metodologie per il campionamento di particolato …...delle polveri, la tecnica di prelievo a caldo...

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i UNIVERSITÁ POLITECNICA DELLE MARCHE Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali Scuola di dottorato in Scienze Agrarie (XI ciclo, nuova serie) curriculum “Produzioni Vegetali e Ambiente” Settore disciplinare: AGR/09 – Meccanica agraria Metodologie per il campionamento di particolato prodotto da apparecchi per la combustione di biomassa solida Tutor accademico: Prof. Giovanni Riva Dottorando: Coordinatore: Dr. Andrea Pizzi Prof. Bruno Mezzetti Anno accademico 2012-2013

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UNIVERSITÁ POLITECNICA DELLE MARCHE

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali Scuola di dottorato in Scienze Agrarie (XI ciclo, nuova serie)

curriculum “Produzioni Vegetali e Ambiente”

Settore disciplinare: AGR/09 – Meccanica agraria

Metodologie per il campionamento di particolato prodotto

da apparecchi per la combustione di biomassa solida

Tutor accademico:

Prof. Giovanni Riva

Dottorando: Coordinatore:

Dr. Andrea Pizzi Prof. Bruno Mezzetti

Anno accademico 2012-2013

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1. Introduzione ________________________________________________________________1

2. Combustione di biomassa solida_________________________________________________5

2.1 Meccanismo generale ______________________________________________________5

2.2 Emissioni da combustione di biomassa _______________________________________8 2.2.1 Emissioni da combustione completa ______________________________________________________ 9 2.2.2 Emissioni da combustione incompleta____________________________________________________ 11

2.3 Particolato: formazione e classificazione _____________________________________15

2.4 Effetti tossici del particolato da biomassa ____________________________________21

3. Tecnologie per il riscaldamento domestico a biomassa solida ________________________25

3.1 Dispositivi di combustione _________________________________________________25

3.2 Sistemi di riduzione delle polveri ___________________________________________28

3.3 Fattori di emissione di polveri per le diverse classi di dispositivi termici___________33

3.4 Legislazione nazionale e regionale in materia di polveri ________________________34

4. Metodi di misura delle polveri emesse da sistemi per il riscaldamento domestico a biomassa

solida di piccola potenza _________________________________________________________37

5. Parte sperimentale – parte prima _______________________________________________43

5.1 Impiantistica e strumentazione utilizzata ____________________________________44

5.2 Campionamento delle polveri a caldo _______________________________________49

5.3 Campionamento delle polveri a freddo ______________________________________51

6. Parte sperimentale – parte seconda _____________________________________________55

6.1 Fase 1 – emissioni da combustione controllata (stato stazionario) ________________55

6.2 Fase 2 – emissioni in condizioni convenzionali ________________________________57

6.3 Strumentazione utilizzata _________________________________________________57

6.4 Metodologie operative e di analisi___________________________________________63 6.4.1 Analisi pellet _______________________________________________________________________ 63 6.4.2 Attività propedeutiche al campionamento _________________________________________________ 65

6.4.2.1 Determinazione della portata di combustibile __________________________________________ 66

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6.4.2.2 Calcolo del rapporto di diluizione ed impostazione del tunnel _____________________________ 66 6.4.2.3 Condizionamento e pesata dei filtri __________________________________________________ 67

6.4.3 Analisi dei gas ______________________________________________________________________ 68 6.4.4 Campionamento delle polveri __________________________________________________________ 68

6.4.4.1 condizioni di combustione controllate (stato stazionario) _________________________________ 68 6.4.4.2 condizioni di utilizzo convenzionali __________________________________________________ 69

6.4.5 Determinazione dei fattori di emissione di polveri, CO e NO2x ________________________________ 70 6.4.6 Analisi delle polveri e degli impinger ____________________________________________________ 71

6.4.6.1 Contenuto carbonio organico non volatile impinger _____________________________________ 72 6.4.6.2 Contenuto di carbonio totale (TC) delle polveri_________________________________________ 72 6.4.6.3 Contenuto di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sulle polveri___________________________ 73

6.5 Correlazione tra misura delle polveri a freddo ed a caldo _______________________76

7. Risultati parte prima _________________________________________________________78

8. Risultati parte seconda – fase 1 ________________________________________________81

8.1 Analisi del pellet _________________________________________________________81

8.2 Portate di combustibile ___________________________________________________82

8.3 Fattori di emissione di gas e polveri da stato stazionario ________________________83

8.4 Analisi del carbonio delle polveri (TC) e degli impinger (NPOC)_________________85

8.5 Emissione degli idrocarburi policiclici aromatici ______________________________88

8.6 Modelli di correlazione tra misura delle polveri a freddo ed a caldo ______________96

9. Risultati parte seconda – fase 2 ________________________________________________99

9.1 Fattori di emissione di gas e polveri _________________________________________99

9.2 Emissione degli idrocarburi policiclici aromatici da utilizzo convenzionale _______103

10. Conclusioni ______________________________________________________________105

11. Bibliografia ______________________________________________________________108

Appendice I – calcolo della portata volumetrica e della velocità dei gas in canna fumaria____113

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Riassunto

La combustione di biomassa legnosa con piccoli apparecchi e caldaie è oggi vista con rinnovato

interesse per il raggiungimento degli obiettivi comunitari di produzione di energia rinnovabile al

2020. L’aumento dell’utilizzo della biomassa combustibile è di stretto interesse del settore agro-

forestale, per via del notevole indotto economico che peraltro interessa tutto il territorio nazionale.

Tuttavia, la combustione della biomassa è legata ad una serie di problematiche ambientali quali le

emissioni in atmosfera di polveri sottili che influenzano direttamente la qualità dell’aria. Si ritiene,

quindi, che l’auspicato aumento dell’utilizzo delle biomasse, soprattutto ai fini della produzione di

calore (riscaldamento ambienti), sia legata al contenimento delle emissioni al camino. In questo

contesto, è quindi importante la corretta misura delle polveri emesse dagli apparecchi di

riscaldamento domestico alimentati a biomassa solida, tenendo conto anche della frazione

condensabile, come richiesto dalla normativa. Il lavoro mette a confronto due tecniche di misura

delle polveri, la tecnica di prelievo a caldo con raffreddamento dei fumi in impinger e la tecnica di

diluizione con tunnel. Sono stati selezionati per il confronto due apparecchi di ridotta potenza (< 15

kWt) ed elevata efficienza: una caldaia a pellet ed una stufa a pellet. In condizioni di combustione

completa le due tecniche restituiscono fattori di emissione simili. Nella stufa a pellet la misura a

freddo è maggiore del 20 – 30 % rispetto alla misura a caldo. La ridotta presenza della frazione

condensabile è stata confermata dall’analisi NPOC degli impinger. Sono state misurate le emissioni

totali prodotte da un utilizzo reale del dispositivo, comprendendo anche le fasi transitorie di

combustione (accensione, riscaldamento a regime e spegnimento), solitamente non considerate nelle

misure standard di laboratorio. La fase di accensione produce fino a tre volte le polveri emesse in

condizioni stazionarie. L’emissione totale si riduce all’aumentare del tempo di utilizzo del

dispositivo, rientrando nell’intervallo delle emissioni delle condizioni stazionarie dopo circa 6 h. Gli

IPA, emessi in quantità elevate, sono costituiti maggiormente da congeneri a peso molecolare

medio – basso, associati a minore tossicità. Il TEQ è funzione della potenza e delle condizioni di

combustione del dispositivo.

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Abstract

Combustion of woody biomass in small devices and boilers is nowadays viewed with renewed

interest to achieve EU purposes about renewable energy production by 2020. The increased use of

biomass fuel is of interest to the forestry sector, because of its relative economic satellite activities

which are interesting all the Country. Biomass combustion is nevertheless related to environmental

issues such as the emission in atmosphere of fly ashes directly conditioning air quality. A further

increase in use of biomasses for heat production (environments heating) seems therefore to be

related to the restraint of chimney emissions. In this contest, the correct measurement of fly ashes

and condensable ashes emitted from domestic heating devices fueled with solid biomass is

particularly important, as required by the normative. This study compares two techniques for ash

measurement: a first technique with hot taking and then cooling in impinger and a second technique

of dilution with tunnel. For the comparison two devices of reduced power (<15 kWt) and high

efficiency were selected: a pellet boiler and a pellet stove. Both the techniques give similar emission

results with complete combustion. Cold measurements were 20-30% higher than hot measurements

in pellet stove. The reduced presence of condensable fraction was confirmed by NPOC analysis of

impingers. Total emissions derived from a real use of the device were measured, that means

including transition phases of combustion (ignition, heating at operating speed and turning off)

usually not considered in laboratory measurements. The ignition phase produced up to three times

the ashes emitted in stationary conditions. The total emission decreased with the increase of usage

time of the device and fell within the range of emissions at stationary conditions after about 6 h.

IPA, which are emitted in high quantity, are constituted mainly by congeners with low molecular

weigh, associated to low toxicity. TEQ is a function of power and of combustion conditions of the

device.

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1. Introduzione A seguito degli sforzi per la mitigazione delle emissioni di CO2, l’utilizzo energetico della biomassa

ha guadagnato importanza negli ultimi dieci anni. In questo contesto, uno dei settori più importanti

è l’utilizzo di biomassa in piccoli dispositivi termici adibiti al riscaldamento domestico di ambienti

o per la produzione di acqua calda [1]. La combustione di biomassa legnosa per il riscaldamento

domestico riveste particolare importanza per il raggiungimento degli obiettivi comunitari che

prevedono la produzione del 20 % dell’energia da fonti rinnovabili entro il 2020 [2]. L’aumento

dell’utilizzo della biomassa combustibile è di stretto interesse del settore agro-forestale, per via del

notevole indotto economico che peraltro interessa tutto il territorio nazionale. Diversi studi [3-7]

hanno però dimostrato come la combustione di biomassa nei piccoli dispositivi di riscaldamento

domestico sia sorgente di polveri fini ed inquinanti gassosi come IPA, VOC, CO , NOx ed SOx.

Inoltre, in confronto ai combustibili tradizionali, liquidi e gassosi, queste mostrano emissioni di PM

più elevate [8] (Fig. 1.1).

Fig. 1.1 - Fattori di emissione medi di PM10 per combustibile domestico (g GJ-1) [9]

In particolare, l’aumento della concentrazione di polveri in aria ambiente è legato all’insorgenza di

effetti negativi sulla salute della popolazione esposta, come problemi respiratori e cardiocircolatori

oltre che aumentare il tasso di mortalità [10]. Alcuni lavori in letteratura specificano che la frazione

fine delle polveri emesse dalla combustione è particolarmente dannosa per la salute umana [4, 11].

Negli ultimi anni le statistiche (Fig. 1.2) evidenziano che il settore che più contribuisce al

peggioramento della qualità dell’aria in Italia è quello del riscaldamento, in particolare per la

concentrazione di polveri fini (PM10 e PM2.5) [9].

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Fig. 1.2 – andamento delle emissioni di PM10 in Italia negli ultimi 10 anni, divise per tipologia di attività

Concetto da tenere a mente è che la biomassa produce polveri sottili fondamentalmente perché le

caratteristiche fisiche del combustibile, ovvero la forma solida, sono tali da renderne la combustione

più difficoltosa rispetto a quella degli altri combustibili tradizionali, liquidi come il gasolio o

gassosi come il metano. Nell’emissione delle polveri giocano un ruolo fondamentale la qualità del

combustibile, la tecnologia dell’impianto di combustione (Fig. 1.3) e le modalità di gestione.

Fig. 1.3 - Fattori di emissione medi di PM10 per tipologia di combustibile e dispositivo domestico (g GJ-1) [9]

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Dal punto di vista del particolato le emissioni prodotte dalla combustione di biomassa mostrano tre

differenti tipologie di particelle, suddivise in base alla loro composizione chimica: particelle

inorganiche, particelle carboniose di fuliggine e particelle composte da sostanza organica [12]. La

proporzione tra queste dipende dalla qualità della combustione. In condizioni in cui è presente un

elevato carico di sostanza organica nei fumi (combustione incompleta) alcuni composti semivolatili

si possono trovare in fase gassosa alle elevate temperature dei gas in camino, per poi ricondensare,

in forma solida o liquida, al momento della diluizione dei fumi in ambiente. A causa della presenza

di questa frazione condensabile, le misure delle polveri eseguite direttamente alle elevate

temperature in canna fumaria possono sottostimare quella che è la reale emissione in ambiente, che

in alcuni casi può discostarsi anche di un fattore 10 [13].

Questa differenza è alla base della problematica nella scelta della tecnica di misura delle polveri più

adeguata per gli apparecchi termici domestici. Da un lato la tecnica di prelievo in canna fumaria, o

campionamento a caldo, ampiamente diffusa nei laboratori specializzati perché caratterizzata da

un’elevata semplicità operativa ma non tiene conto della frazione condensabile, mentre d’altro si

trovano le tecniche di campionamento in grado di determinare anche questa componente. Tra queste

la tecnica più famosa,impiegata precedentemente nel settore automobilistico [14], è la diluizione dei

fumi con tunnel, dove i gas di combustione vengono aspirati e diluiti con aria a più bassa

temperatura prima di eseguire il prelievo delle polveri, simulando le condizioni naturali del

processo.

In questo contesto si colloca il presente lavoro, che si pone come obiettivo la misura accurata delle

emissioni di polveri prodotte da dispositivi domestici alimentati a biomassa legnosa. Per

raggiungere tale scopo la sperimentazione è stata divisa in due parti: nella prima la tecnica di

campionamento in canna fumaria (tecnica a caldo) è stata confrontata con la tecnica di diluizione

dei fumi in tunnel (tecnica a freddo), per una caldaia a pellet di piccola potenza (< 15 kWt)

caratterizzata da un’elevata efficienza di combustione. I campionamenti sono stati eseguiti

contemporaneamente e per la stessa durata, in modo da eliminare l’influenza della variabilità delle

condizioni di combustione nel confronto dei risultati. Nella seconda parte lo stesso confronto è stato

fatto per una stufa a pellet (ca. 11 kWt) in condizioni di combustione controllate e a regime termico.

Diversamente dalla prima parte, nella linea a caldo sono stati aggiunti a valle del filtro degli

impinger refrigerati per la misura della frazione condensabile. È stato quindi allestito un banco di

prova e realizzato un tunnel di diluizione presso il laboratorio biomasse del dipartimento 3A per

l’esecuzione delle prove sperimentali. Nel piano di lavoro sono stati esaminati diversi carichi

termici e due diverse tipologie di pellet, valutando anche l’influenza del rapporto di diluizione per la

tecnica a freddo e la temperatura di filtrazione nella tecnica a caldo. Nell’ultima parte sono state

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determinate le polveri totali prodotte da un utilizzo convenzionale del dispositivo, comprendendo

anche le fasi di transizione della combustione (accensione, riscaldamento a regime e spegnimento).

Per ogni prova sono stati monitorata i gas di combustione (O2, CO, NOx) e le polveri totali. Sulle

polveri campionate sono stati analizzati il contenuto di carbonio totale e la quantità di idrocarburi

policiclici aromatici (IPA), mentre il contenuto degli impinger è stato analizzato per determinarne il

contenuto di carbonio organico non volatile (NPOC). Tra i risultati più importanti la

sperimentazione ha evidenziato che in condizioni di combustione complete, ottenute con la caldaia

ad alta efficienza, le due tecniche di misura delle polveri si equivalgono. Al peggiorare di queste,

dovute ad una riduzione della potenza o ad un dispositivo meno efficiente, la tecnica a freddo

restituisce valori più elevati, di un circa 20 – 30 %. per la stufa a pellet. Gli IPA sono emessi in

quantità elevate ma sono predominanti i congeneri a peso molecolare medio – basso, caratterizzati

da una minore tossicità. Potenza e condizioni di prelievo influiscono sulla distribuzione degli IPA

misurati. Fasi transitorie sono associate ad elevate emissioni di polveri ed IPA, ed un aumento del

tempo di utilizzo dell’apparecchio riduce il valore di emissione medio.

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2. Combustione di biomassa solida

Le biomasse possono essere impiegate direttamente per la produzione di energia (termica o

elettrica) oppure convertite in prodotti dedicati alla produzione di questa (es. char, pellet, etc.). La

trasformazione avviene attraverso processi termochimici, che sfruttano energia termica per la

conversione (es. gassificazione, pirolisi, etc.), o con metodi biochimici che si basano sull’azione di

organismi viventi (es. fermentazione). Tra i processi termochimici il più diffuso è sicuramente la

combustione. Sebbene possa sembrare un processo relativamente semplice, temperature

sufficientemente elevate e la presenza di aria per la combustione, mostra notevoli complessità nella

regolazione soprattutto ai fini della qualità delle emissioni prodotte. Nel presente capitolo viene

descritto il meccanismo di combustione della biomassa legnosa e i parametri fondamentali che la

regolano nei dispositivi termici di piccole dimensioni. Inoltre, vengono elencate le tipologie di

composti inquinanti associati alla combustione di legna, approfondendo maggiormente la natura ed

i meccanismi di formazione delle polveri emesse.

2.1 Meccanismo generale

Una biomassa legnosa, sottoposta a sufficiente riscaldamento in presenza di ossigeno, subisce una

serie di reazioni che portano alla sua totale combustione.

Fig. 2.1 – Schema semplificato del processo di combustione della biomassa solida [15]

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Il processo, schematizzato in figura 2.1, può essere suddiviso in quattro fasi distinte [3, 15-17]

evidenti osservandone il comportamento termogravimetrico (Fig. 2.2):

• Riscaldamento del combustibile/Essiccazione: rappresenta la fase iniziale del processo, la

biomassa si riscalda e l’acqua contenuta al suo interno evapora (<100 °C) con conseguente

riduzione della massa iniziale. Il processo è endotermico e sfrutta parte del calore generato

dalla combustione, influenzando temperatura e cinetica di reazione. Il contenuto di umidità è

quindi un parametro importante nella scelta del combustibile. Il massimo contenuto di

umidità perché la combustione sia sostenibile è pari al 60 %.

• Volatilizzazione/pirolisi: la temperatura aumenta fino a circa 160 – 250 °C, oltre la quale la

biomassa inizia a decomporsi rilasciando dei composti volatili, una miscela di tar e gas

infiammabili. Quantità e composizione della frazione volatile dipendono dalla temperatura

finale, dalla velocità di riscaldamento e dalla pezzatura del combustibile. Generalmente, la

frazione volatile nella biomassa legnosa rappresenta circa l’80% della massa iniziale.

• Combustione dei volatili: la miscela di gas combustibili prodotta nella fase precedentemente,

in presenza di sufficiente temperatura, si incendia a contatto con l’aria generando una

fiamma a diffusione intorno alla particella del combustibile. La combustione produce calore

che riscalda la biomassa accelerando la cinetica di volatilizzazione.

• Combustione del char: Durante il processo di combustione la produzione di idrocarburi

gassosi si riduce lentamente fino ad esaurirsi, lasciando un prodotto solido ad elevato

contenuto di carbonio chiamato char. Questo viene lentamente ossidato dall’ossigeno con

una combustione in fase solida. Il char rappresenta solitamente un 10 – 30 % della massa

iniziale del combustibile ma genera il 25 – 50 % dell’energia totale sviluppata dalla

combustione.

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Fig. 2.2- Analisi termogravimetrica della combustione di faggio. (Massa campione=100mg ; 100°C/min) [16]

Ad esclusione della combustione in batch dove c’è una separazione, nel tempo e nello spazio, tra la

combustione dei volatili e del char, normalmente queste fasi sono difficilmente distinguibili poiché

le cinetiche sono legate a diversi fattori quali la tecnologia di combustione (es. combustione stage),

le proprietà del combustibile (es. pezzatura) e le condizioni di combustione (es. temperatura,

combustione continua o discontinua) [3, 16].

Nella reazione di combustione l’energia chimica immagazzinata nel combustibile viene convertita

in energia termica mediante ossidazione: il carbonio e l’idrogeno contenuti nella biomassa

combustibile vengono ossidati dall’ossigeno dell’aria (comburente) in anidride carbonica (CO2) e

acqua (H2O) con produzione di calore [15]. In realtà il processo è molto più complesso ed è

associato ad una serie di reazioni, eterogenee ed omogenee, che portano alla formazione di una

moltitudine di sottoprodotti e composti intermedi (Fig. 2.3) [16].

Fig. 2.3 – reazione generale di combustione. CH1.44O0.66 rappresenta la composizione media delle biomasse tipicamente

utilizzata per la combustione (es. legno)

La totale ossidazione della frazione organica della biomassa (combustione completa) è possibile

solo se vengono soddisfatti i requisiti basilari della combustione:

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a. l’aria comburente deve essere fornita in quantità sufficiente a consentire la completa

ossidazione del combustibile.

b. le temperature generate devono essere sufficientemente elevate da garantire e sostenere le

reazioni chimiche con una certa cinetica

c. il tempo di permanenza alle elevate temperature deve essere sufficientemente lungo perché

lo scambio termico e l’ossidazione possa avvenire

d. sufficiente turbolenza deve garantire l’adeguata miscelazione tra combustibile e comburente

in modo da evitare zone locali con deficienza di ossigeno

Tra questi il parametro più importante alla base del processo di combustione è sicuramente la

quantità di aria comburente, o più comunemente eccesso d’aria, a cui ci si riferisce generalmente

con il simbolo λ e rappresenta il rapporto tra la disponibilità di ossigeno nell’ambiente di reazione e

la quantità di ossigeno richiesta per la completa ossidazione, o quantità stechiometrica [16]. Dal

punto di vista stechiometrico la combustione richiede λ = 1, in realtà gli apparecchi di combustione

lavorano a valori superiori, solitamente tra 1,5 – 2 in funzione della tecnologia di combustione,

dovuto al differente stato fisico del combustibile (solido) e del comburente (gas). Nei casi in cui

l’ossigeno sia disponibile in quantità sufficiente, è la temperatura il secondo parametro più

importante a causa della sua influenza esponenziale nelle cinetiche di reazione, descritte

dall’equazione di Arrhenius [3]. La corretta ottimizzazione di tutte queste variabili contribuisce alla

riduzione delle emissioni inquinanti derivanti da condizioni di combustione incompleta.

2.2 Emissioni da combustione di biomassa

A livello teorico, la combustione completa di una biomassa solida porta alla formazione dei soli

prodotti ossidati della sostanza organica, ovvero CO2 e H2O, più le polveri inorganiche derivanti

dalle ceneri del combustibile. Nella quasi totalità delle combustioni reali, specialmente in dispositivi

per il riscaldamento domestico, il raggiungimento di questa condizione è impossibile poiché i

requisiti richiesti non vengono soddisfatti completamente, con conseguente formazione di

sottoprodotti di combustione incompleta emessi in forma solida o gassosa [15]. Le emissioni

associate alla combustione di biomassa possono essere divise in due gruppi: emissioni da

combustione completa (inquinanti ossidati) ed emissioni da combustione incompleta (inquinanti

incombusti) [3]. Per maggiore chiarezza verrà fatta di seguito una veloce panoramica delle sostanze

prodotte nelle due condizioni di combustione, mentre un approfondimento maggiore sui processi di

formazione e la natura del particolato emesso verrà fatto nel paragrafo successivo.

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2.2.1 Emissioni da combustione completa

La combustione completa di biomassa legnosa porta alla formazione dei seguenti composti ossidati

e polveri inorganiche [3]:

Diossido di carbonio (CO2)

La CO2 è il prodotto principale di ossidazione del carbonio contenuto nella biomassa. Dal punto di

vista dell’effetto serra queste emissioni non sono considerate poiché neutre nel bilancio

complessivo del carbonio. Si assume infatti che la quantità di CO2 emessa sia la stessa quantità

assorbita dalla pianta durante la crescita. La neutralità della CO2 è uno dei principali vantaggi

nell’utilizzo della biomassa come combustibile energetico.

Ossidi di azoto (NOx)

L’emissione di NOx dalla combustione di biomassa è legata principalmente alla completa

ossidazione dell’azoto contenuto nel combustibile (NOx fuel) (Fig. 2.4), contrariamente a quanto

avviene per i combustibili di origine fossile, dove è l’ossidazione dell’azoto dell’aria alle elevate

temperature della fiamma (thermal NOx) a contribuire maggiormente. Un terzo meccanismo può

portare alla formazione degli NOx convertendo, mediante reazioni con CH, parte dell’azoto dell’aria

(prompt NOx), tale processo non è però significativo nella combustione della biomassa. Il

monossido di azoto (NO) è l’ossido predominante nelle emissioni prodotte, rappresenta circa il 90

%, convertito successivamente a diossido di azoto (NO2) in atmosfera.

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Fig. 2.4 – emissione degli NOx in funzione della temperatura

Ossidi di zolfo (SOx)

Gli ossidi di zolfo sono il risultato di una completa ossidazione dello zolfo presente nel

combustibile. L’ossido principalmente emesso è il diossido di zolfo (SO2) che rappresenta circa il

95 % del totale, mentre il triossido di zolfo (SO3) si può generare in minime quantità, inferiori al 5

%, a basse temperature. Non tutto lo zolfo contenuto nel materiale viene emesso sottoforma di SOx,

una frazione significativa rimane nelle ceneri pesanti mentre una minima parte viene emessa con le

polveri inorganiche come sale, solitamente solfato di potassio (K2SO4). Si consideri pertanto che ad

esclusione di biomasse residuali il legno vergine è caratterizzato da bassi contenuti di zolfo,

inferiori allo 0,05 %s.s..

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Particolato inorganico

La frazione inorganica della biomassa sottoposta al processo di combustione porta alla produzione

di ceneri. Queste si dividono in una componente pesante (bottom ash), raccolte nel fondo del

dispositivo e smaltita periodicamente, ed una componente più leggera (fly-ash) che può essere

emessa insieme ai prodotti di combustione. Le ceneri leggere sono costituite da due frazioni

dimensionali:

• particelle grossolane (coarse fly-ash) con diametri superiori ad 1 µm, sono costituite da

ceneri e frammenti di combustibile che provengono dal letto di braci trasportate dai fumi di

combustione

• particelle fini (fine fly-ash) con diametri inferiori ad 1 µ m, sono formate da sali,

principalmente cloruri e solfati di sodio e potassio, derivanti dalla vaporizzazione di una

parte della frazione inorganica

Maggiori dettagli sui processi di formazione sono descritti in sezione 2.3.

