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“Metropolis è una perla dell'immaginario collettivo, un autentico cult movie”* Il capolavoro ritrovato La rinascita del soundtrack La trama (riassunto) La musica di Huppertz METROPOLIS [da S. Socci, Fritz Lang, Milano, II Castoro, 1995]* Recensione di Sebastiano Ferrigni Recensione di Lorenzo Mannella Il capolavoro ritrovato “Musica da film”. Per taluni benpensanti suona quasi come una “diminutio”, come dire “musica di serie B”, musica mellifua per compiacere l’orecchio di un pubblico dal palato tutt’altro che fine. Eppure nella storia della musica le cosa stanno ben diversamente. Se Nino Rota ed Ennio Morricone, in tempi a noi coevi, costituiscono comunque una pietra miliare della storiografia del soundtrack, basta fare un salto indietro di qualche decennio per trovare compositori come Dimitri Sostakovic o Sergej Prokofiev per avere un’idea di come la musica “colta” e i grandi musicisti abbiano impresso un’orma indelebile nei rapporti tra musica e cinema. Musica di “serie A” dunque ma con una sua specificità dovuta al mezzo per il quale è stata pensata e scritta. “Metropolis” di Fritz Lang è un altro preclaro esempio di come la nascita di un capolavoro cinematografico sia consustanziale con la sua colonna sonora che ne costituisce parte integrante ed imprescindibile, pur avendo la legittimità di esistere, come musica pura, scorrelata dall’immagine. Il ritorno di interesse per la musica da film è un fatto acclarato, basta scorrere le recenti cronache musicali. Non è un caso se Claudio Abbado ha eseguito con grande successo all’Auditorium di Roma (novembre 2011) la musica per il “King Lear” op.137 di Sostakovic, sulle immagini del film muto omonimo di Grigorij Kozincev. E al Festival di Caracalla nell'estate 2012 è stato riproposto il capolavoro di Prokofiev “Aleksander Nevsky”, con la Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Yuri Temirkanov.

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“Metropolis è una perla dell'immaginario collettivo, un autentico cult movie”*

• Il capolavoro ritrovato • La rinascita del soundtrack • La trama (riassunto) • La musica di Huppertz • METROPOLIS [da S. Socci, Fritz Lang, Milano, II Castoro, 1995]* • Recensione di Sebastiano Ferrigni • Recensione di Lorenzo Mannella

Il capolavoro ritrovato

“Musica da film”. Per taluni benpensanti suona quasi come una “diminutio”, come dire “musica di serie B”, musica mellifua per compiacere l’orecchio di un pubblico dal palato tutt’altro che fine. Eppure nella storia della musica le cosa stanno ben diversamente. Se Nino Rota ed Ennio Morricone, in tempi a noi coevi, costituiscono comunque una pietra miliare della storiografia del soundtrack, basta fare un salto indietro di qualche decennio per trovare compositori come Dimitri Sostakovic o Sergej Prokofiev per avere un’idea di come la musica “colta” e i grandi musicisti abbiano impresso un’orma indelebile nei rapporti tra musica e cinema. Musica di “serie A” dunque ma con una sua specificità dovuta al mezzo per il quale è stata pensata e scritta. “Metropolis” di Fritz Lang è un altro preclaro esempio di come la nascita di un capolavoro cinematografico sia consustanziale con la sua colonna sonora che ne costituisce parte integrante ed imprescindibile, pur avendo la legittimità di esistere, come musica pura, scorrelata dall’immagine. Il ritorno di interesse per la musica da film è un fatto acclarato, basta scorrere le recenti

cronache musicali. Non è un caso se Claudio Abbado ha eseguito con grande successo all’Auditorium di Roma (novembre 2011) la musica per il “King Lear” op.137 di Sostakovic, sulle immagini del film muto omonimo di Grigorij Kozincev. E al Festival di Caracalla nell'estate 2012 è stato riproposto il capolavoro di Prokofiev “Aleksander Nevsky”, con la Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Yuri Temirkanov.

