione teatralmente «esplosiva»
come quella dei Sei personaggi: creature d'una mente lasciate incompiute, e
tuttavia vive più degli attori fra cui piovono. Questi tentano di rappresentare il loro
dramma, ma vengono ripudiati dal «personaggi», che infine rivivono la loro storia
di sempre, in un palcoscenico che si confonde con la vita, ma con quella dell'arte,
più vera della vita. Così, d'improvviso balza fuori dal nulla Madama Pace, un
personaggio evocato dalla mente degli altri. E tuttavia c'è un dolore vero, che
giunge all'angoscia, un bambino che si suicida. Vero? Falso? Non lo sappiamo,
perché cala la tela. La paradossalítà delle situazioni si riflette spesso in quella delle
soluzioni sceniche (si leggano, per esempio, I Giganti della montagna), preparate
dalle splendide didascalie teatrali di Pirandello. Ma dalla violenza che i casi
esercitano su quello che chiamiamo comunemente il reale, nascerà, in seguito, a
202
![Page 203: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/203.jpg)
livello mondiale, il teatro dell'assurdo. Pirandello ha, cioè, denunciato e spinto a tal
punto all'assurdo il mondo (e il giuoco) dell'apparenza, da infrangere ogni forma di
rappresentazione teatrale di tipo realistico tradizionale. Quando vediamo, per
esempio, in Strano interludio di O'Neill, i personaggi che, sulla scena, si im-
mobilizzano, a tratti, per esprimere, con voce assente, i loro intimi pensieri, quelli
che non comunicano agli altri, non possiamo non pensare a Pirandello. E lo stesso
vale per molti dei procedimenti più arditi del teatro contemporaneo. Comunque sia,
ancora negli anni quaranta, una rappresentazione di un dramma pirandelliano era
contraddistinta da accese dispute, negli intervalli e alla fine, fra gli spettatori; la
rappresentazione durava di là da se stessa, entrava nella comune vicenda dei giorni.
Il pubblico, insomma, reagiva su se stesso, diveniva attore, da spettatore, era
chiamato a prendere posizione. L'esecuzione dei drammi pirandelliani tendeva
dunque a configurarsi come un evento, che la semplice lettura dei testi può soltanto
in parte riprodurre. Per questa ragione si preferisce pausare l'elenco che segue,
come si diceva, sulla cronologia teatrale.
1910: La morsa (scritta nel 1898), Il dovere del medico, Cecè; 1915: La
ragione degli altri (col titolo Se non così): 1916: Pensaci Giacornino!, Liólà (in
dialetto siciliano, in italiano nel '28); 1917: Così o (.se vi pare), Il piacere
dell'onestà, II berretto a sonagli, La giara; 1918: Il gioco delle parti, Ma non è
una cosa seria, La paiente; 1919: Tutto per bene, Come prima, 1921: Sei
personaggi in cerca d'autore; 1922: Enrico IV, All'uscita; 1923: L'altro figlio,
203
![Page 204: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/204.jpg)
L'uomo dal fiore ili bocca; 1924: Ciascuno a suo modo;1925: Sagra del Signore
della nave; 1928: La nuova colonia, Lazzaro; 1929; Questa sera si recita a
soggetto, 1932; altre.
L'uomo dal fiore in bocca
Questo atto unico (1923) corrisponde strettamente a una novella, che riprodurremo,
in parte, alla fine. È un colloquio fra un uomo che si sa condannato a morire fra
breve, e per questo medita sulla vita con urgenza appassionata, e uno come tanti,
che vive un'esistenza convenzionale, senza porsi il problema della morte. Sul piano
formale sarebbe più esatto parlare di monologo; tuttavia l'Avventore, con le sue
poche battute, coi suoi discorsi di sempre, il suo smarrimento davanti a ogni
minimo accenno che incrini le sue futili certezze, contribuisce a creare uno spazio
e un tempo, teatrali ed esistenziali insieme. Le sue battute, infatti, scandiscono il
discorso lucido e paradossale, nella sua disperazione, dell'Uomo dal fiore in bocca,
ne rivelano, loro malgrado, per contrasto, la dimensione inventiva e
anticonformistica.
Altri elementi teatrali contribuiscono a questo effetto: le didascalie, in primo
luogo, che spaziano il discorso su misure sceniche: lo squallido caffè, spontaneo
emblema della transitoríetà del vivere (è luogo di passaggio, come la stazione
204
![Page 205: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/205.jpg)
vicina), e anche della miseria del quotidiano, con la sua musichetta che ormai
nessuno ascolta. Si aggiungano l'ora di notte, emblema di tenebra e solitudine, e il
suono del mandolino che è anche voce della vita affascinante e assurda. E si
notino, infine, le pause, che scandiscono, come gesti drammatici, la meditazione
sofferta del protagonista. Egli, attraverso la dura lezione della malattia mortale, ha
compreso la vanità assoluta della vita, delle sue convenzioni, e sente tuttavia che,
fuori del relativismo di queste forme sociali, c'è soltanto il vuoto, il nulla della
morte, e, prima, una solitudine senza conforto.
1. II testo teatrale
Si vedranno in fonda gli alberi d'un viale, con le lampade elettriche che traspari-
ranno di tra le foglie, Ai due lati, le ultime case di una via che immette in quel
viale. Nelle case a sinistra sarà un misero Caffè notturno con tavolini e seggiole
sul marciapiedi. Davanti alle case di destra, un lampione acceso. Allo spigolo
dell'ultima casa a sinistra, che farà cantone sul viale, un fanale anch'esso accesa.
Sarà passata da poco la mezzanotte. S'udrà da lontano il suono titillante d'un
mandolino.
Al levarsi della tela, l'Uomo dal fiore in bocca, seduto a uno dei tavolini,
osserverà a lungo in silenzio l'Avventore pacifico che, al tavolino accanto,
succhierà con un cannuccio di paglia uno sciroppo di menta.'
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![Page 206: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/206.jpg)
L'uomo dal fiore. Ah, lo volevo dire! Lei dunque un uomo pacifico è...' Ha perduto
il treno?
L'avventare. Per un minuto, sa? Arrivo alla stazione, e me lo vedo scappare
davanti.
L'uomo dal fiore. Poteva corrergli dietro!
L'avventare. Già. È da ridere, lo so. Bastava, santo Dio, che non avessi tutti
quegli impicci di pacchi, pacchetti, pacchettíni... Più carico d'un somaro! Ma le
donne - commissioni... commissioni... - non la finiscono più! Tre minuti, creda,
appena sceso di vettura, per dispormi i nodini di tutti quei pacchetti alle dita; due
pacchetti per ogni dito.
L'uomo dal fiore. Doveva esser bello! Sa che avrei fatto io? Li avrei lasciati
nella vettura.
L'avventore. E mia moglie? Ah sì! E le mie fígliuole? E tutte le loro amiche?
L'uomo dal fiore. Strillare! Mi ci sarei spassato un mondo.
L'avventore. Perché lei forse non sa che cosa diventano le donne in villeg-
giatura!
L'uomo dal fiore. Ma sì che lo so. Appunto perché lo so.
Tre note sono qui particolarmente incisive: il caffè squallido, immagine della vita
di sempre, come il signore che succhia la sua menta; il mandolino lontano,
trillare, cioè carezzevole, simbolo del fascino che esercita l'assurda vita; e il
206
![Page 207: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/207.jpg)
silenzio, sia quello impassibile delle cose, sia quello, reso in un'ansia febbrile, del
protagonista.
L'Avventore impersona la banalità della vita quotidiana vissuta distrattamente
dagli uomini comuni, tuttavia guardata con nostalgia dall' uomo che si sa
condannato a morire.
Le pause che interrompono frequente mente il discorso dell' uomo sono i
momenti in cui più intenso riaffiora il pensiero della morte, che egli tenta di
obliare in quel suo conversare vertiginoso, nel suo attaccarsi agli aspetti più
insignificanti dell' esistenza.
Sei personaggi in cerca d'autore
La commedia, scritta, rappresentata e pubblicata nel 192 1 e uscita poi in
edizione definitiva un'importante prefazione nel 1925, è uno dei capolavori del
teatro pirandelliano, anche dal punto di vista tecnico-strutturale. per il rifiuto
polemico della scena convenzionale e 1'eliminazione dello spazio teatrale
come spazio distinto da quello della realtà.
