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Page 1: Materiale lezione 4.12

1. CASSAZIONE SEZ. UNITE, 3577/1993:

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:Dott. Ferdinando ZUCCONI GALLI FONSECA Primo Pres. Agg." Giovan B. D'AVINO Pres. di Sez." Vincenzo SALAFIA "" Vincenzo DI CIÒ Consigliere" Romano PANZARANI Rel. "" Francesco FAVARA "" Francesco AMIRANTE "" Gaetano GAROFALO "" Massimo GENGHINI "ha pronunciato la seguenteSENTENZAsul ricorso iscritto al n. 1661/91 del R.G. AA.CC., proposto daPONTIFICIO OSPIZIO S. MARTA in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Michelangelo n. 9 presso lo studio degli avv.ti Mattia Persiani e Roberto Pessi che lo rappresentano e difendono, giusta delega a margine del ricorso.RicorrentecontroMARIA DELL'AVERSANO, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Giordani n. 22 presso lo studio dell'avv.to Francesco Fabbri che la rappresenta e difende a margine del controricorso.ControricorrentePer regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudizio pendente innanzi al Pretore di Roma - giudice lavoro - iscritto al n. 87752/90 R.G..Udita nella Pubblica Udienza tenutasi il giorno 21.1.93 la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Dr. Panzarani.Uditi gli avv.ti Persiani e Fabbri.Udito il P.M. nella persona del Dr. Morozzo Della Rocca, Sost. Proc. Gen. presso la Corte Suprema di Cassazione che ha concluso: non giurisdizione del giudice italiano.

Svolgimento del processoCon ricorso al Pretore di Roma in funzione di giudice del lavoro depositato il 16 marzo 1990, la signora Maria Dell'Aversano - premesso che aveva lavorato alle dipendenze del Pontificio Ospizio S. Marta con sede nella città del Vaticano dal 22 agosto 1982, al 14 ottobre 1989, svolgendo le mansioni di cuoca; che fino al maggio 1984, aveva percepito la retribuzione mensile di lire 350.000; che nessuna somma le era stata versata a titolo di quattordicesima mensilità e di retribuzione per le festività; che a seguito della risoluzione del rapporto aveva percepito la somma di lire 5.502.923 e che al rapporto stesso era stato applicato il contratto nazionale collettivo per i dipendenti da Aziende del settore turistico; che pertanto aveva diritto al trattamento proprio dei lavoratori inquadrati nel V livello della classificazione del personale delle aziende alberghiere e ciò secondo i contratti dell'8 luglio 1982, e del 16 febbraio 1987, nonché in base all'art. 2070 del codice civile, con spettanza (secondo allegato conteggio) di differenze retributive e di tredicesima mensilità nonché della quattordicesima ed inoltre delle remunerazioni per riposo settimanale non interamente fruito e per festività e di quanto dovuto per trattamento di fine rapporto e giorni di ferie non goduti alla data di risoluzione del rapporto - chiedeva la condanna del Pontificio Ospizio al pagamento della somma di lire 61.775.291 oltre gli interessi e la rivalutazione monetaria.L'Ente convenuto - che, costituitosi, aveva eccepito il difetto assoluto di giurisdizione del giudice italiano - ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione formulata in un solo complesso motivo. In tale giudizio la signora Dell'Aversano ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha altresì presentato memoria.