2.2.2 Emissioni da combustione incompleta

Le combustioni complete sono possibili solo idealmente, in pratica queste non lo sono mai

completamente, portando alla formazione di ulteriori composti inquinanti derivanti da

un’ossidazione non completa della sostanza organica del combustibile. Le principali cause di

combustioni incompleta nella biomassa possono essere le seguenti [3]:

• presenza di zone con deficienza di ossigeno (fuel-rich zone) dovute ad un’inadeguata

miscelazione tra aria di combustione e combustibile in camera di combustione;

• una generale mancanza di ossigeno disponibile;

• temperature di combustione troppo basse;

• tempi di residenza troppo corti;

• concentrazione di radicali troppo bassa nella parte finale del processo (ossidazione del char)

per combustioni in batch

Di seguito elencati i più importanti inquinanti prodotti, sia in termini di tossicità che per quantità

emessa:

Monossido di carbonio (CO)

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Il CO rappresenta uno dei prodotti intermedi principali del processo di ossidazione del carbonio a

CO2, per questo motivo viene solitamente utilizzato come indicatore per valutare la qualità della

combustione. La reazione di ossidazione da CO a CO2 è legata alla quantità di ossigeno disponibile

e l’emissione di CO presenta un minimo in funzione dell’eccesso d’aria, caratteristico per ogni

apparecchio di combustione (Fig. 2.5): elevati eccessi d’aria comportano un abbassamento della

temperatura di combustione mentre bassi valori non generano sufficiente turbolenza per garantire

una buona miscelazione con l’aria comburente. La temperatura influisce fortemente sull’

ossidazione del CO come riportato in figura 2.6. Dispostivi di combustione domestici emettono

solitamente maggiori quantità di CO rispetto a sistemi di combustione di grandi dimensione, in

grado di regolare più finemente il processo di combustione.

Fig. 2.5 – emissione di CO in funzione dell’eccesso di aria. a) caldaia a legna manuale; b) caldaia a ciocchi di legna a

fiamma inversa; c) caldaia automatica con tecnologia del 1990; d) caldaia automatica con tecnologia migliorata

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Fig. 2.6 – emissione di CO in funzione della temperatura di combustione

Composti organici volatili (COV)

I COV sono idrocarburi caratterizzati da un’elevata volatilità, prodotti durante il processo di

conversione del carbonio e dell’idrogeno contenuti nel combustibile a CO2 ed H2O rispettivamente.

I COV vengono solitamente distinti in due gruppi:

• metano (CH4): importante intermedio nella conversione del carbonio a CO2. Riveste

particolare importanza poiché forte gas serra

• Composti organici volatili non metanici (NMCOV): tutti gli idrocarburi volatili ad

esclusione del metano

Gli idrocarburi sono emessi a causa di temperature di combustione troppo basse, tempi di residenza

troppo corti o mancanza di ossigeno disponibile. Nel processo di ossidazione del carbonio gli

idrocarburi si formano generalmente prima del CO, per questo ne seguono l’andamento e sono

associati a più basse emissioni (Fig. 2.7).

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Fig. 2.7 – correlazione tra CO, OGC1 ad NOx

Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

Gli IPA sono idrocarburi ma vengono considerati come classe a parte per via della loro elevata

tossicità. Tali composti si formano dalla ricombinazione di frammenti, per lo più radicalici, prodotti

dalla scissione termochimica degli idrocarburi generati dalla devolatilizzazione del legno alle alte

temperature della fiamma, processo di pirosintesi. Diversi meccanismi sono stati ipotizzati, ma il

processo generale vede in un primo step la formazione dell’anello aromatico, con conseguente

crescita per addizione di specie C2, C3 o altre piccole unità, tra cui molecole di acetilene, ad IPA

radicalici o per reazioni tra specie aromatiche in crescita, del tipo ricombinazione radicalica IPA-

IPA o addizione [18]. Come per il CO anche per gli IPA l’aumento della temperatura di

combustione ne riduce l’emissione, come riportato in figura 2.8.

1 Gli OGC sono considerate tutti i composti organici gassosi che possono essere misurati con un analizzatore a

ionizzazione di fiamma (FID) alla temperatura di 200 °C.

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Fig 2.8 – andamento dell’emissione degli IPA in funzione della temperatura di combustione [19]

Particolato incombusto

Il particolato prodotto da combustione incompleta è costituito da fuliggine, char e idrocarburi

pesanti (tar). La fuliggine presenta un elevato contenuto di carbonio e si origina in zone della

fiamma carenti in ossigeno. Particelle di char possono essere presenti nelle polveri emesse perché

trascinate dai fumi di combustione dal letto di braci soprattutto per flussi d’aria elevati, in

conseguenza anche della bassa densità del materiale. La frazione organica condensata può in alcuni

casi contribuire significativamente alle polveri emesse da piccoli dispositivi di combustione, come

le stufe a legna o camini. Il suo contributo è tanto più importante quanto peggiori sono le condizioni

di combustione.

2.3 Particolato: formazione e classificazione

La formazione di polveri dalla combustione di biomassa dipende da diversi fattori, tra i più

importanti troviamo le condizioni di combustione, le proprietà del combustibile, la tipologia di

dispositivo di combustione e la potenza di utilizzo [8]. Le particelle prodotte dalla combustione di

biomassa possono essere suddivise in particelle primarie, che si formano ad elevate temperature

nella zona di combustione e particelle secondarie che hanno origine in atmosfera. Tre sono le

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differenti tipologie di particolato primario2 prodotte dal dispositivo di combustione, ognuna con

proprietà chimiche e fisiche differenti come riassunto in tabella 2.1 [20-22]:

1. Particelle organiche: combustioni incomplete e basse temperature provocano la formazione

di prodotti di pirolisi (tar) che costituiscono l’aerosol organico primario (Primary Organic

Aerosol, POA). Composizione e proprietà di questa frazione delle polveri dipendono dai

parametri di combustione, quali tempo di residenza dei fumi, velocità di riscaldamento e

temperatura. A temperature più elevate e locali deficienze di ossigeno alcuni composti

organici possono essere convertiti a tar secondario o terziario, includendo anche gli

Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) considerati come condensabili.

2. Particelle carboniose o fuliggine (Soot): elevate temperature e locale insufficienza di

ossigeno o “quenching” della fiamma producono carbonio elementare (Elemental Carbon,

EC). In queste condizioni composti volatili e tar primario reagiscono per formare tar

secondario e terziario ed IPA, i quali possono formare fuliggine per reazione di sintesi ed

agglomerazione.

3. Particelle inorganiche o ceneri (Ash): la frazione inorganica nel combustibile è la diretta

responsabile dell’emissione di particelle inorganiche (fly ash) come ossidi e/o cloruri.

Queste particelle sono predominanti in combustioni quasi complete e possono essere

contenute con il processo di combustione solo limitatamente, agendo principalmente sulla

temperatura nella zona primaria e con bassi contenuti di ossigeno.

Composti organici volatili (Volatile Organic Compounds, VOC) e ossidi di azoto e zolfo emessi

dalla combustione sono precursori di aerosol secondario, sia organico (Secondary Organic Aersol,

SOA) che inorganico (Secondary Inorganic Aerosol, SIA) [20].

2 Per particolato primario si intende materiale solido o liquido emesso come tale dalla sorgente emissiva, contrariamente da quello secondario formato dalla conversione chimica in atmosfera di alcuni composti gassosi precursori.

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Tab. 2.1 – proprietà fisico-chimiche particelle primarie da combustione di biomassa [22]

In sistemi di combustione automatici possono essere ottenute combustioni quasi complete, con

l’emissione di polveri principalmente di natura inorganica. Anche per questi dispositivi però, le fasi

di accensione e di utilizzo inappropriato possono produrre polveri organiche condensabili e

fuliggine. Combustione incomplete sono generalmente associate ad apparecchi manuali, dove

polveri condensabili e fuliggine possono dominare sul totale delle polveri emesse in atmosfera. A

causa dei differenti regimi di temperature e della diversa influenza del tempo di residenza per la

fuliggine e le particelle organiche, solitamente uno dei due domina l’emissione di polveri in

combustione non complete [21]. I meccanismi che portano alla formazione di particolato primario

dalla combustione di biomassa sono schematizzati in figura 2.9 [23].

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Formazione di particelle organiche

Sottoposta a sufficiente riscaldamento la biomassa si decompone portando alla formazione di

un’estesa varietà di composti organici anche ad elevata complessità che, se non efficacemente

ossidati, vengono emessi in ambiente con i fumi di combustione [24-25]. Le sostanze organiche che

sfuggono al processo di ossidazione presentano diverse pressioni di vapore e punti di ebollizione,

potendole classificarle in: altamente volatili (Very Volatile Organic Compounds, VVOC), volatili

(Volatile Organic Compounds), semivolatili (Semi Volatile Organic Compounds, SVOC) e

particellari (Particle Organic Matter, POM) [26]. Questi prodotti organici possono quindi essere

presenti nei fumi in forma solida/liquida o gassosa, in dipendenza delle condizioni ambientali.

L’aerosol prodotto dalla combustione incompleta di legna può contenere frazioni liquide o tar-

simili, prodotte dalla condensazione di vapori organici nei gas di combustione raffreddati. Al

diminuire della temperatura dei fumi di combustione, gli idrocarburi pesanti tendono a condensare

sul particolato presente per condensazione e/o adsorbimento [27] ed in minima parte formando

nuove particelle per nucleazione [28-29]. Il processo di condensazione continua lungo la canna

fumaria ed in atmosfera dove i gas vengono diluiti e raffreddati.

Formazione di particelle di fuliggine (Soot)

La fuliggine è una miscela complessa composta principalmente da carbonio elementale amorfo

(elemental carbon, EC) e materiale organico. I meccanismi di formazione sono piuttosto complessi

e benché si trovino diversi lavori in letteratura, il processo non è ancora completamente chiaro. La

fuliggine si forma principalmente in zone riducenti (fuel rich zone) della fiamma a diffusione. Nella

combustione di legna a livello residenziale è particolarmente difficile ottenere condizioni di

combustione complete, anche con apporti di aria in eccesso rispetto alla richiesta stechiometrica,

poiché l’insufficiente turbolenza crea zone locali con basse concentrazioni di ossigeno all’interno

della fiamma, dove tendono a formarsi ed a crescere le particelle carboniose.

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Fig. 2.10 – Meccanismo di formazione della fuliggine a partire dalla formazione di IPA [8]

Nella fase iniziale gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), prodotti dalla degradazione termica

della frazione organica del combustibile, polimerizzano aumentando in massa e portando alla

formazione di piccole particelle (1-2 nm) secondo il processo di nucleazione (Fig. 2.10). I nuclei

aumentano di dimensione a seguito di reazioni superficiali con composti gassosi (es. altri IPA) e per

coagulazione con altre particelle, raggiungendo dimensioni all’incirca di 10 nm [30-32]. La maggior

parte delle particelle carboniose viene completamente ossidata nelle zone della fiamma ricche in

ossigeno [33] mentre la restante parte viene emessa sottoforma di agglomerati di 30-50 nm. L’entità

dell’ossidazione della fuliggine determina le dimensioni ed il numero delle particelle carboniose

emesse. In sistemi di combustione a biomassa di grandi dimensioni la quantità di fuliggine emessa

nelle polveri è trascurabile, mentre in piccoli dispositivi di combustione rappresenta una buona

frazione della componente fine delle polveri.

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Formazione di particelle inorganiche

In buone condizioni di combustione il particolato fine è costituito prevalentemente da particelle di

natura inorganica [34]. Una parte delle ceneri prodotte dalla combustione di biomassa possono

vaporizzare alle alte temperature di combustione ed al diminuire della temperature e della pressione

parziale di queste specie inorganiche, ricondensare formando finissime particelle secondo il

processo di nucleazione (fine fly ash particles diametro < 1 µm). Il grado di volatilizzazione di

questa frazione dipende dalla composizione chimica del legno e dalle reazioni delle specie

inorganiche [35] come anche dalla temperatura di combustione [36]. Nella combustione del legno

alcuni elementi inorganici come potassio, zolfo, cloro e sodio sono molto volatili mentre altre

specie con bassa pressione di vapore, come zinco e calcio, lo sono in presenza di zone riducenti

nella fiamma [37]. Gli elementi inorganici nella biomassa possono quindi essere suddivisi in tre

categorie [8]:

1. elementi non volatili: come il calcio, il silico, il magnesio, il ferro, l’alluminio, etc.

2. elementi volatili: come potassio, sodio, zolfo, cloro , etc.

3. metalli pesanti volatili: come zinco, cadmio, piombo, etc.

Gli elementi che volatilizzano alle elevate temperature di combustione subiscono delle reazioni in

fase gassosa che portano alla formazione di cloruri, solfati, carbonati di metalli alcalini ed ossidi di

metalli pesanti, portando alla formazione di particolato fine mediante processi di nucleazione,

condensazione, reazione superficiale, coagulazione ed agglomerazione [8]. La frazione più fine

delle ceneri volatili è costituita principalmente da composti a base di potassio come solfato

(K2SO4), cloruro (KCl), idrossido (KOH) e carbonato (K2CO3) [27, 34]. Il particolato di grosse

dimensioni (coarse particle, 1-10 µm) è formato da composti inorganici a bassa volatilità presenti

nelle ceneri e char incombusto. Nei fumi si possono ritrovare anche particelle con diametri > 10 µm

(super coarse particle) derivanti da frammenti del letto di ceneri trasportati meccanicamente dai gas

[38].

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Fig. 2.9 – meccanismi di formazione del particolato da combustione di biomassa [20]

2.4 Effetti tossici del particolato da biomassa Diversi studi mostrano come l’aumento della concentrazione di polveri (PM) in ambiente sia legato

ad una serie di effetti negativi sulla salute della popolazione esposta, tra cui un aumento

dell’incidenza di malattie dell’apparato respiratorio e cardiovascolare ed un aumento della mortalità

[8, 22]. Sebbene la combustione di legna ad uso residenziale sia una delle maggiori sorgenti

emissive di particolato in molti paesi, pochi studi sono stati condotti per investigare gli effetti sulla

salute associati all’esposizione di fumo da combustione di legna [22]. Recentemente, l’agenzia

internazionale della ricerca sul cancro (IARC) ha classificato le emissioni indoor dalla combustione

domestica di biomassa (principalmente legno) come probabile cancerogeno per l’uomo (gruppo 2A)

[39].

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Gli effetti nocivi sulla salute delle particelle inalate sono altamente dipendenti dalla deposizione e

dalla permanenza di queste nei polmoni. La probabilità e la zona di deposizione delle particelle

nell’apparato respiratorio sono governate dalle loro proprietà aerodinamiche, ad esempio

dimensione, densità e forma, ma anche dalle loro proprietà chimico-fisiche come l’igroscopicità

[40-41]. Studi sperimentali hanno identificato una serie di proprietà chimico-fisiche che influenzano

il potenziale nocivo del PM [42-44]:

1. dimensione delle particelle

2. area superficiale per unità di massa

3. struttura cristallina

4. composizione chimica:

metalli

composti organici

5. solubilità

La dimensione delle particelle è una delle caratteristiche fondamentali per valutare la pericolosità

delle polveri. Il particolato viene classificato in base al diametro aerodinamico equivalente (dae),

parametro in grado di uniformare e caratterizzare univocamente il comportamento aerodinamico

delle particelle. Come mostrato in figura 2.11 frazioni con diversi dae raggiungono punti differenti

lungo il sistema respiratorio. Particelle grossolane (coarse particles) hanno generalmente un dae

maggiore di 10 µm e vengono in buona parte filtrate da naso e gola mentre le PM10, particelle con

dae < 10 µm, possono raggiungere la zona alveolare dei polmoni. Per questo motivo diverse agenzie

riconoscono il valore di 10 µm come limite tra la frazione respirabile e non respirabile delle polveri.

Le polveri PM10 come le frazioni più piccole PM2.5 e PM1 sono utilizzati come indicatori della

qualità dell’aria ambiente [13].

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Fig. 2.11 – penetrazione delle diverse frazioni dimensionali delle polveri nell’apparato respiratorio

Le particelle fini, che esibiscono un’elevata area superficiale per unità di massa, inducono una

risposta infiammatoria più pronunciata rispetto a particelle più grandi dello stesso materiale [45-46].

Nel caso di particelle legate alla combustione, è stato riscontrato che la frazione fine è

particolarmente dannosa per la salute [4, 11, 20].

Relativamente alla composizione chimica, il contenuto di composti organici sembra influenzare gli

effetti sulla salute indotti dalle particelle [42, 47-48]. La frazione organica del particolato conta di

diversi composti tra cui idrocarburi policiclici aromatici (IPA), aldeidi, chetoni, acidi organici e vari

composti organici clorurati [49]. Le polveri generate da una combustione incompleta di legno sono

costituite da particelle solide e sostanze organiche condensate, in cui si ritrovano elevate

concentrazioni di IPA. Difatti queste mostrano elevata tossicità cellulare e proprietà

cancerogeniche, non riscontrate in polveri prodotte da una combustione completa e costituite solo

da sali inorganici [13] come riportato in figura 2.12.

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Fig. 2.12 – sopravvivenza cellulare in funzione della concentrazione di polveri. In grafico sono confrontate polveri da:

motore diesel, combustione di legno incompleta, combustione di legno completa.

La solubilità del PM è un altro parametro che ne influenza la tossicità. Per particelle che si

disciolgono in soluzioni acquose, solitamente sali di natura inorganica, l’assimilazione da parte

delle cellule è molto più veloce perché gli ioni disciolti vengono prelevati attraverso i canali di

scambio ionico. Sostanze organiche possono entrare nelle cellule attraversando direttamente la

membrana cellulare, per poi attivare una reazione di risposta cellulare. Particelle insolubili,

solitamente assimilate per fagocitosi, comportano un’esposizione più prolungata contrariamente al

materiale dissolto che può essere eliminato più velocemente [22].

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3. Tecnologie per il riscaldamento domestico a biomassa solida

Nel termine apparecchi per il riscaldamento domestico a legna è compresa un’ampia varietà di

dispositivi, basati su differenti tecnologie e caratterizzati da potenze e rendimenti differenti. Si

consideri che l’emissione derivante dalla combustione di biomassa solida è fortemente legata alla

tipologia dell’apparecchio termico utilizzato, sia in termini di progettazione che di implementazione

di sistemi di abbattimento delle emissioni. Nel seguente capitolo verranno illustrate le principali

tipologie di apparecchi termici utilizzati nel riscaldamento domestico e le tecniche sviluppate per

l’abbattimento delle emissioni prodotte, orientate alla frazione particolata. Verranno inoltre

presentati i fattori di emissione delle polveri per ogni classe di dispositivo e la posizione dell’attuale

normativa ambientale nei nella regolamentazione di questi piccoli apparecchi termici.

3.1 Dispositivi di combustione

I vari dispostivi si differenziano per le seguenti caratteristiche:

• tipologia di utilizzo: le stufe vengono utilizzate per il riscaldamento di locali, solitamente lo

stesso dove sono installate, mediante convezione ed irraggiamento. Le caldaie invece

lavorano con un fluido vettore di calore, solitamente acqua, utilizzato sia per il

riscaldamento di ambienti che per la produzione di acqua sanitaria. Alcuni modelli uniscono

le due tipologie, aggiungendo alla stufa un circuito idraulico per estendere il riscaldamento a

locali più ampi (es. termostufe).

• pezzatura del combustibile: gli apparecchi termici possono essere alimentati con diverse

pezzature del combustibile: ciocchi di legna, cippato e pellet.

• modalità di alimentazione: alcuni dispositivi prevedono il caricamento manuale di una

quantità definita di combustibile prima dell’accensione (alimentazione discontinua), ne sono

un tipico esempio la stufa a ciocchi di legna e il camino. Nei modelli più moderni è possibile

caricare una quantità maggiore di materiale per alimentare continuamente la combustione

con un’autonomia anche di diverse ore (alimentazione continua).

• Tiraggio: in alcuni sistemi l’approvvigionamento dell’aria di combustione avviene per

aspirazione naturale, creata dalla differenza di pressione tra la camera di combustione e

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l’uscita della canna fumaria (tiraggio naturale). In dispositivi più moderni l’aria comburente

viene fornita forzatamente per mezzo di ventole di aspirazione (tiraggio forzato)

Il mercato offre una vasta gamma di apparecchi termici che implementano differenti tecnologie per

la riduzione di inquinati e l’aumento dell’efficienza termica. In questo paragrafo verranno descritti

solo i dispositivi più rappresentativi delle diverse classi, al fine di comprendere il funzionamento

alla base [3]:

Camini

I camini rappresentano sicuramente i sistemi di riscaldamento a biomassa per uso domestico più

vecchi e per questo largamente diffusi. Tali impianti funzionano a ciocchi di legno o bricchette e

sono solitamente alimentati manualmente. I camini riscaldano l’ambiente per irraggiamento e

convezione. Questi apparecchi presentano tipicamente potenze piuttosto basse, comprese tra i 5 e i

10 kW. I camini aperti sono caratterizzati da bassi rendimenti, valori inferiori al 15 %, e quindi

associati ad elevate produzioni di CO e polveri. Un’evoluzione del camino vede l’inserimento di un

vetro saliscendi tra il focolare e l’ambiente da riscaldare in modo da aumentare efficienze di

combustione e rendimenti (camino chiuso). Un’ulteriore innovazione riguarda i cosiddetti

termocamini che hanno la funzione, oltre che di riscaldare gli ambienti, anche di scambiare calore

con il fluido termovettore dell’impianto di riscaldamento principale per contribuire al riscaldamento

dell’abitazione e alla produzione di acqua calda sanitaria. Questi impianti sono in grado di

raggiungere rendimenti fino al 75% e presentano potenze termiche che vanno da 20 a 35 kW.

Stufe a legna

La stufa a legna è un dispositivo termico utilizzato per il riscaldamento di ambienti interni,

rilasciando calore per radiazione e convezione. Sebbene le stufe utilizzino entrambe le modalità per

il riscaldamento vengono classificate in stufe radianti o stufe convettive in base al principale

meccanismo di trasferimento di calore. Il dispositivo, schematizzato in figura 3.1, è composto da

un’ampia camera di combustione rivestita di materiale termo-resistente in cui viene alloggiato il

combustibile. Solitamente le stufe sono attrezzate con una grata per le ceneri ed un cassetto di

raccolta posto al di sotto. La velocità di combustione della legna è regolata controllando il flusso di

aria primaria. Poiché flussi d’aria primaria insufficienti porterebbero a condizioni di combustione

incompleta, un secondo flusso di aria (aria secondaria) è indirizzato al di fuori della zona di

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combustione primaria per ottenere una post-combustione. La camera di combustione può essere

equipaggiata con ostacoli orizzontali o verticali per aumentare turbolenza e tempi di residenza dei

fumi. L’aria secondaria può essere preriscaldata ed inviata in punti strategici della camera di

combustione. Molti modelli sono provvisti di una finestra di ispezione frontale che contribuisce al

lato estetico mostrando la combustione della legna, ma consente anche all’operatore di regolare la

stufa per ottenere una combustione ottimale. Le tradizionali stufe a legna non raggiungono elevate

efficienze di combustione, fermandosi al 40-50%, e provocano l’emissione di elevati quantitativi di

materiale particolato, CO, composti organici volatili e IPA. Similmente al camino le recenti

innovazioni hanno inoltre portato alle termostufe, che sono in grado di interagire con il sistema di

riscaldamento principale contribuendo a riscaldare l’acqua circolante in tale impianto e a produrre

acqua calda sanitaria.

Fig. 3.1 – schema di una stufa a legna

Sistemi a pellet – stufe e caldaie

I sistemi alimentati a pellet rappresentano la tecnologia innovativa nel campo della combustione di

biomassa. L’alimentazione a pellet consente di mantenere automaticamente la combustione,

permettendo di regolare la velocità di combustione influendo direttamente sul flusso di combustibile

e non sulla portata dell’aria primaria. In questi dispositivi infatti il combustibile viene inviato

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automaticamente in camera di combustione per mezzo di una vite senza fine o coclea, che preleva il

materiale da un serbatoio di stoccaggio. L’autonomia di questo può arrivare anche a diversi giorni,

riducendo al minimo le operazioni di ricarico da parte dell’operatore. L’aria di combustione è

fornita al sistema da una ventola automatica, che può anche fornire un flusso di aria secondaria.

L’alimentazione del combustibile può essere finemente regolata agendo sul tempo di

funzionamento della coclea ed il processo automatizzato per mezzo di un termostato, localizzato nel

locale da riscaldare, oppure con un sensore di temperatura per l’acqua all’interno del serbatoio di

accumulo per una caldaia. L’accensione del pellet avviene mediante una resistenza elettrica o con

una fiamma pilota. L’operazione di rimozione della cenere può essere fatta con scarsa frequenza ed

in alcuni casi automatizzata. Grazie all’elevato grado tecnologico le efficienze per questi dispositivi

superano l’80 %.

3.2 Sistemi di riduzione delle polveri

Gli accorgimenti per la riduzione dell’emissione di polveri che possono essere applicati a dispositivi

per la combustione di biomassa possono essere divisi in due gruppi:

• misure primarie: l’ottimizzazione delle condizioni di combustione relativamente alla

temperatura, miscelazione e tempi di residenza dei gas contribuisce alla riduzione delle

emissioni prodotte dalla combustione incompleta.

• misure secondarie: vedono l’utilizzo di sistemi esterni all’apparecchio di combustione,

finalizzati alla purificazione dei gas emessi. Rientrano nelle misure secondarie sistemi di

filtrazione dei gas come filtri a manica o elettrofiltri. Attualmente queste soluzioni sono

troppo costose per piccoli i piccoli dispositivi domestici

Parallelamente a questi, campagne informative sul corretto utilizzo e sulla manutenzione dei

dispositivi sono fondamentali nella riduzione delle polveri emesse dalla combustione della legna.

Da non sottovalutare inoltre la qualità del combustibile, in termini di contenuto in ceneri e

composizione degli elementi inorganici, poiché gioca un ruolo importante sull’emissione finale di

polveri, come si nota in figura 3.2.

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Fig. 3.2 – relazione tra emissione di polveri (PM1) verso il contenuto in ceneri (sinistra) e composizione inorganica del

combustibile (destra) [34]

Tra le tecniche per la riduzione primaria degli inquinati la più importante è sicuramente la

combustione a stadi, il cui principio generale è schematizzato in figura 3.3. Sebbene la combustione

avvenga complessivamente in eccesso d’aria, λ solitamente compreso tra 1,5 – 2, il flusso totale non

viene fornito interamente al combustibile ma suddiviso in due flussi distinti, definiti come flusso di

aria primaria e di aria secondaria. Nel primo stadio il legno viene inizialmente gassificato con

l’aria primaria che fornisce ossigeno in quantità sub-stechiometrica (λ1 < 1). I gas combustibili

prodotti ed il char vengono ossidati con un largo eccesso d’aria fornito dal flusso secondario (λ2 >

1). Separando la fase di devolatilizzazione da quella di ossidazione si migliora notevolmente la

miscelazione del combustibile con aria, inoltre la temperatura di combustione aumenta e

l’emissione di inquinanti incombusti (CO, idrocarburi, IPA) si riduce sensibilmente. È importante ai

fini del corretto funzionamento del processo ottimizzare il rapporto combustibile/aria, poiché

eccessi d’aria elevati tenderanno ad abbassare la temperatura di combustione mentre

un’insufficienza del comburente conseguirà in elevate emissioni di CO ed incombusti, legati ad una

ridotta miscelazione dei gas. È importante inoltre ridurre il processo di ossidazione al primo stadio

per evitare che la combustione avvenga con una miscela combustibile/comburente non omogenea.