La trama è la seguente: Una compagnia di attori sta provando Il gioco delle
parti di Pirandello; irrompono d'improvviso sul palcoscenico sei persone, Sono
in realtà, dei personaggi, nati dalla mente dell’autore che dopo averli creati, li
ha rifiutati. cioè, non ha dato loro ragion d’essere ossia quella pienezza
d'esistenza che si potrebbe realizzare soltanto nella struttura organica d'un
207
![Page 208: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/208.jpg)
dramma concluso, in cui le loro singole vicende e la loro stessa interiorità
potrebbero acquistare, nella reciproca correlazione, significato e valore
universali. Per questo i personaggi chiedono ora di rivivere davanti al
Capocomico ed agli attori la loro storia, nella speranza che egli prenda il posto
dell'autore e li fissi per sempre in una forma definitiva. Appassionatamente
presentano ciascuno il proprio dramma, soverchiandosi a vicenda, e cercando
ciascuno di svolgerlo secondo il proprio punto di vista rigidamente soggettivo,
chiusi a ogni possibilità di dialogo vero fra loro, di incontro, di reciproca
comprensione; e in tal modo riflettono in forma surreale e affascinante il tema
di fondo del teatro e, soprattutto, della concezione pirandelliana della vita.
La loro storia di desolata miseria morale si viene tuttavia delineando ed
esasperando in alcune scene e gesti conclusivi. Il Padre induce la Madre ad
andarsene con un altro uomo poiché aveva avuto anche un figlio con costui,
capace, secondo la sua psicologia tortuosa, di comprenderla e amarla meglio di
lui. Dalla nuova unione nascono tre figli: la figliastra dunque , il Ragazzo, la
bambina Anni dopo, il Padre troverà la figliastra ancora in lutto per la morte
del proprio padre, in una casa d'appuntamenti, e solo l'intervento della Madre
troncherà sul nascere lo squallido rapporto. Si ricostituisce così la famiglia, su
una base di reciproco rancore, di vergogna e d'incomprensione, che condurrà
alla tragedia: la Bambina, lasciata incustodita durante una delle tante scenate
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![Page 209: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/209.jpg)
domestiche, annega in una vasca, il ragazzo si uccide, non potendo vivere in
quella perversa atmosfera d'odio.
Terminata la rappresentazione, che è stata, in realtà, l'unico modo di vivere a
loro concesso, sempre uguale e immutabile come un destino, i personaggi se ne
vanno, mentre gli attori fuggono terrorizzati per la morte dei due ragazzi dopo
aver tentato precedentemente, invano di rappresentare la loro parte, e il
Capocomico riconosce la propria incapacità di realizzare il dramma.
Due temi si intrecciano inscindibilmente nella commedia: quello realistico (la
vicenda di passione e incomprensione, di alienazione e incomunicabilità che
s'è vista) e quello simbolico, relativo all'arcano meccanismo della creazione
artistica. Come avverte l'autore, í sei personaggi esprimono infatti il più
profondo travaglio del suo spirito e della sua ispirazione, e cioè «l'inganno
della comprensione reciproca fondato irrîmediabilmente sulla vuota astrazione
delle parole; la molteplice personalità d'ognuno secondo tutte le possibilità
d'essere che si trovano in ciascuno di noi; e infine il tragico conflitto imma-
nente tra la vita che di continuo si muove e cambia e la forma che la fissa
immutabile»; ed esprimono anche, nel loro drammatico dibattersi, il «caos
organico e naturale» su cui deve affermarsi la volontà ordinatrice dell'artist a,
mezzo di cui si serve la natura per continuare più alta la sua opera di
creazione, per passare dal disordine della contingenza alla forma pura e
assoluta dell'arte. I protagonisti anelano, appunto, a essere forma, a essere,
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![Page 210: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/210.jpg)
cioè, fissi, immutabili, eterni come tutti i personaggi poetici, più reali, in
sostanza, degli uomini, che, invece, hanno una forma sempre parziale e
provvisoria, di continuo contraddetta e dissolta dal flusso vitale che si vive in
loro, cieco e inesplicabile.
Ma il fallimento dei sei personaggi riconduce il dramma non tanto alla
celebrazione dell'assoluto dell'arte quanto all'espressione tragica della
condizione umana, dell'impossibilità della persona di essere autenticamente.
Test
Si sviluppino le seguenti tematiche:
1) Il nuovo teatro
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![Page 211: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/211.jpg)
2) La novella come scorcio di vita
3) L’Inetto.
4) Cosa si intende per surreale.
5) Cosa si intende per coscienza.
VII UNITA’: Conflitto umano e letteratura.
Prerequisiti:
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![Page 212: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/212.jpg)
- Conoscenza del tessuto storico politico riguardante l’Italia del primo
dopoguerra.
- Conoscenza degli aspetti letterari peculiari della prima metà del Novecento.
- Conoscenza delle nuove tecniche di trasmissione e comunicazione sia nel
campo letterario che sociale.
Obiettivi
- Acquisizione del nuovo concetto di uomo che si confronta con il proprio
destino.
- Acquisizione del concetto di precarietà della vita.
- Acquisizione della tematica della morte come condizione reale e convivente
con la vita stessa dell’uomo.
Si studieranno:
- Prospetto storico della civiltà italiana tra le due guerre mondiali.
- Ungaretti.
- Montale.
212
![Page 213: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/213.jpg)
Giuseppe Ungaretti
Nato ad Alessandria d'Egitto, da genitori lucchesi nel 1888, compì gli studi alla
Sorbona, a Parigi, ove si educò nel clima del Simbolismo francese e della
213
![Page 214: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/214.jpg)
filosofia intuizionistica di Bergson. Ritornato in Italia, entrò in contatto con
«Lacerba», dove pubblicò alcune delle sue prime poesie, e con «La Voce»; e fu
poi interventista e volontario nella prima guerra mondiale. Visse ancora a
Parigi, come corrispondente del «Popolo d'Italia», il giornale fondato da
Mussolini, e addetto all'ufficio stampa dell'Ambasciata italiana, quindi, nel
1921, si trasferì a Roma dove lavorò presso il Ministero degli esteri, e fu amico
di Mussolini che, nel '23, scrisse la prefazione alla seconda edizione d'un suo
libro di versi, Il porto sepolto. Nel '30 accettò la cattedra di Lingua e letteratura
italiana nell'Università di San Paolo del Brasile, dove perdette il figlio
Antonietto, accoratamente rievocato nella raccolta Il dolore. Nel '42, rientrato in
Italia, ottenne «per chiara fama» la cattedra di Letteratura italiana
contemporanea all'Università di Roma, e la conservò, dopo avere subito,
all'indomani della Liberazione, un procedimento di epurazione per i suoi
rapporti col Fascismo, fino al collocamento fuori ruolo per limiti d'età nel 'S8.
Morì a Milano nel '70.
La sua prima raccolta, Il porto sepolto (1916), confluita poi, con l'aggiunta di
altre liriche, in Allegria di naufragi (1919), lo rivelò poeta nuovo, iniziatore
della «poesia pura». Le due raccolte, con correzioni e nuove liriche (altre,
invece, ne verranno tolte e confluiranno, più tardi, nelle Poesie disperse) sono il
fondamento del libro L'allegria (1931). Seguirono Sentimento del tempo (1933 ),
Il dolore (1947), La terra promessa (1950), Un grido e paesaggi (1952), Il
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![Page 215: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/215.jpg)
taccuino del vecchio (19G0), Dialogo (1958). Notevoli furono le traduzioni da
Gòngora, Mallarmé, Shakespeare, Racine, e altri; e gli interventi in prosa, fra i
quali ricordiamo i volumi Il povero nella città (1949) e Il deserto e dopo (1951).
Con L'allegria e il Sentimento del tempo Ungaretti risolveva in forma
originalissima i tentativi di rinnovamento delle poetiche del primo Novecento e
diventava uno dei riconosciuti maestri della poesia contemporanea.
Ungaretti concepisce la poesia come conoscenza della realtà autentica,
ritrovamento d'una primigenia purezza e innocenza dell'io. Per attingerla il
poeta aderisce alla crisi del suo tempo, alla irrequietezza problematica di esso,
se ne fa sentimento e testimonianza, per poi risalire a un'intuizione totale della
condizione umana. Ma, conformemente alla persuasione decadentistica
dell'impossibilità di raggiungere la verità per via razionale e la conseguente
rinuncia a ogni dibattito filosofico o d'idee, tenta di cogliere per via analogica le
intuizioni germinali dell'essere e le esprime in un linguaggio allusivi , dove la
parola singola, liberata da ogni falsificazione indotta dal convenzionalismo o
dall'abitudine diventa espressione d'una condizione elementare della persona. In
tal senso Ungaretti intitolò il complesso della sua opera «Vita di un uomo»,
alludendo a un' autobiografia non soggettiva o episodica, ma esemplare: a
un'idea fondamentale dell'uomo rivelata dalla testimonianza poetica.