Motivi della decisione

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Con l'unico motivo il Pontificio Ospizio S. Marta chiede che sia dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione a conoscere delle domande proposte dalla signora Dell'Aversano rilevando al riguardo che esso è un ente canonico che ha sede e svolge la propria attività esclusivamente nello Stato della Città del Vaticano.Ricordati l'atto della sua istituzione, e cioè il chirografo del 10 marzo 1981, di Papa Leone XIII e le finalità in esso fissate di assistenza soltanto in pubbliche epidemie (e aperto principalmente a vantaggio dei rioni più vicini al Vaticano) nonché, in altri tempi, di ospitalità ai pellegrini alle tombe degli Apostoli, il ricorrente richiama il Trattato lateranense dell'11 febbraio 1929, con cui venne, tra l'altro, riconosciuta alla Santa Sede la piena ed assoluta potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano con allegazione della relativa pianta dei confini del nuovo Stato.Considera pertanto il ricorrente che da tale pianta nonché da dichiarazione della Segreteria di Stato della Città del Vaticano risulta che esso ha sede del territorio di tale Stato nel quale svolge la sua attività ed è perciò un soggetto straniero, il che appare confermato dalla stessa attrice con l'indicazione (nell'atto introduttivo del giudizio) della sua sede nella Città del Vaticano, laddove la notificazione è avvenuta ad opera dell'ufficiale giudiziario addetto al Tribunale della stessa Città del Vaticano.Osserva ancora che la presente fattispecie è differente da quelle in cui questa Corte ha affermato la giurisdizione del giudice italiano nei confronti di altri enti ecclesiastici e ciò perché esso ricorrente - diversamene da quelli - non è posto nel territorio dello Stato italiano bensì all'interno di quello sottoposto alla potestà e giurisdizione sovrana della Santa Sede, per cui non può essere convenuto innanzi al giudice italiano, non sussistendo alcuno dei criteri di collegamento di cui all'art. 4 cod. proc. civ.Precisa al riguardo che, tenuto conto che il rapporto di lavoro con l'attrice è sorto ed ha sempre avuto esecuzione presso la sede di esso istante e perciò in territorio dello Stato della Città del Vaticano, deve escludersi, in particolare, la ravvisabilità del criterio di cui al n. 2 della suddetta norma processuale. Rileva ulteriormente che il fine istituzionale di esso istante - così come risulta dal documento di fondazione e dalla sua storia - è quello, non di svolgere attività imprenditoriale nel territorio italiano, bensì di compiere attività caritative, all'inizio, e poi assistenziale e, in ogni caso, senza scopo di lucro, prestando la sua opera per i sacerdoti della Segreteria di Stato ed i pellegrini, dal che deriva che i rapporti di coloro che collaborano alla propria attività sono interamente regolati nell'ambito della Santa Sede secondo le leggi e le procedure dello Stato straniero e le eventuali controversie sono rimesse alla competenza degli organi propri della stessa Santa Sede. Insiste pertanto per la dichiarazione del difetto assoluto di giurisdizione del giudice italiano.Nel controricorso la signora Dell'Aversano obietta, rispetto alle deduzioni dell'istante e, in particolare, a quella basata sull'art. 4 n. 2 cod. proc. civ., che non è stato accertato , nell'ambito del giudizio, se effettivamente il rapporto contrattuale di cui trattasi sia sorto presso la sede dell'ospizio Pontificio essendo essa invero cittadina italiana domiciliata nel territorio dello Stato italiano, che inoltre è dubbio che le finalità del Pontificio Ospizio siano ora quelle dettate nell'atto costitutivo e che si esauriscano nell'ambito della "cinta leonina", laddove potrebbe affermarsi che i compiti svolti da essa resistente (mansione di cuoca) rientrano fra le attività ausiliarie e perciò lontane da quelle tipiche dell'attività ecclesiale. Richiamata la motivazione della sentenza di queste Sezioni Unite 17 novembre 1989, n. 4911 concernente una controversia con il Capitolo della Patriarcale Arcibasilica di S.Giovanni in Laterano, la resistente - ribadendo che manca la prova dell'effettiva ed esclusiva attività straniera del Pontificio Ospizio S. Marta - chiede che sia dichiarata la sussistenza della giurisdizione del Pretore di Roma in funzione di giudice del lavoro.Tutto ciò richiamato, osserva il Collegio come esatte si rivelino, per le ragioni che seguono, le argomentazioni del ricorrente. Premesso che la decisione sul regolamento di giurisdizione dev'essere da queste Sezioni Unite adottata sulla base dei dati processuali emergenti dagli atti e nei limiti delle deduzione ed allegazione delle parti (cfr. p.es. la sent. 24 febbraio 1982, n. 1152), va rilevato che nella fattispecie la documentazione esistente, e richiamata nell'istanza di regolamento qui in precedenza riassunta, evidenzia che il Pontificio Ospizio S. Marta è un ente di istituzione pontificia avente sede nel territorio dello Stato della Città del Vaticano ed operante in esso. A proposito peraltro di tale secondo profilo va invero

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precisato come non sia riscontrabile elemento alcuno che induca a fondatamente ritenere che le obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro di cui trattasi dovessero essere eseguite in territorio italiano nè, tanto meno, che il contratto stesso fosse stato concluso in detto territorio, talché non appare sostenibile la sussistenza dell'elemento di collegamento di cui al n. 2), seconda parte, dell'art. 4 cod. proc. civ. Rivelandosi perciò non oggettivamente smentita la deduzione secondo cui il rapporto ebbe a sorgere ed a svolgersi nel territorio dello Stato della Città del vaticano ed apparendo peraltro incontroverso che il Pontificio Ospizio è un ente vaticano e che - come detto - ha sede all'interno dello Stato della Città del Vaticano, rimane non pertinente ogni rilievo in ordine all'attinenza oppur no dell'attività espletata dalla signora Dell'Aversano ai fini istituzionali dello stesso, trattandosi invero di un ente territorialmente e giuridicamente estraneo all'Ordinamento italiano.E tale estraneità rende a sua volta non pertinente il richiamo alla giurisprudenza di queste Sezioni Unite (ricordata dalla resistente) la quale, in relazione a determinati enti dipendenti dalla Santa Sede e a determinati rapporti obbligatori con essi insorti, ha affermato la sussistenza della giurisdizione italiana: si trattava invero di rapporti obbligatori che avevano avuto pur sempre svolgimento nel "territorio italiano" e non già in quello di un altro Stato e, segnatamente, in quello della Città del Vaticano. Occorre invero nettamente distinguere il territorio di quest'ultima che è - in tutti i suoi elementi costitutivi - uno Stato sovrano rispetto allo Stato italiano, e quegli immobili della Santa Sede che, ancorché muniti della c.d. "extraterritorialità", si trovano pur sempre nel territorio italiano, risolvendosi detta "extraterritorialità" soltanto in una forma di "immunità".Al riguardo gli artt. 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810, stabilisce che per siffatti immobili l'Italia riconosce alla Santa Sede "la piena proprietà" (non perciò la sovranità) chiarendo che essi "benché facenti parte del territorio dello Stato italiano" godono "delle immunità riconosciute dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri, (art. 15, comma 1) e quali immobili esistenti nel territorio italiano sono stati essi costantemente considerati dalle leggi successive (cfr., ancora recentemente, l'art. 7, comma 4, lett. c), del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992 n. 359).In base a tali considerazioni e rimanendo assorbito ogni altro rilievo, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano a conoscere della presente controversia.Per quanto concerne infine il regolamento delle spese processuali - che, in conformità a consolidato indirizzo interpretativo estensivo seguito da queste Sezioni Unite in relazione all'art. 385, comma 2, cod. proc. civ., deve concernere l'intero processo - ritiene il Collegio che, data la natura della causa, concorrono giusti motivi d'integrale compensazione fra le parti (art. 92, comma 2, cod. proc. civ.).