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La rinascita del soundtrack

Ma torniamo a Metropolis. Nel Febbraio 2010 la Berlinale ha festeggiato il suo sessantesimo anniversario con la realizzazione di un film-concerto che vedeva la proiezione in prima mondiale della versione originale uscita da un lungo e definitivo lavoro di restauro del celebre film muto Metropolis realizzato nel 1927 da Fritz Lang (1890 - 1976) associata alla contemporanea esecuzione dal vivo della imponente partitura composta da Gottfried Huppertz (1887 -1937) e diretta dal Maestro Frank Strobel alla guida del Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin. Alla prima berlinese ha poi fatto seguito una prima italiana,

il 2 luglio 2010 a Bologna nel quadro delle manifestazioni del Festival ‘Il cinema ritrovato’, dove la proiezione del film è stata accompagnata dal soundtrack eseguito dal vivo dall’Orchestra del Teatro Comunale. Una seconda esecuzione in Italia ha avuto luogo il 5 giugno 2011 per la stagione dell’Orchestra Filarmonica della Scala a Milano con un impressionante riscontro da parte del pubblico. Il grande interesse suscitato dalla riesumazione del film ha portato alla pubblicazione di una edizione DVD della versione originale ricostruita integrata alla colonna sonora eseguita, come nella prima berlinese, dal Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin con la direzione di Frank Strobel. Gli stessi artisti firmano anche la registrazione discografica della composizione di Gottfried Huppertz pubblicata recentemente dalla Capriccio. Il restauro

Anne Wilkening, Frank Strobel e Martin Koerberg, artisti incaricati dalla Murnau Stiftung di Wiesbaden per l’esame e il restauro del film sulla base del rinvenimento presso il Museo del Cinema a Buenos Aires nel 2008 di un controtipo in 16 millimetri che ha reso possibile il reintegro nel film di 25 minuti di pellicola ritenuti perduti, hanno evidenziato la fondamentale importanza della scrittura

originale della colonna sonora composta da Gottfried Huppertz quale parte integrante della sua concezione visiva e architettonica. Occorre non dimenticare che nelle riduzioni della pellicola seguite alla prima assoluta del 1927 anche la musica aveva subito dei tagli e delle forzature per i relativi aggiustamenti alle differenti durate dei corrispettivi montaggi. Gottfried Huppertz , autore della colonna sonora del precedente film di Lang I Nibelunghi (1924), scrive la partitura per Metropolis prima dell’inizio delle riprese e durante la lavorazione del film si muove a diretto contatto con il regista assicurando una sua costante presenza sul set,

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dove egli segue assiduamente le riprese e ha la possibilità di esercitare una forte influenza sugli attori facendo loro ascoltare i temi da lui composti. Egli studia le matrici della pellicola, conosce perfettamente le scene e la loro durata e lo sviluppo musicale della partitura procede anche in perfetta intesa artistica con Thea von Harbou, autrice della sceneggiatura. La scrittura di Huppertz con la sua coinvolgente forza narrativa conferisce al film una incisiva fluidità e contribuisce ad esaltarne la forza espressiva e cosmica delle immagini che assumono nel loro scorrere tutta la loro grandiosa dimensione e prospettiva. Il materiale musicale su cui si è lavorato è costituito da una particella (un estratto del testo originale della partitura) e due ulteriori strumentazioni, per orchestra da cabaret e per orchestra sinfonica. La partitura avvalora in modo sorprendente la rispondenza della copia conservata in Argentina con l’originale del film che al contrario viene a mancare nelle versioni realizzate per la distribuzione in paesi terzi e crea una sorta di vicendevole conferma delle strutture portanti del lavoro di Lang rivelandosi anche elemento determinante nella soluzione da conferire a molte problematiche concernenti il restauro delle sequenze filmiche.

La trama

In una megalopoli del XXI secolo, Metropolis appunto, il figlio del potente "controllore" della società, Fredersen, viene folgorato dall’apparizione di una donna (Maria) circondata da numerosi figli di operai. Da questo momento egli decide di interessarsi di quel mondo sotterraneo che socialmente non gli appartiene. Si sostituisce ad un lavoratore e così partecipa ad una delle riunioni clandestine che avvengono nel sottosuolo,

dove rivede la stessa Maria che arringa il popolo degli sfruttati. Ma di queste riunioni nascoste viene a conoscenza anche suo padre, John Fredersen, che, con la complicità dello scienziato Rotwang, decide di sostituire Maria con una sua identica controparte robotica femminile, in modo da punire gli operai allagando le loro abitazioni situate sempre sottoterra. Ovviamente il figlio, ormai innamoratosi di Maria, farà di tutto per sventare i malvagi piani di suo padre. La musica di Huppertz