Fu dunque, la sua, una poetica della parola, scavata nell'interiorità; d'una parola
vita nel senso che nel ritrovarla assume, per lui, il valore d'una presa di
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![Page 216: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/216.jpg)
coscienza assoluta di verità conseguita attraverso un'illuminazione che attingeva
ogni volta la realtà profonda dell'io. La poesia diventava fondazione privilegiata
dell'umano.
Il configurarsi di questo messaggio doveva colloborare una risillabazione del
verso, isolando la parola e approfondendone la misura ritmica, fonica,
semantica. Attraverso, infatti, l'analogia, d'origine simbolistica - una
similitudine privata d'ogni referente logico-concettuale, un coesistere di cose
apparentemente lontane, ma unificate nella coerenza unitaria che le lega alla
coscienza dell'uomo - il poeta, per Ungaretti, ricrea una fase originaria del
linguaggio: quel dare un nome alle cose che fondò la presenza umana nel
mondo.
Questa è la primitività o «innocenza» che la poesia ungarettiana intende
conseguire, con una creazione di miti esemplari. «S'è cercato - disse il poeta
parlando della sua opera - di scegliere quella analogia che fosse il più possibile
illuminazione favolosa; nell'ordine della psicologia s'è dato soffio a quella
sfumatura propensa a parere fantasma o mito; nell'ordine visivo s'è cercato di
scoprire la combinazione d'oggetti che meglio evocasse una divinazione
metafisica». Il poeta ha, cioè, cercato, di là dalla crisi della civiltà
contemporanea, una presenza più autentica e consapevole dell'uomo nel mondo.
Lo spiritualismo di Ungaretti, avverso alla false mitologie superumanistiche ed
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![Page 217: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/217.jpg)
estetizzanti, si è infine risolto in un approdo religioso, implicito già all'inizio nel
suo rispetto dell'uomo e della sua pena.
Svolgimenti della poesia ungarettiana
Dopo avere fissato alcune direttive di fondo della poetica di Ungaretti, converrà
soffermarsi brevemente sul fatto che il suo discorso venne via via modificandosi
dall'Allegria al Sentimento del tempo al Dolore alla Terra promessa, nella
ricerca, sempre, d'una testimonianza integrale.
La ricerca dell'autenticità assoluta della parola provocò un'ampia messe di
varianti delle singole liriche nelle successive edizioni delle raccolte. Vi furono
anche poesie non ripubblicate, che, nel 1945, un critico, Giuseppe De Robertis
raccolse, insieme con quelle apparse su riviste e mai in volume, col titolo di
Poesie disperse.
I momenti più importanti - anche sul piano storico-letterario - del cammino
ungarettiano possono essere individuati nella formazione a Parigi, nella prima
collaborazione alla rivista «Lacerba» (1915), poi nella pubblicazione del Porto
sepolto, propiziato anche dalla fondamentale esperienza della guerra, e, infine,
nell'abbandono dello sperimentalismo d'avanguardia che coincide col
Sentimento del tempo.
217
![Page 218: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/218.jpg)
Si cercherà di seguire questa evoluzione nella presentazione delle singole
raccolte. Qui ci soffermiamo sugli inizi della sperimentazione ungarettiana,
antecedente al Porto sepolto e alla complessa vicenda editoriale dell'Allegria.
Fondamentale, nella formazione ungarettiana, fu il primo soggiorno parigino, a
ridosso della prima guerra mondiale, con la conoscenza dei testi simbolisti e
postsimbolisti, 1'amicizia con Apollinaire e pittori d'avanguardia quali Picasso,
Brayue, De Chirico,Boccioni. A Parigi Ungaretti incontrò anche letterati
italiani, da Marinetti a Soffici a Palazzeschí a Papini, e da questo incontro
maturò la sua collaborazione a «Lacerba»: le poesie pubblicate nel 1915, nelle
quali egli fa, si può dire, í conti con Palazzeschi e col Futurismo, accogliendone
istanze e suggestioni, ma con uno svolgimento sin da allora originale, evidente
nonostante il forte carattere sperimentale di queste liriche e certi loro accenti
parodistici.
Dopo i1 primo, fondamentale approdo del Porto sepolto, lo sperimentalismo
ungarettiano è rivolto alla correzione dei propri testi, a una sempre maggiore
concentrazione espressiva, a una totale «essenzialità» che divengono un mito: la
volontà di ritrovare una significazione totale nella parola, di fare di ciascuna di
esse una re-invenzione del linguaggio e della vita.
Un esempio è la lirica Ineffabile. Rispetto alle poesie del Porto sepolto, è
evidente un più spericolato sperimentalismo, inteso alla fondazione di nuovi
parametri di sensibilità, di immaginazione, rappresentazione. Sembra però
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![Page 219: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/219.jpg)
superato anche il discorso simbolista, proprio nella simultaneità di
sensazione/espressione così totale che il simbolo non fa a tempo a formarsi, ma si
accampa come idea (o immagine) nuova della realtà, come un atteggiarsi diverso
di essa nella percezione e nella conoscenza. La casa, cioè, non è simbolo, ma
realtà della memoria, suo concreto consistere nell'attimo dell'intuizione poetica.
Nelle liriche ungarettiane spesso sembrano emergere inclinazioni marinettiane,
vicine alle sue “parole in libertà”, se non che non si ha la trascrizione sensibile, -
impressionistica dell'oggetto, ma un'intensificazione patetica e conoscitiva di
questa.
Più agevole è ritrovare un'altra tematica futurista, quella della «simultaneità». Si
osservi, infatti, nei suoi componimenti la complementarità e coincidenza di tempi
(presente e passato attualizzato dalla memoria, notte e giorno, con la loro
successione ravvicinata come cose /oggetti, anch'essi assunti in una coscienza
scavata nel presente).
«L'allegria»
L'«allegria» che dà il titolo al libro fin dall'edizione del 1919 (Allegria di
naufragi; dove “naufragi” allude al fatto che «tutto è travolto, soffocato,
consumato dal tempo»), è, spiega il poeta, «1'esultanza che l'attimo,
avvenendo, dà perché fuggitivo, attimo ché soltanto amore può strappare al
tempo, l'amore più forte che non possa essere la morte. È il punto dal quale
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![Page 220: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/220.jpg)
scatta quest'esultanza di un attimo, quell'allegria, che quale fonte non avrà mai
se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare». E, dunque, un
sottrarre la vita alla fuga e al declino del tempo: un presentimento dell'eter nità
nell'attimo, in cui la poesia diviene scoperta e coscienza elementare dell'essere.
Ungaretti, con questa definizione, non intendeva configurare una filosofia, ma
una «esperienza concreta, compiuta sin dall'infanzia ad Alessandria e che la
guerra 19141918 doveva fomentare, inasprire, approfondire, coronare».
Alessandria è presente in alcune dense liriche del libro, come memoria del
primo affacciarsi alla natura e alla vita - il sole, il deserto, la favola d'un
antico porto sepolto, i turbamenti e lo slancio dell'adolescenza, le prime
amicizie -; e permarrà anche in seguito come memoria della fondazione d'una
struttura conoscitiva ed esistenziale. Ma l'allegria come «volontà di vivere
nonostante tutto» trova la sua forma esemplare nella condizione alienata della
vita nelle trincee della Grande Guerra: realtà, e, insieme, simbolo della
precarietà dell'uomo e della sua storia. La scoperta di Ungaretti è il suo
divenire «uomo di pena» come gli altri e con gli altri: nel ritrovarsi con tutti i
soldati nella brama di resistenza alla morte, in una solidarietà (o amore) che è
rivolta contro la guerra: quella presente e, nel contempo, quella da sempre
connaturata all'esistere. All'annullamento imposto dalla guerra l'uomo oppone
l'opaca ma sicura resistenza del proprio «tempo», che è passione e desiderio
di autenticità o «innocenza», intonando la propria sulla vitalità cosmica.