P. Q. M.La Corte dichiara il difetto di giurisdizione del Giudice italiano, compensando integralmente fra le parti le spese dell'intero processo.Così deciso in Roma il 21 gennaio 1993.DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 MARZO 1993.

* * *2. CASSAZIONE SEZ. UNITE, 4483/1988:

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:Dott. Giancarlo GRANATAff. di Primo PresidenteDott. Gaetano LO COCO Pres. di Sez." Alberto ZAPPULLI "" Carmine LAUDATO Rel. Consigliere" Paolo VERCELLONE "" Vincenzo DI CIÒ "" Mario CORDA "

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" Nicola LIPARI "" Marcello TADDEUCCI "ha pronunciato la seguenteSENTENZAsul ricorso iscritto al n. 8213-84 del R.G.AA.CC., proposto daPONTIFICIA UNIVERSITÀ GREGORIANA, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in Roma, Via L. Bissolati n. 76, presso lo studio dell'Avv. Guido Zangari, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso; e successivamente, vengono nominati, in unione al predetto difensore, gli avvocati Petro Rescigno ed Andrea Giardina, giusta procura speciale per Notaio Nicolò Bruno di Roma dell'11 gennaio 1988 n. 87644 di repertorio;RicorrentecontroPETROSELLI GINO;IntimatoPer il regolamento preventivo di giurisdizione in relazione al giudizio pendente innanzi al Tribunale di Roma - giudice del lavoro - iscritto al n. 68162-84 R.G.;Udita nella pubblica udienza, tenutasi al giorno 21 Gennaio 1988, la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Laudato;Uditi gli avvocati Zangari-Rescigno-Giardina;Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Dr. Evandro Minetti, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione, che ha concluso chiedendo la giustificazione del giudice italiano.

Svolgimento del processoCon ricorso del 7-6-1984 al Pretore di Roma, in funzione di giudice del lavoro, Petroselli Gino conveniva in giudizio la Pontificia Università Gregoriana, alle dipendenze della quale aveva prestato servizio in qualità di operaio presso la tipografia dell'Università medesima, dal 10-2-1979 al 30-9-1983, per sentirla condannare al pagamento della somma di L. 22.166.200 a titolo di differenze retributive varie.Costituitosi in giudizio la convenuta proponeva regolamento preventivo di giurisdizione. L'intimato non si è costituito.1) La Pontificia Università assume di godere di immunità reale e personale. Sotto Pio XI, infatti, l'Università e gli Istituti ad essa consociati furono sottoposti alla vigilanza del Prefetto della congregazione per i seminari e le Università. Nei patti Lateranensi poi - si assume - l'Università e gli Istituti associati Biblico ed Orientale) erano riconosciuti "Rem Pontificiam" e, cioé, enti autonomi Pontifici, sotto le direttive dipendenze del Sommo Pontefice. Tale "Status" era confermato anche dai successivi Pontefici, sino a Giovani Paolo II.2) La natura Pontificia della Università Gregoriana risulta da suo statuto (art. 1 par. 1, approvato nel 1934), che espressamente afferma: per lo Stato Italiano l'Università Gregoriana è un'ente morale apostolico, fornito di personalità giuridica, con gli stessi diritti speciali riconosciuti allo Stato Pontificio.La tipografia in oggetto, funzionalmente destinata al servizio della Università è, peraltro, sita nell'immobile interno all'università, (fruente dell'immunità riconosciuta dal trattato) ed è sottoposta alla commissione Pontificaia, la quale nel 1982 ha nominato il preposto all'immobile, nella persona del padre Urbano Navarrate, nella sua qualità di Rettore Magnifico.Anche il nuovo statuto evidenzia che l'Università è legata alla S. Sede con una stretta relazione personale - organo, rappresentandone un suo dicastero. Si ricorda inoltre che in base all'art. 17 del trattato (del 1929) opera la "esenzione erariale per le retribuzioni di qualsiasi natura, dovute dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa Cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla S. Sede, anche fuori di Roma, a dignitari, impiegati e salariati, anche non stabiliti"; mentre la copertura assicurativa del personale dipendente è assicurata da apposita convenzione tra tra INPS e S.Sede.

