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MAriangela Gualtieri - QuaderniTRANSCRIPT
Mariangela Gualtieri [Quaderni]
Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto nel sogno e ne faccio musica storta ne faccio delicato vento che solleva o dondola e impollina al cuore. Alla scomposta mente, impollina l’occhio con l’occhio l’occhio con l’animale e viene il bello che ci sviva, ci sviva tutti. Di più.
[Mariangela Gualtieri]
Titolo: Mariangela Gualtieri – [Quaderni]
Poesie di: Mariangela Gualtieri
Fonti: Antenata (Crocetti, 1992); Fuoco Centrale (Ed.I Quaderni del Battello Ebbro, 1995); Fuoco Centrale e altre poesie per il teatro (Einaudi, 1995); Nei leoni e nei lupi (Ed.I Quaderni del Battello Ebbro, 1997); Chioma (Edizioni Teatro Valdoca, 2000); Parsifal (Edizioni Teatro Valdoca, 2000); Senza polvere senza peso (Einaudi, 2006); Paesaggio con fratello rotto (Luca Sossella Editore, 2008); Bestia di gioia (Einaudi, 2010).
Il presente documento è da intendersi a scopo illustrativo e senza fini di lucro. Tutti i diritti riservati all’autore.
Poesia2.0
da Antenata
Vicino alla grande acqua.
Adesso tu vieni – poggiando la
testa per terra. È tutto deserto.
Mano scrivi all’attacco.
Molti corpi viaggiano per questa
camera debole.
Riconosco il suono dei raggi.
Se vengono adesso
da lì vibrando alla luce potente
silenziosi in attesa noi
con un groppo con un sangue
movimentato guardiamo.
Ho spaccato ogni cosa
come spieghi questo?
Tre luci molto lontane
segnano il punto d’appoggio.
Stare ben fissi lì.
(dalla sezione Al tremore dei corpi)
Nessuno ha guardato oltre
quest'ombra e avuto parole
esatte.
Adesso guarda. Ci sono occhi
freschissimi.
Gole di un colore sgargiante
e dentro il cibo un semplice
soffio, puntini cose corte
tonde.
Per un errore che non mi spiego
eccomi pettinare
domandare chi è
comperare il pane.
Questo cielo riposa
nelle tue mani
cicatrici e scudi polverosi.
A te si addice l'ora
la piaga cosparsa di bava
portami a te
matrice o unghia
o sfera incomprensibile
o bagno venticello volo di
fionda.
Appena si corica tutto tace.
È festa è tardi
a poco a poco ritorno ritorno al mio sangue.
L'attimo spaccato in parti
rivolta le foglie.
Questa bellezza atterrisce.
Una fiammella
si appoggia e respira su un niente
che mi riguarda.
Si sporge l'ulivo
alle acque invisibili
si spacca in due in tre
come tutto piega....
conserva l'alone di un fatto
che non sapremo.
Quest'acqua è vecchia
come il sangue, tornano insieme
al punto di partenza si dicono
le parole principali
mormorano entrambi dello stesso
ronzio.
Madre sangue
madre mare
madre delle cento buche
di tutte le spade delle fronti
affogate dei colpi di timone
e remi rotti di braccia
tirate via e ciocche
madre del chiaro d'onda di
quelle sfumature madre di
sale e senza latte, senza
le tette rovesci al
tuo petto ributti
alla riva di sfinimento
madre di colpi indifferente di
vivi o morti.
(dalla sezione Formula perchè cresca la vigna)
Al posto dei molti cuori
due o tre tane ben fatte
al posto di quel tratteggio
il canto.
Le cose ghiacciano
si stringono fino al midollo
sfondano il poco tempo che misuriamo
teniamo alla fronte i pezzetti
teniamo il respiro tremulo
dentro ogni buco c'è un segno
nella goccia del fico
nelle bestie accucciate un tormento
sotto le piante un urlo tra le foglie
cresce smisurato per tutto il marzo.
L'amico che sta dietro le spalle
fiorito sempre folgore, non osso spugnoso
fune luminosa, lattice, lingua corta
zampa poggiata gentilmente
fruscio molto grande
papavero.
Ogni giorno sentiamo battete l'ala.
Nel taglio di quest'ora
tutto è identico fra sé
a sé raccolto.