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![Page 221: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/221.jpg)
Accogliendo lo sperimentalismo espressivo d'una generazione - dai
crepuscolari ai futuristi ai vociani - Ungaretti cerca una nuova «innocenza»
anche nella parola. L'orígínale rapporto che egli stabilisce, oltre che col
mondo, anche, e prima di tutto, col linguaggio, costituisce l'aspetto più
originale del libro e la sua importanza nella storia ~ della poesia novecentesca.
Il nuovo stile abolisce ogni compiacimento eloquente, ogni intellettualismo,
ogni costruzione complessa del periodo e del pensiero.
La sintassi e la metrica vengono frante per lasciare emergere la parola come
evocazione pura, invenzione del mondo umano; la sillabazione rallentata
prende il posto delle cadenze metriche tradizionali, isolando una singola
parola, a volte una semplice proposizione come «di», e creandole intorno una
vibrazione di canto, un nuovo spazio e un nuovo tempo, un senso totale di
verità. Il sogno è quello di un linguaggio aurorale, edenico, come edenico è il
desiderio del poeta di «sentirsi in armonia», di ritornare a essere una , «docile
fibra dell'universo».
Chiuso, com'egli afferma, tra cose mortali, nel dramma della guerra, che è
figura dell'inautenticità del vivere contemporaneo, dell'attuale alienazione
dell'uomo, Ungaretti non propone soluzioni, ma il rigore d'una testimonianza:
1'«allegria», appunto, dell'armonia presentita e ritrovata nell'attimo breve
della poesia, fra l'uomo e la realtà. Il costruirsi della sua lirica su versicoli
brevi e intensi, su parole scavate nel profondo, appare una sorta di
221
![Page 222: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/222.jpg)
reinvenzione, nella poesia e nel linguaggio, della verità della perso na. Poesia
diviene così un discendere in se stessi fino a ritrovare quel grumo nascosto,
irriducibile, ineffabile, di essere e parola; fino, cioè, a quel punto in cui il
flusso universo della vita si fa coscienza individua, e cioè parola, fondatrice
della realtà umana, epifania o rivelazione, sempre fatalmente parziale, della
vita profonda della coscienza e, insieme, dell'universo.
La poesia ritrova, e rinnova, il linguaggio, è il rituale manifestarsi d'un mito
delle origini: è, idealmente, la prima parola detta dall'uomo, il suo ritrovarsi,
definirsi e costruirsi nel linguaggio. «Onore degli uomini, santo /
linguaggio», scriveva in quel tempi Paul Valéry; e «Vita d'un uomo» ha
intitolato Ungaretti la raccolta definitiva delle sue poesie, non nel senso
biografico o autobiografico corrente, ma come espressione dei momenti
essenziali dell'esperienza umana.
Nasce di qui la concisione, anzi la sintesi verti ginosa delle poesie di Ungarettí,
quel loro prescindere dalla forma narrativa o esplicativa d'idee o di sentimenti
da persuadere. La sua poesia non intende esprimere dei contenuti, ma fondare
delle consapevolezze attraverso l'atto del dire. Diciamo «atto» per la teatralità
del dettato ungarettiano, coi suoi frequenti deíttici, e tenendo presente il fatto
che questa poesia intende essere presa di coscienza e costruzione dell'umano
sull'oscuro e germinante caos dell'essere; un dialogo con la propria coscienza
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![Page 223: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/223.jpg)
segreta. La verginità della parola comporta l'autenticità ritrovata del 1'io che la
scopre e la pronuncia.
Come s'è accennato, la raccolta si venne costituendo in un ampio giro d'anni.
Ungaretti pubblicò dapprima Il porto sepolto (1916): un'opera organica,
composta d'un gruppo di poesie che resteranno nella posteriore raccolta, spesso
senza varianti, ripubblicata, come libro a sé stante, nel 1923. Nel '19 apparve
Allegria di naufragí, una raccolta di tutte le poesie composte sino ad allora,
meno organica del Porto, ma píìt ampiamente divulgata e quindi entrata più
incisivamente nella cultura poetica di quegli anni. Il titolo L'allegría compare
nell'edizione del 1931; seguirono le edizioni del '36 (Edizioni di Novissima,
Roma), poi del '42 (Milano, Mondadori), tutte con varianti, e altre, fino a
quella definitiva del 1969 (Mondadori, Milano).
In un discorso premesso a una scelta delle sue liriche, Ungaretti definisce le
ragioni storiche e spirituali della rivoluzione da lui portata nel linguaggio, nella
metrica, nelle consuetudini espressive della nostra lirica. Fu una rivolta morale
contro i falsi miti e le pose dannunziane e la turgida retorica del Futurismo. “Ci
ripugnava fino alle radici del sangue, il Decadentismo, quella scuola i cui
maestri, e í ridicoli epigoni, si consideravano come gli ultimi superstiti d'una
società da esaltare, come la stessa vita, con atteggiamenti neroniani”. Ci si
renda ben conto di questo: era giusto che allora i giovani sentissero che il
discorso fosse da riprendere dalle radici, e che tutto fosse da ricuperare. “I
223
![Page 224: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/224.jpg)
Futuristi in un certo senso avrebbero potuto non ingannarsi se non avessero
rivolto l'attenzione ai mezzi forniti all'uomo dal suo progresso scientifico, in -
vece che alla coscienza dell'uomo che quei mezzi avrebbe dovuto moralmente
dominare. S'ingannavano soprattutto perché avevano fatto proprie le più as -
surde illusioni derivate dal Decadentismo, immaginando che dalla guerra e
dalla distruzione potesse scaturire qualche forza e qualche dignità. Così
immaginarono che anche la lingua fosse da mandare in rovina, per restituirle
qualche attività e qualche gloria1. [...]”.
Ungaretti lega questa poetica nuova all'esperienza della guerra ' 15-' 18, da lui
vissuta come combattente, che gli fece cogliere la vita nella sua essenzialità
d'amore e dolore, di angoscia della morte e di bisogno di ritrovare una fraternità
umana.
Sentimento del tempo
Si è parlato, per questa raccolta del 1933 (poi '36 e '42), sia d'una forma di
sensibilità barocca (ispirata, per ammissione del poeta stesso, da paesaggio
romano) sia d'un neoclassicismo che succederebbe all'espressionismo
dell'Allegria. In entrambi i casi, si tratta d'una distensione della poesia
ungarettiana entro forme garantite dalla tradizione, in coerenza con la
1
224
![Page 225: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/225.jpg)
«restaurazione» che si venne operando in Italia, a partire all'incirca dagli anni
venti, dopo l'acceso sperimentalismo delle avanguardie.
Il rinnovamento è riscontrabile sul piano contenutistico e su quello formale.
Per quel che riguarda il primo aspetto, appare mutata la posizione dell'uomo di
fronte al mondo. Il poeta - come ha avvertito il Contini - non appare più
«appiattito sul mero fatto e rischio dell'esistere» (il senso della vita e della
morte vissuto, in guerra, nella puntualità e «ricapitolazione» dell'attimo, in
scelte perentorie), ma vive una tensione fra «innocenza» e passione, fra
«obbedienza alla labilità temporale» del suo essere uomo nel tempo e ansia di
valori perenni. Sul piano formale, il senso di questa conflittualità distesa in
una continuata vicenda dell'ío, trova riscontro in un ritorno alla tradizione
petrarchesco-leopardiana, individuata da Ungaretti in acuti saggi critici.
Questo comporta un ricomporsi del sillabato franto dei versicoli in misure
metriche consacrate (l'endecasillabo, il settenario), nella maggiore complessità
sintattica (sottolineata dalla comparsa della punteggiatura), che tende a
ricondurre la testimonianza scarnificata e gestuale (in senso drammatico)
dell'Allegria alla continuità del discorso, del dibattito interiore. Ma più spesso
la continuità è quella del canto o dell'«inno». Inni è intitolata una sezione della
raccolta, la quinta: ma vale la pena di ricordare, nell'ordine, le altre: Prime; La
fine di Crono; Sogni e accorda; Leggende; La morte meditata; L'amore, perché
danno un'idea del contenuto profondo del libro: la ricerca nel tempo di valori o
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![Page 226: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/226.jpg)
significati che ne oltrepassino la precarietà, senza rinnegarla, accettando la
condizione umana: l'essere, come già il poeta aveva avvertito nell'Allegria,
«chiuso fra cose mortali» e bramoso, insieme, di eternità.
