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Medicina del lavoro Lezione 2(3\10\14)
La medicina del lavoro si differenzia dalle altre pratiche specialistiche perché si occupa delle patologie lavo-
ro correlate. Il medico del lavoro ha il compito di visitare i lavoratori prima di iniziare l’attività lavorativa
per giudicarne l’idoneità al lavoro, e durante la stessa per individuare eventuali patologie professionali.
I fattori di rischio sono classificati in rischi per la sicurezza o infortunistici, per la salute o di natura igienico
alimentare (correlati all’esposizione ad agenti chimici\fisici\biologici) , per la sicurezza e la salute (riguarda-
no la sicurezza sul lavoro valutando anche l’impegno emotivo).
Anche l’operatore sanitario è ovviamente esposto a fattori di rischio. Nello specifico lo specializzando , con-
siderato a tutti gli effetti un lavoratore, verrà sottoposto a visite di idoneità lavorative e a seconda del re-
parto è esposto a fattori di rischio operativi più o meno specifici . Tra questi:
• rischio biologico , correlato al contatto con emoderivati o patogeni aereodispersi rischio
allergologico, ad esempio ai guanti in lattice;
• rischio ergonomico, che riguarda alcune classi specifiche ovvero i chirurghi in relazione a
posizioni incongrue che assumono o anche per la stazione eretta prolungata possono in-
correre in patologie discali, così come gli stessi infermieri soggetti a patologie discali o
disturbi del cingolo scapolare;
• rischio correlato all’esposizione ad agenti fisici ovvero radiazioni ionizzanti;
• agenti chimici (ad esempio infermieri adibiti alla preparazione di farmaci antiblastici che
se non accuratamente manipolati espongono ad un grave rischio per la salute sia di tipo
neoplastico che al sistema cardiocircolatorio):
• rischio stress.
Tratteremo in particolare il RISCHIO CORRELATO AL RUMORE (stress fisico).
Che il rumore sia un fattore di rischio è risaputo da tempi antichi, basti pensare che già Plinio il Vecchio in
tempi remoti si fece costruire una camere da letto per non udire gli schiamazzi degli schiavi, gli stessi Cice-
rone e Seneca raccontavamo come gli abitanti della Valle del Nilo avessero l’udito compromesso per il ru-
more delle cascate e nella città di Sibari era vietato introdurre all’interno delle mura galli che potessero di-
sturbare il sonno o attuate rumorosi lavori meccanici e addirittura alcune strade erano chiuse al traffico.
Per quanto riguarda il mondo moderno si è ottenuto una riduzione dell’esposizione a questo fattore ma in
ogni caso le migliorie tecnologiche non sono state affiancate da soluzioni atte a ridurre la rumorosità, a
questo bisogna aggiungere che noi tutti siamo esposti a questo fattore di rischio in relazione al traffico vei-
colare, aereo automobilistico.
I settori lavorativi maggiormente interessati sono 4: industria metalmeccanica, per le costruzioni, estrattiva
e biochimica. Per tanto questa patologia è ancora molto idennizzata. Qualsiasi medico che svolge la propria
funzione e si rende conto che una patologia può essere di origine professionale è costretto a denunciarla
alle autorità competenti e queste patologie verrano poi analizzate in base alla funzione lavorativa e si deci-
derà se idennizzarle o meno. Attualmente è la seconda causa di denunce. Riguarda soprattutto i lavoratori
in ambito industiale (cantieri edili, fonderie, siderurgie, officine meccaniche) e nei servizi (laboratori chimi-
ci, tipografie, operatori discoteche) ma anche nel settore primario. La situazione in campania riflette la me-
dia nazionale.
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Effetti fisici del rumore. Il suono è una perturbazione meccanica che si propaga in un corpo elastico messo
in vibrazione che crea movimento nelle molecole dell’Aria e quindi onde sonore. IL suono è una vibrazione
delle molecole d’aria che crea un’onda con caratteri di periodicità, a differenza del rumore (onda non pe-
riodica). Il rumore è per definizione qualsiasi onda sonora che crea sull’uomo effetti non voluti, dannosi, di-
sturbanti e che quindi determina un deterioramento qualitativo dell’ambiente. Le caratteristiche fisiche del
suono sono: frequenza, periodo, lunghezza d’onda, l’ampiezza ,la velocità e l’intensità di propagazione.
Frequenza : numero delle oscillazioni compiute da uno stesso punto dell’onda nell’unità di tempo.
Si misura in Hertz. L’orecchio umano percepisce f che vanno dai 20 a 20000 Hertz.
Periodo: intervallo di tempo necessario per compiere una oscillazione completa. Unità di misura è
il s.
Lunghezza d’onda: spazio percorso dall’onda in un periodo
Velocità propagazione suono : velocità con la quale un suono si propaga in un mezzo e dipende dal-
la densità di questo.
Intensità : potenza media con la quale l’energia viene trasmessa nel vuoto. L’unità di misura è il De-
cibel e la soglia del suono oscilla in un range tra 0 e 10 decibel, quella del dolore 130\140 come un
aereo al decollo. Una normale conversazione presenta un’intensità tra i 60\70 decibel, il traffico
stradale 70\80 decibel.
Quello che differenzia un suono acuto da una suono grave è la frequenza, invece ciò che differenzia un
suono lieve da un suono forte è l’intensità.
Effetti del suono sull’uomo
Il sistema uditivo è costituito da due parti: il sistema deputato al trasporto del suono e l’apparato di perce-
zione o neurosensoriale. Anatomicamente distinguiamo 3 parti : orecchio esterno (timpano, padiglione au-
ricolare e condotto uditivo) che attraverso la membrana timpanica trasmette la vibrazione all’orecchio me-
dio (tubo di eustachio e 3 ossicini martello, incudine, staffa detti adattatori di frequenza) il quale provvede
attraverso la staffa tramite il canale vestibolare al trasferimento del suono all’orecchio interno (coclea co-
stituita dal canale vestibolare e timpanico separati dalla membrana basale ,e i canali semicircolari deputati
al mantenimento dell’equilibrio) e da qui perturbazioni dell’endolinfa giungono alle ciglia della membrana
basale e di qui tramite i rami nervosi al cervello.
La coclea ha quindi essenzialmente 2 ruoli: trasmissione del suono (trasferire l’energia acustica tramite la
finestra ovale all’epitelio ciliato) e trasduzione del suono ( l’energia sonora convertita in impulsi elettrici a
livello del nervo acustico). In questo caso avremo soprattutto una sordità specifica per alcune sequenze,
frequenze medie dai 4000 ai 6000 Hz, e sono alterate entrambe le trasmissioni sia per via aerea che per via
ossea. Le cause sono molteplici ed è importante attuare una adeguata diagnosi differenziale. Nello specifico
riscontriamo ipoacusia neurosensoriale da: trauma acustico cronico, retinoma dell’acustico, ototossicosi.
E’ importante fare un adeguata anamnesi professionale, essenziale per un adeguata diagnosi differenziale.
La presbiacusia è la progressiva riduzione della capacità uditiva fisiologica, dopo i 40anni infatti ognuno di
noi ha una perdita di circa 3,5 decibel all’anno. Anche qui abbiamo alterazione di entrambe le vie però vi è
una caduta sulle frequenze più alte (intorno ai 20000 Hz).
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In un tracciato audiometrico in assi cartesiani sulle ordinate vengono riportate le frequenze, sulle ascisse i
decibel. Normalmente noi udiamo intorno ai 10 decibel su tutte le frequenze. I (…) indicano l’orecchio de-
stro mentre i siasolini (?) l’orecchio sinistro. Le frecce rivolte verso destra indicano la trasmissione del suo-
no per via ossea dell’orecchio destro, quelle verso sinistra la percezione del suono per via ossea del sinistro.
Nel tracciato ipoacustico vediamo linee continue che indicano la via aerea dell’orecchio dx e sx.
Nell’ipoacusia percettiva sono alterate entrambe le vie quindi vedrete una depressione sia per la via aerea
che ossea in un tracciato che è simmetrico per entrambe le orecchie. Nell’ipoacusia percettiva da rumore
c’è una depressione caratteristica: vi è una caduta sui 4000 Hz seguita da una risalita del tracciato. Quindi
per far sentire il suono al paziente dovremo aumentare l’intensità intorno ai 40\60 Db per le frequenze
medie non per le f più alte. Nell’ipoacusia trasmissionale la via ossea non è alterata quindi intorno ai 10 Db
percepisce tutte le vibrazioni. Nella Presbiacusia il soggetto non sente intorno agli 8000Hz quindi bisogna
aumentare l’intensità.
E’ chiaro quindi che l’esposizione al rumore causa danni uditivi ma anche extrauditivi.
Esistono fattori predisponenti: sesso (donne meno colpite), l’età, patologie dell’orecchio medio, uso di so-
stanze ototossiche (farmaci quali gentamicina, streptomicina o sostanze chimiche come benzene, piombo),
hobbies particolari (pesca subacquea).
Gli effetti uditivi si dividono in acuti ( da stimolo uditivo intenso e di breve durata) e cronici (esposizione
cronica al rumore) divisi in 4tipi.
Quando vi è un’esposizione a un rumore che è superiore ai 140 Db si causa un dolore immediato a carico
dell’apparato uditivo, nei casi più gravi si può avere rottura della membrana timpanica con danno a carico
delle cellule ciliate. La lesione in questo caso è quasi sempre monolaterale in quanto la testa fa da schermo
per l’altro orecchio. E’ un’evenienza rara nei luoghi di lavoro ed è classificata come infortunio non come
malattia professionale dovuta ad esempio allo scoppio di una caldaia. Il soggetto subito dopo un trauma
acustico di lieve intensità accusa un dolore lacerante all’orecchio, senso di stordimento, ipoacusia completa
all’orecchio , riferisce la percezione di fischi e presenta vertigini. Generalmente i disturbi regrediscono e nei
casi più favorevoli vi può essere la restitutio ad integrum , le cellule nervose riprendono la loro normale
funzonalità, la membrana timpanica cicatrizza e anche il tracciato audiometrico ritornerà normale.
Per quanto riguarda invece l’esposizione prolungata a stimoli acustici di intensità variabile: un’esposizione
superiore agli 80 Db 8h al giorno per molti anni lavorativi se non adeguatamente accompagnata dall’uso di
dispositivi di protezione individuale e misure di abbattimento del rumore da parte delle macchine sicura-
mente causerà una ipoacusia da trauma acustico cronico. Prima però dell’ipoacusia si ha la cosiddetta “fa-
tica uditiva” o “spostamento temporaneo della soglia uditiva”. Difatti un’esposizione prolungata causa delle
modificazioni dell’apparato uditivo che si traduce in un calo dell’udito la cui entità è proporzionale
all’intensità del rumore e al tempo d’esposizione. Si distinguono due tipi di fatica uditiva: STS2 e STS16, si
parla di fatica uditiva fisiologica e patologica e si distinguono sulla base di diverse caratteristiche quali la
durata, l’entità e la sede. L’STS2 si misura dopo 2 minuti dall’esposizione al rumore e ha una durata di 16h e
identifica un’innalzamento della soglia uditiva rispetto ai livelli normali pre esposizione. Già oltre la soglia
degli 80Db vi è una STS su più frequenze e nello specifico i rumori industriali provocano una STS2 sulle fre-
quenze dei 3000 e 4000Hz. L’STS16 definita come fatica uditiva patologica permane anche oltre le 16h
dall’esposizione allo stimolo acustico perché l’orecchio di un soggetto esposto cronicamente al rumore non
ha più progressivamente la capacità di recupero fino ad arrivare all’ipoacusia franca. Le due STS sono quin-
di espressione di un esaurimento più o meno marcato dei recettori acustici periferici per un apporto ener-
getico insufficiente. Un recupero completo è quindi possibile solo a patto che l’esaurimento funzionale si
mantenga entro certi limiti, in casi contrari si parla di danno uditivo irreversibile.
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Il danno da rumore si manifesta soprattutto a carico delle strutture nervose dell’organo del Corti con una
ipoacusia neurosensioriale irreversibile. La gravità del danno è proporzionale alla quantità dell’energia so-
nora somministrata usando un rumore continuo di livello costante e le prime strutture ad essere danneg-
giate sono le cellule ciliate esterne: si ha una frammentazione fino alla scomparsa delle ciglia e una rottura
della membrana cellulare e sostituzione con cellule di sostegno. Le cellule ciliate interne rimangono integre
molto più a lungo: la lesione primitiva è rappresentata dalla fusione di queste. Per esposizioni al rumore
che hanno un livello costante si osservano alterazioni che sono prima di tipo metabolico-funzionale e poi
metabolico-morfologiche, mentre per i rumori impulsivi il danno è più rapido con alterazioni morfologiche
più precoci. In linea generale si può affermare che il peggioramento della soglia uditiva non è lineare ovvero
il soggetto inizialmente lamenta acufeni che poi scompaiono con una progressione anche molto veloce di
danno per i primi 10 anni seguito da una fase di stazionarietà, a meno che il soggetto non cambi attività la-
vorativa con esposizione a un altro tipo di rumore.
L’ipoacusia di rumore è classificata in più fasi:
una prima fase definita fatica uditiva: compare pochi giorni dopo l’inizio dell’attività uditiva con un
esame audiometrico normale o al massimo un innalzamento sulle frequenze medie e il pz riferisce
acufeni e stordimento;
una 2° fase definita di latenza: il soggetto non ha sintomi sebbene l’ipoacusia peggiori con innalza-
mento della soglia uditiva di circa 40\50 Db sui 4000Hz evidenziato all’esame audiometrico,
nella 3° fase ricompare la sintomatologia: il soggetto riferisce ad esempio di non sentire il ticchettio
dell’orologio con un esame audiometrico che mostra un innalzamento di circa 60 decibel sui 4.000
heartz ed il deficit viene esteso anche alle altre frequenze dai 2000 ai 3000 .
Nella quarta fase c’è lo stadio di sordità da rumore con un deficit permanente esteso anche alle
frequenze più basse ed alle più alte.
Quindi inizialmente ridotta capacità di udito temporanea, poi apparente stato di benessere, quindi difficol-
tà a percepire i toni acuti e poi difficoltà a sentire le conversazioni.
Le caratteristiche dell’ipoacusia da rumore sono 4:
1. Il deficit è Percettivo perchè il danno è sul nervo sensoriale
2. E’ iniziale e prevalente sulle frequenze medie (4000 Hz), poi si estende sulle alte e basse frequenze
3. E’ bilaterale e simmetrico cioè i tracciati audiometrici di orecchio dx ed sx sono sovrapponibili
4. E’irreversibile, il danno non è recuperabile
Il rumore è causa anche di effetti extra-uditivi, imputabili ad un danno alle connessioni delle strutture acu-
stiche con le altre strutture del SNC come la formazione reticolare.
Gli effetti più studiati sono a carico del Sistema Cardiovascolare-> aumento frequenza cardiaca, vasocostri-zione periferica, aumento p arteriosa
ma esistono anche effetti
Neuropsichici -> disturbi del tono motorio, dell’equilibrio, della concentrazione, dell’attenzione, che posso-no mettere a rischio la vita del lavoratore (es. aumento del tempo di reazione, diminuzione della percezio-ne di segnali di pericolo con conseguente aumento del rischio infortunistico)
Endocrini-> aumentata produzione di alcuni ormoni
Visus-> dilatazione pupillare
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Gastroenterico-> diminuzione motilità con fenomeni spastici, aumento delle ucere e gastroduodeniti
Respiratori-> aumento frequenza respiratoria
Livello superiori a 65 decibel durante il giorno e 55 durante la notte sono dannosi ed aumentano il rishio di infarto del miocardio, TIA (?)
L’esposizione al rumore causa l’attivazione nell’organismo di due tipi di risposte
1. Risposta d’allarme-> causata da rumori di alta intensità e breve durata, si esaurisce rapidamente, la sua durata ed intensità non dipendono dal livello sonoro o dal tempo di persistenza dello stimolo. Caratte-rizata da: aumento della pressione pupillare, sudorazione cutanea, aumento delle secrezioni e motilità gastrica, aumento delle frequenze cardiaca e respiratoria
2. Risposta Neurovegetativa-> è lenta e generalmente segue quella di allarme, si manifesta per stimoli in-tensi e varia in funzione dell’intensità e della durata dello stimolo con alterazioni a carico di tutti gli or-gani
La valutazione dei rischi derivati dall’esposizione ad agenti fisici nel luogo di lavoro è oggetto di studio della medicina del lavoro.
Il decreto legislativo 81 del 2008 detta le regole per la valutazione del rischio rumore nel luogo di lavoro, e le misure preventive per ridurre il rischio di ipoacusia da trauma acustico cronico nel luogo di lavoro. Il decreto valuta il Livello di Esposizione Giornaliera al rumore, è un valore medio calcolato su una giornata lavorativa di 8 ore e il Livello di Esposizione Settimanale al rumore calcolato su una giornata lavorativa di 5 ore. Il decreto prevede dei limiti di esposizione e dei valori di azione. Il limite di esposizione è 87 decibel ciò significa che durante una giornata lavorativa l’esposizione media al rumore non può superare tale valore. Il valore superiore d’azione è 85 decibel. Il valore inferiore d’azione è 80 decibel. Quando inizia una attività lavorativa il datore di lavoro ha il compito di valutare i rischi tra cui anche quello rumore facendo un sopralluogo con esperti (responsabili sicurezza, ingegneri), valutando le informazioni fornite dalle case produttrici dei macchinari, la presenza di apparecchiature progettate per ridurre l’emissione del rumore, quanto tempo il lavoratore è esposto al rumore. 1. Se l’esposizione al rumore non supera gli 80 dB non si procede, dando solo dei dispositivi di protezione
acustica al lavoratore che, quindi, non svilupperanno patologie professionali. 2. Se l’esposizione al rumore supera gli 80 dB, si procede alla seconda fase misurando direttamente il ru-
more nel luogo di lavoro con un Fonometro (su una giornata lavorativa di 8 h o settimanalmente, su una giornata di 5 h)
A. Se il rumore supera il valore inferiore d’azione il datore ha l’obbligo di fornire i dispositivi di protezione individuali ai lavoratori che possono chiedere di essere sottoposti a sorveglianza sanitaria (il medico competente esegue esame obiettivo ed audiometrico)
B. Se è superato il valore superiore d’azione (85 dB) il datore di lavoro ha l’obbligo di attuare delle misure tecnico-organizzative per ridurre la rumorosità degli ambienti di lavoro, indicare con cartelli i luoghi in cui i lavoratori sono sottoposti a tale intensità di rumore, sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavorato-ri, deve inoltre assicurarsi che i lavoratori indossino i dispositivi di protezione. Dalla sorveglianza sanita-ria scaturisce un giudizio di idoneità che può essere Completa al lavoro, con prescrizione o con medica-zione, o non idoneità al lavoro (dipende dalla patologia del soggetto, dal rischio a cui è esposto, dalla presenza di danno. Es. un soggetto con ipoacusia sottoposto ad una alta esposizione al rumore è non idoneo a quella attività lavorativa).
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Il datore di lavoro ha l’obbligo di informare i lavoratori sul rischio da esposizione al rumore, qundi sulla na-tura dei rischi, sui valori d’azione e sul limite d’esposizione, sui risultati delle misurazioni del rumore effet-tuate. I dispositivi di protezione auricolare sono - Gli inserti auricolari - Le cuffie auricolari-> adatte per esposizioni prolungate, più efficaci dei precedenti, permettono l’ascolto
delle conversazioni - I caschi-> utilizzati per le attività più rumorose (es. utilizzo martello pneumatico) - Gli archetti Agiscono tutti per la via aerea con una attenuazione che non supera i 50 dB. I caschi, coprendo anche la via ossea danno una attenuazione superiore. Tuttti i tipi devono attenuare il rumore consentendo l’ascolto della voce parlata, la scelta dipende dall’ambiente di lavoro, dalle patologie d’organo esistenti, dal tipo di lavoro.
Esposizione al particolato atmosferico Tale tipo di esposizione si può avere sia negli ambienti domestici ( sorgenti indoor-> fumo di sigaretta, ca-minetti, stufe, candele, l’attività di …(51.23)) che in quelli lavorativi. I lavoratori esposti a questo fattore di rischio sono molti, soprattutto quelli esposti a mobile work. Il particolato è formato da particelle fini ed ultrafini la cui fonte di emissione principale è rappresentata dal traffico veicolare (sorgente outdoor), soprattutto dalla combustione dei motori diesel. Queste particelle possono essere causa di danni a carico dell’apparato respiratorio, cardiovascolare, cuta-neo, SNC. Le popolazioni più suscettibili a queste particelle sono gli anziani ed i bambini, soggetti con patologie pol-monari preesistenti infiammatorie o infettive. I bambini sono più suscettibili perchè inalano una quantità maggiore di aria per peso corporeo, hanno un assorbimento più elevato, hanno maggiori richieste energeti-che. L’esposizione di madri non fumatrici al particolato atmosferico durante la gestazione è causa di altera-ta funzionalità polmonare in età prescolare nei figli. Gli anziani sono più suscettibili perchè presentano una preesistente compromissione della funzionalità respiratoria, frequentemente presentano patologie cardio-respiratorie, spesso hanno una alimentazione non corretta (che influenza le difese immunitarie). Le particelle sono classificate in -PM10-> frazione grossolana, solo le più innoque perchè essendo superiori al …(52.35) non raggiungono le vie aeree più fini -La frazione più fine che arriva agli alveoli -La frazione ultrafine (nanoparticelle) che dagli alveoli diffondono a tutto l’organismo La frazione inalabile sono tutte le particelle che penetrano nell’albero respiratorio attraverso le narici e la bocca durante un normale atto respiratorio. La frazione toracica sono le particelle fini che raggiungono la trachea. La frazione ultrafine sono le particelle che arrivano ai sacchi alveolari. Le vie d’ingresso nell’organismo sono: la pelle, il tratto respiratorio, l’apparato digestivo (organi target prin-cipali). L’efficacia dei meccanismi di clearance polmonari diminuisce all’aumentare del numero di particelle inalate (quindi dell’esposizione ad esse), i macrofagi non sono più in grado di fagocitarle. Le particelle possono essere ingoiate direttamente o essere presenti sui cibi (soprattutto quelli ben cotti) Le particelle possono depositarsi nella cute e penetrare tramite essa.
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Una volta penetrati, attraverso il sangue, raggiungono la (54.50), il SNC (probabilmente attraverso il nervo olfattivo) , il fegato, la milza ed altri. Gli effetti sulla salute sono: Alterazioni del SNC e del sistema nervoso autonomo, basso peso alla nascita, nascita pretermine, anomalie congenite (soprattutto malformazioni cardiache), ritardo nell’accrescimento intrauterino, incremento della mortalità pre e post-natale, aumentata incidenza di asma e di altre patologie respiratorie nei bambini, riduzione della funzionalità polmonare, patologie cardiovascolari, cancro. Gli effetti a breve termine sono-> aumento f cardiaca e valori pressori (c’è correlazione tra i giorni di mag-giore inquinamento e il numero di accessi ospedalieri per patologie respiratorie o cardiovascolari) Queste particelle determinano a carico del polmone determinano alterazione della funzionalità, della rispo-sta immunitaria, esacerbazione di patologie polmonari preesistenti (asma, BPCO), fibrosi, tumori (c’è corre-lazione, nei pz asmatici, tra uso dei broncodilatatori e inquinamento ambientale, e c’è una maggiore inci-denza di neoplasie polmonari in soggetti sottoposti ad esposizione lavorativa, es.saldatori). Per quanto riguarda l’azione sull’ apparato cardiovascolare le particelle sono state messe in relazione con ischemia cardiaca, TIA, aumento dei valori pressori, riduzione della cavità (? 58.40) e della frequenza car-diaca e aumento dei markers di trombosi ed infiammazione. L’esposizione alle particelle ultrafini è responsabile di alterato rilascio delle citochine a livello ippocampale e quindi di depressione e deficit cognitivi (uno studio ha dimostrato un declino cognitivo più precoce e stati simil-ansiosi in donne che vivono in centri urbani rispetto a donne in aree rurali). Hanno relazione anche con il morbo di Alzheimer. Le nanoparticelle assorbite attraverso il tratto gastroenterico sono responsabili di una risposta infiammato-ria che può essere causa del morbo di Crohn. Il meccanismo patogenetico comune a tutti i tipi di danno indotti da queste particelle è l’attivazione del processo infiammatorio con rilascio dei vari mediatori, quindi il danno è provocato non solo dalla particella stessa (che essendo piccola supera la barriera capillare e raggiunge il sangue) ma anche dalle sostanze che da essa sono introdotte nell’organismo, come i metalli che le particelle captano dall’atmosfera. Il danno interessa tutte le strutture cellulari: il nucleo, la membrana, i ribosomi, l’apparato del Golgi e così via.
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Sono la dottoressa Lamberti e mi occupo della parte clinica di medicina del lavoro. Il corso fatto da me
verterà sulla gestione delle problematiche cliniche di origine occupazionale da parte del medico del lavoro.
Di tutti gli agenti di rischio occupazionali presenti nelle realtà lavorative, quelli che maggiormente risultano
pericolosi sono:
I movimenti ripetitivi
La movimentazione manuale dei carichi [spostamento di pesi (edilizia) o di pazienti ( ospedale)]*
Rumore
*è una problematica molto presente, cioè ha una tra le maggiori incidenze di denuncia tra le malattie
professionali correlate a queste patologie.
La medicina del lavoro nasce come branca della medicina interna, per tutelare lo stato di salute psicofisica
dei lavorati esposti ad agenti di rischio occupazionali. I decreti legislativi che vi mostrerò, senza i quali il
medico del lavoro non può attuare la sua attività di sorveglianza sanitaria, sono nati esclusivamente per un
motivo : ridurre al minimo l’insorgenza di infortuni e morti presenti nelle realtà lavorative.
Il medico del lavoro, ma tutti i medici, il med.lavoro più degli altri perché è soggetto ad una sanzione più
salata qualora non ottemperi, è obbligato , qualora faccia una visita medica ad un lavoratore che presenti
una patologia, per esempio una lombosciatalgia che insorge durante lo svolgimento dell’attività lavorativa,
o una neoplasia di origine occupazionale, collegata ad esposizione ad agente cancerogeni, è obbligato a
denunciare questa patologia e se non lo fa incorre in sanzioni salatissime.
La med del lavoro nasce per ridurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e malattie professionali.
Il tasso d’incidenza che ora si attesta a circa 2 morti al giorno sul lavoro è un valore che deve portarsi a 0
con la giusta applicazione delle misure di prevenzione e sicurezza dettate dalla medicina del lavoro.
Andiamo ai decreti legislativi. Ce ne sono stati tanti che già dal 1800 hanno regolamentato la medicina del
lavoro, in particolare i decreti legislativi:
DL 277/91
DPR 303/56
DL 626/94 ( “decreto cardine della sicurezza sui luoghi di lavoro”)
Hanno dettato le regole fondamentali per attuare un sistema di sicurezza sui luoghi di lavoro.