Motivi della decisione

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E' indubbia, la giurisdizione del giudice italiano a conoscere della domanda proposta dal Petroselli.La predetta giurisdizione, infatti, nei confronti del convenuto straniero, in relazione ad obbligazione sorta o da eseguirsi in Italia, non è esclusa, a norma dell'art. 4 N. 2 cpc, per il fatto che detto convenuto sia uno Stato o un'ente pubblico straniero, qualora si verta in tema di attività privatistica da questo posto in essere, sicché non sia invocabile in principio dell'immunità giurisdizionale, operante nel diverso campo dell'attività di tipo pubblicistico (da ult. sent. Cass. N. 70-76 del 1983).La ricorrente, ora, ha certamente tenuto presente tale indirizzo, quando ha affermato, alla luce del Trattato Lateranense in data 11-2-1929, e dell'Accordo, con protocollo addizionale, firmato in Roma il 18-2-1984, che ha apportato modifiche al Concordato, che "debbono ritenersi assoggettate, ora come prima, alla giurisdizione italiana solo le attività cosi dette "strumentali" o "secondarie", svolte dalla S. Sede e-o dai suoi Enti, attività, cioé, si ripete, che non rientrano nei fini propri ed essenziali di essa".Intanto, è subito a dirsi, in relazione ad analoga affermazione fatta dalla ricorrente, che la sede di questa, sita in territorio, italiano, non gode del privilegio dell'extraterritorialità, ma usufruisce soltanto dell'esenzioni da espropriazioni per pubblica utilità e dal versamento di tributi sia ordinari che straordinari tanto verso lo Stato Italiano quanto verso altro Ente (Art. 16 trattato fra la S. Sede e l'Italia dell'11-2-1929).Decisiva, allora, ai fini della giurisdizione, è verificare se l'attività tipografica svolta dalla ricorrente sia da considerarsi strumentale o secondaria rispetto a quella primaria riferibile alla S. Sede, o a quella propria ed essenziale dell'Ente Pontificio Università Gregoriana. Vale, ora, in proposito, considerare circa la peculiarità dei fini primari della S. Sede, che con l'art. 2, I° parte del citato accordo, il quale ripete i criteri informatori del precedente Concordato, "la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa Cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione", mentre con il 3° paragrafo dell'art. 7 viene fatta distinzione tra "finalità di religione o di culto, quali scopi primari degli enti ecclesiastici e le "attività diverse da quelle di religione o di culto", assoggettandosi queste ultime "nel rispetto della struttura e della finalità degli enti suddetti alle leggi dello Stato concernenti tali attività ed al regime tributario previsto per le medesime.E' certo, intanto, che l'attività tipografica svolta dalla ricorrente anche a favore di terzi e dietro corrispettivo non è qualificabile come attività diretta a "finalità di religione e di culto". L'art. 2 infatti, delle "Norme amministrative", che hanno fatto seguito all'accordo del 18-2-1984, considera "aventi fini di religione e di culto" soltanto "gli enti che fanno parte della Costituzione gerarchica della chiesa, gli Istituti Religiosi ed i seminari" e non già le università. E' vero, ora, che il citato art. 2 riconosce alla chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione "educativa", ma nell'art. 16 lett. b) delle citate Norme Amministrative è chiarito che le attività di "istruzione, educazione e cultura" sono "attività diverse da quelle di religione o di culto".Rimane così, chiarito che l'attività tipografica svolta dalla ricorrente non si ricollega in alcun modo né a quella primaria della S. Sede, né, in modo diretto ed immediato, a quella istituzionale dell'Università ma si presenta come secondaria all'attività svolta da essa ricorrente, sicché consegue che tutti i relativi rapporti giuridici in quanto costituiti iure privatorum restano assoggettati alla cognizione del giudice italiano. Conforta la predetta conclusione la considerazione relativa ai fini di lucro perseguiti dalla ricorrente, la quale non si limita stampa di libri scolastici e scientifici scritti dai suoi professori ma svolge una vera e propria attività profana attraverso la stampa retribuita di manoscritti per conto terzi.Va quindi affermata la giurisdizione del giudice italiano ordinario. Nulla per le spese di questo giudizio, non essendo l'intimato costituito.

P. Q. M.La Corte - Sezioni Unite Civili - dichiara la giurisdizione del giudice italiano.Nulla per le spese.Roma, 21-1-1988.DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 7 LUGLIO 1988

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3. MASSIMA DELLA CASS. CIV. 4005/1982:

La qualifica formale di impiegato, per l'esistenza di un rapporto stabile di impiego, e la partecipazione del dipendente ad un'attività dello stato estero diretta alla realizzazione dei suoi fini pubblici, sono elementi necessari e sufficienti per sottrarre il rapporto stesso alla giurisdizione del giudice italiano.

