microcouseling e mmicrocoaching

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Enrichetta Spalletta - Flavia Germano STRUMENTI

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Il testo introduce alle tecniche di base per l'agevolazione e il sostegno nel MicroCounseling e nel MicroCoaching. Vengono presentati gli interventi essenziali per consentire una preparazione propedeutica ai corsi professionali sia di Counseling che di MentalCoaching.

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Enrichetta Spalletta - Flavia Germano

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Il testo introduce alle tecniche

di base per l'agevolazione e il sostegno

nel MicroCounseling e nel MicroCoaching.

Vengono presentati gli interventi essenziali

per consentire una preparazione

propedeutica ai corsi professionali

sia di Counseling che di MentalCoaching.

Euro 35,00

S T R U M E N T I

Enrichetta Spalletta,Psicologa, psicoterapeuta e supervisore clinico presso l’ASPIC di Roma, dirige iMaster in MentalCoaching, in Counseling, Psicologia e Clinica dello Sviluppo ein Counseling & Cibo. Ha pubblicato diversi articoli di ricerca scientifica,coautrice dei testi “La Supervisione clinica integrata”, “Counseling scolasticointegrato”.

Flavia Germano,Psicologa e psicoterapeuta specializzata presso l’Harvard Medical School diBoston e l’Aspic di Roma, si occupa da diversi anni di Life and PersonalCoaching. È coordinatrice didattica del Master in MentalCoaching. Presso lestesse edizioni ha pubblicato nel 2003 “Etica del con-tatto fisico in psicoterapiae nel counseling” e “Terapia della rabbia”.

F0008_Cop MicroCouns (S) 12-06-2006 15:43 Pagina 1

collana Psicoterapia & Counselingdiretta da Edoardo Giusti

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Centro Europeo di Ricercheper lo Studio delle Psicoterapie

Integrate e Comparate

PSICOTERAPIA�

COUNSELING�

Enrichetta Spalletta - Flavia Germano

MICROCOUNSELINGe

MICROCOACHING

Manuale operativo di strategie breviper la motivazione al cambiamento

© 2006 SOVERA MULTIMEDIA s.r.l.Via Vincenzo Brunacci, 55/55A - 00146 RomaTel. (06) 5585265 - 5562429www.soveraedizioni.come-mail: [email protected]

I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale (compresi i microfilm ele copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

Indice

Prefazione

IntroduzioneCounseling & coaching: confronto e integrazionedi sistemi professionali

Il counselingIl coaching: dal campo sportivo all’azienda, alla vitaE il MentalCoaching?Elementi di comunanza e di differenzaLeggere il testo: istruzioni per l’uso

Capitolo 1Le radici comuni dell’integrazione pluralisticanel counseling e nel coaching1.1. La Psicologia Umanistica: da Rogers agli sviluppi più recenti

1.1.1.Punti forza e limiti dell’approccio umanistico1.2. La responsabilità nello scolpire la propria vita: l’approccio fenome-

nologico-esistenziale1.2.1.Concetti utili nel counseling e nel coaching 1.2.2.Punti forza, limiti e applicazioni dell’approccio fenomenolo-

gico-esistenziale nel counseling e nel coaching integrato 1.3. Il presente incontra il passato: evoluzioni e attualità delle esperien-

ze originarie 1.3.1.In principio fu…il legame primario1.3.2.Aspetti psicodinamici utili alla pratica del counseling e del

coaching nell’approccio integrato1.4. Puntare all’obiettivo, trovare strategie alternative: usare la ragione

per cambiare1.4.1.Quando e come applicare elementi cognitivo-comportamen-

tali nell’approccio integrato1.5. Aggiornare la mappa per esplorare il territorio: il contributo della

Programmazione NeuroLinguistica al processo di cambiamentonella relazione di aiuto

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1.5.1.I Metaprogrammi1.5.2.Creare rapport

1.6. Attraversando il momento presente: la consapevolezza nel Qui &Ora1.6.1.Tecniche di Gestalt nel counseling e nel coaching

1.7. I giochi che giochiamo: riconoscere i copioni per orientare il futu-ro1.7.1.Ingiunzioni e decisioni precoci: comprendere l’influenza del-

le origini sulla quotidianità 1.7.2.Decidere e ridecidere la vita: il contributo dell’Analisi Transa-

zionale al cambiamento efficace1.8. Il punto di vista interpersonale1.9. Quando uno più uno fa più di due: la persona nei suoi sistemi 1.10. Pluralismo e Integrazione: concetti chiave

Capitolo 2Counseling e coaching: risorse per il benessere

2.1. Relazione di aiuto autosostegno e qualità della vita2.2. Sviluppare il piano personale di benessere con il life-coaching 2.3. Le ricchezze dell’empowerment nel counseling e nel coaching

Capitolo 3Il modello operativo: la struttura e la metodologia

3.1. L’organizzazione evolutiva: gli stadi del processo di agevolazione3.1.1.Passo dopo passo verso l’obiettivo

3.2. Componenti essenziali del cambiamento 3.2.1.La relazione qualitativa e il suo cuore propulsivo: i fattori co-

muni3.2.2.Transfert e controtransfert nella relazione di counseling e in

quella di coaching3.2.3.Specificità della relazione coach-coachee3.2.4.Il focus emotivo 3.2.5.Il focus comportamentale 3.2.6.Il focus cognitivo e lo sviluppo della competenza autoriflessi-

va

Capitolo 4Competenze tecnico-procedurali

4.1. L’ascolto, la parola, il silenzio: fondamenti della prassi comunicati-va

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4.1.1.L’importanza del modo in cui ci si esprime 4.1.2.La comunicazione non verbale 4.1.3.Parlare, capire, farsi capire: sintonizzarsi con i canali comu-

nicativi 4.1.4.Pensieri, parole e azioni efficaci e inefficaci4.1.5.Il feedback 4.1.6.L’arte “semplice” della riformulazione

4.2. La comunicazione nel counseling e nel coaching4.2.1.Accettazione incondizionata, autenticità, congruenza 4.2.2.La comunicazione e la comprensione empatica 4.2.3.Il linguaggio dell’empatia 4.2.4.La riflessione dei sentimenti

Capitolo 5La prassi evolutiva: lo sviluppo progressivo della relazionedal primo contatto ai saluti

5.1. Selezionare, implementare e monitorare il piano di intervento piùappropriato5.1.1.La fase dell’accoglienza esplorativa: delineare una base suffi-

cientemente sicura e attivare energie e risorse verso gli obiettivi 5.1.2.“Il primo incontro non si scorda mai”: il valore dei primi pas-

si in vista dell’arrivo5.1.3.Analisi della domanda e progettualità: dallo scenario attuale

a quello possibile attraverso una definizione condivisa delproblema-obiettivo

5.1.4.Le regole del setting, la formulazione del contratto, l’avviodell’alleanza

5.1.5.L’assessment iniziale orientativo e la raccolta delle informa-zioni significative

5.1.6.Strumenti di descrizione anamnestica per il counselor: il ge-nogramma, l’album fotografico, le tecniche espressivo-creati-ve, le tecniche grafiche e quelle per la descrizione autocono-scitiva

5.1.7.Valutare l’adattabilità del cliente al percorso di counseling odi coaching

5.2. Prepararsi al cambiamento: nuove prospettive verso obiettivi rag-giungibili5.2.1.Strategie di azione verso la meta, utilizzando il brainstorming5.2.2.Il problema come un’occasione per attivare la mente creativa

e l’energia positiva

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5.2.3.Curiosità, interesse, spinta intenzionale e timore, rifiuto, resi-stenza al cambiamento: la naturale altalena di fronte al nuo-vo scenario

5.3. L’autosostegno proattivo per crescere e misurarsi con sé, nel proprioambiente 5.3.1.Cambiare nelle parole e nelle azioni 5.3.2.Cambiare con i pensieri 5.3.3.Cambiare con il cuore

5.4. Imparare a costruire legami per potersi separare: la conclusione del-la relazione nel counseling e nel coaching 5.4.1.Mantenere il cambiamento 5.4.2.Quando concludere la relazione?

Capitolo 6La supervisione nel counseling e nel coaching

6.1. Significati e scopi della supervisione 6.1.1.La relazione nel processo di supervisione6.1.2.Valutazione del supervisionato6.1.3.Stadi e competenze in supervisione6.1.4.Il modello SAS

APPENDICE ARaccolta di strumenti di minitoraggio e supporto della relazione di aiuto

APPENDICE BSchede di supervisione

Bibliografia

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Il testo si rivolge a neofiti della relazione di aiuto espressa nella sua formadi sostegno e orientamento nel setting del counseling e come programma spe-cifico di empowerment e miglioramento delle prestazioni nella vita professio-nale e personale nel MentalCoaching.

L’approccio cui si fa riferimento è quello pluralistico integrato. La sfida for-mativa e professionale che questo approccio propone è molto complessa. Sitratta infatti di impostare piani di intervento in cui ci siano senso e congruenzateorica, strategie selezionate e tecniche elettive la cui composizione nel lavo-ro relazionale dovrà rispettare le indicazioni della ricerca.

Altro livello della sfida riguarda i confini dell’azione professionale entro iquali il counselor e il coach devono mantenere il loro intervento.

L’elaborazione del testo è frutto dell’esperienza professionale diretta, del-l’attività formativa in questi ambiti condotta ormai da circa 15 anni e della con-tinua attività di ricerca e aggiornamento nella letteratura internazionale.

Lo spirito che ha guidato la composizione è stato quello di offrire un sup-porto utile a livello metodologico e pratico a quanti si avvicinano all’acquisi-zione di counseling skill basilari e a quanti siano curiosi di conoscere più ap-profonditamente il mondo variegato, duttile, vivace, creativo ed emergente delcoaching. Nel testo si fa riferimento ad un’espressione specifica che è quella diMentalCoaching, approccio che incorpora, come il Coaching, i saperi dellapsicologia, del business, della filosofia e della spiritualità, avvalendosi inoltredi una metodologia e di strumenti tratti e riadattati da un’accurata selezione diprincipi attivi della relazione d’aiuto e della psicoterapia. La specificità delMentalCoaching rispetto ad altri percorsi formativi è proprio quella di non es-sere focalizzato esclusivamente sul mondo aziendale, ma di permettere mag-giori opportunità di utilizzo anche in altri contesti; questo significa essere ingrado di fare una buona analisi della domanda rispetto alle questioni che ilcliente porta, di avere a disposizione un’ampia gamma di strumenti e tecnichein modo da poterli utilizzare in modo flessibile e soprattutto di essere in grado

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Prefazione

di proporre “confini” operativi chiari e sicuri rispetto alla definizione dei con-tratti con i propri clienti.

Esistendo delle aree di comunicazione tra counseling e coaching, nel testoi termini verranno citati insieme. Quando invece si fa riferimento a tematichein cui i due setting differiscono, verrà usato il termine di appartenenza specifi-ca.

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Il counseling

Il counseling è una pratica professionale svolta all’interno di una relazionedefinita da un contratto, che consente ai clienti (individui, gruppi, sistemi) disviluppare il proprio potenziale, l’autonomia personale, professionale e cultu-rale per gestire al meglio le proprie risorse nella risoluzione di problemi sog-gettivi e interpersonali; favorisce la promozione del benessere, la prevenzionedel disagio psico-sociale, l’aiuto e l’orientamento psicologico in campo perso-nale, sociale e professionale agevolando lo sviluppo dell’identità e delle attitu-dini dell’individuo considerato in interazione costante con il suo contesto diappartenenza (Tolan, 2003).

Si può definire come:• una relazione d’aiuto professionale che si presta come strumento versa-

tile per tutti coloro che sono impegnati nell’aiutare persone, gruppi e co-munità;

• uno spazio d’ascolto, supporto e orientamento all’interno di una rela-zione basata sul riconoscimento, sul rispetto e sulla congruenza;

• una scienza e al tempo stesso anche un’arte: una scienza perché le co-noscenze sul comportamento umano e le strategie d’aiuto sono frutto dimodelli strutturati secondo i criteri di misurabilità, oggettività e riprodu-cibilità; un’arte perché le caratteristiche di personalità, i valori e le ca-pacità del counselor, la sua abilità nel relazionarsi e sintonizzarsi con ilcliente sono variabili difficilmente misurabili ma tuttavia fondamentali enecessarie nel processo di counseling.

Le azioni del counseling: orientare, agevolare, contenere, sostenere.Il counseling è focalizzato sul concetto di salute, non più inteso come as-

senza di malattia, ma come sviluppo e promozione del benessere della perso-na. I concetti basilari di autonomia, libertà, autorealizzazione, olismo, em-powerment promuovono la comprensione dell’individuo e del suo contesto co-me un tutto che interagisce sinergicamente. Il processo di cambiamento pone

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IntroduzioneCounseling & coaching:

confronto e integrazionedi sistemi professionali

l’accento sulla necessità di considerare l’individuo inserito nel suo contesto,con le sue assunzioni e i significati da lui condivisi. Per mantenere e sviluppa-re il benessere fisico, mentale e sociale, il cambiamento richiede continue ri-definizioni della relazione a livello soggettivo e interpersonale (Sommers-Fla-nagan, 2004).

A partire dagli anni Sessanta c’è stata una progressiva evoluzione degli ap-procci di counseling. Da una prospettiva prevalentemente focalizzata sulla so-luzione del problema si è passati ad approcci integrati di più ampia fruibilità evalidità teorico-pratica. L’approccio integrato permette di abbracciare una va-rietà di concetti teorici e di strategie d’intervento, che possono adattarsi allasvariata tipologia dei clienti e delle loro richieste, mettendo in evidenza la qua-lità della relazione come principale fattore di incidenza nella riuscita del pro-cesso d’aiuto (Corey, 2001).

Il counselor può essere definito come colui che accoglie e agevola la per-sona nella scoperta del proprio potenziale promuovendo la sicurezza di sé e lasensazione di auto-efficacia; è un professionista qualificato che lavora in mo-do indipendente o in collaborazione con altre figure. Possiede conoscenze ver-satili e utilizzabili in vari settori, ha assimilato e padroneggia teorie e tecnichedei principali modelli operativi per poter facilitare la persona che si rivolge alui (Giusti, Taranto, 2004). Il cambiamento, infatti, richiede l’integrazione ditutte le dimensioni dell’espressione umana: sensoriale, affettiva, cognitiva, so-ciale e spirituale, il counselor entra in sintonia con ognuna di queste dimen-sioni, aiutando così il cliente a divenire responsabile dei propri pensieri, senti-menti e comportamenti, riducendo le contraddizioni e favorendone il benesse-re personale e sociale. Il counselor adatta e monitorizza i propri interventi instretta correlazione con le caratteristiche specifiche del cliente, quali la consa-pevolezza del problema e l’intenzionalità motivazionale al cambiamento, ilgrado di problematicità presentata, il suo sistema di preferenze e aspettativeverso il counselor, la fiducia/reattanza nella relazione, lo stile di coping, l’o-rientamento autocentrato/sociocentrato, lo stile di attaccamento e la disponibi-lità di una rete di supporto sociale (Di Fabio, 1999, 2003).

Il fattore più importante nel processo di cambiamento è costituito dalla re-lazione nei suoi aspetti strutturali (setting, regole, contratto) e interpersonali(empatia, alleanza, sintonizzazione, fiducia). Il counseling favorisce l’auto-esplorazione e l’auto-consapevolezza da parte del cliente e l’agevolatore im-parerà come essere in grado di tollerare la sofferenza propria e quella del clien-te senza rifugiarsi in false rassicurazioni (Littrell, 2001). Se percepisce che ètroppo distante rispetto a un cliente, che non può favorirne l’esplorazione, èopportuno che decida per un invio ad un altro collega (Murgatroyd, 1995).

Il counselor formato in un’ottica di integrazione pluralistica crede profon-damente che le persone siano in grado di (AA.VV., 2003):

Introduzione

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– prendere decisioni ed assumersene la responsabilità;– dirigere la propria vita anche se sono influenzate da variabili ambienta-

li, biologiche o di personalità;– assumere comportamenti intenzionali e finalizzati.L’apprendimento delle tecniche può sembrare inizialmente un processo ar-

tificioso e meccanico, ma attraverso la formazione e la pratica, tali tecnichevengono gradualmente assimilate finché il counselor sarà in grado di persona-lizzarle nel modo che più gli corrisponde. Ogni counselor, infatti, inizierà conl’apprendere i principi e le procedure di base dei modelli di counseling non di-rettivo rogersiano e semidirettivo gestaltico (Clarkson, 1992). Proseguirà con glialtri principali modelli contemporanei: dal sistemico-relazionale al cognitivo-comportamentale, da quello psicodinamico al multimodale e cercherà di do-sarli e adattarli alla sua personalità, fino all’elaborazione creativa di uno stilein sintonia con il proprio modo di essere, integrando il sapere con il saper es-sere con sé e con l’Altro, per un counseling versatile e mirato (Giusti, Mattac-chini, Merli, Montanari, 1993).

Il coaching: dal campo sportivo all’azienda, alla vita

Il coaching è una forma personalizzata di accompagnamento professiona-le, individuale o di gruppo, tesa ad armonizzare l’essere nella vita privata e aottimizzare il rendimento nel fare professionale. Il coaching aiuta a:

– ristrutturare credenze, convinzioni e pregiudizi auto-limitanti;– valorizzare e potenziare le risorse interne già presenti in ognuno; – chiarire e raggiungere più efficacemente obiettivi e mete;– liberare l’entusiasmo e la creatività inespressa.Il coach è un training partner del cambiamento, una guida esperta e moti-

vante nell’acquisizione di abilità e competenze, che si trova a lavorare con ilcoachee principalmente su tre livelli che si influenzano a vicenda (ad.to da:Giusti, Taranto, 2004).

Al livello della sfera personale:• si incrementano le capacità relazionali e propositive; • si sviluppa un miglior bilanciamento tra vita lavorativa e privata;• si migliora la capacità di gestire specifiche abilità comunicative e rela-

zionali; • si accresce l’autostima e la sensazione di successo personale.Al livello della sfera professionale:• si sviluppano e si utilizzano le potenzialità tecniche;• si accresce la motivazione ad accettare le sfide professionali;• si facilita l’orientamento verso una nuova professione;

Counseling & coaching

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• si agevola lo sviluppo e l’accesso a percorsi di carriera;• si rafforza un pensiero imprenditoriale;• si promuove una performance focalizzata e lo sviluppo di nuove skill.Al livello della sfera organizzativa: • vengono enfatizzati l’unicità e il potenziale delle risorse umane;• si agevola un sensibile miglioramento nella ricerca e nella fidelizzazio-

ne delle migliori risorse; • si offre una piattaforma per l’evoluzione organizzativa e uno strumento

per creare e consolidare network e partnership sia interne che esterne;• ci si rivolge non solo agli individui, ma anche ai team;• si completa e si permette la continua evoluzione costruttiva di vari pro-

cessi organizzativi;• si migliora la comunicazione con i clienti interni ed esterni;• si facilita la costruzione di una visione condivisa.

Il coaching, sia a livello personale che a livello delle organizzazioni, aiutaquindi a gestire esperienze lavorative temporanee con maggiore elasticità emaggiore slancio, a trovare le strategie migliori per far fronte alle difficoltà e aicontinui cambiamenti, aumentando la capacità di rinnovamento e la flessibi-lità, scoprendo al tempo stesso le risorse per mantenere una stabilità nel rag-giungere i propri obiettivi: favorisce cioè lo sviluppo della capacità di autoge-stione nell’individuo (Fairley, Stout, 2004).

Il termine coach deriva originariamente dal nome di una particolare car-rozza rinascimentale per assumere dopo vari secoli, nella lingua inglese, unnuovo significato, quello di allenatore sportivo (Shipley, 1979). Ambedue as-solvono, ad ogni modo, alla stessa funzione: quella di accompagnare una per-sona/uno sportivo o un gruppo/una squadra da un determinato punto di par-tenza a una meta stabilita. Il coach dunque è l’allenatore, colui che incita emotiva l’atleta alla gara o porta un gruppo di persone a diventare una squadravincente; e coaching significa, per esprimerlo con termini di Gallwey (2000),liberare le potenzialità di una persona perché riesca a portare al massimo il suorendimento; aiutarla ad apprendere piuttosto che limitarsi a impartirle insegna-menti (Whitmore, 2003).

Risultati derivanti da un percorso di coaching (Zanardi, 2000; Fatali et al.,2002):

• chiarezza e focalizzazione di obiettivi concreti e specifici;• elaborazione e monitoraggio di programmi concreti;• sviluppo creativo delle scelte, delle azioni e dei risultati da raggiungere;• aumento della propria capacità di autovalutazione e flessibilità;• allenamento a nuove modalità di essere e di fare;• maggiori competenze specifiche, tecniche e relazionali;

Introduzione

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• aumentata fiducia nelle proprie capacità di superare gli ostacoli e moti-vazione e impegno nel raggiungimento degli obiettivi.

Il coaching, come il counseling, è una nuova professione in costante espan-sione a livello internazionale che affonda le sue radici nell’ambito sportivo, siespande a quello aziendale e arriva oggi a operare in una molteplicità di am-biti e con tipologie di clienti del tutto eterogenee (Stevens, 2005). Il coach inogni ambito rimane, comunque, un training partner del cambiamento, in gra-do di svolgere una funzione di guida esperta nel processo di cambiamento emotivante nell’acquisizione di nuove abilità e competenze. Così come ogniatleta ha il suo coach, anche nelle aziende un numero sempre più consistentedi individui, per migliorare al massimo le proprie performance e per crescerecome persona, lavora con questa figura che accompagna valorizzando il ta-lento, stimando le potenzialità e valutando gli ostacoli, tattici o psicologici, dasuperare (Whithworth, Kimsey-House, Sandahl, 1998).

L’importanza del ruolo di questo accompagnatore non costituisce certo unanovità: Socrate circa duemila anni fa affermava le stesse idee, e anche se sonosempre esistiti dirigenti d’azienda in piena sintonia con i presupposti del me-todo socratico, non hanno poi dimostrato una disponibilità verso i modelli diapplicazione pratica del coaching, nonostante le tesi accademiche ne soste-nessero il valore (Whitmore, 2003). Tim Gallwey (1997, 1998, 2000) è statoforse il primo che, grazie a un metodo di coaching in sé molto semplice e tut-tavia esauriente e applicabile all’istante in quasi ogni situazione, è riuscito aportare il coaching dal campo sportivo, nel suo caso di tennis e golf, all’azien-da. Inizialmente non ha cercato di insegnare il coaching, ma piuttosto di indi-viduare quelle particolari difficoltà più frequentemente incontrate sia nellosport che nel lavoro, offrendo una traccia per poterle superare solamente conle proprie forze. Forse non è neanche un caso che proprio in questi decenni ilcoaching si sia potuto espandere e possa godere di così tanto successo. Il mon-do del lavoro somiglia sempre di più a ciò che avviene in un campo sportivoper alcune caratteristiche e bisogni: l’incessante e incrementata competizione,la necessità di dover sempre migliorare, essere più veloci ed efficienti, e al tem-po stesso dover saper giocare bene in squadra, sapere gestire l’emotività, lostress, conoscere le tecniche, acquisire sempre più abilità e controllo, ecc.(Goldsmith, Lyons, Freas, 2000). In tal senso, il coaching è un metodo finaliz-zato al miglioramento della performance, tramite lo sviluppo delle potenzialitàpersonali, che permette al cliente di apprendere una più consapevole e flessi-bile modalità di lettura di sé e della situazione nella quale opera; consente difacilitare il raggiungimento di obiettivi in maniera ottimale, declinandoli crea-tivamente in una serie di scelte, azioni, risultati, valutando costi e benefici econsiderando elementi che permettono sia alti livelli di efficienza che di effi-cacia (McLeod, 2003).

Counseling & coaching

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La sua finalità è l’elaborazione e il monitoraggio di programmi concreti diautosviluppo e autoefficacia, una partnership orientata ai risultati tenendo con-to, per riprendere Gallwey (1997), che la performance equivale al potenzialemeno l’interferenza.

Nonostante la figura del coach sia ormai “integrata” nel mondo aziendale,la descrizione e definizione del suo ruolo non accomuna tutti: per alcuni, adesempio, è un consulente esterno che guida i manager dell’organizzazione ver-so il raggiungimento di obiettivi (Zanardi, 2000; Kilburg, 2000; Hudson, 1999);per altri un appellativo per il manager stesso che indirizza e favorisce lo svi-luppo nei suoi collaboratori (Lawson, 1999; Intonti, 2000; Amietta, 2000; Lenz,Ellebracht, Osterhold, 2000). I coach, ad ogni modo, lavorano con i loro clien-ti su una vasta gamma di aspetti che variano dalla leadership alle questioni in-terne e specifiche dell’organizzazione, alle questioni finanziarie e a quelle re-lative al management; obiettivi lavorativi che sottendono una profonda cono-scenza, da parte del coach, delle componenti relative alla motivazione e al-l’automotivazione. In una recente ricerca svolta da Training and Development(2004), è emerso che il 79% delle aziende in Gran Bretagna utilizza il coachingper i seguenti tre principali motivi:

• migliorare la performance individuale;• affrontare il basso profilo dell’azienda;• aumentare la produttività.“Dal professionista collaudato, abituato a decidere in grande autonomia, al-

l’imprenditore che si è costruito un impero in totale solitudine; dal giovane ma-nager rampante desideroso di correre a grandi balzi verso fama e successo, alfunzionario appena promosso, timoroso di non farcela, al nuovo elemento delmutevole mondo lavorativo che non sa come cominciare la propria carriera dasogno. Il coaching permette di pianificare il proprio percorso professionale, difronteggiare difficili situazioni in cui il cambiamento è una necessità e di af-frontare nuove inaspettate responsabilità. Nella costruzione dei team di lavoro,nella struttura dei gruppi che nascono e finiscono nell’arco di un progetto, nel-l’impasto e nella manutenzione dei team che collaborano da sempre e da sem-pre sono in perenne conflitto” (www.manager.it). Vanno anche aggiunti alla li-sta i neo-laureati che, nell’odierno contesto socio-politico, in cui la stabilità halasciato il terreno alle continue innovazioni tecnologiche, agli sconvolgimentipolitici, alle crisi finanziarie a livello globale, hanno una prospettiva di cam-biare durante la loro vita circa 6-8 volte il posto di lavoro (Valerio, Lee, 2005).Il coaching in tal senso può aiutare “a imparare a gestire tali cambiamenti inmaniera positiva, cercando di entrare e uscire da diversi scenari lavorativi man-tenendo un certo livello di autostima e di fiducia in se stessi e cercando di com-binare le abilità e le capacità insite in ognuno di noi con i diversi scenari la-vorativi” (Hudson, 1999).

Introduzione

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Di seguito sono descritti i principali obiettivi che i clienti desiderano rag-giungere con un business-coach (adattato da www.coachville.com):

� Sviluppo della professione• Sviluppare una piena attività di successo• Gestire meglio i clienti• Incrementare i guadagni• Individuare ed eliminare costi inutili• Sviluppare una buona reputazione professionale

� Sviluppo degli affari• Iniziare una nuova attività• Incrementare i profitti • Sviluppare strategie e piani di azione • Avere successo con una piccola impresa o una cooperativa• Costruire una cultura di cooperazione dei manager• Stabilire obiettivi a medio e lungo termine

Mentre in Italia il coaching si è particolarmente sviluppato soprattutto neicontesti organizzativi, in altri paesi si è diffuso, da ormai diversi anni, in unavarietà di contesti disparati. Probabilmente questa espansione è potuta avveni-re grazie ad un terreno preparato da una cultura sempre più positivistica, aper-ta a realtà quali la salutogenesi, la prevenzione, l’empowerment, l’intelligenzaemotiva, tanto per nominarne alcune (Zucconi, Howell, 2003; Seligman, 2002;Francescato, Giusti, 1999). Anche le stesse pubblicazioni di Gallwey sonocoincise con la comparsa nelle scienze psicologiche di un modello di psicheumana assai più ottimistico di quello offerto dalle precedenti concezioni psi-codinamiche e comportamentiste, secondo le quali, in maniera diversa, l’uo-mo è un essere condizionato e in balia di forze ed eventi incontrollabili. “Ilnuovo modello proponeva invece una visione degli esseri umani simile a unaghianda, che racchiudeva in sé tutte le potenzialità per trasformarsi in uno stu-pendo albero di quercia. Per procedere nel nostro cammino abbiamo bisognodi nutrimento, di incoraggiamento e di luce, ma l’essenza della quercia è giàdentro di noi” (Whithmore, 2003).

Il coaching quindi, partendo dall’ambito sportivo e aziendale, si sposta aquello personale, portando con sé il suo bagaglio di strumenti e tecniche e altempo stesso adeguandosi a una nuova prospettiva. Per utilizzare i termini diVarriale e Simonelli (2004), c’è uno spostamento da un coaching maggior-mente operativo a uno più ispirativo; dove per il primo si intende un coachingorientato ad analizzare delle performance già avvenute: idealmente il coach haavuto modo di osservare l’attività del cliente presa in considerazione in modo

Counseling & coaching

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da poterla focalizzare in base all’osservazione e alla descrizione di quanto èavvenuto, allo scopo di valutare gli elementi di successo e le aree di migliora-mento e programmare di conseguenza i cambiamenti da apportare. Nel coa-ching ispirativo, invece, si parte da un procedimento opposto: prendendo inconsiderazione quello che è un progetto futuro, si definiscono i passi, le stra-tegie e la sequenza più adeguata per raggiungere la meta. Mentre, secondoMartin (2004), il contributo dei consulenti manageriali al piano d’azione è perlo meno al 75%, che è lo stesso livello di contributo riscontrato anche nei coa-ch sportivi; nel life coaching le percentuali si invertono: almeno il 75% del pia-no d’azione deriva dal cliente e aggiunge che, se per Rogers andare in psico-terapia era come comprare un amico, andare da un coach è comprare un men-tore e una guida, ambedue non facili da trovare.

Il coaching gode di modalità assolutamente funzionali da poter essere ap-plicate sia su obiettivi personali che aziendali, affrontando entrambi in modoarmonico, e aiuta le persone a migliorare le proprie prestazioni e la qualità del-la vita privata e professionale (Dilts, 2003).

Motivi principali per i quali le persone si recano da un life-coach:• Comunicare più efficacemente • Sentirsi meglio fisicamente ed emotivamente• Raggiungere un maggior reddito• Svolgere un maggior numero di attività in minor tempo• Migliorare sostanzialmente la qualità della vita• Sentirsi più vicine agli altri• Eliminare le controversie della vita • Trovare la propria “vision” e “mission” • Sviluppare un percorso spirituale

Questo spostamento dalla sfera lavorativa a quella più personale e privataha portato con sé un’ulteriore serie di cambiamenti: il coaching rivolto non so-lo agli adulti, ma ad altre fasce di età come bambini, adolescenti e anziani; apersone di ogni tipo che hanno in comune il voler migliorare alcune abilità eacquisire nuove competenze o il voler trovare la loro spiritualità (Williams,Thomas, 2005).

Per schematizzare quanto finora detto, nella seguente tabella verrannosinteticamente presentati delle possibili situazioni e possibili utenti di coa-ching.