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Fig. 3.3 –schema del processo di combustione a due stadi [50]

Benché l’emissione di particolato inorganico non possa essere totalmente eliminata mediante

misure di riduzione primaria, richiedendo l’utilizzo di sistemi secondari, l’impiego di una

combustione a stadi attenua la conversione della frazione inorganica del combustibile [21]. Questa

attenuazione, che può arrivare anche ad riduzione delle polveri emesse del 50 – 80 %, sfrutta il

principio della gassificazione del combustibile piuttosto che la sua combustione, che risulta in una

serie di vantaggi:

• le più basse temperature nel letto di braci riducono la volatilizzazione di alcuni costituenti

della cenere e la formazione di sali (es. KCl) nei fumi di combustione;

• la riduzione delle velocità dei gas attraverso il letto di braci riduce il trasporto di frammenti

di combustibile all’interno delle zone calde della fiamma, con conseguente vaporizzazione

della frazione inorganica;

• la riduzione del contenuto di ossigeno nel letto di combustione riduce la tendenza a formare

ossidi degli elementi inorganici del combustibile, che presentano temperature di

volatilizzazione più basse;

• un letto di braci spesso agisce da filtro per le polveri prodotte nella fase iniziale

Laddove l’ottimizzazione dei parametri di combustione non è in grado di arrivare è necessario agire

con soluzioni tecnologiche aggiuntive, che rappresentano i sistemi di riduzione secondari. Tra

questi molto diffuso, soprattutto per stufe a legna, è l’utilizzo di un catalizzatore che facilità

l’ossidazione dei prodotti incombusti. Il catalizzatore è solitamente posizionato lungo il percorso

dei fumi vicino alla camera di combustione ed è costituito da una ceramica termo-resistente con una

struttura a celle o a nido d’ape. Sulla sua superficie sono depositati quantità minime di metalli

nobili, di solito platino, rodio, palladio o una combinazione di questi, oppure ossidi metallici.

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Grazie all’azione di questi metalli, che facilitano le reazioni di ossidazione, il catalizzatore è in

grado di abbassare le temperature di combustione dei prodotti non ossidati provenienti dalla

combustione non completa del legno [3]. I catalizzatori possono essere danneggiati dalle elevate

temperature e si possono intasare richiedendo una manutenzione aggiuntiva a quella prevista per il

dispositivo.

Le fasi transitorie nel funzionamento del dispositivo, come ad esempio le fasi di accensione e

spegnimento, e carichi termici parziali sono associati ad emissioni più elevate rispetto alla potenza

nominale [51]. Questo aspetto è importante poiché un sistema di riscaldamento domestico,

soprattutto se termoregolato, può subire continue accensioni e spegnimenti oppure modulazioni

della potenza termica, affermazione valida principalmente per le stufe che riscaldano ambienti

ristretti. L’utilizzo di un serbatoio per l’accumulo termico consente all’apparecchio di operare in

condizioni di combustione ottimali al massimo della potenza nominale per un tempo più lungo,

poiché la richiesta di calore per il riscaldamento degli ambienti o dell’acqua sanitaria viene

soddisfatta dal serbatoio [3].

Ad oggi sono disponibili su mercato diverse tecnologie per la rimozione delle polveri dai fumi di

combustione per apparecchi alimentai a biomassa e non esiste una soluzione unica adatta a tutte le

situazioni (Fig. 3.4). Nella scelta della tecnologia più adatta i seguenti fattori dovrebbero essere

considerati: dimensione delle particelle, efficienza di raccolta del dispositivo di rimozione, volumi

del flusso di gas da trattare, tempo di pulizia del sistema di rimozione, natura delle particelle e

presenza di tar nei fumi. I sistemi di rimozione più utilizzati sono i seguenti [3, 21]:

• ciclone: sfrutta la forza centrifuga imposta al gas per la rimozione delle particelle. Il

dispositivo è robusto ed economico, di contro è in grado di rimuovere efficacemente solo le

particelle più grandi di 5 µm

• filtri: si basano sul concetto classico di filtrazione, il gas attraversa il tessuto del filtro e le

particelle con diametro superiore alla sua capacità di ritenzione vengono trattenuti. Sebbene

il sistema sia in grado di rimuovere efficacemente le polveri fini (fino a diametri inferiori a

0,01 µm in funzione del tessuto/materiale utilizzato) è associato ad una serie di svantaggi

tecnico-operativi quali la temperatura dei fumi, la presenza di condensa (tar o umidità), etc.

che ne possono limitare la scelta in alcune condizioni

• precipitatore elettrostatico (ESP): la rimozione avviene prima caricando elettricamente le

polveri per poi attrarle ad uno dei due elettrodi posti lungo il cammino dei fumi. Esistono

precipitatori elettrostatici a secco (dry ESP) e con fumi umidi (wet ESP). Questi sistemi

possono raggiungere efficienze di rimozione elevate per particelle fini (diametri inferiori a

0,01 µm) ma sono particolarmente costosi e richiedono maggiori attenzioni nell’utilizzo.

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• sistemi di lavaggio (scrubber): in questi dispositivi le particelle sono eliminate per mezzo di

gocce d’acqua, di dimensioni differenti, disperse nei fumi con degli ugelli. Le gocce

intercettano le polveri per poi trascinarle in un sistema di raccolta. Oltre ad ottenere buone

efficienze di rimozione si possono abbattere anche gas acidi quali NOx e SOx. Il sistema

richiede lo smaltimento delle acqua di processo, con aumento dei costi di gestione

L’implementazione di questi sistemi di contenimento delle polveri in apparecchi termici domestici

presenta ancora costi elevati.

Fig. 3.4 – efficienze di raccolta in funzione del diametro delle particelle per diverse tecnologie di rimozione delle

polveri [3]

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3.3 Fattori di emissione di polveri per le diverse classi di dispositivi termici

In tabella 3.1 sono riassunti i fattori di emissione delle polveri riportati in letteratura per le diverse

classi di dispositivi per il riscaldamento domestico [22]. Le stufe convenzionali e le caldaie

alimentate a ciocchi di legno sono associate ai più alti fattori di emissione, seguite dai camini aperti

e le stufe moderne, mentre all’ultimo posto si trovano caldaie e stufe a pellet.

Tab 3.1 – fattori di emissione per differenti tipologie di dispositivi di combustione residenziali [22]. a) fattori di

emissione medi riportati in [52]; b)intervallo dei fattori di emissione basati sui dati della IEA, come riportato in [53],

1=misura polveri > 100 °C, 2= misura polveri in tunnel < 100 °C; c) intervallo di fattori di emissione da [54]; d) dati

da [55]

Come si può notare, gli intervalli dei fattori di emissione riportati sono piuttosto ampi. Alla base di

questa estesa variazione l’utilizzo di differenti tecniche di misura per la determinazione delle

polveri: sono stati utilizzati sia campionamenti alle temperature di 120 – 160 °C in canna fumaria

che prelievi a basse temperature (< 35 °C) con tunnel di diluizione. La tecnica di diluizione dei fumi

simula il processo naturale a cui vanno incontro i gas di combustione quando emessi in ambiente,

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consentendo di determinare anche la frazione organica condensabile delle polveri che in alcuni casi

può rappresentare fino a 10 volte il valore misurato nei gas non diluiti. Tuttavia, per una stima

accurata della frazione organica del particolato primario, le stesse condizioni di diluizione

ambientale dovrebbero essere riprodotte, poiché temperatura dei gas e pressioni di vapore delle

sostanze influiscono sensibilmente sulla quantità della frazione organica associata al particolato. In

aggiunta, si consideri che prima della misura delle polveri il dispositivo in esame viene sempre

portato a regime termico, contrariamente a quanto succede nella vita reale dove la combustione

della biomassa inizia a sistema freddo. In questo modo non si tiene conto delle fasi iniziali della

combustione dove si ha la maggiore produzione di sostanza organica, sottostimando quelle che sono

le reali emissioni derivanti dall’utilizzo dell’apparecchio. A contribuire all’elevata variabilità dei

dati in letteratura l’estrema diversità nelle tecnologie di combustione all’interno di ogni classe di

apparecchi termici.

3.4 Legislazione nazionale e regionale in materia di polveri La comunità europea ha posto negli anni sempre maggiore attenzione alle questioni ambientali,

poiché intenzionata alla tutela dell’ambiente attraverso la riduzione delle emissioni inquinanti e il

miglioramento della qualità dell’aria. Qualità definita dai limiti riportati nella direttiva europea

2008/50/CE [2] e recepiti a livello nazionale nella d.lgs. 155 del 13 agosto 2010 (Tab. 3.2).

Tab. 3.2 – valori limite per il controllo della qualità dell’aria riportati nel d.lgs. 155 del 13 agosto 2010

INQUINANTE CONCENTRAZIONE PERIODO ENTRATA IN VIGORE

SUPERAMENTI ANNUI

PM2.5 25 µg/m3 1 anno VO 1.1.2010

VL 1.1.2015 n/a

PM10 50 µg/m3

40 µg/m3

24 ore

1 anno VL 1.1.2005

35

n/a

IPA 1 ng/m3 (espresso come concentrazione di b(a)p) 1 anno VO 31.12.2012 n/a

CO 10 mg/m3 Massimo giornaliero su media di 8 ore

VL 1.1.2005 n/a

NO2 200 µg/m3 1 ora VL 1.1.2010 18

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VL: valore limite; VO: valore obiettivo

Il rispetto dei valori limite per i diversi inquinanti, previsto dalla normativa sulla qualità dell’aria,

avviene attraverso la riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera per i vari settori, tra cui la

combustione di biomassa ad uso residenziale. L’attuale normativa nazionale [56] si pone nei

confronti di questa definendo dei limiti di emissione che devono essere rispettati perché il

dispositivo possa essere autorizzato. Tali limiti vengono suddivisi in base alla potenza di

funzionamento dell’apparecchio (Tab. 3.3). La normativa Italiana non prevede limitazioni nelle

emissioni per impianti con potenze termiche inferiori ai 35 kW, classe di potenza che comprende la

quasi totalità degli apparecchi termici per il riscaldamento domestico alimentati a biomassa.

Tab. 3.3 – tabella dei valori di emissione per impianti termici di combustione con potenza termica nominale inferiore a

50 MW alimentati a biomassa solida (valori espressi in mg mn-3 all’11 % di O2)

Potenza termica nominale installata (MW)

* < 0,15 ÷ ≤ 3 >3 ÷ ≤ 6 >6 ÷ ≤ 20 >20

PST 100 30 30 30

COT - - 30 20 (10**)

CO 350 300 250 (150**) 200 (100**)

NO2X 500 500 400 (300**) 400 (200**)

SO2x 200 200 200 200

PST: particolato solido totale; COT: carbonio organico totale; CO: monossido di carbonio; NO2x: ossidi di azoto espressi come NO2; SO2x: ossidi di zolfo espressi come SO2

* agli impianti di potenza termica nominale pari o superiore a 0,035 MW e non superiore a 0,15 MW si applica un fattore di emissione delle polveri totali di 200

** valori medi giornalieri

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La Regione Marche tramite delibera della giunta regionale num. 1282 del 10 settembre 2012 [57] ha

approvato il Piano d’Azione definendo i provvedimenti contingenti per la riduzione della

concentrazione degli inquinanti nell’aria ambiente. La Regione riconosce il riscaldamento

domestico a biomasse legnose come una delle fonti emissive di polveri sottili più importanti sul

territorio, nello specifico nelle zone di tipo A, stimandone un impatto circa due volte superiore al

traffico veicolare. La direttiva consente quindi “l'utilizzo di apparecchi e impianti di prestazioni

ottime, proposti dal mercato a prezzi accettabili per le famiglie, ma solo in sostituzione di

apparecchi obsoleti molto inquinanti, nonché di impianti ed apparecchi, non sostitutivi di altri

esistenti, purché di prestazioni ancora migliori” mentre “per tutti gli apparecchi esistenti che non

assicurino le prestazioni richieste si impone il divieto di utilizzo, laddove nell'unità immobiliare

esista già una forma di riscaldamento meno inquinante”.

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4. Metodi di misura delle polveri emesse da sistemi per il riscaldamento

domestico a biomassa solida di piccola potenza

I fattori di emissione definiscono la quantità di polvere prodotta dall’apparecchio in esame sulla

base di un’unità generica di utilizzo come il volume di gas emesso, la quantità di combustibile

bruciata o l’energia prodotta. In base alla tecnica di misura i fattori di emissione delle polveri

possono essere espressi sia come concentrazione in massa o che come numero di particelle, sul

totale delle polveri oppure per le singole frazioni dimensionali. Generalmente, la determinazione

delle polveri prevede l’aspirazione di una porzione del flusso di gas su cui viene effettuata la

misura. Le tecniche di misurazione possono essere distinte in due gruppi: tecniche discontinue e

tecniche in continuo. Le prime restituiscono un valore puntuale delle polveri emesse alla fine di un

definito intervallo di tempo, mentre le tecniche in continuo consentono il monitoraggio in tempo

reale e richiedono l’utilizzo di una strumentazione sofisticata. Solitamente, nelle misure discontinue

un flusso campione del gas in esame è estratto dal flusso principale, con una portata

isocineticamente3 controllata ed il volume aspirato misurato. Le polveri trascinate nel campione di

gas vengono quantificate mediante filtrazione di tutto il materiale solido/liquido trattenuto da

dispositivo filtrante pre-tarato, per la determinazione della massa totale delle polveri, oppure le

particelle divise nelle singole classi dimensionali (es. impattore multistadio) prima della

determinazione gravimetrica. Un altro criterio di classificazione è la condizione di prelievo: le

polveri possono essere misurate direttamente alle alte temperature in canna fumaria (misura a

caldo) oppure raffreddando i fumi di combustione prima della determinazione (misura a freddo).

Quest’ultima condizione si ottiene diluendo i fumi caldi con aria a più bassa temperatura, simulando

il normale fenomeno di diluizione in aria ambiente.

Appare evidente come la scelta della tecnica di campionamento sia fondamentale per l’accuratezza

nella misura, soprattutto in presenza di una componente semivolatile delle polveri che si ripartisce

tra fase gas e particolata e che può risentire della variazione delle condizioni ambientali (es.

temperatura).

3 Un campionamento si dice isocinetico quando la velocità di gas campionati all’entrata dell’ugello di prelievo è uguale alla velocità dei gas nel condotto.

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Fig 4.1 – confronto delle tecniche di campionamento delle polveri con PM ambientale [13].

SP: particolato solido; SPC: particolato solido più frazione condensabile; DT: polveri prelevate con tunnel di diluizione

(DR circa 10); DS: campionamento con diluizione (DR > 100); C: frazione condensabile; SOA: aerosol organico

secondario * SO2 ed altri composti gassosi solubili nei fumi di combustione che possono disciogliersi negli impinger ** nella determinazione del TOC negli impinger la massa degli altri elementi (es. O, H, N, S, etc.) contenuti nella

frazione condensabile devono essere conteggiati separatamente *** composti organici liquidi o solidi alle pressioni parziali dei gas di combustione e temperatura ambiente ma volatili

durante il campionamento a causa della riduzione della pressione parziale dovuta alla diluizione ed alla temperatura

superiore a quella ambientale

Le principali tecniche di campionamento gravimetriche sono di seguito elencate e schematizzate in

figura 4.1 [13]:

a) Campionamento a caldo - particolato solido totale (Total Solid Particulate, TSP): il

campionamento delle particelle viene eseguito filtrando una porzione dei gas caldi e non

diluiti prelevati direttamente in camino onda. In queste condizioni il particolato sarà

composto solo dalla frazione liquida o solida alla temperature dei fumi (ca. 160-200°C) e

sarà costituito principalmente da particolato di natura inorganica (cloruri e solfati di

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potassio) in buone condizioni di combustioni, mentre carbonio elementare e particolato

organico saranno presenti in elevate quantità in combustioni incomplete.

b) Campionamento a caldo con raffreddamento dei fumi - particolato solido totale + frazione

condensabile (Solid Particle Condensable, SPC): il particolato solido viene filtrato a caldo,

come descritto nel punto precedente, mentre a valle del filtro trappole (impinger) contenenti

un solvente assorbente (acqua o solvente organico) e mantenuti a bassa temperatura

bloccano la componente condensabile. Il fattore di emissione risultante viene calcolato

tenendo conto della somma del particolato solido trattenuto su filtro, più la frazione

condensabile negli impinger. Alcuni composti gassosi, quali ad esempio l’anidride solforosa

(SO2), possono solubilizzarsi negli impinger ed essere conteggiati come frazione

condensabile. Nella combustione del legno (con basso contenuto di zolfo) tutta la frazione

inorganica è presente in forma solida e trattenuta dal mezzo filtrante, la frazione

condensabile inorganica viene considerata trascurabile.

c) Campionamento da fumi diluiti – particolato da tunnel di diluzione (Dilution Tunnel, DT):

le polveri sono campionate dai fumi diluiti con aria ambiente, circa 10-20 volte, in un tunnel

di diluizione (Fig. 4.3) a temperature vicine a quella ambiente (es. 35-50°C). Il

raffreddamento converte la frazione condensabile, altrimenti gassosa alle temperature della

canna fumaria, in particolato filtrabile (condensazione o nucleazione) e quindi captata dal

mezzo filtrante.

d) Campionamento da fumi diluiti - particolato da campionamento con diluizione (Dilution

Sampling, DS): per simulare le reali condizioni ambientali, il campionamento dovrebbe

essere eseguito su fumi freddi ed altamente diluiti, con rapporti di diluizione di 100 o più.

L’elevata diluizione, necessaria per analisi on-line delle dimensioni e del numero delle

particelle, è ottenuta in due passaggi: una prima diluizione a caldo evita l’instaurarsi di

fenomeni condensativi, consentendo di misurare dimensione e numero di particelle per un

particolato simile a quello presente in camino, seguita poi da una seconda diluizione a

freddo.

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Tradizionalmente la misura delle emissioni di polveri viene fatta direttamente nei gas caldi non

diluiti in canna fumaria alle temperature di circa 150 – 200 °C. In alcuni casi, soprattutto con

dispositivi di riscaldamento domestico di piccola potenza, questo tipo di campionamento può

risentire di alcuni aspetti negativi [14]:

1. l’emissione totale delle polveri può non essere misurata correttamente durante diversi cicli di

utilizzo a causa di fasi transitorie di combustione che sono associate ad una variazione dei

flussi di gas prodotti

2. la variazione dei flussi di gas in camino comporta dei problemi nel mantenimento

dell’isocinetismo durante il campionamento

3. la natura condensabile di molti composti organici semivolatili può portare a differenze nella

composizione e nella distribuzione di questi (fase gas e fase particolata) tra i gas caldi non

diluiti e la situazione reale in ambiente

Una diluizione dei fumi di combustione prima della misura delle polveri è quindi preferibile per

diverse ragioni tra cui [54]:

• è possibile simulare le condizioni ambientali per una misura più rappresentativa, sia per

quanto riguarda le temperature di prelievo che per i processi di alterazione a cui le particelle

possono andare incontro a seguito della diluzione (es. coagulazione)

• si rispettano i limiti operativi della strumentazione utilizzata per la misura in continuo.

Questi apparecchi infatti non possono operare in condizioni aggressive come elevate

temperature, umidità o concentrazioni di polveri elevate e senza diluizione non potrebbero

essere utilizzati per la misure delle polveri in questi dispositivi

• maggiore sicurezza per gli analisti che eseguono le misure poiché non sono più esposti ai

fumi di combustione e possono operare con gas a basse temperature

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Fig. 4.2 – influenza del rapporto di diluizione sulla conversione delle polveri in camino a PM10 ambientale

All’uscita della canna fumaria il fumo viene diluito e raffreddato con aria ambiente, con un grado di

diluizione che aumenta man mano che i gas di combustione si allontanano dal punto di emissione.

Nella prima parte del processo, il raffreddamento comporta la condensazione/adsorbimento di

alcuni composti organici presenti nei fumi, con conseguente aumento della massa complessiva del

particolato emesso fino a raggiungere un massimo ad un rapporto di diluizione di circa 10 – 20 (Fig.

4.2). Un ulteriore aumento della diluizione riduce la pressione parziale di questi composti portando

ad una loro volatilizzazione/desorbimento ed una riduzione della massa totale. Come riportato in

figura 4.2 il particolato misurato direttamente in camino e quello realmente emesso come PM10

differiscono per quantità e composizione. Questa differenza è dovuta al contributo dell’aerosol

organico secondario ed alla presenza di una frazione condensabile delle polveri [13] secondo le

seguenti reazioni secondarie:

1. Composti ad alto peso molecolare (tar-simili) presenti in fase gassosa alle elevate

temperature dei fumi in camino, possono formare particelle solide o liquide (fenomeno di

nucleazione) oppure condensare sul particolato già presente in camino o nell’ambiente

(fenomeno di condensazione), aumentando numero e massa delle particelle oppure la

concentrazione in massa.

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2. Composti organici volatili (VOC) possono subire ossidazione fotochimica e formare SOA

e/o adsorbirsi sul particolato già presente aumentandone la massa. La presenza di ossigeno a

seguito dell’ossidazione comporta un ulteriore aumento della massa del particolato.

3. Evaporazione di particelle solide e liquide e fenomeni di desorbimento dovuti alle elevate

diluizioni possono ridurre la massa del PM in ambiente.

Fig. 4.3 – tunnel di diluizione dei fumi. Flusso parziale (sinistra) e flusso intero (destra)

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5. Parte sperimentale – parte prima

Il lavoro sperimentale è stato svolto presso il centro di ricerca Bioenergy 2020+ (Wieselburg,

Austria) e si è posto come obiettivo principale il confronto di due delle tecniche più comuni per la

determinazione gravimetrica delle polveri: la tecnica di filtrazione a caldo e la tecnica di filtrazione

a freddo. I prelievi sono stati ottenuti seguendo delle metodiche standard: per il campionamento a

caldo, che prevede il prelievo dei fumi direttamente dalla canna fumaria, si è seguito il metodo

tedesco VDI 2066-1 [58] mentre il campionamento a freddo è stato ottenuto previa diluizione dei

fumi di combustione all’interno di un tunnel di diluizione, come richiesto dallo standard americano

EPA 5G [59]. Dopo aver portato a regime l’apparecchio di riscaldamento con pellet di legno, i

prelievi delle polveri sono stati eseguiti contemporaneamente in canna fumaria e nel tunnel di

diluizione per lo stesso periodo di tempo, al fine di eliminare la variabilità dovuta a condizioni di

combustione diverse. Sono state valutate differenti potenze di funzionamento del dispositivo di

combustione e per ogni condizione (test) sono state eseguite tre repliche. Dei test in bianco sono

stati ottenuti aspirando gas nel tunnel di diluizione nelle stesse condizioni operative utilizzate per i

campioni, ma senza effettuare la combustione nel dispositivo. I valori medi ottenuti sono stati

utilizzati per la correzione dei fattori di emissione. Infine, la composizione dei gas è stata

continuamente monitorata per ottenere informazioni sulla qualità della combustione. Le condizioni

operative dei test sono riassunte in tabella 5.1.

Tabella 5.1 – condizioni operative per i test della parte prima

Test Potenza [%] Campioni Freddo Campioni caldo

T1 100 3 3

T2 50 3 3

T3 30 3 3

Bianco 0 3 -

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5.1 Impiantistica e strumentazione utilizzata In figura 5.1 si riporta uno schema esplicativo della strumentazione in dotazione ai laboratori del

Bioenergy 2020+ utilizzata per lo svolgimento di questa fase del lavoro.

Fig. 5.1 – strumentazione utilizzata per l’esecuzione dei test nella prima parte della sperimentazione. 1: caldaia a pellet

con fiamma inversa; 2: pesa elettronica; 3: canna fumaria coibentata; 4: linea di campionamento polveri a caldo

secondo VDI 2066-1; 5: cappa di aspirazione; 6: baffles; 7: tubo di Pitot e termocoppia, 8: aspiratore a numero di giri

variabile; 9:linea di campionamento polveri a freddo; 10: analizzatore di gas (O2, CO, NOx, OGC).

La strumentazione utilizzata per eseguire i test di combustione con l’apparecchio di riscaldamento

in esame e per campionare le polveri prodotte è costituita da:

• dispositivo di combustione;

• tunnel di diluizione;

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• sistema di controllo e acquisizione dati.

Il dispositivo di combustione oggetto dello studio, una caldaia a pellet (mod. octo plus,

SOLARFOCUS) da circa 15 kWt di potenza nominale (Fig. 5.2), è costituito da due unità principali:

un corpo bruciatore collegato direttamente ad un accumulatore inerziale da 500 l di volume. Il suo

funzionamento si basa sulla tecnologia a fiamma inversa: il pellet immagazzinato nel serbatoio

viene trasportato e caricato sul piatto di combustione per mezzo della coclea di alimentazione e

della valvola stellare, quest’ultima assicura l’isolamento della camera di combustione evitando

ritorni di fiamma. Alle elevate temperature della camera di combustione inizia la devolatilizzazione

e la combustione del pellet. La fiamma che si sprigiona viene aspirata verso il basso, attraverso il

letto di braci, ad opera della depressione indotta da una ventola di aspirazione posta in uscita

all’apparecchio. I fumi caldi, proseguendo verso l’uscita, attraversano degli scambiatori dove

cedono buona parte del calore all’acqua contenuta nel serbatoio di accumulo termico. Il sistema è in

grado di controllare automaticamente il processo di combustione, monitorando in continuo la

concentrazione di ossigeno residuo nei fumi per mezzo di una sonda lambda, collocata a valle degli

scambiatori di calore e regolando di conseguenza la portata d’aria comburente (numero giri della

ventola di estrazione). Grazie a questi accorgimenti è possibile raggiungere efficienze di

combustione superiori al 95%.

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Fig. 5.2 – caldaia a pellet con tecnologia a fiamma inversa (15 kWt). 1: serbatoio pellet; 2: coclea di alimentazione con

valvola stellare; 3: piatto di combustione; 4:sistema d’accensione; 5: fiamma inversa; 6: ventola di estrazione; 7: sonda

lambda; 8: scambiatori di calore autopulente; 9: serbatoio per lo scarico delle ceneri.

L’ apparecchio in esame, installato e fatto funzionare secondo lo standard EN 303-5 [60], è stato

collegato prima dei test a:

• una pesa elettronica (sensibilità ±0,1 kg) per il monitoraggio del consumo di pellet;

• un circuito idraulico, dotato di valvola miscelatrice e dissipatori termici, per il controllo

delle temperature dell’acqua (flussi di mandata e ritorno) e per lo smaltimento del calore

prodotto, allo scopo di mantenere la potenza di funzionamento impostata per tutta la durata

dei test;

• canna fumaria coibentata con giunto di collegamento alla caldaia flessibile, per consentire

l’utilizzo della pesa. Lungo la canna fumaria sono presenti diverse porte (Fig. 5.3) per

l’inserimento dell’analizzatore di gas, termocoppie e sensori di pressione. Una porta di

campionamento per il prelievo delle polveri è stata praticata lungo un tratto rettilineo a

sezione costante, privo di perturbazioni e rispettando i 5 diametri idraulici a valle e a monte,

come richiesto dalla metodica standard per il campionamento a caldo.