Dal punto di vista estetico-stilistico Huppertz si colloca nella transizione di inizio ventesimo secolo che partendo dal tardo romanticismo si spinge fino alla scrittura seriale e dodecafonica. Importanti compositori della transizione post-romantica sono stati Alexander von Zemlinski e Franz Schrecker così come Bernard Herrmann, Franz Waxman e Erich Korngold che, emigrati negli Stati Uniti, con il proprio stile e sensibilità vicini a quelli di Huppertz, hanno influenzato in modo determinante la scrittura musicale hollywoodiana per il grande schermo. L’ascolto della partitura scritta per Metropolis, anche disgiunta dalla visione del film, esercita un forte potere magnetico e riesce a trasmettere grandi sensazioni. Il linguaggio di Huppertz incisivo e avvolgente evidenzia l’idea leitmotivica wagneriana che egli riesce magistralmente ad associare a un opulenza sonora che richiama fortemente Richard Strauss (il

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“Metropolis-Thema” - e “Das Stadion”- evocano atmosfere proprie della Alpensymphonie e Also sprach Zarathustra) così come al seducente cromatismo di Scriabin mentre in alcuni momenti, come in “Maschinenhalle - Moloch” e “Der Aufstand der Arbeiter” anticipa il percussivismo ritmico proprio di Prokovjev. Il compositore sfrutta ogni possibile soluzione armonica, da una penetrante espressività a modulazioni enarmoniche, profondo cromatismo e scale esatonali in una costruzione musicale dove melodie cariche di pathos si intessono nel tratteggiare i suggestivi leitmotiv che la percorrono. Con le sue ardite formulazioni cromatiche con cui egli si spinge ai limiti del linguaggio tardo-romantico pur sempre rimanendo nell’ambito del sistema tonale. Il marcato taglio sinfonico della sua colonna sonora risponde pienamente alla costruzione del film in tre movimenti intitolati ‘Prologo’, ‘Intermezzo’ e ‘Furioso’ ma in realtà più che a una sinfonia la partitura con i suoi numerosi brani è più vicina all’idea di un balletto abbracciando in pieno la concezione filmica di una grande pièce di ‘Tanztheater’ che scaturisce dalla forte espressività e gestualità mimica che Fritz Lang riesce a ottenere in modo superlativo dai suoi personaggi. La musica si evolve nelle mutevoli atmosfere trasmesse dalle immagini del film passando dagli accenti e solenni del tema di Metropolis al tema funebre che accompagna il pesante fatalistico incedere dei dannati dell’ inferno sotterraneo mentre si avviano al turno di lavoro (“Maschinen”), al sarcastico fox-trot delineato in “Der Schmale - Autofahrt” fino alle citazioni di temi sacri come quella del ‘dies irae’ gregoriano ripresa dal quinto movimento (“Sogno di una notte di sabba”) della Symphonie Fantastique di Hector Berlioz (“Im Dom”) o di motivi rivoluzionari, come quello relativo alla Maerseillese (“Der Aufstand der Arbeiter”), enunciato nella sequenza dell’avvio dell’ insurrezione in cui gli operai, in preda alla disperazione e sobillati dalla finta Maria in forma robotizzata, si lanciano alla distruzione dei macchinari della città sotterranea. Il tema di Maria dalla forte carica melodica enunciato inizialmente in “Maria mit den Kindern” assume il carattere di Leitmotiv e conferisce un’interiore unitarietà alla costruzione architettonica della partitura.

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METROPOLIS

[da S. Socci, Fr/tz Lang, Milano, II Castoro,

1995]

La meteora del giovane Sigfrido non si è ancora spenta, che Lang realizza un altro capolavoro, Metropolis (che fu girato dal 22 maggio 1925 al 30 ottobre 1926, Filmwerke Staaken, Ufa - Atelier) nasce dopo il Putsch di Monaco (il 9 novembre 1923 Hitler e Ludendorff marciano sulla Feldherrnhalle) e dopo un viaggio di Lang negli Stati Uniti (ottobre 1924), dove visita New York e Hollywood. Thea, che nell'agosto del '22 è diventata sua moglie, mescola ingredienti già usati e alcune novità significative.