Introduzione

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Tab. 1 Possibili situazioni e utenti di coaching

Counseling & coaching

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Obiettivi

Far fronte a nuovesfide professionali

Ottimizzare laperformance e ilrendimento puntualee specifico delleprestazioni

Migliorarecompetenze e abilitàspecifiche

Sostenere eprogrammare icambiamenti nel ciclodi vita

Ricerca interiore

Formazione perdiventare coach

Situazioni e ambiti di competenza

• Prima scelta professionale • Ricerca di prima occupazione • Scelta della facoltà universitaria• Disoccupazione• Licenziamento• Scelta fra differenti opzioni di

sviluppo di carriera• Pensionamento

• Situazioni di rischio ed emer-genza

• Situazioni nelle quali in untempo determinato e breve oc-corre eseguire la propria mi-gliore performance

• Gestione delle proprie risorse:tempo, energia, denaro

• Assertività• Autostima• Decision-making e problem

solving• Life planning • Comunicazione in pubblico• Gestione dello stress

• Matrimoni• Traslochi• Genitorialità • Divorzio e separazioni • Lutti• Malattie croniche e infortuni

• Presa di contatto con la propriaspiritualità

• Scoperta della propria vision emission

• Ricerca delle risposte agli inter-rogativi esistenziali

• Sviluppo di una solida profes-sione

• Crescita attraverso gli ostacoli• Ottenimento del diploma in

coaching• Creazione di una forte reputa-

zione• Diventare un modello per altri

Utenti

• Studenti• Neo-diplomati, Laureati,

Specializzati• Lavoratori fino al pensio-

namento• Disoccupati

• Atleti• Chirurghi• Artisti (attori, concertisti,

ballerini,…)• Militari• Addetti alla sicurezza• Vigili del fuoco• Addetti ai servizi di Pro-

tezione Civile

• Adulti• Bambini• Adolescenti

• Adulti• Tutte le fasce d’età• Giovani e adulti• Adulti• Tutte le fasce d’età• Tutte le fasce d’età

• Principalmente adulti eanziani

• Giovani e adulti• Giovani, adulti, anziani

• Adulti

I coach devono, quindi, essere in grado di estendere le loro conoscenze ele loro competenze a prescindere dal settore specifico in cui viene chiesto lo-ro d’intervenire e operare come “agenti del cambiamento”, capaci di anticipa-re e preparare il terreno per i cambiamenti necessari o auspicabili all’interno diun determinato contesto (Thorne, 2004).

Innanzitutto questi “agenti” dovranno affrontare per ogni cambiamento i ri-schi e le nuove opportunità che questo presenta, e affrontare le resistenze e icomportamenti che possono ostacolarne il processo e l’evoluzione. È di gran-de rilevanza cercare alleanze e reti di relazioni utili e supportive, a livello per-sonale e a livello professionale per migliorare la cooperazione e trarre il mas-simo vantaggio possibile per l’organizzazione e i singoli componenti (Thomas,Smith, 2004). Il coach dovrà inoltre favorire l’ottimismo e l’orientamento versoil futuro, guardando e mostrando la realtà dai diversi punti di vista e verifican-do accuratamente i nuovi scenari prima di prendere delle decisioni. Guidandoi singoli coachee e i sistemi verso una crescita e un’evoluzione, dovrà ancheinsegnare a trarre informazioni dagli errori commessi, mostrando la strada del-la coerenza e della competenza (Hudson, 1999).

E il MentalCoaching?

Il MentalCoaching proposto dall’ASPIC è un approccio che incorpora, co-me il coaching, i saperi della psicologia, del lavoro, della filosofia e della spi-ritualità, avvalendosi inoltre di una metodologia e di strumenti tratti e riadatta-ti da un’accurata selezione di principi attivi della relazione di aiuto e della psi-coterapia (Giusti, Montanati, Iannazzo, 2004). Il MentalCoaching si avvale, in-fatti, delle basi derivate dai fattori comuni dimostrati efficaci nelle psicoterapiee nella relazione d’aiuto, integrandole con specifiche competenze di coachingper quanto riguarda tecniche e strumenti operativi d’intervento.

In un’ottica di costante miglioramento della qualità della vita, si focalizzaprevalentemente sulle potenzialità e sulle risorse del cliente in funzione di unameta futura, e lo accompagna a:

• superare eventuali barriere interne o esterne al raggiungimento di obiet-tivi ambiziosi: “fare il salto” oltre gli ostacoli, attraverso piani d’azionecreati insieme su misura;

• aumentare la consapevolezza comportamentale (pensiero-emozione-azione);

• sviluppare un comportamento flessibile per cogliere nuove opportunitàesistenziali, adattarsi ai cambiamenti e trasformare situazioni difficili inesiti positivi;

Introduzione

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• emozionare la mente e gestire le emozioni e l’affettività; • ottimizzare il proprio tempo e diventare più competenti nella risoluzio-

ne di problemi relazionali complessi agevolando rapporti di reciprocoguadagno “win-win”;

• incrementare l’autostima e la sensazione di successo personale; • prevenire stress e conflitti e sviluppare la creatività e l’innovazione;• chiarire la propria “vision” e “mission” aumentando le capacità di deci-

dere e pensare in modo strategico.

La figura del MentalCoach non è quindi esclusivamente formata su cono-scenze e metodi applicabili nei soli contesti organizzativi, ma gode di una for-mazione di più ampio respiro: è in grado di fare una buona analisi della do-manda rispetto alle questioni che il cliente porta; ha a disposizione un’ampiagamma di strumenti e tecniche in modo da poterli utilizzare con flessibilitàadeguandosi alla specificità di ogni singolo cliente, e soprattutto è in grado diproporre ‘confini’ operativi chiari e sicuri rispetto alla definizione dei contratticon questo.

La “palestra mentale” in cui si svolge il MentalCoaching è un ambiente si-curo, supportivo e di interesse genuino. L’attività viene ritagliata in base all’in-terlocutore e alle sue esigenze in una logica “su misura” e di assoluta riserva-tezza. Di conseguenza anche i tempi e le modalità degli incontri assumerannouna vasta gamma di variazioni: via e-mail bi-settimanali, telefonici saltuari, in-tensivi o sul luogo per diversi giorni consecutivi, ecc.

Un percorso di MentalCoaching è un intervento soprattutto di tipo psicolo-gico, in quanto si costruisce con il proprio cliente una relazione riservata ca-ratterizzata dalla fiducia; si definisce un setting, inteso come ‘luogo d’incontro’,anche se meno strutturato rispetto a quello del counseling, e un contratto al-l’interno del quale vengono identificati:

• gli obiettivi che attraverso il percorso si intendono raggiungere;• le modalità per verificare che siano stati raggiunti;• il modo ed i tempi degli incontri.

L’approccio alla professione del coach che l’ASPIC propone ha una radiceteorica nel modello umanistico-esistenziale integrato i cui presupposti fonda-mentali sono:

• “un punto di vista in cui le esperienze non sono ridotte a pulsioni e difese;• un orientamento fenomenologico al comportamento umano, dove la

prospettiva interna e l’esperienza consapevole determinano la realtà in-dividuale;

Counseling & coaching

21

• un interesse per il Qui & Ora dell’esperienza;• una visione degli esseri umani come individui unici, che possiedono la

motivazione all’autorealizzazione;• la fiducia nella fondamentale libertà e autonomia degli individui, nono-

stante i limiti imposti dalla società;• “l’accettazione che la natura umana non può mai essere pienamente de-

finita.” (Giusti, Montanari, Montanarella, 1995).

Il MentalCoaching inoltre si contraddistingue per essere mirato a un utiliz-zo non necessariamente contestualizzato in azienda – come prevalentementeavviene oggi in Italia per il coaching (business & executive coaching) – bensì amolti altri ambiti della vita e fasce d’età:

• vita privata: life planning, gestione delle risorse interne ed esterne (tem-po, energia, denaro), famiglia e sviluppo delle relazioni, salute e fitness,gestione di malattie croniche e infortuni, ecc.

• Transizioni nella vita privata: matrimonio, lutto, trasloco, genitorialità,allontanamento dalla famiglia d’origine, divorzio, ecc.

• Carriera lavorativa: scelte di carriera, pianificazione finanziaria, svilup-po di coesione, efficacia e performance del gruppo di lavoro, disoccu-pazione, ricerca lavorativa, pensionamento, ecc.

• Bambini, adolescenti e ragazzi: potenziamento di capacità e risorse,promozione di decisioni funzionali, ottimizzazione delle prestazioniscolastiche, accademiche, artistiche e sportive.

• Massimizzare la performance e il rendimento puntuale e specifico delleprestazioni: chirurghi, attori teatrali, sportivi, concertisti, ballerini, sol-dati, vigili del fuoco e tutti coloro che lavorano in situazioni estreme edi emergenza, ecc.

• Spiritualità: ricerca e sviluppo della propria consapevolezza spirituale,sua applicazione nelle decisioni quotidiane, ecc.

La consulenza personalizzata ed esclusiva del MentalCoaching, è finalizza-ta a fare il salto oltre l’ostacolo, vero o presunto, ristrutturando credenze, con-vinzioni e pregiudizi autolimitanti, valorizzando e potenziando le risorse inter-ne già presenti nell’individuo per liberare l’entusiasmo e la creatività imprigio-nata e per diventare il “coach permanente” di se stesso.

Le motivazioni che spingono a ricercare un percorso di MentalCoachingpotrebbero essere ravvisate nel desiderio di una maggiore maturazione e cre-scita interiore, nel desiderio di raggiungere degli obiettivi prefissati o di mi-gliorare alcune competenze specifiche. Il MentalCoach si relaziona nei con-fronti dei propri clienti non come esperto, autorità o guaritore, bensì come

Introduzione

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partner. Quindi, una volta scelti con il MentalCoach l’ambito, le modalità diintervento e gli obiettivi del lavoro comune, il cliente non abbandona la pro-pria responsabilità di creare e mantenere ciò che viene definito e il Mental-Coach non se ne assume piena responsabilità. Il cliente, infatti, non cercauna cura a livello emotivo o sollievo da dolori di origine psicologica, con ilsupporto del Mentalcoach, intraprende azioni per raggiungere un obiettivo enon si dimostra troppo esitante nell’effettuare progressi nella direzione stabi-lita.

I motivi che spingono un coachee a rivolgersi a un coach possono essereuguali o differire da quelli di un cliente di counseling; ciò che contraddistin-guerà il coaching sarà il focus d’intervento e la metodologia applicata. Il coa-ching è infatti caratterizzato da una maggiore progettualità, da un’intenziona-lità finalizzata al cambiamento più evidente e da una motivazione più deter-minata a raggiungere velocemente i propri obiettivi, dal cambiare delle aree odelle modalità non perché patologiche o disfunzionali, ma per renderle più ef-ficaci ed efficienti, in un’ottica di miglioramento della qualità della vita e otti-mizzazione dei risultati (Giusti, Taranto, 2004).

Elementi di comunanza e di differenza (Tab. 2; Fig. 1)

Il sistema professionale del counseling e quello del coaching hanno in co-mune:

• l’importanza della relazione;• l’esistenza di un setting;• la formulazione di un contratto di lavoro e intervento;• la progettualità per il raggiungimento di obiettivi e scopi;• il pagamento;• la condivisione di comportamenti etici;• la presenza di un operatore congruente, che abbia lavorato su di sé e

che sia consapevole e in grado di gestire e separare dal contesto dellarelazione di aiuto le sue problematiche interne.

Counseling & coaching

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Tab. 2. Coaching e Counseling: aree di comunanza e di differenza

AREE DI COMUNANZA E DI DIFFERENZA

Introduzione

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Fattori caratterizzanti

Accoglienza relazionale

Empatia

Contratto

Alleanza

Sviluppo di un legame di at-taccamento motivante

Autenticità, congruenza, cre-dibilità del professionista

Atteggiamento: prendersi curadella persona

Adattamento flessibile alle ca-ratteristiche del cliente

Orientamento alla qualità del-la vita e al benessere

Considerazione delle risorsedel cliente e fiducia nelle suepossibilità di cambiamento

COACHING

Rispetto, comprensione, fidu-cia, comunicazione supporti-va, infusione di speranza emotivazione

Utilizzata come motore perfocalizzarsi sul compito

Focalizzato

Sviluppo di una collaborazio-ne motivata verso obiettivicondivisi e desiderati (mag-giore orientamento a sfidare illimite personale, ad assumererischi per potenziare l’investi-mento verso il raggiungimentodi obiettivi progressivamentepiù difficili)

Centrato sull’obiettivo, sul-l’empowerment

Feedback puntuali e precisi,di incoraggiamento e sfida

Per migliorare le performancee il raggiungimento dell’obiet-tivo

Sintonizzazione sulle risorsedel cliente, dosaggio degli in-terventi di supporto, mode-ling, autosostegno

Sviluppando una positivitàrealistica di promozione delbenessere e della qualità dellavita

Le energie e gli investimentivengono diretti verso il supe-ramento dei problemi legati alcambiamento e al raggiungi-mento degli obiettivi

COUNSELING

Rispetto, comprensione, fidu-cia; comunicazione facilitantesupportiva; infusione di spe-ranza.

Sviluppata nel rispetto deitempi di affidamento persona-li del cliente e usata comeenergia per sostenere la fidu-cia relazionale

Focalizzato

Sviluppo di una collaborazio-ne verso obiettivi condivisicompatibili con l’equilibrio ri-sorse-limiti personali e am-biente

Centrato sull’obiettivo di cam-biamento/soluzione del pro-blemaFinalizzato all’empowerment

Feedback puntuali, precisi, disostegno e sfida

Per migliorare l’adattamentocreativo

Dosaggio degli interventi disupporto/appartenenza elibertà/autonomia

Sviluppando una positivitàrealistica

Le energie e gli investimentivengono diretti verso il fron-teggiamento di problemi, ilcambiamento di abitudini ecomportamenti

Counseling & coaching

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I problemi, la domanda, le te-matiche

Le finalità

Il processo di monitoraggio evalutazione diagnostica

Il focus

La selezione

Il livello dell’esplorazione

Il target trasformativo

La tipologia

Comunicazione facilitantesupportiva

Esplorazioni esperienziali

Confutazione

Espressione e creatività

Area: successo personale; svi-luppo di competenze e abi-lità; stress

Interpersonali, socio-relazio-nali, acquisizione di abilitàtecniche, comunicative

Monitoraggio del livello diraggiungimento degli obiettivi

Qui & Ora, verso il futuro

Calibrata sulle caratteristichedel cliente in funzione degliobiettivi

Interpersonale, relazionale,vissuti consapevoli rispetto apunti di forza e potenzialità

Le credenze irrazionali, glischemi comportamentali, leazioni

Supportivo-motivazionale fi-nalizzato

Attivazione di fiduciosa aspet-tativa di cambiamento e diraggiungimento degli obietti-vi; tecniche di comunicazione(es.: ascolto, feedback) più di-rettive rispetto al counseling

Percezione di autoefficacianel Qui & Ora

Credenze irrazionali, schemidi comportamento disfunzio-nali che ostacolano l’autoeffi-cacia

Applicazione di tecnichecreative finalizzate a migliora-re le performance e a uscireda schemi autoimposti

Area dello stress, disagio so-cio-relazionale, esistenziale,crisi di sviluppo

Interpersonali, socio-relazio-nali; acquisizione strategiecorrettive di apprendimentidisfunzionali precoci, compi-mento di passaggi evolutivi

Assessment orientativo, valen-za descrittiva e di orientamen-to

Qui & Ora

Calibrata sulle caratteristichedel cliente

Interpersonale, relazionale;rafforzativa delle difese dell’Io

Gli schemi comportamentali,le azioni

Supportivo-motivazionale

Ascolto consapevole;comunicazione comprensivaempatica; infusione di fidu-ciosa aspettativa e speranza dicambiamento

Autoconsapevolezza emotivanel Qui & Ora della relazione

Schemi di comportamento di-sfunzionali; convinzioni irra-zionali che ostacolano il be-nessere e l’autostima globale

Applicazione di tecniche amediazione corporea e artisti-ca per lo sviluppo dell’auto-sostegno proattivo consape-vole

TEMATICHE/CONTENUTI

METODOLOGIA PRATICA: GLI INTERVENTI

STRUMENTI E TECNICHE

Fig. 1. Aree di comunanza e differenza nel counseling, coaching e psicoterapia

Leggere il testo: istruzioni per l’uso

I termini “Microcounseling” e “Microcoaching” si riferiscono alle skill dibase necessarie per gestire queste due forme di relazione d’aiuto; il manuale èstato pensato, infatti, come un accompagnamento sia teorico che pratico per ilcounselor e il coach in formazione o alle prime esperienze.

Le parti teoriche sono integrate con schede, esercitazioni e approfondimentisul tema in questione. Si tratta di spazi auto-esplorativi, stimoli di addestra-mento per sperimentare, passo dopo passo, le conoscenze teoriche.

Nel testo sono inseriti materiali di supporto all’apprendimento che com-paiono sotto la dicitura:

BOX OPERATIVO• Esercizi • Schede di auto-esplorazione• Automonitoragggio• Esercizi per il cliente proposti dall’operatore

Introduzione

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BOX DI APPROFONDIMENTOSINTESI DI RIFLESSIONEVADEMECUM ESSENZIALE

Le appendici in fondo al testo comprendono una serie di strumenti di lavo-ro del counselor e del coach, i rispettivi codici deontologici, alcuni input perlavorare con i gruppi nella formazione al counseling e una rassegna di ricerchesvolte per valutare l’efficacia del counseling applicato in diversi contesti speci-fici.

La delineazione delle radici teoriche è organizzata secondo una sequenzache orientativamente fa corrispondere gli approcci teorici a cui si fa maggior-mente riferimento alle diverse fasi della prassi operativa della relazione di aiu-to. Nella pratica la selezione delle modalità di conduzione subisce natural-mente dei cambiamenti per permettere l’adesione dell’intervento alle specifi-cità dell’utente.

In generale ci riferiamo agli approcci meno direttivi nella fase di conoscen-za e accoglienza del cliente e a quelli semidirettivi o direttivi nelle fasi di azio-ne per il cambiamento o il raggiungimento dell’obiettivo.

Nello specifico:

I. CONOSCERE E COMPRENDERE:CHI È LA PERSONA CHE HO DI FRONTE? COME POSSO AIUTARLA A CONOSCERSI DI PIÙ?Nella fase iniziale della relazione di aiuto abbiamo bisogno di cono-scere la persona che abbiamo di fronte, comprendere il suo modo distare al mondo, che cosa della sua storia passata ritorna nella sua do-manda di oggi. Lo scopo è quello di instaurare un buon contatto diaccoglienza, di sviluppare fiducia collaborativa, basi su cui poter la-vorare insieme per ottenere i risultati concordati. A questo scopo ci sembrano fondamentali gli apporti teorici dell’ap-proccio umanistico, fenomenologico-esistenziale, i contributi psico-dinamici e della teoria dell’attaccamento

II. ESPLORARE LE ALTERNATIVE POSSIBILI E ORIENTARE VERSO LAMETA:DI COSA HA BISOGNO QUESTA PERSONA E QUALI SONO LE SUERISORSE E I SUOI LIMITI NEL RAGGIUNGERE CIÒ CHE DESIDERA?IN CHE MODO POSSO ALLEARMI CON LA SUA PARTE ADULTAPER ANDARE VERSO L’OBIETTIVO?

Counseling & coaching

27

Questa è la fase della relazione in cui la base sicura favorisce l’esplorazio-ne del mondo personale e dei possibili scenari alternativi a quello attuale. Que-sto significa permettere l’autosvelamento per favorire la conoscenza dei proprimodi ripetitivi di funzionamento intrapsichico e interpersonale, vagliare possi-bili altre decisioni e alternative, liberare le energie necessarie per procedereverso l’obiettivo.

Qui attingiamo maggiormente all’approccio dell’analisi transaziona-le, all’approccio cognitivo-comportamentale, senza perdere di vistail sistema di riferimento della persona.

III. AUTOLIBERAZIONE CREATIVA:AGIRE VERSO L’OBIETTIVO CONCORDATO E RAGGIUNGERLOASSUMERE LA RESPONSABILITÀ DI STESSI, AUTODETERMINAN-DOSI NEL RISPETTO DEI PROPRI BISOGNI, SENTIMENTI, DESIDE-RI (IN EQUILIBRIO CON LA REALTÀ DELL’AMBIENTE)IN CHE MODO POSSO AIUTARE QUESTA PERSONA A LIBERARELE SUE ENERGIE CREATIVE VERSO IL BENESSERE?COSA POSSO FARE PER ATTIVARE L’AUTOSOSTEGNO PROATTIVO?QUALI PASSI SONO NECESSARI AIUTARE IL MIO CLIENTE AD AR-RIVARE ALLA META?

Questa è la fase dell’esperienza piena in cui emozione, pensiero e azionetendono a coincidere nel flusso di consapevolezza nel Qui & Ora, prendendoliberamente forma.

Le energie sono disponibili per essere investite pienamente nell’agire con-sapevole. La relazione collaborativa fornisce energia e sicurezza per affrontarei rischi del nuovo e per godere dei risultati conseguiti.

A questo punto facciamo riferimento soprattutto all’approccio dellaPNL, a quello gestaltico integrato a livello psicocorporeo, all’approc-cio interpersonale.

IV. CONSOLIDARE, VALUTARE I RISULTATI E GESTIRE LA CHIUSU-RA E IL FOLLOW UPCOME POSSO AIUTARE LA PERSONA A PORTARE IN MODO STA-BILE NELLA SUA VITA QUOTIDIANA IL RISULTATO OTTENUTO?LA BASE È SUFFICIENTEMENTE SICURA PER CONSENTIRE LACHIUSURA?QUALI ACCORGIMENTI SARANNO IMPORTANTI PER MANTENE-RE CIÒ CHE HA RAGGIUNTO ED EVITARE PASSI INDIETRO?

Introduzione

28

La fase conclusiva della relazione di aiuto nel counseling è delicata comequella iniziale, occorre rispettare i ritmi del cliente e del contratto, rivedere tut-to il percorso fatto, il grado di soddisfazione per ciò che si è raggiunto, la pos-sibilità di valutare se sarà necassario un momento di confronto successivo perverificare lo stato di benessere. Nel coaching la relazione è impostata più sulcompito che sul legame, pertanto anche il saluto è considerato stabilmente dal-l’inizio e si rivela “sciolto”.

Nella fase conclusiva i riferimenti teorici sono molteplici e la scelta è det-tata dalle caratteristiche specifiche della persona e della relazione stessa: il ri-conoscimento dei copioni per prevenire regressioni, l’approccio cognitivocomportamentale per riconoscere convinzioni irrazionali e quello gestalticoper esprimere liberamente e pienamente le proprie risorse creative.

Vogliamo sottolineare che questa organizzazione degli approcci teorici diriferimento ha un valore orientativo, bisogna tener conto infatti, per esempio,che l’ottica umanistica e fenomenologico-esistenziale permea un po’ tutto ilcorso del lavoro di counseling, così come l’accento gestaltico o quello trasfor-mativi della PNL compaiono molto precocemente nella relazione di coaching.

Il primo capitolo vuole sinteticamente indicare i contributi teorici e tecniciche hanno permesso la nascita di queste due discipline e che rappresentano,quindi, sia le loro radici che la loro cornice, dalle quali sono emerse e nellaquale si muovono.

Nei capitoli successivi ci si addentra maggiormente nella pratica di questedue professioni: il terzo capitolo contiene le basi per la costruzione dell’al-leanza motivazionale collaborativa e il quarto capitolo è dedicato alle cono-scenze tecnico-operative necessarie per poter agevolare la relazione con ilcliente o il coachee, vengono descritti i fondamenti della comunicazione e del-l’ascolto attivo segnalando le tecniche e gli atteggiamenti consigliati e da evi-tare.

Con il quinto capitolo si entra nella parte più operativa del libro: i pianid’intervento dal primo incontro ai saluti finali, la conclusione della relazionedi counseling o di coaching e il follow-up.

Per riassumere alcuni concetti fin qui espressi facciamo riferimento alla rap-presentazione che segue (Fig. 2).

Counseling & coaching

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Fig. 2. Radici ed evoluzioni del counseling e del coaching

Introduzione

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Caitolo 1.

approcci di sostegno approcci centrati sulla soluzione (es. strategici) tempo medio tempo medio

approcci supportivi approcci direttivi orientamento all’obiettivo e alla realizzazione fattiva di capacità e competenze

tempo breve

Il COUNSELING nasce nel contesto di

orientamento scolastico. Si espande velocemente negli

ambiti sociali, sanitari, educativi, psicologici

Il COACHING nasce nel contesto sportivo si

espande nel contesto aziendale si consolida nel personal-lifecoaching

Finalità: dal disagio al benessere attraverso le risorse investite nel cambiamento

Finalità: dalla percezione del desiderio di miglioramento al benessere progressivo

1.1. La Psicologia Umanistica: da Rogers agli sviluppi più recenti

La nascita della psicologia umanistica viene fatta risalire all’anno 1962 incoincidenza della pubblicazione del programma di questa “Terza Forza” adopera di Abraham H. Maslow e della sua associazione di psicologi (Buehler,Allen, 1976). Il termine “Terza Forza”, interscambiabile con quello di psicolo-gia umanistica o umanistica-esistenziale, esprime la collocazione che essa ven-ne ad assumere in opposizione alle teorie comportamentiste in cui la personaumana viene vista come “macchina” stimolo-risposta e alla concezione pessi-mistica e deterministica del pensiero freudiano classico (Giusti, Montanari,Montanarella, 1995).

Il programma della Terza Forza era centrato su quattro punti essenziali: fo-calizzare l’attenzione sull’esperienza della persona e il significato che questale attribuisce; enfatizzare aspetti qualitativi dell’uomo come la creatività, lascelta, la valutazione e l’autorealizzazione; attenersi fedelmente alla significa-tività nella scelta dei problemi da studiare e dei metodi di ricerca e, infine, im-pegnarsi a sviluppare tutto il potenziale intrinseco ad ogni persona (Giordani,1988).

La persona umana, considerata nella sua totalità e unicità, è il nucleo cen-trale della psicologia umanistica, sempre contrapposta alla concezione com-portamentista e positivista dell’uomo come “essere reattivo” senza libertà, madeterminato dalle pressioni ambientali e alla concezione psicoanalitica del-l’uomo come “essere reattivo in profondità” in quanto determinato da espe-rienze passate, forze e istinti interiori e bisogni ai quali non può opporsi (Giu-sti, Iannazzo, 1998).

La “Terza Forza”, invece, sostiene profondamente la concezione di un “uo-mo in divenire”, creativo, cosciente e con un buon margine di libertà, capacedi incidere sull’ambiente e prendere decisioni responsabili.

Il processo evolutivo di ogni persona è determinato dai seguenti tre fattori,che per agire in maniera costruttiva necessitano di una condizione particolare,

31

Le radici comunidell’integrazione pluralistica

nel counseling e nel coaching 1

definita libertà esperienziale, caratterizzata dall’assenza di inopportune inter-ferenze o pressioni esterne.

Il primo è l’energia organismica, nucleo centrale e dinamico in quanto ra-dice dalla quale si dispiegano i sentimenti, le pulsioni, i desideri e i bisogni(Goldstein, 1970). Essa rappresenta la sorgente di energia da cui deriva l’im-magine di sé e che, nonostante i continui processi di trasformazione, dona unsenso d’identità alla persona; viene definita anche come la zona più profondae misteriosa della personalità il cui funzionamento rimane inconscio (Saint-Ar-naud, 1974).

Nell’accezione umanistica, l’inconscio è l’insieme delle esperienze che,utilizzando i termini gestaltici, rimangono sullo sfondo rispetto ad altre espe-rienze coscienti che svolgono il ruolo di figura. Non viene riconosciuta comeun’istanza psichica, retta da leggi del tutto diverse da quelle che regolano il di-namismo interiore; non le viene quindi attribuito, come invece fa Freud, un ca-rattere irrazionale, alogico e atemporale. May, ad esempio, un’altra importan-te figura della Terza Forza, rifiutando la sua concezione di contenitore degli im-pulsi, pensieri e desideri socialmente inaccettabili, lo ritiene costituito da“quelle potenzialità di conoscere e sperimentare che l’individuo non può onon vuole realizzare” (May, 1970).

Il secondo fattore è la tendenza attualizzante definita da Rogers come“…una tendenza intrinseca a sviluppare tutte le sue potenzialità e a sviluppar-le in modo da favorire la sua conservazione e il suo arricchimento” (Rogers,Kinget, 1970). Questa visione ottimistica si traduce in fiducia nella persona inquanto la sua tendenza attualizzante è selettiva, direzionale e costruttiva epromotrice soltanto di potenzialità positive (Rogers, 1951). Tale tendenza ser-ve a conservare e migliorare la vita, non solo per l’individuo ma anche per laspecie in quanto comune a tutti gli esseri viventi.

Si arriva così al terzo fattore, la valutazione organismica, che costituisce ilsistema di controllo che orienta l’energia psichica investendola in comporta-menti tesi all’autorealizzazione. La persona deve sentirsi libera in quanto sia latendenza attualizzante sia la valutazione organismica non funzionano sottopressione ambientale (ibidem). Un ruolo centrale viene infatti svolto dall’ap-provazione o dalla disapprovazione sociale da parte degli altri. Il bisogno diconsiderazione positiva di sé si riferisce alla soddisfazione insita nel trovare lapropria esperienza congruente con il concetto di Sé, ovvero, al senso coscien-te della persona, alla consapevolezza di quello che è. La salute consiste nellacorrispondenza tra sé e percezione di sé; mentre la patologia si manifesta co-me incongruenza determinata dall’accettazione condizionata. Nella misura, adesempio, in cui l’ambiente esige dal bambino prestazioni discordanti dai detta-mi dell’organismo, l’immagine di sé entrerà in conflitto con l’organismo e que-sto darà origine a un adattamento psichico forzato e, nel tempo, disfunzionale.

Capitolo 1

32

Il bambino, infatti, per mantenere l’approvazione dell’ambiente genitoriale, sicostruisce un Io ideale per difendersi dalla minaccia di annichilimento. In que-sta maniera deve censurare e reprimere alcuni aspetti della sua esperienza or-ganismica, che divengono inconsci e riducono così la sua percezione di sé.

La percezione è il significato che la persona attribuisce a ciò che avvienedentro e fuori di sé; la percezione che si ha di sé in relazione a se stessi vienedefinita percezione intrapsichica, quella in relazione agli altri e al mondoesterno in senso lato percezione interpersonale. Il mondo percettivo dell’indi-viduo è direttamente accessibile solo al soggetto in causa, mentre gli altri pos-sono avvicinarsi solo se animati da un atteggiamento empatico (Rogers, Kinget,1970).

Per un sano funzionamento adattivo, l’individuo deve ricevere una consi-derazione positiva senza condizioni, che lo porta ad essere senza difese, e apossedere una congruenza tra il Sé e le sue potenzialità. Sarà inoltre caratte-rizzato da apertura all’esperienza (profondità emotiva), vitalità esistenziale(flessibilità, adattabilità, spontaneità e pensiero induttivo), fiducia organismica(vita intuitiva, sicurezza e fiducia in sé), libertà delle esperienze (senso sogget-tivo di libera volontà) e creatività (tendenza a produrre idee nuove ed efficien-ti) (Rogers, 1957). La persona con un funzionamento disadattivo, invece, avràricevuto una considerazione positiva condizionata e svilupperà condizioni divalore, incongruenza tra il Sé e le sue potenzialità, numerose difese e si troveràa vivere secondo un piano preconcetto piuttosto che in modo esistenziale, nonavrà fiducia nel suo organismo, ma si sentirà manipolata e conformista (Lietaer,1984).

Un ambiente condizionante genera dunque: � l’allontanamento dal sé bambino e dalla valutazione organismica;� l’insorgenza delle difese;� la rigidità percettiva e la fissità;� la paura di perdere le difese e le condizioni di stima;� il Sé centrato sui sintomi e sul problema;� l’incongruenza percepita o inconsapevole;� l’ansia e l’angoscia.