* * *4. NOTE STORICHE SULL’U.L.S.A.:

NOTE STORICHE

UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA

Con Motu Proprio Nel primo anniversario del 1° gennaio 1989 Giovanni Paolo II istituiva l'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica (ULSA), approvandone lo Statuto «ad experimentum» per un quinquennio, desiderando dar vita «ad un Organismo destinato alla realizzazione e al consolidamento di una vera e propria comunità di lavoro, i cui pilastri portanti sono quelle caratteristiche del lavoro umano quali si possono dedurre dalle Encicliche sopra citate: il lavoro come prerogativa della persona, come dovere, come diritto ed infine come servizio ».

Con Motu Proprio La sollecitudine del 30 settembre 1994 Giovanni Paolo II nel «riaffermare la funzione, attribuita all'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica, di Organo della medesima che ha specifica identità istituzionale ed è preposto alla tutela dei legittimi interessi degli appartenenti alla comunità di lavoro della Santa Sede, per assicurare armonia e perequazione, nella pluralità, diversità e specificità delle mansioni, favorendo una corretta applicazione dei principi della giustizia sociale, a garanzia dell'unità di tale comunità e della crescita dei rapporti interpersonali in seno alla medesima» ha approvato il testo definitivo dello Statuto nel quale, alla luce della esperienza degli anni recenti sono state inserite delle modifiche rispetto al precedente testo del 1989.

La competenza dell'ULSA si riferisce al lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, prestato alle dipendenze della Curia Romana, dello Stato della Città del Vaticano, della Radio Vaticana e degli Organismi o Enti, esistenti e futuri, anche non aventi sede nello Stato della Città del Vaticano, gestiti amministrativamente in modo diretto dalla Sede Apostolica con esclusione dei rapporti di lavoro pur esistenti con gli stessi Organismi o Enti, ma derivanti da altri singolari contratti di lavoro e di prestazione d'opera. All'ULSA è assegnata anche la composizione delle eventuali questioni di carattere amministrativo o economico-sociale emergenti nei vari Organismi della Sede Apostolica.

L'Ufficio si articola in Presidenza, Consiglio, Direzione Generale e rispettivi Servizi, Collegio di conciliazione e arbitrato.

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La Presidenza esercita in materia di lavoro i poteri di proposta legislativa e regolamentare e le funzioni promozionali dell'unità di indirizzo nelle attività delle Amministrazioni.

Il Consiglio è organo di consulenza e di elaborazione della normativa in materia di lavoro e può essere investito delle funzioni di conciliazione delle controversie collettive o plurime.

Le controversie di lavoro, sia individuali che plurime o collettive, trovano soluzione attraverso le forme di conciliazione promosse dal Direttore Generale e dal Collegio di conciliazione e arbitrato e in caso di fallita conciliazione attraverso l'esame e la decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato. Contro le decisioni del Collegio può essere proposto ricorso per legittimità davanti alla Corte d'Appello dello Stato della Città del Vaticano.

5. STATUTO U.L.S.A:

Officii Laboris apud Sedem Apostolicam ordinatio

STATUTO DELL'UFFICIO DEL LAVORO DELLA SEDE APOSTOLICA

Art. 1

Normativa

L'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica è regolato dagli articoli del presente Statuto.

Art. 2

Competenza

1. L'attività dell'Ufficio si riferisce al lavoro, in tutte le sue forme ed applicazioni, prestato dal personale dipendente della Curia Romana, dello Stato della Città del Vaticano, della Radio Vaticana e degli Organismi o Enti, esistenti e futuri, anche non aventi sede nello Stato della Città del Vaticano, gestiti amministrativamente, in modo diretto, dalla Sede Apostolica.

La competenza è estesa ad altri Organismi o Enti unicamente con provvedimenti della Superiore Autorità.

2. La specifica qualifica di personale dipendente è determinata dai Regolamenti e dalle tabelle organiche rispettivamente dei singoli Organismi o Enti, di cui al comma precedente.

Dalla competenza del medesimo Ufficio sono esclusi rapporti di lavoro, pur esistenti con gli stessi Organismi o Enti ma derivanti da altri singolari contratti di lavoro o di prestazione d'opera.

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3. In caso di controversia la certificazione della natura di Organismo o Ente gestito amministrativamente in modo diretto dalla Sede Apostolica è rimessa alla Segreteria di Stato.

4. Gli Organismi ed Enti di cui ai commi precedenti saranno di seguito indicati, complessivamente e senza pregiudizio della natura di ciascuno, come Amministrazione.