Metropolis è una perla dell'immaginario collettivo, un autentico cult movie. Lo testimoniano omaggi come Star Wars di George Lucas e soprattutto Biade Runner di Ridley Scott. Le sue soluzioni tematico-architettoniche esercitano una suggestione straordinaria su prodotti di fantasy e fantascienza. Ne esistono versioni diverse, in cui ad esempio non compare la storia di Hel. Nel 1984 Giorgio Moroder ha presentato alla Mostra di Venezia una copia girata con il procedimento Rotoscope, aggiungendovi una colonna sonora rock. «Guardai le strade - le luci abbaglianti e gli edifici imponenti - e fu in quella occasione che concepii Metropolis», confessa il regista, a New York nel '24, per la prima volta in America. Il film costò sette milioni di marchi, in diciassette mesi di lavorazione. Si girarono 620.000 metri di pellicola, furono impiegati otto attori di primo piano, 25.000 uomini, 11.000 donne, 1.100 calvi, 250 bambini, venticinque neri, 3.500 paia di scarpe speciali, cinquanta automobili. Metropolis rivela una consistenza 'prismatica' che è il segreto della sua immortalità. Lang unisce mirabilmente l'esperienza espressionista e il fascino/repulsione per ogni società brutalmente tecnologica. Tra questi due elementi il regista, memore di Pastrone (Cabina) e Griffith (Intoìerance), insinua un tema coagulante già sperimentato nel Signore delle tenebre e nei Nibelunghi: la scenografia 'mesopotamica' e trionfal-operistica. La sua passione per l'esotismo si rivela in questo caso utilissima. Fra il vecchio e il nuovo mondo ce n'è un terzo, l'Asia, a cui lo spirito tedesco deve molto, Schopenhauer a Nietzsche e Hermann Messe, passando per Wagner naturalmente. Freder non è altro che l'incarnazione di Sìddharta. Il principe indiano chiuso nel lusso e negli agi della reggia paterna, un giorno scorge un mercante e improvvisamente si specchia nella realtà del dolore, nell'umanità: qui la sua trasformazione nel Buddha. È un conturbante vento di Sud-Est, portato nel film anche dalla breve ma abbacinante narrazione della leggenda della Torre di Babele. Certo Rotwang assomiglia molto al gobbo Quasimodo in Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, come Maria sembra una nuova Esmeralda. Lang accosta le forme nette di una città del futuro all'architettura dell'universo gotico. Lo scienziato è diviso fra due componenti, il volto che fu di Mabuse separa la sua mano sinistra, di carne e ossa, dalla destra, che è un arto meccanico. Tornano poi i Leitmotiv cari al regista. Il mondo alto (apparire) e il mondo basso (essere), dove un grande orologio amministra il tempo e il lavoro degli operai, per mutarsi in una sanguinaria divinità mediorientale. La dolce pasionarìa Maria opposta al suo doppio artificiale, corrotto e demonìaco. Il robot - levigato, composto e minacciosamente addormentato come un Bodhisattva {Lucas ne ha reso una versione comica e dorata in Guerre stellari) - è un vampiro. Accadeva già in Li/itti uno Ly, ma qui c'è di più. Il ritratto statuario di Hel, che domina la capannuccia espressionista di Rotwang, rappresenta come sempre l'eterno femminino, specchio dell'inconscio: Lilith, Sie, Lio Sha. Spesso la fèmme fatale è anche ballerina, o docile strumento (marionetta) nelle mani dì un sedicente Dottore, che adombra la figura del regista.