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Fig. 5.3 – canna fumaria del dispositivo termico. 1: porta per l’analizzatore di gas; 2: termocoppia; 3: sensore di

pressione; 4: porta per il campionamento delle polveri.

Il tunnel di diluizione è stato costruito ed utilizzato in accordo con lo standard americano EPA

5G (Fig. 5.4). La cappa di aspirazione, posizionata al di sopra della canna fumaria, ha lo scopo di

convogliare all’interno del tunnel i fumi di combustione in uscita dal camino assieme ad aria

ambiente. A valle di questa il sistema presenta una valvola di by-pass per il controllo del tiraggio in

canna fumaria, mantenuta chiusa per tutti i test poiché non prevista nella metodica originale. Lungo

il tratto orizzontale del tunnel due deflettori (baffles) creano la turbolenza necessaria ad assicurare

una corretta miscelazione tra aria ambiente e fumi di combustione, in modo da garantire una

diluizione omogenea in tutto il volume del gas. Un tubo di Pitot ed una termocoppia, posizionati

lungo il tratto verticale del tunnel, misurano velocità e temperatura del gas diluito. Infine, nella

parte terminale, si trova un estrattore a numero di giri varabile che consente di regolare la portata

volumetrica nel tunnel.

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Fig. 5.4 – tunnel di diluizione secondo EPA 5G. 1: cappa di aspirazione; 2: valvola di by-pass; 3: baffles; 4:tubo di

Pitot e termocoppia; 5: porta per il campionamento polveri; 6: canna fumaria.

Tutto l’impianto è interamente automatizzato e gestito via PC tramite un software sviluppato dal

Bioenergy 2020+. Il software di gestione consente:

• l’acquisizione e l’elaborazione in continuo dei dati provenienti dalla sensoristica:

o termocoppie – temperature dei gas in canna fumaria e nel tunnel di diluizione

o sensori di pressione – tiraggio in canna fumaria

o tubo di Pitot – misura della velocità dei fumi nel tunnel

o analizzatore di gas – analisi di O2, CO2, CO, NOx e OGC

o pesa – consumo di pellet

• regolazione automatica della portata volumetrica nel tunnel di diluizione durante tutto il test

di combustione, mediante lettura della velocità dei gas e modulazione del numero di giri

dell’estrattore

• gestione del circuito idraulico per il controllo delle temperature nel serbatoio di accumulo e

la dissipazione del calore generato.

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49

5.2 Campionamento delle polveri a caldo

Il campionamento delle polveri a caldo è stato eseguito secondo lo standard tedesco VDI 2066-1

[58]. Il metodo descrive una procedura manuale gravimetrica per la determinazione del contenuto di

polveri, o concentrazione in massa, di un gas che fluisce attraverso un condotto con sezione

definita. Per i campionamenti delle polveri sono stati utilizzati dei filtri in microfibra di quarzo (50

mm MK 360, MUNKTELL) precondizionati a 130 °C per almeno 10 h e successivamente

raffreddati in essiccatore a circa 21 °C per almeno 4 h prima della pesata (sensibilità della bilancia ±

0,01 mg). Poco prima del campionamento, la linea di prelievo (Fig. 5.5) è stata assemblata e una

camicia riscaldante avvolta attorno al porta filtro della sonda per mantenere la temperatura di

filtrazione a 130 ± 5 °C durante tutto il prelievo. Tutti i campionamenti sono stati eseguiti per la

durata di 1 h in posizione centrale del camino ed in condizioni isocinetiche. Data l’impossibilità di

misurare direttamente la velocità dei gas in canna fumaria a causa dei valori troppo bassi, questa è

stata calcolata determinando:

• composizione del pellet

• consumo di pellet orario

• concentrazione di ossigeno nei fumi di combustione

• temperatura dei gas al punto di campionamento

Per le formule dettagliate si rimanda all’appendice I. Il flusso di campionamento è stato regolato

manualmente sulla base della velocità dei fumi calcolata e del diametro dell’ugello di prelievo

selezionato. Dopo ogni prelievo è stato verificato che le condizioni isocinetiche fossero soddisfatte.

Successivamente al campionamento, le polveri sono state stabilizzate termicamente in una stufa non

ventilata a 130 °C per almeno 10 h e raffreddate in essiccatore a circa 21 °C prima della

determinazione della massa con la stessa bilancia utilizzata per la tara del filtro.

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Fig. 5.5 - linea di campionamento delle polveri a caldo: sonda di prelievo (sinistra); linea completa inserita nel tunnel

(destra). 1: porta filtro – parte inferiore; 2: porta filtro – parte superiore; 3: flangia di chiusura della sonda; 4:tubo di

prelievo; 5: ugello di prelievo; 6: tubo di supporto; 7: guarnizioni; 8: sonda di prelievo; 9:camicia riscaldante e

controller; 10: pompa di aspirazione, sistema di regolazione del flusso di campionamento e contatore volumetrico del

gas campionato; 11: canna fumaria coibentata.

Il fattore di emissione delle polveri totali emesse dal dispositivo misurate con la tecnica a caldo è

stato calcolato con l’equazione seguente (eq. 1):

(1)

PMC: fattore di emissione delle polveri campionate a caldo in canna fumaria [mg MJ-1]

m2: massa del filtro più polveri [g]

m1: massa del filtro [g]

Vgas: volume di gas secco aspirato durante il campionamento [m3n]

QVn-CF: media della portata volumetrica in canna fumaria, su base secca e normalizzata,

misurata durante il campionamento delle polveri

[m3n h-1]

Qmpellet: media del consumo di pellet bruciato, su base umida e senza ceneri, misurata [kg h-1]

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durante il campionamento delle polveri

PCN: potere calorifico netto del pellet, su base umida e senza ceneri [MJ kg-1]

k: costante, 1000 [mg g-1]

5.3 Campionamento delle polveri a freddo

Il campionamento delle polveri a freddo nel tunnel di diluizione è stato ottenuto seguendo lo

standard americano EPA 5G [59]. Lo standard si applica alla determinazione delle polveri emesse

da dispositivi di riscaldamento alimentati a legna. La procedura prevede, prima di effettuare il

prelievo delle polveri, una diluizione controllata dei fumi in uscita dal dispositivo di combustione

con aria ambiente mediante un tunnel di diluizione. La metodologia può essere suddivisa in due

parti:

• operazioni pre-campionamento: attività svolte all’inizio di ogni sessione di test, prima di

eseguire il campionamento delle polveri, necessarie per impostare correttamente il tunnel di

diluzione;

• determinazione delle polveri emesse: serie di procedure operative per il corretto prelievo

delle polveri nei gas diluiti e per il calcolo del fattore di emissione finale.

Operazioni pre-campionamento

Inizialmente, come richiesto dalla metodica e senza avviare il dispositivo di combustione, la

cappa di aspirazione è stata posizionata centralmente poco al di sopra della canna fumaria, il tunnel

acceso ed impostato alla portata volumetrica di 4±0,4 mn3 min-1, la stessa utilizzata durante tutti i

test. Il tiraggio indotto4 sulla canna fumaria è stato mantenuto inferiore a 1,25 Pa regolando la

distanza tra la cappa di aspirazione e la canna fumaria. Successivamente, per appurare il corretto

funzionamento del tunnel di diluizione, il dispositivo è stato acceso e verificato visivamente che

tutto il fumo prodotto, visibile nella fase di accensione, fosse convogliato all’interno del tunnel (test

preliminare) come riportato in figura 5.6.

4 Depressione esercitata dal tunnel sulla canna fumaria, determinato misurando prima il tiraggio in camino con il tunnel spento e successivamente con il tunnel acceso

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Fig. 5.6 – verifica visiva della corretta cattura del fumo (test preliminare)

Determinazione delle polveri

Prima del prelievo delle polveri i filtri in microfibra di quarzo (47 mm MK 360, MUNKTELL)

sono stati essiccati in stufa a 105 °C per almeno 3h e successivamente raffreddati in essiccatore alla

temperatura di circa 21 °C per almeno 4h prima di effettuare la pesata (sensibilità della bilancia

±0,01 mg). Assemblata la linea di campionamento (Fig. 5.7) e verificatone la corretta tenuta

pneumatica, il prelievo delle polveri è stato eseguito in condizioni isocinetiche ed in posizione

centrale del condotto per la durata di 1h. Al termine del campionamento, il filtro con il particolato è

stato trasferito in essiccatore e mantenuto per almeno 24 h alla temperatura di circa 21 °C in modo

da eliminare l’acqua non combinata prima della pesata. Questa determinazione è stata effettuata con

la stessa bilancia utilizzata per la tara del filtro. Delle prove in bianco sono state effettuate al fine di

eliminare il contributo alle polveri derivante dall’aria di diluizione e da eventuali rilasci da parte del

tunnel. I bianchi sono stati ottenuti nelle stesse condizioni dei campioni ma senza combustione nel

dispositivo ed il valore medio ottenuto sottratto al fattore di emissione per ogni singolo test.

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Fig. 5.7 – linea di campionamento delle polveri a freddo: sonda di prelievo (sinistra); linea completa inserita nel tunnel

(destra). 1: tubo di supporto; 2: porta filtro – parte inferiore; 3: porta filtro – parte superiore; 4: tubo di prelievo; 5:

ugello di prelievo; 6: guarnizioni; 7: sonda di prelievo; 8: sistema di regolazione del flusso di campionamento e

contatore volumetrico del gas campionato; 9: pompa di aspirazione; 10: tunnel di diluizione

Al fine di comparare i risultati delle due tecniche di campionamento delle polveri, il fattore di

emissione è stato calcolato su base energetica secondo la seguente equazione:

(2)

PMF: fattore di emissione delle polveri campionate a freddo con il tunnel di diluizione [mg MJ-1]

m2: massa del filtro più polveri [g]

m1: massa del filtro [g]

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Vgas: volume di gas secco aspirato durante il campionamento [m3n]

: media dei fattori di emissione per le prove in bianco [mg m-3n]

QVn-TD: media della portata volumetrica nel tunnel di diluizione, su base secca5 e

normalizzata, misurata durante il campionamento delle polveri

[m3n h-1]

Qmpellet: media del consumo di pellet combusto, su base umida e senza ceneri, misurata

durante il campionamento delle polveri

[kg h-1]

PCN: potere calorifico netto del pellet, su base umida e senza ceneri [MJ kg-1]

k: costante, 1000 [mg g-1]

5 La metodica definisce il contenuto di umidità dei gas diluiti pari al 4% v v-1.

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6. Parte sperimentale – parte seconda

La seconda parte sperimentale si è posta come obiettivo principale la misura accurata delle polveri

emesse da un dispositivo per il riscaldamento domestico, di piccola potenza, alimentato a biomassa

solida. Il lavoro è stato interamente svolto presso il dipartimento 3A dell’Università Politecnica

delle Marche. Per lo studio è stata adoperata una stufa a pellet considerata rappresentativa dei

dispositivi per il riscaldamento domestico ad elevata efficienza diffusi sul territorio nazionale. Ai

fini del raggiungimento dell’obiettivo, il lavoro è stato suddiviso in due fasi, di seguito brevemente

illustrate:

• Fase 1 - Confronto tra le tecniche di campionamento delle polveri a caldo ed a freddo sulla

stufa a pellet, operante in condizioni di combustione controllate e stabili: stato stazionario

• Fase 2 - Misura delle polveri totali emesse durante il funzionamento del dispositivo in

condizioni convenzionali, considerando l’utilizzo della stufa nel suo ciclo completo di

lavoro e quindi comprendendo anche le fasi di combustione a bassa efficienza associate ad

un’elevata emissione di particolato:. accensione dell’apparecchio, transitori e fase di

spegnimento.

6.1 Fase 1 – emissioni da combustione controllata (stato stazionario)

Analogamente alla prima parte del lavoro, in questa fase sono state confrontate le due tecniche di

misura più comuni a livello europeo per la determinazione delle polveri totali, allo scopo di

metterne in evidenza le differenze per una stufa a pellet di piccola potenza. Le due tecniche di

campionamento confrontate nella sperimentazione sono le seguenti:

• Campionamento a caldo con condensazione dei fumi – variante della misura delle polveri a

caldo con l’aggiunta di un sistema per il raffreddamento dei fumi a valle della filtrazione,

allo scopo di bloccare la frazione condensabile non trattenuta dal filtro.

• Campionamento a freddo nel tunnel di diluizione – il prelievo delle polveri avviene sui fumi

di combustione diluiti e raffreddati con aria ambiente in un tunnel di diluizione ad una

temperatura inferiore ai 50 °C.

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Le tecniche sono state confrontate alle condizioni stazionarie della stufa ed i campionamenti

eseguiti simultaneamente in modo da poter operare un confronto nelle stesse condizioni di

combustione. Al fine di valutare l’influenza delle condizioni di campionamento sulla

determinazione delle polveri emesse, sono state esaminate diverse situazioni variando parametri di

prelievo e condizioni di combustione. Per il prelievo a caldo sono state considerate due temperature

di filtrazione, ovvero 70 °C e 120 °C, come richiesto dai metodi austriaco/tedesco [61] ed

americano [62], rispettivamente, per la misura delle polveri emesse da dispositivi di combustione

alimentati a legna. La scelta dei rapporti di diluizione è stata imposta dai limiti operativi del tunnel

ed rapporti di 10 e 20 rappresentano valori generalmente utilizzati per impianti di questo tipo.

Inoltre, sono state esaminate diverse condizioni di combustione variando la potenza di

funzionamento dell’apparecchio ed alimentando la stufa con due differenti pellet di legno: uno di

conifera e l’altro di latifoglia. Per ogni condizione operativa sono state eseguite tre repliche per un

totale di 48 prelievi. In tabella 6.1 sono riassunti i parametri modificati nella sperimentazione ed i

livelli scelti per l’esecuzione delle prove.

Tab 6.1 – condizioni operative per i test svolti nella prima parte dell’attività sperimentale

PARAMETRO LIVELLO (-) (+)

Temperatura filtro (°C) 70 120 Rapporto di diluizione (-) 10 20 Potenza termica (%) ≈ 50 100 Pellet (-) Faggio Abete

In questa fase per ogni campionamento sono state determinate le seguenti analisi:

• Misura delle emissioni di monossido di carbonio (CO) ed ossidi di azoto (NO2x)

• Misura del particolato solido totale misurato a caldo ed a freddo

• Contenuto in carbonio totale delle polveri emesse (Total Carbon, TC) prelevate a caldo ed a

freddo

• Contenuto di carbonio organico non volatile (Non Purgeable Organic Carbon, NPOC) nelle

soluzioni degli impinger nel prelievo a caldo, per la determinazione della frazione

condensabile delle polveri

• Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) associati al particolato filtrabile prelevato a caldo ed a

freddo

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6.2 Fase 2 – emissioni in condizioni convenzionali

Obiettivo della fase 2 è stato la determinazione delle polveri totali prodotte da un utilizzo reale di

apparecchi per il riscaldamento domestico di ridotta potenza, comprendendo nella misura anche le

fasi di combustione non stazionarie, normalmente non considerate nelle misure eseguite in

laboratori specializzati ed associate ad una maggiore emissione di particolato. Pertanto, la misura

delle emissioni è stata estesa anche alle fasi di accensione dell’apparecchio termico fino al suo

spegnimento. Le misure sono state eseguite solo sul tunnel di diluizione data l’impossibilità di

conoscere la portata dei gas in canna fumaria, variabile durante il test, e quindi di soddisfare la

condizione di prelievo isocinetico. Un secondo campionamento parallelo è stato dedicato alla

misura delle polveri prodotte solo durante la fase di accensione. Al fine di simulare un utilizzo

reale, la stufa è stata impostata al 50 % della potenza, condizione considerata di normale utilizzo per

il riscaldamento di un comune locale domestico. Nel lavoro sono stati simulati tempi di

funzionamento differenti, ritenuti indicativi di un utilizzo medio reale del dispositivo: 1, 2, 4 e 6 h. I

test sono stati ottenuti sia con pellet di faggio che di abete. Ogni condizione è stata ripetuta per tre

volte per un totale di 48 campioni.

Per ogni campionamento sono stati determinati:

• Misura delle emissioni di monossido di carbonio (CO) ed ossidi di azoto (NO2x)

• Misura del particolato solido totale emesso durante tutto il tempo di utilizzo della stufa e per

la sola fase di accensione

• Contenuto in carbonio totale delle polveri (Total Carbon, TC) campionate

• Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) associati al particolato campionato

6.3 Strumentazione utilizzata Presso il Laboratorio Biomasse del Dipartimento 3A è stato appositamente realizzato un banco di

prova per l’esecuzione dei test di combustione e delle misure delle polveri. La strumentazione

utilizzata, schematizzata in (Fig. 6.1), può essere suddivisa nelle seguenti unità, descritte in

dettaglio più avanti:

• Dispositivo di combustione

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• Tunnel di diluizione

• Analizzatore di gas

• Linee di prelievo delle polveri

Fig. 6.1 – strumentazione utilizzata per l’esecuzione dei test nella seconda parte della sperimentazione. 1: stufa a

pellet; 2: cappa di aspirazione; 3: valvola di by-pass; 4:tunnel di diluizione; 5: tubo di Pitot e termocoppia;6: linea-1

polveri a freddo; 7: linea-2 polveri a freddo; 8: aspiratore a numero di giri variabile; 9: linea-3 polveri a caldo; 10:

analizzatore di gas (O2, CO, NOx).

Il dispositivo di combustione oggetto di studio è stata una stufa a pellet (mod. 6000 AV,

CAMINETTI MONTEGRAPPA) con una ridotta potenza nominale, pari a 11,7 kWt. In questi

apparecchi di riscaldamento (Fig. 6.2) il pellet viene prelevato dal serbatoio collocato nella parte

posteriore del dispositivo da una coclea inclinata di 45° e scaricato nel bruciatore in camera di

combustione. L’accensione della stufa è automatica ed avviene per mezzo di una resistenza

elettrica, posizionata dietro il bruciatore, che riscalda il pellet innescando la fiamma. L’aria

comburente viene aspirata dall’estrattore dei fumi posto in uscita alla stufa ed alimenta la fiamma

da sotto il bruciatore. Contemporaneamente i fumi di combustione vengono spinti nella canna

fumaria a valle dell’estrattore. I gas caldi prodotti in camera di combustione, proseguendo verso

l’uscita, lambiscono uno scambiatore dove cedono parte del loro calore ad un secondo flusso d’aria

che riscalda il locale per convezione. La stufa è dotata di una centralina elettronica che consente di

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modulare la potenza erogata tra 5 livelli, influendo su tempo di funzionamento della coclea di

alimentazione e numero di giri dell’estrattore dei fumi.

Fig 6.2 - Schema di una stufa a pellet [3]

Per il campionamento delle polveri a caldo è stata praticata una porta lungo la canna fumaria, in

modo da consentire l’accesso della sonda di prelievo all’interno del camino. La posizione è stata

scelta secondo quanto definito dalla norma tecnica italiana per il prelievo delle polveri in flussi

gassosi convogliati UNI EN 13284-1 [63], che riporta gli stessi criteri richiesti del metodo tedesco

VDI 2066-1 [64], ovvero: un tratto rettilineo del condotto a sezione costante, rispettando 5 diametri

idraulici a monte e 5 diametri idraulici a valle dal punto di campionamento privi di turbolenze.

Un’ulteriore porta, situata nella parte terminale della canna fumaria, permette l’inserimento

dell’analizzatore di gas.

La composizione dei fumi di combustione è stata costantemente monitorata con un analizzatore di

gas (mod. Vario plus, MRU). Lo strumento è in grado di eseguire la misura dei gas grazie all’azione

combinata di celle elettrochimiche e della tecnologia ad infrarosso, permettendo la determinazione

in continuo dei parametri riportati in tabella 6.2:

Tab. 6.2–intervalli di concentrazione per i composti misurati dall’analizzatore di gas

Parametro Metodo di analisi Intervallo di lettura

Temperatura dei fumi Termocoppia

Ossigeno (O2) Elettrochimico 0-21%

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Anidride carbonica (CO2) Infrarosso 0-30%

Monossido di carbonio (CO) Elettrochimico/infrarosso 0-10000 ppm/ 0-10%

Ossidi di azoto (NOx) Elettrochimico 0-5000 ppm Il tunnel di diluizione (Fig. 6.3) riprende lo schema proposto da Gaegauff [65]: i fumi emessi

dall’apparecchio di combustione, in uscita dalla canna fumaria, sono captati e convogliati

all’interno di una cappa di aspirazione assieme ad aria ambiente per la diluzione. Una valvola di

bypass posta poco al di sopra, permette di regolare la depressione imposta dal tunnel sulla canna

fumaria, consentendo di lavorare anche ad elevate portate di aspirazione senza interferire sul

normale tiraggio del dispositivo. Lungo il tratto rettilineo, o sezione di misura, sono posizionati: un

tubo di Pitot ed una termocoppia per la misura della velocità dei gas; una porta di campionamento

per l’inserimento della sonda di prelievo delle polveri. Una seconda porta per il campionamento

polveri è collocata lungo il secondo tratto rettilineo prima dell’uscita dei fumi in ambiente. La

portata di aspirazione all’interno del tunnel è regolata tramite una ventola di estrazione collocata

nella parte terminale e collegata ad un inverter per la regolazione del numero di giri.

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Fig. 6.3 – tunnel di diluizione secondo modello Gaegauff [65]. 1: cappa di aspirazione; 2: valvola di by-pass; 3: tubo

di Pitot e termocoppia; 4: porta per campionamento polveri linea-1; 5: porta per campionamento polveri linea-2; 6:

ventola di estrazione a numero di giri variabili; 7: inverter.

La misura dei fattori di emissione delle polveri è stata determinata per via gravimetrica, prelevando

e filtrando una porzione dei gas di combustione mediante una linea di campionamento per polveri.

Una linea di campionamento che consiste principalmente di tre parti:

• sistema di aspirazione regolabile e sistema per la misurazione del volume di gas

campionato

• sonda di prelievo con dispositivo di filtrazione

• sistema per l’anidrificazione del gas

Nella sperimentazione sono state impiegate linee di campionamento con configurazioni differenti in

base alla tecnica di prelievo utilizzata, di seguito dettagliatamente descritte:

• Linea per il campionamento a freddo – Linea 1 e Linea 2

Nella misura delle polveri a freddo sono state impiegate due linee di prelievo con

configurazione simile (Fig. 6.4). In entrambe, la sonda di prelievo è totalmente in titanio ed

ha la possibilità di alloggiare filtri piani da 47 mm di diametro. Una guarnizione in silicone

sagomata fissata alla sonda assicura la tenuta ermetica alla porta di campionamento. Tra la

sonda ed il sistema di aspirazione si trovano un condensatore ed una trappola in gel di silice,

allo scopo di eliminare l’umidità presente nei fumi campionati ed inviare al contatore

volumetrico gas anidro, oltre a preservare l’integrità della pompa stessa. La differenza tra le

due linee risiede nel sistema di aspirazione: la linea adoperata per entrambe le fasi (Linea 1)

utilizza un campionatore isocinetico automatico (mod. Isostack Basic, TECORA), costituito

da una pompa volumetrica in grado di regolare automaticamente il flusso di aspirazione per

soddisfare la condizione di isocinetismo, monitorando la velocità e la temperatura dei fumi

con un tubo di Pitot ed una termocoppia connessi allo strumento. Nella linea per il

campionamento delle polveri in accensione per la fase 2 (Linea 2) invece il sistema di

aspirazione non è automatizzato (mod. Aircube, ANALITICA STRUMENTI) ed il flusso di

campionamento deve essere regolato manualmente.

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Fig. 6.4 – linee campionamento polveri tunnel di diluizione. 1: campionatore isocinetico automatico; 2: trappola con

gel di silice; 3: condensatore; 4: sonda linea di prelievo-1; 5: sonda linea di prelievo-1; 6: campionatore manuale; 7:

tubo di Pitot e termocoppia; 8: porta filtro – parte inferiore; 9: porta filtro – parte superiore; 10: disco porta filtro; 11:

flangia di chiusura; 12: tubo di prelievo; 13: ugello di prelievo; 14: guarnizione in gomma sagomata; 15: guarnizioni.

• Linea per il campionamento a caldo – Linea 3

La linea utilizzata per i prelievi in canna fumaria durante la fase 1 (Linea 3), raffigurata in

figura 6.5, riprende il modello dello standard americano per la misura delle polveri totali

filtrabili e della frazione condensabile [62]. La sonda porta filtro, identica a quella utilizzata

nel campionamento a freddo, è alloggiata in un box termostatato in modo da controllare la

temperatura di filtrazione durante i prelievi. A valle della sonda sono collegati quattro

impinger in serie, immersi in un bagno refrigerato di acqua – glicole e mantenuti ad una

temperatura inferiore ai 10 °C. I primi tre impinger sono riempiti con acqua ultrapura mentre

l’ultimo lasciato vuoto per protezione. I gas caldi in uscita dalla sonda, gorgogliano nella

soluzione refrigerata raffreddandosi e con questi anche le sostanze organiche condensabili,

non trattenute dal filtro, rimanendo disciolte e/o disperse. Al fine di massimizzare il

raffreddamento dei gas, nel secondo e nel terzo impinger sono presenti dei filtri in vetro

sinterizzato che hanno lo scopo di rompere il gorgogliamento ed aumentare la superficie di

scambio gas – liquido. Le ridotte velocità dei gas in canna fumaria e l’utilizzo di impinger

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richiedono un sistema di aspirazione in grado di operare a bassi flussi di prelievo (mod.

Aircube, ANALITICA STRUMENTI). Il campionatore, come riportato precedentemente,

non è automatizzato e richiede la regolazione manuale del flusso di campionamento.

Fig. 6.5 – linea campionamento polveri in canna fumaria. 1: sistema di aspirazione; 2: trappola con gel di

silice; 3: bagno refrigerato; 4: impinger; 5: box riscaldato; 6: impinger-1 terminale aperto, 100 ml acqua UP;

7: impinger-2 terminale vetro sinterizzato, 100 ml acqua UP; 8: impinger-3 terminale vetro sinterizzato, 100

ml acqua UP; 9: impinger-4 vuoto.

6.4 Metodologie operative e di analisi

6.4.1 Analisi pellet

I pellet utilizzati nelle prove sono stati caratterizzati secondo le attuali normative europee. In tabella

6.3 vengono riassunte tipologia, riferimento normativo e strumentazione utilizzata per le analisi, a

seguire una breve descrizione delle metodologie adottate.