Se chiedo il chiarimento sempre sempre
la sfera non si piega
lo sguardo non si piega
il colore dello scasso
tanto vicina la lingua
al palo freddo di ferro.
da Fuoco centrale
Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,
io sono sempre cinque minuti fa,
il mio dire è fallimentare,
io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all'essere e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire
io sono senza aggettivi, io sono senza predicati,
io indebolisco la sintassi, io consumo le parole,
io non ho parole pregnanti, io non ho parole
cangianti, io non ho parole mutevoli,
non ho parole perturbanti,
io non ho abbastanza parole, le parole mi si
consumano, io non ho parole che svelino, io non ho
parole che puliscano, io non ho parole che riposino,
io non ho mai parole abbastanza, mai abbastanza
parole, mai abbastanza parole
ho solo parole correnti, ho solo parole di serie,
ho solo parole fallimentari, ho solo parole deludenti,
ho solo parole che mi deludono,
le mie parole mi deludono, sempre mi deludono,
sempre sempre mi deludono, sempre mi mancano
io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all'essere e non lo so dire, non lo so dire, io
appartengo e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo all'essere, all'essere e non lo so dire.
da Fuoco centrale e altre poesie per il teatro
Prendimi, fai pure le arcate
destinate all’incontro, cerchiami,
poggiami nel tuo fondo migliore,
fai di me struggimento e crepe,
scioglimi di cinghiate lamine, vuotami, vuotami,
tira via me, scovami dal mio inno deposto, dalla
fuggitura angolata in cui mi incuneo, sconciami,
fai potature essenziali, entra
con questo antico seme, col saluto di lingue,
di cosparse acque di cime rotonde, nel segreto
delle manovre con in pugno sostanze
e con colpi con colpi a striscio
a fronte punta me, dalle tue lontananze
punta me, a pendaglio a picco sonoro,
nelle sconosciute difese punta me
che mi sporgo lasciando lasciando, dal tuo
guscio insondabile la mia sporgenza
culmina in questo arco del cuore.
Ti avanzo. Ti avanzo incontro.
Prendimi. Prendi me,.
Il fuoco centrale non è impalato nel nome.
Esubera dalla distanza del morto, si appoggia
al principio della semenza e lì sta in calice
sottovento.
Stavo su costoni di mondi slegata da
tutte le radici solo fatta di un ridere largo
tutta larga io stessa e un niente popolava
di sopra e di sotto un niente di dentro
vagante acqueo con movimento di sbando
ma poi l'occhio è nato facendo colori
coi nomi e tutta luce tutta luce quando
ho toccato la sua natura calda e bagnata
e ho rotto le acque di sotto nel grande
schianto schizzavo su un tavolo di pietra
sotto pareti con file di piastrelle e
odore di una vecchia che tirando tirando aiutava.
Mamma, ti ho fatta di colpo e grande
fra le sponde di legno e lo specchio
somigliante e piena di latte
fatta parlante e pettinata
e ho fatto anche me con piccoli
pugni il dormire il crescere e tutte le parole.
Se la parola amore è
uno straccio lurido,
se non ho altra lingua per dire cosa
amo, se l'anima adesso è un ingombro
e il ciclo un posto come un altro
se dormiamo e dormiamo
se il mio canto è schiacciato nel cantone
se il mio canto o il tuo, se il mio canto
se tutte le parole dei savi sono troppo
lente per questa corsa sui cocci, se anche
le bestie in quel loro morire bastonate
neppure si rivelano
se c'è una tosse se c'è una
tosse che incrosta il cielo
e poi lo sputa
se abbiamo nemici dentro le teste
e macchinette rotte
se la mano è scontrosa alla mano
scontrosa rompe l'onda e il ramo
rompe l'ala e il becco
se abbiamo salmi stonati
se le macerie sulle facce stanche
fanno il peso di tutta la storia
se poi nessuno viene
nessuno s'alza dal fradicio delle tombe
a consegnarci un grappolo, una tazza
un giuramento alla luce
se se se
se c'è una sete che ci ammala
se c'è un sorso per chi ha sete
se davvero davvero muove il sole
se muove il sole e l'altre stelle
se la sua gran potenza, sua gran
potenza d'antico Amor,
se il nostro cuore è immenso
se il nostro cuore
talvolta è immenso, se le
stelle nascono, se è vero che nascono
anche adesso, se siamo polverine allo
sbaraglio, catenelle smagliate,
benedico ogni centimetro d'Amore ogni
minima scheggia d'Amore
ogni venatura o mulinello d'Amore
ogni tavolo e letto d'Amore
l'Amore benedico
che d'ognuno di noi alla catena
fa carne che risplende
Amore che sei il mio destino
insegnami che tutto fallirà
se non mi inchino alla tua benedizione.