Un counselor o un coach possono agire da ambiente decondizionantecreando:� un clima facilitante attraverso l’accettazione positiva incondizionata,

l’autenticità e l’empatia;� l’ampliamento percettivo del Sé mediante una nuova percezione delle

esperienze attuali e conseguente feedback;� il ripristino della valutazione organismica, della consapevolezza; � il recupero dell’autonomia.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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Quanto più il counselor e il coach saranno in grado di ascoltare attivamen-te il loro cliente, comunicandogli interesse ed attenzione, tanto più questo sene sentirà degno e presterà più ascolto a se stesso anziché a un Io ideale. L’in-grediente essenziale è l’empatia, che rende maggiormente possibile la com-prensione di una persona, mettendosi nei suoi panni e guardando e sentendoil mondo come la vede lei (Bozarth, 2001). A questo fine, è importante sapersiliberare dei propri significati emotivi e contenuti personali, interrogandosi nontanto su “cosa proverei io al posto di questa persona?” bensì “cosa sta provan-do questa persona in questa particolare situazione?” (Hedman, 2001).

L’approccio non direttivo riflette una nuova concezione della natura dina-mica della persona: la non-direttività implica l’impegno dell’agevolatore a nonorientare il cliente verso una determinata direzione e a facilitare la coscienzadi elementi esterni e di dinamismi interiori determinanti il suo campo percetti-vo. “…quello che conta, in questo approccio, non è l’assenza di direttive, mala presenza nell’agevolatore di certi atteggiamenti verso il cliente e di una cer-ta concezione delle relazioni umane” (Rogers, Kinget, 1970).

Alla base di questo modello c’è una concezione positiva della persona co-stantemente tesa all’autorealizzazione e una metodologia che traduce gli at-teggiamenti di rispetto, non interferenza e astensione dal giudizio in compor-tamenti d’aiuto. In questo processo, dettato quindi dall’impulso all’auto-realiz-zazione presente nel cliente, sarà sufficiente rimuovere gli ostacoli, promuove-re la competenza emotivo-affettiva, dare spazio a quella metacognitiva del-l’autoriflessività e stare nel momento presente della relazione, che è già di persé un’esperienza di sviluppo.

Fiducia nelle forze di sviluppo del cliente e accentuazione delle attitudini delprofessionista: accettare incondizionatamente il cliente, sia comprendendoloempaticamente sia partecipando emotivamente ai suoi vissuti e creando infineun clima favorevole alla sua crescita interiore, che faciliti inoltre l’esplicazionedelle risorse in lui presenti. L’accettazione incondizionata si traduce in una par-tecipazione all’esperienza dell’altro vissuta come costui la vive per gettare le ba-si di quella fiducia che consente al cliente di cambiare (Bozarth, 2001).

La creazione di uno spazio capace di facilitare l’esplicazione delle risorsepresenti nel cliente dipenderà essenzialmente, più che dall’apparato tecnico,dalle disposizioni interiori dell’agevolatore, dalle caratteristiche personali delprofessionista dell’aiuto. Le due disposizioni di base – l’accettazione incondi-zionata e la comprensione empatica – trovano il loro corrispettivo tecnico nel-l’intervento di riformulazione semplice e nel riflesso del sentimento.

L’incontro esistenziale che prende forma nel momento in cui è in atto la re-lazione collaborativa, si nutre di presenza e autenticità, creando così le condi-zioni necessarie e sufficienti alla realizzazione di cambiamenti per il benesse-re.

Capitolo 1

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Impegnarsi con una disposizione di spontaneità e chiara autenticità, nelsenso di congruenza, accordo interiore, genuinità, trasparenza, realtà, sinceritàe immediatezza del rapporto: il professionista non nega la propria personalità,la esprime (de Haan, Burger, 2005).

Questa autenticità, la cui condizione basilare è la conoscenza e l’accetta-zione di se stessi, si realizza a un duplice livello: intrapersonale (l’agevolatoreè libero e capace di far emergere alla coscienza qualsiasi stato d’animo); inter-personale (l’agevolatore è libero di comunicare al cliente i suoi pensieri e sen-timenti). Diventa in questo modo anche possibile comunicare al cliente deisentimenti negativi (congruenza) come reazione personale ad uno specificoevento e non come risposta ad un tratto di personalità del cliente stesso, pur-ché essi siano significativi in relazione all’esperienza del cliente, e che questosia disposto e capace ad accettarli in un rapporto animato da profonda fiduciae rispetto (May, 1991).

Nel corso del tempo questa modalità di conduzione della relazione di aiu-to è stata ampiamente applicata a una vasta gamma di situazioni sociali, edu-cative, cliniche e medico-sanitarie.

Si tratta infatti di un modo trasversale di stare e procedere nella relazioneche facilita la realizzazione della fiducia di base, entro la quale può attivarsiun cambiamento (Patterson, 2000).

Tra i diversi approcci al counseling, che dalle basi rogersiane hanno svilup-pato una metodologia con un orientamento più direttivo, troviamo il modellodi R. Carkhuff, allievo di Rogers, che successivamente si è distaccato dal quel-lo del maestro per elaborare un approccio orientato all’azione, concentratomaggiormente sulla produttività del cliente, su un atteggiamento del professio-nista più direttivo ed esigente, sull’uso di caratteristiche e tecniche aggiuntivealle tre disposizioni di base di Rogers. Carkhuff (1969, 1971), infatti, si preoc-cupa di rendere sempre più efficace la relazione di aiuto nella quale il consu-lente è impegnato a seguire un ritmo incalzante di interventi al fine di esten-dere questo ristretto ambito d’intervento al più vasto campo della persona co-me tale e dell’apparato organizzativo e sociale che lo circonda.

Per Carkhuff l’uomo è anzitutto e contemporaneamente un essere attivo ereattivo e non solamente un essere dotato di una forza che ha una direzionefondamentale positiva. Rogers infatti parla di una persona che tende a svilup-parsi per poter godere di una vita piena, ed è inoltre sostenitore della realizza-zione spontanea dell’uomo dimostrando una fiducia illimitata nelle forze giàpresenti in lui (Rogers, 1957). Carkhuff (Carkhuff, Berenson, 1977) invece, di-scutendo tale concezione, afferma che lo sviluppo della persona mira a rag-giungere una meta che chiama “persona totale”. Rogers parla quindi di auto-realizzazione e di un uomo intrinsecamente buono. Carkhuff accusa la cor-rente rogersiana di perdersi in un idealismo pseudodemocratico in cui l’indivi-

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duo non viene mai stimolato a dare il meglio di sé e asserisce che “the wholeperson” si trova in armonia con le tre dimensioni – fisica, affettiva e intellet-tuale – ed è il frutto di un lento e impegnativo processo di apprendimento.

È da notare nel percorso di Carkhuff (1969), l’evoluzione dei termini: da te-rapeuta e paziente inizialmente utilizzati in ambito medico e terapeutico, èpassato a quelli di counselor e cliente, introducendo infine quelli di “helper”,colui che offre aiuto – un counselor, medico, coach, terapeuta, insegnante, gui-da,… – e “helpee”, colui che lo riceve – cliente, assistito, figlio, …

L’approccio rogersiano ha creato un impulso potente in varie direzioni nel-le professioni di aiuto, prendendo accenti di volta in volta più proceduralizza-ti, sistematici, semidirettivi, centrati sulle soluzioni o sul problema o più “puri”(Gordon, 2002; Egan, 1990; Hill, 2001; Littrell, 2001).

1.1.1. Punti forza e limiti dell’approccio umanistico

L’approccio umanistico offre un rilevante contributo agli studi sui fattori diefficacia nel processo di cambiamento, dimostrando quali siano gli elementiessenziali e necessari in qualsiasi relazione d’aiuto come, per elencarne alcu-ni, il rispetto e l’accettazione incondizionata del cliente, l’ascolto attivo e l’em-patia che permette di adottare nell’interazione la cornice di riferimento internodel cliente (Patterson, 2000). Il potere di questi fattori non dovrebbe mai esse-re sottovalutato in quanto aiuta a costruire la fiducia, l’impegno, la lealtà neiconfronti del processo di counseling/coaching che si va a intraprendere, for-nendo ai clienti l’opportunità di essere realmente ascoltati. Inoltre questa mo-dalità può svolgere anche un ruolo di modeling per i clienti che mancano diempatia e capacità di ascolto.

Queste prescrizioni rogersiane possiedono una funzione fondamentale du-rante tutto il processo di cambiamento e una funzione insostituibile nelle fasiiniziali, in quanto, se non verrà stabilito sin dall’inizio un rapporto di fiducia,di rispetto, di interesse genuino e di accettazione, la maggioranza degli inter-venti, siano essi di counseling supportivo che di executive coaching, tende-ranno a fallire. Ciò nonostante, per come è concepito il modello integrato, perun risultato efficace dell’intervento, nella maggior parte dei casi il solo utilizzodell’approccio umanistico è insufficiente, e questo vale specialmente per ilcoaching. Come è già stato detto, offre uno spazio eccellente per avviare la re-lazione coach/counselor-cliente, ma non è il luogo migliore e più adatto doverimanere, una volta instradato il processo di cambiamento (Hedman, 2001).Già Carkhuff, rispetto a Rogers enfatizzava maggiormente la “fase ascendente”,ovvero, la parte della relazione orientata alla realizzazione di mete stabilite. Aquesto fine sono utili strumenti quali le capacità di valutazione, le tecniche

Capitolo 1

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motivazionali e di pianificazione del percorso da effettuare, e via dicendo, aiquali offrono contributi utili e fondamentali altre prospettive teoriche, comequella cognitivo-comportamentale o sistemico-familiare.

1.2. La responsabilità nello scolpire la propria vita:l’approccio fenomenologico-esistenziale

“Accolta la caducità dell’esistenza, occorre poi imparare a vivere tutta l’e-spansione della vita e tutto il suo contrarsi, perché questa è la condizione delmortale che nessuna narrazione può modificare” (Galimberti, 2005).

Con il termine esistenzialismo si venne a disegnare, intorno al 1930, l’indi-rizzo filosofico il cui tema centrale era rivolto all’esistenza, intesa come il mo-do d’essere dell’uomo nel mondo, che non può accettare l’inclusione del sin-golo negli schemi di filosofie totalizzanti, quale l’idealismo hegeliano contem-poraneo contro il quale S. Kierkegaard rivolse la sua critica e il suo pensiero.

Inizialmente ciò che definì l’esistenzialismo fu proprio la ripresa del pen-siero di questo filosofo danese che avanzava l’esigenza di abbandonare ognipretesa di fare della filosofia una metafisica speculativa, rivendicando qualsia-si tipo di riduzione dell’esistente a “cosa” e, in quanto tale, a possibile oggettodi trattazione scientifico-obiettiva. Nucleo centrale dal quale egli parte è inve-ce la concretezza della situazione ontologica di ogni singolo e quindi anchedel pensatore stesso: l’esistenza con tutta la sua problematicità e gamma di mo-tivi, quali ad esempio il pathos della scelta, l’aut-aut, l’angoscia, la disperazio-ne, la “finitudine”, ripresi poi dall’esistenzialismo del Novecento (Abbagnano,1993).

L’esistenzialismo, infatti, si è sviluppato specialmente negli anni successivialla seconda guerra mondiale diventando, soprattutto in Francia (J.P. Sartre, M.Merleau-Ponty, Simone de Beauvoir, Jean Wahl), l’espressione dello spirito del

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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Particolare rilevanza procedurale alla modalità rogersia-na, all’interno dell’approccio integrato, viene dataquando il cliente presenta un notevole livello di reattan-za, un atteggiamento contrappositivo difensivo, unascarsa consapevolezza del bisogno di cambiare e la ri-chiesta di essere aiutato a cambiare… senza dover cam-biare niente delle proprie modalità e senza dipenderedall’aiuto di qualcun altro. In questo spazio la complementarietà efficace si nutredella modalità non direttiva.

tempo legato al vuoto di certezze conseguente alle distruzioni della guerra, edefinito anche come “filosofia della crisi”. Tale termine era legato anche al fat-to che la tematica esistenzialistica aveva avuto un’eco in altre parti d’Europa inun altro momento di grave crisi, negli anni successivi alla prima guerra mon-diale, portando, soprattutto in Germania, alla cosiddetta “rinascita kierkegaar-diana” e all’inizio delle analisi esistenziali di K Jaspers e di M. Heidegger (Giu-sti, Iannazzo, 1998).

L’esistenzialismo quindi, oltre a mettere in discussione il modo d’essere del-l’uomo, mette in discussione il modo d’essere dell’uomo nel mondo. “L’anali-si dell’esistenza non è perciò solo il chiarimento o l’interpretazione dei modiin cui l’uomo si rapporta al mondo, nelle sue possibilità conoscitive, emotivee pratiche, ma anche, e contemporaneamente, il chiarimento e l’interpretazio-ne dei modi in cui il mondo si manifesta all’uomo e determina o condiziona lepossibilità. Il rapporto uomo-mondo è perciò l’unico tema di ogni filosofia esi-stenzialistica” (Abbagnano, 1993).

Per Sartre (1980) l’esistenzialismo è una dottrina ottimistica, in quanto af-ferma che il destino dell’uomo sta nelle sue stesse mani e che l’unica speran-za che egli può nutrire risiede nelle sue azioni, per le quali solo può vivere.

La fenomenologia è una componente centrale dell’esistenzialismo in quan-to la assume come suo metodo di procedura; non è infatti una dottrina bensìun metodo che concerne le modalità della ricerca filosofica e non l’oggetto(Giusti, Iannazzo, 1998).

Anche se non riversa lo stesso peso in tutte le manifestazioni esistenziali,agisce in ogni sua forma attraverso il carattere intenzionale della coscienza. Equesta intenzionalità per Husserl (1965), intorno al quale a partire dai primi an-ni del Novecento si formò la scuola fenomenologica, non sta a sé, in quanto èl’essenza (o la proprietà) di una coscienza che coglie se stessa in modo direttoe privilegiato come “pura soggettività” o “soggettività trascendentale”. Il feno-meno quindi non è apparenza, ma manifestazione o rivelazione di ciò che lacosa stessa è nel suo essere in sé; non si contrappone perciò ad una realtà piùprofonda, che esso velerebbe o nasconderebbe, ma è l’aprirsi, il manifestarsistesso, di questa realtà (Abbagnano, 1993).

1.2.1. Concetti utili nel counseling e nel coaching

La scelta Partendo da Kierkegaard (1956), secondo il quale “Il possibile corrisponde

esattamente al futuro. Il possibile è, per la libertà, il futuro e il futuro è, per iltempo, il possibile”. Anche Sartre attribuisce una grande importanza alla libertàe alla responsabilità degli individui verso la loro esistenza, arrivando a soste-

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nere che l’uomo è l’unico essere in cui “l’esistenza precede l’essenza”, inquanto il suo carattere è costituito da tutte le scelte libere fatte in passato (DuPlock, 1997). Infatti, ciò che gli uomini sono, lo sono diventati con l’azione,ovvero l’uomo diviene ciò che ha scelto di essere, è completamente libero discegliere, ‘è condannato ad essere libero’, ed è pienamente responsabile delsuo essere (Sartre, 1980). È anche responsabile di tutti gli altri uomini, perchéla scelta che fa è anche la scelta dell’essere degli altri e dei valori che devonopermeare il mondo e divenire realtà. Sartre crede nella libertà assoluta della co-scienza che obbliga l’uomo, che pertanto non ha una “natura” determinante, adecidere anche la sua morale. Per Heidegger (1994), l’essere comprende, dauna parte, l’essere gettati in un mondo dato senza possibilità di scelta, dall’al-tra, la libertà di decidere il modo in cui reagire alla condizione imposta. Il mon-do non è dato dal semplice insieme delle cose, ma dalla loro significatività,cioè dalle cose a disposizione che godono di una loro utilità e rinviano a esso.

Vivere è quindi scegliere, operare ogni giorno delle scelte infinite momen-to per momento. Il paradosso dell’angoscia della libertà, per esprimerla in ter-mini kierkegaardiani, è dovuta alla radicale antitesi della scelta che le possibi-lità aprono continuamente di fronte all’uomo, senza dare mai la garanzia chele scelte prese siano quelle giuste e quelle che si realizzeranno, e non dandosollievo al dubbio, che non può mai svanire, che l’alternativa non scelta fosseinvece quella migliore (Kierkegaard, 1965). L’esistenza è il processo e il risul-tato di scelte, ciò che si fa precede l’essenza, ciò che si è. Ci si crea, sceglien-do momento per momento, nel presente come nel futuro, senza costrizioni. Lascelta ultima è nella scelta del significato, perché anche se non sempre è pos-sibile scegliere ciò che succede, è comunque possibile scegliere il modo concui rispondere a tali circostanze (Peltier, 2001).

A livello della scelta l’accento esistenziale-fenomenologico porta l’agevola-tore a svolgere la funzione importante di aiutare il proprio cliente a operaredelle scelte sagge ed efficaci:� osservando il modo in cui si oppone a scegliere, si auto-limita con la

scelta presa, e poi incoraggiando a notare e prendere consapevolezza diqueste sue modalità;

� scoprendo insieme quando ha smesso di scegliere o quando fa sceglie-re agli altri al posto suo, o quando giorno dopo giorno agisce senza pen-sare e senza consapevolezza, semplicemente muovendosi con la cor-rente;

� insegnando come operare un costante auto-monitoraggio e incitando al-l’auto-consapevolezza;

� spingendo ad assumere le responsabilità per le scelte prese e vivere conle susseguenti implicazioni;

� chiedendo di descrivere quando è stata l’ultima volta che pubblicamen-

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te ha assunto delle responsabilità per qualcosa che poi non è andata nelmodo desiderato;

� aiutando il cliente a prendere le proprie responsabilità per le decisioniprese e le conseguenze.

Oltre la mediocrità quotidianaPerché per gli esitenzialisti assumersi la responsabilità delle proprie deci-

sioni è di tale rilevanza e valore? In queste esortazioni ciò che è in figura è lamorte. La morte che termina tutto e quindi, nella loro concezione, la morte co-me grande motivatore (Olson, 1962).

Dal momento che non è possibile predire quando arriverà, è sempre pre-sente nella vita di ogni individuo. Ognuno potrebbe morire oggi stesso e per al-cuni questo si avvererà. È quindi una possibilità di ogni momento della vita esi dovrebbe essere spinti a valorizzarla; invece, per paura, la maggior parte del-le persone tende a creare e inventare modi per evitare di pensarci, di notare lapresenza della morte, nonostante il fatto assoluto e l’unica certezza che ognu-no di noi la incontrerà.

L’esistenzialismo esorta a rinnegare la mediocrità e a vivere una vita impe-gnata come se ogni giorno fosse l’ultimo, eventualità che potrebbe anche veri-ficarsi, spinge cioè a rischiare, a coinvolgersi con passione anche nei piccolimomenti quotidiani, a diventare protagonisti più che spettatori della propriaesistenza. Non si può attendere e rimandare, perché non si ha la sicurezza diavere tanto tempo, occorre semplicemente agire.

La presenza della morte serve anche come chiarificatore di valori. Essereconsapevoli che la vita ha un tempo limitato, influenza ciò che si fa oggi? Tracosa si sceglie? Le priorità cambiano se nel quadro si posiziona la propria mor-te? Si potrebbero fare scelte più autentiche, scelte che rispecchino maggior-mente i veri valori che si possiedono, basate su ciò che è più importante, piut-tosto che dettate da ciò che è più facile decidere, o da ciò che si preferisce oda quelle che si sono già scelte in passato?

A questo livello l’accento esistenziale-fenomenologico porta l’agevolatorea:� esortare al rischio, a uscire dagli schemi comodi e abitudinari, per pro-

vare altro, scoprire nuove possibilità e magari vivere a volte la vita inmodo “pericoloso”;

� entrare nel mondo dei clienti e osservare in che modo hanno evitato ilrischio e il pericolo, i modi con i quali si sono intorpiditi, con i qualihanno ristretto il loro campo d’azione e si sono ritirati; indicare loro que-sti aspetti e spronarli a riconsiderarli. Intorpiditi e insensibili non è il mo-do di vivere e l’esistenzialista è diffidente nei confronti del comfort. Si èattori, non spettatori nelle avventure della vita;

Capitolo 1

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� ricordare ai clienti che la vita non è infinita, anzi, è anche breve, e chenon si ha nessuna garanzia che domani si sarà ancora vivi;

� aiutare a comprendere ciò che profondamente è importante per loro, ascoprire e realizzare ciò che veramente pensano e sentono e a impara-re da loro stessi;

� spronare al coinvolgimento passionale in semplici attività della vita quo-tidiana;

� non accettare quando si tirano indietro. Spronarli a impegnarsi e a coin-volgersi in ciò che per loro è importante, anche se altri non sono d’ac-cordo con le loro priorità. La mediocrità, specialmente quando rappre-senta una mentalità apatica, che va con la corrente in maniera passiva,deve essere bandita.

Il confrontoSecondo Heidegger l’essere nel mondo dell’uomo significa apertura al

mondo e familiarità con esso (Cohn, 1997); per Sartre (1980) il confronto è labase di tutte le relazioni umane autentiche. Grazie anche alla sfida e al con-flitto, intesi come opportunità di confronto, si ha la possibilità di creare dei ve-ri rapporti e delle relazioni di fiducia. Secondo il punto di vista esistenziale, ilconflitto interpersonale è, infatti, inevitabile, è una componente essenziale diuna relazione autentica e il confronto è necessario ogni tanto al fine di mante-nere una relazione “vera” e valida. Ci sono modi migliori e peggiori per af-frontare il confronto e un buon agevolatore può aiutare i clienti ad apprenderecome farlo. La pseudo-tranquillità dovrebbe procurare maggior preoccupazio-ne di un confronto attivo occasionale (Peltier, 2001). Esiste inoltre un altroaspetto del conflitto inerente alle relazioni umane: a volte le persone che piùirritano e fanno perdere il controllo sono quelle di cui si ha maggiormente bi-sogno. Molte persone evitano il conflitto sistematicamente, a costi adattivi ele-vati, e ciò è un errore; certamente nessuno cercherebbe un conflitto non ne-cessario, ma la maggior parte delle persone piuttosto che confrontarsi tende aevitarlo sulla base di paure abbandoniche, del rifiuto (agito e subito) e di altreconseguenze “catastrofiche” derivanti da introietti appresi.

Mentre le relazioni autentiche incoraggiano l’altra persona a sentirsi libera,a operare delle scelte ritenute attraenti e corrispondenti per potersi realizzare,la manipolazione e il controllo degli altri non funzionano né a lungo né a bre-ve termine; anche quando sembrano godere di risvolti positivi, portano con sésempre degli effetti negativi collaterali inaccettabili.

Su questi principi si basano molti aspetti etici e deontologici sia del coun-seling che del coaching.

Rispetto al confronto e al conflitto l’accento esistenziale-fenomenologicoguida l’agevolatore a:

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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� creare e sostenere le relazioni autentiche. Questa ‘sfida’ riguarda sia iprofessionisti che i clienti. Ambedue beneficeranno dell’autenticitàdelle relazioni lavorative. I counselor/coach devono tendere a rag-giungere una relazione vera con i clienti per spronarli a esserlo nellaloro vita, privata o professionale che sia. Una relazione autentica av-viene quando ambedue si trattano vicendevolmente come entità auto-nome da rispettare; viene raccontata la verità e nessuno dei due mani-pola l’altro per ottenere dei benefici o dei vantaggi personali. Le per-sone non sono degli strumenti per il raggiungimento di qualche scopo.Questo concetto è trasmesso con particolare attenzione nel lavoro conle aziende: nessuno è un oggetto che possa essere usato. Questo as-sunto dovrebbe essere la sfida per una leadership positiva e costrutti-va.

� Discutere la visione del cliente riguardo al conflitto: lo apprezza, è unostimolo di crescita, lo fa sentire più vivo o gli suscita paura?

� Mettere in chiaro che evitare il conflitto è un errore, e valutare le moda-lità con le quali viene affrontato.

� Aiutare a vedere il conflitto e il confronto come aspetti potenzialmentepositivi della vita, professionale e personale, piuttosto che semplice-mente sintomi disfunzionali.

L’individualità e il contestoL’esistenzialismo, oltre a mettere in evidenza l’irripetibilità, l’irriducibilità e

l’individualità del singolo, sottolinea che nessuna persona è un essere statico:una penna è una penna in ogni contesto, una persona è differente da contestoa contesto (Abbagnano, 1993). Il comportamento umano può essere compresosolo se inserito nel contesto in cui si manifesta e la psicologia sociale ha evi-denziato l’errore fondamentale di attribuzione, la tendenza a sovrastimare i fat-tori interni (personali) e sottostimare quelli situazionali.

Questo assunto può essere particolarmente utile nel coaching, che a diffe-renza del counseling e della psicoterapia, spesso si trova a fare uso di infor-mazioni riguardanti il cliente, a utilizzare come fonte di informazioni non so-lo il cliente, ma, specialmente nel business coaching, informazioni derivanti dacolleghi, dirigenti dell’organizzazione e capi. È quindi essenziale, anche se sipossono ricevere dati da una valutazione fatta a 360°, incontrare il cliente nel-l’azienda come se non si sapesse nulla di lui, eliminare i preconcetti prima diiniziare a lavorare e cercare di scoprire come questi si rivelano nel lavoro chesi è svolto con lui, per operare successivamente un confronto tra le informa-zioni ricevute e le proprie impressioni e valutazioni. È importante cercare dicomprendere il cliente nel contesto del suo mondo relazionale in generale, ein questo caso lavorativo (Peltier, 2001).

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L’accento esistenziale-fenomenologico si manifesta a questo livello nell’o-perato dell’agevolatore finalizzato a:� rispettare l’individualità dei suoi clienti;� affrontarli con una freschezza e una volontà di vedere in ciascuno la lo-

ro specifica unicità;� sostenere e rinforzare i loro punti di vista, e verificare se loro stessi va-

lorizzano il proprio oppure lo sminuiscono nel confronto con gli altri;scoprire quanto vivono secondo valori soggettivi autonomi o condizio-nati dall’esterno;

� rinforzare la fiducia dei clienti nelle loro percezioni e conclusioni; ilpunto di vista soggettivo ha un valore intrinseco anche quando sia ne-cessario riconsiderarne la funzionalità o affrontarne il cambiamento nelprocesso di counseling/coaching;

� sostenere il cliente nella sua capacità critica personale;� sottolineare costantemente la scelta della propria identità quotidiana-

mente in ciascun momento: l’esistenza precede l’essenza. Il pensierodella propria reputazione non deve costringere, condizionare, restringe-re lo sviluppo e l’autorealizzazione del Sé. Si possono operare nuovescelte e comportamenti o dare nuove priorità, iniziando da subito.

L’assurdoL’esistenzialismo sottolinea l’impossibilità di predire gli eventi, incluso il

fatto che si potrebbe morire in ogni momento, e celebra la morte: non c’è mo-do per sfuggire a tale realtà, indipendentemente da quanto ci si provi e si cer-chi di far finta che non sia così. Il fatto che l’universo e la vita stessa siano ine-splicabili, quanto più si desidera trovare un senso, è la prova ultima dell’assur-do (Thody, 1957). Si vorrebbe comprendere, ma non è possibile. La vita è pie-na di contraddizioni brutali. La maggior parte degli individui è tentata di igno-rare questa realtà, di negarla o di illudersi che non sia così. Si cerca un ordinedelle cose e si insiste affinché tale ordine creato venga rispettato. Ma per quan-to possa essere importante stabilire il proprio miglior ordine possibile, è un er-rore insistere sul fatto che il proprio ordine prevalga su quello di un altro.

La natura stessa della vita scuote e sconvolge le proprie pacifiche e tran-quille illusioni. Il tetto può cadere in ogni momento, anche se questo non è de-primente per il pensatore esistenziale. L’assurdo, infatti, apre la porta alla feli-cità. È nella totale accettazione dell’incertezza, delle contraddizioni della vitache si può diventare sufficientemente liberi e impegnarsi negli eventi e nei pia-ceri quotidiani, per poter riuscire veramente ad apprezzarli. Essi rappresentanola vita di ognuno. La vita è folle e vissuta in questo modo è una gioia.

Perché un cliente possa incontrare e metabolizzare l’assurdità della vita do-vrà essere aiutato a:

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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� scoprire la propria via, trovare dentro di sé la risposta alle domandepiù importanti. Nessun altro lo può fare e può fornirle. La verità ri-chiede l’auto-scoperta. Non può essere trasmessa da una persona aun’altra;

� prendere consapevolezza che la vita è piena di situazioni assurde e ri-dicole; e che ciò è semplicemente normale, un dato di fatto. Sarà l’age-volatore che l’aiuterà a vedere quanto bene comprenda tale realtà e co-me la gestisca: si lamenta quando le cose non vanno per il verso piani-ficato?

� apprezzare quanto la vita sia fuori dal controllo predeterminato; a tro-vare l’ironia nelle contraddizioni e a diventare più flessibili;

� accogliere e apprezzare l’assurdo.

L’ansia e l’angosciaPer Sartre l’angoscia è soltanto “il sentimento della propria completa e

profonda responsabilità” che pertanto non conduce all’inerzia, ma all’azione;per Kierkegaard l’angoscia, come la disperazione e la fede, è una categoria fon-damentale dell’esistenza umana (Olson, 1962).

A questo livello l’accento esistenziale-fenomenologico sottolinea l’impor-tanza per l’agevolatore di:� anticipare l’ansia e la difensività e accoglierla;� spiegare che chiunque prova ansia, è prevedibile ed è “normale”; l’an-

sia è una delle possibili condizioni ed esperienze umane, è fisiologica.Occorre invece essere attenti se il cliente riferisce di non provare ansia,perché ciò significherebbe che non è in grado di notare o esprimere sen-timenti o stati d’animo soggettivi;

� legittimare l’ansia, in quanto appropriata al percorso, alla situazione dicambiamento o crescita che si deve affrontare. Il cambiamento spesso fapaura e si aggiunge alla “regolare” ansia associata alla vita che è fuoridal controllo, nel senso esistenziale;

� tener presente che la resistenza e la difensività possono anche essere an-ticipate nel processo di counseling o di coaching, come ha sottolineatoMaslow (1968), in quanto la crescita e la sicurezza spesso si spingono indirezioni opposte;

� consapevolizzare che la resistenza dei clienti è, in qualche grado e for-ma, sempre presente e non rimanere quindi delusi quando emerge. Èuna parte essenziale del processo di cambiamento con la quale i pro-fessionisti della relazione d’aiuto dovranno sempre lottare.

Capitolo 1

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1.2.2. Punti forza, limiti e applicazioni dell’approccio fenomenologico-esi-stenziale nel counseling e nel coaching integrato

L’esistenzialismo fenomenologico esorta ogni essere umano alla consape-volezza, alla riflessione e alla responsabilizzazione, in quanto l’essenza di ogniindividuo dipende dalle sue stesse decisioni e scelte nell’agire e nel reagire.Spinge al confronto e a relazioni autentiche e costruttive. Questa attribuzionedi potere personale può risultare eccitante, produttiva e soddisfacente e pro-muovere la creatività e l’azione.

Spesso tuttavia, l’esistenzialismo sembra elogiare la presa di decisione in sé– qualsiasi essa sia purché presa in maniera individuale e autentica – che vie-ne in questi casi sopravvalutata, senza preoccuparsi che sia o no una sceltasaggia (Shinn, 1959). Un approccio alla realtà quasi “romantico”, che porta tal-volta a un individualismo irriflessivo o vuoto di direzionalità.

Questa sorta di individualismo, che nasce per uno scopo in sé, non gode diuna grande funzionalità nella vita reale o nelle organizzazioni, se si vuole ri-flettere sulla sua applicabilità anche al counseling aziendale o all’executivecoaching. Un individualismo autentico richiede estese e continue auto-valuta-zioni e la volontà e la responsabilità di vivere giorno per giorno il risultato ot-tenuto, ovvero, il frutto delle decisioni prese. E per estendere il discorso anchealle organizzazioni, le decisioni che si prendono non si possono basare su unospirito idealistico e assolutamente propositivo, ma richiedono un attento escrupoloso esame, e spesso restrizioni e compromessi.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

45

“Ognuno, prima o poi, comprende molte cose della pro-pria vita […]. La comprensione di se stesso, di una per-sona e del mondo è differente da quella di ogni altrapersona” (Szasz, 1996).Il rispetto per la soggettività, per la finitezza, l’impreve-dibile e per il proprio potere di decisione e auto-realiz-zazione sono le chiavi essenziali per accedere all’in-contro con l’altro, cliente o coachee che sia.