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Tab. 6.3 – strumentazione e riferimento normativo per le analisi di caratterizzazione dei pellet

Analisi Norma Strumento

Umidità (U) UNI EN 14774-2:2010 Stufa a ventilazione forzata (mod. M120-VF, MPM

INSTRUMENTS)

Ceneri (Cen) * UNI EN 14775:2010 Analizzatore termogravimetrico automatico (mod. mod.

TGA701, LECO)

Carbonio (C); Idrogeno (H);

Azoto (N); Ossigeno (O) * UNI EN 15104:2011

Analizzatore elementare

(mod. 400 Series II CHNS/O System, PERKINELMER)

Potere calorifico superiore (PCS)

Potere calorifico netto (PCN)* UNI EN 14918:2010 Calorimetro (mod. C2000 basic, IKA) + analizzatore

elementare

* Prima delle analisi il campione è stato macinato con un mulino a coltelli (mod. SM 2000, RETSCH) e preparato in

accordo con lo standard UNI EN 14780:2011

Contenuto di umidità (U)

Per la determinazione del contenuto di umidità circa 300 g di pellet sono stati pesati in un vassoio di

alluminio ed essiccati a 105°C in una stufa a ventilazione forzata fino a costanza di peso. La massa

persa dal campione dopo il trattamento termico, rapportata alla massa iniziale, rappresenta la

percentuale di umidità contenuta nel materiale. I risultati ottenuti, riportati come media di due

ripetizioni, vengono espressi in percentuale in peso sul campione tal quale con una precisione dello

0,1%.

Contenuto in ceneri (Cen)

Il contenuto in ceneri è stato determinato misurando il residuo inorganico che rimane a seguito di

un’ossidazione completa del materiale. Circa 1 g della biomassa, opportunamente macinata e

stabilizzata, è stato pesato in un crogiolo di allumina ed incenerito a 550 °C in atmosfera ossidante

(aria) fino a costanza di peso. Il residuo rimanente, che costituisce la frazione inorganica o ceneri

del combustibile, viene riportato alla massa iniziale ed espresso in percentuale con una precisione

dello 0,1%. I risultati ottenuti, espressi su base secca, rappresentano la media di due determinazioni.

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Analisi elementare del contenuto di carbonio (C), idrogeno (H), azoto (N) ed ossigeno (O)

All’incirca 4 mg di biomassa sono stati pesati all’interno di un crogiolo in alluminio ed inseriti

nell’analizzatore elementare. Il materiale viene completamente ossidato ad elevate temperature in

presenza di ossigeno ed i prodotti di combustione gassosi quantificati per via gascromatografica per

la determinazione del contenuto in carbonio (C), idrogeno (H) ed azoto (N). I valori sono espressi in

percentuale sul campione secco. Il contenuto di ossigeno (O) è stato calcolato per differenza

sottraendo dal totale su base secca C, H, N e Cen. I risultati sono riportati con una precisione pari

allo 0,01 %

Potere calorifico superiore (PCS) e potere calorifico netto (PCN)

Il potere calorifico superiore (PCS) rappresenta il contenuto di energia per unità di massa che un

materiale può sprigionare quando sottoposto a combustione completa. La combustione di circa 1 g

del materiale in esame avviene in un sistema chiuso (bomba di Mahler) ed in forte eccesso di

ossigeno (25 bar). L’energia termica generata dal processo viene misurata come innalzamento

termico di una quantità d’acqua nota e termostata che avvolge il sistema. La lettura è stata ottenuta a

25 °C in modalità isoperibolica. Poiché il sistema di misura è chiuso, il contenuto di energia

misurato non tiene conto del calore sottratto dall’evaporazione dell’acqua, fenomeno che avviene

quando la combustione si svolge in un sistema aperto, ovvero assimilabile ad un caso reale.

Sottraendo al valore del PCS il calore di evaporazione dell’acqua di combustione, determinata a

partire dal contenuto di H del combustibile, ed il calore dell’acqua già presente nel materiale come

umidità si ottiene il potere calorifico netto (PCN).

6.4.2 Attività propedeutiche al campionamento

Una serie di attività propedeutiche alla misura delle polveri sono state eseguite prima

dell’esecuzione dei campionamenti:

• Determinazione della portata di pellet

• Calcolo del rapporto di diluizione ed impostazione del tunnel

• Condizionamento e pesata dei filtri

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6.4.2.1 Determinazione della portata di combustibile

Il consumo di pellet, insieme all’ossigeno in eccesso nei fumi di combustione, è di fondamentale

importanza nel calcolo della portata volumetrica dei gas in canna fumaria (vedere appendice I),

indispensabile per la determinazione del rapporto di diluizione e per il calcolo del flusso di

campionamento nella linea a caldo. Inoltre, noto il consumo di pellet ed il suo potere calorifico, è

possibile convertire i fattori emissivi su base energetica. La portata massica oraria di combustibile è

stata determinata raccogliendo e pesando la quantità di pellet erogato dalla coclea di alimentazione

dopo 30 min di funzionamento alla potenza in esame. Il materiale è stato deviato in un contenitore

di raccolta precedentemente tarato prima di cadere nel bruciatore. Questo è stato possibile

aggirando i sistemi di sicurezza della stufa e lavorando con lo sportello frontale aperto. La misura è

stata svolta per tutti i pellet utilizzati e per entrambe le potenze scelte. Dato che il funzionamento

della stufa prevede l’erogazione di una maggiore quantità di pellet in fase di accensione prima di

passare all’alimentazione regolare per la potenza selezionata, è stato necessario misurare anche

questa portata in massa in modo da calcolare i fattori di emissione delle polveri nella fase 2. I

risultati ottenuti rappresentano la media di tre ripetizioni.

6.4.2.2 Calcolo del rapporto di diluizione ed impostazione del tunnel

Il grado di diluizione dei fumi di combustione rappresenta uno dei parametri valutati nello

svolgimento della fase 1. Il rapporto di diluizione (RD) è definito come il rapporto tra le portate

volumetriche alle condizioni standard nel tunnel (QVn-TD) ed in canna fumaria (QVn-CF), calcolato

secondo l’equazione (3).

(3)

RD: rapporto di diluizione [-]

QVn-TD: media della portata volumetrica nel tunnel di diluizione [m3n h-1]

QVn-CF: media della portata volumetrica in canna fumaria [m3n h-1]

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dove QVn-TD viene misurata direttamente per mezzo del tubo di Pitot e della termocoppia

posizionati nel tunnel, mentre QVn-CF viene calcolata noto il consumo di pellet e la concentrazione

di ossigeno nei fumi (eq. 4):

(4)

QVn-CF: portata volumetrica in canna fumaria su base umida [m3n h-1]

Vwet: volume dei gas di combustione su base umida [m3n kg-1]

Qmpellet: portata di pellet su base umida [kg s-1]

k: 3600 [s h-1]

Ogni volta che il piano di lavoro ha richiesto la modifica del RD, il tunnel è stato impostato secondo

la procedura descritta di seguito. La stufa è stata inizialmente portata a regime stazionario alla

potenza in esame ed il contenuto di ossigeno medio determinato per il calcolo della QVn-CF.

Successivamente, l’aspirazione nel tunnel è stata regolata per ottenere la QVn-TD adeguata al RD

richiesto. Nello stesso momento, la depressione indotta dal tunnel sulla canna fumaria, misurata al

punto di campionamento, è stata mantenuta sotto i -2 Pa regolando la valvola di bypass e la distanza

tra la canna fumaria e la cappa di aspirazione.

6.4.2.3 Condizionamento e pesata dei filtri

Per tutti i prelievi delle polveri sono stati utilizzati dei filtri in microfibra di quarzo (47 mm d.i. MK

360, MUNKTELL) caratterizzati da un’efficienza di filtrazione del 99,998% (per particelle di

diametro 0,3 µm) ed un’elevata resistenza termica (900°C). Prima dell’utilizzo, tutti i filtri sono

stati inseriti in pesa filtri e condizionati termicamente in muffola a 500°C per almeno 4 h, allo scopo

di eliminare composti organici interferenti. Successivamente al trattamento termico, i filtri sono

stati raffreddati per circa 5 min in aria e poi trasferiti in un essiccatore contenente gel di silice per

almeno 24 h a temperatura ambiente prima della pesata. La tara è stata determinata con una bilancia

analitica (sensibilità ± 0,01 mg, mod. WAX 110, ORMA) dopo 1 minuto esatto dall’esposizione del

filtro all’aria ambiente. Una volta condizionati e pesati, i filtri sono stati trasferiti in piastre Petri per

il trasporto e lo stoccaggio fino al momento del campionamento.

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6.4.3 Analisi dei gas

Parallelamente al prelievo delle polveri e per tutta la durata della combustione è stata monitorata la

composizione dei gas in canna fumaria misurando: ossigeno (O2), anidride carbonica (CO2),

monossido di carbonio (CO) ed ossidi di azoto (NO2x). All’inizio di ogni giornata di test è sempre

stato fatto l’azzeramento dell’analizzatore con aria ambiente, al termine del quale è stato inserito in

canna fumaria e posizionato centralmente per la lettura. I dati acquisiti dallo strumento sono stati

elaborati successivamente per il calcolo dei fattori di emissione degli inquinanti gassosi prodotti

dalla stufa nelle diverse condizioni di funzionamento.

6.4.4 Campionamento delle polveri

Prima di ogni campionamento, la stufa è stata completamente ripulita dalle ceneri delle prove

precedenti ed il serbatoio caricato con pellet in quantità sufficiente ad assicurare un’alimentazione

continua per tutta la durata del test. Al momento dell’accensione della stufa, sempre associata alla

produzione di fumo, è stato verificato visivamente che tutto il particolato emesso dalla canna

fumaria fosse aspirato dal tunnel di diluizione, impostato alla portata richiesta dal RD in esame (test

preliminare).

6.4.4.1 condizioni di combustione controllate (stato stazionario)

Il confronto delle tecniche di campionamento delle polveri a caldo ed a freddo alle condizioni

stazionarie è stato l’obiettivo della fase 1. La stufa è stata accesa, impostata alla potenza richiesta

dal test e portata a regime stazionario. Il raggiungimento di questa condizione è stato appurato

monitorando la composizione (CO, CO2 e O2) e la temperatura dei gas in canna fumaria, associato

ad un intervallo di stabilità di questi parametri. Questa fase ha richiesto indicativamente 1 h

dall’accensione del dispositivo, indipendentemente dalla potenza e dal pellet utilizzati.

Prima di ogni campionamento, tutti gli impinger della linea 3 sono stati lavati per tre volte con

acqua ultrapura e nei primi tre versati 100 ml di acqua a basso contenuto di carbonio organico non

volatile (NPOC). Entrambe le linee di prelievo, linea 1 e linea 3, sono state assemblate

verificandone la corretta tenuta pneumatica ed inserite nelle rispettive porte di campionamento. Le

sonde di prelievo sono state collocate in posizione centrale, avendo cura di orientare l’ugello di

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prelievo in direzione del flusso dei gas e perpendicolarmente alla sezione del condotto. I prelievi

delle polveri sono stati eseguiti in contemporanea, avviando simultaneamente i sistemi di

aspirazione. Il flusso di aspirazione della linea 3 è stato regolato manualmente e mantenuto al valore

richiesto per un campionamento isocinetico per tutta la durata del campionamento. Ogni prelievo è

durato 90 min, intervallo di tempo ritenuto un buon compromesso tra rappresentatività

dell’emissione della stufa e depressione indotta nella linea di campionamento. Al termine del

prelievo, le sonde sono state estratte dalle porte di campionamento ed i filtri con il particolato

trasferiti in piastre Petri per lo stoccaggio ed il trasporto. Il contenuto di ogni impinger è stato

trasferito, assieme ai lavaggi del contenitore, in flaconi di plastica separati previa misura del volume

totale per mezzo di un cilindro graduato e conservati in frigo fino al momento dell’analisi. I lavaggi

del quarto impinger sono stati aggiunti a quelli del terzo. Alla fine di ogni giornata di

campionamento è stato prelevato un bianco, ottenuto preparando e processando gli impinger allo

stesso modo di un campione ma senza aspirare gas nella linea. I valori sono stati poi utilizzati per la

correzione dell’NPOC.

6.4.4.2 condizioni di utilizzo convenzionali

Nella fase 2 sono state misurate le polveri emesse durante un utilizzo convenzionale del dispositivo,

valutando anche le emissioni prodotte in fase di accensione. La variazione del volume dei gas

prodotti e l’aumento della temperatura dei fumi durante il ciclo di combustione, associati alla

difficoltà di una misura diretta delle velocità del flusso, rendono difficile mantenere un

campionamento isocinetico per un prelievo diretto in canna fumaria. Per questo motivo le polveri

sono state prelevate dopo la diluizione dei fumi nel tunnel. Anche in questo caso sono stati eseguiti

due campionamenti in contemporanea: il primo per la misura delle polveri totali emesse

dall’accensione allo spegnimento della stufa, mentre il secondo dedicato alla sola fase di

accensione. Una volta assemblate le due linee di campionamento (linea 1 e linea 2) e predisposte

nelle rispettive porte, il tunnel è stato avviato e la stufa accesa al 50% della potenza. I

campionamenti sono stati avviati simultaneamente non appena l’emissione di CO ha raggiunto i 35

mg m-3n, valore identificato come effettivo inizio del processo di combustione. Il prelievo delle

polveri per la linea 2 è stato interrotto dopo i primi 20 min, intervallo di tempo entro il quale la

carica di pellet iniziale brucia completamente e si osserva la massima produzione di CO associata

alla formazione di fumo (fase di accensione). Al termine del tempo di utilizzo richiesto per la prova,

la stufa è stata spenta ed il campionamento della linea 1 interrotto al completamento della

combustione del materiale rimasto nel bruciatore, identificato seguendo lo stesso criterio utilizzato

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in accensione, ovvero non appena l’emissione di CO è scesa al di sotto dei 35 mg m-3n. Al termine

dei prelievi le sonde sono state estratte dalle rispettive porte di campionamento ed i filtri con il

particolato trasferiti in piastre Petri per il trasferimento e lo stoccaggio fino al momento dell’analisi.

6.4.5 Determinazione dei fattori di emissione di polveri, CO e NO2x

Seguendo la stessa procedura utilizzata per la determinazione della tara, i filtri con particolato sono

stati trasferiti in appositi pesa filtri, collocati in essiccatore e mantenuti per almeno 24 h a

temperatura ambiente prima della pesata. La massa totale è stata determinata dopo 1 minuto esatto

dall’esposizione del filtro e delle polveri all’aria ambiente, al fine di ridurre eventuali

comportamenti igroscopici delle polveri.

I fattori di emissione delle polveri per la fase 1 sono stati calcolati con le equazioni 1 e 2 riportate

in sezione 5.2 e 5.3 per le misure a caldo ed a freddo rispettivamente. Per la fase 2, invece, dato che

l’impostazione della stufa prevede portate di combustibile diverse per le fasi di accensione e di

funzionamento alla potenza impostata, è stato necessario calcolare la massa totale di pellet

combusto durante il campionamento per calcolare i fattori di emissione con l’equazione 5. La

quantità di pellet bruciata è stata calcolata conoscendo le portate di combustibile associate ad ogni

fase di funzionamento.

(5)

PMF: fattore di emissione delle polveri campionate a freddo con il tunnel di

diluizione

[mg MJ-1]

m2: massa del filtro più polveri [g]

m1: massa del filtro [g]

Vgas: volume di gas secco aspirato durante il campionamento [m3n]

QVn-TD: media della portata volumetrica nel tunnel di diluizione misurata durante

il campionamento delle polveri

[m3n h-1]

mpellet: massa di pellet su base umida bruciata durante il campionamento delle

polveri

[kg]

t: tempo di campionamento [h]

PCN: potere calorifico netto del pellet, su base umida [MJ kg-1]

k: costante, 1000 [mg g-1]

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Una volta determinato il fattore di emissione delle polveri, i filtri sono stati nuovamente trasferiti in

piastre Petri, sigillate con parafilm e conservati al riparo della luce a -15°C fino al momento delle

analisi.

Anche i fattori di emissione di CO e NO2x sono stati convertiti su base energetica utilizzando la

seguente equazione:

(6)

FEg-E: fattore di emissione di CO o NO2x su base energetica [mg MJ-1]

Cg: concentrazione di CO o NO2x su base volumetrica [mg m-3n]

Vdry: volume di gas di combustione secco aspirato durante il campionamento [m3n kg-1]

PCN: potere calorifico netto del pellet, su base umida [MJ kg-1]

6.4.6 Analisi delle polveri e degli impinger

In seguito alla determinazione gravimetrica delle polveri, ogni filtro è stato suddiviso in due metà:

una inviata all’analisi del carbonio totale (TC) e l’altra destinata all’estrazione ed all’analisi del

contenuto di idrocarburi policiclici aromatici (IPA). La divisione è stata ottenuta per mezzo di un

apposito tagliafiltro (Fig. 6.6) che ha consentito un taglio preciso e riproducibile per tutti i campioni

analizzati. In questo modo è stato possibile conoscere la quantità di particolato associata alla

porzione di filtro analizzata, ipotizzando ovviamente un’omogeneità dello strato di polveri lungo

tutta la superficie filtrante.

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Fig. 6.6 – dispositivo tagliafiltro utilizzato nella porzionatura dei filtri con particolato

6.4.6.1 Contenuto carbonio organico non volatile impinger

Il TC nelle polveri prelevate sia a caldo che a freddo è stato determinato con un analizzatore di

carbonio per l’analisi di solidi (mod. TOC-VCPH + SSM-5000A, SHIMADZU). La porzione di filtro

in esame è stata piegata due volte, avendo cura di mantenere lo strato di materiale particolato nella

parte interna, ed inserita accuratamente in una navicella in allumina. Al momento dell’analisi la

navicella, contenente filtro e polveri, è stata riscaldata a 900°C in presenza di un flusso di ossigeno

ultrapuro (0,5 l/min a 20°C, purezza 5.0) per ottenere la totale ossidazione della componente

carboniosa ad anidride carbonica, quantificata poi da un detector all’infrarosso.

6.4.6.2 Contenuto di carbonio totale (TC) delle polveri

I contenuti degli impinger provenienti dal campionamento a caldo della fase 1 sono stati analizzati

per determinarne il contenuto di carbonio organico non volatile (Non Purgeable Organic Carbon,

NPOC) associabile alla frazione condensabile delle polveri. Circa 20 ml del campione sono stati

trasferiti in una vial di vetro con setto in silicone/PTFE, precedentemente lavata con acqua ultrapura

ed avvinata con parte della soluzione campione. Un’aliquota prelevata dall’autocampionatore dello

strumento (mod. TOC-VCPH + ASI-V, SHIMADZU) è stata acidificata all’1,5% v v-1 con acido

cloridrico 2N e strippata con ossigeno ultrapuro per 1 minuto prima di eseguire l’analisi. In queste

condizioni tutto il carbonio di natura inorganica, nello specifico l’anidride carbonica disciolta e/o

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prodotta dalla decomposizione di carbonati/bicarbonati, viene allontanato dal campione. D’altra

parte alcuni composti organici con elevata volatilità possono essere allontanati insieme alla CO2

prima della lettura, motivo per il quale ci si riferisce al carbonio organico non volatile.

Successivamente, 0,5 µL della soluzione trattata sono stati ossidati in una colonna di ossidazione

riscaldata (680 °C) in presenza di ossigeno ultrapuro (purezza 5.0, 150 mL min-1 a 20°C) e la CO2

prodotta, debitamente anidrificata e raffreddata, quantificata da un detector all’infrarosso. Vengono

riassunti in tabella xxx le i parametri impostati per l’esecuzione dell’analisi. I bianchi ottenuti alla

fine di ogni giornata di campionamento sono stati analizzati insieme ai campioni della stessa

giornata ed il valore utilizzato per la correzione dei risultati. I valori ottenuti sono stati riportati al

volume di gas campionato ed espressi come massa di carbonio per unità di energia prodotta.

Tab. 6.4 – parametri per l’analisi dell’NPOC delle soluzioni degli impinger

Parametro

Numero iniezioni - 2/3

Numero lavaggi - 2

Volume HCl % v v-1 1,5

Sparge time min 1:00

Volume campione µL 0,5

Temperatura colonna ossidazione °C 680

6.4.6.3 Contenuto di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sulle polveri

Allo scopo di valutare l’impatto tossicologico ed ambientale della combustione di biomassa legnosa

in piccoli dispositivi domestici sono stati determinati gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

associati alle polveri emesse. Metà di ogni filtro è stata piegata ed inserita accuratamente sul fondo

di una provetta da laboratorio in vetro da 16x100 mm. Le polveri sono state estratte aggiungendo 3

mL di diclorometano ed applicando ultrasuoni per 10 min, assicurandosi che il livello del solvente

coprisse interamente la porzione di filtro per tutta la durata dell’estrazione. La procedura è stata

ripetuta per due volte. Gli estratti così ottenuti sono stati filtrati con filtri in cellulosa rigenerata da

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0,2 µ m (Phenex - RC, PHENOMENEX) ed uniti in un'unica fase. Al campione sono stati

addizionati 50 µL ad una concentrazione di 1000 mg/L di una miscela di standard interni deuterati:

naftalene-d8, acenaftene-d10, fenantrene-d10, crisene-d12, perilene-d12 (10 ng µl -1 in esano PAH

Mix 24 deuterated, DR. EHRENSTORFER) e successivamente il solvente è stato evaporato sotto

leggero flusso di azoto. Il campione è stato poi recuperato con 0,5 µL di esano, trasferito in una vial

e conservato in frigo fino al momento dell’analisi. Sono stati identificati e quantificati i 16 IPA

prioritari: naftalene, acenaftilene, acenaftene, fluorene, fluorantene, antracene, fluorantene, pirene,

benzo(a)antracene, crisene, benzo(b+k) fluorantene, benzo (a) pirene, indeno (123-cd) pirene,

dibenzo (a,h) antracene, benzo (ghi) perilene (10 ng µl -1 in cicloesano PAH-Mix 9, DR.

EHRENSTORFER). Gli analiti sono stati determinati mediante gascromatografia e spettrometria di

massa (mod. Clarus 600 S MS, PERKIN ELMER). In tabella 6.5 vengono riassunte le condizioni

operative e la configurazione dello strumento utilizzati per la separazione degli IPA.

Tab. 6.5 – parametri per l’analisi in GC-MS degli IPA utilizzati nella sperimentazione

Iniettore: on-column Carrier: Elio (5.6), 1,5 mL min-1 Colonna:

• precolonna deattivata (RESTEK) 0,53 mm d.i.

• Rxi 5Sil-ms (RESTEK), 30m x 0,32 mm d.i., 0.25 µm spessore della fase stazionaria

Programmata iniettore: 60 °C per 2 min; 15 °C min-1 fino a 235°C, mantenuta per 10 min; 15 °C min-1 fino a 305°C, mantenuta fino a fine analisi

Programmata forno: 55 °C per 2 min; 15 °C min-1 fino a 220°C; 2 °C min-1 fino a 240°C; 15 °C min-1 fino a 300°C, mantenuta per 15 min

Volume campione: 1 µL Linea di trasferimento: 280 °C Sorgente: 230 °C Condizioni di ionizzazione:

EI, 70 eV

L’acquisizione del segnale con lo spettrometro di massa è stata ottenuta in modalità SIFI (Selected

Ion - Full Ion), ovvero un’acquisizione in corrente ionica totale (Total Ion Current, TIC) è stata

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affiancata all’acquisizione dei soli frammenti caratteristici per gli analiti in esame, o modalità ioni

multipli selezionati (Multiple Ion Monitoring, MIM). Un riassunto delle impostazioni dello

spettrometro è riportato in tabella 6.6. L’identificazione degli analiti è stata ottenuta sia per

confronto degli spettri di massa con la banca dati (NIST) e con gli spettri degli standard puri, sia

valutando l’intensità relativa dei frammenti secondari. Ulteriore conferma dell’identità dei composti

è stata effettuata comparando i tempi di ritenzione relativi6 dei campioni con quelli ottenuti per le

soluzioni standard. La quantificazione è stata ottenuta elaborando il segnale dei frammenti primari

nelle modalità MIM.

Tab. 6.6 – metodo di acquisizione nello spettrometro di massa per l’analisi degli IPA

COMPOSTI Finestra di acquisizione [min]

Modalità di acquisizione

Frammenti selezionati [m/z]*

0 - 0 – 5,4 Solvent delay - 1 16 IPA + altre sostanze 5,4 – 42 TIC 50 - 350

Naftalene 128; 127/129 2 Naftalene - d8 6 – 7,3 MIM 136; 137/134 Acenaftilene 152; 151/153 Acenaftene 153; 152/154 3 Acenaftene - d10

8,8 – 9,5 164; 160/162

4 Fluorene 9,9 – 11,0

MIM

166; 163/165 Fenantrene 178; 176/179 Antracene 178; 176/179 5 Fenantrene - d10

11,1 – 12,6 MIM 188; 184/189

Fluorantene 202; 200/203 6 Pirene 13,0 – 15,0 202; 200/203 Benzo(a)antracene 228; 226/229 Crisene 228; 226/229 7 Crisene - d12

16,6 – 19,0 MIM

240; 236/241 Benzo(b+k)fluorantene 252; 250/253 Benzo(a)pirene 252; 250/253 8 Perilene - d12

21,4 – 25,3 264; 260/265

Indeno(123-cd)pirene 276; 138/277 Dibenzo(a,h)antracene 278; 139/279 9 Benzo(ghi)perilene

26,0 – 28,0

MIM

276; 138/277

6 Tempo di ritenzione del composto in esame rapportato allo standard interno a cui fa riferimento per la quantificazione.

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TIC: corrente ionica totale; MIM: ioni multipli selezionati * Per modalità MIM: frammento primario; frammento secondario 1/frammento secondario 2

6.5 Correlazione tra misura delle polveri a freddo ed a caldo

I risultati ottenuti al termine della fase 1 sono stati elaborati allo scopo di individuare un modello

matematico in grado di stimare il dato delle polveri, misurate a freddo nel tunnel di diluizione

partendo dal campionamento a caldo. Il raggiungimento di tale scopo riveste particolare importanza

poiché consentirebbe di considerare la frazione condensabile delle polveri, come richiesto dalla

comunità europea, pur mantenendo la misura a caldo. La tecnica di campionamento a caldo è

preferibile rispetto alla tecnica di campionamento con diluizione dei fumi sia da un punto di vista

operativo, data l’elevata semplicità di esecuzione del prelievo, ma anche in termini di fattibilità

tecnica poiché si evita la realizzazione di un tunnel di diluizione, impegnativo in termini economici,

operativi e degli spazi. In aggiunta, la tecnica di campionamento a caldo permette di eseguire delle

misure in situ, con la possibilità di monitorare l’emissione di polveri emesse in condizioni di

utilizzo reali dell’apparecchio. Per l’elaborazione dei dati, data l’elevata numerosità dei parametri

da trattare, si è optato per un approccio di tipo statistico: nello specifico è stato utilizzato il metodo

di regressione lineare multipla. Questo tipo di regressione genera un’equazione che descrive la

relazione statistica presente tra una o più variabili di input, o predittori, ed una variabile di output, o

variabile risposta, come raffigurato nel modello generico in figura 6.7. Dal modello risultante è

possibile capire se, come e con che intensità un dato parametro influisce sulla variabile risposta.