da Nei leoni e nei lupi
Vengono. Non soffro più, non
mi fa male più nessun giorno, nessun anno,
celeste il mio stare nella prima morte, nella
seconda, so che la scrivente mano non è mia. Voci.
Mio corpo multiplo, labirinto e popoli che non classifico.]
Ritornare a voi, le sepolte, le molte mani col dono. Indicare l'uscio,]
slegare il catenaccio, fare dormire tutto il respiro, crescere me, prego,]
senza polvere, senza peso, senza ginocchia piegate, senza parti rotte,]
senza essere intelligente, senza tutto quel senso, senza ornamento né]
unguento, senza screpolatura, senza cose nervose, senza mosche, senza]
spine, con qualche spino.
Non c'è da voi colpa, né preghiera. Salute a voi.
da Chioma
Se la parola amore è
uno straccio lurido,
se non ho altra lingua per dire cosa
amo, se l'anima adesso è un ingombro
se il cielo è un posto come un altro,
se dormiamo e dormiamo,
se il mio canto è schiacciato nel cantone
se il mio canto o il tuo, se il mio canto,
se tutte le parole dei savi sono troppo
lente per questa corsa sui cocci,
se anche le bestie in quel loro morire bastonate
neppure si rivelano,
se c'è una tosse
se c'è una tosse che incrosta il cielo
e poi lo sputa
se abbiamo nemici dentro le teste
e macchinette rotte
se la mano è scontrosa alla mano
scontrosa rompe l'onda e il ramo
rompe l'ala e il becco
se abbiamo salmi stonati
se le macerie sulle facce stanche
fanno il peso di tutta la storia
se poi nessuno viene
nessuno s'alza dal fradicio delle tombe
a consegnarci un grappolo, una tazza
un giuramento alla luce
se se se
se c'è una sete che ci ammala,
se c'è un sorso per chi ha sete,
se davvero davvero muove il sole
se muove il sole e l'altre stelle
se la sua gran potenza, sua gran
potenza d'antico Amor,
se il nostro cuore è immenso,
se il nostro cuore
talvolta è immenso, se le
stelle nascono, se è vero che nascono anche adesso
se siamo polverine allo
sbaraglio, catenelle smagliate,
benedico ogni centimetro d'Amore ogni
minima scheggia d'Amore
ogni venatura o mulinello d'Amore
ogni tavola e letto d'Amore,
l'Amore benedico
che d'ognuno di noi alla catena
fa carne che risplende
Amore che sei il mio destino
insegnami che tutto fallirà
se non mi inchino alla tua benedizione
da Parsifal
dal Monologo del non so
Io non so se l’amore sia una guerra o una
tregua, non so se l’abbandono d’amore
sia una legge che la vita cuce fino al
ricamo finale.
Io non so spiegarmi l’imperturbabilità
di Dio, e non mi spiego di non udire il
suo grave lamento, il suo urlo di collera o
d’amore, e non so vederlo che sono in cecità
ma vorrei sentirlo almeno piangere come piango io
guardando le facce indolorate, guardando le
facce con grave malattia terrestre,
io non so invocarlo né bestemmiarlo che
è troppo nella sottrazione e troppo
astratto per i miei chili umani.
Io non so o forse non voglio
consegnarmi negli uffici del mondo,
e stare buono nelle sale d’aspetto della
vita. Io non so niente altro
che la vita e molte nuvole intorno che
me la confondono me la confondono e non
so cosa aspetto, cosa sto aspettando in questo
sporgermi al tempo che viene, io non so
e vorrei, vorrei, non so stare
fuori misura, fuori misura umana,
fuori da questa taglia finita.
Io non so perché guardando l’acqua del mare
mi salta al petto una gioia di figlio con la
madre, non so se questa uscita mia in un secolo
a caso, se questo essere qui a casaccio,
io non so spiegarmi questa malattia
all’attacco del mondo, non so guarire
questa malattia che indolora e vorrei
sistemare ogni cosa, in un sogno puerile di
tregua, in un’arcadia anche retorica,
in un dormire abbracciato dei
guerrieri che si innamorano.