1.3. Il presente incontra il passato: evoluzioni e attualità delleesperienze originarie

1.3.1. In principio fu…il legame primario

L’importanza del legami primari nella costruzione delle mappe interperso-nali relazionali che orientano gli scambi relazionali nell’infanzia e nell’etàadulta è stata considerata soprattutto dalla teoria dell’attaccamento (Birtchnell,1994).

La strategia preferita di attaccamento che il soggetto manifesta può essereconsiderata come la ricerca di una partnership corretta verso uno scopo co-mune, diretta a mantenere vicinanza fisica o psicologica e a dare/ricevereconforto e aiuto nelle condizioni che vengono percepite come un pericolo ocomunque come un’alterazione dell’equilibrio dell’organismo (Holmes, 2001).

Capitolo 1

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Definizioni:

“attaccamento” è un termine generale che si riferisce allo stato e all’attualità de-gli attaccamenti di un individuo che sperimenta sicurezza, protezione e amorenell’attaccamento sicuro, dipendenza, paura del rifiuto, irritabilità e vigilanzanell’attaccamento insicuro.

“comportamento di attaccamento”: ogni forma di comportamento che apparein una persona che riesce a ottenere e a mantenere la vicinanza ad un individuodifferenziato preferito.

“sistema dei comportamenti di attaccamento”: modello del mondo in cui ven-gono rappresentati il sé, gli altri significativi e le interrelazioni, che codifica ilpattern di attaccamento specifico.

La Triade dell’ Attaccamento

1) ricerca attiva della vicinanza ad una figura preferita 2) la figura di attacca-mento costituisce la “base sicura” da cui curiosare ed esplorare 3) protesta per

la separazione

le reazioni alla separazione e alla perdita:• torpore

• bramosia, ricerca, collera• disorganizzazione, disperazione, riorganizzazione.

La tramissione del modello di attaccamento si basa su:� responsività del genitore;� presenza di capacità metacognitive che consentono di differenziare tra

esperienza immediata (es. madre distaccata) e stato mentale sottostante(“perché lei è triste e non perché io sono cattivo”);

� capacità del bambino di sviluppare rappresentazioni degli stati mentali,emotivi, cognitivi che organizzino il suo comportamento verso chi lo ac-cudisce.

Gli esseri umani cercano di comprendersi in termini di stati mentali: pen-sieri, sentimenti, desideri, credenze, per attribuire significato all’esperienza epoter anticipare le reciproche azioni. Attribuendo uno stato cognitivo o emoti-vo agli altri è possibile rendere il proprio comportamento comprensibile a sestessi (Fonagy, 1996).

La capacità di esercitare un controllo cognitivo può rivelarsi particolarmen-te importante quando il bambino è esposto a interazioni sfavorevoli, per esem-pio, nei casi estremi, abuso e trauma (Brisch, 2002). � La funzione riflessiva del Sé promuove attaccamento sicuro nel bambi-

no. Un bambino in grado di pensare agli stati mentali degli altri puòpensare che il rifiuto da parte del genitore sia basato su convinzioni sba-gliate e sarà quindi in grado di moderare l’impatto delle esperienze ne-gative.

� Se il genitore acquisisce la capacità di rappresentare e riflettere in modosoddisfacente sull’esperienza mentale, può essere interrotto il ciclo di ri-petizione di precoci esperienze negative e con esse la trasmissione dimodelli di attaccamento insicuri.

Una relazione di attaccamento sicuro fornisce il contesto ideale al bambi-no, perché possa esplorare la mente del genitore e padroneggiare la natura de-gli stati mentali (Attili, 2001).

Il processo è intersoggettivo: il bambino arriva a conoscere la mente del ge-nitore così come il genitore cerca di comprendere e contenere gli stati menta-li del bambino.

“La mamma pensa a me come qualcuno che pensa, dunque io esisto comeessere pensante” (Fonagy, 1996).

La trasmissione dell’insicurezza nel pattern di attaccamento:• in ognuno dei genitori, le esperienze relative all’attaccamento nell’in-

fanzia e nell’adolescenza vengono rappresentate sotto forma di “model-li operativi interni”;

• questi modelli operativi interni dei genitori influenzano l’organizzazio-ne rappresentazionale. La rappresentazione del bambino da parte di

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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ognuno dei genitori influenza il modo in cui ognuno di loro tratta il bam-bino e la qualità della responsività sensibile alle comunicazioni delbambino di richiesta di cura;

• la qualità e il grado di responsività sensibile costituiscono gli elementideterminanti primari della qualità dell’attaccamento del bambino aognuno dei genitori.

I due fattori più importanti che determinano il contributo dei genitori al sen-so di sicurezza dei loro bambini sono:

– la capacità di offrire empatia o responsività sensibile;– la capacità di impegnare i loro bambini in conversazioni significative in

cui si mostra una capacità di riflettere sui problemi interpersonali (Mar-rone, 1999).

Nell’individuazione delle caratteristiche degli Internal Working Models (I.W. M.), o Modelli Operativi Interni, è importante la coerenza tra ciò che la per-sona racconta e le sue “prove”, ciò che caratterizza per esempio il suo mododi parlare e di raccontare (Giusti, Spalletta, 1997).

Il tipo evitante utilizza una modalità cognitiva di comunicazione. L’elabo-razione dell’informazione affettiva deve essere introdotta attraverso un lin-guaggio cognitivo. Il nuovo linguaggio (affettivo) deve essere insegnato attra-verso il modeling. L’evitante presenta un racconto scarno, pochi affetti espres-si, un racconto non congruente per la sua portata emotiva con il modo in cuiviene espresso, idealizzazione dei genitori. Di solito all’origine del modelloevitante troviamo una madre distanziante e fredda.

Il tipo resistente-ansioso non è sicuro della responsività della figura di ac-cudimento percepita come imprevedibile. Questa insicurezza determinaun’ansia costante rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni e un’attivazio-ne continua del pattern di attaccamento. Da adulto può manifestare ansia e an-gosce abbandoniche nelle relazioni, oppure dipendenza eccessiva dal partnere comportamenti di accudimento nevrotico. Generalmente la figura di attacca-mento si è mostrata preoccupata ed incostante risultando inaffidabile e ansio-gena per il bambino.

Al contrario, lo sguardo della madre sicura rispecchia lo stato d’animo delbambino, ascolta e risponde ai bisogni che manifesta, lo rende sicuro della suacapacità di chiedere e della capacità del mondo di rispondere in modo ade-guato.

Il tipo disorganizzato si trova a fare i conti con una paura senza soluzione.Il bambino che incontra lo sguardo preoccupato della madre viene spaventa-to, paradossalmente, dalla stessa persona dalla quale dovrebbe ricevere prote-zione e affetto (madre spaventata/spaventante). Spesso questo stile di attacca-mento si individua nelle persone maltrattate o abusate.

Capitolo 1

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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BOX DI APPROFONDIMENTOStrategie secondarie dell’attaccamento

• Due sistemi motivazionali principali regolano l’interazione tra soggetti del-la stessa specie: quello agonistico, più antico, che si attiva quando compa-re uno stress o “lo straniero”e quello delle “cure parentali”, più recente. Ilprimo è diventato una risorsa da utilizzare in situazioni difficili.

• Il sistema agisce con una mescolanza dei sistemi emozionali di rabbia e paura.• Gli attaccamenti insicuri utilizzano queste strategie secondarie in seconda

istanza, dopo aver tentato di raggiungere una sicurezza di attaccamento conquelle primarie.

• Un soggetto insicuro non ha integrato l’immagine di un genitore disponibi-le (e questo genera anche dosi elevate di stress, che attiva il sistema agoni-stico) allora ricorre a questi sistemi accessori che però sono più primitivi, ri-sultano meno flessibili, più chiusi e tengono meno conto dell’interazionecon il contesto rispetto a una logica interna.

SISTEMI DI APPRENDIMENTO E MEMORIADiversi aspetti dell’apprendimento coinvolgono diversi sistemi neurali, ciascu-no con compiti specifici.Il sistema dell’amigdala decodifica la paura e attiva le risposte viscerali (fre-quenza cardiaca, pressione arteriosa, ecc.) per affrontare le situazioni. È un si-stema caldo, veloce, efficiente, diretto, altamente emotivo, rigido e frammenta-rio: memorizza accadimenti diversi ed è capace di attivare risposte anche in re-lazione a frammenti di stimoli. Le memorie “calde” implicano un senso di rivissuto che le rende più simili auna risposta reazione che a un ricordo. Quando lo stress aumenta l’amigdalaaumenta la risposta.Il soggetto entangled tende a conservare memorie episodiche molto vivide, an-che molto precoci, rivissute nel presente della narrazione, a testimoniare una“ipertrofia” della memoria episodica.Il sistema ippocampale apprende quale sia la situazione, acquisisce memoriaepisodica delle relazioni (spazio-tempo) che gli eventi hanno con il contesto.È un sistema “freddo” e lento che stenta a verificare ipotesi e ad apprendere regole.A bassi livelli di stress aumenta la risposta all’aumentare dello stimolo, mentrestress elevati lo rendono via via meno sensibile fino a renderlo totalmente di-sfunzionale e iporesponsivo.Il soggetto dismissing conserva un’opinione generale sul suo passato, ma sten-ta a ricordare episodi, i ricordi sono poveri, scollegati, opposti alla opinione se-mantica sul passato.Un basso livello di stress aumenta la memoria sia amigdalica sia ippocampale,un alto livello di stress disattiva il sistema ippocampale e rende iperattivatoquello amigdalico (Farma, 2003).

In generale è possibile affermare che c’è una preponderanza di un modellooperativo sull’altro, ma sono presenti anche le modalità che derivano da espe-rienze con altre figure di attaccamento. Il modello operativo interno è non so-lo il risultato delle relazioni con le figure più significative per il bambino, ma èanche predittivo del genere di attaccamenti che instaurerà in futuro e del tipodi funzione genitoriale che quel bambino assumerà una volta adulto (Johnson,Whiffen, 2003). D’altra parte questo non significa che, una volta strutturato, lostile di attaccamento sia immutabile. È possibile modificarlo attraverso espe-rienze positive, relazioni di coppia soddisfacenti, processi terapeutici, che per-mettano di rielaborare il vecchio modello e strutturarne un altro più adeguato.Il “disattaccamento” può avvenire in modo traumatico, specie nel periodo ado-lescenziale. Alcuni adolescenti scelgono di affermare in modo aggressivo lapropria nuova identità, contrapponendosi in modo oppositivo agli insegna-menti e alle aspettative genitoriali. Paradossalmente ciò può portare alla defi-nizione di un’identità reattiva, altrettanto poco congruente ed autentica diquella del “bambino sottomesso”. L’accettazione e l’elaborazione dei cambia-menti, dei distacchi, la comprensione di ciò che realmente ci appartiene, è unprocesso lento e complesso. E questo processo di individuazione può duraretutta la vita (Culow, 2003). Anche se esiste una tendenza a permanere nellostesso modello di attaccamento durante il ciclo di vita, occorre comunque con-siderare che esiste un processo di maturazione dinamica degli attaccamenti instretta relazione con l’esperienza di vita (Cassidy, Shaver, 2002). Un cambia-mento, da parte dei genitori, nel modo di educare il bambino, può generareuna virata nel suo processo evolutivo in senso favorevole o sfavorevole(Bowlby, 1989). Durante le fasi critiche di sviluppo, di cambiamento evolutivosono più frequenti e possibili le riorganizzazioni dei pattern di attaccamento.Una prospettiva evolutivo-longitudinale permette di comprendere le connes-sioni tra adattamenti precoci e successivi sviluppi patologici alla luce di un mo-dello multifattoriale e di considerare l’evoluzione un processo continuo di in-terazione organismo-ambiente. La continuità nel modello evolutivo compren-de coerenza nello sviluppo e plasticità – “la continuità dello sviluppo e la con-tinuità dell’esperienza soggettiva e dei pattern relazionali” (Dazzi, Speranza,2005). L’organizzazione delle informazioni nella memoria esplicita (autobio-grafica) è soggetta a distorsioni ed è strettamente connessa alla maturazionedell’ippocampo che non avviene prima dei due anni di vita. Le esperienze pri-marie vengono immagazzinate dall’amigdala che registra la memoria implici-ta (procedurale) al cui ricordo non è possibile accedere, ma che condiziona eorienta profondamente la vita emotiva durante tutta la vita (Green, 2003) (Tab.3).

Capitolo 1

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Tab. 3. Decodifica delle informazioni e ricordi

Altri autori sottolineano l’influenza di un saldo legame di attaccamento nelfacilitarne di nuovi (Weiss, 1982; Carli, 1995). Le funzioni dell’attaccamentoinfatti vengono trasferite in modo graduale e la funzione “base sicura” è l’ulti-ma a subire lo spostamento da una figura all’altra, per es. dai genitori al part-ner (Hazan, Shaver, 1995). Lo spostamento dell’attaccamento su un coetaneosi articola nelle fasi di ricerca di vicinanza, considerazione del partner come ri-fugio ed infine come base sicura.

Per quanto riguarda gli attaccamenti, le riedizioni e i cambiamenti nei con-cetti di sé e dell’altro in età adulta, nelle coppie adulte il modello sicuro si ca-ratterizza per la capacità di entrambi i partner della coppia di vivere l’intimità,la reciprocità, l’interdipendenza. Il tipo sicuro ha fiducia negli altri e a loro sirivolge per ottenere sostegno e conforto nei momenti di difficoltà.

Nel modello evitante tipici sono il timore dell’intimità e l’incapacità di di-pendere dagli altri. Il livello di consapevolezza dei propri sentimenti negativi èbasso, come scarsa è la capacità di confessare anche a se stessi di avere qual-che bisogno. Il tipo evitante è centrato sul lavoro, preferisce lavorare da solo esolitamente utilizza l’attività o il compito come veicolo di contatto.

Nel modello ansioso-ambivalente è costante la preoccupazione circa l’affi-dabilità e la responsività del partner (soprattutto nelle fasi iniziali del rapporto),fino all’incertezza sul suo reale desiderio di stare con lui. Caratteristiche sonol’alternarsi di esperienze positive e negative, la gelosia, l’ossessione amorosa.L’ipersensibilità al proprio disagio rende eccessivamente alto il livello di vigi-lanza. Tale attenzione naturalmente è rivolta alla relazione, nella paura di unasua improvvisa rottura. Le strategie per mantenere la vicinanza arrivano sino al-l’uso di sintomi psicopatologici. In ambito lavorativo è frequente l’insoddisfa-zione e l’intrusione delle difficoltà relazionali nel lavoro e di quelle professio-nali nel privato (Hazan, Shaver, 1990).

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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Esiste una relazione tra atteggiamenti affettivi dei genitori nei confronti deifigli, la qualità della relazione della coppia genitoriale, il clima emotivo fami-liare e l’insorgenza di attaccamenti sicuri o insicuri nei figli (Rholes, Simpson,2004). Un padre esigente, dominatore e punitivo si correla con un’elevata an-sia amorosa nelle figlie femmine; un padre distaccato o rifiutante con la loroossessione amorosa. I livelli massimi di ansia nelle donne sono correlati con unpadre ostile ed un ruolo poco chiaro della madre, che non si sottomette nécompete col marito (Byng-Hall, 1998).

Gli uomini sembrano risentire meno dei conflitti familiari pur essendo sen-sibili al rifiuto, all’autoritarismo e all’inconsistenza dei genitori. Tali caratteri-stiche si ritrovano nelle famiglie di uomini con attaccamenti ansiosi verso le lo-ro donne, e con mancanza di sostegno, fermezza e competitività, cioè delle co-muni basi della sicurezza maschile (Brodsky, Schwarz, Hindy, 1990).

La relazione subisce momenti critici quando i partner abbiano stili di attac-camento troppo simili (si confondono) o troppo dissimili (non si riconoscono).Perché un soggetto diventi sufficientemente una figura di attaccamento è ne-cessario che sia familiare e abbia per questo un comportamento prevedibile,ma deve risultare anche abbastanza diverso dalle figure familiari per poter at-tivare l’attrattiva sessuale (Eagle, 2005).

Generalmente individui con uno stile di attaccamento sicuro scelgono part-ner sicuri, mentre soggetti insicuri tendono a trovarsi con altri insicuri, ma conuno stile di attaccamento diverso dal proprio. Questi ultimi di solito conferma-no le rappresentazioni mentali del partner, mantenendo attivo il suo modellorelazionale disfunzionale.

Per esempio, si rileva una certa tendenza dei tipi ansioso-ambivalenti a fa-re coppia con tipi evitanti. Mentre l’ambivalente tende ad un’amplificazionedelle situazioni di conflitto, con ipercriticità e sensitività nei confronti del part-ner, il tipo evitante rifugge qualsiasi spostamento del suo livello di umore nontollerando un’emotività esuberante, elude lo scontro allontanandosi (evitando-lo), esasperando il partner in un crescendo di conflittualità che può portare al-la rottura definitiva (McCluster, 2005).

La teoria dell’attaccamento ritiene ogni nuova relazione sentimentale unapotenziale occasione per modificare i modelli di relazione. Tuttavia la tenden-za è sempre quella di trovare una corrispondenza con il proprio sistema di at-taccamento anche nel setting di aiuto (Tab. 4) (Norcross, 2002).

Capitolo 1

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Tab. 4. Attaccamento nella strange situation e nella relazione di aiuto (ad.ta da El-liott, Goldman, Greenberg, 2002)

1.3.2. Aspetti psicodinamici utili alla pratica del counseling e del coachingnell’approccio integrato

Dall’ipnosi alla “cura attraverso la parola”, definita come psicoanalisi, allenuove scuole psicoanalitiche, alla psicologia psicodinamica: in questa se-quenza vengono racchiuse più di un secolo di teorie, scissioni, ricerche e in-novazioni; in questo paragrafo, più che essere esposte direttamente, verrannodescritte alla luce del bagaglio che counseling e coaching integrati hanno trat-to da loro.

L’esistenza di processi mentali inconsciNel contesto scientifico di fine Ottocento, Freud, anche se non fu il primo

a scoprire l’inconscio, in quanto la presenza di parti inconsce della mente era-no già state descritte da Nietzsche, Eliot, Goethe, Schopenhauer, H. James,Dickens e altri, fu però il primo a sottolineare l’importanza delle dinamichepsichiche inconsce nel motivare il comportamento. Freud (1890) localizzò l’in-conscio in alcune “regioni dell’apparato mentale” situate in zone non meglio

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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Strange situation Setting della relazione d’aiuto Il caregiver aiuta il bambino a regolare la sua reazione affettiva e a ristabilire la base sicura dopo una separazione: quando questa operazione ha successo l’esperienza relazionale è connotata da affetti positivi reciproci e condivisi; in questo modo si sviluppa la sicurezza del legame.

Il processo di aiuto/terapeutico consiste in una sequenza ritmica strutturata in modo predeterminato, di eventi di separazione e riunione: la sperimentazione di un ambiente che facilita la consapevolezza delle strategie di separazione e riunione e l’espressione di sentimenti (regolazione affettiva), sviluppa la sicurezza del legame.

Indicatori di “Qualità delle cure materne”:

Indicatori della qualità della relazione d’aiuto:

Sensibilità Prontezza nella risposta (ai segnali di ansia/disagio) Stimolazione adeguata Sincronia interattiva Calore Coinvolgimento Responsività

Empatia, calore, coinvolgimento, interesse, responsività, partecipazione collaborativa. In ogni seduta si susseguono cicli di rottura e riparazione della sintonizzazione con conseguenti approfondimenti empatici

definite del corpo, dove viene represso e trattenuto tutto quello che non è ac-cettato dalla mente cosciente.

I concetti di inconscio e dei diversi livelli di coscienza sono basilari per lacomprensione di alcuni comportamenti e problemi di personalità, che sonofondamentali da tenere presente, specialmente quando con il cliente si lavoraverso la realizzazione di obiettivi e mete: occorre verificare se non ci siano for-ze inconsce contrarie che bloccano il lavoro, lo ostacolano, lo rendono di-struttivo, forze contrarie a quelle dell’Io che portano l’individuo in luoghi do-ve magari non vorrebbe andare (Morris, Eagle, Wolitzky, 1998).

I valori di un cliente sono in parte inconsci, e, al livello più profondo, gui-dano e orientano la persona in quanto essere umano verso alcuni importantiscopi della sua esistenza, oltre che governare molti dei suoi comportamenti;rappresentano le sue convinzioni profonde e fondamentali sia personali checollettive, il modo in cui giudica ciò che è bene e ciò che è male, giusto o sba-gliato, adatto o non adatto; i suoi punti fermi a cui fare riferimento. Di conse-guenza, esplorare, conoscere e capire i valori del cliente è importante per ren-dersi conto di ciò che sta dietro alle sue scelte e ai suoi obiettivi che poi sa-ranno oggetto di investimento emotivo, affettivo e anche economico (Peltier,2001).

Prima di tutto forniscono la spinta o l’energia cenestesica che agisce comemotivatore primario delle proprie azioni e, in seconda battuta, servono comecriteri di valutazione post factum, o come giudizi sulle azioni. Le credenze so-no strettamente collegate ai valori e anch’esse hanno un ruolo significativo neldeterminare l’obiettivo, i pensieri conseguenti al raggiungimento dell’obiettivostesso o quelli derivanti da un risultato negativo quando l’obiettivo non vieneraggiunto. Le credenze che sono a sono un livello più consapevole rispetto aivalori, sono unite o strettamente legate a questi: ogni credenza individuale èconnessa a un preciso valore. Dilts (2003) utilizza i termini ‘credenze-nucleo’e ‘valori-nucleo’ che hanno a che fare con la propria identità, e si creano spes-so a livello inconscio in modo apparentemente semplice prima degli otto anni,osservando i genitori interagire. I valori, infatti, sono spesso il risultato di unmodellamento inconscio a partire dalle persone più vicine negli anni della fan-ciullezza, che vengono, insieme alle credenze, acquisite per adattarsi allarealtà. Probabilmente i valori più inconsci sono tra i più importanti nella defi-nizione della personalità; e le incongruenze sono in genere il risultato di con-flitti di valori all’interno di una persona.

Capitolo 1

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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BOX OPERATIVOScheda di auto-esplorazione: Il proprio sistema di valori

Per far emergere ciò che si trova alla base delle scelte fatte da parte del cliente/coa-chee, per mettersi come agevolatore maggiormente in contatto con la mappa delsuo mondo e per sviluppare un maggior senso di empatia comprendendo la dire-zione verso cui questo si muove, possono essere utili le seguenti domande:� “Qual è la cosa più importante per te nella vita e nella professione?” � “Che cosa ti stimola all’azione?”� “Che cosa ti spinge ad alzarti tutte le mattine?”� “Cosa c’è alla base di questo tuo interesse o di questo obiettivo?” Altre domande potrebbero aiutare il cliente/coachee ad esplorarsi su eventualiingiunzioni genitoriali o credenze che possono essere collegate ai valori e in-cidere sulla modalità attraverso la quale l’obiettivo viene raggiunto o possonorafforzare la motivazione verso l’obiettivo stesso:� “Cosa potrebbe succederti se non potessi raggiungere l’obiettivo?� “Cosa sei disposto a sacrificare per raggiungere questo obiettivo?”� “Cosa farai nel caso in cui, per qualche motivo, non dovessi raggiungere

questo obiettivo nei tempi stabiliti?”� “Cosa farai quando avrai raggiunto pienamente il tuo obiettivo?”Dunque, i valori sono alla base della identificazione degli obiettivi che i clien-ti si pongono e condizionano le scelte e le azioni nel raggiungerli.Alcuni esempi di valori che il cliente potrebbe avere introiettato o costruito nel-la sua vita potrebbero essere i seguenti: il successo, l’approvazione, la ricono-scibilità, il senso di responsabilità, il piacere, l’amore, la benevolenza, la crea-tività, il senso di giustizia, la stabilità, la salute, il potere, l’amicizia, l’onestà, lafamiglia come istituzione, ecc. La gerarchia dei valori è l’ordine di priorità utilizzato dalla persona nel decide-re in che modo agire in una certa situazione.

Fig. 3. Le credenze/convinzioni connettono i valori ai vari aspetti dell’esperienza(tratta e ad.ta da Dilts, 2003)

Meccanismi di resistenza e repressioneOgni persona, per alleviare l’ansia, le paure e riuscire a sopravvivere a si-

tuazioni difficili, utilizza dei “meccanismi di difesa”, come il non ricordare unevento traumatico e troppo doloroso attraverso la rimozione o la negazione.L’uso delle difese dipende dal livello di sviluppo personale e dal grado di an-sia che deriva dal conflitto tra le istanze di personalità per il controllo dell’e-nergia psichica, e ha la funzione di segnalare all’Io un possibile pericolo da cuipotrebbe essere travolto. I meccanismi di difesa impediscono, infatti, all’Io diessere invaso dall’ansia e quando questo non riesce a controllarla con metodirazionali e diretti, utilizza metodi meno realistici con cui potersi tutelare(Blackman, 2004).

Le difese dell’Io sono quindi dei comportamenti comuni che possiedono unvalore di adattamento, fino a quando non diventano uno stile di vita che per-mette di evitare il confronto con la realtà e perciò disfunzionali. Sarà in questocaso compito dell’operatore di intervenire con il cliente per consapevolizzaree modificare le difese.

I meccanismi di difesa presentano due caratteristiche comuni: negano/di-storcono la realtà e agiscono quasi completamente a livello inconscio. Di se-guito ne verranno descritti alcuni esemplificati da un caso di un cliente chepresenta delle difficoltà con il suo direttore di lavoro.

• La repressione: consiste nel tenere lontano dalla coscienza pensieri esentimenti inaccettabili, che minacciano l’Io; avviene inoltre nell’incon-scio un processo di rimozione involontaria delle esperienze affettivetraumatiche vissute nei primi sei anni di vita che continuano però a in-fluenzare i comportamenti presenti. o Esempio: “Non so perché spesso mi sento così stanco e teso al lavo-

ro.”• La negazione: è la forma più semplice di difesa, consiste nella distorsio-

ne dei pensieri, dei sentimenti, delle percezioni vissute da una personadurante un evento traumatico; questa semplicemente chiude gli occhi difronte a una realtà dolorosa, difendendosi così dall’ansia, cercando dinegarla. o Esempio: “Sono arrabbiato con il mio capo, ma non so perché.”

• La sublimazione: consiste nel ridirezionare l’energia sessuale e aggressi-va verso differenti obiettivi, socialmente accettabili e che suscitano am-mirazione. Per Freud, questo meccanismo è alla base delle attività crea-tive, come l’arte, la letteratura, le scoperte scientifiche, la ricerca di co-noscenza e la formazione della civiltà.o Esempio: “Sono diventato il mediatore del comitato dei dipendenti e

vengo chiamato in causa da coloro che hanno delle difficoltà con lostile manageriale di questa organizzazione.”

Capitolo 1

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• La proiezione: consiste nello spostare sugli altri i propri impulsi e desi-deri inaccettabili. Attribuire agli altri i propri impulsi aggressivi e sessualipermette alla persona di non riconoscere e affrontare i propri desideri.o Esempio: “Io non piaccio al mio capo”.

• L’isolamento: permette di ricordare le esperienze, ma separate dai senti-menti dolorosi o di vergogna.o Esempio: “Non condivido il piano strategico del mio capo.”

Lo spostamento, la razionalizzazione, la sublimazione, la regressione, l’in-troiezione, l’identificazione e i rituali di annullamento vengono elaborati perannullare le azioni che provocano sensi di colpa.

Lo sviluppo psicosessuale L’evoluzione psicologica dell’individuo avviene durante l’infanzia, attraver-

so il superamento di quattro stadi di sviluppo psicosessuale; i primi tre sonopre-genitali, ovvero: orale (primo anno di vita), sadico-anale (2-4 anni), fallico(3-5 anni) e il quarto (6-8 anni, dopo il periodo di latenza) genitale (Morris, Ea-gle, Wolitzky, 1998).

Di interesse per l’operatore integrato sono gli attributi che caratterizzanoqueste fasi e che corrispondono a quelli del ciclo dell’autonomia. Nella tabel-la 5 vengono riportati i parallelismi e le caratteristiche di ogni fase, utilizzandoun esempio tratto dalla quotidianità aziendale, che permette di individuarequale sia la posizione attuale del professionista rispetto all’autonomia, per po-terlo guidare nel processo di crescita, in quanto l’inserimento nel mondo pro-fessionale ripercorre le fasi evolutive della crescita personale.

Tab. 5. Tappe di sviluppo dalla dipendenza all’interdipendenza(ad.ta da: P. Chaparro, 2004)

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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Stadio psico-sessuale

Orale

Fase del ciclodi autonomia

Dipendenza

Caratteristiche

La persona che entra in azienda dipende dagli altri; hala necessità che qualcuno si occupi di lei e la indiriz-zi verso le sue mansioni; insegnandole le regole, icompiti, le modalità di svolgimento, le gerarchie, ecc.Il tutoring e il mentoring permettono al giovane pro-fessionista di acquisire gradualmente le competenzenecessarie per il suo sviluppo lavorativo.

Un modello dinamico mentaleNella tri-strutturazione della personalità fatta da Freud, l’Es corrisponde al-

la componente biologica, l’Io a quella psicologica, il Super-Io a quella sociale.Questi termini indicano dei processi psicologici che non operano separata-mente nella personalità, ma funzionano come un insieme, in quanto la loro di-namica è di tipo energetico e consiste in una mediazione costante tra l’Es, con

Capitolo 1

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Anale

Fallico

Genitale

Contro-dipendenza

Indipendenza

Inter-dipendenza

Questa fase viene detta anche “del no” – in contrastoalla “fase del sì” della dipendenza – nella quale ilbambino per poter iniziare il suo processo di indivi-duazione ha bisogno di affermarsi andando contro ciòche gli viene proposto per percepire l’essere diverso.In questa fase, rispetto a quella precedente, il profes-sionista inizia a costruirsi la propria identità lavorati-va. In un’azienda a modello non gerarchico dove ilprocesso di delega è fondamentale, in questa fase,sebbene non vi sia ancora uno stato di effettiva indi-pendenza, la persona è lasciata libera di gestirsi auto-nomamente. Al fine di trarre dei benefici, è fonda-mentale che ci sia chiarezza rispetto al referente: chetipo di feedback lavorativo occorre apportare, in chemodo e con quale frequenza, per poter verificare as-sieme la strada imboccata verso l’obiettivo da rag-giungere.

Il professionista comincia a gestire autonomamente ilproprio lavoro e ha al tempo stesso, pur sapendo “fa-re da solo”, bisogno di relazionarsi proficuamentecon i suoi superiori; al fine di evitare conflitti, è utileche gli accordi su come impostare i rapporti venganostabiliti a priori: modalità, tempi, feedback, tipo di co-municazione, ecc.

Se invece l’indipendenza può essere definita come la“fase del ni” con la sua funzione egologica, quelladell’interdipendenza è quella del “sì – no – ni” che as-sume una prospettiva ecologica e per questo risulta lapiù costruttiva e produttiva. Ritornando all’azienda, esiste a questo livello una re-lazione capo/subordinato collaborativa: il superioreaccetta che il dipendente abbia competenze specifi-che diverse dalle proprie e la relazione si nutre quin-di dello scambio efficace tra i suoi partecipanti.L’interdipendenza rappresenta il punto di arrivo peruna gestione efficace del teamwork.

i suoi impulsi inconsci e desideri di derivazione istintuale, l’Io razionale basa-to sulla realtà e il Super-Io etico-morale (Giusti, Montanari, Montanarella,1995).