I primi due hanno parlato per la prima volta di tutela nei confronti degli agenti di rischio chimico-fisici del
rumore del piombo e dell’amianto.
Con decreto legislativo 626/94 si è per la prima volta diviso in titoli (11) ed articoli quelli che sono tutti gli
agenti di rischio presenti nelle realtà lavorative. Ciò significa che per la prima volta una legge è stata
strutturata in capi, versi e titoli in modo da dare delle direttive precise a tutte le figure addette al sistema
sicurezza su come organizzare questo sistema per indurre al minimo l’insorgenza degli infortuni e delle
malattie professionali.
Quindi il decreto cardine che ha per la prima volta suddiviso e in capi e titoli le problematiche della
sicurezza nei luoghi di lavoro è il decreto 626/1994.
Dopo questo i decreti che sono stati emanati, che sono quelli vigenti, secondo i quali noi medici del lavoro
lavoriamo, sono stati quelli nati dal Ministero Prodi. Allora il ministro Prodi, prima di passare la staffetta al
lungo ministero Berlusconi, fortemente spronato dai sindacati, ha emanato questo decreto il DL 81/2008,
che ha stravolto tutti quelli che erano gli obblighi alle varie figure relative alla sicurezza, che dopo vedremo,
dando per la prima volta un carico di responsabilità alle singole figure, non solo al medico del lavoro, ma a
tutta una serie di figure che girano intorno alla sicurezza.
Quindi il DL 81/2008 e poi DL 106/2009 sono quelli vigenti ora che dettano i requisiti e le caratteristiche per
operare in sicurezza negli ambienti di lavoro.
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Tutto quello che vi spiegherò in queste poche lezioni che faremo, nasce da questi due decreti attualmente
vigenti.
Ci sono diverse figure addette alla sicurezza. La mia branca è un po’ al limite tra la medicina legale e la
medicina interna. E’ un’applicazione in clinica di una serie di leggi per tutelare la salute, non dei pazienti,
ma del lavoratore. Protagonista di questa tutela non è solo il medico del lavoro. Questi si trova ad interagire
con una serie di figure , che sono deputate dai decreti ad ottemperare ad una serie di obblighi in materia di
sicurezza. Faccio sempre l’esempio della nostra università: per voi che siete dipendenti a tutti gli effetti
secondo il DL 81/08 come studenti o tirocinanti che stanno svolgendo attività lavorativa, anche solo ai fini
di apprendere un mestiere, dovete essere sottoposti a visita medica, sorveglianza sanitaria, anche gli
studenti anche gli apprendisti, perché la legge dice che anche una tempistica breve, come un’esposizione di
breve durata ad un agente di rischio biologico, che potete incontrare quando andate a fare i tirocini, può
fare insorgere nello studente una patologia di origine lavorativa. In questo sistema di tutela non c’è solo il
medico del lavoro, ma il datore di lavoro, in questo caso il rettore, i dirigenti e i preposti , che non sono
altro che coloro a cui viene fatto un demando di obblighi. Questo perché in una realtà aziendale cosi grande
non è detto che il proprietario di quella struttura sia sempre presente in tutte le micro realtà. Quindi è
necessario demandare compiti relativi alla sicurezza ad una serie di figure che sono i dirigenti e i preposti
che devono aiutare il datore di lavoro, nell’ottemperanza degli obblighi in materia di sicurezza.
Ci sono altre figure di minore importanza, che aiutano il datore di lavoro.
RLS: rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Una persona eletta dai lavoratori, che si interfaccia col
datore di lavoro per tutte le problematiche sollevate dai singoli lavoratori.
( ci sono anche i Sindacati, ma, nella realtà lavorativa di riferimento, c’è un rappresentante che va a gestire
le problematiche di ordine quotidiano, come le mascherine non efficaci …. e rappresenta l’interfaccia col
datore di lavoro)
RSPP: responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Può essere composta da uno o più persone.
Redige in un libro ( documento di valutazione dei rischi) tutti i rischi presenti nella realtà lavorativa. Tutti i
responsabili della sicurezza sono obbligati a firmare, per presa visione, questo testo.
Preposto: è un tutor a cui si è assegnati per un semestre.
La cartella sanitaria di rischio. Il medico del lavoro è obbligato ad redigere una cartella dove sono
dettagliate una serie di caratteristiche anamnestiche e lavorative del soggetto che si sottopone a visita.
La cartella è molto simile ad una cartella presente in un reparto di degenza. Ci sono delle piccole differenze
legate ad alcuni capi, quali: dati relativi all’azienda di provenienza e oltre, all’anagrafica dei lavoratore, c’è
una parte relativa all’anamnesi lavorativa. Quest’ultima è necessaria soprattutto per fare uno stato zero e
capire se c’è stata una pregressa esposizione ad un agente di rischio.
E’ molto importante fare questo back-ground anamnestico lavorativo, perché, qualora insorga una malattia
professionale, questo dato viene valutato dall’INAIL , ente preposto sul territorio nazionale per l’indennizzo
dei danni allo stato di salute, che possono insorgere nel lavoratore.
Quindi vengono effettuate delle visite mediche preventive e delle visite mediche periodiche nell’ambito
della sorveglianza sanitaria.
La visita medica preventiva viene fatta per controllare degli eventuali stati pregressi di malattie in atto. Per
esempio, un lavoratore con una dermatite allergica da contatto cronica che deve essere esposto ad
allergeni di origine professionale. Quindi la visita preventiva è fondamentale per ritrovare stati di
ipersuscettibilità clinica, atopie in questo caso, presenti nel lavoratore che dovrà essere sottoposto ad un
agente di rischio che potrà interferire con questa situazione di ipersuscettibilità.
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La condizione presente in fase di visita preventiva determina delle decisioni in merito a quello che è il
giudizio d’idoneità, che permetteranno di lavorare o di non lavorare o di lavorare con opportune
precauzioni.
La cartella di sanitaria di rischio nasce con questi termini, perché il DL81/08 e DL106/2009 e di altri piccoli
decreti d’integrazione ci dicono che la cartella deve essere fatta in questo modo.
La visita viene fatta in fase preventiva e poi in maniera periodica. Perché non è detto che la problematica di
salute non possa essere slatentizzata dall’attività lavorativa, quindi una tempistica diversa per ogni agente
di rischio lavorativo prevede una visita periodica.
La legge ha stabilito che ci siano altre visite obbligatorie. Sempre quando c’è l’esposizione agli agenti di
rischio cancerogeno, la legge stabilisce che ci sia una visita obbligatoria alla fine del rapporto di lavoro.
Perché, per esempio, tecnico di radiologia esposto a radiazioni ionizzanti, si effettua una visita alla
cessazione del rapporto di lavoro per attestare lo stato di salute dopo l’esposizione ad un agente
cancerogeno. Lo stesso vale per l’esposizione ad agenti cancerogeni come metalli, come la silice e come
l’amianto. Altra visita obbligatoria è quella che viene effettuata quando c’è un cambio di mansioni.
Alla fine della cartella sanitaria viene espresso un giudizio sullo stato di salute del lavoratore. Non è quasi
mai un giudizio di idoneità piena. La legge prevede anche un giudizio di idoneità parziale che viene definito
con prescrizione o limitazione. Ciò significa mantenere il lavoratore alla sua precedente attività lavorativa,
ma farlo con delle precauzioni. Ci sono una serie di patologie croniche che non potrebbero essere gestite se
non tramite l’utilizzo di queste limitazioni e prescrizioni. Quindi significa di consigliare al lavoratore di
utilizzare ulteriori dispositivi di protezione individuale, come guanti, mascherine, camici, tutto ciò che va a
tutelare come presidio esterno la salute del lavoratore.
Esprimere un giudizio d’idoneità con limitazione significa riorganizzare l’attività lavorativa del lavoratore
che ha una particolare patologia per essere reinserito nel lavoro. Grazie a questi giudizi si riescono a
mantenere al lavoro alcuni lavoratori con problematiche serie come l’epatite o meno complicate come la
lombosciatalgia cronica e permettere di ritornare alla precedente mansione con opportune precauzioni per
tutelare il lavoratore stesso. Esempio: il lavoratore con lombosciatalgia cronica eventualmente sottoposto a
un ciclo farmacologico di decontratturanti e antiinfiammatori che non risolve la problematica. Molto spesso
le lombosciatalgie sono refrattarie alla terapia farmacologia, refrattarie a una terapia riabilitativa fisiatrica,
quindi dopo uno o due mesi il lavoratore deve tornare a lavorare, magari è un lavoratore nel settore
dell’edilizia o un infermiere che si trova in reparti con un alto indice MAPO, che è un indice che viene
utilizzato per quantizzare il rischio da movimentazione di pazienti soprattutto in reparti come la geriatria
dove ci sono pazienti allettati e ci sono infermiere che movimentano questi pazienti e vanno a sollecitare il
rachide. Quindi supponiamo che questo infermiere vada incontro periodicamente a lombosciatalgie che
periodicamente determinano un rientro dopo un’assenza per malattia. Il medico del lavoro gestisce questa
situazione dando un’idoneità con limitazione che permetterà al lavoratore di tornare al lavoro svolgendo la
sua attività riducendo però il carico (esistono linee guida di medicina del lavoro che stabiliscono dei carichi
massimi lavorativi o che consigliano dei sussidi prescritti da fornire al lavoratore che vengono utilizzati per
ridurre il peso che grava sulla colonna vertebrale). In questo modo il lavoratore potrà riprendere la sua
precedente mansione e non rischierà un licenziamento.
Abbiamo poi l’inidoneità che può essere temporanea o permanente. Es. temporanea chirurgo con Epatite
C in fase attiva che si sta sottoponendo a una terapia antivirale; in questo caso le linee guida consigliano di
interrompere l’attività lavorativa per 6 o 12 mesi. Dopo tale periodo con le analisi e la consulenza
infettivologica o eventualmente consulenze diverse per altri lavori, si procede all’espressione del giudizio di
inidoneità temporanea o permanente con il quale si può sfociare nel licenziamento.
Il lavoratore ha diritto di confutare il giudizio avverso espresso dal medico del lavoro e a tal proposito per
legge è ammesso il ricorso entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio stesso. Quindi il
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lavoratore (ma anche il datore di lavoro) ha diritto a confutarlo seguendo un iter (il giudizio è in mano al
lavoratore ma anche al datore di lavoro). Il giudizio viene portato all’asl di riferimento territoriale; nell’asl
c’è una sezione definita organo di vigilanza territorialmente competente composta da medici del lavoro e
tecnici non medici che vanno a valutare la cartella clinica, i protocolli strumentali utilizzati, il giudizio
espresso per quel lavoratore che ha fatto ricorso. Dopo la valutazione quest’organo esprime un giudizio
finale inderogabile. Questo diventa il giudizio vigente che il lavoratore deve rispettare. Tutto ciò era già
stabilito dal decreto legislativo 626 del’94 ed è stato ribadito, perfezionato e integrato dal decreto 81/2008
e dal 106/2009.
Il ruolo del medico del lavoro è quello di prevenire i danni causati da condizioni insalubri legati alle attività
lavorative e quello di individuare le cause di origine lavorativa che possono aver fatto scatenare la patologia
occupazionale e soprattutto di effettuare denuncia di malattia professionale o di infortuni di origine
lavorativa. Qualora si ponga al medico una patologia recidivante come una patologia allergica, è
importante non solo dare la terapia ma anche capire se tale patologia sia legata al luogo di lavoro (per
esempio l’allergia al talco presente nei guanti al lattice che utilizza un infermiere professionale
ospedaliero).
Il medico di medicina generale come il medico del lavoro ha l’obbligatorietà di denunciare malattie
professionali o infortuni insorti in attività lavorative. Tutti i medici sono obbligati eticamente a denunciare
malattie professionali (per esempio pazienti esposti a silice); questa denuncia viene fatta con appositi
moduli dati ai medici di base ma che sono scaricabili anche dal sito dall’INAIL da tutti i medici che ne
vengono a conoscenza.
Esempio di denuncia del lavoratore per malattia professionale e giudizio negativo :
in un centro di radiologia un tecnico di radiologia donna di 27 anni viene in visita periodica e tramite
radiografia scopre di avere un carcinoma mammario. Attivato l’iter oncologico, io medico del lavoro
riempio i moduli relativi alla denuncia da malattie professionali usando anche tabelle di riferimento dove
ogni malattia è associata a un agente di rischio, in questo caso cancerogeno. Una copia della denuncia viene
inviata all’INAIL, una copia all’asl e una copia la manda il datore di lavoro. La copia che io mando all’INAIL
prevede una serie di indagini. Dopo la denuncia la struttura ha avuto una serie di controlli da parte
dell’INAIL sull’adeguatezza dei luoghi di lavoro relativi a quell’agente di rischio, in questo caso era
importante soprattutto la valutazione delle apparecchiature radiologiche. La struttura è stata chiusa non
per le apparecchiature (che erano tutte a norma) ma per una scala a chiocciola che non era idonea e che
poteva portare a infortuni sul lavoro. L’INAIL ha poi mandato una risposta relativa alla non presenza di
nesso di causalità della patologia con il lavoro perché la lavoratrice aveva lavorato nella struttura solo per
18 mesi, dei quali solo 3-4 di effettiva esposizione poiché aveva avuto una gravidanza. Inoltre i dosimetri
per le radiazioni inviati ogni 2 mesi al controllo segnalavano una quota nulla di esposizione a radiazioni
ionizzanti. Quindi l’INAIL ha accertato l’assenza del nesso di causalità e la lavoratrice non ha avuto nessun
indennizzo.
Esempio di denuncia e giudizio positivo: insorgenza di patologie neoplastiche associate all’esposizione
all’amianto nei quali casi i lavoratori o i loro familiari in caso di decesso dello stesso sono stati indennizzati.
Fino al 2002 era obbligatorio completare la specializzazione in medicina del lavoro in anestesia e radiologia
per firmare i referti come medico del lavoro. Quindi queste 3 specializzazioni permettevano di svolgere il
lavoro di sorveglianza sanitaria.
Nel 2002 il decreto accorpato nel 81/2008 stabilì che anche gli specialisti in igiene e medicina legale
potevano equipararsi ai medici del lavoro e svolgere attività di sorveglianza sanitaria; ciò successivamente è
stato modificato in modo che questi specialisti dovessero effettuare un master abilitante di secondo livello
di 10 mesi per poter esercitare la sorveglianza sanitaria.
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L’art 39 del decreto 81/2008 stabilisce anche che il medico del lavoro operi secondo criteri stabiliti dalla
commissione dell’ICOH (ente internazionale preposto alla sicurezza nei luoghi di lavoro). Il medico del
lavoro opera secondo i principi legati all’ente ICOH.
Il medico del lavoro non si occupa solo di effettuare visite mediche preventive e periodiche ma ha un’altra
serie di adempimenti obbligatori (secondo l’art 25 del decreto 81 del 2008) come:
- collaborare alla valutazione dei rischi insieme al datore di lavoro
- istituire aggiornare e custodire la cartella
- consegnare alla cessazione del rapporto di lavoro la cartella al lavoratore soprattutto in caso di
esposizioni cancerogene
- informare il lavoratore dei risultati della sorveglianza sanitaria (si può avere copia dei risultati e risposta
riguardo lo stato di salute, rappresenta un diritto del lavoratore tutelato dalla legge)
- effettuare il sopralluogo dei luoghi di lavoro (visitare il luogo di lavoro 1-2 volte l’anno) dove afferiscono i
miei lavoratori. Andare a osservare il luogo di lavoro serve per capire se vi sono altri agenti di rischio oltre a
quelli già segnalati. Per esempio posso scoprire che l’anestesista oltre ad essere esposto a rischi di tipo
biologico passa anche molto tempo al pc per lavoro e questo rappresenta un altro fattore di rischio che
vado a riportare nel documento di valutazione dei rischi. L’obbligo del sopralluogo vige sia per il datore di
lavoro che per il medico di lavoro.
- collaborare alla valutazione dei rischi
- effettuare formazione e informazione sui rischi in ogni attività lavorativa (ad esempio lezioni a lavoratori
esposti al rischio di radiazioni ionizzanti per spiegare come lavorare in sicurezza).
Se il medico del lavoro non adempie ai suoi obblighi (sorveglianza sanitaria, sopralluoghi controlli di lavoro,
formazione e informazione sui rischi), è soggetto a sanzioni per legge.
Tutti questi obblighi sono ben specificati da decreti ben strutturati, ma vi è il problema dell’attuazione della
sicurezza nei luoghi di lavoro. Ciò accade soprattutto al sud e consiste nella mancata ottemperanza degli
obblighi di legge. Nel meridione la medicina del lavoro non si è incrementata, al contrario di alcune regioni
del nord, dove invece è una realtà molto presente.
Agenti di rischio:
-agenti di rischio chimico sono quelli collegati all’esposizione a metano, solventi, cancerogeni.
-agenti di rischio fisici come rumore, vibrazione ecc.
-agenti di rischio biologico come hbv, hcv, hiv ecc.
-agenti di rischio trasversali (perche riguardano tutte le condizioni lavorative), rappresentati da stress
lavoro correlati come mobbing o burn out (riconosciuti come rischi professionali a tutti gli effetti in Europa
dal 2004 e in italia dal 2008).
-le allergopatie professionali come l’asma allergico professionale e le dermatiti irritative e da contatto di
origine lavorativa.
-a parte rientrano le problematiche di disergonomia come la movimentazione manuale di carichi, i
movimenti ripetitivi, l’assunzione di posture incongrue e i danni da utilizzo protratto di videoterminali (pc).
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LEZIONE DI MEDICINA DEL LAVORO 14 0TTOBRE 2014, prof Lamberti
Figure del sistema sicurezza, agenti di rischio e introduzione al contesto lavorativo dell’ambiente
ospedaliero (rischio biologico).
Oggi facciamo un excursus rapido sulle figure addette al sistema sicurezza. (quanto di seguito riportato fa
capo a quanto stabilito dal DL 81/2008)
Il lavoratore: consideriamo tale anche colui che, non retribuito, svolge un’attività al sol fine di apprendere
un mestiere, un arte o una professione, quindi anche gli studenti e gli apprendisti, i quali dovranno pertanto
essere sottoposti a sorveglianza sanitaria, in quanto si ritiene che una esposizione, anche breve, a rischio
lavorativo, vuoi sia biologico o chimico, ecc., possa produrre degli effetti sul suo organismo. La tutela di
queste figure è un obbligo del datore di lavoro. Nelle realtà industriali (??? Non sono certa sia la parola
giusta, ma è quanto mi è parso di capire, nds) se il lavoratore non si presenta a visita o al corso di formazione
in materia di sicurezza è sottoposto a sanzione, ciò sta a significare che si tratta di un obbligo.
Il datore di lavoro: è la figura massimamente responsabile del sistema sicurezza e maggiormente coinvolta
dal sistema sanzionatario. È il soggetto titolare del rapporto di lavoro col lavoratore. Si distingue dalle altre
figure (dirigente, preposto ecc.) poiché è l’unico che retribuisce il lavoratore, tutti gli altri obblighi possono
essere demandati alle altre figure, ma con obbligatorietà di firma, ovvero è possibile delegare la formazione
in materia di sicurezza, la sorveglianza e altro, purchè si sottoscriva (da ambo le parti) un documento che
sancisca il passaggio di responsabilità. Doveri del datore di lavoro: informare e formare il lavoratore,
provvedere alla sorveglianza sanitaria, nominare il medico del lavoro, corrispondere il trattamento
economico e stendere il documento di valutazione dei rischi. Questo documento elenca tutti i fattori di
rischio cui è esposto il lavoratore in funzione dell’ambiente in cui opera e della mansione che svolge; in
particolare all’articolo 28 della legge, si dice che tale documento non deve tralasciare alcun tipo di rischio,
come le problematiche stress lavoro correlate, deve altresì riportare le misure di sicurezza messe in atto per
la tutela delle lavoratrici in stato di gravidanza: il decreto per la prima volta introduce il concetto di
differenza di genere.
Dirigente o preposto: (per es. direttore di dipartimento) deve vigilare sull’osservanza degli obblighi di
formazione e sorveglianza sanitaria cui il lavoratore deve sottostare, assicurarsi che la formazione sia
adeguata e messa in pratica sul campo e che solo coloro che sono adeguatamente formati possano accedere a
determinate mansioni, egli deve anche fare segnalazione tempestiva di inefficienze relative a dispositivi o
metodiche di protezione individuale al datore di lavoro, il quale disporrà appositi sopralluoghi di verifica ed
eventuali provvedimenti. Anche dirigenti o preposti sono sottoposti obbligatoriamente a corsi di formazione
con verifica periodica.
RSPP (responsabile del servizio di protezione e prevenzione) figura nominata dal datore di lavoro per
aiutarlo alla stesura del documento di valutazione dei rischi.
AGE (addetti alla gestione emergenza e anti-incendio) sono lavoratori che vengono nominati in numero
variabile, 1 o più in funzione della grandezza della realtà lavorativa di cui sono responsabili, e
successivamente formati allo svolgimento di questa nuova mansione; colui che viene nominato non può
sottrarsi a tale compito (articolo 18) a meno che il medico del lavoro (previa richiesta di visita valutativa da
parte del datore di lavoro) non lo giudichi inidoneo per caratteristiche psico-fisiche. Tali figure sono anche
formate (nel nostro ateneo a partire dal mese prossimo) all’utilizzo del defibrillatore (la cui presenza è
diventata obbligatoria sui luoghi di lavoro a partire da gennaio 2013) e al BLSD.
Volendo riassumere, le finalità della sorveglianza sanitaria sono: operare formazione in materia di sicurezza
sul luogo di lavoro, monitoraggio e valutazione dello stato di salute psicofisica di ogni lavoratore; il medico
del lavoro è inoltre tenuto a stilare ogni anno una relazione sullo stato di salute della popolazione lavorativa
di cui è responsabile, da inviare poi all’INAIL; questa relazione riporta tutte le patologie professionali che si
sono eventualmente manifestate, senza alcun riferimento anagrafico del malato; tali dati saranno sottoposti a
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valutazione dall’INAIL per fare uno studio epidemiologico che monitori e porti a conoscenza delle patologie
professionali che sono presenti in Italia.
Vi avrà poi già detto il prof Sannolo che la visita preventiva del lavoratore da parte del medico del lavoro
serve soprattutto a individuare quelle condizioni di ipersuscettibilità individuale a determinati fattori che
possono diventare dei deterrenti all’assunzione del soggetto o al suo inserimento in contesti che espongano a
particolari agenti di rischio.
Veniamo ora alla classificazione degli agenti di rischio che possiamo incontrare in qualsiasi contesto
lavorativo:
-fisici: radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, vibrazioni, rumore, microclima
-biologici: (i principali) hbv, hcv, hiv, tbc, morbillo parotite e rosolia (limitatamente a piccole realtà, come la
pediatria), ebola (era un problema molto raro in passato, ritornato tristemente in auge negli ultimi tempi)
-chimici: gas anestetici, farmaci antiblastici, detergenti, disinfettanti, sterilizzanti e solventi; di questi alcuni
sono anche cancerogeni come ad esempio gli antiblastici, di questi poi alcuni hanno specifiche tossicità
d’organo come il 5fluorouracile che è etichettato come cardiotossico. La manipolazione di queste sostanze
senza adeguati dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherina) ha provocato la manifestazione di
patologie a carico di determinati organi o apparati.
-movimentazione manuale dei carichi (mmc) e movimenti ripetitivi: come abbiamo già detto nella scorsa
lezione, sono esposti a mmc tutte le realtà lavorative, in ambiente ospedaliero parliamo di movimentazione
manuale dei pazienti da parte di infermieri, soprattutto nei reparti di lunga degenza come quelli di geriatria e
ortopedia; le patologie che più frequentemente scaturiscono da mmc sono a carico di rachide, polso e spalla.
Mmc e movimenti ripetitivi rientrano nell’ambito dell’ergonomia del lavoro, una branca della medicina del
lavoro che in particolare studia l’esatta organizzazione del lavoro, gli aspetti più pratici, per poter poi
sviluppare ambienti e supporti adattati alle esigenze del lavoratore (per es. luminosità, sedie, ecc.) esempio di
mestieri caratterizzati da movimenti ripetitivi è quello della cassiera. Rientrano anche nelle competenze
dell’ergonomia del lavoro i vdt (videoterminalisti) che sono quei lavoratori (segretari, impiegati) che
trascorrono almeno 20h, non necessariamente continuative, a settimana utilizzando dei videoterminali;
questo limite delle 20h non continuative è una novità del 2000 (legge comunitaria poi acquisita e introdotta
nel DL 81/2008), precedentemente, infatti, si consideravano vdt solo coloro che stavano al videoterminale
per 4h/die per 5 giorni consecutivi . Per questa categoria di lavoratori c’è un titolo della legge che stabilisce
come e con che cadenza vanno visitati.
(un ragazzo chiede se non vadano inquadrate come vdt anche molte altre figure lavorative e non solo, la prof
risponde che in pratica è così, ma la legge prevede che, relativamente ai soli lavoratori ovviamente, siano
sottoposti a visita solo coloro che vengono definiti vdt dal datore di lavoro –sempre a patto che rispettino il
limite delle 20h-, fa quindi l’esempio dei docenti della facoltà di medicina che vengono dichiarati solo come
esposti al rischio biologico pur se passano molte ore al pc a stendere lavori di ricerca, pertanto saranno
sottoposti solo a visita per rischio biologico e non per i problemi visivi che pure potrebbero avere; altro
esempio è fatto parlando dell’ipotetico caso dell’autista che trasporta pz che devono fare fisioterapia
dichiarato invece dal datore di lavoro come fisioterapista, in questo caso il problema è più grave, perché al
fisioterapista non si fanno ad esempio i controlli sul tasso alcolemico che invece sarebbero previsti per
l’autista, ma lo si visita solo, per es., per mmc, è chiaro quindi le conseguenze di questa non esatta
dichiarazione del datore di lavoro possono rivelarsi molto più pericolose. La prof aggiunge che, qualora
emergesse la realtà di questa situazione, l’unico penalmente responsabile e perciò perseguibile, nonché
sottoposto a pesanti sanzioni, è proprio il datore di lavoro, in quanto il medico del lavoro ha l’obbligo di fare
esclusivamente i controlli dovuti, relativamente ai soli rischi dichiarati dal datore di lavoro per quella
categoria di lavoratori, non è tenuto di accertarsi che quanto dichiarato risponda al vero e non ha
responsabilità in caso accada qualcosa – come conseguenza del rischio non indagato perché non dichiarato-).
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-rischi trasversali: sono riconosciuti dal 2008 e ritenuti responsabili di provocare stress e patologie
psicologiche lavoro-correlate, si tratta di: sindrome del burn out, mobbing, lavoro a turni
- allergopatie professionali come alcune forme asmatiche, dermatiti atopiche e da contatto, esse sono
presenti in diverse realtà lavorative.