Io non ho capito e dovrei,
non ho capito il mondo della
vita, io non ho capito la legge sottostante
e non ho da fare la consegna a
questi eredi cuccioli che aspettano, che esigono
da me l’aver capito.
Io non so la canzone
che spensiera e non so soccorrervi
non so pur volendolo
con quella forza di cagna
che dà il latte, non so soccorrervi nel vostro
sbando, io non so farvi un canto della
guarigione, non so farvi da balsamo
io non so mettervi nel coraggio essenziale,
nello slancio, nel palpito.
Il mio Graal l’ho ritrovato e perso cento
volte.
Io non so se la bellezza è questa accademia di
centimetri, se la bellezza, la bellezza è questa
carnevalesca decadenza di saltimbanchi,
io non mi spiego la crocifissione
della grazia, e non mi spiego perché
mi trovo qui, in questo covo rivoltato
in questa fossa con gli orchi attuali
in questo lato barbarico della specie,
e non so perché stando ad occidente non si
ode quell’alleluia delle cose.
Io non so se in questa schiena
senza ali ci sono grandi pianure da cui fare
il decollo, se in questa spina dorsale
ci sono istruzioni
per la manovra di decollo, se sono io la freccia
di questo arco della schiena, se sono io
arco e freccia, non so in quale mano
non mano o zampa di Dio mi stanno
torchiando, e sottoponendo al duro
allenamento dei dolori terrestri.
Io non so se la solitudine, se quello
strazio chiamato solitudine, se quell’andare
via dei corpi cari, se quel restare soli
dei vivi, io non so se quel lamento della
solitudine, se quel portarci via le facce
se quel loro sparire
di facce che avevamo dentro il respiro, non so
se il dono sia questo portarci via le
carezze, questa slacciatura.
È poco il poco che so e di questo
poco io chiedo perdono. Io chiedo
perdono per quello che so, perdono io chiedo
per tutto quello che so.
Preghiera degli animali alla madre terra
per ogni cucciolo d'uomo
Fa che non si facci uomo per intero, ma',
che poi si inficca ne lo stretto del pensiero
e si assepàra dalle zanne e dai peli e
dalle nostre tane di silenzio.
Non dargli voce, ma', fa che non parla
fa che non costruisce le città
fa che non dà i nomi a tutte cose,
che sennò perde il regno,
fa che i suoi piedi parlano a la terra
e le sue mani a l'aria
e nel sonno fatti maestra ancora
con la tua voce vento
tua musicata voce, ma'.
Fa che non s'addimentica il tuo ridere,
tuo fiorire, tuo scorrere, tuo
far notte, tuo corpo stellato e corpo
nuvolato e minerale corpo duro
e vegetale sconosciuto corpo
e tuo ombroso stare addistesa e
e tuo gonfiore ne le maree e tuo
cascare con acqua con foglia
tuo salire in ala e in stella
e in fiamma abbruciare.
Sconosciuta ma', noi ti sappiamo,
tu ci respiri addentro il respiro
tu ci dormi addentro il dormire e ti fai
cibo per noi nutrire ti fai silenzio
per noi morire. Bella, ma'.
Tu sei bella.
da Senza polvere Senza peso
Volevo uccidere il serpente
mi ha fermato la mano uno stupore
di lingua levata come un’offesa.
E’ caduta la pietra rotolando
sul mio passo all’indietro
tutto il cielo ha corso più forte.
Tu manchi da questa camera e le cose non chiamano,
oggi. Ho deciso che il tempo non passi. In tuo onore.
Che non passi di qui e si fermi di sotto -dove gli uomi-
ni chiaccherano seduti barbaramente. Amore mio.
Con domande chiuse nel collo
in un luogo senza ore.
Disteso, dentro un grumo di vita,
forato nel suo bene, quasi tondo nel suo
galleggiare alla vita, buttarsi in lungo e
in largo per quello scopo umano.
C’è troppo corpo, è troppo nel sangue.
Non conosce la strada che smargina
il colore dell’assenza
dove cerchio nel cerchio il dormire
è un intenso, una pista.