• L’Es, che è presente dalla nascita, è l’istanza originaria della personalità,la fonte primaria di energia psichica e la sede degli istinti. Governato dal“principio del piacere”, la cui meta è la soddisfazione dei bisogni istin-tuali, l’Es scarica costantemente energia per mantenere l’omeostasi in-terna. È quasi completamente inconscio o privo di consapevolezza ed ècaratterizzato da illogicità, amoralità; non matura mai e non pensa, madesidera e agisce. I contenuti inconsci dell’Es motivano tutto il compor-tamento umano e modellano lo sviluppo della personalità.

• L’Io è la sede dell’intelligenza e della razionalità, è l’istanza che co-manda, controlla e regola la personalità. La sua funzione principale èquella di mediare tra gli istinti “ciechi” dell’Es e l’ambiente circostante,attraverso il controllo cosciente e la censura delle idee e dei desideriinaccettabili. Governato dal “principio di realtà”, l’Io pensa e progettaazioni in modo reale e logico; infatti, a differenza dell’Es che preme ver-so la soddisfazione dei desideri istintuali, la funzione dell’Io è quella didistinguere tra fantasie e oggetti reali del mondo esterno.

• Il Super-Io è l’istanza giudicante della personalità, svolge la funzione dicodice morale stabilendo ciò che è bene e male, giusto o sbagliato. IlSuper-io (oppure Io ideale) si forma dalla risoluzione del complesso diEdipo, attraverso l’identificazione del bambino con il genitore dello stes-so sesso e l’acquisizione dei valori e delle regole trasmesse in famiglia.L’internalizzazione del codice morale personale permetterà al bambinodi comportarsi correttamente, come i suoi genitori vogliono, anchequando non sono fisicamente presenti. Il Super-Io spinge l’individuo ver-so mete ideali, più che reali, verso la perfezione, piuttosto che verso ilpiacere. La sua funzione è quella di inibire gli impulsi dell’Es, persuade-re l’Io a sostituire mete reali con mete ideali e ricercare la perfezione.

Saper distinguere queste parti è per l’operatore di grande rilevanza e utilità:a seconda delle diverse fasi e situazioni che si devono affrontare in un percor-so di cambiamento è importante “allacciarsi” con alcune di queste parti in par-ticolare. Inoltre bisogna cercare di “utilizzare” tutte queste parti del cliente, te-nendo sempre a mente che l’Es deve essere in funzione dell’Io; l’Io dovrebbeprendere le decisioni, vagliare, valutare, per affrontare le mete o i traguardi chesi è prefisso, utilizzando il carburante dell’Es, la sua energia, la sua forza, la suapassione. Il tutto dovrà essere controllato e regolato dal Super-Io, che invece diessere persecutorio dovrebbe essere contenitivo, aiutare le due parti appenamenzionate a entrare in relazione ed equilibrio tra loro per una vita costrutti-va, orientata al raggiungimento di soddisfazioni e mete.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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1.4. Puntare all’obiettivo, trovare strategie alternative:usare la ragione per cambiare

L’approccio cognitivo-comportamentismo prende forma negli anni ’50-’60come sintesi di un’evoluzione avvenuta nella “seconda forza”, il comporta-mentismo, nato ufficialmente nel 1913 con la pubblicazione di un articolo diWatson, “Psychology as the behaviorist views it” in opposizione al modellopsicoanalitico emergente; egli sostiene, infatti, che il comportamento umano ei processi di apprendimento sono strettamente determinati da specifici stimoliambientali valutabili da un osservatore e che i fenomeni profondi della co-scienza non possono essere verificati con una metodologia sperimentale equantitativa, considerandoli quindi privi di valore, e da sostituire con la valu-tazione dei comportamenti osservabili.

Gli esperimenti di Watson (Watson, Rayner, 1920), condotti in laboratoriosugli animali, mostravano come il comportamento poteva essere modellato au-tomaticamente e involontariamente con il condizionamento, senza ricorrere aiconcetti mentalistici, intrapsichici e soggettivi della psicologia tradizionale. Ilcomportamentismo trae infatti le sue origini dagli studi di Pavlov sui riflessicondizionati. In seguito, il condizionamento classico viene aggiornato daglistudi di Skinner (1969) sul condizionamento operante, costituito da una se-quenza di azioni-risposte sostenute dai principi del rinforzo. Nel condiziona-mento operante, infatti, l’individuo viene concepito come un organismo attivo,che seleziona i suoi comportamenti in rapporto alle risposte dell’ambiente; l’in-dividuo agisce sull’ambiente e produce delle risposte, che hanno la funzionedi rinforzo che modifica il comportamento. In mancanza di qualsiasi tipo dirinforzo, sia positivo che negativo, non avviene nessun tipo di apprendimento.Un rinforzo positivo è qualsiasi evento-stimolo che aumenta la probabilità chesi ripeta il comportamento che lo ha inizialmente provocato; un rinforzo nega-tivo è qualsiasi evento-stimolo che riduce la frequenza di un comportamentonon desiderato; la punizione, ad esempio, è un evento-stimolo spiacevole o

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Ogni individuo è irrazionale, nonostante la sua simula-zione razionale; ed è irrazionale in copioni e configura-zioni prevedibili. Centrale in questo punto di vista è l’i-dea che raramente la realtà esterna viene affrontata di-rettamente. Piuttosto, si interagisce con il mondo in ba-se alle proprie rappresentazioni interne. Si “vede il mon-do esterno nei termini delle preoccupazioni interne”(Czander, 1993).

nocivo presentato come conseguenza di un comportamento non desiderato.Quando le trasformazioni ambientali prodotte da comportamenti vengonorinforzate da ricompense o dall’eliminazione di stimoli avversivi, ci sarannomaggiori possibilità che il comportamento si ripeta; quando non viene prodot-to alcun rinforzo positivo, il comportamento tende a estinguersi. L’estinzione èl’eliminazione di stimoli di rinforzo per ridurre la probabilità di una rispostacondizionata. Le tabelle di rinforzo utilizzate dai comportamentisti sono deiprogrammi di rinforzo sistematici che mantengono un comportamento e lo di-fendono dall’estinzione. A differenza di Watson, Skinner riconosce l’esistenzadei processi di pensiero, ma non attribuisce ad essi nessuna influenza nel de-terminare il comportamento individuale.

Le innovazioni delle terapie comportamentali consistono nella loro deriva-zione etologica e nel loro basarsi su metodi tecnico-sperimentali finalizzati amodificare i comportamenti non desiderati e non funzionali del cliente, consi-derato come mosso da causalità lineare e in relazione al condizionamento am-bientale; le variazioni delle condizioni ambientali permette, infatti, di predire,modellare e controllare il comportamento (Goldfried, 2000).

Negli anni ’50 il comportamentismo diventa il paradigma teorico più diffu-so in campo psicologico, andando a costituire la base teorica della terapia delcomportamento, che considera la psicopatologia derivante dall’apprendimen-to di modelli di comportamenti non adattivi, che devono essere sostituiti damodelli più adeguati (Fishman, Franks, 1998).

Il comportamentismo ha percorso, a partire dai due pionieri appena men-zionati, una lunga strada, tuttora in progress, arricchendosi attraverso una lun-ga serie di apporti, da quelli del costruttivismo a quelli dei sistemi di attacca-mento e integrandosi con gli approcci cognitivi (Giusti, 2000).

Il primo importante tentativo di includere i processi cognitivi tra i fattori ne-cessari alla comprensione e al trattamento dei problemi comportamentali, èstato fatto da Bandura (1977) e dai suoi collaboratori nel corso degli anni ’70,criticando la logica lineare del comportamentismo classico – come la conside-razione dell’ambiente come unica determinante dello sviluppo della naturaumana – e sostenendo invece che gli uomini non sono solamente organismipassivi plasmati da ciò che li circonda o il prodotto della loro condizione so-cioculturale, ma soggetti attivi che influenzano e producono il loro ambiente.

Bandura (1969) si è inizialmente occupato dei problemi legati all’apprendi-mento dimostrando la possibilità di acquisire nuovi comportamenti mediantela semplice osservazione di modelli. Questo tipo di apprendimento, basatoquindi sull’imitazione, è reso possibile dal meccanismo del “rinforzo vicario”,per cui le conseguenze relative al comportamento del modello (premi o puni-zioni) hanno i medesimi effetti sull’osservatore che tenderà a riprodurre o me-no il comportamento in situazioni simili (a seconda che il comportamento sia

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stato rinforzato o inibito). Secondo Bandura, infatti, la personalità si forma at-traverso una continua interazione tra individuo e ambiente, in cui intervengo-no i processi di imitazione e di apprendimento vicario. Anche le sue teorizza-zioni sull’autoefficacia, intesa come capacità percepita a saper gestire la varietàdi situazioni che la vita quotidiana presenta, rappresentano un grande contri-buto nei confronti della psicologia, che rispecchiano la sua idea di una menteumana dotata di meccanismi di autoregolazione e autoriflessione.

Secondo il cognitivismo, dunque, le persone possono imparare a notare e acambiare i loro pensieri con benefici emotivi e comportamentali. Per entrare inmerito al nucleo della teoria cognitiva è utile considerare i pensieri di due fi-losofi; il primo è dello stoico Epitteto dell’antica Grecia, “l’uomo non è distur-bato dagli eventi, ma dalla visione che ne ha di loro”; il secondo di Kant:

1. Vedo una tigre.2. Penso di essere in pericolo.3. Ho paura.4. Corro.L’idea centrale è che l’affermazione 3. e anche la 4. di Kant derivano dalla

seconda, non dalla prima come la maggioranza delle persone assume. Il mododi sentire non viene suscitato dall’ambiente o da ciò che ci accade nella nostrapercezione diretta, non può rendere una persona triste o pazza. È una questio-ne di pensiero: ciò che si decide di pensare determina ciò che si proverà e ilpasso successivo che si compierà. Se si hanno dei pensieri negativi, ci si sen-tirà male e si prenderanno probabilmente delle decisioni non soddisfacenti, mamiserabili. Questo è un principio straordinario e uno strumento potente e utileper gli oratori motivazionali: il pensiero media l’emozione; pensieri specificicreano e controllano i sentimenti. Se si pensa di essere in pericolo è probabileche ci si sentirà spaventati. Se ci si senti impauriti, probabilmente si inizierà acorrere. E riprendendo la tigre kantiana, cosa succede se la tigre è in una gab-bia o se una persona è un domatore di tigri e per tutta la tua vita ha avuto a chefare con loro? Il semplice vedere una tigre non causa paura e la reazione di fu-ga, ma bisogna prima pensare di essere in pericolo affinché esse emergano.Ognuno ha il controllo del proprio pensiero. Le persone sono capaci di osser-vare il loro modo di pensare e anche di cambiarlo. La maggioranza delle per-sone fanno degli sbagli nell’assumere che gli eventi della vita, le tigri, hanno lacapacità di fare sentire le persone bene o male. Il punto è che nella vita non èpossibile controllare la maggioranza degli eventi importanti. La vita ha unenorme potere e un grande mistero, e tende a “decidere” lei, indipendente-mente da ciò ognuno può pensare o preferire. La premessa basilare dell’ap-proccio cognitivo è quindi: non è possibile controllare la vita, ma è possibilecontrollare come pensiamo della vita. Controllando il pensiero si è poi in gra-do di gestire le proprie emozioni e i propri comportamenti.

Capitolo 1

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Esistono tre figure centrali nello sviluppo della terapia cognitiva: Ellis, Becke Meichenbaum.

La terapia cognitiva di Beck (1967) nasce dalle sue ricerche presso l’ospe-dale dell’Università della Pennsylvania su persone gravemente depresse; speri-mentò nuovi programmi strutturati che insegnavano alle persone che si senti-vano senza speranza, verso se stesse e verso la loro vita, nuovi modi di pen-siero e concluse, cambiando “i libri delle regole” mentali dei pazienti ricove-rati in ospedale, che i “pensieri automatici” (pensieri ripetitivi che erano sba-gliati in modo sistematico) erano responsabili della depressione e dell’ansia.Inoltre, in accordo con i principi dell’apprendimento sociale di Bandura, Beckcollega l’organizzazione dei processi cognitivi a fattori biologici e sociali, e al-l’influenza dei modelli di apprendimento sviluppati nel passato. L’essere uma-no è visto come una creazione complessa, la cui personalità è modellata dal-l’apprendimento di valori e percezioni che strutturano la visione unica di sé,degli altri e del mondo. I valori e le percezioni che costituiscono la personalitàsono organizzati in schemi cognitivi che sovrintendono ai processi di codifica-zione, categorizzazione e valutazione delle regole di vita. Le caratteristiche di-sfunzionali del pensiero formano quella che Beck (1975) chiama “triade co-gnitiva”, da cui ha origine la depressione: una visione negativa di sé, delleesperienze in corso e del futuro. La terapia cognitiva tenta di risolvere i distur-bi emotivi correggendo le interpretazioni della realtà e i ragionamenti errati delcliente. L’intervento terapeutico è diretto alla soluzione di problemi piuttostoche al cambiamento delle caratteristiche personali o dei difetti del paziente. Te-rapeuta e paziente devono discutere e raggiungere un accordo sul tipo di pro-blema da affrontare, sulla meta della terapia, sui metodi per raggiungere que-sta meta e sulla durata della terapia.

Rielaborando i principi dell’apprendimento sociale di Bandura, Meichen-baum ha creato un programma d’intervento terapeutico chiamato “self instruc-tion training” che si propone di ristrutturare le cognizioni del cliente attraversoil cambiamento delle sue auto-affermazioni. Oltre a modificare il comporta-mento per cambiare le cognizioni (Bandura, 1981, Mahoney, 1979), Meichen-baum (1978) ritiene necessario il cambiamento: a) della struttura cognitiva checontrolla e dirige la scelta dei pensieri e li organizza all’interno di schemi emodelli, e b) del “dialogo interno” delle persone, che influenza il modo di ve-dere gli eventi e di comportarsi. Il cambiamento terapeutico avviene attraversol’interazione tra dialogo interno, strutture cognitive e risposte date ai compor-tamenti della persona. L’addestramento avviene attraverso i “coping-skills pro-grams”, strategie che modificano la struttura cognitiva e permettono di affron-tare efficacemente le situazioni stressanti e problematiche (comportamenti im-pulsivi e aggressivi, paura di sottoporsi a prove e paura di parlare in pubblico).Inoltre, Meichenbaum adotta numerose procedure che fanno parte dell’orien-

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tamento comportamentale: controllo della rabbia, per i bambini; addestramen-to alla gestione dell’ansia; training assertivo; incremento del pensiero creativo;trattamento della depressione; gestione dello stress. La modificazione cogniti-vo-comportamentale di Meichenbaum risulta efficace anche per problemi dimancanza di abilità sociali, alcolismo, obesità, bambini iperattivi, persone iso-late socialmente e schizofrenici.

Ellis è uno psicologo fortemente energico e prolifico che negli anni ’60 harotto la tradizione freudiana per creare la sua psicoterapia, la RET (Rational-Emotive-Therapy) basata sulla relazione tra pensieri consci, emozioni e felicità.Ha osservato che la psicoanalisi, focalizzata sui processi inconsci, sembravainefficace e riscontrò che i pazienti ottenevano dei miglioramenti quando si in-segnava loro migliori specifici nuovi modi di pensare. Il principio su cui si ba-sa questo modello è quello dell’influenza reciproca tra cognizioni, emozioni ecomportamenti.

Riprendendo l’affermazione di Epitteto, Ellis (1967) sostiene che le personecontribuiscono alla creazione dei loro problemi psicologici e dei loro sintomi.Le reazioni emotive derivano dal modo in cui una persona valuta, interpreta erisponde alle situazioni di vita e, dunque, dal modo in cui pensa e traduce glieventi.

Inoltre, sostiene che gli uomini nascono con una predisposizione al pensie-ro sia razionale che irrazionale; il lavoro del terapeuta consiste nell’insegnareal cliente come abbandonare il proprio modo di pensare irrazionale e ineffica-ce, per sostituirlo con delle cognizioni razionali e funzionali. L’obiettivo èquello di trasformare le richieste irreali e immature e uno stile di pensiero as-solutistico in una modalità di pensiero e comportamento realistico, maturo, lo-gico ed empirico.

Ellis basa il suo intervento terapeutico su un modello di lettura della perso-nalità del paziente denominato A-B-C (1962), dove:

– A (Activitaing event) è l’esistenza di un fatto, un evento, un comporta-mento o un atteggiamento di un individuo;

– B (Belief) sono le credenze della persona riguardo ad A, che provocanoC, la risposta emotiva;

– C (emotional and behavioral consequence) è una conseguenza o rea-zione emotiva e comportamentale dell’individuo, che può essere appro-priata o inappropriata.

Riassumendo, il processo di ristrutturazione della personalità disfunzionalesegue questa serie di passaggi:

1) riconoscimento della responsabilità dell’individuo nella creazione deisuoi problemi;

2) raggiungimento della consapevolezza di possedere le capacità di cam-biare questi problemi;

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3) riconoscimento della provenienza dei problemi emotivi dalle credenzeirrazionali;

4) percezione chiara di queste credenze;5) riconoscimento dell’efficacia della discussione rigorosa delle credenze

irrazionali;6) accettazione di un duro lavoro sulle emozioni e sui comportamenti che

il cambiamento richiede, per contrastare le credenze e i sentimenti di-sfunzionali e le azioni collegate (Ellis, 1979).

1.4.1. Quando e come applicare elementi cognitivo-comportamentali nell’ap-proccio integrato

L’agevolatore integrato può, attraverso gli elementi cognitivo-comporta-mentali, fornire ai suoi clienti degli strumenti per comprendersi e organizzaremeglio la propria vita. Questo può avvenire attraverso la consapevolizzazionee l’eventuale modifica e sostituzione di talune forme di pensiero negative e ir-razionali con altre più efficienti e costruttive, la pianificazione e l’organizza-zione per il raggiungimento di una meta stabilita attraverso la segmentazionedel percorso in una serie di sottopassi. Per facilitare e motivare ulteriormente ilperseguimento delle varie tappe che portano alla meta, è importante tenere amente il concetto di ricompensa o rinforzo positivo che aumenta la probabilitàche un comportamento si ripeta, mentre, in sua mancanza o in virtù di una pu-nizione o rinforzo negativo, il comportamento tende ad estinguersi. Inoltre, ilprocesso della relazione d’aiuto può essere agevolato presentando modelli al-

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BOX DI APPROFONDIMENTOAlcuni ambiti d’intervento del coaching

cognitivo-comportamentale (ad.to da: Neenan, Dryden, 2002):

– gestire le emozioni difficili– aumentare l’assertività– affrontare le critiche – gestire il tempo– passare dal “problem-creating” al “problem-solving”– assunzione dei rischi e presa di decisione– smettere di procrastinare– diventare perseveranti – decidere il proprio processo di cambiamento

ternativi da imitare seguiti da un rinforzo positivo, dove è opportuno tenereconto che gli elementi di modeling si dovranno avvicinare alle caratteristichedel cliente. Molto influenti quindi saranno, per il cliente, i rinforzi che mano amano verranno forniti dal counselor e dal coach, particolarmente nella rela-zione coach-coachee.

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BOX DI APPROFONDIMENTOEsplorare le idee irrazionali/disfunzionali

(ad.to da: Ellis, Harper, 1961 - Traduzione liberaCesare De Silvestri – Albert Ellis Institute – Italy)

1. Io, essere umano adulto, ho assoluto bisogno (estrema necessità o esigen-za) di venire (sempre) amato, stimato e approvato (o almeno non giudica-to male – o al minimo ignorato) da tutte le persone (che io ritengo) signifi-cative (importanti) del mio ambiente = da tutti quelli che dico io – altri-menti è gravissimo, orribile, terribile, catastrofico.

2. Io devo assolutamente essere (e/o dimostrarmi) sempre perfettamente ade-guato, competente e di successo in tutto quello che faccio e sotto ogni ri-spetto (o almeno in questa cosa specifica, oppure in almeno una cosa) –altrimenti sono indegno di valore = valgo poco o niente.

3. Tutte le persone che dico io (compreso me stesso) devono assolutamentecomportarsi (sempre) come mi pare giusto (come dico io) – altrimenti so-no intrinsecamente cattive, malvagie e scellerate, e quindi meritano di es-sere severamente condannate e punite (anche perché cosi imparano).

4. Tutte le cose devono assolutamente andare (sempre) come piacerebbe ame, come mi sembra giusto che vadano (insomma, come dico io) altri-menti è inaccettabile, intollerabile, insopportabile (io non lo accetto, nonlo tollero, non lo sopporto).

5. La mia infelicità (disagio, ansia, depressione, angoscia, rabbia, eccetera)dipende da cause esterne (o essenzialistiche), e quindi io posso fare pocoo niente per cercare di controllare le mie pene e i miei disturbi (varianti:io reagisco cosi – sono fatto/a così – non posso cambiare – è la mia natu-ra, il mio carattere, la mia personalità).

6. Siccome può succedere (succedermi) qualcosa di brutto, pericoloso o dan-noso, allora:a) mi devo preoccupare in continuazione; b) pensare che possa succedere (quasi) di sicuro;c) che succederà nelle forme peggiori;d) che non ci potrò (non ci si potrà, nessuno ci potrà) mai fare nulla;e) e che tutto finirà nel modo più orribile, terribile e catastrofico.

7. Se qualcosa mi sembra difficile (perché richiede impegno, fatica, disagio,

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o una mia assunzione di responsabilità, ovvero mi provoca ansia) allora miconviene evitarla piuttosto che affrontarla.

8. Io sono debole (insicuro/a, incapace, handicappato/a, emotivamente in-stabile e facilmente vulnerabile) e quindi ho bisogno di qualcuno più for-te a cui appoggiarmi e da cui dipendere – altrimenti non ce la posso fare(a vivere, a esser felice, a lavorare, a muovermi, eccetera).

9. Il mio passato (la mia infanzia, le mie esperienze precoci) è la determi-nante assoluta delle mie condizioni attuali; e se una volta qualcosa ha avu-to una forte influenza su di me, allora continuerà per sempre ad esercitarelo stesso effetto – quindi non c’è niente da fare (la mia personalità, il miocarattere è stato formato in questo modo e quindi non si può cambiare).

10. Se qualcuno (gli altri, tutti gli altri o tutti quelli che dico io) ha qualche pro-blema o disturbo o sofferenza che gli fa fare (dire, pensare o sentire) qual-cosa che non mi piace (che mi sembra sconveniente, irragionevole, dan-noso, ingiusto, ecc.) allora io mi devo tremendamente sconvolgere perquesto motivo.

11. È sempre possibile trovare una soluzione perfetta (o avere una sicurezzaassoluta, ovvero un controllo completo) di fronte a qualsiasi problemaumano, e quindi io la devo assolutamente raggiungere – altrimenti succe-deranno catastrofi ed orrori.

La ricerca sulle procedure basate sull’evidenza empiricaha rilevato l’efficacia delle prescrizioni del modello co-gnitivo comportamentale nella determinazione dei risul-tati di cambiamento. Il cliente deve essere fortementemotivato e avere fiducia nel counselor per seguire indi-cazioni precise e sistematiche tipiche di questo approc-cio. Trattandosi di un approccio fondamentalmente di-rettivo, la sua applicazione necessita di una consolidataalleanza di lavoro e di una fase relazionale piuttostoavanzata. Nel coaching i tempi di motivazione e allean-za sono più brevi e, dunque, le tecniche cognitivo-com-portamentali vengono utilizzate più precocemente.

1.5. Aggiornare la mappa per esplorare il territorio: il contributodella Programmazione Neuro-Linguistica al processo di cambia-mento nella relazione di aiuto

La Programmazione Neurolinguistica (PNL) è una neuroscienza nata agliinizi degli anni ’70 in California, influenzata dalla programmazione ciberneti-ca, dalla neurologia e dalla linguistica trasformazionale. I suoi fondatori sonoRichard Bandler, matematico informatico che in quegli anni cominciò ad inte-ressarsi al lavoro di alcuni psicoterapeuti che ottenevano risultati particolar-mente efficaci, per scoprire il loro modello comportamentale e codificare le lo-ro strategie, e John Grinder, linguista, che diede il suo contributo nell’estrapo-lazione dei modelli linguistici dei tre terapeuti: Fritz Perls, Virginia Satir e Mil-ton Erickson (Ready, Burton, 2004).

� Programmazione: è il processo di organizzazione delle componentidi un sistema (le rappresentazioni sensoriali) per il raggiungimento dirisultati.

� Neuro: si riferisce ai processi neurologici che sono alla base di tuttoil comportamento umano.

� Linguistica: i processi neurali sono rappresentati, ordinati e dispostiin sequenza in modelli e strategie, attraverso il linguaggio e i sistemidi comunicazione.

Dalle loro ricerche, questi due studiosi riuscirono a estrapolare un potentee versatile modello che è oggi applicato ai campi più disparati: dalla pubblicitàalla formazione del personale, dallo sport all’insegnamento.

La PNL è stata definita come “l’arte di provocare cambiamenti” ed è unadelle tecniche di comunicazione più accreditate e diffuse nel mondo che stu-dia come il linguaggio verbale (le parole che diciamo), paraverbale (tono, vo-lume, ritmo, ecc) e non-verbale (i gesti e la postura) influisca sul nostro cervel-lo, e insegna a gestire i propri stati d’animo, a modificare comportamenti dan-nosi e a comunicare con gli altri in maniera più efficace (Grinder, Bandler,1983). I presupposti fondamentali della PNL si basano sul fatto che ognuno hadentro di sé le risorse necessarie per effettuare un cambiamento desiderato.Queste risorse interne, quali stati d’animo, idee, pensieri, comportamenti,informazioni, verranno anche utilizzate per ottenere risorse esterne, denaro,tempo, persone, ecc. (O’Connor, Lages, 2005). Le risorse interne diventano tan-to più utilizzabili quanto più sono consapevoli.

Una parte importante della PNL è costituita dai sistemi rappresentazionali,cioè l’intero sistema di raccolta, elaborazione e utilizzo dei dati sensoriali, di

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cui i due principali sono quello digitale e quello analogico, che rispecchianorispettivamente la tendenza delle persone a rappresentarsi il mondo tramite illinguaggio verbale, oppure attraverso immagini, suoni, sensazioni e odori. Al-l’interno di ognuno dei due sistemi vi sono tre canali rappresentazionali: visi-vo, uditivo, cinestesico e, più raramente, olfattivo/gustativo (più frequente neibambini che negli adulti) (Hall et al., 2001).

� I livelli logici in PNLIl modello del mondo di una persona è coerente, ed è sempre possibile

comprenderlo – anche se sul momento non lo si vuole adottare – ed è costi-tuito dall’insieme delle sue credenze, articolate secondo una logica che gli èpropria. Questo significa che la mente di ogni individuo è un tutto organizza-to. La funzione di ogni livello logico è quello di organizzare l’informazione allivello inferiore. Di conseguenza, un cambiamento effettuato ad un certo livel-lo avrà delle conseguenze sui livelli inferiori, ma non necessariamente sui li-velli superiori. È impossibile risolvere un problema, che è spesso generato dauna confusione tra i livelli logici, allo stesso livello nel quale è stato generato.Nella PNL si prendono in esame cinque livelli logici.

1) L’ambienteIl primo livello è quello dell’ambiente, del contesto nel quale ci si evolve o

quello delle costrizioni interiori. Dal momento che un comportamento non hasenso che nel contesto nel quale appare, è dunque importante raccoglierel’informazione: dove, quando, con chi si desidera raggiungere il proprio obiet-tivo?

2) Il comportamentoSi tratta delle azioni messe in atto nel proprio ambiente. Questo termine

può essere allargato ai comportamenti “interni” o mentali, che sono l’anticipa-zione dei comportamenti esterni.

Il comportamento rinvia alla domanda: Cosa? E più esattamente, cosa fare?3) Le capacitàSono le competenze e il saper-fare impiegati per acquisire e mettere in atto

i comportamenti. Uno dei presupposti della PNL è che ognuno possiede delle “risorse”, del-

le “capacità” e, tra queste, quella di imparare è la più essenziale perché con-diziona anche le altre.

Al livello delle capacità la domanda è: Come fare? Quali risorse utilizzare?4) Le credenze e i valoriUna credenza è un’affermazione personale ritenuta vera; cosciente o in-

conscia, guida la percezione che si ha di se stessi, degli altri e del mondo ingenerale. Si può stabilire una differenza tra i fatti percepiti e le proprie “cre-denze interiori” su questi stessi fatti.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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Le credenze di una persona hanno un’influenza determinante sulle sue ca-pacità.

Contrariamente alla credenza che è una frase dichiarativa (tutti mi amano –tutti amano il cioccolato), un valore è una parola che designa un elemento alivello elevato nella scala delle motivazioni. I valori sono spesso utilizzati inpermanenza, spesso senza esserne coscienti, per giudicare quello che è bene,buono, bello, dolce, forte, quindi per condurre la propria vita.

La parola chiave è la motivazione e le credenze riportano alla domanda“perché?” e i valori alla domanda “per che cosa?”.

5) L’identitàLa rappresentazione che ciascuno ha di se stesso influenza tutti gli altri li-

velli logici. Le persone mettono in causa i propri comportamenti, l’acquisizio-ne di nuove capacità, l’adozione dei valori e delle credenze misurandole at-traverso la domanda: “è coerente con quello che sono?”.

A questo livello, si è in contatto con la propria “missione” che è la rappre-sentazione di quello che si desidera compiere nel mondo.

Le parole chiave sono: “coerenza interna” e “missione”; e la domanda è:“Chi?”.

I livelli logici possono essere rappresentati come un cono la cui base èl’ambiente e il vertice l’identità. Al di sopra di questo, un altro cono, con ver-tice in basso e base in alto, rappresenta i diversi livelli “spirituali”.

Per “livelli spirituali” si intendono tutti i livelli che vanno al di là dell’indi-viduo. Tali livelli comprendono l’appartenenza ai vari gruppi sociali, il senti-mento di far parte della specie umana o dell’universo.

La domanda è “per chi?”; la parola chiave “trasmissione” di ciò che si è e diquello che sembra importante per ogni individuo, per gli altri e per il mondo.

Nel modello della PNL la mappa non è il territorio, cioè la propria rappre-sentazione del mondo non corrisponde esattamente alla realtà circostante: ogniesperienza è qualcosa che viene creata a livello mentale in quanto non si spe-rimenta la realtà direttamente, poiché la si cancella, distorce e generalizza con-tinuamente. Essenzialmente, quello che viene sperimentato è l’esperienza delterritorio e non il territorio stesso, la propria rappresentazione è un’interpreta-zione soggettiva fatta di immagini, suoni, sensazioni. Ciò che per la PNL è in-teresse di studio è l’esperienza soggettiva, la mappa e la sua struttura: essa è di-versa da persona a persona, e, in uno stesso individuo, in periodi diversi dellasua vita.

Ognuno si comporta in relazione alla propria mappa: alcune persone rag-giungono i loro risultati e obiettivi mentre altre, appartenenti a contesti simili,sono insoddisfatte e infelici. La differenza tra questi due tipi di individui è rile-vabile nella loro mappa, formatasi da un ricchissimo sistema di filtraggio (Gra-nata, 2001):

Capitolo 1

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Filtri fisiologici: legati alle capacità percettive.Filtri sociali: imposizioni dell’ambiente, usi e costumi, credenze, tabù, va-

lori, linguaggio. Il linguaggio è centrale, perché veicola una parte fondamenta-le del pensiero: il pensiero digitale.