Fig.6.7 – modello generale di regressione multipla lineare. Y: variabile risposta; Xm: predittore; ßm: coefficiente del

predittore; ε; errore del modello

L’analisi statistica è stata ottenuta con un software di calcolo (Minitab 15) analizzando i seguenti

parametri:

• Variabile risposta: PMF

• Predittori: Pot; Tfil; PMC; CO; Tg; NPOC; TCc; RD

La ricerca del risultato migliore è stata ottenuta dapprima impostando un modello generale calcolato

utilizzando tutti i predittori in esame, poi escludendo il predittore associato al più alto valore di p tra

quelli non significativi (il livello di significatività scelto è p>0,05) e ricalcolando un nuovo modello

con i parametri restanti. Lo stesso procedimento è stato ripetuto step-by-step fino ad ottenere un

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modello costituito solo da predittori statisticamente significativi, associati cioè ad un valore di

p<0,05. In questo modo sono stati calcolati i modelli di regressione per i due pellet separatamente.

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7. Risultati parte prima In tabella XXX vengono riportati i risultati ottenuti dai test di combustione con la caldaia oggetto di

studio. I dati, espressi come media di tre ripetizioni, sono stati suddivisi per potenza di

funzionamento, riportando sia la composizione dei gas di combustione che i fattori di emissione

delle polveri ottenuti con le due tecniche di campionamento: filtrazione a caldo in canna fumaria

(PMC) e filtrazione a freddo in tunnel di diluizione (PMF). I valori utilizzati per il calcolo dei fattori

di emissione dei gas sono stati determinati durante l’intervallo di prelievo delle polveri. È possibile

notare che alla massima potenza (T1) il dispositivo ha operato in condizioni di combustione

ottimali, associate a basse emissioni di CO e OGC, con valori medi pari a 18,44 mg MJ-1 e 0,47 mg

MJ-1 rispettivamente.

Tab. 7.1 – risultati dei test di combustione ed analisi delle emissioni per la caldaia a pellet con fiamma inversa

Test T1 T2 T3 Potenza % 100 50 30 Consumo pellet kg h-1 3,93 ± 0,12 1,83 ± 0,06 0,73 ± 0,06 Lambda - 1,42 ± 0,01 1,61 ± 0,14 1,53 ± 0,01 Temp. gas °C 96,51 ± 0,53 50,31 ± 0,64 37,87 ± 1,72 Temp. TD °C 33,83 ± 0,19 26,99 ± 0,26 24,88 ± 0,47 Polveri PMC mg MJ-1 17,59 ± 1,06 6,72 ± 1,19 14,41 ± 4,21 PMF mg MJ-1 17,59 ± 0,67 9,55 ± 0,37 19,20 ± 1,99 Analisi gas O2 % 6,28 ± 0,08 7,89 ± 1,21 7,27 ± 0,09 CO2 % 9,54 ± 6,52 8,44 ± 6,51 8,36 ± 6,99 CO mg MJ-1 18,44 ± 4,88 137,84 ± 64,33 965,56 ± 278,46 NOx mg MJ-1 84,37 ± 0,66 75,95 ± 3,76 48,93 ± 24,94 OGC* mg MJ-1 0,47 ± 0,53 2,4 ± 1,17 51,45 ± 10,4 * espresso in metano equivalenti

In queste condizioni, le due tecniche di campionamento poste a confronto hanno restituito lo stesso

valore di polveri totali, pari a 17,59 mg MJ-1 (Fig. 7.1): la limitata presenza di prodotti incombusti

nei gas è indice di un’emissione di particolato di natura principalmente inorganica, insensibile al

processo di diluizione dei fumi, e di una frazione condensabile delle polveri assente o non

significativa. D’altra parte, al diminuire della potenza di funzionamento si nota un aumento delle

emissioni di prodotti incombusti causato da un peggioramento delle condizioni di combustione (es.

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basse temperature, bassa turbolenza, etc.). In queste condizioni, i valori di PMF si sono mostrati

sempre più elevati di PMC (Fig. 7.1) e la differenza tra i due, associabile ad una frazione

condensabile del particolato, segue l’andamento dell’emissione di OGC e di CO: a potenza 50%

(T2) il PMF è mediamente più elevato di 2,82 mg MJ-1 rispetto a PMC, con valori di OGC e CO di

2,4 mg MJ-1 e 137, 84 mg MJ-1 rispettivamente; al 30% di potenza (T3), invece, la differenza sale a

4,79 mg MJ-1 con valori di OGC di 51,45 mg MJ-1 e CO 965,56 mg MJ-1. Dal confronto tra le

tecniche di campionamento si evince anche che il prelievo nel tunnel produce risultati più variabili

rispetto al prelievo diretto in canna fumaria. L’elevata variabilità dei risultati associata al T3, sia per

le polveri che per i gas, è legata alle difficoltà tecniche del dispositivo di gestire la combustione a

bassa potenza, nello specifico considerata il valore minimo per sostenere un corretto

funzionamento dell’apparecchio.

Fig. 7.1 – confronto dei fattori di emissione delle polveri per le due tecniche di misura al variare della potenza termica

In riferimento alle polveri emesse in funzione della potenza di funzionamento è possibile osservare

un valore mediamente più elevato alla potenza massima rispetto ai test a potenza ridotta: tale

comportamento è probabilmente dovuto alla presenza di particolato grossolano proveniente dal letto

di ceneri (coarse ash) trascinato nei fumi di combustione dalle elevate portate di aria richieste alla

potenza massima, come visibile dall’accumulo di materiale nella zona centrale del filtro a T1 in

figura 7.2,.

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Fig. 7.2 – filtri con polveri ottenuti per le due tecniche di campionamento alle diverse condizioni di carico termico

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8. Risultati parte seconda – fase 1

8.1 Analisi del pellet In tabella 8.1 sono riportati i risultati delle analisi dei pellet utilizzati nella sperimentazione.

Nell’ambito dell’offerta proposta dal mercato, state selezionate due tra le più diffuse essenze di

legno rappresentanti delle conifere e delle latifoglie, ovvero faggio ed abete. Nelle due fasi della

sperimentazione sono stati utilizzati pellet di abete di due produttori differenti, riportati in tabella e

nel testo come abete 1 ed abete 2 (vedi sezione 9).

Tab. 8.1 – risultati dell’analisi dei pellet utilizzati nella sperimentazione

Parametro Faggio Abete 1 Abete 2

U % t.q. 7,0 6,8 6,8

PCN kJ kg-1 t.q. 16894 17983 16580

PCS kJ kg-1 s.s. 19564 20833 19436

Cen % s.s. 0,9 0,5 0,2

C % s.s. 50,81 53,01 50,76

H % s.s. 5,68 6,36 6,95

N % s.s. 0,14 0,31 0,10

O % s.s. 42,47 39,82 41,99

t.q.: tal quale; s.s.: sostanza secca

I risultati della caratterizzazione mostrano valori tipici per dei prodotti ad uso commerciale di

qualità medio – alta. Secondo quanto definito dalla normativa europea vigente [66] il contenuto in

ceneri è uno dei parametri principali che definisce la qualità di un pellet di legno, collocando il

pellet di faggio nella classe A2, con un contenuto di ceneri dello 0,9 %, e i due pellet di abete nella

classe superiore A1, con contenuti dello 0,5% e 0,2% per abete 1 e abete 2 rispettivamente. Un

contenuto di ceneri così elevato per un pellet di faggio puro può essere dovuto alla presenza di

corteccia nel prodotto, costituente del legno grezzo solitamente associato ad un contenuto di ceneri

più elevato rispetto alla parte interna del tronco. Ad avvalorare questa ipotesi anche la cromaticità

del prodotto (Fig. 8.1), non comune ai tipici prodotti costituiti da essenza pura di faggio.

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Fig. 8.1 – pellet utilizzati nella sperimentazione. Da sinistra a destra: Abete 1, Abete 2, Faggio

Le analisi riportano per l’abete 1 un potere calorifico ed un contenuto in carbonio maggiori rispetto

agli altri due pellet.

8.2 Portate di combustibile

Ulteriori differenze per i pellet utilizzati emergono analizzando i risultati ottenuti dalla misura delle

portate in massa, riportate in tabella 8.2: l’abete 1 presenta i valori più elevati per entrambe le

potenze, seguito da abete 2 e faggio.

Tab. 8.2 – Portate di combustibile e potenza erogata (n=3)

Liv. Pellet Qmpellet Pot. [-] [kg h-1] [kW] BP Faggio 1,17 (±0,01) 5,5 (± 0,1) AP Faggio 2,38 (±0,04) 11,2 (± 0,2) a* Faggio 1,05 (±0,08) - BP Abete 1 1,37 (±0,03) 6,9 (± 0,2) AP Abete 1 2,84 (±0,04) 14,2 (± 0,2) BP Abete 2 1,20 (±0,03) 5,6 (± 0,1) AP Abete 2 2,78 (±0,07) 12,8 (± 0,3) a* Abete 2 1,13 (±0,02) - BP: bassa potenza; AP: alta potenza; a: fase di accensione della stufa; Liv.: livello potenza impostata nella stufa; Qmpellet: portata di combustibile; Pot.: potenza calcolata sul combustibile in entrata. (*) = data la ridotta quantità di materiale la media è stata ottenuta da 7 ripetizioni

La portata in massa del combustibile trasportato dalla coclea è legata sia alle lunghezza dei pellet, a

parità di diametro, che alla densità del materiale, dipendente dalle condizioni di pellettizzazione. La

contenuta variabilità dei dati di portata evidenzia la costanza e la riproducibilità del flusso di

combustibile inviato alla camera di combustione durante l’alimentazione della stufa e rassicura

sull’affidabilità dei dati utilizzati per i calcoli di consumo di combustibile. La potenza erogata dalla

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stufa è stata calcolata conoscendo portata in massa del pellet e PCN. Come suggerito dall’analisi del

contenuto energetico e dalle portate in massa, l’utilizzo di pellet di abete 1 genera la potenza più

elevata nella stufa, superiore di circa un 20 % la potenza ottenute per il faggio ed un 10 % quella

ottenuta per l’abete 2.

8.3 Fattori di emissione di gas e polveri da stato stazionario

Nel presente paragrafo sono riportati i risultati della misura delle polveri e dei gas alle condizioni di

combustione stazionarie della stufa. Dalla tabella 8.3 risulta evidente la differenza dei valori di

emissione del CO tra le due potenze di funzionamento per i test con faggio: 822 – 918 mg MJ-1 per

la potenza bassa (BP) contro i 466 – 568 mg MJ-1 a potenza alta (AP). Differenza più contenuta si

nota per gli NO2x che risentono meno della variazione, passando da valori di 163 – 169 mg MJ-1 a

147 – 159 mg MJ-1 per BP ed AP rispettivamente. Anche le polveri emesse sono inversamente

proporzionali alla potenza di utilizzo della stufa, riducendosi di un circa 10 – 15 % nel passaggio da

BP ad AP, sia per le polveri misurate a freddo nel tunnel di diluizione (PMF) che per quelle

misurate con campionamento a caldo in canna fumaria (PMC).

Tab. 8.3 – fattori di emissione per gas e polveri nei test di combustione con pellet di faggio

Test Pot Tfil RD O2 CO NO2X Tg TTD PMF PMC dPM

[-] [°C] [-] [%] [mg MJ-1] [mg MJ-1] [°C] [°C] [mg MJ-1] [mg MJ-1] [mg MJ-1]

FA1 BP 120 (±5) 10,0 (±0,5) 16,8 (±0,1) 837 (±43) 164 (±4) 145,2 (±2,7) 46,3 (±0,5) 102,85 (±4,14) 85,90 (±2,50) 16,95

FA2 BP 70 (±5) 10,8 (±0,3) 16,8 (±0,1) 822 (±31) 169 (±7) 146,7 (±1,2) 47,2 (±0,3) 107,35 (±12,90) 86,85 (±6,58) 20,50

FA3 BP 120 (±5) 19,2 (±0,5) 17,0 (±0,1) 918 (±55) 164 (±3) 146,1 (±1,8) 41,3 (±0,8) 101,94 (±6,50) 85,95 (±3,15) 15,99

FA4 BP 70 (±5) 20,5 (±0,2) 16,7 (±0,1) 826 (±21) 163 (±7) 149,0 (±0,9) 42,5 (±0,7) 105,09 (±2,87) 81,50 (±2,50) 23,59 FA5 AP 120 (±5) 10,9 (±0,2) 14,5 (±0,2) 466 (±20) 158 (±3) 229,1 (±0,9) 59,81 (±0,7) 92,17 (±4,19) 68,33 (±1,57) 23,84

FA6 AP 70 (±5) 10,3 (±0,2) 14,9 (±0,2) 505 (±5) 147 (±5) 222,1 (±2,0) 54,3 (±1,2) 95,14 (±1,30) 71,28 (±1,45) 23,86

FA7 AP 120 (±5) 16,9 (±0,7) 15,4 (±0,2) 566 (±49) 150 (±12) 219,9 (±1,9) 46,2 (±0,6) 91,99 (±3,29) 72,79 (±0,66) 19,20

FA8 AP 70 (±5) 16,3 (±1,9) 15,6 (±0,6) 568 (±63) 159 (±26) 224,6 (±3,2) 48,9 (±2,2) 90,62 (±1,92) 73,60 (±7,28) 17,02

BP: bassa potenza; AP: alta potenza; Tg: temperatura gas in canna fumaria; TTD: temperatura gas in tunnel di diluizione; PMC: fattore di emissione delle polveri a caldo in canna fumaria; PMF: fattore di emissione polveri a freddo nel tunnel; dPM: PMF - PMC

Contrariamente al faggio, la combustione dell’abete 1 (Tab. 8.4) è associata ad un’emissione di CO

più contenuta ed una limitata riduzione dei fattori emissivi al variare della potenza: si osservano

infatti valori compresi tra i 189 – 232 mg MJ-1 per la BP e 166 – 197 mg MJ-1 per la AP. Sempre in

riferimento al faggio, le emissioni di NO2x si attestano mediamente a valori più bassi pari a 100 –

130 mg MJ-1 e non risentono della variazione della potenza termica della stufa. L’emissione di

polveri subisce una riduzione di circa il 50 % all’aumentare della potenza, passando da valori di 76

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– 94 mg MJ-1 per PMC e 95 – 109 mg MJ-1 per PMF a BP, a valori di 34 – 50 mg MJ-1 per PMC e 40

– 61 mg MJ-1 per PMF ad AP. L’effetto di riduzione dei fattori di emissione di CO e polveri

all’aumentare della potenza d’esercizio del dispositivo è dovuto ad un miglioramento dell’efficienza

di ossidazione della sostanza organica, legato principalmente all’aumento della temperatura nella

camera di combustione e alla maggiore turbolenza dei gas derivante da portate di aria comburente

più elevate, richieste per le alte potenze. Durante il test AB 5, nell’esecuzione della prova A, si è

presentata una condizione di non corretto funzionamento della stufa, con formazione di un

accumulo di pellet nel bruciatore ed evidenti condizioni di combustione insufficienti, ovvero

visibile formazione di fumo ed elevate emissioni di CO. I risultati della prova non sono stati

ovviamente utilizzati nei calcoli o nella formulazione delle considerazioni, bensì ne vengono

riportati i dati ottenuti in questa sezione e nelle seguenti come termine di confronto per le emissioni

prodotte da un utilizzo non corretto del dispositivo. Per i test ad AP ed elevato RD per faggio ed

abete (FA 7, FA 8, AB 7 e AB 8) non è stato possibile raggiungere il valore di 20, come prefissato

nel piano sperimentale, poiché richieste portate volumetriche al di sopra della capacità operativa del

tunnel di diluizione.

Tab. 8.4– fattori di emissione per gas e polveri nei test di combustione con pellet di abete 1

Test Pot Tfil RD O2 CO NO2X Tg TTD PMF PMC dPM

[-] [°C] [-] [%] [mg MJ-1] [mg MJ-1] [°C] [°C] [mg MJ-1] [mg MJ-1] [mg MJ-1]

AB1 BP 120 (±5) 10,1 (±0,4) 15,5 (±0,2) 189 (±14) 99 (±3) 157,3 (±0,3) 42,5 (±1,1) 96,83 (±6,05) 76,14 (±4,46) 20,69

AB2 BP 70 (±5) 10,1 (±0,2) 15,5 (±0,1) 212 (±11) 103 (±2) 153,1 (±2,4) 39,9 (±0,7) 101,82 (±9,29) 86,96 (±3,30) 14,86

AB3 BP 120 (±5) 20,2 (±0,4) 15,5 (±0,1) 189 (±2) 100 (±2) 148,8 (±1,1) 32,6 (±0,4) 95,32 (±5,91) 82,89 (±3,77) 12,43

AB4 BP 70 (±5) 19,4 (±0,4) 15,7 (±0,2) 232 (±8) 111 (±2) 155,1 (±1,2) 38,5 (±0,8) 108,64 (±5,00) 93,70 (±3,51) 14,94 AB5* AP 120 (±5) 11,3 (±0,3) 13,6 (±0,1) 166 (±1) 101 (±1) 226,3 (±0,6) 45,7 (±2,0) 39,87 (±1,47) 34,38 (±1,29) 5,49

AB6 AP 70 (±5) 10,4 (±0,1) 13,7 (±0,1) 171 (±3) 102 (±3) 233,6 (±0,2) 49,1 (±1,1) 48,35 (±4,37) 42,35 (±2,12) 6,00

AB7 AP 120 (±5) 16,5 (±0,2) 14,0 (±0,2) 180 (±9) 124 (±2) 225,6 (±1,6) 43,5 (±1,0) 60,50 (±3,93) 49,94 (±5,87) 10,56

AB8 AP 70 (±5) 16,0 (±0,3) 14,5 (±0,1) 197 (±16) 127 (±3) 226,0 (±2,4) 42,8 (±1,3) 56,75 (±7,65) 46,53 (±5,94) 10,22

BP: bassa potenza; AP: alta potenza; Tg: temperatura gas in canna fumaria; TTD: temperatura gas in tunnel di diluizione; PMC: fattore di emissione delle polveri a caldo in canna fumaria; PMF: fattore di emissione polveri a freddo nel tunnel; dPM: PMF - PMC (*) durante prova A cattive condizioni di combustione dovute ad accumulo di materiale nel bruciatore. Prova non utilizzata per il calcolo. CO: 914 mg MJ-1; PMF: 113,94 mg MJ-1; PMC: 101,34 mg MJ-1

Confrontando le due tecniche di misura risulta difficile apprezzare tendenze legate alla variazione

dei parametri di campionamento, data la produzione di una bassa frazione condensabile per sistemi

di questo tipo e condizioni di combustione non propriamente riproducibili, come mostrato

dall’elevata variabilità delle repliche. D’altra parte, emerge che i PMF sono sempre più elevati dei

PMC per entrambe le potenze e i pellet analizzati. Le differenze tra i fattori di emissione delle

polveri (dPM) per l’abete 1 rientrano nell’intervallo 12 – 21 mg MJ-1 per la BP e 6 – 11 mg MJ-1 per

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l’AP, mentre non variano significativamente nel faggio attestandosi a valori di 16 – 24 mg MJ-1 per

entrambe le potenze. Gaegauf [65] riporta un aumento medio del 17 % per le polveri misurate a

freddo rispetto alla misura a caldo per una stufa a pellet, valore inferiore alla media delle prove

ottenute per faggio ed abete 1, corrispondenti al 27 % e al 20 % rispettivamente. Il valore misurato

da Gaegauf è associato ad un’emissione di CO di circa 70 mg MJ-1, dalle 2 alle 10 volte più bassa

dei test per abete 1 e faggio. Come suggerito da Boman [67], emissioni superiori di CO possono

comportare valori maggiori di dPM. I dPM misurati nel presente lavoro per la stufa a pellet

mostrano quanto sia contenuta la frazione condensabile per questi dispositivi ad elevata efficienza

di combustione, soprattutto in riferimento ad altri apparecchi per il riscaldamento a più bassa

efficienza alimentati a legna, come ad esempio la stufa a ciocchi per la quale le polveri misurate nel

tunnel possono variare dalle 3,5 fino alle 10 volte quelle misurate a caldo [13].

8.4 Analisi del carbonio delle polveri (TC) e degli impinger (NPOC)

In tabella 8.5 e tabella 8.6 sono riportati i risultati ottenuti dalle analisi del carbonio per le polveri e

per le soluzioni degli impinger nei test di combustione con faggio ed abete 1. Il carbonio totale (TC)

misurato nelle polveri può essere attribuito totalmente al carbonio organico (OC) ed elementare

(EC), il contributo della componente carbonatica per sistemi di questo tipo si può considerare

trascurabile [20, 68].

Tab. 8.5 – analisi del carbonio per i test di combustione del pellet di faggio

Test Pot Tfil RD TC%C TC%F TCC NPOC TCC+NPOC TCF

[-] [°C] [-] [%] [%] [mgC MJ-1] [mgC MJ-1] [mgC MJ-1] [mgC MJ-1]

FA1 BP 120 (±5) 10,0 (±0,5) 26,44 (±2,46) 24,44 (±2,09) 22,75 (±2,81) 4,19 (±0,92) 26,94 (±3,61) 25,19 (±3,18)

FA2 BP 70 (±5) 10,8 (±0,3) 25,81 (±2,38) 23,68 (±3,90) 22,51 (±3,79) 5,44 (±0,42) 27,95 (±3,38) 25,72 (±7,31)

FA3 BP 120 (±5) 19,2 (±0,5) 26,81 (±1,93) 23,84 (±3,02) 23,05 (±2,09) 7,02 (±0,60) 30,07 (±1,95) 24,36 (±4,11)

FA4 BP 70 (±5) 20,5 (±0,2) 24,18 (±1,27) 20,38 (±1,88) 19,73 (±1,63) 5,24 (±0,35) 24,97 (±1,92) 21,42 (±2,11) FA5 AP 120 (±5) 10,9 (±0,2) 7,39 (±0,52) 7,38 (±0,35) 5,05 (±0,47) 1,75 (±0,51) 6,80 (±0,94) 6,81 (±0,52)

FA6 AP 70 (±5) 10,3 (±0,2) 6,36 (±0,11) 7,43 (±0,66) 4,53 (±0,17) 1,78 (±0,22) 6,32 (±0,39) 7,07 (±0,69)

FA7 AP 120 (±5) 16,9 (±0,7) 6,17 (±0,96) 5,48 (±0,91) 4,50 (±0,74) 2,62 (±0,48) 7,12 (±0,34) 5,06 (±1,02)

FA8 AP 70 (±5) 16,3 (±1,9) 5,97 (±0,36) 5,90 (±1,25) 4,37 (±0,19) 2,49 (±0,30) 6,87 (±0,42) 5,36 (±1,23)

Pot: potenza; TC%C: percentuale di carbonio delle polveri campionate a caldo; TC%F: percentuale di carbonio delle polveri campionate a freddo; TCC: fattore di emissione del carbonio dalle polveri per il campionamento a caldo; NPOC: fattore di emissione di carbonio organico misurato negli impinger della linea a caldo; TCC+NPOC: fattore di emissione del carbonio totale a caldo dato dalla somma delle polveri più la frazione condensabile; TCF: fattore di emissione del carbonio dalle polveri per il campionamento a freddo;

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A conferma di quanto appena affermato sono state eseguite delle analisi preliminari per la

determinazione del carbonio inorganico nel particolato campionato, ottenute acidificando il

campione con acido fosforico e monitorando la CO2 prodotta. La determinazione del carbonio

organico non volatile (NPOC) negli impinger è legata alla frazione organica condensabile non

trattenuta dal filtro riscaldato nel campionamento a caldo. La differenza nelle percentuali di TC

delle polveri prodotte denota che i due pellet seguono processi di combustione diversi: per il faggio

si osservano valori che variano tra il 6 – 26 % contro il 39 – 74 % dell’abete 1. Questo andamento si

discosta totalmente da quanto osservato per il CO nella sezione 8.3, suggerendo che la frazione

carboniosa delle polveri e l’emissione di CO seguono percorsi di formazione opposti. L’elevato

contenuto di carbonio nelle polveri è legato in buona parte alle particelle di fuliggine (soot) che si

formano e crescono nelle zone ricche di combustibile della fiamma a diffusione, piuttosto che

ossidarsi a CO e CO2 [20]. L’aumento dell’efficienza di ossidazione al variare della potenza,

osservato per i fattori di emissione delle polveri in sezione 8.3, è ben più evidente analizzando il

TC: per il faggio il valore si riduce passando dal 20 – 27 % per la BP ad un 6 – 7 % ad AP, mentre

nel caso dell’abete 1 la riduzione è presente ma più contenuta, passando da 67 – 74 % ad un 39 – 50

% per BP ed AP rispettivamente. Non si evidenziano differenze significative tra il contenuto di

carbonio delle polveri prelevate a freddo (TC%F ) e quello per le polveri a caldo (TC%C).