Art. 3

Funzioni

L'Ufficio promuove lo sviluppo della comunità di lavoro; a tal fine in particolare, attraverso i suoi organi ed in collaborazione con le Amministrazioni:

a) esclusivamente per quanto concerne in materia il rapporto e la prestazione di lavoro, elabora e propone modifiche, integrazioni, interpretazioni autentiche degli atti normativi ed esprime parere su ogni modifica, integrazione, abrogazione proposta dalle singole Amministrazioni ai rispettivi Regolamenti;

b) promuove, in tale materia, l'applicazione dei Regolamenti generali e particolari e l'unità di indirizzo nella gestione del personale delle singole Amministrazioni anche per favorire la mobilità del personale tra Amministrazioni e ruoli diversi;

c) promuove l'uniformità e il miglioramento, nel quadro delle compatibilità, delle condizioni economiche, assistenziali e previdenziali del personale;

d) raccoglie, elabora e diffonde le informazioni necessarie e utili al perseguimento dei suoi fini istituzionali;

e) predispone ed attua programmi di studio e di ricerca sul lavoro, in collaborazione con le Amministrazioni;

f) tenuto conto della natura specifica della Sede Apostolica promuove, in collaborazione con le Amministrazioni e attraverso la partecipazione a qualificate iniziative, l'elevazione culturale in materia e l'aggiornamento di metodi, strumenti, professionalità, nonché l'attuazione di piani di formazione e corsi;

g) promuove la conciliazione, ed in mancanza procede alla decisione delle controversie individuali, plurime o collettive, in materia di lavoro, tra le Amministrazioni ed i loro dipendenti o ex-dipendenti, entro i limiti di competenza di cui all'Art. 2 del presente Statuto.

Art. 4

Struttura

L'Ufficio si articola in:

Presidenza

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Consiglio

Direzione Generale e rispettivi Servizi

Collegio di Conciliazione ed Arbitrato.

Art. 5

Presidenza

1. La Presidenza è composta dal Presidente, eventualmente dal Vice-Presidente, nominati entrambi dal Santo Padre, e da due Assessori, nominati dal Cardinale Segretario di Stato, esperti nei problemi del lavoro e nella organizzazione e gestione del personale, non appartenenti al personale direttivo delle Amministrazioni di cui all'Art. 2 del presente Statuto.

2. La Presidenza esercita in materia di lavoro i poteri di proposta legislativa e regolamentare e le funzioni promozionali dell'unità di indirizzo nelle attività delle Amministrazioni.

3. Nelle materie di cui al comma precedente il Presidente agisce dopo aver sentito il parere degli Assessori.

Art. 6

Presidente

Il Presidente:

a) rappresenta l'Ufficio in ogni sede;

b) convoca e presiede le riunioni della Presidenza e del Consiglio;

c) indirizza, attraverso il Direttore Generale, l'attività dei servizi;

d) promuove, con l'ausilio del Direttore Generale, l'uniforme osservanza delle normativa e l'unità di indirizzo nella gestione del personale delle singole Amministrazioni;

e) presenta alle Autorità competenti le proposte dell'Ufficio in materia di normativa del lavoro;

f) dispone la notifica alle parti interessate delle deliberazioni degli organismi collegiali e rende noti, ove ne sia richiesto, i provvedimenti delle superiori Autorità in materia di lavoro.

Art. 7

Consiglio

1. Il Consiglio, presieduto dal Presidente, è composto dai due Assessori, da un altro esperto nominato dal Cardinale Segretario di Stato, da un rappresentante della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, uno dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, uno della Tipografia Vaticana - Editrice «L'Osservatore Romano», uno della Radio Vaticana, uno della Fabbrica di S. Pietro, uno del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e da sette membri del personale di cui uno

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ecclesiastico, un religioso, una religiosa, e quattro laici, nominati dal Cardinale Segretario di Stato, previa consultazione del personale.

2. In caso di cessazione o decadenza, anche per assenza ingiustificata a tre sedute consecutive o per perdita della qualità che ha determinato la nomina, si procede negli stessi modi alla sostituzione dei componenti il Consiglio, per il periodo di tempo rimanente del mandato.

3. Il Consiglio dura in carica cinque anni. Le procedure di designazione devono essere avviate tre mesi prima della scadenza.

4. Il Consiglio deve essere convocato almeno quattro volte l'anno ed ogni volta che la Presidenza lo giudica necessario o che nove componenti del Consiglio lo richiedono.

5. La convocazione è fatta mediante lettera raccomandata, contenente l'ordine del giorno, almeno dieci giorni prima dell'adunanza.

6. L'ordine del giorno è stabilito dal Presidente che vi include anche gli argomenti eventualmente proposti da almeno sei componenti.

7. Il Consiglio delibera con la presenza della maggioranza dei suoi componenti e a maggioranza assoluta dei presenti. A parità di voti spetta al Presidente la decisione finale.

8. I verbali di tutte le sedute devono essere trasmessi al Cardinale Segretario di Stato.

9. Il Consiglio è organo di consulenza e di elaborazione delle proposte normative in materia di lavoro e può essere investito delle funzioni di conciliazione delle controversie a norma dell'Art. 10, 6° comma.

10. La Presidenza tiene informato il Consiglio, e ne promuove il parere, sullo stato dei problemi e delle iniziative nelle materie di cui all'Art. 3.

Art. 8

Commissioni speciali

1. Il Consiglio può affidare la disamina di determinati problemi a speciali Commissioni referenti, delle quali possono essere chiamati a far parte rappresentanti delle Amministrazioni e del personale, nonché esperti esterni.