Filtri individuali: esperienze, contesto familiare, sociale, scolastico, baga-glio genetico, funzionamento fisiologico. Anche quando i filtri individuali so-no molto simili, per esempio in due fratelli, produrranno comunque due indi-vidui diversi, perché ognuno strutturerà una diversa mappa del mondo.

Un percorso di counseling/coaching efficace, rispetto alla PNL, implica unaumento di consapevolezza da parte del cliente dei meccanismi che utilizzaper impoverire la propria mappa del mondo (Tab. 6).

Tab. 6. Filtri nella PNL (ad.ta da Hall et al., 2001)

GENERALIZZAZIONE: processo attraverso il quale elementi o parti di un’esperienzaoriginaria vengono staccati da essa e giungono a rappresentare l’intera categoria dicui l’esperienza è un esempio.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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TIPOLOGIE

QUANTIFICATORI UNIVERSALIEs. il capo non mi ascolta MAI

OPERATORI MODALIOPERATORI DI NECESSITÀDevo, dovrei, non devo, è necessario…Es. devo occuparmi anche di questa in-combenza

OPERATORI DI POSSIBILITÀPosso, non posso, è possibile…Es. non posso dirgli la verità

OPERATORI DI VELOCITÀVoglio, non voglio…

CONFUTAZIONI

Pensaci bene, MAI successo che non tiascoltasse?Cosa accadrebbe se UNA VOLTA lo fa-cesse?

Cosa succederebbe se non lo facessi?Chi lo vieta?

Cosa accadrà se lo farai?Cosa ti impedisce di dirgliela?

(si lavora sull’incongruenza)“quanto lo vuoi in percentuale?”“Al 90%” “E l’altro 10% cosa vuole?”

Capitolo 1

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TIPOLOGIE

CAUSA/EFFETTOEs. TU mi rendi frustrato

LETTURA DELLA MENTEPresupporre la conoscenza dello stato inte-riore di una persona Es. so di non piacergli

PERFORMATIVO MANCANTEManca chi dà il giudizio di valoreEs. è sbagliato essere disorganizzati

EQUIVALENZA COMPLESSADue esperienze sono interpretate come si-nonimi Es. lei mi urla sempre dietro… leimi odia (urlare equivale ad odiare)

PRESUPPOSTIEs. se il mio collaboratore sapesse quantosoffro, non farebbe ciò (io soffro – mio col-laboratore agisce in un certo modo – miocollaboratore non sa che soffro)

TIPOLOGIE

CANCELLAZIONE SEMPLICEEs. sono a disagio

MANCANZA DI INDICE REFERENZIALEEs. non ha importanza…Es. non mi ascoltano…

SPOSTAMENTO DI INDICEREFERENZIALEEs. Se uno crede che….

COMPARATIVO MANCANTEEs. è meglio restare…?

FALSI AVVERBIEs. chiaramente, evidentemente, oggettiva-mente, naturalmente…

NOMINALIZZAZIONEParlare in astrattoUso di stereotipi“il senso di giustizia implica…”

CONFUTAZIONI

C’è stata una volta che non ti ho reso frustrato?Come ti rendo frustrato?Come specificamente sei frustrato?

Come sai di non piacergli?

Chi dice che è sbagliato?Per chi è sbagliato?Come fai a sapere che è sbagliato?

Com’è che il suo urlare significa che tiodia?Hai mai urlato a qualcuno senza odiarlo?

Come stai soffrendo?Come lui sta reagendo?Come sai che lui non lo sa?

CONFUTAZIONI

Per chi?Per cosa?

Cosa esattamente…? Chi…?

Chi specificatamente…?

Meglio di che cosa…?

Per chi è evidente?Che significa oggettivamente?

“concretamente puoi approfondire questoconcetto?” “cosa intendi con senso di giustizia?”

CANCELLAZIONE: processo attraverso il quale viene prestata attenzione a certe dimen-sioni dell’esperienza cancellandone altre.

DEFORMAZIONE: è un meccanismo che permette di operare cambiamenti dell’e-sperienza legata ai dati sensoriali.

1.5.1. I Metaprogrammi

I Metaprogrammi, un modello della PNL elaborato da Cameron Bandler(1978), sono il filtro più inconscio della mente; influenzano il modo di co-struire una mappa del mondo e il modo di archiviare le informazioni che arri-vano attraverso i sensi; questi filtri possono essere analizzati e compresi attra-verso l’ascolto del linguaggio utilizzato nella comunicazione. Se si riesce acomprendere quali filtri vengono usati dall’interlocutore è possibile migliorarela comunicazione e renderla più efficace. Gli ambiti di applicazione dei meta-programmi sono i più vari: dal management all’insegnamento, dalla selezionedel personale alla costruzione del team, dalla gestione della motivazione allavendita, alla comunicazione interpersonale e, in senso più ampio, al coaching,al counseling, alla terapia (Dilts et al., 1982).

I Metaprogrammi sono numerosissimi e si possono dividere in due catego-rie principali:

• a selezione primaria (cosa)• a selezione funzionale (come).

1. I Metaprogrammi a selezione primaria sono una serie di filtri che le per-sone utilizzano, più o meno consapevolmente, per indirizzare l’attenzione sudiversi aspetti o livelli della realtà quotidiana delle loro esperienze. Attraversol’osservazione del comportamento e l’ascolto del tipo di linguaggio usato èpossibile riconoscere questi filtri, utilizzare gli stessi del proprio interlocutore,ovvero, guardare il mondo dal suo stesso punto di vista, e in tal modo miglio-rare la relazione con lui.

Questi metaprogrammi prendono i nomi dalle categorie sulle quali si con-centra l’attenzione, come ad esempio nei quattro seguenti casi.

Attività: chi possiede questo filtro pone l’attenzione su ciò che è da fare,sulle attività. La sua vita sarà costellata da impegni, hobbies, sport, ecc. Tut-to ciò viene reso evidente dal linguaggio, dall’uso frequente di verbi che de-notano azioni o comportamenti. Questa persona non mancherà di racconta-re ciò che ha fatto o ciò che farà e si troverà a disagio in situazioni di inatti-vità.

Persone: chi possiede questo filtro rivolge la propria attenzione agli indivi-dui nella loro specificità, piuttosto che ai gruppi, ricordandone il nome, il ca-rattere e le qualità. Il suo comportamento è quello di chi privilegia le relazioniinterpersonali, mentre è invece a disagio nelle situazioni di isolamento. Nelsuo linguaggio abbondano i nomi propri e le qualità delle persone.

Informazioni: in questo metaprogramma le rappresentazioni sono basate surelazioni di causa-effetto e chi lo possiede è molto orientato alla ricerca di spie-gazioni e informazioni nascoste dietro la realtà apparente delle cose. Questa

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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persona si trova a disagio quando non può darsi una spiegazione e il suo lin-guaggio è ricco di congiunzioni come perché, se, allora, quindi, per cui.

Cose: chi ha un metaprogramma primario “cose”, possiede una rappresen-tazione del mondo prevalentemente basata sugli oggetti, non esclusivamentequelli inanimati, ma anche piante, animali, materiali. Spesso si tratta di un col-lezionista, un individuo che presta molta attenzione a ciò che lo circondaquando si reca in un posto nuovo e che si trova a disagio quando non ci sonomolti oggetti cui prestare attenzione, o quando la conversazione si allontanada questo argomento. Il suo linguaggio è ricco di denominazioni, definizioni,termini tecnici, descrizioni di oggetti.

2. I Metaprogrammi a selezione funzionale si riferiscono alla modalità conla quale viene percepita l’esperienza, indicano ciò a cui prestiamo attenzione.Questa è la differenza principale con i metaprogrammi a selezione primaria,che rivelano invece la scelta contenutistica di uno o più elementi di un’espe-rienza. I Metaprogrammi a selezione funzionale influenzano quindi il modo diinteragire con l’ambiente circostante; sono implicati nei processi comporta-mentali, in ciò che si fa e nel modo in cui ci si relaziona con gli altri. Influen-zano dunque i comportamenti, le relazioni e l’apprendimento, e senza dimen-ticare che essi possono cambiare in relazione al contesto, sarà importante com-prenderli e riutilizzarli per andare più a fondo su diversi aspetti, riguardanti lamotivazione, i processi decisionali, la predisposizione ad un lavoro piuttostoche a un altro, ecc.

Rispetto ai vari tipi di metaprogrammi a selezione funzionale – che verran-no di seguito descritti – è importante tenere presente che i diversi aspetti diun’esperienza possono essere rappresentati come dimensioni qualitative deli-mitate da due estremi. Come ad esempio in quella dell’estroversione/introver-sione, ognuno possiede ambedue le dimensioni, ciò che caratterizza ciascunindividuo è lo specifico posizionamento sui segmenti del continuum che puòvariare in relazione a diversi contesti.

Direzione: questo metaprogramma entra in funzione quando occorre ope-rare una scelta o mettere in atto un cambiamento. I due estremi del segmentosono: lontano da/verso. Quando si è più orientati su “lontano da”, si è più con-sapevoli di ciò che si desidera cambiare ed evitare, e di ciò che non piace.Quando si è orientati su “verso”, si è più consapevoli del risultato che si vuo-le raggiungere. La domanda per estrarre questo metaprogramma è: “come maihai deciso di…?”. Se la persona dovesse rispondere concentrandosi su cosa vo-leva cambiare, di cosa era stanca, cosa non funzionava più bene, allora po-tremmo dire che il suo metaprogramma è “lontano da”. Se invece ci dirà qua-le risultato o opportunità voleva perseguire, potremmo dire che il suo meta-programma è “verso”.

Capitolo 1

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Attenzione: questo metaprogramma entra in funzione quando si intrapren-de o si sta per intraprendere un progetto; i due estremi del segmento sono ilprocesso e l’obiettivo. Alcune persone si focalizzano maggiormente sul pro-cesso, cioè sui passi che devono compiere per raggiungere l’obiettivo, mentrealtre sull’obiettivo stesso. Non esiste una domanda per poter estrarre questometaprogramma, ma occorre prestare ascolto e cercare di capire su quale deidue aspetti l’individuo focalizza maggiormente la sua attenzione, di qualeaspetto parla in prevalenza.

Referenza: entra in funzione quando occorre formare un giudizio su noistessi, capire se la decisione che si sta per prendere è giusta o sbagliata, o se sista svolgendo bene o male una determinata attività. I due estremi del segmen-to sono referenza esterna/interna. Una persona che usa la referenza interna nonè particolarmente sensibile al feedback esterno, perché tende a giudicarsi inbase ai parametri e ai criteri che si è formato internamente. Una persona a re-ferenza esterna, invece, sarà molto sensibile al giudizio altrui, anzi, tenderà aricercarlo. La domanda più giusta che ci permette di estrarre questo metapro-gramma è: “come fai a sapere di…essere un buon padre, una buona madre, unbuon manager, ecc.?”. Ascoltando la risposta che la persona dà a questa do-manda, sarà possibile posizionarla su questo segmento.

Aggregazione: è particolarmente interessante per comprendere se le perso-ne hanno la predisposizione a lavorare in gruppo. I due estremi del segmentosono aggregante/disaggregante. Mentre l’aggregante trae piacere dal lavorare ingruppo e si sente bene nel farlo, anzi necessita di lavorare insieme agli altri, ildisaggregante trova esaltate le sue capacità al di fuori del gruppo, in un lavoropiù autonomo. Non esiste una domanda per estrarre questo metaprogramma;sarà utile ascoltare ciò che la persona pensa del lavoro in gruppo.

1.5.2. Creare rapport

Il Sistema Nervoso Autonomo o Vegetativo (SNA) reagisce a qualsiasi sti-molo con una serie di risposte fisiologiche. Quando gli stimoli sono scono-sciuti, il SNA risponde con la chiusura o l’attacco; al contrario, gli stimoli fa-miliari non pericolosi stimolano rilassamento ed apertura. Se ci si sintonizzacon il canale rappresentazionale dell’altro, usando le modalità che conosce ericonosce, lo indurremo all’apertura.

Il ricalco, ad esempio, è una tecnica per riproporre all’altro il suo “linguag-gio”; è una riproposizione degli schemi comportamentali del nostro interlocu-tore.

Esso può applicarsi a diversi livelli: a livello verbale è possibile ricalcare ipredicati, cioè ripetere la parola usata dall’interlocutore, o una parola diversa

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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ma appartenente allo stesso sistema rappresentazionale. Il ricalco verbale ri-propone dunque il contenuto, le opinioni, i predicati. Se si decide di sintoniz-zarsi con il paraverbale, ci si può allineare con il volume della voce usato dal-l’interlocutore, con il conseguente adeguamento automatico delle altre com-ponenti di questo livello, quali tono, ritmo e velocità. Non si consiglia invecein una relazione d’aiuto di iniziare da un ricalco della postura, perché i gestisono per lo più consapevoli. Le persone sono invece meno consapevoli dellarespirazione e dei movimenti della testa. Una forma di ricalco efficace è il ri-calco incrociato: con una modalità ne riproponiamo un’altra. Per esempio, conle braccia si ricalca ciò che l’altro fa con le gambe. Il ricalco non verbale ri-guarda la postura, i gesti, la respirazione, e gli aspetti fisiologici più in genera-le.

Un concetto importante della PNL riguarda le variabili – come i movimen-ti oculari, la postura, la respirazione e così via – che attivano alcune aree cor-ticali deputate alla percezione degli stimoli interni/esterni nei diversi canali. Inbase a questo assunto chi ha difficoltà di visualizzazione può aiutarsi usandoil proprio corpo; può modificare la sua postura (busto eretto, testa rivolta versol’alto), il suo sguardo (verso l’alto), la respirazione (corta, di petto), per stimo-lare le aree cerebrali deputate alla visualizzazione. Questo metodo può essereusato per ricalcare il sistema rappresentazionale dell’interlocutore, pur non es-sendo il nostro canale privilegiato, evitando una semplice imitazione.

1.6. Attraversando il momento presente: la consapevolezza nelQui & Ora

“Una Gestalt è un fenomeno irriducibile. È un’essenza che c’è e che spari-sce se si frammenta il tutto nelle sue componenti” (Perls, 1969).

Partendo da uno dei principali assiomi della psicologia della Gestalt che de-finisce il tutto come più della somma delle parti, si potrebbe definire la terapia

Capitolo 1

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La PNL è per il coach integrato uno strumento vitale nel-la sua scatola degli attrezzi per quanto riguarda l’impo-stazione e la realizzazione del percorso individuato daseguire; mentre nel counseling è soprattutto rilevanteper le utili istruzioni che fornisce per una comunicazio-ne più efficace ed efficiente.

della Gestalt, fondata, alla fine degli anni ’40 da Fritz Perls con la moglie Lau-ra e da Goodman (Perls, Hefferline, Goodman, 1971), come il più della som-ma di molteplici e svariate elaborazioni teoriche e tecniche applicative, che lepermettono oggi di essere considerata una psicoterapia integrata ed eclettica;“definita di volta in volta terapia della concentrazione, terapia del qui ed ora,psicoanalisi esistenziale, terapia integrativa, psicodramma immaginario e nonso più in quanti altri modi” (Ginger, 1990) o, “semplicemente” come “terapiadel contatto” (ibidem).

Di seguito verranno sinteticamente descritte le componenti della Gestaltche fanno parte del bagaglio teorico-applicativo del counselor/coach integratoe al fine di offrire un resoconto organico, verranno descritte in riferimento allaloro fonte d’origine; è infatti possibile racchiudere e riportare la maggior partedei costrutti della teoria di questo modello psicoterapeutico a sette principalifonti di riferimento: la psicologia della Gestalt, la psicoanalisi, il modello psi-cocorporeo di W. Reich, la filosofia orientale, lo psicodramma di Moreno, l’e-sistenzialismo e la fenomenologia. Tracciare una netta demarcazione tra que-ste varie fonti è chiaramente impossibile, in quanto si incontrano, si intreccia-no, si influenzano, si integrano nel costituire questo unico organico che è, ap-punto, la terapia della Gestalt.

Da dove iniziare? Dalla Psicologia della Gestalt, da cui Perls ha tratto la de-nominazione del suo modello terapeutico, in cui ha rielaborato i principi teo-rici di “figura-sfondo” o di “chiusura di figure incomplete”.

La psicologia della Gestalt – detta anche psicologia della forma – enuncia-ta per la prima volta da Wertheimer, ebbe larga diffusione con la comparteci-pazione soprattutto di Koffka, Köhler e Lewin, raggiungendo il suo massimosviluppo nel campo della percezione e importanti accrescimenti anche nelcampo dell’apprendimento e dei processi mentali. È una teoria psicologica sor-ta in Germania come reazione all’allora dominante elementismo di Wundt; èquasi contemporanea al comportamentismo americano, del quale, sotto moltiaspetti, rappresenta l’esatta antitesi, specialmente su un piano epistemologico,in quanto definisce il proprio oggetto di ricerca all’interno e mediante i criteridella soggettività cosciente. Fu messa a tacere nel 1938 in quanto tutti i suoifondatori avversarono il regime hitleriano.

La terapia dell’apprendimento percettivo, sviluppata da Koffka, Köhler eWertheimer propone una visione olistica dell’essere umano basata sulla con-vinzione che tutti i comportamenti e le esperienze sono organizzate all’internodi configurazioni o modelli nei quali il tutto è maggiore della somma delle sueparti. Così, questa psicologia sostituisce al concetto di elementi psichici quel-lo di Gestalt o “tutto organizzato”. La vita psichica, infatti, e in particolare l’e-sperienza percettiva è costituita da processi dinamici organizzati secondo prin-cipi strutturali autonomi: la Gestalt è una configurazione in cui la funzione del-

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le parti è determinata dall’organizzazione dell’intero, o in altre parole è un tut-to irriducibile alla semplice somma dei suoi elementi costitutivi. E l’esperienzasi presenta sotto forma di strutture organizzate che non potrebbero essere sot-toposte ad analisi elementistica senza una sostanziale deformazione: le partinon preesistono al tutto, ma traggono le loro caratteristiche dalla struttura del-l’insieme. La psicologia di campo venne, invece, elaborata da Lewin fra il 1932e il 1947 nell’ambito delle ricerche sulle dinamiche di gruppo. Secondo que-sto autore, i comportamenti hanno luogo all’interno di un campo psicologicoo spazio vitale, di cui fanno parte tutti gli eventi psichici, passati e presenti, ca-paci di determinare i comportamenti stessi.

Il criterio di “dinamismo” di matrice globalistica e fenomenologica, dia-metralmente opposto al meccanicismo dello strutturalismo e del comporta-mentismo, costituisce un altro aspetto caratteristico della Gestalt; secondoquesto criterio, che i gestaltisti illustrano mediante molteplici esempi tratti dal-la natura inorganica e organica, le forze si auto-organizzano seguendo istan-ze dinamiche a esse interne, che escludono la presenza di costrizioni esternevisibili. Queste forze che si auto-regolano tendono sempre, secondo il princi-pio della “buona forma” enunciato da Wertheimer, ad assumere la strutturapiù equilibrata, più regolare e più simmetrica; il termine tradizionale “illusio-ne percettiva” perde la sua valenza in questa prospettiva gestaltista, nella suafonte di origine, perché ciò che “appare” è ciò che “è” e che richiede di es-sere spiegato, del tutto indipendentemente dall’erroneità in termini (Giusti,Rosa, 2002).

Per iniziare a riportare questi primi concetti della psicologia della forma al-l’approccio gestaltico si può partire dal fatto che quest’ultima considera la na-tura umana come un tutto, composto da varie parti separate, integrate in unicoindividuo auto-realizzantesi. Questo individuo è alla ricerca costante di un suoequilibrio, reso possibile dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici e psicologi-ci attraverso un processo omeostatico, che gli permette di far fronte alla pres-sione costante dei bisogni interni e delle richieste dell’ambiente. La terapia del-la Gestalt è più interessata al bisogno che al desiderio. Esistono bisogni orga-nici, come mangiare e dormire, e psicologici, sociali o spirituali, il bisogno diappartenenza a un gruppo, il bisogno di dare un senso alla propria vita e cosìvia; tuttavia, non vengono sempre percepiti chiaramente o espressi in manieradiretta: il ciclo di soddisfazione dei bisogni è spesso interrotto o perturbato euno degli obiettivi del lavoro gestaltico è proprio quello di individuare questeinterruzioni o distorsioni dovute alle resistenze.

La consapevolezza di un bisogno crea la distinzione della figura dallo sfon-do, altro concetto fondamentale della psicologia della forma e base della teo-ria di Perls sulla soddisfazione dei bisogni attraverso l’autorealizzazione. Lapersona ‘sana’ deve essere in grado in quel determinato istante di individuare

Capitolo 1

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e distinguere chiaramente la figura dominante, ovvero la Gestalt, che assumepienamente significato soltanto in rapporto allo sfondo retrostante; ciò signifi-ca che una reazione nel qui-ed-ora, la figura emergente, deve potersi inserirenell’insieme costituito dalla situazione e dalla personalità, lo sfondo. L’espe-rienza personale, sempre “in situazione”, è, infatti, considerata una successio-ne di figure-sfondo in cui ciò che è in figura è un bisogno emergente rispettoallo sfondo: i bisogni specifici del momento emergono dal contesto, per poitornare sullo sfondo una volta soddisfatti ed essere sostituiti da nuove configu-razioni. Un bisogno non soddisfatto costituisce una Gestalt incompleta che ri-chiede il suo completamento, e se non verrà soddisfatto si aprirà un conflittopsichico (Zerbetto, 1998).

Attraverso un processo di differenziazione tra la figura e lo sfondo guidatodalla gerarchia di bisogni personali l’individuo mastica, deglutisce e digerisce,incorpora nel Sé le esperienze positive e “sputa via” quelle negative. L’aggres-sività, secondo Perls, non è dunque una pulsione di morte bensì una pulsionedi vita, necessaria all’assimilazione attiva del mondo esterno: per evitare le in-troiezioni, ovvero per poter digerire la “mela”, occorre prima distruggerla (Giu-sti, Montanari, Montanarella, 1995).

Gli esseri umani sono quindi capaci di auto-regolazione, che è influenza-ta dall’auto-coscienza e dal contatto con l’ambiente; quest’ultimo è basilareper il cambiamento e la crescita. Attraverso la vista, l’odorato, l’olfatto e il mo-vimento, si può entrare in contatto con gli altri e l’ambiente, e integrare quel-lo che è stato assimilato nel proprio senso di individualità. L’organismo in-contra le persone e vive le esperienze con cui soddisfare i propri bisogni, at-traverso un processo sensomotorio di orientamento e di manipolazione del-l’ambiente. In questo processo di relazione reciproca, il punto di incontro traorganismo e ambiente viene definito come confine di contatto. Perls (1969)parla di confini tra l’individuo e gli altri e tra le parti separate all’interno del-l’individuo. È il confine dell’Io che delimita e definisce l’organismo all’inter-no del suo ambiente. Solamente la permeabilità di questo confine assicura unpieno contatto con il Sé e gli altri e anche una maggiore chiarezza nell’assi-milare nel Sé le esperienze positive respingendo quelle negative. L’interventogestaltico si svolge al confine-contatto tra il cliente e il suo ambiente, in par-ticolare il terapeuta; è lì che si possono individuare le disfunzioni del contat-to e del ciclo normale di soddisfazione dei bisogni, o le resistenze (Ginger,1990).

Il ciclo del contatto, sviluppato da Goodman nella sua teoria del Sé, rap-presenta uno dei caposaldi della teoria gestaltica. Questo autore afferma la pre-senza e suddivisione di qualsiasi azione in quattro fasi principali: il pre-contat-to, nel quale si presta attenzione alle sensazioni, agli stimoli interni o esterni esi inizia a consapevolizzare il bisogno. Per consapevolezza si intende infatti la

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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presa di coscienza di sé nel momento presente, l’attenzione rivolta all’insiemedel proprio sentito corporeo interno e ambientale. La seconda fase consiste nel-la presa di contatto, nella quale si mobilita l’energia necessaria e la motivazio-ne che spinge all’azione direzionale fino a un avvio di contatto e poi verso unpieno e vibrante contatto con l’ambiente, ovvero il contatto pieno e il post-con-tatto, detto anche ritiro, che rappresenta l’elaborazione dell’esperienza inquanto viene assimilato quello che il contatto con l’ambiente ha contribuito afar crescere o arricchire. Questa impostazione di base fu poi rielaborata da di-versi autori come Zinker, Poster, Katzeff; quest’ultimo ad esempio, distinguesette fasi del ciclo del contatto: sensazione, presa di coscienza o consapevo-lezza, energizzazione, azione, contatto, compimento, ritiro (Ginger, 1995).

L’individuo è coinvolto, durante il ciclo, nelle sue tre funzioni del Sé: la fun-zione Es, la funzione Io, la funzione Personalità. Il Sé non è un’entità determi-nata, un’istanza o un apparato come, ad esempio, l’Io psicoanalitico, bensì unprocesso che rappresenta quello che accade al confine-contatto tra l’organismoe il suo ambiente, consentendo l’adattamento creativo (Zerbetto, 1998). Que-sto termine è stato proposto da Goodman per caratterizzare l’interazione atti-va, e non l’adattamento passivo, che si produce al confine-contatto fra la per-sona sana e il suo ambiente. Per cui nel caso del Sé, questo può, in determi-nate situazioni quali, ad esempio, i momenti di confluenza, ridursi. Solitamen-te il Sé funziona durante la fase iniziale del ciclo, definita fase di pre-contatto,quando i bisogni iniziano ad emergere alla consapevolezza corporea, secondola modalità dell’Es, che rappresenta la pulsione fisiologica e corporea. L’Io è in-vece attivo nella fase del contatto pieno e del post-contatto; rappresenta la fun-zione che orienta nella valutazione e nella selezione della scelta e implica lapresa di coscienza dei propri bisogni e l’assunzione di responsabilità delle pro-prie scelte. Le perdite della funzione Io o Ego sono spesso definite resistenze.La funzione personalità del Sé è attiva alla fine del ciclo di contatto, al mo-mento in cui termina l’esperienza in corso e si produce il ritiro; è la rappre-sentazione verbale che il soggetto fa di se stesso, l’elaborazione e la sedimen-tazione delle esperienze che vanno a formare l’identità del soggetto, la sua sto-ria, l’immagine del Sé nella quale si riconosce. Costituisce, dunque, la funzio-ne di integrazione dell’esperienza, base del sentimento di identità nella sua sto-ricità (Giusti, Rosa, 2002).

Se la persona “funziona bene” la consapevolezza conduce all’azione, altri-menti può verificarsi un blocco nell’azione che porta al contatto e alla soddi-sfazione del bisogno. Il mancato completamento del bisogno implica il rap-presentarsi ripetitivo della situazione stessa in luoghi e tempi successivi. Le in-terruzioni o perturbazioni nel normale svolgimento del ciclo sono spesso defi-nite come “resistenze” o meccanismi di interruzione del contatto e sono de-scritti di seguito (Ginger, 1990).

Capitolo 1

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• Confluenza: diminuzione del Sé; è la condizione in cui il confine è iper-permeabile e non esistono confini chiari tra l’individuo e il suo ambiente.

• Egotismo: ipertrofia artificiale dell’Io, in quanto leva terapeutica provvi-soria che serve a incoraggiare il narcisismo e l’assunzione di responsa-bilità come preparazione all’autonomia; il soggetto si ritira in sé, con laconseguente chiusura al mondo e l’impermeabilità alle altre persone.Questa fase transitoria deve essere poi superata nel corso della terapiagestaltica così come la “nevrosi di transfert” psicoanalitica.

• Introiezione: fare proprie, ‘inghiottire’, le idee o i principi degli altri, by-passando il senso critico, senza dunque averli prima ‘masticati’, ‘digeri-ti’ e ‘assimilati’ in maniera personalizzata.

• Retroflessione: rivolgere contro se stessi l’energia mobilitata, come nelcaso del masochismo o delle somatizzazioni, o fare a se stessi ciò che sivorrebbe che gli altri facessero.

• Proiezione: attribuzione all’esterno di parti di sé non piacevoli, disco-noscendole e attribuendole all’ambiente o agli altri.

• Proflessione: associa la proiezione con la retroflessione e consiste nel fa-re all’altro qualcosa che si vorrebbe fosse fatta a se stessi.

• Deflessione: evitamento del contatto, distogliendo l’attenzione dal con-tatto e deviando la sensazione verso la “zona intermedia” dei processimentali, che non è né la realtà esterna, né la realtà percepibile dall’es-sere interiore, ma è rappresentata da idee, fantasmi e fantasticherie. Puòdunque trattarsi di una fuga dal qui e ora nei ricordi, nei progetti, nelleconsiderazioni astratte che porta ad esempio a parlare su, piuttosto cheparlare a, con il conseguente utilizzo di circonlocuzioni.

Un altro concetto legato alle “faccende incompiute” è l’evitamento, e cioè,i mezzi che l’individuo usa per non confrontarsi con le situazioni non finite econ i sentimenti ad esse associate. Le persone preferiscono evitare di speri-mentare emozioni dolorose, ed evitano così di esporsi ai necessari rischi percambiare, bloccando il proprio processo di crescita. Le situazioni in sospesopossono altresì indurre le persone a vivere nelle fantasie del futuro, evitando,anche in questo modo di affrontare i problemi presenti (Perls, 1971).

La responsabilità attiva per le proprie azioni e i propri modi d’essere, soste-nuta da Perls in maniera molto forte, si incontra con la filosofia esistenziale, re-sponsabilità valida anche per il passato. Vale, infatti, la teoria di Sartre secon-do la quale non è importante ciò che si fa di noi, ma ciò che noi stessi faccia-mo di ciò che si fa di noi: ciascun individuo deve creare attivamente la propriavita, piuttosto che reagire passivamente ad essa, pensando e parlando sola-mente. Le persone possono agire efficacemente sui loro problemi soprattutto sesono pienamente coscienti di quello che sta accadendo.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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La parte esistenzialista spinge quindi, anche nella Gestalt, ogni individuo ascegliere in ogni momento di essere autodeterminato, responsabile e autenticocon se stesso e nell’incontro con l’altro. L’unità e la completezza sono le metedella tendenza all’auto-realizzazione individuale e sono il risultato di una con-sapevolezza autentica e di un contatto genuino con gli altri, di persone che di-vengono quello che sono piuttosto che quello che pensano dovrebbero essere,sempre più autonome e psicologicamente stabili, con un chiaro e permeabileconfine dell’Io.

L’uomo autentico, riprendendo anche la teoria di Buber, si definisce comepersona che nella relazione Io –Tu prende coscienza di sé come soggettività;per questo autore, infatti, il senso fondamentale dell’esistenza umana è da rin-tracciarsi nel principio dialogico, cioè nella capacità di stare in relazione tota-le con la natura, con gli altri uomini e con le entità spirituali, ponendosi in unrapporto Io – Tu. Al mondo della relazione personale e della libertà si contrap-pone il mondo dell’esperienza, della causalità dell’altro da sé inteso come og-getto manipolabile, in un rapporto Io – Esso.

La soggettività svolge quindi un ruolo decisivo, sia nell’esprimere l’unicitàcon il proprio particolare modo di essere al mondo, sia a un livello fenomeno-logico, non tanto alla ricerca di una causa quanto piuttosto centrato sull’osser-vazione descrittiva dell’evento, priva di inferenze. All’interpretazione psicoa-nalitica e alla ricerca del “perché”, la Gestalt, operando in una prospettiva es-senzialmente fenomenologica, sostituisce il “come”, prendendo quindi in con-siderazione soprattutto il processo e la forma, il significante quanto il significa-to. Le quattro parole chiave della Gestalt sono infatti “how and now” (come eadesso) e “Io e Tu”, che riassumono la relazione piena e autentica fra due per-sone nel qui e ora dell’interazione (Perls, 1971).