Un avamposto di pietra
m’era cresciuto nel petto come
dolore di un altro che s’infila
e forma uncino e piccagli.
Io non so cosa sia questa
di colpo nostalgia
questo pezzo mancante
che mi reclama a sé
da un umano piangere per niente
e non avere dove
posare il capo.
Confuso stato di tutte le armate del me
disordine di questi miei fanti interiori
e ussari e cavallerie che dentro
mi scantonano il petto
e tu torna al centro, cuore!
mio generale kutuzov che raddrizzi
le mie file sconvolte,
che il mio inquieto inquieto
stare qui diventi
il placido di tutti i giardini.
Fai bella stagione, ora.
Spargiti piccola esca di luce, abbocchiamo
ai tuoi rami d’oro e siamo contenti.
Viene una catena vile che ci fa piccoli
domani il sangue sarà una pozza sotto la
terra. Fermo dentro le vene, guastato, sarà
guastato il sangue, ributtato nel gioco
delle sostanze.
Gli altri sono troppi, per me.
Ho un cuore eremita. Sono
impastata di silenzio e di vento.
Sono antica.
Mi pento ogni volta che vado
lontano dal mio stare lento
nelle velocità della sera, nelle auto schizzate
di pianto. Col loro buio abitacolo.
E se sfreccio a volte
sulla modesta moto, è per cantare
a gola stesa l'ultimo del paradiso
fare il mio guizza pericoloso
con tutto quel vento nel petto
seminare parole beate
nel panorama nervoso.
Cambio le belle lenzuola di bianco
tipo per bene, nessun increspo né piega
nessun millimetro pendente fuori dalla
armonica stesura del bene. Qui dorme
lei, qui lui. Si vede non so da cosa.
Qui lei e lui si scambiano segni evoluti
della specie, accostano forma a forma
mettono tutti i respiri in un posto, insieme,
setacciano il mondo nella camera buia
e l'ultimo che s'addormenta sente l'altro
andare lontano, nel suo respiro di lottatore
che ha mollato la presa.
da Paesaggio con fratello rotto
Amore mio,
è difficile da questo fondo, da questo finale,
dire come mi manchi, come immenso tu sei nel mancare,
adesso che mi sono persa fra masse dure, fra cinghie di buio pesto,
senza divinità, senza la tua mano che tutto sorregge.
Tu mi credi più forte, mi pensi in oro e argento, ma guarda l’orma che lascio],
come di cagna, di passero stanco, di bruco, di mosca.
Non vedi? Non senti come mi spengo se non mi ami? Mi secco come una pianta.]
Amami ancora un poco, con cura, con tempo, con attesa. Amami come amano i forti spiriti,]
senza pretesa, con fuoco generoso, con festa, senza ragionamento.
E scusa, scusa, scusa, questo mio domandare ciò che si deve dare,
questo avere bisogno, scusalo. Non è degno del patto che lega la rondine al suo volo,]
la rosa al suo profumo, il vino al suo colore, il tuo cuore al mio cuore.
Macellaio
Madre, sono il tuo figlio più brutto
Più sporco, più rotto.
Ho vergogna, madre.
Ho dolore, ho paura.
Non riesco ad essere migliore.
Sono il tuo figlio carogna.
Sono il tuo figlio peggiore.
Sono il tuo figlio più malato, madre,
sono la bestia senza pietà
sono io lo sgorbio de la creazione, lo sputo,
il frutto guasto, la macchia
sul quadro perfetto, il tarlo, l’osso rotto,
l’intoppo. Tutto il resto ride.
(…)
Sono io la bufera che rovina,
sono la spina, il buco, l’inciampo.
(…)
Ragazzo cane
Chi affoga là dentro? Chi non ce la fa?
Stenditi bestia rotta. Senti per bene il dolore
quel suo respiro poggiato su un buco.
Dormi bestia zoppa, o muori, forse.
Poi passa. Poi passa. Poi passa.
Poi passa. Poi passa. Poi passa.
Non senti dentro te
la gran festa del sangue?
Hai più tempesta nel polmone
Di tutte le flotte in mare aperto
Hai tenebre così fonde e péste
Hai notti così immense dentro,
prigioni non visitate dall’Onu
torture e bastonate. Dentro.
Hai notti così lunghe e mattine
opache, nebbie e penombre.