-cuore e lavoro: per es. infartuato da reinserire, al riguardo non ci sono linee guida e si sta ancora valutando
come procedere
(Filomena Boccia)
E andiamo ai rischi presenti in ambiente ospedaliero (siamo ancora alla prima lezione, io mi auguravo che a
quest’ora fossimo già alla terza, però mi fa piacere che mi fate le domande e rendiamo la lezione più
discorsiva).
Quando faccio vedere queste immagini dico sempre che la mia specializzanda, avendo fatto l’erasmus in
Francia,in un ospedale di Nizza, ha mostrato quest’immagine che ben si presta alla spiegazione di tutti gli
agenti di rischio ospedalieri,in quanto l’ospedale rappresenta un esempio di realtà lavorativa dove ci sono il
90% degli agenti di rischio che prima abbiamo mostrato. Il laboratorio,la sala operatoria e i reparti di
degenza sono quelli in cui il rischio biologico,quello chimico e quello fisico sono largamente presenti, non
da ultimi anche i rischi trasversali. In ambiente sanitario rischi da stress lavoro-correlato sono principalmente
la sindrome del burn out,che è una patologia che riguarda le figure d’aiuto, quindi medici e infermieri, che
porta, in una serie di fasi successive, da una condizione iniziale di grande entusiasmo per la professione a
una condizione di completo distacco dalla professione stessa, per un inevitabile contrasto quotidiano con
quelle che sono le impossibilità di realizzare tutte le idee positive in merito alla professione medica, legate
molto spesso all’inadeguatezza dei luoghi di lavoro.
E andiamo al rischio biologico, che è la seconda parte della lezione. Ragazzi questa è una lezione a cui tengo
parecchio, quindi mi auguro che la seguiate con attenzione.
Domanda: i turni di lavoro di 12 ore( notturni e diurni) possono essere considerati fattori di rischio
trasversali? se sì, perché non vengono eliminati?
Risposta: solo quelli notturni sono riconosciuti come tali ( i turni prolungati giornalieri non sono
contemplati) e questo ha una motivazione scientifica, perché la mancanza di sonno si associa a
un’alterazione del bioritmo fisiologico ,c’è un’alterazione ormonale, una iperproduzione di cortisolo,quindi
questa problematica è stata correlata all’insorgenza di ansia e depressione e ancora ad altre cose:ci sono una
serie di lavori scientifici relativi a donne (medici o infermiere) che hanno sviluppato il ca mammario, quindi
parliamo di uno stress lavoro-correlato che provoca l’insorgenza di patologie neoplastiche. Nella valutazione
dello stress non ci si basa solo sulle dichiarazioni del soggetto interessato, ma si ricorre a questionari
standardizzati, che vi farò vedere, con items di riferimento, per cui il risultato sarà confrontato con delle
fasce di riferimento verde, giallo o rosso, come un semaforo: l’esito in fascia verde comporta la riproposta
del questionario negli anni, l’esito in fascia giallo-rossa comporta la riproposta del questionario non più a
gruppi di lavoratori ma ad personam, questionari soggettivi, e qualora il questionario soggettivo confermi il
disturbo psicologico, il datore di lavoro è tenuto a pagare la terapia psicologica e il recupero psicologico o
psichiatrico( perché la psicoterapia può anche non essere sufficiente) fatti al lavoratore. La valutazione del
turno notturno come causa si stress viene fatta dall’INAIL, che contribuirà a pagare di tasca sua, insieme alla
struttura che ha scatenato lo stress, sulla base del lavoro già fatto dai medici del lavoro e dagli psicologi e
ulteriormente confermato da un team di medici dell’INAIL (pneumologi, ortopedici, dermatologi), tramite
ulteriori visite mirate a stabilire se c’è il nesso di causalità. Quindi non basta dire “sono stressato”, ma ci sarà
un’attenta valutazione per capire se questo stress è effettivamente legato al lavoro, valutazione clinico-
strumentale che comincia nella struttura grazie al medico del lavoro e si completa nell’ente che poi paga. La
donna in stato di gravidanza viene sottratta dal turno notturno per i nove mesi della gravidanza e per sette
mesi dopo il parto fino a un anno di vita del bambino, in maniera obbligatoria, fino a 3 anni di vita del
bambino potrà sottrarsi in maniera facoltativa; quindi il riconoscimento di rischio reale c’è,la letteratura
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medica lo dimostra e la legge lo riconosce, però ottenere un indennizzo per stress lavoro-correlato sarà di
sicuro più indaginoso rispetto al riconoscimento di una sovrainfezione da epatite B o C, qualora in seguito a
un follow up fatto da noi insorga una problematica di questo tipo che prima non era presente, poiché in tal
caso il dato è oggettivo, mentre per lo stress pochissime sono state le cause effettive riconosciute fino ad ora
(ricordiamo che è stato riconosciuto dal 2008).
Come vi ho detto ( e questa è una domanda che faccio frequentemente agli esami) gli agenti di rischio
biologico maggiormente presenti nel settore sanitario (perché poi ce ne sono tanti altri in settori non sanitari,
che non tratteremo) sono: HBV, HCV, HIV, bacillo della tubercolosi e poi morbillo, parotite e rosolia in casi
selezionati, cioè nei reparti di ginecologia e pediatria, e non da ultimo il virus Ebola.
In ambiente ospedaliero il rischio più noto e studiato è il rischio biologico: per rischio biologico intendiamo,
secondo il decreto legislativo 81 del 2008, non solo l’esposizione diretta ad un agente patogeno e quindi
microorganismo o OGM (organismo geneticamente modificato) ma anche l’esposizione di un lavoratore in
maniera indiretta a un microorganismo, per esempio coltivato in una coltura cellulare: quindi anche i biologi,
i chimici, i biotecnologi possono essere esposti a rischio biologico. Ci sono vari modi di classificare il rischio
biologico; nel famoso diario di valutazione dei rischi, io, medico del lavoro, che ho per la prima volta
l’incarico in un ospedale , trovo le informazioni relative a quali sono i rischi ai quali sono esposti i lavoratori
di cui mi occupo e,solo grazie a queste ,potrò realizzare un adeguato protocollo di sorveglianza sanitaria,
quindi vado a ricercare in quel documento, presente nell’azienda, quali sono le caratteristiche di rischio
biologico presenti in quella realtà. Per fare ciò mi servono delle classificazioni: le classificazioni di
riferimento vanno ad etichettare il rischio biologico in base a dei criteri di infettività, di trasmissibilità,di
patogenicità e neutralizzabilità. Nella pratica la classificazione degli agenti biologici è questa: (al nostro
ateneo è attribuita una classe di rischio tra 2 e 3) gli agenti biologici di gruppo 1 sono quelli che presentano
poche probabilità di causare malattie negli uomini, quelli di gruppo 2 possono causare malattia negli uomini
e quindi costituire un rischio per i lavoratori ,ma nei loro confronti sono sempre o quasi sempre presenti
misure profilattiche e vaccinali, quelli di gruppo 3 possono causare malattie gravi negli uomini e quindi
costituiscono un serio rischio nei lavoratori, possono propagarsi nella comunità e sono quasi sempre
disponibili misure profilattiche terapeutiche ( lo sapete che oggi anche per l’HCV in America è prevista una
terapia a pagamento che determina guarigione), infine ci sono quelli che non mi auguravo mai di trattare, gli
agenti di gruppo 4, per i quali non esistono ancora misure profilattiche e vaccinali, come ad esempio il virus
Ebola. Questa classificazione è importantissima perché permette ai medici del lavoro di andare a quantizzare
il rischio biologico in una determinata struttura. In realtà non lo faccio io medico del lavoro ma lo fa il datore
di lavoro, io posso esprimere la mia e dire ad esempio “guarda, i lavoratori che mi hai mandato non sono
sottoposti a rischio 2 ma 3, quindi adeguati!” ma non sarò mai io, altrimenti nessuno si specializzerebbe in
medicina del lavoro (o igiene e medicina legale e dopo farebbe il master), a modificare l’entità del rischio nel
diario apposito, ma si tratto di un obbligo del datore di lavoro.
Come si trasmettono gli agenti di rischio biologico?ci sono vari tipi di trasmissione:
-nosocomiale, che si studia maggiormente in igiene, da paziente infetto ad altro paziente oppure da ambiente
ospedaliero infetto a paziente;
-occupazionale, di cui ci occupiamo noi, da paziente infetto a operatore;
La domanda intelligente che potreste fare è “e quella che avviene da operatore a paziente?”: sul danno a terzi
ci sono decreti del ministero dell’Italia e Europa che non sono stati ancora emanati,si tratta di una
problematica ancora molto scottante, soprattutto in Italia. In merito alla questione ci sono dei consigli, che
possono essere utilizzati e ci vengono dalla Gran Bretagna, dove un operatore con epatite C cronica viene
invitato a chiedere al paziente il consenso informato a farsi operare; ovviamente è una proposta non
universalmente condivisa.
Domanda : ma in relazione alla trasmissione operatore-operatore? Cioè io medico infetto posso trasmettere
oltre che al paziente anche al collega…
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Risposta: è una cosa molto rara, in ogni caso il collega è sottoposto,come tutti gli altri operatori sanitari, a
sorveglianza sanitaria e lo sarà anche il medico infetto,quindi si sa già da prima se ci sono potenziali rischi di
trasmissione di uno stato infettivo e si cerca di gestirli quando possibile: se c’è un caso di epatite in fase
attiva, le nostre linee guida consigliano di allontanare il lavoratore, anche se fa il chirurgo e può fare solo
quello. Quindi sì ci può stare e scattano tutte le misure profilattiche e preventive, che sono la gestione
dell’infortunio, che ora vediamo,il referto del pronto soccorso e il follow-up a 0-3-6-12 mesi per vedere se
c’è stata la sovrainfezione.
Un altro concetto che dovete avere sul rischio biologico è questo: quando si parla di rischio biologico ci si
riferisce al titolo decimo del decreto legislativo 81 del 2008 e ci si riferisce non solo all’uso deliberato ,che
significa certo, cioè esposizione certa al fattore di rischio biologico, come nell’ambiente ospedaliero, ma
anche all’ uso potenziale: un esempio di esposizione potenziale al fattore di rischio biologico può essere
quello di un banale ufficio di una segreteria amministrativa, dove il videoterminalista lavora al computer per
quelle 20 ore settimanali e si becca una bella legionellosi, perché all’impianto di condizionamento non è stata
fatta la regolare manutenzione che comporta la pulizia dei filtri e vi si è annidata la legionella pneumofila. I
settori lavorativi con esposizione deliberata al rischio biologico sono invece l’università, i centri di ricerca
come i laboratori di microbiologia, i laboratori che sperimentano farmaci, l’industria delle biotecnologie e
degli OGM. Ci sono tutta un’altra serie di lavorazioni che vengono etichettate come a rischio biologico non
ospedaliero, che sono l’industria alimentare, l’agricoltura, la zootecnia, i servizi veterinari,la macerazione
delle carni e, non da ultimo, il servizio di raccolta,trattamento e smaltimento dei rifiuti; altre attività sono i
servizi di disinfezione, sterilizzazione e disinfestazione.
Andiamo quindi ai nostri agenti patogeni pericolosi, li ripetiamo fino alla noia:HBV,HCV,HIV,micobatterio
tubercolare e in rari casi anche la meningite, ma non la tratteremo. Questi dati nascono dalla letteratura
scientifica internazionale pubblicati dalla nostra agenzia di medicina del lavoro e igiene industriale, la
SIMLII dopo 30 anni di attività lavorativa da parte di medici competenti: si è notato che in realtà lavorative
vecchie di 30 anni fa ,quando il vaccino per l’epatite B non era obbligatorio, il range di sovrainfezione per
l’epatite B era più elevato di quello per l’epatite C, principalmente per i chirurghi e gli infermieri
professionali.
Nella mia piccola esperienza dal 2004 nel corso di medicina e chirurgia ci sono stati pochissimi casi si
studenti che si sono punti,rispetto a quelli delle lauree triennali,anche perché, tornando al discorso di
prima,da programma didattico c’è un gradualità di rischio biologico a cui siete sottoposti,dal momento che al
terzo anno dovreste imparare come minimo a misurare una pressione e a fare un’intramuscolo e al sesto a
inserire un sondino naso-gastrico (risata generale).
Questa è un’altra cosa importante: nel contatto percutaneo (sangue infetto-sangue non infetto) abbiamo una
percentuale di sovrainfezione più elevata per l’epatite C( ma stiamo comunque parlando di percentuali basse,
che rasentano lo 0, per HCV è lo 0,45% dopo lesioni percutanee e aumenta se la cute non è integra);è quindi
importantissimo usare i guanti, ma fino a 2-3 anni fa ho visto infermieri professionali in reparti di malattie
infettive senza guanti con pazienti cirrotici allettati: nel caso questi si pungano e sviluppino una dermatite da
contatto con microlesioni saranno più esposto alla sovrainfezione. Nell’HIV la sovrainfezione avviene invece
maggiormente con contatto mucoso. Le percentuali di sovrainfezione da contatto percutaneo sono comunque
basse perché entrano in gioco una serie di fattori: il vaccino contro l’epatite B che dà immunità certa se il
titolo anticorpale è superiore a 10 unità/L, per HCV entra in gioco prima di tutto la carica virale:c’è
differenza cioè tra una goccia di sangue o se ti sei imbrattato completamente di sangue,come può succedere
durante un intervento a cuore aperto dove non è la goccina di sangue ad andarti negli occhi o in bocca,
sempre se non tieni gli occhiali e la mascherina (perché ragazzi qua parliamo di infortuni, ma non parliamo
del fatto che nel 98% dei casi questi sono accaduti perché gli operatori non indossavano nemmeno le scarpe
antiscivolo: in sala operatoria non si va senza mascherina, non si va senza occhiali, non si va senza cuffia o
senza guanti, ancor di più se non c’è una condizione di protezione dall’epatite B, perché c’è una piccola
percentuali di voi che è non responders e quindi potrà fare anche il vaccino cento volte ma non si
immunizza.; quindi prima i dispositivi di protezione individuale, poi la tutela).
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Oltre alla descrizione della tipologia di rischio biologico, si tiene conto anche del livello di rischio biologico
su cui si basa un’altra classificazione:
-livello trascurabile: non c’è assistenza diretta al paziente e non vi è manipolazione dei campioni biologici; io
faccio l’esempio delle specializzazioni, in particolare degli specializzandi in medicina del lavoro o di igiene
(medicina legale no, perché gli operatori fanno le autopsie)che, a meno che non si dilettino a fare i prelievi,
risultano sottoposti a rischio biologico trascurabile;
-livello lieve: assistenza diretta dei pazienti o manipolazione dei campioni biologici: qui rientrano tutti i
reparti di un ospedale;
-livello medio: esecuzione di procedure invasive a rischio di esposizione, ad esempio interventi chirurgici in
sala operatoria;
-livello elevato: c’è assistenza diretta al paziente e manipolazione in prima persona di campioni biologici ma
in più ci sono condizioni tecniche, organizzative e procedurali insufficienti o sfavorevoli;
Domanda : un chirurgo si classifica come a rischio medio-alto?
Risposta : dipende…in genere è classificato a rischio medio alto, ma bisogna tener conto anche del tipo di
interventi che esegue: non in tutti i reparti in cui si fa chirurgia c’è questo rischio medio alto, il livello sarà
medio in una sala in cui quotidianamente si fanno interventi di ernia, alto in una in cui si fanno trapianti di
cuore.
E andiamo al caso clinico per rendere le cose più interessanti ( le lezioni sono strutturate in questo mondo
perché ci tenevo tanto che poi poteste avere un ricordo della medicina del lavoro come di qualcosa collegata
alla medicina interna, in effetti la nostra è una branca della medicina interna, dove senza le nozioni di
cardiologia, pneumologia, radiologia e ortopedia, non possiamo esercitare la nostra professione; quindi il
caso clinico, come lo avete visto in altre branche, viene presentato allo stesso modo anche qui, solo che oltre
all’anamnesi familiare e personale, c’è anche un’anamnesi lavorativa)
Medico di 50 anni attivo nella branca di microchirurgia ricostruttiva, presta attività lavorativa nel settore
ospedaliero da circa 15 anni. Ha un’anamnesi fisiologica senza grosse note (alvo e diuresi regolari, abitudini
voluttuarie normali,nega uso di alcol e stupefacenti,fuma 10 sigarette al giorno da 15 anni, riferisce di avere
assolto al servizio di leva, nega terapie farmacologiche in atto). L’anamnesi familiare rivela una negatività
per epatiti pregresse in atto (perché, come voi sapete, può capitare che in una famiglia ci sia più di un caso,
vista la facilità di trasmissione per la HCV- per HBV ormai siamo invece quasi tutti vaccinati-per abitudini
sessuali particolari o anche semplicemente andando dal barbiere o dall’estetista). All’anamnesi patologica
remota riferisce i CEI (comuni esantemi infantili: morbillo, parotite e varicella), non è vaccinato per HBV,
lamenta episodi frequenti di mialgie e lombalgie,iperfrequenti nelle realtà ospedaliere. Come sintomatologia
lamenta da circa due anni un’astenia aspecifica. Interventi chirurgici: appendicectomia e tonsillectomia in
età infantile. Infortuni lavorativi (domanda:hai mai avuto infortuni lavorativi?):ferita da taglio accidentale
durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciata come da protocollo di infortunio (
questo è un caso simile a quello che è realmente capitato a me,cioè quello di una specializzanda che ha
scoperto di avere l’epatite e ha ricordato di essersi tagliata, negli anni antecedenti alla scuola di
specializzazione,in un reparto di dialisi: solo quell’episodio nel suo background anamnestico si poteva
ricollegare a una pregressa infezione). Anamnesi patologica prossima( come stai adesso?): persistenza di
lieve astenia e calo ponderale, quindi segni molto aspecifici. E andiamo all’esame obiettivo: oltre a un dato
di peso, altezza e pressione arteriosa, si effettua, soprattutto in fase di visita preventiva, un esame obiettivo
generale per andare a osservare lo stato di salute clinica generale: andremo a fare un esame obiettivo del
cuore, del torace, con tutti quelli che sono i momenti (ispezione, palpazione, percussione e auscultazione) e
in particolare ci si concentra soprattutto su quell’organo dove immaginiamo di trovare un’alterazione
collegata al nostro agente di rischio lavorativo, che nel nostro caso è il fegato,che alla palpazione appare
debordante di 1 cm dall’arcata costale ,con una milza in questo caso nei limiti. Esami ematochimici: dati di
glicemia e azotemia bene o male nei limiti così come la creatininemia,AST e ALT 250 e U/l, quadro protido-
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elettroforetico nella norma. Voi avete già avuto nozione dei markers epatitici? Ce li rileggiamo insieme:il
nostro lavoratore presenza assenza di antigene Australia HbSAg, una presenza di HbSAb, un’assenza di
HbEAb e una presenza di anticorpi anti core HbCAb. Allora questo è un grafico omnicomprensivo (indica la
slide) che mi auguravo di trattare a mente fresca( in Finlandia i bambini iniziano a studiare a sette anni,
lavorano per 45 min e 15 min si riposano, voi siete più grandi ma già è passata un’ora e mezza di lezione),
quindi è meglio che questo ce lo andiamo a vedere nella prossima lezione.
(Carola Borrelli)
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Medicina del Lavoro 20/10/2014
Allora ragazzi la scorsa volta ci siamo lasciati descrivendo il caso clinico di un lavoratore di 50 anni attivo
nella branca … con un anzianità lavorativa di 15 anni, anamnesi fisiologica familiare e patologica remota
negativa, non vaccinato per hbv e con questa particolarità anoressica per il mercurio biologico avvenuta
durante un intervento chirurgico nei primi anni di attività, denunciato come da protocollo infortunio sul
lavoro. Esame obiettivo per lo più negativo tranne che per una positività a livello epatico per una lieve
epatomegalia, ecg e spirometria nella norma. Gli esami ematochimici di primo livello chiesti da un medico
del lavoro furono l’azotemia, glicemia, creatinina ( ai limiti), le transaminasi con AST 150 ALT 250 per litro,
emocromo, QPE nella norma. Andiamo ai markers epatitici: Hbs Ag Assente, Hbs Ab presente, Hb Ab
assente, Hbc Ab presente. Ritroviamo una positività del nostro lavoratore per gli anticorpi contro l’
antigene australe Hbs Ag e una positività per gli anticorpi contro l’antigene del core. Compare dopo 2-4
settimane dal contagio, compare dopo all’incirca 5-6 mesi e viene sostituito dall’anticorpo Hbs Ab, può
esserci una piccola eccezione legata al periodo finestra di breve durata dove possono convivere l’Hbs Ab e
l’Hbs Ag ad indicare una condizione di infezione recente nei confronti della quale l’organismo sta reagendo
con la comparsa dell’anticorpo Hbs Ab. Per quanto riguarda l’anticorpo Hbc Ag è un antigene che non viene
rivelato nel sangue del paziente, ma compaiono gli anticorpi contro questo antigene. Invece l’ HbE Ag è un
antigene che si ritrova nel sangue del paziente ed è associato al concetto di non proiettività in atto. Nei
confronti del Hb E Ag compaiono Hb E ab. Gli anticorpi contro il core possono essere di due tipi IgM o IgG a
seconda se l’infezione risulti recente o meno. Nel caso del nostro lavoratore il dosaggio di IgG, che molto
raramente sono compresenti con gli antigeni, ci andava ad indirizzare verso un infezione di vecchia data. La
presenza esclusiva degli Hbs Ab e l’assenza di tutti gli altri marcatori antigenici e anticorpali depone oggi
per un ragazzo di 25 anni per una pregressa vaccinazione, in tal modo i medici del lavoro valutando il titolo
anticorpale possono proteggere il lavoratore dal contatto con nuovi virus in sala operatoria o in altre
strutture sanitarie e allo stesso tempo valutare se effettuare una 4° dose di richiamo della vaccinazione
oppure ricominciare il ciclo. Il nostro lavoratore presentava una positività contemporanea degli anticorpi
anti-Hbv per una pregressa infezione e anti-Hcv, le indagini di secondo livello che vengono effettuate
dosaggio dell HCV-Rna e la collaborazione dello specialista. L’infettivologo richiederà un dosaggio quali e
quantitativo del Hcv-Rna ed un ecografia epato-splenica oltre ad effettuare una visità clinica. Andiamo alla
diagnosi di pregressa infezione da Hbv e di infezione in atto da Hcv, il medico del lavoro invierà il paziente al
centro infettivo logico, al medico del lavoro arriverà la certificazione specialistica che impugnerà per
decidere cosa fare in merito al giudizio di idoneità.
Ciò che interessa al medico del lavoro è la valutazione dello stato di infettività del lavoratore non solo per
una sovra infezione a terzi ma ciò che può succedere al nostro lavoratore stesso. Viene attribuito un
giudizio di inidoneità temporale per procedure invasive svolte in prima persona, tra le quali annoveriamo :
interventi in osso, interventi chirurgici che espongono il lavoratore ad elevate quantità di sangue. Altre
motivazioni la terapia con l’interferone può comportare cefalea, astenia, febbre, queste condizioni
favoriscono l’insorgenza di infortuni nelle sale operatorie. Per tanto il lavoratore viene allontanato dalla
sala operatoria con un giudizio di revisione a 3 mesi e la successiva gestione del giudizio viene ad essere
valutata in base alla progressione della patologia, remissione dell’epatopatia, valutando quindi valori e
andamento delle transaminasi e della replicazione virale associata ad un esame clinico accurato. Il decreto
81 è in merito alla gestione del rischio biologico, in particolare degli agenti patogeni presenti in ambiente
ospedaliero, i lavoratori per i quali viene evidenziato un rischio biologico vengono regolarmente sottoposti
a sorveglianza sanitarià, il datore di lavoro su parere del medico del lavoro adotta misure protettive
particolari. Qualora il medico del lavoro richieda guanti antitaglio per ridurre al minimo la possibilità di
taglio e quindi la possibile sovra infezione da agenti biologici. Il medico del lavoro contatta il datore di
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lavoro, gli chiede l’acquisto di questi guanti e allora il datore è obbligato secondo il titolo 10 articolo 179
comma 2a a fornire dispositivi di protezione individuale adeguati al rischio.
Rapidamente parliamo del vaccino HBV, vaccino sintetico costituito da Dna ricombinante, fatto un ciclo
completo la percentuale di siero conversione è del 95%. Mi è capitato di visitare grossi gruppi di lavoratori
provenienti dal casertano, dalla medesima asl, che nonostante il ciclo completo di vaccino presentavano un
titolo anticorpale bassissimo rientrando nella piccola percentuale di non responders. Tutto ciò è dovuto
essenzialmente a un problema dei lotti di vaccini forniti in quelle zone. La durata della protezione varia tra
5-10 anni, le nuove linee guida di malattie infettive ribadiscono che la protezione dell’individuo è tale per
valori di Hbs Ab superiore a 10 unità per litro, per tanto è possibile quando presenti questi valori evitare di
effettuare il 4° richiamo vaccinale mantenendo intatta la protezione. La vaccinazione per HBV è
raccomandata, ma non obbligatoria, per vari operatori socio-sanitari, personali di assistenza in casa di cura
privata,trasfusi o emodializzati e conviventi con pazienti affetti da epatite B cronica hanno diritto ad avere il
ciclo vaccinale completo per legge dal medico di famiglia. Di fondamentale importanza è la sensibilizzazione
nei confronti di un virus che è facilmente contraibile, sia in ambiente sanitario che all’esterno vista la sua
trasmissione ematica o sessuale in base allo stile di vita e vista la grande diffusione dei virus B e C in
Campania. Il protocollo (le analisi strumentali ed ematochimiche) che rientrano nella sorveglianza sanitaria
del lavoratore esposto ad agenti patogeni virali sono : esami ematochimici di base (azotemia glicemia
transaminasi creatinemia emocromo) e i markers del epatite B e C, esami di secondo livello: Hbv-dna e Hcv-
Rna.
Andiamo ora all’INFORTUNIO BIOLOGICO.
In occasione di infortunio l’operatore è tenuto ad adottare una serie di misure preventive previste dal
programma di sorveglianza sanitaria. In caso di esposizione parenterale (puntura d’ago), immediatamente
aumentare il sanguinamento, detergere con acqua e sapone o disinfettare. In caso di contaminazione di
mucose oculari o della bocca bisogna risciacquarle con acqua corrente abbondante. In caso di
contaminazione di cute lesa vista la maggiore probabilità di super infezione anche qui lavare con acqua e
sapone abbondante e disinfettare localmente la ferità. La diversità è solo per le mucose dove si va
immediatamente a detergere per andare a diluire la carica microbica che è entrata in contatto con le
mucose. Cosa fare dopo ? Immediatamente rivolgersi ad un agente preposto come caposala, docente,
direttore di scuola di specializzazione, direttore di dottorato e sarete immediatamente inviati verso il
pronto soccorso che vi rilascerà un referto di infortunio biologico senza il quale non può essere attuato il
follow-up sierologico presso la medicina del lavoro a 3-6-12 mesi dall’evento che ci permette di capire se è
avvenuta una sovra infezione da HBV HCV o HIV. Altra cosa che viene effettuata è la profilassi post-
esposizione quando abbiamo un titolo anticorpale inferiore a 10 con un richiamo vaccinale per l HBV.