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Metropolis (Metropolis), regia: Fritz Lang,

Germania, 1926, durata: 86 min. ca., B/N. Recensione di Sebastiano Ferrigni

Questo film, firmato da uno dei grandi della storia della "settima arte", è uno dei capostipiti del cinema di fantascienza tout court, e c’è chi, forse non a torto, lo vede addirittura come il "nonno" di Blade Runner. Da notare che la versione originale prevedeva più di tre ore di proiezione. La trama: In una megalopoli del XXI secolo, Metropolis appunto, il figlio del potente "controllore" della società, Fredersen, viene folgorato dall’apparizione di una donna (Maria) circondata da numerosi figli di operai. Da questo momento egli decide di interessarsi di quel mondo sotterraneo che socialmente non gli appartiene. Si sostituisce ad un lavoratore e così partecipa ad una delle riunioni clandestine che avvengono nel sottosuolo, dove rivede la stessa Maria che arringa il popolo degli sfruttati. Ma di queste riunioni nascoste viene a conoscenza anche suo padre, John Fredersen, che, con la complicità dello scienziato Rotwang, decide di sostituire Maria con una sua identica controparte robotica femminile, in modo da punire gli operai allagando le loro abitazioni situate sempre sottoterra. Ovviamente il figlio, ormai innamoratosi di Maria, farà di tutto per sventare i malvagi piani di suo padre. A partire dai titoli di testa e dalle primissime scene si comprende come ci si trovi al cospetto di un maestro del cinema e ad un regista che ricorda i prodotti filmati delle avanguardie russe (il cinema cinetico-visivo di Vertov su tutti) riproponendoli sullo schermo, col proprio stile, in un contesto più narrativo. Magistrali le inquadrature iniziali (di imponente quanto sublime forza ritmico-espressiva) sul movimento ossessivo di macchinari che ci introducono immediatamente in un mondo alienato, quasi un ‘Tempi moderni’ chapliniano, disperato e senza humour. Ci viene sbattuto davanti agli occhi, senza alcuna remora, un brulicare di operai-lavoratori in un contesto di massificazione estrema, reso ancora più incisivamente dal fumoso ambiente claustrofobica-mente sotterraneo e chiuso. Di fronte abbiamo degli uomini meccanici i cui movimenti ipnoticamente ritmici ci costringono a pensare di essere in errore e che siano invece macchine dall’aspetto di uomini. L’abbrutimento a cui sono ridotti si ripercuote ovviamente anche al termine del turno di lavoro e, infatti, poco dopo li vediamo scendere delle scale come manichini lobotomizzati mantenendo lo stesso ritmo da catena di montaggio. Da quanto abbiamo visto finora non si fa difficoltà ad immaginarsi il resto del mondo ridotto ad una schiavitù controllata, stile un 1984 di orwelliana memoria, ma ancora una volta Fritz Lang ci sorprende inserendo improvvisamente per contrasto una scena bucolica all’ecces-so dove è possibile vedere (per la prima ed unica volta nel film) un prato erboso con, addirittura, candidi animali svolazzanti, che fanno da sfondo ad una ridicola schermaglia amorosa. Si tratta di uno squarcio del mondo in superficie dei padroni, ma di nuovo il regista applica una brusca inversione inserendo anche qui un elemento inquietante: l’improvvisa apparizione di una donna attorniata da un nugolo di bambini visibilmente poveri, che incrina irrimediabilmente l’idilliaca atmosfera. È un inizio da 11 premi Oscar.