Ne risulta un senso della poesia come rivelazione dell'uomo a se stesso
connessa, ora, a una ritrovata, anche se difficile, religiosità cristiana, che
induce Ungaretti a ricercare, dietro le occasioni dell'esistere, un puro modello
dell'essere e dell'accadere: delle ragioni che diano un senso al perire fatale
della contingenza. La soluzione proposta dalla poesia è la fondazione lirica di
«emblemi eterni» (si legga Memoria di 'Ofelia d'Alba), di «nomi» che siano
«evocazioni pure», e riducano gli oggetti a miti o essenze di là dal loro
consistere fugace, quasi un preludio, vissuto nel tempo, dell'assoluto o
oltretempo. Tali sono l'isola della poesia, la ripresa di figure mitologiche le
Sirene come emblemi della condizione umana, la personificazione, anch'essa
mitologica, dell'Estate come violenza e vocazione di autodistruzione
dell'impulso vitale, il Tempo, la Noia, visti come assoluti, Fuori
dell'immediata vicenda biografica. Ancora una volta, come nell'Allegria, anche
se in forma diversa, più legata alla continuità dei giorni, Ungaretti punta sul
valore orfico, e cioè rivelatore, della poesia.
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![Page 227: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/227.jpg)
Eugenio Montale
Nacque a Genova, nel 1896, da agiata famiglia borghese. I suoi studi letterari,
attestati oggi dalla pubblicazione postuma, nel 1983, del Quaderno di quattro
anni (I917), non furono sostenuti da una carriera scolastica adeguata (si
diplomò in ragioneria, pensando di collaborare alla conduzione della ditta
paterna, studiò, per breve tempo, da baritono), ma piuttosto da letture personali
e da contatti che venne via via sviluppando con letterati della sua città, a
cominciare da Camillo Sbarbaro. Più tardi un amico di Trieste, Roberto Bazlen,
lo mise in relazione con Italo Svevo - di cui Montale fu il primo critico italiano
a comprendere l'importanza e il valore -, con Umberto Saba e altri. Dopo essere
stato al fronte, nel '17, cercò un lavoro fisso; ma continuò a occuparsi
prevalentemente di letteratura. Nel '25, divenuto collaboratore della rivista degli
intellettuali antifascisti «Il Barettí», ebbe nel suo fondatore, Piero Gobetti,
l'editore della sua prima raccolta di versi, Ossi di seppia, e sempre in quell'anno
aderì al «Manifesto» degli intellettuali antifascisti, promosso da Benedetto
Croce. Nel '27, ottenuto finalmente un impiego presso una casa editrice, si
trasferì a Firenze, dove prese parte attiva alla vita intellettuale della città,
collaborò a riviste importanti, quali «Solarla» e «La fiera letteraria», e conobbe
scrittori quali Vittorini, Gadda, Quasimodo, Piovene, Bonsanti e il poeta
americano Ezra Pounci. Quest'ultimo incontro fu particolarmente significativo,
per il vivo interesse manifestato da Montale, allora e in seguito, per la
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![Page 228: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/228.jpg)
letteratura anglosassone, da Keats a Browning a Ilopkins a T.S. Eliot. Nominato
direttore della biblioteca del Gabinetto Vieusseux di Firenze nel 1929, fu
licenziato nel dicembre del '38 per il suo antifascismo, e andò incontro a serie
difficoltà economiche cui sopperì collaborando a riviste e con traduzioni (una
scelta ne verrà pubblicata nel Quaderno di traduzioni del 1975). Nel 1939 uscì
la sua seconda raccolta, Le occasioni, che consolidò la sua immagine di guida
riconosciuta della nuova poesia italiana. Aveva frattanto conosciuto Drusilla
Tanzi, che più tardi sposò, e l'italianista americana Irma Brandeis, ispiratrice -
sotto il nome di Clizia - d'un settore importante della sua poesia. Nel 1943 uscì
in Svizzera Finrsterre, una nuova raccolta che fu il primo nucleo della
successiva, La bufera e altro (1956). Dopo un breve intervallo di politica
militante nel Partito d'Azione, Montale divenne collaboratore del «Corriere
della sera» (1947) e si stabilì l'anno dopo a Milano, dove morì nel 1981, avendo
prima ottenuto la nomina a senatore a vita e, nel '75, il Premio Nobel per la
letteratura. La sua attività di giornalista fu successivamente raccolta in diversi
volumi. Nel '76 aveva visto la luce un libro di prose liriche e narrative, La
Farfalla di Dinard (arricchito nelle edizioni successive del '60 e del '69).
Un ampio settore della poesia montaliana, superiore, quantitativamente, alle
raccolte finora citate, anche se meno incisivo nella storia letteraria dell'epoca, è
compreso nei libri usciti negli anni sessanta e settanta: Satura (1966 e '70),
Diario del '71 e del’72 (1973) e Quaderno di quattro anni (1977). La figura
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![Page 229: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/229.jpg)
del poeta appare mutata in un contesto storico-culturale anch'esso cambiato,
sempre meno disposto, in una civiltà di massa che appare a Montale estranea a
concepire la poesia come valore culturale e civile. In queste liriche Montale si
presenta come prigioniero del tempo e della storia, difensore accanito, ma
povero di speranza, dei motori dell'individualítà, dell'intelligenza, della
cultura; un moralista aspro e irriducibile, che ripercorre il suo cammino
poetico in una prospettiva demistificata e delusa.
Nel 1980 uscì l'edizione critica di tutte le sue poesie a cura di Gianfranco
Contini (uno dei filologi e critici più acuti del nostro tempo e uno dei primi
interpreti di Montale) e di Rosanna Bettarini. L'edizione comprende anche
poesie inedite fino allora. Altri inediti sono usciti ora nel Diario postumo
(1991), e altri ne usciranno fra qualche anno, secondo un programma stabilito
dal poeta.
Tematiche ideologiche
Ha scritto Montale di non avere mai pensato a «una poesia filosofica che
diffonde idee», e che il poeta ricerca «una verità puntuale, non una verità
generale»: ossia una verità del proprio io, connessa a quella degli altri, ma
pensata e vissuta in modo unico e irripetibile.
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![Page 230: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/230.jpg)
Nell'Intervista immaginaria Montale ha indicato alcune letture filosofiche
rimaste per lui fondamentali. Fra di esse interessano soprattutto Schestov,
come attestazione d'una tendenza esistenzialistica, e, per il loro antí-
positivismo, Bergson e Boutroux. Montale affermò di aver guardato con
interesse il «contingentismo» di quest'ultitno.
Nasce almeno in parte di qui la prospettiva montaliana d'una natura - e d'una
realtà in genere - non interpretabili in base a leggi razionali, ma costantemente
aperte alla casualità, e dunque anche, ma paradossalmente, al «miracolo»,
ossia all'evento imprevisto e liberatore, guida al superamento della catena di
ore, fatti, gesti, sempre uguali e inautentici che rendono la vita ferma come un
destino. Ma fin dall'inizio questa libertà appare al poeta del tutto sporadica.
Più evidente è una sorta di determinismo che non è più quello positivistico di
presunte, ferree leggi di natura, ma è congiunto alla scoperta dell'assenza di
significato d'ogni esperienza, anzi, dell'esistenza, avvolta nella falsità del
convenzionalismo sociale e priva d'ogni illuminazione trascendente.
È questo il punto di partenza della meditazione montaliana, fin da quando, in
Ossi di seppia, gli pareva di «vivere sotto una campana di vetro», in un
distacco, cioè, totale dalla vera essenza della realtà, e vagheggiava una parola
che fosse, insieme, poesia e verità, ritrovamento del «punto morto del mondo»,
dell'«anello che non tiene»; fuga, dunque, dalla legge deterministica che grava
sulla vita, sulla conoscenza dell'uomo e sul linguaggio comune, e «fine
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![Page 231: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/231.jpg)
dell'inganno del mondo come rappresentazione», ossia come sequenza di
forme, atti, gesti, parole vacui e assurdi.
Il punto di partenza della «filosofia» montaliana è pertanto la rivelazione,
affidata a una delle sue prime liriche (Meriggiare pallido e assorto), in quella
egli si rappresenta come amara coscienza, quasi spersonalizzata, del continuo
agitarsi senza significato della vita dell'io e del cosmo. Questa si presenta,
conclusivamente, come una muraglia con, in cima, cocci aguzzi di bottiglia,
che impediscono di valicarla, di ritrovare, di là da essa, un significato che la
giustifichi.