Perls (1969) nonostante non avesse incorporato le tecniche di contatto for-malizzate dal suo maestro W. Reich, fece della corporeità e dell’uso del con-tatto fisico una parte integrante e inscindibile del suo approccio terapeutico.Secondo Perls, (Perls, Hefferline, Goodman, 1971), infatti, la maggior parte del-le terapie, e in particolare la psicoanalisi, ignoravano la dimensione fisica, di-ventando così eccessivamente intellettualistiche. Egli riteneva che i traumi irri-solti, che definiva “unfinished business”, faccende non concluse, venisseroconservati nel corpo come emozioni represse, delle quali cercava di stimolarel’espressione, spesso attraverso l’utilizzo del contatto fisico.

L. Perls in un’intervista afferma che “vi è un punto che non sottolineerò maiabbastanza: il lavoro corporeo fa parte integrante della Terapia della Gestalt. LaGestalt è una terapia olistica, cosa che significa che essa prende in considera-zione l’organismo nella sua totalità, e non semplicemente la voce, la parola,l’azione o qualunque altra cosa…”.

Capitolo 1

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Alle libere associazioni Perls sostituisce la sperimentazione che può porta-re all’insight, o Einsicht come definita da Köhler, che consiste nell’improvvisailluminazione che permette di risolvere un problema pratico o teorico senza ri-correre al procedimento “per prove ed errori”, ma attraverso la ristrutturazionedel campo percettivo e mentale. Perls lo definisce anche satori, ovvero, “illu-minazione” o presa di coscienza improvvisa, conseguente a un’esperienza in-terna forte. Il satori dirotta il discorso verso la fonte di influenza orientale, dal-la quale oltre a questo concetto, Perls ha integrato nel suo modello il principiodel fluire energetico del pensiero Zen, in cui la produzione mentale è lasciatafluire senza interruzioni, concentrando l’attenzione su ciò che avviene, sul fe-nomeno che non va bloccato, ma abbandonato mentre si dissolve: una rap-presentazione del buon fluire del ciclo del contatto e del superamento dellaconcezione dualistica della realtà che si presenta invece in una dimensione diunicità circolare, olistica. Legato a questo concetto è quello della consapevo-lezza e del vuoto fertile, cioè lo stato di vigilanza/attenzione senza aspettativeche porta al satori, il risveglio dello Zen, che più del processo ragionativo e in-tellettualistico conducono alla conoscenza e permettono l’attuazione perma-nente del ciclo del contatto. Inoltre, la valorizzazione gestalitica del qui e ora,dell’esperienza immanente e del corpo come altamente rappresentativo e uni-ficato con la dimensione più spirituale dell’individuo, la ricerca di armonia conl’ambiente sembra rispecchiare quanto espresso dal principio unificatore delloZen (Giusti, Rosa, 2002).

La terapia della Gestalt centra l’attenzione sulle esperienze immediate de-gli individui che, imparando ad apprezzare e sperimentare il momento pre-sente, integrano se stessi, gli altri e il mondo; mentre rimanere legati al passa-to è solo un modo per evitare la piena esperienza del presente. Secondo Perlsle persone che investono le loro energie lamentandosi del passato e rimugi-nando su come la vita avrebbe potuto o dovuto essere differente, piuttosto cheaccettare quello che è e sono, possono essere vittime delle unfinished business:bisogni non soddisfatti, situazioni non completate, sentimenti inespressi, qualirabbia, odio, dolore, risentimento, abbandoni vissuti, esperienze di cui la co-noscenza non è pienamente consapevole o che non si è mai avuto il coraggiodi affrontare, che impediscono un contatto efficace con se stessi e con gli altrie la tendenza innata dell’individuo al completamento e a vivere in modo sanoil presente (Naranjo, 1989).

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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“Per me è nevrotico qualsiasi uomoChe usa il suo potenziale per Manipolare gli altriInvece di crescere egli stesso.Prende il controllo, il potere gli dà alla testaE mobilizza amici e partentiIn luoghi dove è incapace Di usare le proprie risorse.Si comporta così perché non può reggereTali tensioni e frustrazioniChe il crescere comporta.E: anche rischiare è rischiosoTroppo spaventoso per essere preso in considerazione.”(Perls, 1991)

1.6.1. Tecniche di Gestalt nel counseling e nel coaching

Negli esercizi di consapevolezza la persona pone attenzione al flusso dellesue sensazioni nel momento che le verbalizza. Di solito questo esercizio è usa-to come riscaldamento e può facilitare l’emergere di una situazione del passa-to rimasta aperta.

La “sedia che scotta” o “sedia bollente” era una delle tecniche preferite daPerls. Il cliente desideroso di lavorare si sedeva sulla sedia vicino a Perls e co-

Capitolo 1

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SINTESI DI RIFLESSIONELa Gestalt nell’approccio integrato

L’obiettivo gestaltico per l’operatore integrato è quello di restaurarela capacità del cliente a entrare in rapporto con sé stesso e con i pro-pri bisogni e di farsene carico con responsabilità e consapevolezza:

agevolare il cliente nel raggiungimento dei suoi obiettivi sentiti come bisognoemergente, quando essi sono focalizzati nel qui ed ora, definiti secondo un pia-no di azione consapevole basato sull’esame di realtà. Nell’esplorazione dellepossibili interruzioni del ciclo di contatto, si possono far esplorare al cliente, adesempio, la presenza di introiezioni, di messaggi genitoriali o di fantasie che li-mitano l’efficacia delle sue scelte e gli impediscono di sperimentare la pienez-za di un contatto arricchente e nutriente con l’ambiente.

minciava a verbalizzare ciò che sentiva, vedeva, faceva in quel momento (eser-cizio di consapevolezza nel qui ed ora). Su una sedia vuota davanti a lui, il pa-ziente poteva collocare con l’immaginazione qualsiasi persona con cui si sen-tisse di voler entrare in relazione.

La navetta mentale, così denominata da Perls, rappresenta il continuopassaggio, incoraggiato nel lavoro gestaltico, dalla realtà attuale a quella fan-tasmatica. Il viaggio con la navetta nell’immaginario si alterna a momenti diatterraggio al suolo con il costante confronto con la realtà concreta del grup-po. In particolare avviene un passaggio dall’immaginario alla sua rappresen-tazione, dalle immagini alla verbalizzazione e al corpo, fino al qui ed orareale.

Le tecniche di messa in atto, ispirate allo psicodramma di Moreno, proce-dono dalla parola verso il corpo. Esse si differenziano dal passaggio all’atto im-pulsivo, attuato come evitamento che impedisce la presa di coscienza; rappre-sentano infatti un’esperienza intensa e consapevole della situazione e nonun’espulsione di essa. Nell’analisi di un sogno con il monodramma, il clienterappresenta uno ad uno i diversi personaggi ed elementi del sogno, si identifi-ca con essi, li interpreta e li fa parlare. Il vantaggio rispetto allo psicodramma(che coinvolge altri partecipanti), è la precisione con cui il paziente può far vi-vere le sue rappresentazioni interne, senza l’inevitabile interferenza di quellealtrui.

Il lavoro sul sogno, la sua messa in atto, consente di riunire i diversi fram-menti della personalità rappresentati dai vari elementi del sogno stesso. Per fa-re ciò è necessario riviverlo come se si svolgesse adesso, “diventare” ed agireogni suo aspetto così da “liquidare la tensione psichica inconscia di una situa-zione incompiuta” (Ginger, 1990). Oltre alla messa in atto e al monodramma,al sogno possono essere applicate altre tecniche della Gestalt quali l’amplifi-cazione, il lavoro sulle polarità, l’assunzione di responsabilità, la sperimenta-zione del contatto e del ritiro con un elemento del sogno.

La messa in atto corporea simbolica consiste nell’inscenare con il corpoun’espressione, un sentimento, sia individualmente che con l’aiuto del gruppodi terapia. La situazione di gruppo lascia ampio spazio a giochi ed esercizi cor-porei che possono riguardare l’intero gruppo, o un solo partecipante che in ta-le caso potrà utilizzare gli altri membri nei modi più fantasiosi. Per esempio,ognuno potrà trovare il posto migliore per sé nello spazio, realizzare una scul-tura di gruppo per rappresentare la sua situazione familiare, difendere il pro-prio territorio, sperimentare la sua fiducia negli altri lasciandosi cadere nelle lo-ro braccia, lasciar parlare il corpo attraverso i movimenti, cercare il proprio rit-mo spontaneo, ecc.

Inoltre, uno o più membri del gruppo possono essere usati per un “corpo-a-corpo terapeutico” aggressivo o tenero, in cui il contatto che spesso scatena

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Ex.107

profonde ed arcaiche reazioni emotive, può svolgersi in un ambiente conteni-tivo. L’uso del cuscino è preferibile quando il corpo a corpo reale non consen-te facilmente di esprimere fino in fondo certi sentimenti.

I partecipanti vengono sempre invitati a “parlare a e non parlare di” rivol-gendosi direttamente con il “tu” invece di parlare in terza persona. Ciò facilitail confronto tra le nostre proiezioni e la realtà, ci evita di fare una colpa agli al-tri dei nostri fantasmi, sviluppa il senso di responsabilità.

L’espressione metaforica attraverso tecniche artistiche è ampiamente utiliz-zata. Il disegno, la pittura, la danza, il modellaggio o la scultura, la composi-zione musicale, ecc. sono tutte tecniche espressive che coinvolgono l’emisfe-ro destro e facilitano il contatto con le emozioni. La consapevolezza si foca-lizza sul sentire e non sulla ricerca delle parole. La produzione viene poi com-mentata dall’“artista” stesso o da altri, con particolare attenzione al vissuto chesuscita. Il paziente potrà parlare alla sua opera, o farla parlare, impersonarla, ecosì via. Il lavoro creativo è un mezzo per illustrare o sottolineare l’espressio-ne di un sentimento.

L’oggetto feticcio viene scelto o costruito dal paziente con diversi materia-li; prima il paziente lo descrive (egli), poi si rivolge a lui (tu), infine si identifi-ca con l’oggetto parlando in prima persona (io).

Nell’uso dei suoni o rumori, la vibrazione esterna genera un’eco interna inognuno dei partecipanti, che agisce il suo spazio sonoro all’interno dell’orche-stra del gruppo, alternando l’ascolto degli altri all’espressione di sé.

Un’altra tecnica derivata dallo psicodramma con cui si può lavorare sulleemozioni del cliente è il soliloquio. Si suggerisce al cliente di immaginare ditrovarsi in un luogo in cui può esprimere ciò che pensa e sente. Questo può es-sere un utile intervento di follow-up al lavoro con le due sedie, facilita la chia-rificazione e l’aperta espressione dei sentimenti e dei pensieri esperiti interna-mente ma non verbalizzati.

La proiezione nel futuro è un’altra tecnica di psicodramma che ha l’obietti-vo di aiutare il cliente a esprimere e chiarire i suoi propositi per il futuro. Vie-ne anticipato un evento e agito nel momento presente. Una volta chiarite lesperanze rispetto a una particolare situazione, il cliente si trova in una posi-zione vantaggiosa per fare gli specifici passi che lo renderanno capace di rag-giungere il futuro desiderato.

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Obiettivo delle tecniche gestaltiche è la sperimentazione attiva, allo scopodi ricongiungere la persona al proprio sentire, sviluppando consapevolezza, as-sunzione di responsabilità e contatto con la propria esperienza nel qui e oratramite la sensibilizzazione (Tab. 7).

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BOX DI APPROFONDIMENTOVademecum essenziale

Linee-guida per un lavoro esperienzialefocalizzato sulle emozioni

L’agevolatore dovrebbe essere in grado di percepire le proprie emozioni e di ge-stirle ed usarle in modo sano. La capacità di essere presenti emotivamente conil cliente è la misura di quanto si è centrati e della propria libertà di accesso al-le emozioni. Se invece si è sommersi da esse, sarà difficile facilitare nei clientil’espressione dei loro sentimenti. Se il counselor ha bloccato la propria rabbiae la rivolge contro di sé, oppure non esprime apertamente la sua tristezza, osta-colerà quei clienti che si trovano a lavorare con tali emozioni fornendogli unmodello inadeguato. Quando il counselor si sente sopraffatto dalle proprieemozioni tende a trovare modi per distogliere il cliente dai suoi sentimenti piùintensi. Per assistere i clienti nella gestione della loro vita emotiva, è necessario sapergestire la propria. Se i clienti, lavorando con emozioni intense, suscitano alcu-ni sentimenti nell’agevolatore, è importante che quest’ultimo sia consapevoledi questi sentimenti evocati, riconosca le sue reazioni emotive e ci lavori nelsuo percorso personale o in supervisione. L’importanza del lavoro con focus emotivo non implica il fatto che occorra in-sistere e spingere i clienti ad affrontare a tutti i costi le emozioni; occorre primacomprendere dove si trova il cliente e cosa potrebbe essergli maggiormente uti-le in quel particolare momento. Infatti, se si spinge troppo precocemente versol’espressione emotiva, lo si incoraggia a prendere contatto con le emozionitroppo precocemente, con il rischio di generare vissuti di pericolo e una con-seguente chiusura per difesa.

Tab. 7. Tecniche confutative (Tratto e adattato dal materiale didattico del corso diMentalCoaching, FAD, ASPIC)

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1. TECNICHE CONFUTATIVE – si tratta di modalità volte ad offrire indicazioni chestimolino consapevolezza, aiutando, nel contempo, il coachee a stare in contatto conciò che accade nel qui e ora. In dettaglio:

1. Evitare “intornismi” (mediante la richiesta di consigli, diagnosi, spiegazioni, ra-zionalizzazioni)• “ti va di rimanere in contatto con quanto è emerso…?”laddove il coachee si perde in discussioni ed analisi evitando di focalizzarsisul nucleo critico• coachee: “aiutami a capire perché sta accadendo questo…” coach: “prova a raccontami ‘come’ accade, cosa senti a riguardo, cosa pen-si…?

2. Dire a se stessi e agli altri come si deve essere o cosa si deve fare è un modoper non sperimentare ciò che si è. Si gioca al gioco “dell’autotortura” in un co-stante dialogo interno tra persecutore e vittima • coachee “non me la sento di affrontarlo… non mi va di passare per la solitarompiscatole..”coach: “potresti interpretare il ruolo della rompiscatole per unmomento?” (per rendere manifesto e consapevolizzare il conflitto interno) • coachee “mi costringono a questo, io devo proprio” coach “potresti sostituire l’espressione devo con voglio, scelgo?”

3. La manipolazione è un’altra modalità attraverso cui evitare l’esperienza. Sicompiono azioni per minimizzare il disagio ed evitare stati interiori che la per-sona non vuole accettare.• coachee: “non gli dirò nulla… magari la prossima volta andrà diversamen-te.” coach: “come definiresti questo tuo atteggiamento? Cosa t’impedisce di af-frontare apertamente la situazione? come ti fa stare tutto questo?”

2. TECNICHE ESPRESSIVE DI AMPLIFICAZIONE tese ad influire sul contenuto dellaconsapevolezza mediante l’intensificazione dell’azione e la deliberata esagerazionenelle quali il coach invita il coachee a tradurre emozioni, pensieri e sentimenti inazioni e parole•coachee: “temo che se gli parlerò di questo…” coach: “ipotizzando che ora sieda qui di fronte… ti va di dirglielo ora?”“come glielo diresti?”invito all’espressione e all’amplificazione:• coach: ”puoi esagerare quel gesto?”; “puoi ripetere il movimento che stai facendocon più forza?” “come ti fa sentire?”invito all’espressione diretta, all’assunzione di responsabilità• coach: “puoi ripetere il concetto utilizzando la prima persona “io”?”individuare discrepanze:• coach: “mi dici che la situazione si è fatta invivibile… ed anche che in fondo va be-ne così, che è possibile che cambi col tempo… come vedi in relazione le due co-se…?“

1.7. I giochi che giochiamo: riconoscere i copioniper orientare il futuro

L’approccio dell’Analisi Transazionale (AT) ha attirato molta attenzione peri successi ottenuti in numerose organizzazioni, essendo di facile apprendi-mento per la semplicità del suo linguaggio comprensibile anche dal profano:giochi, carezze, buoni premio derivano dalle esperienze quotidiane di ognuno(Genain, Lerond, 2004).

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3. TECNICHE INTEGRATIVE DI ASSIMILAZIONE – volte all’integrazione delle vociinteriori in conflitto cercando di far dialogare le parti del Sé in conflitto e di assimila-re eventuali proiezioni

coachee: “loro mi chiedono sempre ciò che io non posso dargli!”coach: “cosa stai provando in questo momento?”coachee: “molta rabbia, sono furioso!” coach: “va bene… prova ad entrare in contatto con la tua rabbia… come la vivi? coachee: “la verità è voglio disfarmi di tutto! Voglio rompere col passato! Voglio

essere libero”Da questo breve excursus nelle tecniche gestaltiche, risulta evidente l’impianto più di-rettivo rispetto all’approccio rogersiano. Quando il coach utilizza un approccio ge-staltico alterna e bilancia sostegno e sfida al cambiamento, presa di coscienza ed as-sunzione di responsabilità. Si tratta di strumenti “ad altissimo potenziale”, che richie-dono:

• una relazione coach/coachee ben consolidata• rispetto e maturità nel saperne fare un uso opportuno (l’invasività genera resi-

stenza)• capacità di discernere quanto esse possano essere utili all’obiettivo o, al con-

trario, quanto portino ad un lavoro “eccessivamente introspettivo” che esuladall’intervento di coaching.

“Oggi a tavola durante il pranzo abbiamo parlato del-l’apprendimento. Ho suggerito che apprendere significascoprire. Questo si riferisce ai fatti. Apprendere delleabilità vuol dire scoprire che qualcosa è possibile. Inse-gnare è mostrare che qualcosa è possibile. Scoprire: to-gliere ciò che copre, far apparire la cosa o l’abilità, ag-giungere qualcosa di ‘nuovo’” (Perls, 1991).

Secondo Eric Berne, fondatore dell’AT, la personalità è strutturata in tre par-ti e, a seconda delle circostanze emotive, si parla o si agisce aderendo ad unadi esse. Berne ha definito questi stati della personalità, o stati dell’Io, il Geni-tore, l’Adulto e il Bambino (GAB). Il Genitore rappresenta gli atteggiamenti ele opinioni apprese dalle figure autoritarie durante l’infanzia; può criticare o in-coraggiare. L’Adulto è la parte razionale e non emotiva, quella parte che pen-sa in maniera logica, raccoglie obiettivamente i fatti e analizza i dati. Col pas-sare degli anni non si perde mai il proprio lato infantile, la spontaneità, la crea-tività, le intuizioni e le emozioni che accompagnano ogni persona dalla nasci-ta, siano esse gioie o paure (Miglionico, 2000).

Quando due persone comunicano l’una con l’altra, avviene una transazio-ne tra i vari stati dell’Io. Una transazione complementare avviene quando si ri-ceve una risposta prevista e i canali di comunicazione possono restare apertiindefinitamente. Una transazione incrociata, invece, impedisce la continua-zione della comunicazione. Ciò avviene quando il trasmittente non riceve larisposta che si attendeva dal ricevente. Le transazioni ulteriori hanno uno sco-po nascosto: il vero messaggio resta inespresso, celato dietro una transazionesocialmente accettabile. Ogni gioco ha almeno una transazione ulteriore (Ber-ne, 1978).

Le carezze (strokes) indicano l’universale bisogno di riconoscimento daparte degli altri. Negli anni ’40, René Spitz ha constatato che il 90% dei bam-bini alloggiati nei brefotrofi moriva durante il primo anno di vita. Nessuno sispiegava come ciò potesse accadere essendo i bambini ben nutriti, cambiati ealloggiati in comode stanze. Quello che mancava loro era il contatto fisico, lecarezze, il riconoscimento. Questo bisogno di riconoscimento che cominciacon le carezze fisiche, non verrà mai abbandonato pur prendendo forme di-verse nel tempo. Una carezza può essere un “ciao, come stai?” oppure “stai fa-cendo un buon lavoro”. Partendo quindi dall’idea che il riconoscimento inco-mincia dal contatto fisico, E. Berne ha poi elaborato il concetto di carezza. Unacarezza psicologica che rinforza l’amor proprio è preferibile perché è la piùgratificante. Tuttavia si impara presto che le carezze positive possono facil-mente trasformarsi in carezze negative o in quelle miste, e che anche una ca-rezza negativa è preferibile alla totale assenza di attenzioni. Crescendo si ten-derà a ricercare lo stesso tipo di carezze che si sono ricevute nell’infanzia: po-sitive, negative o miste (Miglionico, 2000).

Esplorando su quali aspetti un’azienda riceve riconoscimenti, è possibile ri-cavare delle indicazioni sui suoi valori e su come si muoverà nel futuro. Si ri-ceve ciò che si approva; se si dà il giusto riconoscimento a qualcosa che nonè produttivo, è possibile aumentarne la produttività; se però si danno più ca-rezze a coloro che consegnano un lavoro in ritardo, si otterrà come risultatosempre più lavoro in ritardo.

Capitolo 1

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I buoni premio (trading stamps) sono merce di scambio relazionale. Il con-cetto di buono premio si riferisce alla situazione in cui, pur provando un sen-timento, la persona non lo esprime direttamente nel momento e a colui chel’ha provocato, restituendolo in un’altra circostanza alla stessa o ad un’altrapersona.

L’AT ha individuato ed analizzato le transazioni che più di frequente av-vengono fra gli individui e le ha denominate “giochi”. “Perché non…Sì ma…”è uno degli innumerevoli giochi transazionali. Questi giochi sprecano tempo,energia e produttività. Attuandoli, sia i collaboratori che i capi sono perdenti.Infatti, le persone utilizzano i giochi per poter dare o ricevere carezze, ma il lo-ro costo è alto in quanto possiedono sempre un motivo ulteriore o un torna-conto negativo: il fine inconscio è dare o ricevere carezze negative. Il risultatoè che non vengono prese decisioni e i problemi non vengono risolti.

Per esempio, colui che “gioca al difetto”, ottiene le sue carezze incorag-giando il collega a sentirsi inadeguato.

Lo scopo del gioco dell’“occupatissimo” è quello di tuffarsi nel lavoro ecercare di creare un vuoto tra sé e i propri colleghi.

Uno dei giochi più distruttivi e più comuni è “violenza carnale”, che è ca-ratterizzato da una sua base sessuale: il seduttore/la seduttrice si offre, l’altro/arisponde e viene colpito.

Chi gioca a “ti ho beccato!” prima tende la trappola al suo interlocutore, poiè pronto a saltargli addosso. Il giocatore viene premiato con la sensazione disuperiorità.

Lo scopo del “cacciatore d’orsi” è di avvicinare la vittima e poi far scattarela trappola.

Alcuni giochi si incastrano; per esempio, chi gioca a “prendetemi a calci”(kick me) ha solo bisogno di qualcuno disposto a giocare a “se non fosse perte…”(if it weren’t for you).

Si passa dal 50% al 90% del tempo a giocare e, infatti, il modo per indivi-duare le situazioni di crisi è ricercare i casi ricorrenti: qualunque modalità chesi presenti ripetutamente è un gioco. È possibile abbandonare questo modo di-struttivo di scambio e concedersi la sensazione di essere vicino ad un’altra per-sona con modi alternativi. Ognuna delle due parti può terminare un gioco; unfattore importante nell’arresto di un gioco è quello di impedire il tornacontonegativo che l’altro cerca: se è un calcio, non bisogna darlo, perché il darlocorrisponderebbe a una perdita di energia e di tempo prezioso.

I giochi svolti da ogni persona sono più o meno prestabiliti dalla loro posi-zione rispetto alla vita: l’OK Corral.

Esistono quattro stati fondamentali: 1. IO SONO OK TU SEI OK: lo dice il vincitore. A lui interessa andare

avanti col progetto, con la vita, col vincere, con l’essere ok. In questo

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stato vi è assenza di giochi. L’individuo ok può a volte sentirsi non ok epensare che gli altri siano ok, oppure può sentirsi un perdente, ma perla maggior parte del tempo funziona da vincitore.

2. IO SONO OK TU NON SEI OK: alla persona in questo stato interessa li-berarsi degli altri. Nessuno riesce ad avvicinarlo. Può trattarsi del fanati-co, dell’istigatore della causa. Il gioco tipico di queste persone è “ti hobeccato,…!”

3. TU SEI OK IO NON SONO OK: lo dice l’escluso, colui che vuole evi-tare le altre persone, come fanno le personalità depresse. Giochi tipici:“se non fosse per te” e “perché non… Si, ma”.

4. TU NON SEI OK IO NON SONO OK: lo dice il perdente che si consi-dera destinato a fallire.

1.7.1. Ingiunzioni e decisioni precoci: comprendere l’influenza delle originisulla quotidianità

Un’ingiunzione è un messaggio genitoriale che dice al bambino ciò che do-vrebbe fare ed essere per ottenere riconoscimento e accettazione. A volte talimessaggi vengono dati con una modalità verbale diretta, più spesso le ingiun-zioni vengono inferite: “Non essere separato da me”; “Non essere del tuo ses-so”; “Non desiderare”; “Non avere bisogni”; “Non sentire”; “Non essere unbambino” (Goulding, 1987; Goulding & Goulding, 1979). I bambini si trovanoad accettare questi messaggi parentali o a lottare contro di essi; queste deci-sioni precoci diventeranno poi una parte fondamentale della personalità.

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BOX OPERATIVO Scheda di auto-esplorazione: Ingiunzioni

La lista che segue riporta ingiunzioni comuni ed alcune possibili decisioni chepossono essere prese in risposta ad esse. Leggi ognuno di questi messaggi e ledecisioni corrispondenti: durante la crescita, quali sono alcuni dei messaggichiave che hai ascoltato? Quali hai accettato? Quali hai combattuto? Hai presoalcune di queste decisioni? Vuoi prendere in considerazione la possibilità dimodificare alcune di esse?

1 Non fare errori. Se da bambino hai ascoltato ed accettato questo messag-gio, puoi aver paura di correre dei rischi che possono farti sembrare scioc-co. Tendi a fare l’equazione: fare errori = essere un fallito.

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• Possibili decisioni: “ho paura di prendere decisioni sbagliate, così sempli-cemente non voglio decidere”; “siccome ho fatto una scelta discutibile, nonvoglio più prendere decisioni importanti!”; “Farei meglio ad essere perfettose spero di essere accettato”.

• Domande di riflessione: sei ansioso rispetto al commettere errori? Sei capa-ce di accogliere gli errori come un modo di apprendimento?

2 Non esistere. Questo messaggio letale è spesso dato non verbalmente da ge-nitori che non hanno desiderato il bambino o che hanno vissuto o percepi-to di non essere stati desiderati. Il messaggio base è: “vorrei che tu non fos-si mai nato”

• Possibili decisioni: “proverò finché non mi amerai”; “se le cose sono cosìterribili, mi ucciderò”.

• Domande di riflessione: come provi a convincere te stesso e gli altri che va-li qualcosa?

3 Non ti avvicinare. Corollari a questa ingiunzione sono i messaggi: “non ave-re fiducia” e “non amare”.

• Possibili decisioni: “mi sono permesso di amare una volta, e ho fallito. Maipiù!”, “Siccome è terrificante avvicinarsi, mi terrò a distanza”. “Non vale lapena amare e rischiare un rifiuto”.

• Domande di riflessione: hai difficoltà ad instaurare e mantenere relazioni in-time? Quanto è importante per te l’intimità nelle relazioni?

4 Non essere importante. Se vieni costantemente sminuito quando parli, seispinto a credere che non sei importante.

• Possibili decisioni: se diventerò importante, darò poca importanza alle miecapacità.

• Domande di riflessione: sei capace di accettare i tuoi talenti? Soffri di dub-bi riguardo a te stesso? Ti racconti che la tua voce non è importante?

5 Non essere un bambino. Questo messaggio dice: “agisci sempre da adulto!”“Non essere infantile e non fare di te uno sciocco”. “Controllati”.

• Possibili decisioni: “Mi occuperò degli altri e non chiederò molto per mestesso”. “Non mi permetterò di divertirmi”.

• Domande di riflessione: quanto divertimento c’è nella tua vita? Senti che de-vi tenerti a freno? Sei capace di chiedere agli altri ciò di cui hai bisogno?

6 Non crescere. I genitori spaventati che scoraggiano la crescita dei lorobambini, danno questo messaggio in molti modi.

• Possibili decisioni: “resterò un bambino, così otterrò l’approvazione deimiei genitori”. “Non sarò sensuale in nessun modo per cui mio padre mipossa allontanare da casa”.

Capitolo 1

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• Domande di riflessione: in che modo potresti ascoltare messaggi interni cheti spingono nella direzione della crescita? Ti accorgi a volte di ricercare di-speratamente l’approvazione dei tuoi genitori?

7 Non avere successo. Se da bambini si è rinforzati a fallire, si può accettareil messaggio di non avere successo.

• Possibili decisioni: “non farò mai niente di abbastanza perfetto, quindi per-ché provare?” “Avrò successo, anche se questo mi ucciderà” “Se non avròsuccesso, non dovrò rispondere alle alte aspettative degli altri nei miei con-fronti”.

• Domande di riflessione: qualche volta lotti contro sentimenti che riguarda-no se vali abbastanza? Sei capace di accettare e raggiungere i tuoi succes-si? A volte ascolti messaggi che spingono con sforzo verso la tua realizza-zione?

8 Non essere te stesso. Questo messaggio coinvolge quei bambini che ven-gono condizionati a credere di essere del sesso sbagliato, di avere la formasbagliata, il colore sbagliato, la taglia sbagliata, o che hanno idee o senti-menti inaccettabili per le figure genitoriali.

• Possibili decisioni: “mi ameranno solo se sarò un ragazzo (una ragazza),quindi è impossibile avere il loro amore”. “Farò finta di essere un maschio(una femmina)”.

• Domande di riflessione: hai mai lottato con il sentimento che non importaciò che fai né chi diventerai perché in un modo o nell’altro non ti adatterai?

9 Non essere sano e non sentirti bene. Alcuni bambini ricevono attenzioni so-lo quando sono fisicamente malati o si comportano in modo folle.

• Possibili decisioni: “diventerò malato così sarò compreso”. “Sono pazzo”. • Domande di riflessione: hai mai chiesto attenzione ammalandoti?

10 Non appartenere. Questa ingiunzione può indicare il fatto che la famiglianon abbia dato al suo interno una collocazione precisa al bambino, che sisente come se non avesse un luogo di appartenenza.

• Possibili decisioni: “Sarò un solitario per sempre”. “Non apparterrò a nes-suno e a nulla”.

• Domande di riflessione: in che grado senti un senso di scarsa appartenen-za?

Le regole familiari, siano esse esplicite o implicite, esercitano sempre unapotente influenza sulle modalità di percepire e sui comportamenti abituali. Que-ste regole, che spesso vengono esplicitate nei termini del “si potrebbe” o “nonsi potrebbe”, diventano forti messaggi che governano le interazioni all’internodella famiglia. È impossibile crescere senza tali regole. Alcuni esempi di questeregole sono i seguenti: “non essere mai arrabbiato con tuo padre”; “sorridi sem-pre!”; “non lasciare mai che le persone vedano le tue debolezze; non dimostra-re né affetto, né rabbia”; “non fare mai confronti fra te e i tuoi genitori, provasempre a compiacerli”; “non parlare della tua famiglia con gli estranei”; “i bam-bini devono essere visti ma non ascoltati”; “prima il dovere, poi il piacere”; “nonessere diverso dagli altri membri della tua famiglia”. Da bambini si può decide-re di accettare tali regole e vivere secondo queste per ragioni di sopravvivenzasia fisica che psichica, ma quando si trasferisce un pattern di questi all’internodelle interazioni adulte, a volte può non essere utile a lungo termine.