Quando un operatore viene a contatto con un soggetto HIV + a seguito dell’esposizione per azzerare il
rischio di trasmissione virale bisogna intervenire tempestivamente nell’arco di 4 ore con la
somministrazione di farmaci antivirali al fine di evitare la diffusione linfonodale del virus e la sieropositività
del paziente. Bisogna recarsi per attivare questo tipo di procedura in pronto soccorso che dovrebbe essere
munito di questi farmaci salva vita oppure recarsi in un centro di medicina del lavoro.
TUBERCOLOSI
Si stima che circa 1/3 della popolazione mondiale sia coinvolta nella problematica della tubercolosi
soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Attualmente nell’ anno 2008 si stimano circa 193 nuovi casi per
centomila abitanti, sebbene i nuovi casi avvengano nelle regioni endemiche . Dal punto di vista
epidemiologico la diffusione dell’infezione tubercolare si localizza principalmente in SudAfrica e in Russia
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con casi di incidenza molto più alti che in Europa. Il primo caso che ha destato allerta in Italia nel 2011 si è
verificato per un infermiera del reparto di pediatria dell’Umberto I di Roma che era strutturato da più di 10
anni, ma non era stata sottoposta a sorveglianza sanitaria e per tanto aveva contratto la patologia. I medici
del lavoro romani furono inquisiti. Da questo caso di tubercolosi in fase attiva è derivato tutto quello che si
sta facendo oggi in tutta Italia per gestire la problematica della tubercolosi. In Italia la tubercolosi è una
problematica in aumento rispetto al passato con un aumento di 10 casi per 100000 abitanti con maggior
incidenza nel nord Italia rispetto al Sud. I casi sono dovuti essenzialmente a flussi migratori nelle regioni del
Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto) provenienti soprattutto dai Paesi dell’Est, mentre in altre zone di
Europa l’aumento dei casi di tubercolosi è dovuta a flussi migratori provenienti dall’Africa. Il numero dei
casi di tubercolosi nell’area partenopea risulta essere minore delle regioni del Nord Italia, ma maggiore
rispetto alle regioni del Sud. Nel 2012 in collaborazione con il prof. Moscatiello primario di pneumologia
abbiamo stilato le linee guida del nostro ateneo per la gestione dei casi di tubercolosi per la multifarmaco
resistenza che i ceppi tubercolari presentavano. Causata dal Micobatterium Tuberculosis di cui fanno parte
una sequela di altri micobatteri tra cui il principale è rappresentato dal Micobatterium Tuberculosis
Hominis. E’ un patogeno intracellulare, con caratteristiche peculiari per la costituzione della sua parete, che
gli connota una peculiare acido resistenza insieme alla caratteristica formazione di granulomi tubercolari e
alla reazione di ipersensibilità di quarto grado elicitata dalla intradermoreazione di Mantoux. Il bacillo di
Koch difficilmente determina l’instaurarsi di una infezione laringea e polmonare perché la tubercolosi è
una patologia che nel 95% dei casi si manifesta in fase latente e solo nel 5 % dei casi in forma cavitaria che
corrisponde alla tubercolosi in fase attiva. La probabilità di evoluzione di una forma latente in una forma
cavitaria aumenta nei dieci anni successi al contagio, per tanto il medico del lavoro è tenuto a sorvegliare
tutti i lavoratori al fine di impedire la riattivazione della patologia. La trasmissione della tubercolosi avviene
per via aerea tramite gocce di saliva di piccolissime dimensioni diffuse nell’area : pflugge, starnuto, tosse o
catarro, anche se la trasmissione dipende principalmente dalla concentrazione nell’area del bacillo, per
tanto pazienti allettati in luoghi di piccole dimensioni con ricambio d’aria scarso più facilmente possono
trasmettere il bacillo. Quali sono le problematiche di gestione del medico del lavoro ? Sono la scoperta in
visita preventiva o periodica di una condizione di tubercolosi in fase latente più raramente in fase attiva.
Come viene fatta la diagnosi ? In condizione di tubercolosi in fase attiva con la clinica caratteristica si
indirizzano i pazienti dagli pneumologi, si effettuano una serie di esami tra cui quello fondamentale è
l’esame colturale che ci da una risposta certa in 4-8 settimane oppure per altri tipi di terreni 2-3 settimane.
Per diagnosi di malattia latente si utilizza l’intradermoreazione di Mantoux, nella quale si iniettano dosi di
tubercolina e si va a valutare l’entità della reazione ponfoide nel derma della faccia volare dell’avambraccio
del lavoratore sottoposto. Qualora ci sia stato un pregresso contatto con il bacillo tubercolare la positività
della reazione di Mantoux si appaleserà come un reazione di ipersensibilità di 4°grado. Ci sono dei cut-off
utilizzati per la misura del diametro del ponfo e quindi la determinazione dello stato di tubercolosi in atto o
meno. Questi diametri sono variabili a seconda dei casi e del pregresso anamnestico del lavoratore.
Lavoratori HIV+ affetti da tubercolosi in stadio latente oppure operatori sanitari del Cotugno a contatto con
pazienti allettati affetti da tubercolosi presenteranno dei cut-off differenti rispetto ad un soggetto che non
ha mai avuto contatto con il bacillo. In questi casi il diametro della reazione ponfoide sarà superiore ai 5mm
ancor più se abbiamo a che fare con immigrati provenienti da aria d’Africa a prevalenza di malattia. La
positività alla reazione di Mantoux da certezza del pregresso contatto con il bacillo anche quando
apparentemente il lavoratore non sembra essere stato a contatto con un malato affetto. L’art. 17 coma 1
decreto 81-2008 (non sono sicuro) obbliga il datore di lavoro a dettagliare la problematica TBC in ambiente
ospedaliero, obbliga ad effettuare la sorveglianza sanitaria contattando un medico del lavoro almeno una
volta ogni tre anni. Tutte le volte che ci sia la diagnosi di TBC scattano automaticamente una serie di
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indagini obbligatorie che rientrano nella visita di tipo straordinaria. Questa visita va effettuata per tutti i
contatti lavorativi che sono venuti a contatto con il lavoratore affetto dalla patologia.
Come fa un medico del lavoro a sapere quando e con che intervallo visitare un lavoratore esposto al bacillo
di Koch ? Nel documento di valutazione del rischio il medico del lavoro è obbligato a fare un indagine
epidemiologica dell’ ospedale interessato basandosi su un concetto che ha al centro il numero di casi di
lavoratori affetti da TBC nell’anno. Secondo le linee guida se abbiamo in un ospedale meno di 3 casi l’anno
parliamo di rischio basso o bassissimo,(per la prof. va distinto la fascia di rischio basso da quello bassissimo
perché entrambi connotato un rischio non elevato, ma danno un segnale di allarme differente),nel rischio
intermedio e alto rientrano ospedali dove il numero di casi l’anno risulta essere maggiore e non si fa solo
scoperta di patologia tramite fibrobroncoscopia come avviene negli ospedali del nostro ateneo dopodiché i
pazienti vengono inviati al Cotugno dove ci sono le degenze per i pazienti tubercolotici.
Andiamo a trattare la chemioprofilassi, vaccinazione e dispositivi di protezione individuale.
La sorveglianza sanitaria viene effettuata per la TBC in sede di visita preventiva, periodica o in seguito
all’esposizione con pazienti affetti. I dottorandi, specializzandi e strutturati della chirurgia toracica dopo
essere entrati in contatto con i pazienti affetti da TBC sono rientrati negli elenchi della sorveglianza
sanitaria inviati dalla direzione sanitaria, che effettua indagine e analisi dei contatti, li invia ai medici del
lavoro che eseguono i controlli periodici effettuati al punto zero e ripetuti ogni 60 giorni, perché la
letteratura ci dice che potremmo trovare un falso negativo al punto zero che diventa un vero positivo
nell’arco dei 60 giorni successivi alla prima visita. Tutti i contatti vengono sottoposti a doppia Mantoux al
punto zero e dopo 60 giorni. Una risposta alla tubercolina superiore a 10 può verificarsi in un lavoratore che
ha eseguito la vaccinazione, però il vaccino con il bacillo di CG non viene più proposto in maniera
obbligatoria perché gli studi epidemiologici effettuati nel 2009/2010 hanno stabilito che il vaccino non
avesse un immunità nei confronti del bacillo, perché la popolazione successivamente sottoposta a Mantoux
si presentava completamente negativa. Quindi l’immunità nei confronti del bacillo di Koch non si era
realizzata per cui il vaccino viene proposto esclusivamente in due casi : per la popolazione pediatrica entro
5 anni nelle zone dove la TBC è endemica e nei lavoratori che si ritrovano ad alto rischio di contagio per la
TBC, soprattutto in condizione di immunodeficienza e multi farmaco resistenza. DOMANDA DI ESAME : La
vaccinazione con il Bacillo di CG non viene più effettuata a tappeto per il personale sanitario? La
prevenzione si fa con la proposta della intradermoreazione di Mantoux che va a slatentizzare una
condizione di Tubercolosi latente a cui segue chemioprofilassi tramite consenso informato. L’unica misura
di prevenzione non è più la vaccinazione, ma la Mantoux una volta sola. ALTRA COSA IMPORTANTE : Oggi la
Mantoux va abbinata con un altro test che ha elevata sensibilità e specificità (intorno al 95-98 %) i test
IGRA, in cui non si va ad iniettare tubercolina,ma si va a dosare direttamente nel sangue l’interferon gamma
rilasciato dai leucociti come segnale del pregresso contatto con il bacillo di Koch. Solo quelli che non hanno
avuto il contatto presentano nel sangue l’interferone gamma che viene dosato.
Perché non si sostituisce la Mantoux con il test IGRA che ha una specificità e sensibilità superiore di circa
300 volte rispetto alla Mantoux ? Perché non ci da la possibilità di fare prevenzione su vasta scala, cioè in
tutta la popolazione. Se la Mantoux risulta essere positiva o c’è stata una pregressa vaccinazione o tramite
un contatto che non si è a conoscenza, solo tramite test IGRA possiamo avere la certezza del contagio. Se
l’IGRA è positivo si procede con l’iter clinico, cioè valutazione radiologica e pneumologica, se il test IGRA è
negativo l’iter diagnostico si conclude. La cosa fondamentale che bisogna sapere è che con la positività del
test IGRA si fa diagnosi certa di TBC latente, per cui se abbiamo una Mantoux positiva e abbiamo un test
IGRA negativo possiamo escludere con certezza il contatto e il contagio con il bacillo di Koch. Purtroppo il
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test IGRA non può essere effettuato su vasta scala perché ha un costo proibitivo, si promuove nelle realtà
ospedaliere dove il medico del lavoro può richiederla al datore di lavoro poiché il numero del personale da
analizzare risulta ristretto a 100-150 persone.
NOZIONI SPECIALISTICHE :
Se abbiamo una Mantoux positiva in visita preventiva, questa sarà sempre un vero positivo e si procederà
in visita periodica proponendo il test IGRA.
Valori borderline di 0.35 di Quantiferon comportano una ripetizione a 3 mesi perché questi valori devono
essere poi riconfermati a 6 mesi. Quindi il medico del lavoro deve riconvocare una piccola percentuale di
persone borderline, perché questi possono diventare francamente positivo e quindi andare incontro a
chemioprofilassi.
In conclusione la collaborazione del medico del lavoro, pneumologo e direzione sanitaria della realtà
ospedaliera permette di gestire anche e soprattutto i casi di TBC in fase attiva con i quali il lavoratore può
venire a contatto. Questi punti rientrano nel programma di formazione e informazione in cui al lavoratore
viene spiegato cosa fare quando viene a contatto con il bacillo di Koch, quali dispositivi utilizzare, quale iter
seguire e quali controlli fare a 0 e 60 giorni per infezione tubercolare. Quindi la sola sorveglianza sanitaria
non è sufficiente a ridurre al minimo l’incidenza di infortuni e malattie professionali, fondamentale in
questo sistema sono la valutazione dei rischi, la prevenzione, protezione, formazione e informazione sul
rischio. Quindi il primo momento del sistema sicurezza significa visitare il lavoratore a rischio biologio,
mentre il secondo momento è informare e formare il lavoratore sui rischi.
LA TUTELA DELLA DONNA LAVORATRICE IN STATO DI GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO
Il decreto cardine che tutela la donna in stato di gravidanza è il decreto 151 del 2001 inserito all’interno del
testo unico 81 del 2008. Excursus storico : nel 1948 entra in vigore la Costituzione che sancisce l'
eguaglianza storica tra uomo e la donna, 1977 divieto di discriminazione in accesso al lavoro per la
formazione e retribuzione della donna , nel 1994 1999 e 2000 con la legge 53 riconoscono nella donna in
gravidanza e allattamento il diritto al congedo di maternità e congedi parentali (congedi per malattia dei
figli). Fino ad arrivare al 2014 in cui il numero di lavoratrici donne aumenta sempre più nel tempo.
LEGGI DI TUTELA
La legge 120 del 1971, la legge 53 del 2000 e la legge 151 del 2001 tutelano la donna lavoratrice in periodo
di gravidanza e allattamento. La tutela per la lavoratrice in stato di gravidanza e allattamento non
comprende solo i 9 mesi di gravidanza, ma fino ai 7 mesi successivi al parto. La comunicazione di stato di
gravidanza va effettuata dalla lavoratrice immediatamente al suo riconoscimento certo in qualsiasi attività
lavorativa. Il datore di lavoro è tenuto venendo a conoscenza dello stato della lavoratrice a tutelare per i
primi 30-45 lo sviluppo e l'integrità del bambino allontanando la lavoratrice da qualsiasi agente teratogeno.
Quindi è necessario e fondamentale dichiarare con imminenza lo stato di gravidanza al dirigente preposto o
datore di lavoro. Il datore di lavoro quando viene a conoscenza dello stato di gravidanza se è possibile
modifica la mansione della lavoratrice oppure cambiare la mansione della lavoratrice. Quando il datore di
lavoro non può cambiare mansione della lavoratrice, come può accadere nelle industrie tessili dove la
maggior parte del lavoro è manuale a contatto con numerose sostanze alcune teratogene, fa un esposto
all'ispettorato provinciale del lavoro chiedendo l'allontanamento della lavoratrice da quel determinato
fattore di rischio. La lavoratrice che non può svolgere altra mansione rimarrà a casa percependo il suo
salario, questa è la novità del decreto 151 del 2001 che tutela in pieno lo stato di gravidanza andando a
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farsi che la donna non perda la sua attività lavorativa e allo stesso tempo venga tutelata la salute del feto.
Nel momento in cui si verifica questa condizione scatta quella che si chiama interdizione anticipata per
maternità. Questa interdizione ovviamente si verifica per quelle donne con alti rischi lavorativi.
La legge 151 del 2001 prevede due allegati uno A e B dove vengono descritti tutti i lavori a cui la lavoratrice
non può essere più sottoposta. La lavoratrice in stato di gravidanza non può essere sottoposta a vibrazioni
meccaniche o a movimentazioni da manovale di carichi pesanti che comportano rischi a livello dorso-
lombare, non può essere più sottoposta a strumentazioni rumorose e assolutamente non può essere
esposta a radiazioni ionizzanti superiori a 1 millisider, non può essere sottoposta a sollecitazioni termiche
(es: Vigili del fuoco) e agenti biologici da 2 a 4 della classificazione che abbiamo visto l'ultima volta per i
quali esistono o meno misure profilattiche nei confronti dei vari agenti biologici. Lo stesso discorso vale per
gli agenti chimici come metalli e sostanze chimiche etichettate come tossiche. Il decreto 151 2001 dice che
qualsiasi lavoratrice non può essere obbligata ad effettuare il turno notturno,dalle 24 alle 6 del mattino,
fino ad un anno di vita del bambino, inoltre fino all'età di tre anni può facoltativamente scegliere di fare o
meno il turno notturno, allo scoccare del terzo anno dovrà sottoporsi al turno notturno a meno che non sia
esente per altre patologie.
CONGEDO OBBLIGATORIO PER MATERNITA'
Il COM scatta automaticamente due mesi prima del parto (a partenza dal settimo mese) e per i tre mesi
successivi alla nascita del bambino (con un ammontare totale di 5 mesi) indipendentemente dall'attività
lavorativa svolta. Il COM può essere anticipato qualora ci siano delle condizioni pregiudizievoli nei confronti
della gravidanza alle quali non è possibile effettuare una riorganizzazione lavorativa. Nessun datore di
lavoro può obbligare la donna a lavorare per i 5 mesi di COM, la quale sarà normalmente retribuita. Altra
condizione di congedo anticipato per maternità, differente da quella precedente in cui il congedo era
anticipato per fattori di rischio lavorativi in caso di mancata riorganizzazione, si verifica quando ci troviamo
di fronte ad gravidanza a rischio. La lavoratrice con certificato di visita ginecologica che attesta il rischio di
aborto e l'incompatibilità con il lavoro svolto può godere del congedo anticipato rimanendo a casa la stessa
giornata del rilascio e ritornare sul posto di servizio tre mesi dopo la nascita del bambino. La lavoratrice se
vuole può continuare a lavorare fino all'ottavo mese di gravidanza, previa certificazione ginecologica e
accettazione della domanda da parte del medico del lavoro della struttura a cui afferisce, utilizzando il
concetto di flessibilità del congedo. Ciò comporta di rimanere a casa con il nascituro per 4 mesi dopo il
parto anzichè 3 mesi, recuperando il mese avendo posticipato il congedo.
ASSENZE RETRIBUITE NEL PERIODO POST-GRAVIDANZA
Se si prevede un orario di lavoro superiore alle sei ore la legge prevede un riposo di due ore se invece
inferiore alle sei una sola ora di riposo, per i parti gemellari questo valore va raddoppiato o triplicato. L'art.
28 DL. 81/2008 dice che il datore di lavoro nel diaro del documento di valutazione del rischio deve avere un
capitolo a parte sulla gravidanza e sulla gestione della gravidanza se non lo fa incombe in una causa penale
e una sanzione superiore a 15000 euro per danno biologico. Nella relazione il datore di lavoro oltre ad
indicare le persone a rischio deve specificare, quali sono le misure per gestire la gravidanza, quali sono le
procedure immediate e quali sono le persone incaricate a gestire la condizione di gravidanza da parte della
lavoratrice.
Mi scuso per tutti gli eventuali errori. In Fede
FORZA NAPOLI <3 1926 <3 Luigi Giugliano
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Medicina del Lavoro 27-10-2014
Prof.ssa Monica Lamberti
DANNI DA ESPOSIZIONE A STRUMENTI VIBRANTI (Prima parte)
Tratteremo oggi i danni da esposizione a strumenti vibranti in ambienti di lavoro, sempre
nell’ambito degli agenti di rischio fisico occupazionali. Allora facendo un breve excursus sulle
caratteristiche delle vibrazioni,le caratteristiche fisiche di una vibrazione sono l’ampiezza espressa
in metri,la velocità espressa in m/s e la frequenza intesa come numero di oscillazioni al secondo.La
misura che definisce la frequenza di una vibrazione è l’Hertz.Quindi ampiezza,velocità,frequenza.
Secondo Misner le frequenze delle vibrazioni che determinano patologie occupazionali si dividono
in basse,medie e alte frequenze.Le basse frequenze sono quelle che vanno da 0 a 2 Hz e sono
associate a mezzi di trasporto come automobili,navi e aerei. Determinano nel gruppo di lavoratori
che ne è esposto il cosiddetto Mal dei trasporti.Le medie frequenze che sono quelle che vanno dai
2 ai 20 Hz associate a macchine di impianti industriali come trattori,come gru,come scavatrici
determinano effetti su tutto il corpo,in particolare osteopatie.Le vibrazioni ad alta frequenza sono
vibrazioni caratterizzate da una frequenza superiore ai 20 Hz e intendiamo per queste strumenti
vibranti come lo scalpello,le perforatrici e il martello pneumatico.Inducono patologie
angioneurotiche e osteoarticolari.Determinano la cosiddetta patologia distrettuale perché vengono
utilizzati dalla mano destra per i destrimani e dalla mano sinistra per i non destrimani e sono quelle
che interessano la Medicina del Lavoro.Quindi riassumendo: patologie che interessano tutto il
corpo sono determinate da basse e medie frequenze,patologie distrettuali sono causate da
vibrazioni ad alta frequenza. Le patologie da vibrazioni che si trasmettono a tutto il corpo (bassa e
media frequenza) vanno a interessare l’apparato osteoarticolare e l’apparato oto-
vestibolare.L’interessamento di quest’ultimo determina una iperstimolazione a livello
vestibolare,quindi a livello dei canali semicircolari determinando appunto disturbi dell’equilibrio
che si ritrovano frequentemente nei lavoratori che sono esposti a basse e medie frequenze.Anche
gli impulsi afferenti dai meccanocettori cutanei e sottocutanei dalle zone mesenteriche e
addominali giocano un ruolo nell’insorgenza della patologia total body collegate alle vibrazioni a
frequenza bassa e media.E andiamo ai danni al sistema osteoarticolare.La colonna vertebrale è la
struttura che maggiormente risente delle vibrazioni total body, in particolare, questo tipo di
vibrazioni determinano una ipersollecitazione a livello del tratto lombare,dorsale e cervicale.Questi
lavoratori possono lamentare più facilmente rispetto ad altri una patologia a livello cervicale e
lombosacrale.Cosa ne deriva?Ne deriva una riferita lombalgia o lombosciatalgia
cronica,slatentizzazioni di ernie o di soluzioni discali soprattutto a livello del tratto lombare e non
da ultimo alterazioni precoci degenerative a livello del rachide lombari questi lavoratori
presentano condizioni di artrosi pregressa e ingravescente.Quindi in età giovanile se sottoposti già
all’utilizzo senza sistema di prevenzione e sicurezza degli strumenti vibranti vanno incontro ad
artrosi pregressa e ingravescente legata al lavoro,dunque di origine occupazionale. E andiamo alla
patologia distrettuale dovuta agli strumenti vibranti.L’utilizzo di martello pneumatico,scavatrici
possono determinare un insieme di disturbi neurologici,vascolari e osteo-articolari che riguardano
in particolare il sistema mano-braccio,quindi collegati ad utensili vibranti ad alta frequenza.E’ chiaro
che ci sono dei fattori che favoriscono l’insorgenza della patologia distrettuale collegati sia alla
modalità d’utilizzo dello strumento vibrante,sia alle caratteristiche peculiari del soggetto che lo
utilizza.Andiamo a vedere quali sono questi fattori determinanti e quindi l’insorgenza della
patologia distrettuale.
Le caratteristiche delle vibrazioni la frequenza,l’ampiezza sono collegate all’insorgenza di una
diversa patologia
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Le caratteristiche delle esposizioni quindi per quanto tempo viene utilizzato quello
strumento,quell’utensile sono collegate chiaramente maggiormente per quelli che lo utilizzano tutti
i giorni all’insorgenza di una patologia distrettuale.Ancora un altro fattore importante è il fattore
biodinamico e cioè come viene mantenuto l’utensile durante lo svolgimento della propria attività
lavorativa,che tipo di forza di prensione viene utilizzata e se questa modalità di utilizzo che è tipica
del singolo lavoratore può più facilmente far insorgere un microtraumatismo a livello delle falangi
acrali delle mani.Fattori ambientali quindi una condizione di microclima sfavorevole che si associa
principalmente ad un utilizzo errato dell’utensile può favorire l’insorgenza della patologia
distrettuale.Patologie preesistenti,quindi condizioni di ipersuscettibilità come malattie vascolari,
come pregressi traumi e lesioni a livello delle falangi distali della mano possono favorire
l’insorgenza di una patologia distrettuale da strumenti vibranti.