Si è parlato, raccogliendo un altro spunto dell'intervistaa, di leopardismo
montaliano, per questa immagine della natura-vita compatta e concatenata, ma
incongruente e priva di senso. E un leopardismo recuperato in una dimensione
novecentesca di crisi dei valori e dell'io. Vivere è, per Montale, perdersi in una
trama di gesti vani, dietro í quali sta il nulla. La realtà si frange in una
sequenza di atti sconnessi, insignificanti, che rendono arduo e quasi
impossibile il colloquio con l'altro (uomini, Dio) e con se stessi. Persino
l'individualità appare sospesa sull'orlo del nulla incombente perché anche il
ricordo, nel quale l'uomo ricerca una continuità della propria vita, una storia
che fondi la persona, si deforma, diventa cenere d'un mondo spento, sommerso
dal tempo, che passa e si vanifica. In questa prospettiva scompare anche la
possibilità di protesta eroica di Leopardi, cui subentra l'appello alla «decenza»,
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![Page 232: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/232.jpg)
alla fermezza con cui l'uomo deve prendere coscienza del proprio destino,
senza astratti eroismi, ma anche «senza viltà».
Il pessimismo montaliano può senza dubbio essere connesso al travaglio
conoscitivi-esistenziale dell'Europa all'indomani d'un conflitto atroce, e poi
negli anni che vedono la preparazione e lo svolgimento del secondo, e più
atroce; e, infine, fra la guerra fredda, i terrori atomici e, subito dopo, la palude
consumistica. Di questa crisi radicale di civiltà, soprattutto fra le due guerre,
Montale è stato uno dei testimoni più lucidi.
Con profonda onestà intellettuale, egli ha limitato il valore etico-politico della
sua poesia, anche se, soprattutto a partire dalle Occasioni, ben s'avverte in essa
la denuncia d'una disgregazione di valori e una volontà umile ma risoluta di
resistenza, di non conformismo, che diviene strada a un sentimento di dignità
dell'uomo e di rispetto del suo destino - ma anche del destino di tutta la cultura
- in un'età di dittature. È nata di qui la figura del poeta e dell'intellettuale
prigioniero non domato della storia e dei falsi miti di massa, che troviamo
effigiato alla fine di I a bufera, con la concomitante idea della poesia come
superstite dignità in un tempo di degradazione.
La poesia di Montale ha voluto così essere non soltanto la denuncia d'una
realtà alienata, ma anche l'affermazione d'una resistenza, d'una speranza
«avara», com'eglí dice, ma tuttavia intatta: un bagliore «tenue» ma invitto,
anche se destinato a morire, forse, col mondo minacciato di distruzione.
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![Page 233: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/233.jpg)
È vero che la lirica montaliana non si è mai aperta a un messaggio
immediatamente politico, ma è anche vero che ne ha fondato le premesse nella
coscienza, approdando, di là dalla storia, all'utopia, che permane come lievito
di essa, anche se non riesce a configurare un'azione concreta.
Va presa in questo senso la figura femminile che ha molteplici nomi e
incarnazioni nella sua opera (Annetta, Arletta, Clizia, la Volpe, ecc.), ma
indica pur sempre una resistenza al male del vivere nell'amore come ricerca di
salvazione. Questa figura, sotto il nome prevalente di Clizia, a partire dalle
ultime liriche delle Occasioni, appare come un Angelo sceso in terra a
riportarvi la vita e la speranza, a restaurare i valori negati.
Montale ha affermato che, anche quando parlava dell'ultimo conflitto,
alludeva, in realtà, non al particolare evento storico, ma alla lotta eterna del
Bene e del Male, a una situazione «metafisica» dell'uomo. Possiamo dargli
ragione e torto insieme. Ragione in quanto la sua problematica è sempre
universale, legata, cioè, a un'idea generale dell'uomo e della vita; torto perché
questa visione si sostanzia di una specifica situazione storica e culturale.
Comunque sia, la figura femminile e l'amore che essa ispira ritornano a essere,
come nella poesia antica (si pensi alla Beatrice di Dante), vicenda personale e,
insieme, emblema della vita profonda dell'animo, della sua ricerca di
partecipazione alla realtà vera dell'essere, oltre la limitatezza e l'inautenticità
dell'esistenza in un mondo pervertito dal male. Di contro all'assurdo della
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![Page 234: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/234.jpg)
storia e della vita associata che si svolgono ormai senza più luce di valori,
l'amore e la speranza d'una vita più alta confluiscono nel mito della poesia, che
è consapevolezza del destino umano, ma anche volontà di riaf fermazione della
dignità dell'uomo, riscattato dalla violenza brutale della storia.
Aspetti poetici
Montale assorbì originariamente e con acuto senso critico la tradizione poetica
coeva, da Pascoli e D'Annunzio ai Crepuscolari. Del primo riprese soprattutto
l'esigenza d'un «parlato» avverso all'enfasi; quanto a D'Annunzio, se certe
cadenze naturalistiche di Ossi di seppia hanno pensare alla più nuova poesia di
Alcyone, si può dire che Montale lo abbia «attraversato», respingendone i temi
superumanistico-eroici e la fastosa eloquenza.
Accanto a questi, altri poeti ebbero influenza su di lui: i Crepuscolari e
Palazzeschi, prima di tutto, per la loro demistificazione dell'«aureola» del poeta, e
Sbarbaro, attraverso la cui confessione era possibile un recupero «moderno» di
Leopardi.
Come s'è visto, la forza della poesia di Montale non sta in un'orgogliosa
costruzione del mondo sull'onda d'un messaggio aristocratico, ma nel pathos e
nella dignità della testimonianza d'una condizione umana diseredata. Ne risulta una
volontà di realismo che spiega l'incontro con Dante: la scelta del linguaggio delle
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![Page 235: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/235.jpg)
cose, immerse nella vicenda - e magari nella «bufera» - del divenire, piuttosto che
di quello dei puri emblemi della tradizione petrarchesca.
Ne consegue un linguaggio poetico originale, aspro, e, come s'è detto con riferi-
mento al Dante delle liriche per una Donna-pietra, «petroso», come l'implacabile
realtà dell'esistere. La negazione e l'assenza, il mondo caotico e privo di
significato, il vivere come male, o, per usare un'espressione leopardiana, come
«solido nulla» - miti di fondo della poesia montaliana -, appaiono come rappresi in
un paesaggio scabro e riarso, in oggetti nei quali la vita appare inaridita, e che per
questo diventano trascrizione metaforica dell'aridità interiore conseguente alla
scoperta della vanità del vivere.
Pur senza rinnegare totalmente la lezione del Simbolismo francese e di Mallarmé
(antecedente privilegiato della poesia di Ungaretti e, più tardi, degli Ermetici),
Montale in parte riprese e in parte sviluppò l'idea del «correlativo oggettivo» di
T.S. Eliot: d'una poesia nella quale d'emozione fosse totalmente calata nell'oggetto,
la cui presenza diveniva «occasione» d'una riscoperta del mondo. Questo, se da un
lato evitava il pericolo di un'incontrollata effusione romantica del sentimento, lo
rafforzava, dall'altro, col peso di un'oggettività, d'una dimensione conoscitiva
universale. La poesia diventava così «ínguaríbilmente semantica», era fondazione
d'un significato.
Il confronto costante con la vita configura lo stile montaliano come una
drammatizzazione dei gesti elementari dell'essere, del conoscere, del sentire, che
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![Page 236: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/236.jpg)
spesso - soprattutto nella tematica relativa a Clízia - non ignora l'allegoria, la quale
è, a ben vedere, coscienza d'una dimensione doppia e non conciliata del mondo. Ne
deriva una frequente oscurità che è quasi sempre frutto di concentrazione
espressiva, ma anche sforzo dell'intelligenza di penetrare una realtà incoerente,
sospesa sull'assurdo. La poesia montaliana diviene così una vasta parabola del
destino umano: di quello, secondo il poeta, di sempre e di quello di un'età storica
tormentata.
Farfalla di Dinard
Una “visitazione”, una rivelazione improvvisa, la poesia: un dono riservato a
pochi. Questo ci dice, da un lato, l'apologo montaliano, che, per tale aspetto, non
è certo innovatore nei confronti delle poetiche simboliste e post-simboliste. Ma
montaliano è quel comparare la poesia a una farfalla fragile, quel farla balenare
fra essere e non essere, quell'assenza d'ogni orgoglio di «sacerdote
dell'invisibile», quel ritrovarla in un caffè, fra le forme trite dell'esistenza.