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Nelle catacombe al di sotto della città, intanto, si diffonde, tra candele e croci, il nuovo verbo di una, per adesso almeno, pacifica rivolta operaia. La profetessa di questa sovversione è naturalmente la stessa protagonista femminile che curiosamente utilizza parabole bibliche (la torre di Babele) per sottolineare, come un propagandista dell’ateo comunismo, l’ingiusta e crudele divisione fra le classi sociali, ma allo stesso tempo (un po’ irragionevolmente diremmo noi) frena chi vorrebbe andare allo scontro frontale con i dominatori. Forse anche perché nel ’26 bisognava essere prudenti, Lang suggerisce tramite le parole di Maria, un incitamento alla rivolta e alla sovversione dello status quo, ma poi ne smussa (o ne nasconde) la radicalità con l’affermazione conclusiva in cui si dice che bisognerà però aspettare un non ben specificato "intermediario" (La classe borghese? L’amore fraterno?), citiamo: "Fra la mente che progetta e il braccio che agisce ci deve essere un mediatore. È il cuore che ci deve far andare d’accordo". Lang ne approfitta, sempre sviluppando la situazione, per inserire alcune scene da capolavoro: si veda l’inseguimento tra lo scienziato e Maria, nelle caverne, avvolti dalla più completa oscurità dove solo il fascio di luce della torcia elettrica dell’inseguitore che taglia il buio assoluto e la telecamera traballante bastano a trasmetterci una tensione degna di un thriller-horror dei giorni nostri. Si tratta anche in questo caso di grandi riprese degne di un grande regista. Da sottolineare alcune intuizioni scientifico-futuristiche che, per l’epoca a cui risale la pellicola, dovevano apparire come altamente visionarie; nel film, infatti, si possono notare tra l’altro: una rotaia sospesa nel vuoto tra grattacieli, un videotelefono, una mano artificiale dello scienziato (sicuramente uno dei primi antenati degli attuali superaccessoriati cyborg), oltre che ovviamente il robot utilizzato per lo scambio di persona, procedimento questo che, anche se oggigiorno appare quantomeno ingenuo e poco credibile, non deve impedirci di apprezzare la linea estremamente moderna ed attuale nel design dell’automa, soprattutto se paragonata a ciò che vedremo in moltissimi film di anni seguenti. Dopo la sostituzione tra donna e macchina, Lang ci offre, a riprova del suo coraggio di osare (e della sua abilità nel farlo), la trasformazione dell’apostola degli operai in una lasciva Salomè, poiché, per provare la sua verosimiglianza, al robot viene richiesto di ingannare tutti; e quale migliore dimostrazione di umanità, da parte di una macchina, del suscitare desideri prettamente carnali? Ma il genio del regista tedesco non si ferma qui e, in un montaggio serrato, inserisce immagini da delirio degne del miglior cinema surrealista (F. Leger, Man Ray, tra gli altri) costringendo, in un coinvolgente incubo onirico, gli occhi dello spettatore ad incrociarsi con le decine di occhi sullo schermo che scrutano lascivi la robotica ballerina. Altro momento topico del film si avverte quando gli operai, precedentemente istigati alla rivolta, in un crescendo di immagini di distruzione, si lasciano trasportare da un irrefrenabile moto di nichilismo luddista, mentre intanto noi veniamo guidati all’interno di una grottesca scena di festa nell’alta società dove, in una scatenata frenesia contagiosa, il robot-Maria esclama euforicamente: "Guardiamo il mondo andare in rovina!", circondata da gaudenti sorrisi. Ancora ennesimi, originali, inaspettati e geniali movimenti della macchina da presa ci conducono tra esplosioni, luoghi disastrati pieni di fumo ed allagamenti. La tensione accumulata si scioglie nel finale in una conciliazione che non convince (rappresentata da un’incerta stretta di mano) con annessa una morale consolatoria, forse inevitabile per gli anni in cui Metropolis fu girato: "Soltanto se il cuore li guida, la pace e la comprensione regneranno tra gli uomini". In una più che plausibile scenografia, influenzata dai movimenti epressionisti tedeschi, Fritz Lang ci propone una critica feroce alla inciviltà industriale che per certi versi rimane sorprendentemente tuttora attuale. Certo, la recitazione caricata ed eccessiva del protagonista maschile (anche se controbilanciata da quella egregiamente glaciale e misurata del "tiranno") risulta inesorabilmente comica ad un pubblico a noi contemporaneo, e costringe giocoforza a sorridere di quelle comiche smorfie facciali (qualche volta necessarie ed inevitabili nel cinema muto), ma questo non deve impedirci di godere della visione di questo progenitore nobile del cinema di fantascienza (e non solo). P.S.: Da evitare accuratamente la versione "restaurata" (si fa per dire) da Giorgio Moroder che, acquistati i diritti nel 1984, modifica le didascalie originali ed inserisce musiche rock ed elettroniche per una colonna sonora tanto modernizzata quanto fuori luogo.