(…)
I due siamesi
C’è qualcosa in me
più vecchio di me
intravisto nell’attimo
della rovina, ai bordi
del mio sbando, proprio sull’orlo,
e nella gioia piena,
mia antichità serena
ti offro ciò che di me non dura
ciò che il dente del tempo divora
nel setaccio dell’anno e dell’ora.
Un me in me
più vecchio di me
sgorga da quello ogni parola
che non si consuma.
C’è in me qualcosa
che simiglia somiglia
al fondo di ogni cosa.
da Bestia di gioia
“Naturale sconosciuto”
Tutto davanti al volto si rivolta
nulla sta fermo nella rotazione.
Il moto della terra
avvicenda le vite
alle vite, sbenda il pulcino
dal suo guscio e lo conduce becchettando
fino alla sua forma piena
fino alla matrice, alla riproduzione
fino al rosso vivo della cresta.
Da “Un niente più grande”
La bambina è rimasta con me.
Non è mai nata.
Si sbilancia fra i miei precipizi
ride forte e lenta dorme
e forte resta
resta sempre. Col suo cuore
che fa cuore col mio.
La bambina di sole azzurrina.
Da “Sponde degli insonni”
E’ venuto un sonno benedetto
e mi ha stretto nel suo respiro
mollato. Mi ha condotto
insieme a tutti i dormienti
nel posto di buio immacolato.
Come dormivo bene
questa notte! come ristorato
il corpo ride al normale mattino
che a me pare un tale paradiso.
Per questa gioia
è valso non dormire.
Da “Per solitario andare”
Cadono comandate
le pigne. Sopra tutto si gingilla
il tempo.
Cadono le aghe dei pini quando è ora.
C’è obbedienza nel regno.
Uova schiudono piccole piume
ordinatamente il bruco
penetra nell’invitante polpa.
Circola un bene
spintona o trattiene
in volo alto sostiene
anche noi siamo parte.
Da “Mio vero”
Sii dolce con me. Sii gentile.
E’ breve il tempo che resta. Poi
saremo scie luminosissime.
E quanta nostalgia avremo
dell’umano. Come ora ne
abbiamo dell’infinità.
Ma non avremo le mani. Non potremo
fare carezze con le mani.
E nemmeno guance da sfiorare
leggere.
Una nostalgia d’imperfetto
ci gonfierà i fotoni lucenti.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
Abbi la cautela dei cristalli
con me e anche con te.
Quello che siamo
è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei
e affettivo e fragile. La vita ha bisogno
di un corpo per essere e tu sii dolce
con ogni corpo. Tocca leggermente
leggermente poggia il tuo piede
e abbi cura
di ogni meccanismo di volo
di ogni guizzo e volteggio
e maturazione e radice
e scorrere d’acqua e scatto
e becchettio e schiudersi o
svanire di foglie
fino al fenomeno
della fioritura,
fino al pezzo di carne sulla tavola
che è corpo mangiabile
per il mio ardore d’essere qui.
Ringraziamo. Ogni tanto.
Sia placido questo nostro esserci –
questo essere corpi scelti
per l’incastro dei compagni
d’amore.
Mariangela Gualtieri è nata a Cesena, in Romagna, nel 1951. Si è laureata in architettura all’IUAV di Venezia. Nel 1983 ha fondato, insieme a Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca, di cui è drammarturga.
Fra i testi pubblicati: Antenata (ed. Crocetti, Milano 1992), Ossicine (1994), Fuoco Centrale (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1995), Nessuno ma tornano (Centro Editoriale Università degli Studi della Calabria, Cosenza 1995), Sue Dimore (ed.Palazzo dell’Esposizioni di Roma, Roma 1996), Nei Leoni e nei Lupi (ed. I Quaderni del Battello Ebbro, Bologna 1996), Parsifal (ed. Teatro Valdoca, Cesena 1999), Chioma (ed. Teatro Valdoca, Cesena 2000), FUOCO CENTRALE e altre poesie per il teatro, (Giulio Einaudi ed. Torino 2003), Donna che non impara (Galleria Emilio Mazzoli, Modena 2003), Senza polvere senza peso (Giulio Einaudi ed. Torino 2006), Sermone ai cuccioli della mia specie (l’arboreto Edizioni, Mondaino 2006), Bestia di gioia (Einaudi, Torino 2010).