Altrove, alla fine dl La bufera (Piccolo testamento, /1 sogno del prigioniero), la
poesia diventerà “!traccia madre perlacea di lumaca”, o “smeriglio di vetro
calpestato”, o iride “su orizzonti di ragnatele”: un bagliore lievissimo riscattato
faticosamente da una vita priva dl senso, dalla volgarità ímperante. Sempre sarà
«decenza», dignità superstite di valori calpestati e pur vivi.
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![Page 237: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/237.jpg)
Il volume che prende il titolo da questa prosa lirico-narrativa, uscì nel 1956, e
comprendeva brevi racconti apparsi sul «Corriere della sera» e sul «Corriere
d'informazione». Nel 1960 e nel 1969 fu ampliato fino a comprendere 50 prose.
«Le occasioni»
Questa seconda raccolta uscì nel 1939, con poesie scritte dopo il 1928 edite
solo in parte su riviste, e, nell'opuscolo intitolato La casa dei doganieri e altri
versi (1931), pubblicato in Occasione della vincita d'un premío letterario con la
poesia così intitolata. La seconda edizione (1940) fissò in 53 il numero delle
liriche.
Il libro, avverte Montale, era fondato sulla poetica, già tuttavia presente negli
Ossi, secondo la quale si doveva esprimere l'oggetto e tacere 1'occasione-spinta,
secondo una personale interpretazione dell'idea del «correlativo oggettivo» del
poeta latino americano Eliot.
Ritrovare i valori radicati nell'oggetto, in una realtà che conferisse loro carattere
universale, non solo si trattava di valori, bensì anche delle elementari scoperte
del vivere.
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![Page 238: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/238.jpg)
Test
Si sviluppino le seguenti tematiche:
1) La condizione dell’uomo nella morsa della guerra.
2) La miseria dell’essere umano di fronte al destino.
3) La consapevolezza della precarietà della vita umana.
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![Page 239: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/239.jpg)
VIII UNITA’: Letteratura e contemporaneità.
Prerequisiti:
- Capacità critico-valutativa
- Conoscenza degli aspetti più salienti delle correnti letterarie dei primi del
Novecento.
Obiettivi:
- Acquisizione della nuova tendenza letteraria del surreale.
- Acquisizione del concetto di realtà e mistero.
- Acquisizione del senso dell’ignoto.
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![Page 240: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/240.jpg)
Si studieranno i seguenti argomenti:
- Ermetismo.
- Neorealismo.
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![Page 241: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/241.jpg)
L'Ermetismo
Fra i primi anni trenta e i primissimi anni quaranta si svolge il movimento
letterario che prese il nome di Ermetismo dal saggio d'un critico avverso,
Francesco Flora, La poesia ermetica (1936). Il termine, usato prima in senso
negativo, per criticare una poesia caratterizzata da una voluta oscurità provocata
soprattutto da un procedimento analogico esasperato, divenne poi corrente, e
denotò sia un carattere di poesia iniziatica, riservata a pochi eletti (l'Ermetismo
era stata una pratica magico-misterica dell'antichità, connessa al culto di Ermes
Trismegisto), sia la ricerca d'una nuova frontiera della poesia, concepita come
rivelazione. L'oscurità divenne così la manifestazione necessaria d'una
penetrazione nuova della realtà. Questo, nell'intenzione dei suoi cultori, che
raggiunsero, nonostante le differenze personali, una certa compattezza di intenti
e di linguaggio, ebbero i loro critici (spesso anche poeti) e le loro riviste,
costituirono un gruppo culturale organico, di larga diffusione, e certo fra i
protagonisti della cultura di quegli anni.
Il centro di irradiazione fu Firenze, dove la tradizione delle riviste del primo
Novecento era continuata da «Solaria», «Frontespiiío», «Letteratura», «Il
Bargello», «Prospettive», favorevoli alla nuova poetica, e altre, fra le quali
«Primato», legata al Fascismo. L'organo ufficiale fu «Campo di Marte», diretta
da Alfonso Gatto e Vasco Pratolini (poeta il primo, prosatore, come si vedrà, il
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![Page 242: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/242.jpg)
secondo, che però scriveva in questi anni prose intimistiche). I poeti più
importanti furono, oltre a quelli del gruppo fiorentino (Mario Luzi, Mero
Bigongiari, Alessandro Parronchi), Sergio Solmi, Alfonso Gat to, Leonardo
Sinísgalli, Libero De Libero, Vittorio Sereni, Sandro Penna, Salvatore
Quasimodo, il più celebre allora e negli anni immediatamente seguenti. Fra i
critici basta qui ricordare Carlo Bo, uno dei riconosciuti teorici del movimento,
e Luciano Anceschi, che con l'antologia Lirici nuovi, del 1942, stabiliva un
bilancio di esso.
Gli Ermetici propugnavano, secondo l'indicazione di Bo, una letteratura come
vita, una poesia che fosse, com'essi proclamarono, una sorta di «ontologia» o
«teologia»: una rivelazione integrale dell'umano, colto in una dimensione non
storica, ma assoluta, conseguita attraverso un distacco totale dal contingente.
Venivano così a proclamare l'identità fra poesia e umanità profonda, a fare della
poesia un'entità, un modello assoluto di vita, fuori del tempo. Sulla scia di
Ungaretti (quello soprattutto di Sentimento del tempo) e di Montale,
vagheggiarono il ritrovamento, attraverso l'esercizio poetico, dell'innocenza
originaria dell'animo e della parola. Non avvertirono, però, come questi poeti,
l'urgenza di riscattare la poesia dal rischio di vanificazione cui sembrava
condurla una storia avversa e mal riducibile a una forma di umanesimo; ma la
concepirono come un'intuizione-rivelazione che proveniva da una zona remota
242
![Page 243: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/243.jpg)
dell'essere, comunicabile, come il Verbo divino, soltanto per enigmi e analogie
fuggevoli.
Se si pensa che gli anni di maggiore sviluppo del movimento coincidono con la
preparazione, in Italia e in Europa, della seconda guerra mondiale e quindi col
suo tragico svolgimento, questa posizione potrebbe apparire un rifiuto politico,
e così fu presentata, a volte, nel secondo dopoguerra. Ma certamente non si può
parlare di un’opposizione dell'Ermetismo al Fascismo, anche se si può parlare di
un'ideologia ben distinta e d'un contrasto implicito, non delineato sul piano
politica attivo. Le enigmatiche elucubrazioni verbali, la chiusura del letterato in
una «torre d’avorio», il rifiuto del contatto col pubblico, il disimpegno politica,
un'avversione alla civiltà attuale, che si rivelava tuttavia incapace di un reale
superamento.
La vagheggiata funzione incantatoria della poesia perseguita dagli Ermetici, la
rivelazione totale dell'umano, coincidente con quell' astratta idea di Poesia,
furono perseguite attraverso un'operazione diretta a creare un nuovo
linguaggio poetico. Qui soprattutto si colgono i segni di una «scuola», ossia
d'una tendenza letteraria comune. Lasciando da parte ogni concetto troppo
rigido e deterministico di «imitazione», converrà sottolineare una linea di
tendenza comune fra le liriche di Quasimodo, di Luzi, di Gatto, Sereni,
Sinisgalli. Sul piano contenutistico essi concordano, oltre che nell'idea
generale di poesia che s'è detta, nella ricerca d'una lirica spogliata di ogni
243
![Page 244: Manuale Di Letteratura Italiana 800 in POI](https://reader030.vdocuments.pub/reader030/viewer/2022032623/55cf9ba9550346d033a6e9a5/html5/thumbnails/244.jpg)
elemento autobiografico definito, dove anche la «memoria», una parola-mito
della nuova poetica, non delinea una storia interiore concreta, ma gli inter -
mittenti baleni della vocazione nella quale soltanto trova significato la
testimonianza esistenziale del poeta. Di qui il continuo astrarre dalla realtà
corrente per affidarsi in un'altra più profonda, che è la poesia stessa: un
modello eterno che trova giustificazione e significato soltanto in se stessa.
Come ha scritto il Bonfiglioli, la poesia diviene per loro «veggenza» (una loro
parola-míto), «non come conoscenza della realtà occulta che simbolisti e
surrealisti portano alla luce per cambiare la vita, ma piuttosto come evoca-
zione e creazione di qualcosa idealmente già e da sempre esistente, che sfugge
ogni caratterizzazione»: che è soprattutto «assenza» (altra parola-mito), ossia
qualcosa di irraggiungibile e non conoscibile, vivo nel presentimento e nella
distanza.