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10 gennaio 2012 - Lorenzo Mannella (Wired.it)

Ci sono immagini che non si possono dimenticare. All'alba della grande depressione del 1929, vedere una schiera di lavoratori alienati costretti a marciare in un tunnel sotterraneo deve aver fatto una certa impressione. Era il 10 gennaio 1927, e sugli schermi dei cinematografi di Berlino veniva proiettato per la prima volta il film muto Metropolis. Oltre a essere uno dei capolavori indiscussi del regista austriaco Fritz Lang, la pellicola ha contribuito alla nascita del cinema fantascientifico. Prima ancora che la Germania sprofondasse nell'incubo nazista, la repubblica di Weimar aveva dato largo spazio alle produzioni artistiche di qualità, e la pellicola di Lang è senza dubbio uno dei prodotti più significativi dell'epoca. La storia è ambientata in una megalopoli governata da una classe dirigente dispotica, una sorta di super città futuristica che prospera sullo sfruttamento dei lavoratori più poveri. Un misto di anticapitalismo, tradizione biblica e leggende ebraiche infusi in un capolavoro di due ore e mezza. Il fulcro della narrazione ruota intorno all'inganno messo in atto dal perfido scienziato Rotwang in combutta con il reggente della città, Fredersen, che teme una rivolta operaia. Per soffocare l'impeto di ribellione, Rotwang rapisce Maria, leader ispiratrice dei lavoratori, e ne clona l'aspetto servendosi di un androide (o meglio ginoide, visto che ha apparenza femminile) ai suoi comandi: un golem senza cuore sguinzagliato per la città con il solo scopo di seminare la discordia e gettare in rovina l'intera Metropolis. Il film - girato allora con un budget astronomico di quelli che adesso sarebbero 15 milioni di dollari - è stato anche un grande laboratorio di effetti speciali. Le riprese sul set della megalopoli sono state girate grazie a una tecnica chiamata effetto Schüfftan, che attraverso un gioco di specchi permetteva di ricreare scenografie imponenti con spese minime. Inoltre, per volere di Lang, l'attrice protagonista Brigitte Helm interpretò sia la parte di Maria che quella del robot, indossando un costume futuristico realizzato su misura. Dettagli a parte, il costume della Helm era tanto scomodo e opprimente da procurarle tagli e abrasioni su tutto il corpo. Nonostante il grande impatto visivo e la trama visionaria, la pellicola di Lang non riscosse un grande successo in Germania. Alla critica non era piaciuta affatto la forte carica retorica del film, a tratti considerata quasi eccessiva. Deve essere proprio per questi motivi che il film entusiasmò ben altri personaggi: Adolf Hitler e Joseph Goebbels rimasero piacevolmente colpiti dal potere espressivo di Metropolis. L'improvviso interesse mostrato nei confronti della sua opera da parte degli esponenti del partito nazional-socialista disgustò profondamente Lang. In seguito all'ascesa del nazismo il regista, nel timore di essere perseguitato per le proprie origini ebraiche, lasciò il paese e fuggì prima a Parigi (1934) e, successivamente, negli Stati Uniti. Si lasciò alle spalle anche il matrimonio con l'attrice Thea von Harbou – simpatizzante filonazista – con cui aveva scritto il soggetto del film. Per fortuna, negli Stati Uniti Metropolis aveva riscosso un successo strepitoso e per Lang fu facile sfruttare il successo della sua opera per diventare un grande regista di Hollywood. Tuttavia, nelle sale americane (come in quelle europee) furono diffuse fin da subito delle versioni pesantemente ritoccate. Oltre ad accorciare le 2 ore e mezza di film, i cinema avevano deciso di proiettare la pellicola a 24 fotogrammi al secondo (fps) piuttosto che a 16 fps. Dopo aver sconvolto il ritmo del film, anche il montaggio subì delle modifiche estese, che portarono alla eliminazione di intere scene. Nonostante tutto, Metropolis si affermò come una delle icone del XX secolo. I Queen inclusero vari spezzoni del film nel video del loro singolo Radio Ga Ga, mentre il mondo del cinema trasse ispirazione da più di uno dei personaggi della pellicola: basta pensare alla somiglianza tra Maria e C-3PO (il robot di Star Wars). La consacrazione definitiva della pellicola di Lang avvenne nel 2001, quando l'Unesco riconobbe come patrimonio dell'umanità una versione del film molto rispondente all'originale ricostruita grazie al lavoro della Friedrich Wilhelm Murnau Foundation. Sette anni più tardi, negli archivi del Museo del Cine di Buenos Aires vennero ritrovati dei negativi originali che si pensavano ormai perduti. Dopo una lunga opera di restauro, Metropolis venne proiettato al festival di Berlino nel 2010 in una versione da 154 minuti con tanto di colonna sonora eseguita dal vivo. Un vero spettacolo!