E andiamo alle principali attività lavorative dove appunto questa problematica clinica può
manifestarsi più frequentemente: settore dell’edilizia,settore metalmeccanico,le
fonderie,l’industria del legno e anche il settore terziario quindi agricolo forestale.Quali sono quindi i
danni che si associano più frequentemente alle esposizioni alle vibrazioni ad alta frequenza?Lesioni
di tipo vascolare,lesioni di tipo osteo-articolare,lesioni di tipo neurologico e lesioni di tipo
tendineo.Andiamo ad analizzare prima le lesioni vascolari.Caratteristica fondamentale dell’utilizzo
protratto in condizioni di non sicurezza degli strumenti vibranti è l’insorgenza del fenomeno di
Raynauld del tipo secondario.Come ben sapete il fenomeno di Raynaud è caratterizzato da un
arresto transitorio che si slatentizza dopo particolari esposizioni(es freddo) del flusso arterioso delle
zone acrali delle mani e andiamo appunto a vedere quali sono le condizioni predisponenti dei
lavoratori che utilizzano questa tipologia di utensili,condizioni predisponenti all’insorgenza del
fenomeno di Raynaud secondario, perché secondario?Perchè collegato appunto all’utilizzo di
strumenti vibranti.Una condizione cronica di riduzione del flusso sanguigno, dell’ipotensione
arteriosa oppure una stenosi a livello vasale a monte delle arteriole che irrorano le falangi distali
possono favorire,in lavoratori predisposti un fenomeno di Raynaud secondario all’utilizzo di
strumenti vibranti.E andiamo ai vari stadi.Questa classificazione di Stoccolm ci va a rappresentare
quelle che sono le fasi che si evidenziano nei lavoratori che utilizzano strumenti vibranti.Nello
stadio zero non si riferiscono sintomi vaso-spastici quindi non c’è una sintomatologia suggestiva di
fenomeno di Raynaud.Negli stadi successivi,quindi dallo stadio uno in poi si evidenziano fenomeni
di pallore all’estremità di uno o più dita.Nello stadio 2 si evidenziano episodi di pallore alle falangi
distali ed intermedie di tre o quattro dita fino ad arrivare agli stadi 3 e 4 dove oltre al danno legato
all’ipoafflusso sanguigno si manifestano segni distrofici a livello cutaneo e quindi siamo in fase di
malattia professionale da utilizzi di strumento vibrante per la quale si attiva un iter di denuncia di
malattia professionale all’INAIL per cui il lavoratore se dimostra che ha contratto questa patologia
al lavoro viene indenizzato per questa malattia professionale che risulta da causa lavorativa.Quali
sono le indagini che vanno ad approfondire una lesione vascolare come il fenomeno di Raynaud?Ce
ne sono tante.Alcune sono di facile esecuzione e sono le prove termiche e dinamiche che possono
essere fatte anche in un laboratorio di medicina di base,altre richiedono l’utilizzo di
apparecchiature più sofisticate come la fotodismografia(?) e la capillaroscopia.Andiamo a spiegare
prima le prove termiche e le prove farmaco-dinamiche.La prova termica o cold test si basa sul
concetto di slatentizzazione del fenomeno di Raynaud collegato a immersione delle mani in acqua
fredda(circa 10 gradi) da uno a cinque minuti in ambiente confortevole con astensione da fumo di
tabacco che potrebbe dare un falso negativo da almeno un’ora e quello che si va a visualizzare, a
valutare che ci permette di fare diagnosi di fenomeno di Raynaud secondario è il recupero della
irrorazione a livello delle falangi distali che normalmente in una tempistica di 20-25 minuti,in un
lavoratore che presenta fenomeno di Raynaud secondario a utilizzo di strumenti vibranti senza
misure di prevenzione e sicurezza adeguate,questi tempi si allungano di molto.Quindi la tempistica
della non irrorazione che avviene dopo mezz’ora si va a fare diagnosi di fenomeno di Raynaud
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secondario.Sullo stesso principio si basa il test farmaco-dinamico: vengono proposti al lavoratore
derivati della nitroglicerina,in particolare la trinitroglicerina.In condizioni di riposo,il lavoratore
ingerisce la trinitroglicerina a livello sublinguale e i tempi di recupero dell’irrorazione a livello delle
falangi distali vengono valutati come normali o come patologici e quindi collegati all’utilizzo di
strumenti vibranti. Ci sono poi altre apparecchiature come la capillaroscopia e la (?) che a volte
vengono associate a queste prove farmacologiche e chiaramente si richiede l’acquisto di queste
strumentazioni per fare una diagnosi più approfondita.Quando il medico del lavoro fa diagnosi di
fenomeno di Raynaud secondario si richiede il supporto dello specialista in questo caso il
reumatologo che con l’indagine capillaroscopica ci va a mostrare un’alterazione a livello delle
falangi acrali e sarà un’alterazione morfologica,quindi di forma dei capillari e di numero.La
relazione che lui ci mosterà ci permetterà di fare le nostre considerazioni in merito al giudizio di
ideoneità alla mansione di quel lavoratore.Abbiamo quindi analizzato le lesioni vascolari dovute
all’utilizzo di strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo a approfondire gli altri danni che si
possono verificare nel lavoratore che utilizza strumenti vibranti ad alta frequenza.Andiamo alle
lesioni osteoarticolari. A livello del semiunare si possono verificare lesioni vacuolari e a livello del
gomito come vi ho detto una condizione di artrosi pregressa e ingravescente che avviene in età
giovanile e ha un andamento che difficilmente risponde alla terapia. Quindi a livello dell’Rx del
gomito andremo a evidenziare quelli che sono i segni di un’artrosi a livello appunto del gomito
quindi la presenza di esostosi e osteofiti.Altra lesione osteoarticolare che ci troveremmo a
osservare nell’ambito del nostro esame obiettivo saranno alterazioni sempre di tipo artrosico
quindi degenerativo a livello dell’articolazione acromio-clavicolare e scapolo-omerale.Questi
distretti insieme al fenomeno di Raynaud vanno valutati sempre sia in visita preclinica che in visita
periodica da noi medici del lavoro.E andiamo alle lesioni di tipo neurologico.Un altro fenomeno
molto frequente è la sindrome del tunnel carpale.Il lavoratore manifesterà alterazioni a livello della
sensibilità tattile e termica,alterazioni legate all’interessamento del nervo mediano e ulnare con
conseguenti variazioni della velocità di conduzione sensoriale e ulnare.Le indagini che andremo a
effettuare sono in prima istanza l’elettromiografia e i potenziali evocati. E quindi l’elettromiografia
come indagine principale per la diagnosi di tunnel carpale perché l’utilizzo protratto,cronico dello
strumento vibrante va a determinare una paralisi del nervo mediano secondaria alla compressione
del nervo stesso collegata ad un edema flogistico da utilizzo protratto dello strumento vibrante con
conseguente insorgenza della sindrome del tunnel carpale.L’ultimo danno potenziale
nell’utilizzatore di strumenti vibranti sono le lesioni tendinee.Quelle più frequenti sono lesioni a
livello dell’olecrano e delle mani.A livello dell’olecrano si possono osservare dei tipici speroni ossei
che si possono ritrovare a livello radiologico e che ci permettono di confermare il dato anamnestico
e semeiologico effettuato sui lavoratori e che è necessario richiedere per fare diagnosi di lesione
tendinea da utilizzo di strumenti vibranti.Alle lesioni tendinee si può associare il morbo di
Dupuytren quindi la retrazione dell’aponeurosi palmare è un altro fenomeno che si può
evidenziare.Un’ultima patologia distrettuale dovuta all’utilizzo di strumenti vibranti è la flebo-
trombosi a livello del distretto succlavio-maxillo-brachiale nei lavoratori che utilizzano lo strumento
vibrante lavorando sempre con l’avambraccio e il braccio lontani rispetto al corpo,quindi lavoratori
che non seguono un corso di formazione adeguato,che non hanno i guanti per ridurre al minimo la
trasmissione delle vibrazioni a livello delle mani e dell’avambraccio possono incorrere anche in una
flebo-trombosi a livello succlavio maxillo brachiale.
E andiamo alle legislazione.Il decreto legislativo 81/2008 descrive tutto ciò che io vi ho raccontato fino ad
adesso dando all’articolo 7 delle indicazioni su come far lavorare i lavoratori in sicurezza nell’esposizione
da vibrazioni e che riguardino il sistema mano-braccio e che riguardino il corpo intero.E quindi andiamo a
questi valori limiti di esposizione e valori di azione. Come vi ha spiegato il prof Sannolo ci sono dei valori
limiti di soglia per gli agenti di rischio chimico a cui si può essere esposti in ambiente di lavoro oltre i quali la
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letteratura scientifica internazionale ci dice che possono esserci dei danni organici nei lavoratori.Lo stesso
vale per tutti gli altri agenti di rischio.Se ci riferiamo alle vibrazioni io andrò a cercare un parametro,un
numero associato ad un’unità di misura.Il decreto 81/2008 dice che il valore massimo di esposizione
giornaliera a vibrazioni total body è riferito a una giornata di otto ore al giorno per quaranta ore
settimanali.Quindi per il sistema mano-braccio il decreto dice che per una giornata di otto ore questo
valore limite di esposizione deve essere di 5 metri a secondo quadrato. Un altro concetto che dovete
apprendere è il valore d’azione giornaliero significa quel range che non deve essere mai superato per far sì
che potenzialmente non si abbia l’insorgenza di tutti quei danni clinici di cui abbiamo parlato fino ad
adesso.Quindi l’81/2008 dice che il valore massimo d’esposizione è di 5 m al secondo quadrato ma dice al
datore di lavoro “attieniti sul valore d’azione che è 2,5 metri al secondo quadrato,e non superare mai i 5”.Si
dice valore di azione perché è il valore che fa scattare l’azione preventiva. Lo stesso vale per le vibrazioni
che si trasmettono a tutto il corpo,sono parametri ancora più bassi e quindi il valore che fa scattare l’azione
è di 0,5 metri al secondo quadrato e non deve superare mai 1 metri al secondo quadrato.Quindi per 8 h al
giorno l’entità delle vibrazioni non deve essere mai superiore per tutto il corpo a 1 e per il sistema mano-
braccio a 5.Si consiglia al datore di lavoro di mantenersi comunque su valori più bassi.Questo serve per
attuare un sistema di prevenzione e sicurezza che impedisca al lavoratore di manifestare una malattia
professionale.Nel caso in cui successivamente alla valutazione dei rischi risultino superate i valori d’azione
immediatamente si attuano una serie di misure preventive e di sicurezza. Oltre a misurare le vibrazioni a cui
è esposto il lavoratore,oltre a verificare che i parametri di riferimento siano quelli bisogna formare il
lavoratore sull’utilizzo in sicurezza degli strumenti vibranti,sul risultato delle misurazioni relative all’utilizzo
di quei strumenti vibranti per far sì che si riduca allo 0% la possibilità d’insorgenza delle malattie
professionali.
ERGONOMIA E LAVORO: UTILIZZO IN SICUREZZA DEI VIDEOTERMINALI (Seconda parte)
Ergonomia: metodologia che analizza il rapporto tra uomo e ambiente di lavoro.L’obiettivo dell’ergonomia
è quello di aumentare la produttività del lavoratore adattando l’ambiente alle caratteristiche psico-fisiche
del lavoratore stesso.Il rispetto dell’ergonomia è sempre previsto dal decreto legislativo 81/2008 in
particolare il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro,nella concezione dei posti di
lavoro è un concetto che serve a ridurre al minimo il danno sulla salute collegato a un lavoro di tipo
monotono e ripetitivo come quello da utilizzo di computer.Perchè il decreto legislativo 81/2008 dà grande
importanza al concetto di ergonomia?Perchè le patologie che possono insorgere al lavoro in condizioni di
disergonomia come una tendinite a livello del sovraspinoso,una tendinite a livello del bicipite o anche
banali borsiti che si possono verificare negli utilizzatori di videoterminali sono riconosciute come malattie
professionali secondo delle tabelle,tabelle di malattie professionali a cui noi facciamo riferimento quando
andiamo a fare una denuncia di malattia professionale.Quindi implementare nei luoghi di lavoro il concetto
di ergonomia significa ridurre al minimo l’insorgenza di queste patologie che sono riconosciute come
malattie professionali. Altre ancora riconosciute come malattie professionali sono le epicondiliti,le trocleiti
e la sindrome del tunnel carpale a livello dell’arto superiore,a livello dell’arto inferiore abbiamo le borsiti
del ginocchio,le tendinopatie del quadricipite femorale e la meniscopatia degenerativa.Quindi queste
patologie osteoarticolari che possono insorgere nel videoterminalista insieme a tutta la problematica
oculare che ora andiamo a vedere sono riconosciute come malattie professionali secondo la tabella delle
malattie professionali del 21-7-2008.Attualmente è stata fatta una revisione di questa tabella.Quindi queste
malattie sono collegate a una disergonomia del luogo di lavoro per cui è molto importante rispettare nella
progettazione dei luoghi di lavoro il concetto di ergonomia.E andiamo ai videoterminali.Per videoterminale
intendiamo un’apparecchiatura dotata di schermo alfanumerico e quindi rientrano in questa categoria tutti
i personal computer e i sistemi dotati di elaborazione dati,testi o immagini.L’addetto al videoterminale è
un lavoratore che per definizione utilizza il videoterminale per almeno 20 ore a settimana.Se mi trovo ad
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andare in una struttura dove il datore di lavoro mi dice che non ci sono video terminalisti,deve fare una
dichiarazione che i suoi ad esempio 10 lavoratori con i dieci nomi utilizzano i videoterminali per 18 ore alla
settimana. In questo caso non scatterà la sorveglianza sanitaria.Quali sono i decreti legislativi che sono stati
ripresi dal decreto legislativo 81/2008 e che hanno parlato in particolare di video visione del lavoro?In
particolare ci interessa la legge 422 del 2000 che ha modificato il concetto del monte-ore (appunto di venti)
collegate al danno da utilizzo di videoterminale. Quindi la variazione della definizione di videoterminalista
che ora vi spiegherò è legata alla legge 422 del 2000 che è stata inserita nel decreto legislativo 81/2008
all’art 7.Quindi si intende per lavoratore non solo come ho detto prima quello che utilizza il computer per 4
ore al giorno per un totale di 20 ore alla settimana,ma anche quello che utilizza un’attrezzatura munita di
videoterminale in modo abituale per 20 ore settimanali,ma in modo non continuativo il che significa che il
lavoratore un giorno lavora 6 ore,un giorno lavora 3,un giorno non lavora proprio con il computer ma
realizza comunque un monte-ore di 20 tramite questa legge 422 del 2000 è riconosciuto comunque come
videoterminalista.Quindi l’utilizzo sistematico ma non continuativo del videoterminale grazie alla legge 422
del 2000 permette di recuperare tutte quelle persone che utilizzano il videoterminale anche in maniera non
continuativa e quindi di inserirle in un sistema di soverglianza santaria per ridurre al minimo l’insorgenza
delle patologie muscolo-scheletriche e oculari che ora andremo a vedere.Ogni quanto viene effettuata la
sorveglianza sanitaria?Il decreto 422 del 2000 ha stabilito un criterio che deve essere rispettato: il
lavoratore fino a 50 anni esegue una sorveglianza sanitaria quinquennale.Dopo i 50 anni la visita viene
effettuata ogni due anni perché si presuppone che si sovrappongono nel 90-95% della popolazione di
videoteminalisti problematiche come la presbiopia che possono interferire in qualche modo con la visione.
Questa tempistica stabilita del legislatore di 5 anni può essere modificata qualora vengano espressi giudizi
di idoneità con prescrizione e quindi lavoratori che hanno problematiche oculari ad es congiuntivite
ricorrente,lavoratori che hanno problematiche lombo-sacrali ricorrenti il medico del lavoro può decidere di
visitarli più frequentemente rispetto a questa tempistica di 5 anni anni prevista fino ai 50 anni dal
legislatore. Altro concetto espresso appunto dall’articolo settimo della legge 422 2000 sono le pause
lavorative.I lavoratori che utilizzano il videoterminale per 20 ore a settimana sono obbligati a fare una
pausa di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.La sorveglianza sanitaria
chiaramente andrà a valutare con maggior attenzione l’apparato oculare e il sistema muscolo scheletrico.Il
datore di lavoro dovrà predisporre le attrezzature da lavoro in modo da assicurare una condizione di
minimo affaticamento oculare e dorso lombare,in particolare(D.lvo 151/2001) per le lavoratrici gestanti che
utilizzano il videoterminale ci sono delle regole da rispettare con un aumento delle pause che quindi
saranno più frequenti.Si consiglia alla lavoratrice in stato di gravidanza di alzarsi dal posto di
lavoro,decontratturare la muscolatura paravertebrale e disassuefare i muscoli oculari dal videoterminale.
Andiamo quindi a quelli che sono i requisiti minimi per un lavoratore in sicurezza del
videoterminalista.Come deve essere la postazione di lavoro?La scrivania dove si poggia un videoterminale
dovrebbe essere consigliata dalle linee guida di colore non riflettente,quindi non bianco,non nero,ma color
ciliegio.Si consiglia per l’acquisto di scrivanie per il videoterminalista definite ergonomiche una superficie
ampia,non riflettente,non di colore bianco.Altra cosa la grandezza della scrivania deve essere notevole in
modo da assicurare un corretto posizionamento degli avambracci al di sopra della stessa perché vedremo
che qualora non ci sta lo spazio per poggiare bene l’avambraccio e quindi muovere con tranquillità
l’avambraccio sulla scrivania nell’utilizzo del mouse si va a sovraccaricare e quindi portare meno
ossigenazione a livello della mano dell’avambraccio con insorgenza di indolenzimento e da ultimo anche la
sidrome di tunnel carpale che è una delle patologie collegate all’uso protratto non in sicurezza del
videoterminalista.Ancora un’altra caratteristica della postazione di lavoro ergonomica è un adeguato
alloggiamento degli arti inferiori,quindi sotto la scrivania deve esserci lo spazio sufficienza perché anche per
questo si può incorrere in patologie a livello degli arti inferiori che possono inteferire con
l’attività.(Domanda: perché non deve essere riflettente il colore della scrivania?Perchè va a creare degli
sfarfalii sul monitor che affaticano gli occhi).Inoltre la sedia deve essere di tipo girevole,con lo schienale
regolabile e con una curvatura ben precisa:una convessità ben precisa che è quella che ripercorre le
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fisiologiche concavità e convessità della colonna vertebrale..Il poggiapiedi non è un obbligo del datore di
lavoro.Se viene richiesto dal lavoratore,ad esempio può essere richiesto da una donna in stato di
gravidanza si presuppone una condizione più frequente di edema agli arti inferiori per cui il poggiapiede
può servire per decontratturare i muscoli degli arti inferiori,quindi su richiesta del lavoratore il datore di
lavoro deve fornire il poggiapiedi.Altra caratteristica che deve avere la postazione di lavoro del
videoterminalista è di avere un adeguato microclima,quindi la scrivania non deve stare né troppo vicino al
termosifone né troppo vicino all’impianto di condizionamento perché il microclima con le caratteristiche di
eccessiva umidità o di poca umidità può determinare secchezza oculare. Alla scrivania bisogna stare con la
schiena diritta e non piegata sulla scrivania.La distanza deve essere 50-70 cm dallo schermo e in più per
evitare affaticamento muscolare soprattutto a livello cervicale e affaticamento visivo,lo spigolo inferiore
dello schermo deve essere al di sotto della visuale che passa tra gli occhi e l’orizzonte,quindi la sedia deve
stare più in alto rispetto al monitor.Quindi questi sono i requisiti minimi che dobbiamo verificare quando
facciamo il famoso sopralluogo annuale.Altra cosa: tutti i fili e filetti collegati al computer devono stare
possibilmente aldilà della postazione perché capita spesso che i fili fanno inciampare il lavoratore che può
rompersi una gamba per un motivo banale.Quindi il decreto prevede anche questo:l’adeguato
alloggiamento di tutto l’impianto elettrico per il funzionamento del videoterminale deve essere
possibilmente attaccato al muro di fronte al videoterminalista.E andiamo ai danni da utilizzo del
videoterminale in condizioni non ergonomiche.La prima alterazione oltre ai disturbi muscolo scheletrici che
già vi ho fatto vedere è la condizione di astenopia = fatica visiva.Quindi sindrome astenopica,disturbi
muscolo scheletrici e stress lavoro-correlato.I video terminalisti sono lavoratori che lamentano più
frequentemente condizioni di stress lavoro-correlato e come vi ho detto rientra negli agenti di rischio
trasversali riconosciuti dal decreto legislativo 81/2008.Che cos’è l’astenopia?E’ una condizione di
debolezza,facile affaticabilità dell’occhio ,dolori oculari,visione confusa o doppia,quindi diplopia.I
lavoratori che utilizzano videoterminali per 20 ore a settimana lamentano frequentemente questa
patologia.Quindi la sindrome che presenta cefalea,emicrania,difficoltà di concentrazione è l’astenopia.Lo
stress lavorativo è molto frequente nei video terminalisti perché il lavoro del videoterminalista molto
spesso ha delle caratteristiche che sono alla base dell’insorgenza di una condizione stressogena: condizioni
di lavoro monotono e ripetitivo,carico di lavoro o eccessivo o troppo scarso,condizione di responsabilità
avvertite dal lavoratore come molto basse rispetto al desiderio di comando da parte del lavoratore
stesso,rapporti conflittuali con i proprio colleghi o superiori e non da ultimo condizioni di disergonomia. I
disturbi di tipo psicologico o psicosomatico sono insonnia,condizione di sindrome ansioso-
depressiva,cefalea e tensione nervosa.Come valuta questo il medico del lavoro?( se viene richiesto il
medico del lavoro,può anche essere incaricato uno psicologo)Viene proposto un questionario fatto
inizialmente in maniera random a tutti i lavoratori e poi qualora questo questionario risulti essere positivo
per cluster di lavoratori,a quel cluster di lavoratori si passa alla cosidetta fase soggettiva,quindi viene
proposto il questionario ad personam.Qualora questa seconda fase risulti essere positiva il datore di lavoro
è tenuto secondo il decreto legislativo 81/2008 a pagare le spese di recupero psicologico-psichiatrico del
lavoratore che presenta questa patologia.La legge però dice che è il datore di lavoro a preparare questi
questionari o con il supporto del medico del lavoro o con il supporto dello psicologo.I difetti visivi come la
presbiopia,come la miopia,come l’ipermetropia non sono causati dal videoterminale ma sono condizioni
che possono essere peggiorate dall’utilizzo protratto in condizioni di non sicurezza del
lavoratore.Quindi,ancora,un’inquinamento a livello dell’aria respirata dal lavoratore ad esempio una sede
con molte fotocopiatrici o una sede con un rilascio di sostanze,questo si chiama inquinamento
indoor,possono determinare irritazione oculare,irritazione a livello delle mucose vanno a determinare più
facilmente una condizione di sindrome astenopica.I distrurbi muscolo-scheletrici sono soprattutto a
collo,schiena,braccia spalle e mani,quindi arti superiori,arti inferiori.Le principali cause lavorative che nel
videoterminalista determinano alterazione a livello della colonna vertebrale sono posture di lavoro
fisse,quindi mantere sempre la stessa postura per tutto l’orario di lavoro in maniera lavorativa può
determinare l’insorgenza di patologie a livello cervicale e dorso lombare.Utlizzare il mouse in maniera
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ripetitiva e con movimenti rapidi può determinare un sovraccarico a livello della mano e dell’avambraccio
con un indolenzimento che può far insorgere oltre al dolore la sindrome del tunnel carpale.
Il Niosh è un ente internazionale che ci va a dire per ogni agente di rischio quali sono i valori limite da
rispettare e in questo caso per il video terminale quali sono le condizioni di lavoro collegate al
videoterminale che possono far insorgere alterazioni muscolo-scheletriche? Assunzione di posture
incongrue sono collegate all’insorgenza di patologie muscolo-scheletriche.
La formazione anche in questo caso è importante.Fare formazione al videoterminalista significa dare queste
principali linee guida:
-Movimento : durante i 15 min di pausa è consigliato alzarsi dalla postazione e se possibile disassuefare i
muscoli posturali o facendosi una rampa di scale o facendosi una piccola passeggiata a piedi per
riossigenare la muscolatura paravertebrale e degli arti inferiori
-Per quanto riguarda gli occhi vengono dati tre consigli: 1)Il palming.Assumendo una posizione
seduta,comoda coprire entrambi gli occhi chiusi con i palmi della mano fino a ottenere questa condizione di
colore nero di fondo.In questo modo si ottiene il rilassamento della mente e si disassuefanno i muscoli
oculari 2)Blinking, significa ammiccamento degli occhi,permette chiudendo le palpebre per 1-2 min di
rilubrificare la congiuntiva oculare e quindi riduce quella sensazione di secchezza collegata all’utilizzo
protratto del videoterminale.3)Sunning che significa esporre gli occhi alla luce solare a palpebre chiuse per
alcuni minuti.Questo è un consiglio che viene dato perché la luce solare ha il potere di vasodilatare ,quindi
di favorire l’afflusso sanguigno a livello oculare,quindi tiutti questi consigli sono utili per la riossigenazione
oculare.Inoltre abbiamo il Washing:lavare con acqua fredda gli occhi è un altro piccolo consiglio che viene
proposto per ridurre sempre al minimo la secchezza oculare.
Vengono anche suggeriti nei corsi di formazione esercizi muscolari di disassuefazione dei muscoli
paravertebrali che permettono
INTRODUZIONE ALLA LEZIONE SUCCESSIVA
Argomento: Patologia da esposizione all’amianto e conseguente mesotelioma che ha determinato nel 2012
ha determinato risarcimenti di grossa entità per le famiglie di lavoratori che avevano avuto esposizione
all’amianto da cui ne era derivata la morte.Questa è una sentenza storica emessa a Torino nel 2012e per la
prima volta in Italia si è parlato di disastro doloso da esposizione all’amianto.
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Medicina del lavoro, prof.ssa Lamberti 4/11/2014
ASBESTOSI
La scorsa volta vi mostrai le immagini rappresentative di una sentenza storica emessa da un gruppo di
Guariniello in merito al risarcimento alle famiglie di operai che erano stati esposti all’amianto nella regione
Lombardia, quindi c’è stato il primo riconoscimento da parte del tribunale della Lombardia nel 2012 di
grossa entità per le famiglie di ex esposti all’amianto.
Il termine amianto non definisce un unico minerale ma comprende un gruppo di silicati di magnesio che si
dividono in due categorie: “asbesti di serpentino” e “asbesti di anfibolo”,che a loro volta si dividono in
amosite, crocidolite e antofillite. La differenza di queste due categorie di amianto sta nelle caratteristiche
fisiche delle fibre: le fibre di amianto serpentino hanno una lunghezza che va fino ai 5cm e un diametro tra
0.7µm e 1.5µm; l’amianto di anfibolo ha un diametro che va fino ai 4µm e una lunghezza maggiore, fino a
8cm.
L’amianto è stato un prodotto largamente utilizzato in varie attività lavorative, soprattutto per la
costruzione di edifici. Dal 1992 la legge 257 vieta l’estrazione, l’importazione e la commercializzazione di
amianto o di prodotti contenenti amianto; dal 1992 ad oggi nessuna attività può produrre o può prevedere
cicli produttivi che impieghino l’amianto come prodotto di partenza. L’esposizione lavorativa all’amianto
oggi si ha solo in un caso : attività lavorative che si occupano della bonifica di ex strutture che ancora
contengono amianto al loro interno; nella nostra regione Campania ce ne sono ancora tantissime.
Nel decreto ministeriale del 6/9/1994 vengono dettati i requisiti minimi per attività che espongono
lavoratori all’amianto nello smaltimento dell’amianto stesso; vi ho portato l’immagine di uno spogliatoio
che si chiama unità UDP dove la legge prevede in maniera dettagliata che non ci sia mai il rilascio di
indumenti nell’ambiente perché il problema dell’amianto è legato non solo all’esposizione diretta ma anche
all’insorgenza di asbestosi e mesotelioma in tutti i familiari che ne sono venuti a contatto. Questi operai
tornavano a casa, depositavano i loro indumenti sporchi e queste fibre si diffondevano in tutta la casa. Non
so se vi è capitato di vedere interviste fatte a intere famiglie decimate dal mesotelioma quindi è molto
importante quello che dice la legge, che prevede uno spogliatoio per coloro che si occupano dello
smantellamento degli edifici a base di amianto, una pulizia separata dal rilascio di indumenti sporchi e
separata completamente dall’esterno per evitare al minimo la diffusione delle fibre fortemente
cancerogene nell’atmosfera e quindi nella popolazione.
L’amianto è stato largamente utilizzato prima del decreto perché ha le caratteristiche di: incombustibilità;
resistenza alle alte temperature; resistenza all’usura, all’aggressione di sostanze chimiche e alla trazione. La
caratteristica dell’indistruttibilità era legata alla incombustibilità, alla grande elasticità, alla fono assorbenza
e alla capacità di creare impianti termoisolati. L’amianto è stato usato nella creazione dei soffitti e pareti
delle case, nell’industria tessile per la creazione di tessuti ignifughi per le varie attività dove è necessario
prevedere questo tipo di rivestimenti. Molti impianti sportivi, ancora oggi ce ne sono nelle scuole,
prevedevano nelle controsoffittature l’utilizzo delle fibre di amianto per la grande capacità di isolamento
rispetto all’ambiente esterno e per la grande capacità di resistenza alle variazioni di temperatura. Impianti
sportivi e alberghieri, quindi, sono stati costruiti con l’utilizzo di amianto. L’industria ferroviaria e navale
(costruzione di rivestimenti condensanti e pannelli) hanno largamente utilizzato l’amianto. Le lavorazioni
dove maggiormente l’amianto ha esposto i lavoratori a intossicazione e all’insorgenza di mesotelioma sono
state l’estrazione in cava o miniera, l’industria del cemento, l’industria dei freni, l’industria tessile,chimica,
dei cartoni. Oggi l’esposizione è prevista solo per lo smaltimento dei manufatti e dei rottami contenti
amianto. Tutte queste industrie ora devono utilizzare materiali alternativi.