Sul piano stilistico (ma si tenga conto del fatto che qui la parola diventa la
cosa, l'unico modo di catturare una realtà inattingibile) vi furono
procedimenti tipici come l'uso (e abuso) di frasi nominali, che è conseguenza
della rinuncia a ogni trama ragionativo-narrativa e d'un messaggio che vuole
presentarsi in una dimensione verticale, cioè per accumulo di rivelazioni
prive di concatenazione e di sviluppo. Così viene spesso abolito l'articolo,
quasi per ridurre la realtà a pure immagini di essenze o a configurare moti
interiori astratti da ogni «occasione» sentimentale o conoscitiva, ma atti a
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disporre l'animo ad accogliere il puro dono del canto. In tal modo la poesia
diveniva mito di se stessa, cantava se stessa come vertice del discorso e
dell'esperienza umana.
Non è arbitrario riscontrare, dietro la nuova sensibilità poetica, l'influsso
delle correnti irrazionalistiche del secolo, suggestioni della cultura cattolica
italiana e francese di quegli anni e un primo affacciarsi alla coscienza
letteraria dell'Esistenzialismo, con la sua denuncia del distacco incolmabile
fra esistere ed essere. Si può, comunque sia, parlare d'una forma di vago
misticismo estetico, dato che questa poesia, mentre rifiuta il grande pubblico,
o, per lo meno, lo seleziona drasticamente, chiede ai pochi eletti una
conoscenza di sé per partecipazione: una lettura anch'essa poetica o
metarazionale.
L'indugio sull'Ermetismo è qui motivato dal fatto che esso rappresentò una
delle punte della cultura di almeno una generazione. Si preferisce tuttavia
fissare, in questa parte dell'antologia, l'attenzione su alcuni soltanto dei poeti
più rappresentativi, a cominciare da Quasimodo, avvertendo che ebbero in
seguito una storia diversa. Così come l'ebbero poeti quali Luzi e Sereni, che
preferiamo considerare più avanti, cogliendoli soprattutto negli svolgimenti
che ebbero a partire dal rovesciamento di prospettive operatosi nel secondo
dopoguerra.
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IL Neorealismo
Il rinnovato interesse per la narrativa dell'immediato dopoguerra sembra nascere
dalla volontà di racconto che consegue alle esperienze tragiche, ma originali,
complesse e a volte esaltanti, vissute da un'ampia parte della popolazione italiana
fra guerra e guerra civile. Di questa volontà sono testimoni i numerosi libri di
memorie di allora, da quelli di Carlo e Primo Levi a opere come Il sergente della
neve di Mario Rigoni Stern, a tante altre, di scrittori spesso rimasti autori di un
solo libro.
La corrente narrativa di questi anni (la si può considerare conclusa fra il 1956 e i
primi anni sessanta) prese il nome di Neorealismo, precedentemente attribuito al
film Ossessione (1942) di Luchino Visconti e quindi alla nuova cinematografia di
quegli anni, da Ladri di biciclette di De Sica a Paisà di Rossellini. Ma sul piano
letterario l'antecedente immediato fu il nuovo realismo degli anni trenta, anche se
ripreso con una motivazione decisamente sociale e politica, intesa da un lato a
proporre come proprio destinatario il popolo o il proletariato, dall'altro a
contribuire alla sua presa di coscienza ideologica. Spesso, pertanto, il Neorealismo
oscillò fra populismo e volontà ideologizzante, come nel caso di Pratoliní, che con
la trilogia Metello (1955), Lo scialo (1960), Allegoria e derisione (1966),
volle abbracciare la storia italiana e cogliere il formarsi d'una coscienza di classe
nel popolo tra la fine dell'Ottocento e il 1945.
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Quanto ai «modelli» degli anni trenta, ci si rifece soprattutto al Pavese di Paesi
tuoi (1939) e al Vittorini di Conversazione in Sicilia; due autori che certo non
vanno confusi con la nuova corrente, anche se collaborarono al suo affermarsi, il
primo con Il compagno, il secondo con Uomini e noi. Altri maestri furono
Verga e gli Americani; in misura minore Moravia e Bernari.
Guerra e Resistenza, lotte contadine e operaie furono i temi prescelti, trattati con
indubbia vena pedagogica ed etico-politica, in strutture narrative compatte, lontane
dallo sperimentalismo degli anni trenta. Oltre agli autori presentati nell'antologia
(per quasi tutti, ove si eccettuino Jovine e, in parte, Pratolini, il Neorealismo fu
soltanto un episodio d'una carriera artistica più complessa), vanno ricordati almeno
Renata Viganò, autrice di L'Agnese va a morire (1949), Marcello Venturi,
Domenico Rea, Giuseppe Marotta, Michele Prisco, Anna Maria Ortese; e inoltre
Marco Pomilío e Giuseppe Berto, i cui esiti più importanti vanno cercati in
momenti successivi della loro esperienza narrativa, e Guglielmo Petroni. Il nome
di Elsa Morante può essere fatto qui piuttosto che per la sua produzione di quegli
anni (Menzogna e sortilegio, 1948; L'isola di Arturo, 1959), per un romanzo
recente (1974), La Storia, che riprende aspetti neorealistici, a cominciare dalla
vicenda (il ripercuotersi della guerra su una famiglia povera di Roma). Alla
tensione realistica di questi anni va infine ascritto il trionfo riportato da Il
Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che a sua volta attirò
l'attenzione su testi veristici ormai dimenticati come I Viceré di De Roberto o Il
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marchese di Roccaverduna di Capuana. Tuttavia il successo del Gattopardo,
cui scarsamente si addice 1'etichetta neorealistica, va collegato anche all'interesse
per i problemi del Mezzogiorno, affrontati allora non soltanto sul piano narrativo,
ma anche su quello storiografico con impegno vigoroso.
A parte, nella sezione precedente, s'è vista l'espressione fra neorealistica e speri-
mentale della narrativa di Pier Paolo Pasolini.
Se risulta abbastanza agevole indicare una cultura e un'aspirazione etico politica
complessivamente unitarie, pur con differenze ideologiche, di questi scrittori, più
difficile è chiuderli rigidamente nei limiti d'una poetica. Certo vi furono situazioni,
immagini, propensioni comuni a molti scrittori, per dir così, medi, mentre più
evidenti appaiono l'originalità, e quindi, le differenze, fra quelli che qui si
riportano e che sono i narratori più importanti del secondo dopoguerra. Oltre al
populismo di cui s'è parlato (il situare, con tecnica idealizzante, nel popolo i
valori più veri c l'eroismo pili alto) si tentò spesso una stile che arieggiasse i1
discorso indiretto libero, per esprimere 1'iniziativa mentale popolare che
diveniva elemento portante della trama. Come nel cinema vi furono gli attori
non professionisti, così vi furono scrittori d'un solo romanzo o imitatori della
maniera populistico-elementaristica (per quel che riguarda la psicologia dei
personaggi) cui s'è accennato. Ma soprattutto il Neorealismo fu una tematica:
guerra, Fascismo, Resistenza, Mezzogiorno, Risorgimento rivisitato, tentativo di
comprendere l'animo del popolo e di ripercorrere la psicologia e la cultura
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nativa, e argomenti affini; con la volontà d'una demistificazione delle false
persuasioni politiche e culturali e la denuncia della crisi della coscienza e
dell'egemonia borghesi.
Verso il 1960 si può considerare chiusa anche questa esperienza: lo vedremo
parlando d'un autore, Italo Calvino, che con un romanzo neorealistico aveva
iniziato la sua carriera di scrittore, Comunque sia, con La ragazza di Bube di
Cassola, pur d'argomento legato alla tematica partigiana (1960) e Il giardino dei
Finzi Contini di Bassani (1962), la vicenda neorealistica appare superata, non
negli argomenti, ma nello stile, nei modi del racconto. La crisi era incominciata
con Metello (1955) di Pratolini, che aveva dato origine a una disputa nell'ambito
culturale della Sinistra, come vedremo a sua luogo. Ma nuovi ideali ormai
premevano e anche nuovi modelli a livello europeo.
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Test
Si sviluppino le seguenti tematiche:
1) Cosa si intende per poesia ermetica
2) Cosa si intende per corrente surreale.
3) Quali innovazioni poetiche ha apportato la corrente surreale nel discorso
letterario.
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