Tab. 8.6 – analisi del carbonio per i test di combustione del pellet di abete 1

Test Pot Tfil RD TC%C TC%F TCC NPOC TCC+NPOC TCF

[-] [°C] [-] [%] [%] [mgC MJ-1] [mgC MJ-1] [mgC MJ-1] [mgC MJ-1]

AB1 BP 120 (±5) 10,1 (±0,4) 67,48 (±1,96) 67,34 (±2,41) 51,42 (±4,30) 0,74 (±0,16) 52,16 (±4,32) 65,30 (±6,48)

AB2 BP 70 (±5) 10,1 (±0,2) 73,48 (±2,70) 73,88 (±2,53) 63,95 (±4,62) 1,40 (±0,39) 65,35 (±4,97) 75,36 (±9,38)

AB3 BP 120 (±5) 20,2 (±0,4) 71,26 (±2,83) 67,17 (±2,56) 59,13 (±4,96) 0,74 (±0,17) 59,87 (±5,11) 64,12 (±6,49)

AB4 BP 70 (±5) 19,4 (±0,4) 69,47 (±1,13) 66,98 (±5,17) 65,11 (±3,19) 0,77 (±0,14) 65,88 (±3,29) 74,71 (±6,29) AB5* AP 120 (±5) 11,3 (±0,3) 38,99 (±0,38) 39,96 (±0,09) 13,40 (±0,37) 1,24 (±0,14) 14,64 (±0,24) 15,93 (±0,55)

AB6 AP 70 (±5) 10,4 (±0,1) 48,85 (±2,59) 49,36 (±2,11) 20,73 (±2,15) 0,43 (±0,08) 21,15 (±2,19) 23,90 (±2,93)

AB7 AP 120 (±5) 16,5 (±0,2) 50,22 (±7,42) 46,09 (±7,05) 25,35 (±6,72) 0,72 (±0,08) 26,07 (±6,70) 28,01 (±5,79)

AB8 AP 70 (±5) 16,0 (±0,3) 44,53 (±6,67) 40,38 (±7,36) 20,92 (±5,75) 1,05 (±0,67) 21,97 (±5,08) 23,20 (±7,27)

Pot: potenza; TC%C: percentuale di carbonio delle polveri campionate a caldo; TC%F: percentuale di carbonio delle polveri campionate a freddo; TCC: fattore di emissione del carbonio dalle polveri per il campionamento a caldo; NPOC: fattore di emissione di carbonio organico misurato negli impinger della linea a caldo; TCC+NPOC: fattore di emissione del carbonio totale a caldo dato dalla somma delle polveri più la frazione condensabile; TCF: fattore di emissione del carbonio dalle polveri per il campionamento a freddo; (*) durante prova A cattive condizioni di combustione dovute ad accumulo di materiale nel bruciatore. Prova non utilizzata per il calcolo. Valori della prova A: TC%C: 79,02 %; TC%F: 77,31 %; TCC: 80,8 mgC MJ-1; NPOC: 5,05 mgC MJ-1; TCF: 87,5 mgC MJ-1;

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I bassi valori di NPOC mostrano che la frazione condensabile è contenuta per tutti i casi analizzati,

tranne che per la cattiva combustione (test AB 5 prova A) dove si ipotizza ci sia stata una maggiore

produzione di questa componente. Per il faggio si osservano valori mediamente più elevati di quelli

misurati per l’abete 1, variabili con la potenza della stufa. Si individua inoltre per questo una

relazione proporzionale tra l’NPOC ed il CO, riportata in figura 8.2, suggerendo che al peggiorare

delle condizioni di combustione, identificate da valori elevati di CO, si ha un simultaneo aumento

della componente condensabile delle polveri. In letteratura, infatti, diversi lavori [1, 7] riportano

una relazione diretta tra la quantità dei composti organici emessi dalla combustione e la

concentrazione di CO. Stessa relazione non è invece riscontrabile dai risultati ottenuti per le prove

con abete 1, probabilmente a causa dei bassi valori di NPOC difficilmente misurabili in quanto

vicini al limite di rilevabilità del metodo.

Fig. 8.2 – relazione tra CO e NPOC per BP e AP nella combustione del faggio

Con l’obiettivo di valutare l’efficienza di condensazione da parte del tunnel al variare del RD, si è

voluto provare a calcolare un bilancio del carbonio, partendo dal presupposto che la linea a caldo

fosse in grado di bloccare tutto il carbonio filtrabile o condensabile. La valutazione è stata fatta

confrontando il carbonio misurato nella linea a caldo, derivante dalle polveri e dagli impinger

(TCC+NPOC) con il carbonio misurato nel prelievo a freddo (TCF). Nel caso del faggio i valori di

TCC+NPOC si presentano più elevati del TCF, benché non si evidenzino particolari andamenti legati

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alla variazione del RD. Questo risultato può essere interpretato come una non completa

condensazione della frazione condensabile a seguito del processo di diluizione dei fumi nel tunnel.

Andamento opposto al faggio si osserva invece per i test con abete 1. Tale comportamento può

essere riconducibile alla volatilizzazione di una parte della componente condensabile bloccata nella

soluzione degli impinger a seguito del processo di acidificazione e strippaggio nel trattamento del

campione per l’analisi dell’NPOC, andando a sottostimare il reale TCC+NPOC. Inoltre, si consideri

che il confronto si basa su differenze molto contenute ed in casi come questi l’errore analitico può

influire significativamente sul risultato finale.

8.5 Emissione degli idrocarburi policiclici aromatici

Vengono di seguito riportati i risultati derivanti dalle analisi degli idrocarburi policiclici aromatici

(IPA) associati alle polveri campionate per i test di combustione con faggio ed abete 1, prelevate in

condizioni di combustione stazionaria della stufa a pellet. Data l’elevata variabilità delle emissioni

di IPA per le stesse condizioni di combustione, si è ritenuto opportuno riportare i singoli risultati

delle tre repliche disaggregati, piuttosto che esprimere i valori mediati. L’analisi dei risultati è

strutturata in due parti: la prima relativa all’emissione degli IPA ed a considerazioni sulle tecniche

di campionamento utilizzate, mentre la seconda è incentrata sulla parte della tossicità degli IPA

prodotti.

Come è possibile notare nelle tabelle 8.7 e 8.8 ed in accordo con la letteratura [69], non sono

riscontrabili nelle polveri campionate per il faggio, sia a caldo che a freddo, i congeneri più leggeri

degli IPA ovvero naftalene, acenaftene, acenaftilene e fluorene, tranne qualche eccezione in cui

sono presenti in concentrazioni inferiori al limite di quantificazione. L’elevata volatilità di questi

composti, associata alle alte temperature di campionamento e alla fase di evaporazione del solvente

sotto flusso di azoto durante il trattamento del campione, rendono difficile la loro determinazione.

In particolare, l’effetto dello strippaggio con azoto è stato verificato con la scomparsa degli standard

deuterati associati ai congeneri più leggeri. Alla BP gli IPA più abbondanti sono pirene, fluorantene

e fenantrene, riconosciuti come i principali composti del gruppo associati alla combustione del

legno [67-68] e rappresentano il 65-95 % del totale. Questa abbondanza si perde passando ad AP,

effetto presumibilmente riconducibile ad un sostanziale miglioramento delle condizioni di

combustione, come già illustrato per il CO ed il TC nelle sezioni precedenti. L’aumento

dell’efficienza di combustione del dispositivo all’aumentare della potenza di funzionamento si nota

maggiormente prendendo in considerazione la somma dei 16 IPA analizzati (∑IPAtot): senza fare

distinzione tra le polveri campionate a caldo ed a freddo, si passa da un intervallo variabile dai 1102

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– 7736 ng MJ-1 per la BP fino a valori al di sotto dei 1000 ng MJ-1, in alcuni casi inferiori al limite

di quantificazione del metodo. Confrontando le due tecniche di campionamento, si evince che per i

test a BP i valori della ∑IPAtot determinati con campionamento a freddo (F) sono più alti di quelli

determinati nel campionamento a caldo (C) con filtro mantenuto alla temperatura di 120 °C, per

entrambi i rapporti di diluizione (RD). Mediamente F restituisce un fattore di emissione più alto del

70 % per RD 10 e del 63 % per RD 20 rispetto al valore ottenuto per C a 120 °C. L’andamento si

inverte quando si confrontano i valori della ∑IPAtot per i test a 70 °C: in queste condizioni le polveri

ottenute in F a RD 10 e RD 20 restituiscono mediamente il 15 % e il 16 % in meno dei valori

misurati in C. Pertanto, nel caso del faggio, a BP la riduzione della temperatura di filtrazione nel

campionamento a caldo favorisce la condensazione degli IPA maggiormente della diluizione dei

fumi. Si può ipotizzare inoltre che nel processo di diluizione, oltre ad un abbassamento di

temperatura, si abbia anche una parziale rievaporazione dei congeneri più volatili. Lo stesso

fenomeno non si osserva alla potenza massima, dove i campioni prelevati nel tunnel sono sempre

più elevati di quelli ottenuti in canna fumaria, indipendentemente dal RD e dalla temperatura di

filtrazione. Tale comportamento potrebbe essere invece riconducibile all’elevata temperatura dei

fumi di combustione generati in AP, come riportato in tabella 8.3 in sezione 8.3: la temperatura di

filtrazione nella linea di prelievo a caldo viene misurata esternamente al filtro, è quindi plausibile

che i fumi aspirati a circa 220 °C non riescano a raffreddarsi sufficientemente fino a raggiungere i

70 °C richiesti per la filtrazione, di conseguenza riducendo la condensazione degli IPA.

Le differenti condizioni di campionamento influiscono anche sulla composizione della miscela di

IPA analizzata. Complessivamente, le polveri prelevate a caldo presentano una percentuale

maggiore di congeneri ad alto peso molecolare (APM) rispetto a quelle campionate nel tunnel: i

valori per C alla BP, ad esclusione della prova A per il test FA1, si attestano attorno al 3-13 % ed

aumentano fino ad arrivare ad un 75-100 % per quasi tutti i campioni in AP, contro valori inferiori

al 5 % alla BP e variabili tra 16-53 % per la AP per le polveri prelevate in F. Per la frazione a peso

molecolare intermedio (MPM) non si nota una sostanziale differenza a BP, 85-90% per F contro 74-

89% per C, altresì evidente a potenza più alta con un 50-100 % per F contro valori inferiori al 25%

per C. Infine, la frazione più volatile degli IPA, costituita dai composti a basso peso molecolare

(BPM), è riscontrabile solo alla bassa potenza e non mostra significative differenze.

Sostanzialmente differente si mostra lo scenario per i test con pellet di abete 1, i cui risultati sono

riportati nelle tabelle 8.9 e 8.10. Prima di esaminarli in dettaglio, particolare attenzione va rivolta

alla prova A del test AB 5, associabile ad una cattiva combustione: i valori di ∑IPAtot misurati sia in

F che in C sono nettamente superiori, anche di 10 volte, alle emissioni misurate alle condizioni

stazionarie. In aggiunta, durante la prova B nel test AB 8 si sono verificate condizioni di

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combustione derivanti da un non corretto funzionamento della stufa, come evidente dalle elevate

emissioni di IPA. Entrambe queste prove non sono state considerate nella trattazione dei risultati

perché considerate atipiche. Benché la combustione del pellet di abete 1 sia accompagnata da una

contenuta emissione di CO, i valori di ∑IPA tot sono molto elevati per entrambe le potenze di

funzionamento. Inoltre, non si nota una riduzione significativa al variare della potenza, come

osservato nel caso del faggio, con valori variabili tra i 1500 ng MJ-1 e 30000 ng MJ-1 circa per

entrambe le potenze. Contrariamente ai test con faggio, alla BP il dispositivo non produce APM in

quantità rilevabili dalla tecnica di analisi e anche in AP la percentuale di questi rimane mediamente

inferiore al 10%. In generale, la distribuzione degli IPA emessi con abete 1 è spostata verso le

frazioni a pesi molecolari medio – bassi, con una predominanza dei BPM rispetto agli MPM per la

BP e viceversa nel caso della AP. L’elevata variabilità dei risultati, probabilmente associata ad una

incapacità del dispositivo di gestire la combustione in maniera riproducibile e costante alle

impostazioni utilizzate, impedisce di evidenziare ulteriori andamenti legati alla variazione dei

parametri di campionamento.

Come è noto, non a tutti gli IPA sono riconosciute proprietà cancerogene o genotossiche [70-71]

e di conseguenza è importante, ai fini della valutazione dell’impatto delle polveri sulla salute,

discriminare i composti nocivi dalla massa totale degli IPA emessa. Per poter esprimere un giudizio

sulla tossicità della miscela di IPA prodotta dalla stufa a pellet, sono stati valutati due parametri: il

rapporto degli IPA genotossici [70] sul totale degli IPA prodotti (∑IPAgen/∑IPAtot); il valore di

tossicità equivalente (TEQ). La TEQ esprime la concentrazione della miscela di IPA in termini di

quantità equivalente al congenere più pericoloso e conosciuto, ovvero il benzo(a)pirene. Il calcolo si

ottiene sommando i prodotti delle concentrazioni dei singoli congeneri per i fattori di tossicità

equivalente (TEF). In bibliografia esistono differenti TEF, nel presente lavoro si è fatto riferimento

a quelli di Nisbet e Lagoy [72]. In tabella 8.11 sono riassunti i valori per i TEF utilizzati e gli IPA

riconosciuti come genotossici. Per entrambi i pellet si osservano ∑IPA gen/∑IPAtot più elevati alle

alte potenze di esercizio, con valori variabili tra 0,38 – 0,62 e 0,06 – 0,45 alla BP contro 0,89 – 1,00

e 0,22 – 0,98 in AP, per faggio ed abete 1 rispettivamente. Infatti, alle elevate potenze si producono

in proporzione più IPA a peso molecolare elevato a cui è attribuito potere genotossico, come

riportato in tabella XXX. Si nota inoltre che gli IPA emessi dalla combustione dell’abete 1 sono

mediamente meno genotossici rispetto al faggio, poiché costituiti maggiormente da congeneri a

peso molecolare medio – basso.

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Tab. 8.11 – riassunto dei TEF e degli IPA genotossici

IPA TEF IPAgen Naftalene 0,001 - Acenaftilene 0,001 ? Acenaftene 0,001 ? Fluorene 0,001 - Fenantrene 0,001 ? Antracene 0,01 - Fluorantene 0,001 + Pirene 0,001 ? Benzo(a)antracene 0,1 + Crisene 0,01 + Benzo(b)fluorantene 0,1 + Benzo(k)fluorantene 0,1 + Benzo(a)pirene 1 + Indeno(123-cd)pirene 0,1 + Dibenzo(a,h)antracene 5 + Benzo(ghi)perilene 0,01 + -: non genotossico; +: genotossico; ?: incerto

Allo stesso modo le polveri prelevate con C alla temperatura di 120 °C mostrano valori di

∑IPAgen/∑IPAtot mediamente più alti di quelle a 70 °C e di quelle prelevate con F, escludendo la

condizione del faggio ad AP. Come evidente dalla tabella XXX e come già osservato per il potere

genotossico, ai congeneri più leggeri è attribuita una ridotta tossicità equivalente, motivo per il

quale i valori di TEQ calcolati per le miscele di IPA emesse dalla combustione di pellet di legno

presentano valori molto più bassi della ∑IPA tot. Dato che il TEQ è un parametro legato sia alla

∑IPAtot che alla composizione di questa, si ottengono valori differenti in base alle condizioni di

combustione. All’interno della stessa potenza il TEQ segue l’andamento dell’emissione di IPA,

mentre al variare di questa si ottengono scenari differenti: per il faggio la BP è legata mediamente a

valori più elevati rispetto alla AP, mentre la tendenza si inverte nel caso dell’abete 1. Infatti, quasi a

parità di emissione alla AP si generano IPA più pesanti che contribuiscono ad aumentare il grado di

tossicità. I valori di TEQ ottenuti dalle prove per faggio e abete, < 0,15 µg MJ-1 e < 0,33 µg MJ-1

rispettivamente, sono in linea con lo 0,28 µg MJ-1 riportato nel database INEMAR [73] per i sistemi

BAT a pellet.

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Tab. 8.7 – fattori di emissione di IPA prodotti dalla combustione di faggio a BP (ng MJ-1)

FA1 (120°C; RD 10) FA2 (70°C; RD 10) FA3 (120°C; RD 20) FA4 (70°C; RD 20) IPA

A B C A B C A B C A B C

DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS DT HS

Naft1 - - - - - - - - - - - - - - - - Det. - - - Det. Det. - - Acenafti2 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Det. - Det. - - Acenafte3 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Fluor4 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Fenant5 675 127 253 72 97 41 1626 2119 100 461 336 761 621 162 171 73 207 33 384 1209 294 472 180 539 Antr6 68 Det. 21 Det. - - - 280 - 49 42 71 70 19 Det. Det. Det. - 39 181 32 39 Det. 39 Fluor7 1417 894 934 525 671 370 2155 2366 881 1023 1269 1463 2234 966 1066 776 1305 514 2223 2469 1478 1277 1083 978 Pir8 1496 990 998 581 769 427 2387 2366 1030 1024 1393 1495 2231 1115 1068 843 1268 568 2413 2439 1467 1251 1044 963 B(a)antr9 43 39 41 42 Det. 45 209 158 35 63 92 75 122 285 68 99 Det. 50 89 237 58 80 Det. 66 Cris10 88 78 76 85 59 83 314 249 63 105 160 134 197 387 112 164 112 93 166 319 114 138 63 114 B(b+k)fluor11 53 Det. Det. 63 Det. 75 199 132 - 67 Det. 80 118 253 Det. 93 Det. 36 Det. 186 Det. 63 Det. 43 B(a)pir12 Det. Det. Det. Det. - 30 94 42 Det. 26 Det. 37 Det. 106 Det. 38 - Det. Det. 77 Det. 23 - 16 Ind(123-cd)pir13 Det. Det. Det. Det. Det. Det. Det. Det. - Det. Det. Det. Det. 30 - Det. - - Det. 17 - Det. - Det. Dib(a,h)antr14 - - - - - - - - Det. - - - - - - - - - - - - - - - B(ghi)per15 24 11 46 25 30 32 56 25 Det. 20 50 33 35 60 Det. Det. - Det. Det. 38 Det. 15 - 10

∑IPAtot16 3863 2139 2369 1393 1626 1102 7040 7736 2110 2837 3342 4147 5629 3382 2485 2086 2892 1295 5314 7170 3443 3358 2371 2769

BPM (%) 19,2 5,9 11,6 5,2 6,0 3,7 23,1 31,0 4,8 18,0 11,3 20,1 12,3 5,3 6,9 3,5 7,1 2,5 8,0 19,4 9,5 15,2 7,6 20,9

MPM (%) 78,8 93,6 86,5 88,5 92,2 83,9 71,9 66,4 95,2 78,1 87,2 76,3 85,0 81,4 93,1 90,2 92,9 94,7 92,0 76,2 90,5 81,8 92,4 76,6

APM (%) 2,0 0,5 2,0 6,3 1,8 12,4 5,0 2,6 0,0 4,0 1,5 3,6 2,7 13,3 0,0 6,3 0,0 2,8 0,0 4,4 0,0 3,0 0,0 2,5

TEQ 15 7 8 13 2 43 145 83 6 43 15 58 32 169 10 61 4 11 16 132 11 42 3 31

∑IPAgen/∑IPAtot 0,42 0,48 0,46 0,53 0,47 0,58 0,43 0,38 0,46 0,46 0,47 0,44 0,48 0,62 0,50 0,56 0,49 0,54 0,47 0,47 0,48 0,48 0,48 0,44 BPM: basso peso molecolare [(1+2+3+4+5+6)/16]; MPM: medio peso molecolare [(7+8+9+10)/16]; APM: alto peso molecolare [(11+12+13+14+15)/16]; ∑IPAgen: sommatoria IPA con riconosciuto potere genotossico, secondo quanto definito da (WHO, 1998); TEQ: indice di tossicità equivalente (Nisbet e Lagoy, 1992) F: campionamento a freddo in tunnel di diluizione; C: campionamento a caldo in canna fumaria

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Tab. 8.8 – fattori di emissione di IPA prodotti dalla combustione di faggio a AP (ng MJ-1)

FA5 (120°C; RD 10) FA6 (70°C; RD 10) FA7 (120°C; RD 16) FA8 (70°C; RD 16) IPA

A B C A B C A B C A B C

F C F C F C F C F C F C F C F C F C F C F C F C

Naft1 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Acenafti2 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Acenafte3 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Fluor4 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Fenant5 Det. - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Antr6 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Fluor7 38 - Det. - 17 - 28 - 13 - Det. - Det. - Det. - Det. - 20 Det. Det. - - - Pir8 42 - Det. - 21 - 34 - 17 - Det. - 25 - Det. - - - 27 Det. - - - - B(a)antr9 155 - 41 - 60 - 73 Det. 59 Det. 46 Det. 50 - Det. - Det. - 47 19 Det. Det. 38 - Cris10 273 - 92 - 130 - 137 Det. 117 Det. 97 Det. 115 - 69 - Det. - 116 32 Det. 17 113 Det. B(b+k)fluor11 289 30 80 16 84 Det. 94 42 78 33 62 27 70 62 Det. Det. Det. - Det. 76 Det. 32 Det. 52 B(a)pir12 66 12 21 Det. 21 Det. 31 Det. 24 Det. Det. Det. Det. 27 - Det. - - Det. 29 - Det. - Det. Ind(123-cd)pir13 37 25 14 10 17 Det. 49 10 17 - - Det. 22 28 Det. 12 - Det. Det. 22 - Det. - Det. Dib(a,h)antr14 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - B(ghi)per15 99 69 36 27 44 18 122 25 47 22 34 18 49 75 26 34 Det. Det. 40 59 - 18 Det. 25

∑IPAtot16 998 136 285 54 393 18 569 78 373 56 238 45 330 192 95 45 - - 250 237 - 68 151 77

BPM (%) 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 - - 0,0 0,0 - 0,0 0,0 0,0 MPM (%) 50,8 0,0 46,8 0,0 57,7 0,0 48,0 0,0 55,3 0,0 59,8 0,0 57,4 0,0 72,1 0,0 - - 83,9 21,5 - 25,0 100,0 0,0 APM (%) 49,2 100,0 53,2 100,0 42,3 100,0 52,0 100,0 44,7 100,0 40,2 100,0 42,6 100,0 27,9 100,0 - - 16,1 78,5 - 75,0 0,0 100,0 TEQ 118 18 36 3 39 <1 55 5 41 4 12 3 16 37 1 2 <1 <1 6 42 <1 4 5 5 ∑IPAgen/∑IPAtot 0,96 1,00 1,00 1,00 0,95 1,00 0,94 1,00 0,95 1,00 1,00 1,00 0,92 1,00 1,00 1,00 - - 0,89 1,00 - 1,00 1,00 1,00 BPM: basso peso molecolare [(1+2+3+4+5+6)/16]; MPM: medio peso molecolare [(7+8+9+10)/16]; APM: alto peso molecolare [(11+12+13+14+15)/16]; ∑IPAgen: sommatoria IPA con riconosciuto potere genotossico, secondo quanto definito da (WHO, 1998); TEQ: indice di tossicità equivalente (Nisbet e Lagoy, 1992) F: campionamento a freddo in tunnel di diluizione; C: campionamento a caldo in canna fumaria

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Tab. 8.9 – fattori di emissione di IPA prodotti dalla combustione di abete 1 a BP (ng MJ-1)

AB1 (120°C; RD 10) AB2 (70°C; RD 10) AB3 (120°C; RD 20) AB4 (70°C; RD 20) IPA

A B C A B C A B C A B C

F C F C F C F C F C F C F C F C F C F C F C F C

Naft1 6355 - - 1197 - - - - - - 2341 - 1233 - 1509 - - - - - - 4889 - Det. Acenafti2 7236 - - 1694 4853 - - - 1504 5528 4096 - 6204 726 5858 - - - 6053 - - 6974 - 6202 Acenafte3 Det. - - Det. - - - - - - 42 - 67 - - - - - - - - - - - Fluor4 157 - - Det. 536 - - - 1181 118 98 - 231 - 158 - - - 1124 - - Det. - Det. Fenant5 6408 3237 2282 2231 3622 1626 10684 7176 4757 3626 2506 2304 8108 4082 4244 3205 4085 - 8521 6193 8158 3610 4155 3055 Antr6 647 197 110 120 251 101 1219 453 333 232 147 48 892 349 338 260 205 - 976 387 368 251 196 218 Fluor7 5269 1916 1067 1490 2926 1671 2820 1018 1063 1092 1714 849 4705 3211 2579 2450 1868 615 2425 873 1352 979 992 1484 Pir8 5011 1997 1072 1485 2838 1720 2674 1007 1020 1015 1696 866 5498 3775 2638 2654 1936 755 2583 1019 1515 1064 1091 1581 B(a)antr9 Det. 18 - - Det. - 21 11 - - 14 - Det. 24 - - - - - - - - - Det. Cris10 Det. 44 - - - Det. 47 27 Det. - - - Det. 68 - - - - - Det. - - - - B(b+k)fluor11 - - - - - - - - - - - - - Det. - - - - - - - - - - B(a)pir12 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Ind(123-cd)pir13 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Dib(a,h)antr14 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - B(ghi)per15 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

∑IPAtot16 31082 7407 4532 8218 15026 5118 17465 9691 9857 11612 12655 4067 26938 12235 17324 8570 8094 1370 21682 8472 11393 17767 6434 12539

BPM (%) 66,9 46,4 52,8 63,8 61,6 33,7 68,2 78,7 78,9 81,9 72,9 57,8 62,1 42,1 69,9 40,4 53,0 0,0 76,9 77,7 74,8 88,5 67,6 75,6 MPM (%) 33,1 53,6 47,2 36,2 38,4 66,3 31,8 21,3 21,1 18,1 27,1 42,2 37,9 57,9 30,1 59,6 47,0 100,0 23,1 22,3 25,2 11,5 32,4 24,4 APM (%) 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 TEQ 37 11 6 9 17 6 31 15 13 14 15 4 35 18 20 11 10 1 30 12 15 20 8 15 ∑IPAgen/∑IPAtot 0,17 0,27 0,24 0,18 0,19 0,33 0,17 0,11 0,11 0,09 0,14 0,21 0,17 0,27 0,15 0,29 0,23 0,45 0,11 0,10 0,12 0,06 0,15 0,12 BPM: basso peso molecolare [(1+2+3+4+5+6)/16]; MPM: medio peso molecolare [(7+8+9+10)/16]; APM: alto peso molecolare [(11+12+13+14+15)/16]; ∑IPAgen: sommatoria IPA con riconosciuto potere genotossico, secondo quanto definito da (WHO, 1998); TEQ: indice di tossicità equivalente (Nisbet e Lagoy, 1992) F: campionamento a freddo in tunnel di diluizione; C: campionamento a caldo in canna fumaria

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Tab. 8.10 – fattori di emissione di IPA prodotti dalla combustione di abete 1 a AP (ng MJ-1)

AB5 (120°C; RD 10) AB6 (70°C; RD 10) AB7 (120°C; RD 16) AB8 (70°C; RD 16) IPA

A* B C A B C A B C A B C

F C F C F C F C F+ C F C F C F C F C F C F C F C

Naft1 - 439 - - Det. - - - - - - 181 - - - - - - - 103 1357 - - - Acenafti2 1082 334 - - 40 Det. - - - 185 139 198 - - - - - 184 2650 804 20006 - 52 Det. Acenafte3 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Fluor4 1779 92 - - - - - - - - 86 - - - - - - - 86 - 543 - - - Fenant5 39630 1725 484 60 638 95 2781 4027 - 2404 5268 3515 7394 779 10090 631 13861 2662 7395 4300 24059 25178 3719 799 Antr6 9308 448 Det. - 63 Det. 335 301 - 248 529 340 524 Det. Det. 67 1572 421 871 531 3019 3272 401 76 Fluor7 110683 3750 3629 173 2056 285 4842 3320 - 2903 3443 3101 4525 1639 3742 2307 7674 5541 7197 5806 14734 12163 4603 5142 Pir8 111203 3831 4986 210 2670 356 6454 4519 - 3364 4051 3570 4728 2028 4076 2684 7742 6008 7261 6187 14431 12432 4280 5286 B(a)antr9 26406 10103 1539 641 434 147 560 322 - 136 187 100 76 102 Det. 35 253 206 84 70 747 685 70 113 Cris10 28054 10725 1893 704 601 219 782 500 - 248 364 224 191 262 142 116 571 502 218 203 1424 1231 165 265 B(b+k)fluor11 44048 36022 1155 7749 316 325 492 371 - 168 166 151 74 168 Det. 46 341 352 105 84 1118 1010 84 116 B(a)pir12 27168 22491 519 4753 105 126 192 124 - 53 47 Det. - 43 - Det. 99 107 Det. Det. 367 375 Det. 32 Ind(123-cd)pir13 16400 16117 140 1340 19 34 39 29 - 13 Det. Det. Det. Det. - - Det. 28 - Det. 104 100 - Det. Dib(a,h)antr14 1814 1638 223 110 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - B(ghi)per15 17222 16633 4640 1669 40 63 88 87 - 33 28 43 24 33 Det. Det. 78 81 34 17 253 215 Det. 18

∑IPAtot16 434797 124347 19208 17410 6981 1649 16565 13600 - 9755 14307 11423 17536 5053 18049 5886 32193 16092 25901 18105 82161 56662 13375 11846

BPM (%) 11,9 2,4 2,5 0,3 10,6 5,8 18,8 31,8 - 29,1 42,1 37,1 45,2 15,4 55,9 11,9 47,9 20,3 42,5 31,7 59,6 50,2 31,2 7,4 MPM (%) 63,6 22,8 62,7 9,9 82,5 61,0 76,3 63,7 - 68,2 56,2 61,2 54,3 79,8 44,1 87,4 50,4 76,2 57,0 67,7 38,1 46,8 68,2 91,2 APM (%) 24,5 74,7 34,8 89,7 6,9 33,2 4,9 4,5 - 2,7 1,7 1,7 0,6 4,8 0,0 0,8 1,6 3,5 0,5 0,6 2,2 3,0 0,6 1,4 TEQ 45735 37191 1991 6303 194 180 327 217 - 98 105 42 39 77 19 16 210 190 55 40 686 651 34 69 ∑IPAgen/∑IPAtot 0,63 0,94 0,72 0,98 0,51 0,73 0,42 0,35 - 0,36 0,30 0,32 0,28 0,44 0,22 0,43 0,28 0,42 0,29 0,34 0,23 0,28 0,37 0,48 BPM: basso peso molecolare [(1+2+3+4+5+6)/16]; MPM: medio peso molecolare [(7+8+9+10)/16]; APM: alto peso molecolare [(11+12+13+14+15)/16]; ∑IPAgen: sommatoria IPA con riconosciuto potere genotossico, secondo quanto definito da (WHO, 1998); TEQ: indice di tossicità equivalente (Nisbet e Lagoy, 1992) F: campionamento a freddo in tunnel di diluizione; C: campionamento a caldo in canna fumaria * Campione prelevato in condizioni di cattiva combustione, i dati vengono riportati solo al fine di mostrare l’elevata emissione associata a queste condizioni, non sono stati considerati nei calcoli + Campione reso inutilizzabile durante analisi

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8.6 Modelli di correlazione tra misura delle polveri a freddo ed a caldo

I risultati ottenuti dall’analisi statistica per i test con abete 1 sono riportati in tabella 8.12. Per il

calcolo del modello di regressione sono state escluse le due prove associate alle condizioni di

combustione non rappresentative, abbassando il numero dei dati sperimentali utilizzati da 24 a 22.