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Secondo l’ISPES che è un ente preposto alla prevenzione nei luoghi di lavoro ora accorpato all’INAIL (non
esiste più l’ISPES, esiste solo l’INAIL che ha una sezione chiamata ISPES) si prevede addirittura che ci siamo
ancora 607000 unità produttive presenti sul territorio italiano che espongono i lavoratori all’amianto e si
prevede circa che 3500000 persone siano esposte ancora oggi al problema amianto con una diversità di
esposizione che è maggiore in Veneto e Lombardia ma soprattutto Liguria e Piemonte rappresentano le
regioni dove il problema amianto è ancora molto presente. Noi siamo in una posizione intermedia ma
comunque con elevata esposizione all’amianto.
PATOGENESI
Le fibre con diametro più piccolo sono le uniche che arrivano a livello alveolare, quelle più grandi vengono
eliminate dalla clearance mucociliare. Appena le fibre di amianto arrivano a livello dei bronchioli respiratori,
dei dotti alveolari e degli alveoli, inizia il processo di flogosi fibrotica che porterà all’insorgenza della fibrosi
polmonare che è alla base dell’asbestosi. La chemiotassi dei macrofagi, con l’intervento del complemento,
inizia con una tempistica di 48-72 ore. Non tutti i macrofagi sopravvivono al contatto con le fibre di
amianto; alcuni vanno in contro a citolisi, altri inglobano le fibre e rilasciano fattori di crescita per altre
cellule, soprattutto fibroblasti. Un fattore fondamentale nell’iniziazione e perpetuazione del processo
flogistico è FGF e la Fibronectina. Oltre ai fibroblasti sono coinvolte altre cellule flogistiche che
contribuiscono all’insorgenza e alla formazione del granuloma fibrotico che si crea a livello del parenchima
polmonare. Macrofagi attivati, fibroblasti e tutte le altre cellule flogistiche sono alla base del processo
infiammatorio che inizia e perpetua la fibrosi che è alla base dell’asbestosi.
ANATOMIA PATOLOGICA
All’esame macroscopico il polmone asbestosico in fase iniziale di esposizione all’amianto non presenta le
lesioni tipiche asbestosiche. Nelle forme più avanzate, quando c’è stata un’esposizione maggiore
all’amianto, i polmoni si presentano di volume ridotto e consistenza aumentata. Tutte le fibre di asbesto
sono in grado di provocare una fibrosi interstiziale diffusa che comincia inizialmente nei lobi inferiori
polmonari poi diffonde a tutti i campi polmonari, destro e sinistro. È importante sottolineare che per fare
diagnosi differenziale con un’altra pneumoconiosi (l’asbestosi è una pneumoconiosi di tipo collagenico
perché le cellule infiammatorie rilasciano collagene a livello dell’interstizio polmonare) molto studiata in
medicina del lavoro, la silicosi, si tiene conto del fatto che esse prevedono un interessamento di zone
diverse a livello polmonare. Se a livello anatomo-patologico le fibre di asbesto inizialmente si localizzano ai
lobi inferiori e alle basi polmonari, in corso di silicosi la localizzazione avviene soprattutto a livello medio-
apicale. Un’altra caratteristica tipica dell’asbestosi, non presente nella silicosi, sono i corpuscoli di asbesto,
tipici dell’asbestosi e non presenti nella silicosi. Essi sono fibre di asbesto inglobate in fagolisosomi presenti
nel sito di flogosi polmonare che al loro interno presentano proteine con ferro che circondano la fibra. Sono
detti corpi ferruginosi e sono presenti a livello polmonare in corso di asbestosi.
Mostra una sezione istologica che fa vedere la consistenza aumentata rispetto a un parenchima polmonare
normale, una struttura molto più compatta tipica dell’asbestosi rispetto a un parenchima normale in cui non
c’è stata invasione delle fibre e trasformazione in fibrosi polmonare.
CLINICA
L’E.O. presenta delle caratteristiche tipiche.
Il lavoratore dopo una latenza di circa 10-15 anni dall’esposizione all’amianto presenta:
Dispnea da sforzo e in fase avanzata anche dispnea a riposo;
Tosse secca, a volte accompagnata da broncospasmo o tosse produttiva;
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Toracodinia, dolore toracico collegato alla presenza di placche pleuriche;
In fase avanzata una condizione di alterazione degli scambi alveolo-capillari, desaturazione
ossiemoglobinica, riduzione dell’ipossiemia, cianosi;
Gli ispessimenti a livello della pleura viscerale determinano delle atelettasie a livello polmonare;
Mesotelioma che 8 lavoratori su 10 (80%) hanno manifestato dopo esposizione a fibre di amianto;
La caratteristica del Mesotelioma è di avere una lunga latenza, dai 15 ai 40 anni dall’esposizione
all’amianto. Ci aspettiamo che nel 2020 si avrà un picco di casi di mesotelioma nelle regioni italiane per
tutti quelli che sono ex esposti, ora non lo sono più, all’amianto.
DIAGNOSI
Esame metodologico. La differenza (domanda d’esame) tra un esame semeiologico fatto in fase
avanzata di esposizione, rispetto a un esame semeiologico fatto nei primi due anni di esposizione
all’amianto, è questa : a livello ausculatorio e percussorio abbiamo assenza completa di rumori in
fase iniziale, ascoltate il murmure vescicolare fisiologico; nelle fasi avanzate dell’esposizione
ascoltate reperti tipici, rantoli o crepitii teleinspiratori su tutti gli ambiti polmonari. I rantoli
migranti, migranti perché all’orecchio percepite questi rumori che sembrano migrare perché
presenti su tutti gli ambiti polmonari, si sentono in fase di teleinspirazione nelle fasi avanzate
dell’esposizione.
Prove di funzionalità respiratoria, proposte dal medico del lavoro. L’indagine di più facile
somministrazione è l’esame spirometrico. Solo nei casi conclamati quando c’è positività all’esame
semiologico di presenza di rantoli, anche a livello diagnostico avremo una positività all’esame
spirometrico.
Altre indagini fatte solo in fase più avanzata sono:
Test di diffusione polmonare di CO;
Esame dell’espettorato per valutare le cellule infiammatorie presenti;
Fibrobroncoscopia e BAL;
Scitigrafia polmonare con Gallio 67;
HRTC, ancor prima dell’rx torace;
A livello radiologico viene utilizzata la classificazione dell’ILO (International Labour Office) secondo la quale
le fibre che si manifestano come opacità lineari a livello dell’esame radiografico, vengono distinte a
seconda del diametro. Le fibre con opacità di diametro fino a 1.5mm vengono classificate con la lettera s;
tra 1.5-3mm con la lettera t; tra 3-10mm con la lettera o.
A livello delle sezioni effettuate tramite HRTC è possibile vedere le stesse opacità in maniera ancora più
evidente. A ex esposti all’amianto è difficile che venga proposta solo l’RX del torace ma si procede quasi
sempre alla HRTC perché la tac ha anche la possibilità di vedere le placche pleuriche, ispessimenti a livello
della pleura parietale che si manifestano dopo 15-20 anni dall’esposizione all’amianto.
MESOTELIOMA PLEURICO
Fino agli anni 60 era un tumore maligno considerato molto raro; si erano avuti dei casi manifestatesi in
Africa quindi non se ne aveva conoscenza in Europa. Le prime indicazioni minime sono arrivate in Europa
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verso gli anni 50-60: si pensava che il mesotelioma fosse un tumore secondario non primario, derivante da
un adenocarcinoma primitivo.
I mesoteliomi che più frequentemente si osservano collegati nel 95% dei casi all’esposizione all’amianto
sono mesoteliomi di tipo epiteliale, che comunque hanno una tempistica dalla scoperta del mesotelioma al
decesso di brevissima durata ma che fortunatamente rappresentano il 50% rispetto a quelli completamente
indifferenziati, a decesso ancora più rapido che rappresentano il 10% del totale.
Si stima che negli USA ci sia un’incidenza di 15 casi su 1000000; in Europa è previsto un rapporto maggiore
per i maschi che per le femmine; nell’80% dei casi è dimostrata una pregressa esposizione a fibre di asbesto
e nel 20% dei casi si ritrova un contatto con un familiare che ne è stato esposto.
Dal punto di vista epidemiologico, studi scientifici internazionali hanno dimostrato che il fattore
determinante l’insorgenza del mesotelioma nel 70-80% degli ex esposti non è tanto la quantità, ma il
tempo trascorso dalla prima esposizione. È la latenza dalla prima esposizione che fa la differenza
nell’insorgenza.
Altre forme di mesotelioma non a livello della pleura ma a livello di altre sierose sono meno frequenti ma
sono comunque state osservate negli anni e negli ex esposti all’amianto con i loro familiari: a livello
peritoneale, del pericardio, della tunica vaginale . Oggi con la Medicina del lavoro della SUN è in corso
proprio un progetto sui tumori ovarici collegati all’esposizione all’amianto di donne che ne sono venute a
contatto tramite operai esposti fino al 1992.
I segni e sintomi sono:
Dolore toracico prima transitorio poi continuo, che aumenta con i colpi di tosse;
Dispnea progressiva ingravescente;
Sindrome mediastinica;
Decesso entro 18-24 mesi;
La sorveglianza sanitaria prevede una Rx del torace annuale o in sostituzione, l’esame spirometrico e
qualora si abbia una positività si effettuano anche gli esami di secondo livello (esame dell’espettorato).
Sono stati fissati dei valori limite ambientali; secondo l’ACGH (ente americano preposto ai valori limite per
l’esposizione a sostanze chimiche per i lavoratori) si può prevedere un’esposizione (questo vale solo per
quelli che lo smaltiscono che sono esposti all’amianto in condizioni di iperprotezione, utilizzo dell’unità UFP
e utilizzo dello scafandro, che vedete che utilizzano anche le persone esposte all’Ebola) di 0.1fibra per cm³.
(cm³ è l’unità di misura che si utilizza in riferimento allo spazio di aria dove il lavoratore si trova
eventualmente a inalare queste fibre).
Varie segnalazioni anche se rare di mesotelioma si erano manifestate già nei primi anni del 900. Nel 1991 si
è avuto il primo decreto legge che parla di regolamentazione dell’esposizione all’amianto. Nel 1992
l’amianto è stato eliminato. Grazie alla classificazione della IAC (ente preposto al raggruppamento delle
sostanze chimiche cancerogene per l’uomo), nel 1992 con il DL 257 l’amianto è stato eliminato da tutti i
processi lavorativi, vietandone l’utilizzo, l’importazione e l’esportazione. In tutte quelle che sono le attività
di protezione e prevenzione del datore di lavoro è necessario e obbligatorio prevedere una manutenzione
di eventuali costruzioni a base di amianto. Non sempre l’amianto presente negli edifici può essere causa di
concentrazioni nell’atmosfera per le persone che si trovano ad inalarlo. Il problema amianto è molto
presente nelle nostre scuole (recentemente è stata chiusa una scuola, poi riaperta, ai Colli Aminei perché
non era sottoposta periodicamente a questi controlli relativi alla misurazione ambientale di fibre amianto).
Non tutti gli edifici comportano l’emissione in atmosfera di amianto; accade in quelli che sono sottoposti
più facilmente a vibrazioni, in quelli dove si svolgono attività che determinano sollecitazioni delle pareti o
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se sono in condizioni di non manutenzione periodica (pareti con fratture che più facilmente disperdono
nell’aria le fibre amianto).
Un datore di lavoro deve fare periodicamente un esame delle condizioni di istallazione dell’edificio e
monitoraggio ambientale, quindi misurare periodicamente la concentrazione delle fibre di amianto disperse
nell’edificio. Ci sono delle tecniche di microscopia (ottica, elettronica, diffatrometria, spettrometria) che
vanno ad analizzare queste fibre di amianto che vengono raccolte, vengono messe su dei vetrini,
conteggiate e quantizzate tramite queste metodiche.
Con il DL 257 oltre a stabilire un valore limite di esposizione per coloro che vengono a contatto con le fibre
di amianto, sono state date delle indicazioni su come procedere per effettuare la manutenzione degli edifici
a base di amianto.
Il DL 257/1992 prevede tre fasi ai fini dell’eliminazione dell’amianto dagli edifici : rimozione,
incapsulamento e confinamento. La rimozione è una tipologia di eliminazione delle fibre di amianto che
prevede l’emissione nell’ambiente di grosse quantità di fibre; rappresenta un rischio molto elevato per gli
addetti che lo rimuovono e soprattutto per quelli che smaltiscono questa grossa quantità di fibre. È una
pratica che da un lato assicura l’eliminazione totale delle fibre, dall’altro non viene realizzata perché
determina una grossa emissione di fibre e non rispecchia il principio di protezione e prevenzione dei
lavoratori nei luoghi di lavoro, che è quello di ridurre al minimo l’esposizione. Incapsulamento e
confinamento sono invece le pratiche che dovrebbero essere attuate in tutti gli edifici per rimuovere,
eliminare e per effettuare prevenzione nei confronti delle fibre di amianto. Vengono utilizzati dei prodotti
chimici che vanno ad adsorbire le fibre, ad esempio si utilizzano delle pellicole di protezione nelle stanze
dove è più presente la dispersione rispetto alle altre. I limiti di questa pratica di incapsulamento sono la
permanenza del materiale di amianto nell’edificio che di per se non è pericoloso se l’intervento di
manutenzione viene fatto ogni anno. Se questi interventi di incapsulamento delle sostanze chimiche
vengono fatti ogni anno si può anche lasciare l’amianto nell’edificio ma deve essere sottoposto a una
manutenzione periodica. Infine il confinamento prevede la costruzione di una barriera nelle aree, nelle
stanze dove è più presente l’amianto rispetto a quelle in cui non c’è.
Il decreto Ruocco successivamente modificato dal DL 8/11/1997 ha previsto una legislazione dedicata allo
smaltimento dei rifiuti che contengono amianto, per evitare la dispersione delle fibre nell’aria. I decreti
legge che tutelano l’esposizione all’amianto esistono ma non vengono completamente rispettati.
Il DL 81/2008 recepisce in maniera definitiva tutti i precedenti decreti in merito all’amianto.
CASO CLINICO
Lavoratore di 74 anni, inviato al pronto soccorso dal medico curante per un riscontro casuale aspecifico di
crisi ipertensiva.
Anamnesi fisiologica: nella norma. Nega fumo, alcol e assunzione di farmaci. Alimentazione regolare.
Anamnesi patologica remota: CEI (comuni esantemi infantili), appendicectomia a 16 anni e un’erniectomia
inguinale a 46 anni. Lamenta episodi saltuari e recidivanti di bronchite da quando era giovane.
Anamnesi patologica prossima: forte astenia, dispnea da sforzo, forti palpitazioni, inappetenza e perdita di
peso di 5kg negli ultimi due mesi.
Anamnesi lavorativa: dall’età di 18 anni fino a 25 anni attività di operaio edile prima in un’acciaieria del
litorale flegreo e in seguito è stato addetto alla coibentazione di tetti, case, edifici a scopo domestico. Da 15
anni riferisce di essere in pensione.
E.O: assenza di murmure vescicolare, PA con una massima borderline e minima nella norma, FC 140, buona
saturazione di O2.
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ECG: nella norma.
Spirometria: sindrome disventilatoria di tipo misto, con prevalente componente restrittiva. In fase avanzata
di una pneumoconiosi la riduzione dei volumi polmonari determina un quadro spirometrico di tipo
restrittivo.
RX torace: calcificazioni di tipo lamellare lungo tutto la pleura.
HRTC: placche pleuriche.
Fatta la diagnosi si procede con le altre indagini (toracocentesi) che vanno a confermare il mesotelioma
pleurico.
SILICOSI
Non riusciremo a trattare la movimentazione manuale dei carichi che vi andate a vedere dalle slide.
La silicosi è una pneumoconiosi collagenica che riguarda ancora la medicina del lavoro perché l’esposizione
a silice a valori normati è ancora prevista nelle realtà lavorative.
CASO CLINICO
Uomo di 60 anni dispnoico, cianotico, tachicardico.
Anamnesi fisiologica: alvo- diuresi nella norma, nega fumo, alcol e assunzione di farmaci.
Anamnesi patologica remota: riferito intervento chirurgico di mastectomia parziale all’età di 48 anni.
Anamnesi patologica prossima: dispnea, astenia, facile affaticabilità a riposo, non ha febbre né calo
ponderale negli ultimi mesi.
Anamnesi lavorativa: sin dai 18 anni si è occupato nel settore estrattivo per la costruzione di trafori e
gallerie.
E.O.: rumori secchi diffusi a tutti gli ambiti polmonari, dispnea, cianosi diffusa al volto, toni tachicardici
all’ECG.
ECG: tachicardia sinusale, con una FC di 150.
Emogasanalisi: segni di iniziale acidosi.
Rx torace : opacità nodulari diffuse irregolari per forma e dimensioni in entrambi i campi polmonari.
HRTC: nella porzione posteriore dei lobi superiori polmonari, diffusa nodularità di variabile grandezza. La
forma di queste nodularità viene definita a guscio d’uovo.
Di fonte a una HRTC di un silicotico e di un asbestotico, la diagnosi differenziale si basa sulla localizzazione:
la localizzazione della silicosi è soprattutto agli apici; in corso di asbestosi la localizzazione è soprattutto alle
basi polmonari.
Diagnosi: silicosi grado avanzato.
Le pneumoconiosi sono patologie polmonari legate ad un accumulo di polveri nei polmoni e alla reazione
stromale che ne deriva. L’inalazione non avviene mai per una singola sostanza chimica, ma l’inalazione si ha
per una miscela di polveri tra cui la silice, che hanno caratteristiche fisico- chimiche variabili. Sono affezioni
dei polmoni provocate da inalazione di polveri miste da cui ne derivano reazioni fibrotiche nodulari dei
polmoni, ossia granulomi. La gravità della manifestazione fibrotica e la tempistica che porta
all’interessamento di entrambi i campi polmonari è legata alla suscettibilità individuale del soggetto
all’esposizione che riceve durante la vita lavorativa.
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Distinguiamo le fibrosi polmonari in “collageniche” e “non collageniche”. Le “non collageniche” sono
caratterizzate dall’accumulo intrapolmonare di polveri inerti non fibrogeniche; nella pratica sono
pneumoconiosi che non determinano alterazione a livello della trama bronchiale perché l’architettura
alveolare non viene sconvolta, la reazione stromale è minima, la reazione alla polvere è reversibile quindi
non si crea un processo flogistico cronico che invece si crea nelle forme collageniche, dette anche
sclerogene o maligne. Le pneumoconiosi “collageniche” più studiate in medicina del lavoro sono quelle da
amianto e da silice, asbestosi e silicosi. La silicosi è una pneumoconiosi sclerogena collegata all’inalazione di
quantità variabili di silice libera o biossido di silice. La tipologia di silice che è una sostanza presente nella
crosta terrestre più diffusa è il quarzo, quindi si parla di silice di quarzo.
La silicosi è causata dall’accumulo intrapolmonare di polvere fibrogenetica che determina un’alterazione
permanente dell’architettura alveolare con reazione stromale collagenica e fibrosi polmonare cronica dose
dipendente, la cui entità di manifestazione è direttamene collegata alla ipersuscettibilità individuale. Una
condizione di distruzione a livello alveolo capillare, quindi una condizione di alterazione bronco alveolare
che si osserva in fase finale nel silicotico e asbestosico, determina di riflesso uno scompenso a livello
cardiaco. Il cuor polmonare cronico è il finale di un soggetto che presenta una pneumoconiosi di tipo
sclerogeno- collagenica. Come e quando si arriva a questa condizione finale che è il cuore polmonare
cronico dipende non tanto dalla dose ma dalla risposta a quella dose perché ci sono soggetti con condizioni
genetiche di ipersuscettibilità individuale che presentano una risposta maggiore anche a quantità minori di
fibre di amianto e silice. La risposta e la tempistica della manifestazione del cuore polmonare cronico che è
il finale di queste patologie fibrotiche dipende dalla risposta individuale del lavoratore.
Nell’inalazione si prevede l’inalazione a polveri miste: silice, ossido di ferro e di alluminio. È però la silice
che va a determinare l’insorgenza del granuloma sclerogeno da esposizione lavorativa.
Le lavorazioni che ancora oggi prevedono l’esposizione a silice sono: industria mineraria, siderurgica, della
ceramica, del vetro e cristallo, nonché del cemento.
Le particelle di silice entrano a livello delle vie aeree e si distribuiscono a secondo delle dimensioni, della
forma, e della massa. Quella da 5-15µm impattano le vie aeree ciliate ma essendo grandi vengono
eliminate dalla clearance. Le più piccole vanno a depositarsi a livello degli alveoli dei lobi superiori. La
reazione flogistica che si viene a creare è molto simile a quella dell’asbestosi: entro 48h dalla deposizione
delle particelle di silice, gran parte di queste vengono fagocitate dai macrofagi. Alcuni macrofagi rimangono
vitali, altri raggiungono tramite movimento ameboide le vie aeree ciliate e vengono eliminate dalla
clearance. Alcuni rilasciano citochine che richiamano neutrofili e fibroblasti. I maggiori fattori di crescita che
vanno a perpetuare il processo infiammatorio sono il TNFα, vTGF e TGFβ. Si creano così i noduli silicotici.
L’inalazione di particelle di silice porta alla formazione di un granuloma sotto forma di nodulo che
rappresenta la risposta infiammatoria focale ad andamento cronico caratterizzato dall’accumulo e
proliferazione di cellule mononucleate. Le principali cellule coinvolte sono non solo monociti e macrofagi
ma anche neutrofili, eosinofili, mastociti, linfociti T e B. La creazione del tessuto di granulazione determina
la neoangiogenesi, formazione di endoteli vascolari e l’evoluzione verso la fibrosi polmonare. Tutto ciò va a
distruggere la trama bronco alveolare e a creare noduli di grosse dimensioni. Nello stadio iniziale si crea un
nodulo che presenta molte cellule flogistiche. Col passare del tempo, 15-20 anni dopo l’esposizione, le
cellule lasciano il posto al collagene rilasciato dai fibroblasti. In fase finale il nodulo non ha più una forma
rotondeggiante ma ha una forma sferica con la caratteristica presenza di tre zone concentriche : la zona
esterna è quella più giovane, formata da fibre collagene disposte in maniera disordinata; la zona intermedia
è formata da fibre collagene in maniera ordinata; all’interno abbiamo una zona centrale completamente
ialinizzata e priva di cellule.
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La silicosi nodulare può manifestarsi in varie forme. Può avere un decorso cronico semplice, decorso
cronico complicato con fibrosi, decorso acuto accelerato oppure può manifestarsi con proteinosi alveolare
silicotica. La forma più frequente è quella a decorso cronico semplice. La forma a decorso cronico
accelerato e la proteinosi alveolare silicotica sono legate ad alte concentrazioni di silice che oggigiorno non
si vedono più. La forma a decorso cronico semplice è quella che si studia di più. Ha una latenza di 20 anni
dall’esposizione, inizialmente completamente asintomatica, in fase avanzata con dispnea, tosse secca o
produttiva, eventuale sovrainfezione con bronchite cronica con febbre e ippocratismo digitale. A causa
della sovrapposizione di bronchiti e asma presenta un quadro tipicamente ostruttivo.
La diagnosi differenziale quindi si basa su due elementi: la localizzazione (asbestosi alle basi, silicosi agli
apici) e l’esame spirometrico. In corso di silicosi l’esame spirometrico presenta un pattern ostruttivo in fase
media di esposizione,in fase finale abbiamo sindromi restrittive perché c’è fibrosi polmonare diffusa. In fase
iniziale media però abbiamo un pattern ostruttivo, solo in seguito arriviamo a una sindrome restrittiva. In
passato era più facile vedere la sovrapposizione di due patologie come la contemporanea presenza di AR e
silicosi o la contemporanea presenza di Sindrome di Erasmus, sclerodermia e fibrosi perché chiaramente la
condizione di immunodepressione andava a slatentizzare queste altre problematiche. Oggi sono casi molto
rari.
La IARC ha inserito la silice nei sicuri cancerogeni e il finale della patologia è il cuore polmonare cronico.
A livello radiologico si utilizzano gli stessi parametri dell’asbestosi: le lettere alfabetiche che vanno ad
etichettare non la fibra ma il diametro delle opacità nodulari. A secondo del diametro la lettera potrà
essere p,q,r,s,t,u in base alla grandezza dei noduli. (consiglia di vedere questa cosa da soli)
I noduli silicotici inizialmente singoli vanno pian piano a confluire e si formano delle grosse opacità
radiologiche.
Il follow-up viene fatto in base al diametro di queste opacità che vanno a superare anche i 5cm, 10cm.
La prognosi è legata alla ipersuscettibilità individuale quindi la risposta o meno all’esposizione è legata alle
caratteristiche del singolo individuo (non solo la genetica, ma tutte le abitudini voluttuarie e alimentari che
insieme al pattern genetico fanno la differenza nell’insorgenza in tempi più o meno rapidi della patologia).
Valore limite di esposizione, il TLV-TWA (valore di massima esposizione in una giornata lavorativa di 8h per
un totale di 20h settimanali) secondo l’ACGH deve essere di 0.025mg/m³. Questo significa che quando vado
a dosare facendo il monitoraggio ambientale la silice presente nell’atmosfera il valore deve essere meno di
0.025mg/m³; se è superiore scattano una serie di misure immediate di segnalazione all’asl, chiusura della
struttura dopo le quali il lavoratore non dovrebbe più essere esposto. Solo con le misure di prevenzione,
solo con adeguati dispositivi di protezione individuale e formazione di sorveglianza sanitaria è possibile
tenere sotto controllo questa patologia.
AGENTI DI RISCHIO TRASVERSALI
Dal 2008, nell’ambito degli agenti di rischio trasversali, lo stress da lavoro viene riconosciuto per la prima
volta come agenti di rischio a tutti gli effetti. Lo stress da lavoro è una condizione definita come un insieme
di reazioni fisiche ed emotive, non commisurate alle capacità e risorse provenienti dall’esterno. Lo stress
viene studiato in medicina del lavoro perché condizioni di stress insorte sul lavoro sono facilmente
correlate agli infortuni quindi ridurre lo stress significa ridurre gli infortuni.