2. Le Commissioni devono riferire nel termine fissato dal Consiglio, formulando, ove ne siano in grado, proposte su cui il Consiglio delibera.

3. I componenti delle Commissioni sono nominati dal Presidente che ne stabilisce le modalità di lavoro.

Art. 9

Direzione Generale e rispettivi Servizi

1. Il Direttore Generale è nominato dal Santo Padre.

2. Il Direttore Generale dura in carica cinque anni e può essere rinnovato.

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3. Il Direttore Generale:

a) coadiuva il Presidente nel dirigere il personale dell'Ufficio ed esprime il suo parere sulle assunzioni e sulle nomine del medesimo;

b) partecipa con voto consultivo e funzioni di segretario alle adunanze del Consiglio e della Presidenza;

c) collabora strettamente con il Presidente nella programmazione delle adunanze del Consiglio e della Presidenza e nella preparazione dei provvedimenti, di cui cura l'esecuzione;

d) assicura il collegamento tra l'Ufficio e le Amministrazioni;

e) tiene i rapporti con le rappresentanze del personale;

f) in materia di lavoro cura lo studio e l'istruttoria delle proposte di evoluzione delle normative e dei programmi di formazione del personale;

g) promuove la attuazione, secondo le direttive della Presidenza ed in collaborazione con le singole Amministrazioni, delle politiche di formazione e mobilità del personale.

Art. 10

Controversie

1. Le controversie, sia individuali che plurime o collettive, per violazione della specifica normativa applicabile al rapporto di lavoro, entro l'ambito della competenza definita dall'Art. 2 del presente Statuto, troveranno soluzione attraverso le forme di conciliazione di cui appresso e, in caso di fallita conciliazione, attraverso l'esame e la decisione del Collegio di conciliazione e arbitrato.

2. Qualora i Regolamenti delle rispettive Amministrazioni lo prevedano con specifiche norme, il dipendente, prima di avvalersi dei mezzi di cui al precedente comma, dovrà, sotto pena di inammissibilità della propria istanza, esperire in tutti i suoi gradi il ricorso interno.

3. Chiunque ritenga che un suo diritto soggettivo in materia di lavoro sia leso da un provvedimento amministrativo, salvo che lo stesso emani dal Santo Padre o da Lui sia stato specificamente approvato, può proporre istanza entro trenta giorni dalla notifica o comunicazione, ovvero, in sua mancanza, dall'effettiva conoscenza del provvedimento o dalla scadenza del termine di cui al comma successivo.

Il medesimo termine di trenta giorni è stabilito per la presentazione dell'istanza conseguente all'esito del ricorso di cui al comma precedente.

4.Si considera provvedimento amministrativo anche il silenzio-rigetto dell'Amministrazione, quando la stessa non adotti alcuna decisione entro 90 giorni dal ricevimento della domanda dell'interessato.

5.L'istanza deve contenere l'indicazione delle parti, del provvedimento impugnato e gli ulteriori elementi che il ricorrente ritenga di addurre a sostegno delle sue ragioni.

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6.L'istanza è presentata al Direttore Generale, il quale ove non ne rilevi la inammissibilità per difetto dei presupposti su indicati, convoca le parti dinanzi a sé per il tentativo di conciliazione, avendo cura di rimettere all'Amministrazione copia della istanza e degli eventuali documenti ad essa allegati.

Il Direttore Generale può, con l'autorizzazione del Presidente, rimettere il tentativo di conciliazione al Consiglio.

Avverso la dichiarazione di inammissibilità può essere proposto reclamo, entro dieci giorni dalla comunicazione, allo stesso Direttore Generale.

In caso di conferma del provvedimento può essere proposto ricorso, a norma dell'Art.11, 3° comma, al Collegio di conciliazione e arbitrato il quale entro trenta giorni dalla data di presentazione si pronuncia in camera di consiglio a norma dell'Art. 11, sentite le parti, sulla ammissibilità dell'istanza, rinviando, se del caso, al Direttore Generale per il tentativo di conciliazione.

7.Colui che ha proposto l'istanza deve comparire di persona e può farsi assistere da persona scelta nell'ambito dei dipendenti o pensionati della propria Amministrazione o di altra Amministrazione.

L'Amministrazione deve essere rappresentata da un proprio Addetto autorizzato a conciliare.

8.Il procedimento di conciliazione deve essere definito entro 90 giorni dalla data di presentazione della istanza se esperito di fronte al Direttore Generale; entro 180 giorni invece se rimesso al Consiglio.

Il termine può essere prorogato una sola volta, per non più della metà della sua durata, per accordo scritto tra le parti o con provvedimento motivato, rispettivamente, del Direttore Generale o del Presidente.

9. Del tentativo di conciliazione il Direttore Generale dovrà redigere verbale.

In caso di esito positivo tale verbale costituisce titolo esecutivo.

In difetto di conciliazione il Direttore Generale ricorda nel verbale alle parti che hanno facoltà di proporre ricorso ai sensi del successivo Art.11; la mancata comparizione dell'Amministrazione equivarrà ad esito negativo del tentativo di conciliazione e se ne darà atto nel relativo verbale.