Nel modello risultante sei degli otto parametri iniziali influiscono significativamente sulla variabile

risposta, CO e RD sono stati esclusi dal calcolo. Il valore di R2 del 98,8 % rivela l’elevata

affidabilità del modello calcolato. Dato che questi modelli vengono calcolati con strumenti statistici,

si prestano poco ad un’interpretazione diretta sull’influenza dei vari parametri alla stima della

variabile di risposta, tuttavia possono essere fatte alcune considerazioni di carattere generale. La Pot

rappresenta il parametro che influisce maggiormente e negativamente sul PMF, con un coefficiente

pari a -9,05. Infatti, facendo riferimento a quanto detto in sezione 8.3 ed ai dati in tabella 8.4, si nota

che all’aumentare della potenza di funzionamento della stufa il PMF si riduce sensibilmente per

effetto dell’aumento dell’efficienza di combustione. Altro parametro importante nel modello e che

contribuisce positivamente al PMF è l’NPOC, con un coefficiente di 6,11: questo parametro, infatti,

è legato alla frazione condensabile delle polveri e si suppone cresca all’aumentare delle polveri

misurate nel tunnel di diluizione.

Tab. 8.12 – Modello regressione lineare multipla abete 1

Modello regressione: PMF = - 110 - 9,05 Pot + 0,117 Tfil + 0,903 Tg + 1,90 PMC + 6,11 NPOC - 0,726 TCC R-Sq(adj) = 98,8% n=22

Predittori Stima P

Costante -109,81 0,003

Pot (kW) -9,047 0,001

Tfil (°C) 0,11667 0,003

Tg (°C) 0,9031 0,001

PMC (mg MJ-1) 1,8966 0,000

NPOC (mgC MJ-1) 6,113 0,008

TCC (mgC MJ-1) -0,7262 0,046

Successione nell’esclusione dei parametri non significativi: CO (mg MJ-1); RD

I predittori restanti, sebbene statisticamente significativi, sono associati a bassi coefficienti e quindi

poco influenti sulla variabile risposta. Il CO è stato escluso dal calcolo del modello perché non

significativo per la stima del PMF, dalla tabella 8.4 si nota infatti che durante i vari test di

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combustione, anche a potenze differenti, questo non varia sensibilmente rimanendo sempre

nell’intervallo 170-230 mg MJ-1.

Scenario piuttosto differente è stato ottenuto per il faggio, i cui risultati della regressione sono

riassunti in tabella 8.13. Il modello finale si presenta differente rispetto al caso dell’abete 1, sia per i

predittori che lo costituiscono, solo cinque sono significativi, che per l’affidabilità dello stesso,

minore valore di R2. Questa differenza può essere giustificata osservando le distribuzioni dei set di

dati utilizzati per l’analisi di regressione di faggio e abete 1, ad esempio riportando in grafico PMF e

PMC (Fig. 8.3): per il primo i dati sperimentali cadono tutti molto vicini e in uno spazio ristretto,

rendendo difficile valutare l’influenza dei singoli parametri sulla variabile risposta, contrariamente

al secondo dove si evidenzia invece una maggiore dispersione. Va comunque sottolineato che i due

pellet seguono processi di combustione differenti, che possono portare a modelli di regressione

diversi. Inoltre, le elevate emissioni di polveri per i test con faggio, costituite principalmente da

materiale di natura inorganica proveniente dalle ceneri del pellet e fondamentalmente insensibili

alle variazioni delle condizioni di combustione o di campionamento, potrebbero in qualche modo

livellare eventuali differenze nei risultati dei test, mascherando le relazioni tra i parametri misurati.

Tab. 8.13 - Modello regressione lineare multipla faggio

Modello regressione: PMF = 70,7 - 0,0508 Tfil - 0,0577 CO + 0,649 PMC + 0,361 RD + 1,22 TCC

R-Sq(adj) = 87,5 % n=24 Predittori Stima P

Costante 70,70 0,000

Tfil (°C) -0,05076 0,043

CO (mg MJ-1) -0,05765 0,000

PMC (mg MJ-1) 0,6495 0,004

RD 0,3615 0,040

TCC (mgC MJ-1) 1,2158 0,000

Successione nell’esclusione dei parametri non significativi: Pot; NPOC; Tg

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Fig. 8.3 – distribuzione dati polveri per test con faggio (sinistra) e con abete 1 (destra)

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9. Risultati parte seconda – fase 2

9.1 Fattori di emissione di gas e polveri

I risultati delle polveri e del CO per i test di combustione in condizioni convenzionali sono

raffigurati in figura 9.1 per il pellet di faggio ed in figura 9.2 per quello di abete. Come elemento di

confronto è stato riportato anche l’intervallo di emissione delle polveri in condizioni stazionarie,

ottenuto mediando i risultati dei test eseguiti nelle stesse condizioni operative durante la fase 1,

ovvero misura delle polveri a freddo in tunnel di diluizione con RD 10 e stufa operante a bassa

potenza. I limiti superiore ed inferiore rappresentano la deviazione standard intorno al valore medio.

Nel caso del faggio si può notare come la fase di accensione (Ac) sia associata ad un’elevata

emissione di polveri, all’incirca doppia rispetto a quelle misurate in condizioni stazionarie, con un

valore medio di 234,0 mg MJ-1. L’elevata variabilità legata a questa fase è probabilmente causata

dalla non riproducibilità di alcuni fattori, come la quantità e la disposizione della carica iniziale di

pellet nel bruciatore ed il contatto del combustibile con la candela di accensione. È possibile notare

come il fattore di emissione totale delle polveri si riduca progressivamente all’aumentare del tempo

di utilizzo dell’apparecchio seguendo un andamento descritto da una funzione potenza, fino a

rientrare dopo 6h di funzionamento nell’intervallo delle emissioni in condizioni stazionarie, con un

valore medio di 102,2 mg MJ-1. Il TC% mostra che in fase di accensione si producono polveri con

una maggiore percentuale di carbonio totale e che anche questo si riduce col tempo di utilizzo della

stufa. Tale comportamento conferma che la parte iniziale del processo di combustione è associata

ad una bassa efficienza di ossidazione della frazione carboniosa, principalmente legata alle basse

temperature in camera di combustione, associata ad una maggiore emissione di polveri. Una volta

raggiunto lo stato stazionario le efficienze aumentato ed i fattori di emissione si riducono di

conseguenza. Il contributo della fase di accensione alle polveri totali emesse si riduce man mano

che aumenta il periodo di funzionamento ad elevata efficienza. Questa riduzione non si nota invece

per il CO totale, poiché l’emissioni in fase di accensione e spegnimento si attestano a valori simili

alle condizioni stazionarie del dispositivo, come evidente in figura 9.1.

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Fig. 9.1– Emissioni per test utilizzo convenzionale con pellet di faggio

Relativamente ai test con abete, nella fase 2 è stato necessario sostituire tipologia di pellet passando

dall’abete 1, utilizzato nello svolgimento delle prove per la fase 1, ad abete 2. La sostituzione è stata

obbligata da condizioni di natura tecnica esterne al piano di lavoro, di natura tecnica poiché la scelta

di un pellet commerciale, con l’obiettivo di aumentare la rappresentatività di un utilizzo reale del

dispositivo, ha comportato difficoltà nel reperimento dello stesso tipo di prodotto al momento del

rifornimento per i test di combustione perché non più disponibile sul mercato. La scelta è comunque

ricaduta su un prodotto composto da abete puro, di qualità medio – alta tra quelli commercialmente

disponibili (abete 2). Sebbene costituiti dalla stessa essenza i due materiali presentano delle

differenze, come è possibile notare dai risultati delle caratterizzazioni riassunti in tabella 8.1. Questa

differenza si riflette anche sul comportamento del materiale in combustione, rendendo difficile un

confronto diretto dei risultati ottenuti per i due materiali. Per questo motivo sono stati eseguiti dei

campionamenti di polveri dedicati in condizioni di combustione controllate utilizzando pellet di

abete 2, come nella fase 1, ed i risultati utilizzati per la determinazione dell’intervallo di emissione

in condizioni stazionarie nella fase 2 (intervalli in figura 9.2). Come per il faggio, anche nell’abete

la fase d’accensione è legata a produzioni di polveri più elevate rispetto ad una combustione

stazionaria, con un fattore di emissione medio che però si attesta a valori più bassi, pari a 170,0 mg

MJ-1. Contrariamente da quanto osservato per il faggio, l’emissione di polveri subisce una discreta

Tempo TC% CO [mg MJ-1] Ac 39 2006±397 1 33 1824±189 2 26 1523±410 4 25 1458±183 6 23 1990±157

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101

riduzione all’aumentare del tempo di utilizzo entro le prime 4 h, mostrando un abbassamento più

significativo solo dopo le 6 h di funzionamento e rientrando nell’intervallo di emissione stazionario

con un valore di 66,2 mg MJ-1. Mediamente, le polveri emesse dai test di combustione con pellet di

faggio sono superiori a quelle ottenute con l’abete: il fenomeno è probabilmente legato al contenuto

di ceneri iniziale maggiore nel primo rispetto al secondo. Le polveri emesse dalla combustione

dell’abete presentano un’elevata concentrazione di TC%, tra il 60 % e l’80 %, maggiore di quella

misurata per il faggio, intorno al 23-40 %. Questa è un’indicazione che l’apparecchio, a parità di

impostazioni della stufa, è in grado di gestire meglio l’ossidazione per il faggio piuttosto che per

l’abete 2. Anche per l’abete il TC% delle polveri emesse si riduce all’aumentare del tempo di

funzionamento dell’apparecchio. Come per le polveri, l’elevate emissioni di CO associate alla fase

di accensione e spegnimento vengono “diluite” nel fattore di emissione complessivo grazie alla

presenza di un intervallo ad emissione più bassa (condizioni stazionarie), come evidente in figura

9.4.

Fig. 9.2 - Emissioni polveri per test a ciclo completo Abete

Tempo TC% CO [mg MJ-1] Ac 80% 1215±276 1 76% 753±127 2 67% 540±112 4 62% 539±72 6 59% 471±17

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102

Fig. 9.3 – profilo emissioni gassose per ciclo combustione faggio 4h. a-Inizio campionamenti; b-

fine campionamento fase di accensione (Linea 2); c- fine campionamento polveri totali (Linea 1)

Fig. 9.4 – profilo emissioni gassose per ciclo combustione abete 4h. a-Inizio campionamenti; b-

fine campionamento fase di accensione (Linea 2); c- fine campionamento polveri totali (Linea 1)

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103

9.2 Emissione degli idrocarburi policiclici aromatici da utilizzo convenzionale

I risultati degli IPA per i test in condizioni convenzionali sono riportati in figura 9.5 per il pellet di

faggio ed in figura 9.6 per quello di abete. Come osservato per le polveri, anche per gli IPA la fase

di accensione è associata ad un’elevata emissione, che si riduce sensibilmente all’aumentare del

tempo di utilizzo dell’apparecchio. Per entrambi i pellet la riduzione segue un andamento descritto

da una funzione potenza come evidenziato anche per le polveri (Fig. 9.1 e Fig. 9.2), passando da

valori iniziali di 881,07 µg MJ-1 per il faggio e 949,55 µg MJ-1 per l’abete, fino a raggiungere valori

pari a 9,95 µg MJ-1 e 38,54 µg MJ-1 dopo 6 h di funzionamento, per faggio ed abete rispettivamente.

Fig. 9.5 – emissione di IPA da prove di utilizzo convenzionale della stufa con pellet di faggio.; BPM: sommatoria IPA a

basso peso molecolare (da naftalene ad antracene); MPM: sommatoria IPA a medio peso molecolare (da fluorantene a

crisene); APM: sommatoria IPA ad alto peso molecolare (dai benzo(b+k)fluoranteni a Benzo(ghi)perilene)

Andamento analogo agli IPA si osserva per la tossicità equivalente (TEQ) per entrambi i pellet: il

TEQ è inversamente proporzionale al tempo di utilizzo della stufa, passando da valori per il faggio

e l’abete rispettivamente di 111,35 µg MJ-1 e 74,81 µg MJ-1 fino a raggiungere valori di 2,04 µg MJ-

1 e 4,47 µg MJ-1 dopo 6h di funzionamento. Come illustrato nel paragrafo precedente per le polveri,

la riduzione progressiva dei fattori di emissione per IPA e TEQ all’aumentare del tempo di

funzionamento è da associare ad una maggiore efficienza di combustione del dispositivo a regime

stazionario. Infatti, le elevate temperature della camera di combustione per la stufa operante a

Tempo BPM MPM APM Ac 1% 71% 28% 1 0% 48% 52% 2 0% 44% 56% 4 3% 40% 57% 6 1% 39% 61%

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104

regime termico consentono un’ossidazione più efficiente, con conseguente riduzione delle emissioni

di sottoprodotti incombusti quali gli IPA. Di conseguenza, all’aumentare del tempo di utilizzo

dell’apparecchio, il contributo delle fasi ad elevate emissioni, ovvero accensione e spegnimento,

viene diluito ed il fattore di emissione complessivo si riduce. Si evidenzia inoltre come varia la

composizione relativa degli IPA emessi in fase di accensione rispetto al valore totale: durante la

fase di accensione si ha una produzione maggiore di congeneri a basso (BPM) e medio peso

molecolare (MPM), circa il 70-80 %, che contribuiscono all’emissione totale di IPA benché siano

associati a ridotte tossicità (bassi valori di TEF). Il faggio emette in proporzione una maggiore

quantità di congeneri ad elevato peso molecolare (APM) rispetto all’abete 2.

Fig. 9.6 – emissione di IPA da prove di utilizzo convenzionale della stufa con pellet di abete 2. BPM: sommatoria IPA a

basso peso molecolare (da naftalene ad antracene); MPM: sommatoria IPA a medio peso molecolare (da fluorantene a

crisene); APM: sommatoria IPA ad alto peso molecolare (dai benzo(b+k)fluoranteni a Benzo(ghi)perilene)

Tempo BPM MPM APM Ac 2% 79% 18% 1 3% 67% 30% 2 6% 64% 30% 4 6% 65% 29% 6 14% 57% 30%

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105

10. Conclusioni

I risultati ottenuti dalla sperimentazione mostrano come in condizioni di combustione praticamente

completa, in assenza di una componente organica nei fumi, la tecnica di misura delle polveri a caldo

e la tecnica a freddo si equivalgano. Al peggiorare dell’efficienza di combustione, legate ad un

carico termico parziale oppure un dispositivo meno efficiente, le polveri misurate a freddo nei gas

diluiti sono sempre state più elevate rispetto a quelle determinate a caldo nei fumi in canna fumaria.

Per la stufa a pellet l’aumento è stato pari a circa un 20 – 30 % delle polveri a caldo. Differenza

contenuta se si considera che per le stufe a legna i valori possono variare dalle 3 fino alle 10 volte

[13]. La bassa produzione di una frazione condensabile organica è stata confermata anche

dall’analisi del carbonio organico non volatile (NPOC) negli impinger della linea a caldo. La scelta

dell’utilizzo di impinger per il raffreddamento dei fumi è stata fatta per valutare una valida

alternativa alla tecnica di diluizione con tunnel, cercando di promuovere la misura a caldo più

diffusa e caratterizzata da una serie di vantaggi, tra cui l’elevata semplicità operativa e la possibilità

di eseguire prelievi in situ. L’analisi dell’NPOC negli impinger, variante del metodo americano

[62], è stata necessaria a causa delle ridotte quantità di condensabili organici prodotti, difficilmente

determinabili per via gravimetrica, considerando inoltre che le concentrazioni elevate di polveri nei

fumi di combustione hanno limitato il tempo di prelievo impedendone un prolungamento per

aumentare la massa di condensabile. La tecnica di analisi ha mostrato di rispondere positivamente

alla variazione delle condizioni di combustione, restituendo dei dati coerenti con le polveri misurate

e con il CO emesso. Tuttavia, il calcolo del bilancio del carbonio come confronto tra le due tecniche

di misura non ha portato a risultati soddisfacenti nella combustione dell’abete, probabilmente a

causa di problematiche legate alla tecnica di analisi (trattamento del campione), associate

variabilità delle condizioni di combustione dell’apparecchio. A seguito della sperimentazione alcuni

accorgimenti possono essere fatti per migliorare l’affidabilità di tale tecnica. Non si sono

evidenziati particolari andamenti variando i parametri di campionamento, rapporto di diluizione e

temperatura di filtrazione nel campionamento a caldo, e le condizioni di combustione, potenza e

tipologia di pellet. Questo è con buona probabilità legato all’elevata variabilità nelle condizioni di

combustione del dispositivo, che possono mascherare le variazioni dovute all’influenza di tali

parametri. Risultati incoraggianti, invece, sono stati ottenuti utilizzando tecniche statistiche, quali la

regressione multipla, allo scopo di ottenere modelli predittivi delle polveri misurate a freddo

partendo dalla misura a caldo. I modelli risultanti sono caratterizzati da un’elevata affidabilità,

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maggiore per l’abete che per il faggio, sebbene si ritenga necessaria una maggiore numerosità dei

dati, esaminando anche altre tipologie di apparecchi termici, non valutati nel presente lavoro perché

non economicamente possibile.

Le emissioni prodotte dall’utilizzo della stufa a pellet sono associate ad un’elevata quantità di IPA

rispetto ad altre fonti di riscaldamento, sebbene solo una parte di questi sia considerata nociva per la

salute. La miscela di IPA prodotti è funzione delle condizioni di combustione e della potenza

termica, con andamenti diversi per le due tipologie di pellet analizzate. Questa differenza è da

associare principalmente a diverse condizioni di combustione piuttosto, che alla tipologia di

combustibile. A basse potenze si producono maggiormente i congeneri a peso molecolare medio –

basso e gli IPA predominanti sono fluorantene, fenantrene e pirene. La tossicità della miscela di

IPA, espressa come TEQ, varia con la quantità di questi seguendo principalmente i congeneri a più

elevato peso molecolare, a cui è associata maggiore pericolosità. Condizioni di combustione

ottimali influiscono positivamente sull’emissione di IPA, riducendone sensibilmente la quantità, e

la miscela prodotta presenta anche bassi valori di TEQ. I valori di TEQ ottenuti per faggio e abete,

< 0,15 µg MJ-1 e < 0,33 µg MJ-1 rispettivamente, sono in linea con la letteratura di riferimento [73].

Le polveri prodotte durante la fase di accensione possono raggiungere anche a due o tre volte le

quelle emesse in condizioni di combustione stazionarie con il dispositivo a regime termico.

L’emissione totale, che considera tutte le fasi di combustione associate all’utilizzo del dispositivo,

risulta più elevato dello stato stazionario e mostra una riduzione all’aumentare del tempo di utilizzo

dell’apparecchio termico. Il fenomeno è legato all’aumento dell’efficienza di ossidazione

all’aumentare delle temperature in camera di combustione. Per entrambi pellet, all’incirca dopo 6 h

di utilizzo i valori di emissione totali rientrano nell’intervallo di emissione alle condizioni

stazionarie.

La sperimentazione ha messo in evidenza una serie di problematiche:

• La tecnologia del dispositivo termico influisce pesantemente sulle emissioni prodotte dalla

combustione della biomassa legnosa. A parità di combustibile, sistemi ed elevata efficienza

sono in grado di raggiungere combustioni praticamente complete abbattendo i prodotti

organici incombusti (es. CO, IPA, condensabili, fuliggine) e conseguendo in emissioni meno

inquinanti

• La determinazione della frazione condensabile in dispositivi ad elevata efficienza termica è

importante, ma lo è ancora di più la misura delle polveri delle fasi di combustione

transitorie, che non viene solitamente contemplata nelle analisi eseguite nei laboratori

specializzati.

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107

• Ai fini della riduzione delle emissioni, principalmente derivanti dalle stufe, si ritiene utile

promuovere l’utilizzo di apparecchi termici in grado di lavorare a potenze nominali e per

tempi più lunghi, ad esempio le termostufe, in modo da ridurre le fasi di accensione-

spegnimento e l’utilizzo a carichi termici parziali.

• Funzionamenti non corretti dei dispositivi comportano produzioni di elevate emissioni di

polveri, IPA e CO. È quindi di fondamentale importanza l’istruzione degli operatori al

corretto utilizzo degli apparecchi e l’esecuzione di una manutenzione periodica di questi per

mantenere una massima efficienza.

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108

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113

Appendice I – calcolo della portata volumetrica e della velocità dei gas in

canna fumaria

Le basse potenze di funzionamento (bassi consumi di combustibile) e le ridotte dimensioni dei

piccoli dispositivi di combustione, rendono complessa la misura accurata per via diretta della

velocità dei fumi, parametro richiesto per soddisfare le condizioni di campionamento isocinetico. È

altresì possibile, nota la composizione del combustibile e la concentrazione di ossigeno nei fumi di

combustione, risalire alla quantità di gas prodotta in funzione del consumo di combustibile.

In condizioni di combustione ottimizzata l’ossidazione di carbonio, idrogeno e zolfo richiederà una

quantità di ossigeno minima o stechiometrica (O2,min) ed un’equivalente quantità di aria (Amin) per

unità di massa di combustibile, come riportato nelle equazioni (7) e (8).

(7)

O2,min : quantità minima di ossigeno (stechiometrica) richiesta per la combustione [m3n kg-1]

C : contenuto in carbonio nel combustibile [kg kg-1]

H: contenuto in idrogeno nel combustibile [kg kg-1]

S: contenuto in solfo nel combustibile [kg kg-1]

O: contenuto in ossigeno nel combustibile [kg kg-1]

(8)

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Amin: quantità minima di aria (stechiometrica) [m3n kg-1]

O2,min : quantità minima di ossigeno (stechiometrica) [m3n kg-1]

Il volume dei gas sviluppati dalla combustione sarà costituito principalmente da:

• prodotti ossidati (es. CO2, NOx, SOx);

• azoto molecolare dell’aria di combustione (N2) praticamente inerte al processo;

• ossigeno in eccesso.

Il surplus di aria inviato in combustione rispetto alla richiesta stechiometrica (λ), andrà quindi a

contribuire al volume dei gas prodotti per unità di combustibile, sia su base secca (Vdry) che su base

umida (Vwet), come riportato nelle equazioni (9) e (10).

(9)

Vdry: Volume dei gas di combustione (base secca) [m3n kg-1]

Amin: quantità minima di aria (stechiometrica) [m3n kg-1]

: eccesso d’aria [-]

C: contenuto in carbonio nel combustibile [kg kg-1]

N: contenuto in azoto nel combustibile [kg kg-1]

S: contenuto zolfo nel combustibile [kg kg-1]

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(10)

Vwet: volume dei gas di combustione (base umida) [m3n kg-1]

Vdry: volume dei gas di combustione (base secca) [m3n kg-1]

H: contenuto in idrogeno nel combustibile [kg kg-1]

w: contenuto di umidità nel combustibile [kg kg-1]

Da qui, nota la massa di combustibile bruciata per unità di tempo (Qmfuel) e la temperatura dei gas

al punto di campionamento (Tgas) si ricava facilmente la velocità dei gas (vgas) dall’equazione (11).

(11)

vgas: velocità dei gas [m s-1]

Vwet: volume dei gas di combustione (base umida) [m3n kg-1]

Qmfuel: portata in massa di pellet combusto [kg s-1]

Tgas: temperatura dei gas [°C]

s: sezione del condotto [m2]

Inoltre è possibile ricavare anche il contenuto di acqua nei fumi dall’equazione (12).

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(12)

Ugas: umidità dei gas

Vwet: volume dei gas di combustione (base umida) [m3n kg-1]

H: contenuto in idrogeno nel combustibile [kg kg-1]

w: contenuto di umidità nel combustibile [kg kg-1]