Lo stress è il secondo problema di salute in Europa, secondo alle problematiche muscolo-scheletriche.
Interessa quasi un lavoratore su quattro. L’accordo quadro europeo nel 2004 già aveva riconosciuto lo
stress come agente di rischio professionale. In Italia solo nel 2008 è stato riconosciuto come tale ed è stato
inserito nel DL 81/2008. Il riconoscimento dello stress da lavoro era stato fatto dalla legislazione europea
per accrescere la consapevolezza e la comprensione dello stress da parte delle autorità, dei lavoratori e dei
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loro rappresentanti. L’accordo europeo offriva un quadro di riferimento per individuare le linee per gestire
le problematiche correlate allo stress da lavoro. L’accordo europeo definiva lo stress come un insieme di
sintomi fisici, psichici e sociali, non inteso come malattia ma come segnale di malattia che può derivare
qualora a livello lavorativo non vengano effettuate le dovute misure di protezione e prevenzione atte a
ridurre al minimo tali manifestazioni.
Nell’articolo 28 del DL 81/2008 viene scritto che il datore di lavoro ha l’obbligo non delegabile di valutare lo
stress presente nella sua realtà lavorativa; può supportarsi di altre figure addette alla sicurezza come il
medico referente, il responsabile del servizio protezione e prevenzione e il rappresentante dei lavoratori e
della sicurezza, ma è affidato a lui l’obbligo di verificare se i suoi lavoratori sono stressati per motivi
lavorativi. Quindi nel 2008 veniva detto che il datore di lavoro deve valutare lo stress ma non veniva detto
come. La circolare del 18/11/2010 esprime un percorso metodologico che rappresenta il livello di
attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da parte del datore di lavoro. La valutazione dello stress
viene fatta in due fasi: una valutazione preliminare e una valutazione eventuale. Nella valutazione
preliminare (obbligatoria) si vanno a valutare degli indicatori oggettivi. Il datore di lavoro nella fase
preliminare o obbligatoria deve fare un’analisi statistica degli indici di infortuni presenti in quell’azienda,
valutare il numero di assenze per malattia, il numero di sanzioni ricevute per l’inottemperanza al rispetto
delle leggi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Oltre a questo, deve andare a valutare degli indicatori di
contesto e contenuto. Viene proposta al lavoratore una check-list in cui deve rispondere a delle domande.
Queste domande vanno a valutare il ruolo del lavoratore rispetto all’ambientazione lavorativa: se ha
soddisfazione in merito all’evoluzione della carriera, se ritiene che il suo ruolo sia adeguato rispetto ai
compiti a cui deve assolvere,se i rapporti con i colleghi e con figure gerarchicamente superiori sono
adeguati. La fase preliminare significa quindi proporre check-list e andare a valutare il numero di infortuni e
malattie perché questo percorso metodologico prevede di capire se ci sono soggetti stressati che si
assentano facilmente per motivi derivati dallo stress. Con queste check-list che si propongono si va a
verificare se il lavoratore è soddisfatto della sua ambientazione lavorativa, dei suoi rapporti interpersonali e
del suo ruolo nell’organizzazione. L’ultima famiglia di indicatori che si vanno a valutare sono quelli di
contenuto lavorativo. Vengono fatte delle domande,ad esempio : l’illuminazione nella stanza dove lavori è
sufficiente? Il piano di lavoro è adeguato secondo le tue conoscenze? Com’è la sedia?
Tutta questa parte preliminare permette tramite l’analisi di eventi esterni (numero di infortuni, numero di
malattie denunciate, numero di segnalazioni da parte del medico competente nonché indicatori di
contesto e indicatori di contenuto) permette di fare lo screening preliminare per capire se siamo in un
rischio basso di stress lavoro correlato o meno.
D: la valutazione dello stress viene fatta anche per noi studenti?
R: la valutazione dello stress nell’ateneo viene fatta non a tutti, ma a gruppi. La proposta della check-list
viene fatta a campione. Esempio: industria meccanica ha diverse sezioni, a gruppi di 4-5 in base al numero
totale vengono proposte queste check-list per quantizzare questi indicatori.
L’esito negativo significa che abbiamo fatto le check-list a campione nei vari settori, ed è stata espressa una
percentuale. Se questa percentuale è uguale o inferiore al 25%, si dice che l’analisi non evidenza particolari
condizioni di disorganizzazione lavorativa. Non c’è stress. La legge prevede che la rivalutazione si faccia
dopo 24 mesi in maniera obbligatoria. Se l’analisi degli indicatori evidenzia un rischio medio che va dal 25 al
50%, immediatamente il datore di lavoro è obbligato a mettere in atto interventi procedurali, organizzativi
e strutturali per migliorare le organizzazioni lavorative che vanno a creare stress nei lavoratori. C’è un anno
per verificare se questi eventi hanno apportato modifiche allo stato psicologico del lavoratore. Dopo un
anno vengono riproposti i questionari e si vede l’esito. Se l’esito è ancora positivo si passa alla fase
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eventuale, seconda fase. Si vanno a proporre questionari ad personam. Quando si fa questo programma il
datore di lavoro può disporre di figure come il medico di lavoro o uno psicologo del lavoro che ha la
competenza relativa alla somministrazione e interpretazione di questionari stress lavoro correlati. I
questionari sono proposti dall’INAIL, scaricabili dal sito.
La fase eventuale è obbligatoria e prevede la somministrazione di questionari ad personam. Nella proposta
di questionari ad personam, siamo in fascia medio o alta, entrano in gioco una serie di interventi non solo a
livello strutturale, organizzativo e ergonomico ma si parla di soluzioni terapeutiche all’individuo, quindi si
può arrivare alla proposta di recupero psicologico con psicoterapia. Alcune realtà industriali grandi attivano
uno sportello fatto da persone competenti dove il lavoratore stressato va e segue il suo percorso. La legge
prevede che dal momento in cui si scopre al momento in cui si deve risolvere ci siano tutti gli strumenti per
eliminare la problematica di stress lavoro correlato.
Non è prevista dal legislatore una visita di sorveglianza sanitaria per il lavoratore stressato. È previsto che il
medico del lavoro nell’ambito della sorveglianza sanitaria, da medico scopra eventuali condizioni di
disequilibrio psicologico e segnali al datore questa problematica. La sorveglianza sanitaria viene proposta
come occasione per scoprire delle situazioni di disagio psicologico da segnalare al datore di lavoro.
Considerato che il DL 81/2008 alla voce stress prevedeva l’emanazione di decreti ad hoc per il mobbing e
per il burnout, parlare di mobbing significa parlare di un’attività persecutoria che in quanto tale può
portare all’espulsione del lavoratore dall’attività lavorativa, causando una serie di ripercussioni psico-fisiche
che spesso sfociano in vere e proprie malattie. In psichiatria c’è una classificazione con la quale si parla del
“disturbo post-traumatico da stress” e “disturbo da disadattamento lavorativo”. Solo queste due
condizioni sono riconosciute dall’INAIL (ente sul territorio preposto al risarcimento da malattia
professionale). Se l’INAIL ritrova che quel lavoratore ha sviluppato “disturbo post traumatico da stress
lavorativo” e “disturbo da disadattamento lavorativo”, indennizza il lavoratore; quindi non il mobbing né lo
stress lavoro correlato, ma patologie psichiatriche sono quelle riconosciute associate a problematiche come
il mobbing e il burnout che l’INAIL eventualmente riconosce. Oggi sono pochissime le malattie professionali
riconosciute da agenti di rischio trasversale e quindi da stress lavoro correlato.
Lavoratori che più sono soggetti a mobbing sono quelli che o hanno un elevato coinvolgimento lavorativo o
hanno ridotte capacità lavorative. Soggetti bersagliati sono quelli “diversi”: lavoratori immigrati oppure
soggetti con disabilità hanno una soglia individuale più bassa, sono ipersuscettibili a malattie come il
mobbing.
Le conseguenze sulla salute sono inizialmente: cefalea,ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione. In
seguito si associa a queste patologie una vera e propria patologia d’organo. Ecco perché rientrano nel
disturbo di adattamento o nel disturbo post traumatico da stress, che sono le uniche riconosciute
dall’INAIL.
La sindrome del burnout è l’esito patologico del processo stressogeno che colpisce le figure professionali
d’aiuto. Nonostante siano state date nuove definizioni del burnout che la classificano come una patologia
che si manifesta con il deterioramento dell’impegno del singolo nei confronti del lavoro, in tal senso
farebbero rientrare nella definizione anche non solo figure d’aiuto. Generalmente si parla del burnout
come di una patologia che colpisce figure d’aiuto: educatori, insegnanti, medici, poliziotti, vigili del fuoco,
carabinieri, sacerdoti, operatori assistenziali, psichiatri, psicologi. Queste figure sono caricate da una
duplice fonte di stress, lo stress personale e quello di aiutare la persona che viene assistita. In percentuale
la categoria più a rischio è rappresentata dal settore degli insegnanti e dai video terminalisti che lamentano
tutta una serie di fattori di malessere (attività lavorativa monotona).
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Se non opportunamente trattati sfociano nella fase finale del burnout di logoramento psico-fisico che è
l’apatia.
Negli operatori sanitari la sindrome si manifesta con queste fasi:
Preparatoria, che è quella di grosso entusiasmo realistico;
Stagnazione, le grosse aspettative del medico e paramedico non coincidono con la possibilità di
realizzarle nell’ambiente lavorativo;
Frustrazione, iniziano ad insorgere sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione;
Cinismo, l’interesse e la passione si spengono completamente ed entra in gioco quella che viene
definita vera e propria “morte professionale”.
Solo il rispetto delle norme in materia di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro potrà oggi come in
futuro prevedere il rispetto e la tutela del cittadino lavoratore.
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Medicina del Lavoro 19/11/2014
Il modello di determinazione del danno è rappresentato da una sequenza di blocchi che partono
dall’esposizione del rischio e, passando per varie fasi, arrivano alla malattia. In realtà possiamo
leggere questa sequenza di fasi anche in senso contrario, partendo dalla malattia e arrivando a
descrivere l’agente del danno. Questo modello si utilizza quando al soggetto è riconosciuto un
danno professionale con lo scopo di capire quale sia stata la causa della malattia.
Ciò è fondamentale per:
- consentire il risarcimento al lavoratore per il danno subito;
- fare prevenzione sui soggetti non malati ma esposti allo stesso rischio;
- individuare soggetti ipersensibili a quell’agente per proprie caratteristiche individuali a
differenza degli altri lavoratori che non avranno la stessa malattia.
Le varie fasi del modello sono connesse tra di loro sia per conoscere l’evento sia per fare
prevenzione. Possiamo partire dall’agente e arrivare alla malattia, oppure dalla malattia e
individuare gli agenti. Ciò che cerchiamo di capire è l’insieme di tutte le sostanze alle quali il
lavoratore è esposto compresi quelli dell’ambiente di lavoro. Ad esempio in una fabbrica per la
produzione di oggetti in plastica dobbiamo conoscere quali sono eventualmente i materiali che
possono esporre il lavoratore a un rischio di danno però dobbiamo considerare anche gli agenti
ambientali. Questa è la valutazione del rischio: stabilire la pericolosità intrinseca di ciascun agente
(sia professionale sia ambientale) e conoscere a priori l’effetto lesivo che ne può scaturire. Solo così
possiamo prevedere l’insorgenza della malattia.
Allora se partiamo dalla sostanza e dalla sua pericolosità dobbiamo arrivare al rischio (la
probabilità che si verifichi un evento avverso). Per fare ciò dobbiamo anche sapere per quanto
tempo il soggetto è stato esposto e a quale dose. Quindi i 3 parametri importanti per la valutazione
del rischio sono:
- pericolosità intrinseca della sostanza;
- dose della sostanza;
- tempo di esposizione del soggetto alla sostanza.
Così possiamo sapere la probabilità e l’eventualità che ci si possa ammalare. Inoltre dobbiamo
monitorare nel tempo per controllare in che modo si evolve la situazione dopo che è avvenuto il
contatto. In questo caso utilizzeremo tutta una serie di indicatori che ci permettono di valutare le
modifiche biologiche che avvengono nell’organismo e gli eventuali danni a tessuti organi e
apparati. Ecco come passiamo a leggere il modello di determinazione del rischio dalla malattia alle
cause che l’hanno determinata con la possibilità di fare prevenzione perché analizziamo
l’evoluzione delle modificazioni cellulari verso il danno, molto tempo prima rispetto a una
diagnosi precoce.
Ciò che rende complesso il modello (e tutte le sue fasi) è l’individualità. Tener conto di questo
elemento rende più accurata la valutazione del rischio. Perciò comprendiamo la necessità di una
attenta anamnesi lavorativa. Ad esempio un fattore di rischio molto importante è lo stress lavoro
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correlato che ci permette di capire come uno stesso luogo di lavoro può essere percepito in modo
diverso tra i lavoratori. Perciò possiamo dire che il rischio diventa individualizzato.
Il medico del lavoro è chiamato non solo alla prevenzione ma anche alla promozione della salute.
Il medico di medicina generale ha un contatto ancora più diretto con il lavoratore. Ciò permette
una corrispondenza importantissima tra medico del lavoro e medico di medicina generale. Infatti
il medico di medicina generale può partecipare alla prevenzione non limitandosi a chiedere
soltanto la professione svolta dal lavoratore, ma approfondendo l’anamnesi professionale. Online,
sul sito ISTAT c’è la pagina ATECO (= classificazione delle attività lavorative) in cui sono
classificati 10 settori lavorativi con i corrispondenti sottosettori. Per ogni settore vengono indicati:
le mansioni frequenti, i compiti lavorativi, i fattori di rischio presenti. Quindi in base all’attività
lavorativa possiamo vedere tutte le caratteristiche associate. Le informazioni che vengono da
queste banche dati hanno carattere di tipo generale a cui si aggiungono informazioni proprie del
territorio offerte da altre fonti.
La valutazione del rischio è importante non solo per la conoscenza del rischio, ma anche perché da
questa analisi quantitativa scaturiscono misure e decisioni per la gestione del rischio. Si elaborano
una serie di opzioni e si sceglie il provvedimento da realizzare. Ad esempio per ridurre
l’inquinamento in città si dispongono zone a traffico limitato.
Il modello generale di regolamentazione dell’esposizione ad agenti di rischio prevede
- l’identificazione di un qualsiasi agente di rischio (fisico, chimico, biologico o ambientale)
con alta o più bassa potenzialità di provocare un danno sul luogo di lavoro;
- di stabilire i rapporti tra la dose e l’effetto ( a che dose si ha l’effetto) e tra l’esposizione e
l’effetto (dopo quanto tempo si ha l’effetto);
- monitoraggio sulle persone esposte a quegli agenti;
- la caratterizzazione del rischio cioè la capacità dell’agente di provocare disturbi o danni
più o meno importanti su un numero elevato di persone e di fare un bilancio per una
valutazione economica. Ad esempio il mal di schiena è causa di molte assenze lavorative
anche se la patologia di per sé è meno grave di molte altre. Lo stesso vale per l’influenza.
- la gestione del rischio che porta allo sviluppo di diverse opzioni e alla scelta delle norme da
mettere in pratica.
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MEDICINA DEL LAVORO
Lezione del 25/11/14
Prof.Sannolo
Ricollegandosi alla lezione precedente il professore fa riferimento ad uno schema utilizzato in medicina del
lavoro e che prende il nome di valutazione dei rischi. Il modello che permette la valutazione dei rischi è
composto da una parte scientifica,ed una gestionale detta anche decisionale e che mette in opera le misure
per la valutazione del rischio.
La valutazione ha inizio con l’identificazione dei fattori di rischio, che ci porta ad identificare le circostanze e
le sostanze che possono determinare danni alla salute. Successivamente si passa ad attribuire a questi
fattori identificati una potenzialità di danno intrinseco detta pericolosità o pericolo;si prosegue poi con il
monitoraggio seguendo nel tempo l’esposizione dei soggetti a questi fattori.
Un modo semplice di approcciarsi alla valutazione del rischio prevede lo studio di tre parametri che sono:
-gravità del danno legato alla pericolosità dell’agente di rischio
-tempo di esposizione
-livello di esposizione.
Se accettiamo la definizione per la quale il rischio altro non è che la possibilità che si verifichi un
danno,possiamo semplicemente fare riferimento ad un’equazione che prenda in considerazione almeno
due parametri, che sono la pericolosità intrinseca e l’entità dell’esposizione. Attraverso queste
equazioni, ed una volta assegnati dei valori ai due parametri di cui abbiamo precedentemente
parlato,otterremmo in maniera semiquantitativa dei grafici rappresentati su un sistema di assi cartesiani.
Incrociando i valori dei parametri sull’asse, avremo subito un’idea di quali siano i rischi associati a delle
sostanze che noi abbiamo già qualificato.
ll valore intrinseco di pericolosità si attribuisce sulla base di una sperimentazione condotta su animali o
linee cellulari,che come prima cosa ci permettono di delineare la curva dose-risposta e di conoscere la
dose, al di sotto della quale ,non riconosciamo nessuna alterazione del sistema biologico in studio. <A
questo punto il prof. mostra 3 esempi di curva dose-risposta: -la prima curva è rettilinea e passa per lo 0
ed è tipica di alcuni cancerogeni,sostanze per le quali non esiste una dose incapace di procurare danno; -la
seconda curva ha aspetto sigmoideo, per cui inizialmente ci saranno tutta un serie di dosi ,corrispondenti al
tratto parallelo all’asse delle ascisse,che non producono effetto o meglio che producono sempre lo stesso
effetto(definito effetto back-ground) ed un valore soglia oltre il quale invece ci saranno tutta una serie di
dosi, che invece causano danno; -il terzo tipo curva identifica una condizione nella quale all’aumentare
della dose anziché verificarsi un danno si verifica un vantaggio.>
In base all’andamento della curva dose-risposta ,si ci orienta sul tipo intervento del medico del lavoro ,che
può essere limitato all’osservazione e follow-up oppure ,può richiedere l’uso di strumenti che permettono
di prevenire il danno alla salute.
La sperimentazione animale ci permette di conoscere la DL50 O DOSE LETALE 50%,che corrisponde alla
dose alla quale è avvenuta la morte del 50% delle cavie. Oltre alla letalità di un’agente possiamo studiare
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altre caratteristiche, come la tossicità acuta subacuta e cronica che vanno studiate, rispettivamente nei
primi 14 giorni,nei 90 giorni e entro i 2 anni.
In pratica,tramite la sperimentazione, possiamo ottenere un database dei fattori di rischio e della loro
pericolosità: una sostanza che ha una DL50inferiore o pari a 1mg/kg rientra nella categoria delle sostanze
ESTREMAMENTE TOSSICHE. Via via, al crescere del valore della DL50 ,avremo sostanze sempre meno
tossiche. Sull’etichetta di queste sostanze entrate in commercio ,ad indicare la pericolosità ,avremo una
serie di simboli che per le sostanze estremamente tossiche sarà il teschio con le tibie incrociate ,mentre per
sostanze che stanno più in basso nella scala della pericolosità, sarà ad esempio la croce di Sant’Andrea.
Spesso affianco all’immagine ,ritroviamo anche una classificazione lessicale che specifica la natura della
pericolosità attraverso le cosiddette frasi di rischio(ad es. NON INALARE etc.).
Dal momento che le sperimentazioni sono condotte sugli animali ,va tenuto presente che i dati che
otteniamo debbano in qualche modo essere corretti e adattati, nel momento in cui vogliamo usarli per
l’uomo. Prendiamo ad esempio in considerazione la NOAL(la dose più alta che non causa effetti) per poterla
adattare all’uomo la si divide almeno per 1000( dal momento che attribuiamo valore 10 ai 3 parametri che
prendiamo in considerazione per l’adattamento ovvero:- il fatto che si tratti di animali da esperimento -la
differenza tra specie e -la suscettibilità individuale)per cui la dose risulta di molto ridotta nel passare
all’uomo. Questi dati ,vengono utilizzati per stabilire i VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE, cioè stabiliamo quale
sia la concentrazione max a cui può essere esposta la popolazione nel luogo di lavoro, tenendo anche conto
della durata dell’esposizione. Va detto che, per stabilire con esattezza la pericolosità di un agente ,si fanno
anche studi epidemiologici cioè si studia una popolazione di individui che sono stati esposti a
concentrazioni note dell’agente nei luoghi di lavoro, e si osserva la comparsa di malattie o l’insorgere di casi
di morte,andando ad integrare dati sperimentali e quelli epidemiologici .Un’altra questione è che oltre a
tenere conto dell’esposizione ,bisogna tenere conto anche della suscettibilità individuale che può essere
geneticamente determinata ma può essere anche temporanea e\o acquisita(es. la donna lavoratrice in
gravidanza).In medicina del lavoro abbiamo anche la possibilità di distinguere gli effetti acuti dagli effetti
cronici e la possibilità di capire quali agenti possono produrre danni immediati e quali possono invece
provocarli a distanza dopo esposizione prolungata ,per cui abbiamo già gli strumenti per distinguere
l’infortunio dalla malattia professionale. Uno xenobiotico può penetrare nell’organismo in diverse modi a
seconda delle sue caratteristiche chimico-fisiche(ad es attraverso la via inalatoria se si tratta di polveri o gas
o attraverso la cute, se si tratta di una sostanza particolarmente liposolubile), in più questa sostanza una
volta giunta nell’organismo può comportarsi in modi diversi :+può per esempio competere con molecole
biologiche per il legame a substrati che svolgono ruoli chiave nella sopravvivenza dell’organismo oppure,
legare molecole con ruoli ritenuti “secondari”; + possono essere biotrasformate dall’organismo in molecole
che hanno una minore capacità lesiva ,ma più spesso ,la biotrasformazione comporta la formazione di
sostanze considerate ancora più tossiche; + in parte possono essere eliminate o accumularsi. tutte queste
fasi devono essere conosciute e monitorate per ovvi motivi .
La valutazione dell’esposizione ,si fa attraverso il MONITORAGGIO AMBIENTALE e il MONITORAGGIO
BIOLOGICO. Una volta identificati gli agenti di rischio, abbiamo la possibilità di misurare nel tempo la loro
concentrazione nei luoghi di lavoro,attraverso il monitoraggio ambientale, e misurare la quantità di questi
agenti nell’organismo ,attraverso il monitoraggio biologico ,(intendendo per biologico il fatto che usiamo
matrici biologiche tipo sangue urine) utilizzando i cosiddetti marcatori biologici ,abbiamo la capacità di
misurare la quantità di queste sostanze che hanno intercettato molecole biologiche o sistemi biologici
importanti per il rischio della salute e ,sempre nell’ambito del monitoraggio biologico,possiamo verificare
se queste sostanze si sono accumulate nell’organismo, perché l’accumulo equivale a un esposizione
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permanente 24h/24 dell’organismo all’agente. Come fase finale abbiamo la possibilità di fare una
sorveglianza sanitaria grazie alla visita periodica alla quale vengono sottoposti questi individui,verificando i
danni indotti da queste sostanze.
L’organo bersaglio è quello sul quale l’agente produce l’effetto o il danno,generalmente è un dato che si ha
già a disposizione nella sperimentazione animale .L’organo critico è l’organo verso il quale l’agente produce
una modificazione non definibile danno .Viene definito critico perché è il primo organo nel quale si
raggiunge una concentrazione,detta critica, tale da rilevare un evento biologico osservabile ,ed è come una
sentinella che allarma il sistema dell’imminenza del danno. La conoscenza dell’organo critico diventa uno
strumento di prevenzione, e ci permette di assumere una serie di iniziative per proteggere l’organo
bersaglio. Quando un soggetto mostra segni di danno,la prima cosa che viene fatta è l’allontanamento dal
fattore di rischio.
Ovviamente i modelli che vengono usati sono semplificati rispetto alla complessità dell’organismo e dei
fattori di esposizione ,che normalmente non sono mai singoli. Il soggetto può essere esposto a più agenti di
rischio,per cui bisogna almeno ipotizzare che sul luogo di lavoro ci siano più fattori di rischio che possono
interagire ed avere un effetto additivo,o sinergico ,oppure che la presenza di un agente a livello
dell’organismo potenzia la pericolosità intrinseca di un altro agente. Oltre agli agenti chimici, ci sono tutta
una serie di altri stressor quotidiani che gravano sul singolo lavoratore ,e che partecipano a differenziare la
risposta allo stesso agente a parità di esposizione da un individuo ad un altro( basti pensare a malattie
pregresse all’età la situazione familiare lo stress etc.). Per cui un medico di medicina del lavoro deve
considerare tutti questi aspetti,ragione per cui il suo ruolo è più vicino a quello del medico generalista che a
quello del medico specialista proprio perché appunto il medico del lavoro conosce molto del suo paziente.
È la dose che fa il tossico, a prescindere dalla pericolosità intrinseca,nel senso che qualunque sostanza a
determinate dosi può determinare un danno e anche l’accesso di acqua può essere considerato dannoso, e
le dosi devono essere anche considerate in relazione alle eventuali interazioni con altre sostanze tossiche
già presenti nell’organismo.
<A questo punto il prof fa una serie di domande ed esempi per far capire che in pratica se si facesse
solamente un monitoraggio ambientale sia sottostimerebbe l’esposizione di alcune categorie di lavoratori e
rimarca quindi l’importanza del monitoraggio biologico o del singolo lavoratore o di gruppi di lavoratori
considerati “uguali dal punto di vista dell’esposizione” cioè dividendo i lavoratori in gruppi in base a
caratteristiche di omogeneità e aiutandosi con la statistica. Quest’ultima cosa la si può fare per studiare
l’andamento del fenomeno ma non per conoscere l’esposizione del singolo individuo o per studiare
l’ipersuscettibilità del soggetto(che dipende dalla capacità del soggetto di biotrasformare l’agente di rischio
e dipende anche dalla velocità con cui questa sostanza viene trasformata e anche dal tipo di sostanza
perché se la sostanza che ha capacità lesiva viene a formarsi proprio tramite biotrasformazione allora sarà
logico che il fast metabolizer o metabolizzatore rapido sarà un soggetto ipersuscettibile).
In ultima analisi ,con il monitoraggio ambientale ,conosciamo la dose esterna ,con il monitoraggio biologico
conosciamo la dose all’interno dell’organismo. La dose esterna verrà comparata con il valore limite di
esposizione ottenuta dagli esperimenti e con il NOAL per stabilire se l’ambiente di lavoro è accettabile o
meno. Con La dose interna (si stabilisce se il soggetto è metabolizzatore rapido se è metabolizzatore lento)
e una volta fatte le misurazioni vanno comparate con gli indici biologici di riferimento e ci dicono quanto il
singolo soggetto è stato esposto e possiamo individuare anche la dose di esposizione all’agente al di fuori
dell’ambiente di lavoro(la memoria dell’esposizione c’è solo nel monitoraggio biologico).