10.Ogni diritto derivante dal rapporto di lavoro si prescrive nel termine di cinque anni, con decorrenza dal giorno in cui può essere fatto valere.

11. Sono escluse dalla istanza e dal ricorso le materie di competenza della Autorità giudiziaria e delle Commissioni Disciplinari previste nei Regolamenti Generali.

Art. 11

Collegio di conciliazione e arbitrato

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1. Il Collegio di conciliazione e arbitrato è composto da persone qualificate per preparazione giuridica, prudenza ed equanimità, nominate dal Cardinale Segretario di Stato cui spetta la scelta del Presidente.

2. I Membri del Collegio durano in carica cinque anni e possono essere confermati.

3. Il Collegio è investito della controversia a seguito di ricorso, da presentarsi al Direttore Generale entro 30 giorni dalla data del verbale di non riuscita del tentativo di conciliazione o dalla scadenza dei termini di cui all'Art. 10, 8° comma.

Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, l'indicazione delle parti e del provvedimento impugnato, l'esposizione dei fatti e la specificazione dei motivi di impugnativa, la determinazione dell'oggetto della domanda, l'indicazione delle prove su cui questa si fonda.

Il ricorso è trasmesso immediatamente al Collegio a cura del Direttore Generale insieme ai documenti ad esso allegati ed agli atti del procedimento del tentativo di conciliazione.

4. Il Collegio decide con un numero invariabile di tre Membri.

Il Presidente semestralmente fissa il calendario delle udienze e la composizione dei collegi delle medesime. Se all'udienza partecipano più di tre Membri ciascuna decisione è deliberata dal Presidente, dal componente designato dallo stesso Presidente come relatore e dal più anziano in ordine di nomina degli altri componenti presenti.

In assenza del Presidente, il Collegio è presieduto dal più anziano, in ordine di nomina, dei Membri presenti.

A parità di data di nomina l'anzianità dei Membri del Collegio è determinata dall'età.

5. Nella trattazione dei ricorsi ad esso sottoposti, il Collegio procede secondo le norme seguenti:

a) Il Presidente del Collegio fissa l'udienza per la comparizione delle parti e dispone la trasmissione del ricorso almeno 30 giorni prima all'Amministrazione, che può presentare le sue deduzioni ed eventuali prove fino a 10 giorni prima della stessa udienza;

b) per quanto lo consente la specifica natura non giudiziaria del Collegio, sono ad esso applicabili, per analogia, le disposizioni del Codice di Procedura Civile Vaticano relative alla incompatibilità ed alla ricusazione del giudice, alle ferie giudiziarie, ai mezzi di prova, alla rappresentanza e difesa delle parti, alla forma della decisione, alla revocazione e alla querela di nullità, nonché alle spese di giudizio; la difesa delle parti può essere assunta esclusivamente dagli iscritti all'Albo costituito a norma dell'annesso Regolamento (All. 1);

c) all'udienza il ricorrente deve comparire di persona e l'Amministrazione deve essere rappresentata nei modi di cui all'Art. 10, 7°

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comma; in caso di controversie collettive o plurime i ricorrenti devono comparire attraverso una rappresentanza composta da non più di tre di loro;

d) in udienza il Collegio tenta nuovamente la conciliazione, per la quale si osserva l'Art. 10, 9° comma, e in caso di esito negativo procede all'interrogatorio libero delle parti; il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in ogni momento fino alla pubblicazione della decisione;

e) nella stessa o, se necessario, in successiva udienza, il Collegio ammette o dispone d'Ufficio gli eventuali mezzi di prova che possono essere assunti anche da uno dei suoi Membri a ciò delegato;

f) una volta matura la causa, il Presidente invita le parti alla discussione finale, riservando al Collegio la decisione che, salvo gravi motivi, deve essere pronunciata entro 120 giorni dal ricorso;

g) il Collegio, con ordinanza motivata, risolve tutte le questioni pregiudiziali o incidentali necessarie per decidere sulle domande avanzate nel ricorso;

h) in caso di accoglimento del ricorso il Collegio annulla, in tutto o in parte, il provvedimento impugnato e decide sui diritti soggettivi dedotti in giudizio.

Art. 12

Ricorso per legittimità

1. Ferma restando la competenza del Collegio per quanto attiene alla Procedura di revocazione e di querela di nullità (cfr. Art. 11, comma 5° lett. b), contro le decisioni del Collegio medesimo può essere proposto ricorso per legittimità:

a) sia per mancata osservanza o violazione delle norme essenziali previste nel procedimento dinanzi all'Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica;

b) sia per violazione o falsa applicazione di leggi, disposizioni e regolamenti vigenti circa la materia in oggetto.

2. Il ricorso deve essere proposto davanti alla Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano.

3. In caso di accoglimento del ricorso, la Corte decide con unica sentenza anche sul merito: tale decisione non è soggetta ad impugnativa.

4. Il ricorso per legittimità è regolato dalle annesse Norme (All. 2).

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