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MEDICINA DEL LAVORO 4-12-2014
L'argomento di oggi è collocato sempre in questa idea che si possa immaginare il rischio collegato
alle esposizioni a un agente o a più agenti di rischio lungo questa direttrice, che abbiamo visto altre
volte, che porta questo modello molto semplificato dalle esposizione fino alla comparsa del cancro.
Volevo sottolineare ancora una volta che questo modello è utilizzabile non solo nell'ambito della
salute dei lavoratori, ma è un modello universale per tenere sotto controllo i rischi connessi con
l'esposizione a specifici agenti che, chimici/fisici, si possono trovare anche nelle condizioni di vita
ordinarie. Vi faccio un esempio: uno degli argomenti che sta molto invocando il dibattito sulla terra
dei fuochi, ma in generale su tutta l'area campana interessata ai roghi e al seppellimento dei rifiuti
tossici, è il fatto di accertare se queste persone delle quali si dice che siano state colpite da malattie
gravissime, quali tumore e via discorrendo, siano realmente state esposte a questi agenti di rischio.
In quel modello che abbiamo visto le volte scorse, il così detto “management”, cioè il che fare nei
confronti del rischio, comporta che uno sappia che cosa determina il rischio; se uno non lo sa, non
conosce i meccanismi che hanno prodotto il danno e, quindi, uno non sa che tipo di misura adottare.
Sapere che cosa fare, cioe prendere le decisioni “di tipo politico” ed evitare che si subiscano danni,
comporta necessariamente la conoscenza dei fattori di rischio, della loro importanza in termini
quantitativi nei luoghi in cui questi agenti vengono individuati nel tempo, che rimangono in questi
luoghi e che possono dare dei fenomeni di esposizione e dei possibili effetti che si subiscono sia in
termini irreversibili sia in termini di reversibilità. Solo se ho una conoscenza scientifica di questa
serie di eventi dalla identificazione degli agenti di rischio fino alla registrazione di una
modificazione di tipo biologico o del danno, è possibile prendere una decisione. Anche allocare
risorse cioè stabilire, ad esempio, non faccio camminare più frequentemente i pullman a Napoli
però i soldi che dovrei utilizzare per comprare 10/15 pullman li utilizzo per bonificare questo sito
perché da questa bonifica ne riceverà un beneficio la popolazione e questa si apprezza avendo
chiaro quale sia il meccanismo che abbia esposto la popolazione al pericolo esaminato. Molte
fallimenti nel prendere decisioni risiede nel fatto che ci sono carenze o assenze in termini della
valutazione del rischio. Questo modello della volta scorsa, nella stringa di sopra porta “National …
American... 1983”, e vi voglio sottolineare che questo sistema di regolamentazione dell'esposizione
degli agenti di rischio, che formalmente è stato messo a punto dal “National Reaserch Contry” degli
USA, è stato concepito per salvaguardare la popolazione generale, cioè è stato proprio costruito per
produrre vantaggi alla popolazione. È stato concepito in questo modo perché i decisori politici che
volevano investire in sicurezza per la salute degli statiunitensi avevano bisogno di sapere perché la
gente si ammalava, quali agenti producevano le malattie e con quali meccanismi ci stava
l'interazione con l'uomo, e quindi, con molecole, cellule critiche. La medicina del lavoro ha adottato
questo lavoro e lo ha perfezionato per il fatto che l'ambito lavorativo costituisce un ambiente utile
per sperimentare quel modello perché a differenza dell'ambiente di vita dove gli individui esposti a
possibili fattori di rischio sono intanto per età e condizioni economiche molto diverse tra di loro.
Quindi è difficile valutare l'impatto di una eventuale esposizione su una popolazione così ampia nel
tentativo di capire se ci sono delle correlazioni. Per questo si usa la sperimentazione animale.
Quando si fa la sperimentazione sugli animali a questo si tende; cioè a individuare un gruppo di
animali che hanno caratteristiche biologiche simili fra di loro in modo tale che, in effetti, si
constatarono attraverso la sperimentazione siano fallimenti attribuibili esclusivamente all'agente a
cui sono stati esposti. Se ci sono delle variabili di età, malattie, povertà, alimentazione è più difficile
individuare il rischio. Il mondo della medicina del lavoro si è prospettato interessante per affinare il
modello proprio perché aveva i lavoratori che avevano una fascia di età certa tra i 20 e 60 anni. Ma
non solo. Anche il luoghi di lavoro sono “sorvegliati”. Di questi lavoratori, il medico competente ha
conoscenza delle loro condizioni generali di salute. Viene monitorato nel tempo. Si possono anche
fare eventuali correlazioni tra modifiche di inquinanti per quantità e qualità nell'ambiente di lavoro
e comparsa di malattie. Un buon progetto di sorveglianza permette di tutelate le modifiche
dell'ambiente con comparsa alla salute dei lavoratori. Abbiamo visto il ruolo del medico generico
nella popolazione generale, invece il medico della medicina del lavoro malgrado un ruolo centrale
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della salvaguardia della salute della popolazione non ha gli strumenti né come missione quella di
tenere questa […] così stringente rispetto ai fattori di rischio. Al medico di base sfugge il tipo di
esposizione cui puoi essere esposto durante il lavoro, non lo sa a meno che non faccio una scheda
dettagliata sul tipo di lavoro e tutti i fattori di rischio. Gli manca un pezzo dei fattori di rischio cui
un soggetto può essere esposto o è esposto che può essere causa di malattie. Nei luoghi di lavoro di
attività ordinaria, tutti i fattori di rischio sono conosciuti e quantificati. Le volte scorse abbiamo
preso in esame quelle valutazioni di tipo semiqualititavo o qualitativo, quelle matrici colorate, in
realtà ha dietro progetto quello di identificare quelli che sono i fattori di rischio e attribuire a
ciascuno di essi un peso in termini di rischio collegato all'esposizione. Nei luoghi di lavoro, questa
operazione di trovare i fattori di rischio e di attribuirgli un peso, è facile perché il lavoro è un
sistema aperto e controllabile. Come se fosse uno spazio in cui si sa cosa entra (ad esempio in una
azienda chimica, le sostanze che arrivano all'industria) e si sa cosa esce (prodotto finito) e cosa
succede (processo di lavorazione). Quindi è un ambiente simile a quello della sperimentazione, per
avere una idea chiara dei rischi. Si adottano questi sistemi che sono quelli che abbiamo registrato
nelle varie stazioni, questa sequenza che vedete qui. La prima parte di questa sequenza ha come
finalità, ragionando su un fattore di rischio per volta, per esempio al benzene o piombo, quella di
stabilire la dose alla quale questo soggetto è esposta. La dose la immaginiamo come dose esterna,
cioè quella che ha a che vedere con la concentrazione dell'inquinante nell'ambiente, e la dose
interna, concentrazione dell'inquinante all'interno dell'organismo. È importante parlare di
monitoraggio della dose esterna, o monitoraggio ambientale. Attraverso il monitoraggio, esame
sistematico e protratto nel tempo di questa dose, si ha la rappresentazione della variazione della
concentrazione in quel punto nel tempo. Si fa per stagione, la stagionalità in cui […] influiscono
sulla concentrazione dell'inquinante. Le concentrazioni di queste determinazioni si confrontano con
quei valori di riferimento che abbiamo visto nelle volte scorse, cioè quelle concentrazione che si
valutavano pericolose per gli animali che poi si confrontavano con le concentrazioni pericolose per
l'uomo. Quelle concentrazioni si chiamano “VALORI LIMITE” e si mettono a confronto il dato
esterno con il dato di legge (variabile, che viene aggiornato di anno in anno). Questo valore limite è
la concentrazione di agente aereodisperso (presenti nell'aria) alla quale si ritiene che la maggior
parte dei lavoratori possa essere esposta per tutta la vita senza subire danni. Questo “maggior parte
dei lavoratori” è sottolineato da quel dato che noi abbiamo accennato più volte, cioè che esistono
delle risposte di ipersuscettibilità. Il medico competente ha il compito di identificare le persone che
fanno parte dei lavoratori che devono essere tutelati tenendo conto che la risposta biologica è anche
a concentrazioni più basse di quelle normali. Questo T.L.V. (valori limite di esposizione) è la chiave
di volta per capire se uno è esposto alla dose pericolosa o meno. Per la predizione del rischio e per
la gestione del rischio, il T.L.V. è stato diviso in tre parti; cioè si sono identificati tre TLV: è una
divisione schematica e anche molto logica. Esistono una miriade di sostanze di sintesi le quali
hanno delle caratteristiche epidemiologiche più disparate. Ci sono sostanze molto pericolose o poco
pericolose. Sono sostanze che hanno un effetto residuo immediatamente e non immediatamente,
cioè a comparsa tardiva. Allora io attribuisco un certo tipo di TLV alle sostanze che possono creare
danni a comparsa tardiva, oppure un TLV alle sostanze che fanno un danno immediato, oppure un
TLV a delle sostanze, ad esempio, con effetti neurotossici. Queste tre categorie di sostanze
corrispondono o meno alle situazioni di salvataggio che si possono identificare in tempo. Eppoi ci
sono quelle sostanze che possono provocare dei danni transitori che vengono considerati con un
altro TLV. È chiaro che questo è schematico. Faccio delle misure nel luogo i lavoro, stabilisco qual
è la concentrazione inquinante. La concentrazione è accettabile o no? Vado a vedere di quella
sostanza qual è il TLV e faccio il confronto. Come si fa il confronto? Si fa il confronto tenendo
conto durante la giornata lavorativa o durante la vita lavorativa, perché questa rappresentazione che
vedete qui è immaginabile nel tempo zero/otto ore, zero/365 giorno ecc.; è un confronto che si può
fare istantaneamente rispetto al TLV nell'arco di tempo lungo. È ovvio nel caso di sostanze che
hanno comparsa tardiva, posso fare questo confronto nella settimana, nel mese, nell'anno. In caso
delle sostanze che hanno un effetto acuto, il confronto lo devo fare oggi, istantaneamente, e non
durante l'arco dell'anno per vedere quante volte io ho superato il limite. Se vado a vedere dopo,
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nell'arco della settimana, quante volte è stato superato questo TLV, vedrò che sarà superato 10 volte
e non farò più la prevenzione. Facciamo un esempio pratico. Questa maniera di capire se questa
cosa funziona o non funziona (se andate in regione gli assessorati competenti queste cose qua non le
sanno [chissà perché ndr] e non le usano per svolgere questo ruolo istruttorio), la rappresentazione
che si da ai cluster della convenzionale in un sistema di assi cartesiani, tempo in ascissa e la
concentrazione che noi misuriamo nelle ordinate. Poiché il TLV con il quale dobbiamo confrontarci
è un dato di concentrazione, lo metterò in ordinata. Se noi dobbiamo verificare il TLV durante le
otto ore lavorative, tracciamo una linea parallela all'asse delle ascisse e vediamo come varia la
concentrazione dell'inquinante. Si inizia da una concentrazione presente durante la giornata
lavorativa, ad esempio poniamo il caso che questo valore valga 5 ppm (parti per milione – maniera
per esprimere una concentrazione delle sostanze disperse) e poniamo che il TLV sia sette.
Cominciamo a misurare questa concentrazione nel luogo di lavoro. Il fatto che sia 5 all'inizio, c'è di
fondo un concentrazione; è raro andare in un luogo e non trovare una concentrazione di fondo.
Comincia il lavoro, come una saldatura, noi registriamo mano a mano la concentrazione in
corrispondenza di questa operazione. C'è un momento in cui l'andamento della curva della
concentrazione che stiamo misurando, supera il TLV, poi finisce l'operazione e la concentrazione
nell'ambiente si riduce grazie alla depurazione, alla ventilazione. A questo punto succede un'altra
fase, un'altra operazione, un'altra saldatura; nei luoghi di lavoro si ripetono le attività. Comincia la
saldatura un'altra volta e si ha un altro picco. Probabilmente se avessimo aspettato altro tempo
sarebbe scesa ancora di più perché sarebbe diluito di più. E la concentrazione sale di nuovo. Alla
fine delle otto ore lavorative avremo questa specie di sinusoide, “come se un serpente circonda la
linea del TLV”. C'è una apparente contraddizione in questa rappresentazione; se bisogna
salvaguardare le persone non bisogna superare il TLV, il valore limite. In questo caso ci sono dei
superamenti, ma anche aree al di sotto. Nel caso di sostanze a comparsa tardiva siamo di fronte a
una gestione di questo limite, che tiene conto del fatto che è scientificamente dimostrato. Siamo nel
problema in cui è possibile superare la soglia purché i superamenti della soglia siano compensati
dall'escursione al di sotto di questa soglia. Questo deriva dal fatto che questi agenti o queste
caratteristiche di TLV hanno comparsa tardiva. Alla fine la soglia totale non deve essere superata.
Sono consentite le escursione purché siano compensate. Come si fa a sapere se sono compensate? Si
misurano le aree al di sopra, si confrontano con le aree al di sotto della curva e se c'è più
abbondanza dell'area al di sotto si dice che è rispettato il valore. Quando abbiamo a che fare con
sostanze neurotossiche, con effetti immediati non gravi recuperabili facilmente (ad esempio un
uomo che usa solventi su un palo della luce in alto), si dice che si avrà dei livelli di riferimento che
sono più alti del TLV, ma ai quali devi rimanere per poco tempo, cioè in poco tempo si ha un minor
effetto e piccola deviazione dallo stato normale e recupero fisiologico di, per esempio, un'ora. Si
dice che queste sostanze sono per brevi esposizioni, 15 minuti al massimo, tempo secondo cui si
pensa che non si inneschino e non si possa provocare danno. Le sostanze, per le quali l'effetto è
immediato, hanno un limite che non può essere mai superato e deve essere monitorato
continuamente altrimenti c'è il rischio di danni gravi. Tutte le sostanze che sono ponderate nel
tempo seguono il TLV-TWA (Time Weighted Averages). Come succede nelle autostrade: il limite è
a 80; non significa che uno non possa arrivare a 100. Uno può arrivare a 100 temporaneamente per
un sorpasso, e non è sanzionato. La cosa importante è che ai passaggi successivi si accerti che
quell'eccesso sia stato compensato dalla minore velocità; cioè dal prossimo controllo mostra che è
rientrato completamente. Molte sostanze hanno anche un TLV-STEL (Short-Term Exposure Limit),
cioè valore limite di soglia per breve periodo di esposizione. Ad certe concentrazioni possono dare
effetti tardivi, ad altre concentrazioni danno effetti acuti. In questo caso specifico non si deve
superare il STEL, e quindi che non si manifesti l'effetto acuto, è superato il TLV-TWA. Le aree al di
sopra sono in eccesso rispetto alle aree al di sotto. È come se in autostrada, tipo l'autostrada Napoli-
Roma, non si potesse superare i 100 km/h, ma sono 100 km/h ponderati. Ad esempio se vado a 110
eppoi a 90, va bene, ma se vado a 150 devo essere sanzionato. Questi dati sulle attribuzioni su
ciascuna sostanza dei vari TLV sono riportati in tabelle sia quelle di agenzie internazionali tipo
questa “ACIGH”, oppure in tabelle della Unione Europea. In più ci sono anche delle note che, in
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questo caso qua, significano “quella sostanza aereodispersa passa anche attraverso [...]”. e quindi
affianco si mette un altro valore che si chiama il […] che indica il limite che noi andiamo a
controllare all'interno dell'organismo. Il monitoraggio ambientale ha una sua articolazione interna.
Se dico che questa zona è inquinata perché ho un dato di dose esterno alto, io ho messo una
macchina che aspira l'aria ad un certo posto, e questa aria una volta che è stata aspirata, la vado ad
analizzare e trovo le dosi esterni. Ma se lo faccio su un territorio molto vasto, saprò la
concentrazione nel posto dove ho messo la macchina, mica in tutti posti dell'area vasta. In effetti
saprò che quel luogo in quel posto ha un certo grado di inquinamento. Poi ci sono pure le variabili
del vento oppure la temperatura, notte/giorno, situazioni che hanno molta influenza su questo dato.
Il luogo di lavoro comunque è un luogo più raccolto e quindi si possono mettere le macchine
campionatrici anche vicino alle zone a rischio. La maniera più interessante per stabilire se uno è
esposto a una dosa alta o meno, è quello di fare un “campionamento personale”, cioè invece di
mettere un campionatore in un posto, si mette il campionatore addosso alla persona. Un po' come
quegli ausili che usano i radiologi. Il radiologo viene giudicato se esposto o no, non tanto sulla base
che il fisico-sanitario misura le radiazioni della macchina alla fonte e dice che i radiologi sono
esposti; non è vero. Il radiologo durante l'rx può svolgere vari ruoli rispetto a un altro radiologo che
sta eseguendo l'esame e quindi non vero che tutti i radiologi sono esposti. E allora si mettono questi
dosimetri personali. In questo caso si rileva quale è la dose di quelle sostanze che sono esposte
quelle persone durante lo svolgimento di molteplici cose. Si campiona, si confronta con il valore
limite e si prende una decisione. Si può mandare la persona a lavorare da un'altra parte in modo da
creare queste compensazioni di queste sostanze; è possibile fare il management dei ruoli, è un
problema di tipo organizzativo. Si può anche usare una “pompa peristaltica” per aspirare l'aria in
prossimità della bocca, questi captatori di aria ambiente vicino al bavero della giacca e questo
simula la qualità dell'aria che entra dentro i polmoni. Si possono usare il “carbone attivo(?)” o si
possono usare dei dischetti simili a quelli dei radiologi che attirano passivamente l'aria. Per le
polveri si usano dei sistemi a filtro che captano l'aria e bloccano sul filtro le polveri. Possiamo
trovarci davanti a sostanze liposolubili e passano attraverso la via cutanea; quale migliore cosa ti fa
il dosaggio dentro l'organismo, e quindi il carico interno di queste sostanze, che poi quello che
svolge l'effetto lesivo? I liquidi biologici. A parte l'eventualità che la sostanza possa entrare dentro
l'organismo attraverso la via cutanea, la quantità di sostanza che entra dentro l'organismo dipende
anche dal territorio. Dal solo dato ambientale, dal solo TLV, non ricaviamo la certezza che
all'interno dell'organismo ci sia la sostanza; può passare per la cute, la via respiratoria o anche dal
cibo. Stiamo parlando del piombo o il benzene. Se andiamo a vedere sulle matrici biologiche la
dose interna, noi integriamo in un dato tutte le vie attraverso le quali l'agente entra nell'organismo,
anche nelle extra-professionali. Qui abbiamo un dato reale di rischio che non dipende solo dal
rischio occupazionale ma anche il rischio legato a una esposizione extra-occupazionale. Il
monitoraggio biologico è più potente rispetto a monitoraggio occupazionale riguardo alle materie di
predizioni del rischio. Attraverso questo campionamento in tempi e modi opportuni, possiamo
valutare quale è la dose degli agenti che può entrare in un organismo e dare degli effetti biologici.
Gli effetti che si possono determinare sono diversi, sia deterministici, allergici e stocastici; gli
esempi che prendiamo in considerazione sono di tipo deterministico e andremo a indagare questi,
cioè quelli nei quali c'è un rapporto dose/risposta, e questo permette anche una gestione facile
perché se noi misuriamo una dose all'esterno o all'interno e sappiamo che c'è un effetto noi,
possiamo organizzare tutto affinché l'effetto non si produca. Tema degli effetti stocastici, cioè di
effetti che non sono correlati alla dose ma alla probabilità dell'evento avverso (che si studia
prevalentemente attraverso l'epidemiologia molecolare). Attraverso il monitoraggio biologico si
misura o dalla sostanza dal quale [...] o attraverso i prodotti di biotrasformazione, oltre a registrare
altre alterazioni reversibili. Le matrici biologiche che si usano a medicina del lavoro sono quelle che
si raccolgono con nulla o minima invasività. Quindi capelli, unghie, saliva, ecc.; per alcune sostanze
che richiedono controllo ma non sono inquinanti, tipo le droghe, che in alcune categoria di
lavoratori devono essere misurate per legge, soprattutto nel tipo di lavoro si pone danno a terzi. Le
sostanze che si misurano sono “indicatori” o meglio, visto che lavoriamo su matrici biologiche,
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“indicatori biologici”. L'indicatore è il parametro che noi misuriamo con il suo corredo di qualità.
Le qualità che questi indicatori hanno, cioè abbiamo indicatori di dose e possono essere:
- indicatori di dose che marcano l'esposizione,
- indicatori di dose che marcano l'accumulo eventuale di questa sostanza nell'organismo,
- indicatori di dose che marcano la quota della dosa che produce l'effetto in corrispondenza
dell'organo bersaglio (indicatori di dose vera o biologicamente efficace).
Accanto a questa serie di indicatori di dose noi abbiamo gli indicatori di esposizione. Queste tre
sotto categorie di indicatori di dose, consente di avere una lettura accurata di quelle che possono
essere i rischi previsti e stimati all'interno del corpo. Gli indicatori di esposizione ci dice solo che
c'è stata una esposizione, e per definizione deve avere una variabilità legata alla variabilità della
dose esterna. Non si può dare il caso che aumenti la dose esterna e non aumenti la dose di
esposizione. È un indicatore prezioso che ci registra che noi siamo stati esposti all'esterno a una
concentrazione di sostanza. Ad esempio, in un dato ambiente due persone hanno indicatori di
esposizione diversi, e ciò vi pone il problema che a parità di dose esterna: perché uno lo ha più
basso e l'altro più alto? Poi magari si scopre che uno era più vicino alla fonte dell'inquinante. Gli
indicatori di accumulo hanno riferimento alle sostanze particolari tipo solventi che hanno il potere
di accumularsi all'intermo dell'organismo. Questo accumulo da un lato conferisce a questo agente il
potere di danno permanente, perché hanno un potere lesivo a esposizioni croniche a basse
concentrazioni. Hanno anche un altro potere, perché se noi riusciamo a mobilizzare queste sostanze,
ci danno la storia dell'esposizione dell'individuo, un po' come tagliare un albero e capirne la vita dai
cerchi del tronco. Nel caso del piombo, se noi riusciamo a mobilizzare il piombo accumulato in vari
organi, tipo osso trabecolare, possiamo capire se l'individuo ha avuto una esposizione alta o bassa di
piombo. Questo può spiegare delle situazioni di salute che registriamo e può consentire il
riconoscimento di “malattia professionale” e quindi di indennizzo a carico dell'istituto assicurativo.
È importante dal punto di vista della predizione del rischio perché è il netto che è entrato all'interno
dell'organismo. Non tutto quello che è entrato nell'organismo è un target efficace del danno; una
quota che è la frazione della dose, che entra, che arriva all'organo che viene danneggiato o una
macromolecola che produce danno, quella quota si chiama “dose biologica lesiva”, ed è quello sulla
base su cui si ragiona per gestire il rischio, soprattutto su agenti molto lesivi. Abbiamo degli
indicatori che ci registrano gli effetti, cioè gli eventi biologici che vengono modificati, allorché la
molecola interagisce con un meccanismo cellulare, succede qualche cosa che viene registrato.
Questi eventi ci servono in chiave predittiva; sono effetti reversibili, eventi che servono ad essere
registrati e ad adottare delle misure sulla salute. Le tabelle per il monitoraggio ambientale hanno
anche una sezione per il monitoraggio biologico. In quest'area delle tabelle si dice che, dato una
sostanza, benzene, qual è l'indicatore che devo cercare? Il benzene quale, quale metabolita, alcuni
metaboliti del benzene sono utili altri no, per esempio alcuni metaboliti sono comuni al
metabolismo di altre sostanze. Quindi ci dice quali metaboliti da dosare che siano facilmente
dosabili. Oltre a questo, le tabelle ci dice dove prenderli, o sangue o orecchie o urine, e questo
campionamento quando lo abbiamo fatto? Prima o dopo l'esposizione? Sono parametri per
l'accuratezza del dato. Questo significa che andiamo a fare le misure all'esterno, per diossine,
cromo, bisogna dire in quali matrici biologiche, in quali condizioni è stato prelevato il campione.
Per prelevare un solvente bisogna stabilire il tempo durante il quale prendere il campione di urine;
un solvente organico, che requisiti ha che impone che uno stabilisca a priori il tempo in cui si va a
prendere il campione? I solventi hanno una emivita breve. Se uno fa la raccolta delle urine il giorno
dopo, può darsi che non c'è ne più di solvente, perché è stato tutto biotrasformato. Quindi dobbiamo
dire la finestra temporale della raccolta. Il piombo (si misura con esame del sangue) non ha finestre
temporali e il tempo di dimezzamento è di circa 15-20 giorni. Durante un arco di tempo di 15
giorni, che poi continua con l'esposizione, si può raccogliere accuratamente in qualsiasi momento.
Persone che sono esposte a monossido di carbonio, che hanno patologie cardiocircolatorie, se uno
deve accertare che queste persone possono continuare a lavorare, si deve accertare questa
esposizione alla fine del turno di lavoro, perché sono 4 ore il tempo di dimezzamento. Il laboratorio
alle sette del pomeriggio non ha una persona che va in fabbrica che va a prendere il prelievo. Dice
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che viene la mattina dopo e la mattina dopo non c'è più monossido di carbonio nell'organismo. E
quindi il medico competente da l'ok per svolgere quel lavoro. In queste tabelle ci sono anche una
serie di notazioni che guidano la lettura del dato, cioè dicono se:
- quella sostanza che stiamo studiando è un indicatore biologico che può avere un background di
interpretazione,
- se è non specifico quell'indicatore, nel senso che c'è un incertezza sulla presenza di un dato visto
che la ricerca non è arrivata ancora al punto di identificare un indicatore specifico per quella
sostanza, e se le misure sono semi quantitative.
Ogni sostanza viene identificata con un numero, ci dice qual è il suo indicatore biologico. Ad
esempio per il benzene uno può usare l’acido S-enil-mercapturico (SPMA) e l’acido trans,trans-
muconico (TTMA). La maggior parte del benzene che entra nell'organismo viene subito
biotrasformato. Vengono usate queste sostanze qui che sono molto rappresentative dal genitore da
cui provengono. Quando si fa il prelievo, qual è il valore di riferimento per queste sostanze e
quando si deve fare il prelievo. Uno gli indicatori se li sceglie, questo vale per i medici competenti
non per voi. Bisogna conoscere la tossicocinetica e i suoi effetti. Ad esempio, il piombo che si
accumula nelle ossa, nei denti come si può determinare? È poco frequente che si dica che si prende
un pezzetto d'osso, e quanto deve essere grande? 50 grammi, 100 grammi. “Immaginate un
lavoratore che sta esposto al piombo che deve fare un indagine biologica al piombo e scopritegli la
gamba e chiedete un pezzetto di osso. Vi spara.” Ci sono altre tecniche per valutare l'accumulo del
piombo. Il campionamento deve essere non invasivo. Dovete inquadrare il soggetto nella sua
interezza, tra le condizioni di salute e le esposizioni.
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