1.7.2. Decidere e ridecidere la vita: il contributo dell’Analisi Transazionale alcambiamento efficace

Ogni persona vive secondo l’espressione del proprio copione di vita, il pia-no di vita inconscio, che viene trasmesso inconsapevolmente dai genitori. Giànell’età prescolare ogni bambino si è già creato un copione personalizzato colmiglior materiale disponibile: frammenti di favole, film, commenti sentiti percaso in famiglia, esperienze, ecc. Crescendo, è possibile dimenticare la tramaparticolare, ma si continuerà a recitare il tema di fondo del proprio copione e,a meno che non si decida di cambiarlo, il suo filo conduttore determinerà lastrutturazione del resto della vita.

Comprendere il contesto delle primissime decisioni di vita può essere utileper ottenere un quadro migliore dello sviluppo della persona; l’obiettivo delprofessionista della relazione d’aiuto è di sostenere il cliente a liberarsi del co-pione, dei giochi e a diventare più libero ed autonomo nelle scelte di vita, diassisterlo nell’esaminare le decisioni precoci e nel prendere nuove decisionibasate sulla consapevolezza. La relazione counselor/coach-cliente viene stabi-lita attraverso la stipula di un contratto in cui l’obiettivo da raggiungere è espli-citato. Anche se il contratto è in questo caso ridefinibile momento per mo-mento, una volta portato a termine anche il percorso può essere concluso.

Uno dei maggiori contributi dell’AT, specialmente per il counseling, è diaver fornito una guida al processo di cambiamento attraverso l’uso del con-tratto che implica un attivo coinvolgimento del cliente persino nella fase delladiagnostica. Uno dei suoi maggiori limiti è la tendenza a focalizzarsi troppo suspiegazioni intellettuali, ponendo le emozioni in secondo piano.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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RidecidereL’approccio ridecisionale, sviluppato da Mary e Robert Goulding (1979)

prende forma dall’Analisi Transazionale, si basa sui concetti di ingiunzioni, de-cisioni precoci e nuove decisioni. Offre un’utile struttura teorica per compren-dere come gli apprendimenti acquisiti durante l’infanzia restino attivi nell’etàadulta. L’assunto è che le persone adulte prendono le loro decisioni in base apremesse del passato, che allora si sono rivelate appropriate per i loro bisognidi sopravvivenza, ma che possono nel presente non essere più valide. Questateoria pone in evidenza la capacità di modificare le decisioni precoci ed èorientata verso l’aumento della consapevolezza, con l’obiettivo di rendere iclienti capaci di deviare il corso della loro esistenza. I clienti apprendono co-me o quanto gli insegnamenti ricevuti e introiettati da bambini influenzano alpresente le loro azioni.

Le decisioni precoci non sono irreversibili; si possono prendere decisionidiverse che siano più appropriate per sperimentare la vita in modo totalmentenuovo. Decidere solo su un piano cognitivo di voler cambiare, è solo rara-mente sufficiente a contrastare anni di condizionamento del passato. Spesso èdi aiuto l’impiego di tecniche esperienziali per tornare allo scenario infantile incui queste decisioni sono state prese.

Molte tecniche di Gestalt possono essere usate per facilitare emotivamentee cognitivamente la consapevolezza dell’impatto delle decisioni precoci e pos-sono facilitare il processo di ridecisione. La consapevolezza è un primo passoimportante nel processo di cambiamento dei clienti nel loro modo di pensare,sentire e agire. Nei primi stadi del counseling, le tecniche hanno lo scopo diincrementare nei clienti la consapevolezza dei loro problemi e delle alternati-ve per portare a cambiamenti significativi. Con il procedere del counseling, iclienti sperimentano i “dovrei e i non dovrei, i faccio e i non faccio”, che so-no stati i fili conduttori della loro vita e, una volta identificate e rese consape-voli queste voci interne, si trovano in una posizione migliore per esaminare cri-ticamente tali messaggi e per comprendere in che modo continuano a viveresotto la loro influenza.

Nell’approccio ridecisionale viene frequentemente richiesto ai clienti di im-maginare di tornare a quelle scene dell’infanzia in cui hanno preso le decisio-ni limitanti. Si può facilitare tale processo con interventi del tipo: “mentre par-li, quanti anni senti di avere?”, “Quello che dici ti riporta a qualche periododella tua vita, quando eri un bambino?”, “Quali immagini stanno emergendoora nella tua mente?”, “Puoi esagerare questa espressione accigliata?”, “Qualiscene ti vengono in mente mentre ti accigli?”, “Come ti senti mentre descriviquesta scena?”. Ci sono molti modi per aiutare i clienti a ritornare ad alcunipunti critici della loro infanzia (Goulding, 1987). Quando i clienti sono diven-tati capaci di identificare una scena dell’infanzia, è utile stimolarli a riviverla

Capitolo 1

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nella fantasia. Un’esperienza di Gestalt riporta lo scenario del passato nel Quied Ora. Una parte importante della ripetizione dell’esperienza precoce consi-ste nel rifiutare le decisioni prese in passato in risposta a messaggi riguardantiun evento. Armati di una nuova comprensione che li rende capaci di riviverele scene in modo diverso, i clienti possono constatare che una particolare de-cisione del passato era la migliore che potessero prendere in quel momento dif-ficile, ma che ora è possibile modificarla. Come affermano i Goulding, è pos-sibile dare alle scene un nuovo finale, spesso coincidente con un nuovo inizioche porta i clienti a pensare, sentire ed agire con rinnovata vitalità.

1.8. Il punto di vista interpersonale

L’organizzazione teorica dell’approccio interpersonale si sviluppa intornoagli anni ’50. Molti sono stati gli autori che hanno contribuito e influito sullateorizzazione attuale, e che vengono utilizzati come riferimenti importanti.Contesti storici e culturali diversi hanno consentito e portato i diversi autori afocalizzare la loro attenzione su una varietà di elementi; infatti, per la sua na-turale evoluzione, questo modello rappresenta una modalità integrata caratte-rizzata da approcci differenti nella teoria e nella pratica, ma tutti costituiti subasi comuni, come ad esempio: la valorizzazione della dimensione sociale co-me fonte di influenza per l’evoluzione dell’individuo, la ricerca di una defini-zione della dimensione del Sé come agente di contatto per comprendere comesi sviluppa nelle sue primissime fasi, la valorizzazione della socializzazionecome elemento costituente la stessa natura umana, il rifiuto della dimensionepulsionale come unico e fondamentale principio evolutivo (Giusti, Lazzari,2003).

Rispetto all’ultimo punto, la possibilità di individuare elementi positivi e va-lorizzanti l’interazione con l’altro, evidenzia una netta differenziazione con leteorizzazioni precedenti, soprattutto quelle psicoanalitiche, in cui l’elemento

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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“La metodologia analitico-transazionale si situa a pontetra il versante mentale intrapsichico e quello interperso-nale: infatti la transizione è il ponte tra il dentro ed ilfuori degli individui che comunicano e consente l’ac-cesso tra intersoggettivo e soggettivo.” (Miglionico,2000)

primario è l’angoscia tipica della condizione umana, della sicurezza, dei sen-si di colpa su cui la relazione interpersonale era basata. La relazione sociale di-venta, invece, l’elemento che consente di inquadrare la dimensione evolutivadell’essere umano nel suo divenire, in quanto è attraverso la relazione con l’al-tro che viene determinata l’organizzazione e l’elaborazione dell’esperienza;come la stessa esperienza del bambino viene mediata dall’attribuzione di si-gnificato che la madre a sua volta dà alla propria esperienza (Greenberg, Mit-chell, 1983).

Tra gli autori che con le loro differenti elaborazioni hanno contribuito all’e-voluzione dell’approccio interpersonale spicca Adler (1975) che fu il primo adaver sottolineato l’importanza degli aspetti sociali ed educativi nello sviluppodell’individuo. Secondo questo autore la fiducia in se stessi e il coraggio sonoelementi fondamentali per la corretta evoluzione dell’individuo; in quest’otti-ca, l’obiettivo primario dell’intervento è il loro sviluppo. Una persona è real-mente felice se ha realizzato la propria vita emotiva, se svolge il lavoro desi-derato e che le dà soddisfazioni, se riesce in maniera efficace a gestire e se rie-sce a costruire rapporti di amicizia all’interno del contesto sociale in cui vive.Il ruolo dell’operatore è di compensazione rispetto alle difficoltà delle persone,originate da influenze sfavorevoli dell’organismo e della vita familiare, facen-do leva sul sé creativo – la possibilità che l’uomo ha di trasformare gli eventinegativi che provengono dall’esterno – che riveste un ruolo fondamentale perla determinazione del comportamento umano (Adler, 1949).

Horney (1981) pone l’accento sulla realizzazione di se stessi, che conside-ra lo scopo dell’esistenza dell’individuo, e che è resa possibile da una relazio-ne positiva con la realtà che lo circonda. La piena espressione delle proprie po-tenzialità permette di sviluppare il “vero Sé” nella relazione con l’altro. In ca-so contrario, l’individuo sperimenta una condizione di insicurezza interioriz-zata, capace di determinare “l’angoscia di base” che impedisce la spontaneitàdei sentimenti e lo sviluppo di normali relazioni interpersonali.

Per Sullivan (1953) il ruolo e l’importanza del contesto sociale, l’ambientein cui l’individuo vive e interagisce sono fondamentali nello sviluppo delle suecaratteristiche; e il punto nodale diviene la difficoltà di porsi in relazione conl’altro, di sperimentare e riconfermare il proprio vissuto: il bisogno di relazio-ne e l’esperire nella relazione sembrerebbero essere gli elementi centrali del-l’evoluzione dell’individuo. Bowlby (1989) analizza e opera una miriade di ri-cerche sulla diade madre-bambino, un sistema complesso, attivo e capace distimolarsi reciprocamente; non considera, come fatto in precedenza da altri au-tori, la figura materna esclusivamente secondo la dimensione libidica, per ilsoddisfacimento dei bisogni primari del bambino, ma mette in evidenza il mu-tuo scambio tra le necessità utili alla sopravvivenza del piccolo e la capacitàmaterna di accogliere le sue richieste prendendosi cura di lui. L’influenza del-

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la teorizzazione di Sullivan e di Bowlby consente di sottolineare l’importanzadelle relazioni precoci nello sviluppo della personalità dell’individuo. A diffe-renza della teorizzazione psicodinamica classica, in cui si sottolinea l’impor-tanza della dimensione biologica e pulsionale di tipo sessuale, l’approccio in-terpersonale resituisce la centralità dell’individuo all’interno di un sistemacomplesso di relazioni, che ne hanno caratterizzato l’infanzia e che ne regola-no il comportamento. Su questa scia, Kohut (1980) valorizza la dimensione in-terpersonale e relazionale, vale a dire l’importanza del contatto tra la madre eil bambino e la dimensione empatica, cioè la capacità della madre di adeguarsie rispondere in maniera efficace alle necessità che il bambino sperimenta du-rante la crescita.

Fromm (1976) sottolinea come la società nella sua totalità possa influenza-re lo sviluppo e l’organizzazione del comportamento umano, e come il confor-mismo, ad esempio, lo possa spogliare della sua spontaneità e libertà. La so-cietà, infatti, è l’elemento ispiratore della vita dell’individuo: la personalità, gliideali, derivano dal contesto sociale e culturale nel quale egli vive.

Secondo l’approccio interpersonale attuale, l’idea, o la reale condizioneche sia l’esperienza o addirittura l’individuo stesso a definire la sua dimensio-ne dell’essere sembra essere possibile. Secondo Wilber (1985) una possibilitàcosì complessa sarebbe definita esclusivamente in relazione ai confini che noistessi decidamo di avere, di percepire.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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BOX OPERATIVO Scheda di auto-esplorazione: Domande e interrogativi

‘interpersonali’ (ad.to da: Williams e Thomas, 2005)

• Qual è la qualità di ciascuna delle tue relazioni attuali? Quelle primarie?• Qual è il contributo che porti alla relazione così come è ora?• Ti piace come sei e il contributo che porti?• Quali sono le caratteristiche più positive che porti alla relazione?• Quali sono i tuoi migliori talenti e capacità che utilizzi nelle relazioni?• Quale nuove skill e abitudini interpersonali vuoi sviluppare?• Di tutte le tue relazioni, quale vorresti migliorare?• Che tipo di relazione vuoi stabilire con questa persona?• Porterai dei nuovi contributi alla relazione anche se l’altra persona non lo fa?• Se vuoi concludere una relazione, mantenendo la tua integrità e la tua pre-

mura, come lo fai?• Ti metti e ti nascondi dietro a una maschera, spinto dalla paura di essere ri-

fiutato, criticato o abbandonato?• Hai fiducia in te stesso? Negli altri? Nel mondo?

La necessità di strutturare un modello efficace da utilizzare per classificareil comportamento interpersonale e anche sintomatologico dell’individuo spin-ge alla creazione di alcuni modelli, tra cui il più conosciuto è il SASB (Struc-tural Analysis of Social Behavior, Benjamin, 1974), che risale alla fine degli an-ni Sessanta ed è conosciuto in Italia con il nome di ASCI, ossia Analisi Struttu-rale del Comportamento Interpersonale.

Il modello SASB (1980) è il frutto di un’eredità intellettuale che comprendei lasciti di Freud, quale la profonda importanza dell’apprendimento infantile eil ruolo dell’inconscio, di Murray (1938) e Sullivan (1972) i quali partendo dal-le idee di Freud, hanno spinto i loro modelli verso una direzione marcatamen-te interpersonale. Leary (1957), ad esempio, ha sviluppato un modello (il “Cir-colo Interpersonale”, ICP) che è costituito da due assi ortogonali, in cui sonoposizionati la Dominanza-Sottomissione agli estremi di un asse, e Amore-Osti-lità sull’altro; Schaefer (1965) e altri ancora hanno poi cercato di creare dei mo-delli di interazione sociale capaci di descrivere gli aspetti rilevanti delle teoriecliniche. Tutti i modelli circomplessi collocano le categorie in una circonfe-renza definita da due assi o dimensioni sottostanti, come anche le varie ver-sioni del SASB: affiliazione (aggressività vs. sessualità) e interdipendenza (do-minio/sottomissione vs. indipendenza). Tali assi, ovvero, le combinazioni deiquattro “elementi base” forniscono le componenti di molte altre posizioni in-terpersonali e intrapsichiche; e lo spazio definito dagli assi principali può es-sere ulteriormente suddiviso in infinite componenti (Benjamin, 1997).

Lo scopo di questo modello è quello di fornire metodi e concetti che ren-dano possibile sottoporre a studio scientifico i processi interpersonali e intra-psichici, cercando di valutare il tipo di rapporto che le persone hanno con sestesse e con le altre persone significative. Così, le descrizioni del SASB posso-no essere applicate sia alla “personalità” sia alla “situazione” interpersonale,alle interazioni fra pari, fra datore di lavoro e dipendente, genitore e figlio bam-bino, ai processi di consulenza individuali, di gruppo o di coppia, ecc.

Secondo la Benjamin (1997) esistono dei principi predittivi in grado di sugge-rire “che cosa dovrebbe risalire a un periodo precedente e cosa invece dovrebbeessere successivo a un dato evento interpersonale”, i cui più importanti sono:

• la complementarietà: si verifica quando due individui sono focalizzatisulla stessa persona e i loro comportamenti possono ricevere la stessaposizione di codifica nello spazio interpersonale; mentre una personasarà centrata sull’altro, questo sarà centrato sul Sé;

• l’introiezione: avviene ogni qualvolta una persona si comporta con se stes-sa nel medesimo modo in cui altri significativi si sono comportati con lei.;

• la somiglianza: si presenta ogni qual volta un individuo agisce comequalcun altro; legato a questo concetto è quello di identificazione;

• l’opposizione: “compare negli angoli a 180° dei modelli SASB”.

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Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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BOX OPERATIVOEsercizio: Cosa desideri dalla tua squadra?

(ad.to da: Essex, 2004)

Potresti pensare che quello che conta nella vita è quello che fai, quanto lo faibene e quanto puoi essere creativo nel farlo. La verità è che le persone di suc-cesso non lavorano mai da sole. Sono le prime ad apprezzare il fatto che mol-te persone le abbiano sostenute a realizzare ciò che fanno. Hanno preso co-scienza di tutti gli apprendimenti, gli insight, l’ispirazione che hanno tratto dapersone che hanno viaggiato prima di loro. Sanno che si appoggiano sulle spal-le degli altri. Sanno anche che il sostegno della loro famiglia, dei loro amici ecolleghi è stato vitale per il loro successo.Se pensi al tuo copione ideale, chi sta in squadra con te? Chi già ti dà sostegnoe ti incoraggia? Riesci a identificare tutte le persone che ti sono d’aiuto in qual-che modo importante? Quando apprezzi quante persone hanno già contribuitonella tua vita, puoi iniziare a realizzare quanto sei connesso/a alla tua rete per-sonale. Sii consapevole di tutto il sostegno che hai ricevuto e di tutte le lezioniche hai imparato dagli altri. Ora puoi pensare al tuo copione ideale:• credi che sia possibile realizzarlo;• sii disposto/a a fare ciò che serve per realizzarlo, incluso cambiare vecchie

abitudini di pensiero e comportamento;• lascia andare i dubbi;• lascia andare il desiderarlo troppo ossessivamente;• lascia andare le aspettative di come esattamente dovrà essere;• perdona te e gli altri per qualsiasi sbaglio del passato;• metti in chiaro bisogni nascosti e intenzioni;• apprezza, comprendi, rispetta e datti il permesso di provare rabbia, senso di

colpa, paura o altre emozioni negative;• rinuncia a lamentarti e all’auto-dialogo negativo;• poniti in un atteggiamento di gratitudine verso ogni aspetto della vita.

Tutto ciò che implica una esperienza riflessa, di intera-zione con l’altro, contribuisce allo sviluppo del Sé, cheè fortemente influenzato dalle valutazioni che vengonofatte dall’altro. Ugualmente, il Sé dell’altro è il risultatodi valutazioni riflesse e in questa dimensione sembrachiaro come il Sé diventi “la riflessione di riflessioni”(Rosenbaum, Dyckman, 2001).

1.9. Quando uno più uno fa più di due: la persona nei suoi sistemi

L’individuo si sviluppa ed evolve attraverso la partecipazione a molteplici esvariati gruppi e sistemi. Tale sviluppo origina nel sistema-famiglia e si espan-de con le relazioni verso altri gruppi lungo tutta l’arco di vita (sistema scolasti-co, sociale, lavorativo, ecc.). Ogni individuo, possedendo dei confini tra den-tro e fuori, è di per sé un sistema che può essere definito come un complessodi elementi interagenti (Massò Cantarero, 1981). Una folla di persone che cam-mina in una piazza rappresenta un semplice insieme, se si rileva invece un ele-mento in relazione a un altro come due persone che si parlano o si tengonoper mano allora si è identificato un sistema grazie ad una relazione tra elementie alla possiblità di enuclearli dalla massa quasi avessero un confine invisibileche li circonda. Ogni sistema è delimitato da confini che possono essere sia im-materiali che fisici e molti conflitti derivano da confusione di ruoli e confini si-stemici. Se ad esempio, una persona che riveste in azienda il ruolo di capouf-ficio approfittasse del suo potere nel ruolo lavorativo per insidiare la donna diun suo dipendente davanti ai suoi occhi mentre si trova in un locale pubblico,sta confondendo i ruoli e i confini di sistema; e lo stesso vale per una famiglianella quale il potere di comando viene detenuto da un figlio invece che da ungenitore. Per far fronte a tutto questo occorre apprendere una molteplicità diruoli e gestire il comportamento da essi derivante, incluse le sfumate transizio-ni tra l’uno e l’altro: quanto più si è consapevoli delle proprie capacità e po-tenzialità, dei propri bisogni e confini nella espressione dei ruoli, tanto più sidispone di maggiore energia nell’espletamento dei compiti (Miglionico, 2000).

Ogni disciplina che si interessa di interazioni va pensata o ri-pensata in ter-mini di sistemi; come le più accreditate teorie della comunicazione, sviluppa-te storicamente in discipline differenti dalla seconda metà del secolo scorso, sibasano su una comune epistemologia scientifica e, affrontando la comunica-zione all’interno di aggregati e tra aggregati (umani e non), afferiscono natural-mente alla teoria dei sistemi. “Pensare in termini di sistemi gioca un ruolo do-minante in un ampio intervallo di settori che va dalle imprese industriali e da-gli armamenti sino ai temi più misteriosi della scienza pura… “ (von Berta-lanffy, 1967), ed è divenuto negli ultimi decenni un vero e proprio approccioepistemologico comune alle scienze fisiche, biomediche e psicosociali. Larealtà può essere, infatti, descritta come un infinito gioco di scatole cinesi, incui ogni sistema è contenuto a sua volta da uno più grande: rispetto al sistemafamiglia, ad esempio, dei meta-sistemi più grandi possono essere “condomi-nio”, “quartiere”, “città”, “società”, mentre sono meta-sistemi più piccoli i sub-sistemi coniugali, parentali e filiali.

I sistemi possiedono diversi livelli logici di funzionamento che è necessario

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osservare attentamente quando si descrivono o si cercano di capire; e in as-senza di informazioni possono essere studiati considerandoli come una scato-la nera, analizzando le entrate e le uscite, gli input e gli output.

Inoltre, viene operata una distinzione tra sistemi chiusi e sistemi aperti: unsistema chiuso è caratterizzato dal fatto che lo stato finale è inequivocabil-mente determinato dalle condizioni iniziali, come può avvenire in una reazio-ne chimica; nei sistemi aperti come quelli biologici e psico-sociali, invece, lostesso stato finale può essere raggiunto in diversi modi e a partire da diversecondizioni iniziali (principio di equifinalità). Mentre un sistema chiuso è por-tato a decadere in quanto l’ordine viene continuamente distrutto, i sistemiaperti interagiscono con l’esterno adattandosi ai mutamenti, entro certi limiti,attraverso circuiti di feedback (Watzlawick e altri, 1971).

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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BOX OPERATIVO Scheda di auto-esplorazione: Un esperimento pensante

(ad.to da: O’Connor e McDermott, 1997)

Immagina di essere parte di un loop insoddisfacente nel quale tu e un’altra per-sona sembrate reagire a quello che l’altro dice o fa, la situazione non sembrarisolversi e ognuno di voi due rimane insoddisfatatto. Prova questo esperimen-to: pensa alla situazione.Dal tuo punto di vista, descrivi gli atteggiamenti e le azioni dell’altra persona.Ora, fai uno spostamento e, dal punto di vista dell’altro, descrivi come apparia lui/lei, descrivi le tue azioni e i tuoi atteggiamenti così come appaiono all’al-tro/a. Potrebbe non risultare molto gratificante, ma non fa niente, è un punto divista e non è più vero dell’intera situazione.Ora fai un passo mentale al di fuori e immagina te e l’altra persona coinvolti inuna determinata situazione o discussione. Poniti alcune domande:• Qual è la relazione tra queste due persone nella situazione/durante la di-

scussione?• Cosa stai facendo che potrebbe far scatenare la risposta dell’altro?• Cosa sta facendo l’altro per far scatenare la tua risposta?• La tua risposta come fa scatenare la risposta dell’altro?• Che relazione desideri avere con l’altra persona?• Quale risposta veramente desideri ricevere dall’altra persona?• Cosa potresti fare per ottenere tale risposta?• Se quello che stai facendo in quel momento non sta funzionando, cosa, se

esiste, ti blocca nello sperimentate qualcosa di nuovo?

Derivazioni storicheL’approccio sistemico-relazionale prese forma a cavallo tra gli anni ’40 e gli

anni ’50 negli Stati Uniti (Goldenberg, Goldenberg, 2000). Norbert Weiner svi-luppò le sue teorie cibernetiche, sui sistemi di feedback e come questi con-trollano le macchine e i computer correggendo le deviazioni e ristabilendo l’e-quilibrio. Questo modo di pensare rappresentò un cambio di paradigma ri-spetto alla precedente causalità lineare. Successivamente, l’antropologo ingle-se Bateson (1976, 1984) riprese le idee di Weiner e le applicò alla comunica-zione e all’interazione umana, focalizzandosi inizialmente sulla relazione trastabilità e cambiamento e gradualmente spostandosi dall’interesse per l’indivi-duo al contesto, dal contenuto al processo, dalla causalità lineare a quella cir-colare o al determinismo reciproco e da domande sul ‘perché’ al ‘come’, e nel-l’ambito della relazione d’aiuto da ‘cosa è che non va in questa persona?’ a ‘inche modo il comportamento di questa persona ha senso in relazione al suocontesto?’ (Peltier, 2001).

Applicazioni La teoria e l’approccio sistemico-relazionale, offrono degli spunti importan-

ti sia per il counselor che per il coach: forniscono delle specifiche tecniche e unpunto di vista ‘avvolgente’ e integrato di estrema utilità. Innanzitutto, lo studiodella cibernetica ha portato a una cibernetica post-moderna, di secondo ordineche include l’osservatore nel sistema. Ciò significa che il professionista della re-lazione d’aiuto non può rimanere al di fuori del sistema, automaticamente nediventa membro e viene influenzato dagli stessi fattori che influenzano i suoistessi clienti: le leggi del sistema familiare o aziendale con il quale lavora cam-bieranno per incorporarlo e per poi controllarlo.

Focalizzarsi sul presenteL’approccio sistemico enfatizza la considerazione del presente piuttosto che

del passato, dal momento che sono le relazioni e le dinamiche del sistema at-tuale che controllano e mantengono il comportamento dei singoli membri: pertrovare le risposte occorre stare nel presente, nel qui ed ora.

Processo Vs. contenutoL’accento viene posto più sul processo piuttosto che sul contenuto: il con-

tenuto di un messaggio è di minore interesse rispetto a come viene comunica-to. Il processo riguarda il come avvengono gli eventi, chi parla a chi, quandoe in che modo; in quali circostanze hanno luogo alcune azioni; cosa succedequando il sistema è sotto stress, quando si avvicinano delle scadenze impor-tanti; quale è il comportamento normale e tollerato, quale invece non accetta-bile; ecc. Piuttosto che al perché che porta a delle spiegazioni astratte, a ra-

Capitolo 1

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zionalizzazioni non produttive e spesso anche a delle accuse, il professionistaè interessato alle regole interattive.

InterrelazioneQuesto aspetto necessariamente pone l’accento sul contesto piuttosto che

sulla persona. Il comportamento di un dipendente, ad esempio, viene compreso nel con-

testo delle dinamiche organizzative, come funzione del sistema organizzativo:il comportamento è una risposta alle richieste del sistema. Il modo con il qua-le qualcuno si comporta può essere una manovra per influenzare o proteggereil sistema o una reazione agli agenti stressogeni organizzativi. Un manager, adesempio, che riesce a realizzare la metà dei suoi progetti verrà localizzato daquesta visione da un punto dell’organizzazione e non secondo i suoi errori per-sonali (Tab. 8).

Tab.8. Descrivere i sistemi

OmeostasiI gruppi, le organizzazioni, i sistemi e i loro membri si sforzano per mante-

nere l’omeostasi, ovvero un equilibrio inalterato, anche quando questo non ri-sulta del tutto soddisfacente, sabotando in qualche modo delle possibilità dicambiamento. Questo comportamento implica resistenza, disagio e il fatto cheil cambiamento possa essere percepito come una minaccia.

EquifinalitàSecondo questo principio è possible iniziare un intervento da qualsiasi par-

te del sistema e arrivare alle stesse conclusioni e comprensioni: è possibile uti-

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

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Linee guida per descrivere i sistemi (tratto da O’Connor e McDermott, 1997)1. Sei il personaggio centrale della situazione. Inizia a fare una descrizione, una

bozza, a partire dalla tua esperienza, dal tuo punto di vista.2. Butta giù una bozza con in mente un obiettivo. Cosa vuoi comprendere?3. Inizia da dove vuoi.4. Includi eventi: cosa hai osservato, udito e provato. Quelli che si ripetono o che

sembrano formare un copione sono particolarmente significativi.5. Definisci, in relazione al tuo obiettivo, il tuo sistema di confini, inclusi l’arco di

tempo e le persone coinvolte.6. Utilizza solamente elementi che possono aumentare o diminuire, che possono

cambiare quando vengono influenzati da un altro elemento. Se vuoi utilizzarequalcosa che è fisso, chiediti: a che cosa mi serve, dove mi porta?

lizzare molteplici vie per arrivare alla stessa destinazione. Nel caso che al pro-fessionista venga permesso un accesso limitato ad alcune parti, potrà sempreiniziare con quelle disponibili e arrivare comunque dove voleva (Carlson,Sperry, Lewis, 1997).

RuoliOgni membro di un sistema assume un ruolo specifico, ovvero, un’orga-

nizzazione coerente di comportamenti e reazioni che dopo un certo periodogli altri si aspettano di trovare; e in caso contrario, infatti, proveranno disagio.In questo senso sono da ricercare questi ruoli, comprenderli nel contesto, ri-spetto a quello che succederebbe se venissero cambiati, al mantenimento del-l’omeostasi, ecc. (Blevins, 1993).

Alcuni esempi:La star: a questa persona viene riconosciuto uno status particolare; viene

trattata come speciale e generalmente è molto competente e i suoi eventuali er-rori vengono ignorati o minimizzati.

L’eroe: la sua missione è quella di “salvare” la situazione attraverso un gran-de colpo.

Il ribelle: è estremamente autonomo e solitamente non segue le regole; siveste, pensa, comporta in maniera diversa.

Il martire: al fine di attirare un certo grado di attenzione si mette in una po-sizione che lo porta a soffrire costantemente.

Il capro espiatorio: accetta e sopporta la colpevolizzazione per situazioniche non si sono svolte come dovevano.

Il figlio maggiore/preferito: riceve un trattamento speciale accompagnato daresponsabilità supplementari.

La mascotte: viene messa sempre in mezzo in quanto portatrice di buonafortuna e auspicio; viene trattata come se fosse carina e produttiva, ma in realtànon ci si aspetta da lei un grande contributo.

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In questo approccio, la conoscenza della causa e delsintomo non viene considerata molto produttiva. Piutto-sto, la conoscenza del sistema, delle sue parti, delle sueinterconnessioni, i feedback comunicativi tra le parti e ilfunzionamento omeostatico sono molto più utili per unacomprensione del problema e una ricerca della sua ri-soluzione. (Brown, Christensen, 1986)

1.10. Pluralismo e Integrazione: concetti chiave

L’approccio integrato prende forma negli anni ’80 con il Movimento perl’Integrazione, una sfida che ricerca nuove possibilità di linguaggio altamentecompatibili con i tempi e le trasformazioni della conoscenza dell’uomo. Si pas-sa dal porre attenzione a “come l’uomo dovrebbe essere a come l’uomo si ma-nifesta e procede attraverso i cambiamenti” (Norcross, Beutler, 1998).

Si cerca di rispondere alla complessità dell’essere umano con un approcciocorrispondente. Da qui la primaria importanza assegnata alle differenti mani-festazioni e rappresentazioni attraverso cui l’individuo elabora il senso dellasua fondamentale unicità (Giusti, Montanari, Spalletta, 2000).

L’Integrazione si esprime a tre livelli: il primo, teorico, si riferisce alla strut-turazione di un paradigma complesso in cui coesistono più approcci e model-li di lettura dello sviluppo, della salute individuale e collettiva, del disagio e delcambiamento, articolati secondo specifiche compatibilità transteoriche.

Il secondo livello è quello metodologico che orienta la selezione dell’inter-vento qualitativo individualizzato. A questo livello si mira a una pianificazionedettagliata, multidimensionale e pluridirezionale relativa a quando, cosa e co-me procedere per il cambiamento e verso il conseguimento degli obiettivi con-cordati. Si considera il fattore tempo a più livelli: l’età, la fase del ciclo di vitaindividuale e familiare in cui il problema si presenta, il punto di consapevo-lezza e motivazione al cambiamento in cui il sistema si trova, le differenti tem-poralità di modificazione che le diverse aree di espressione, personali e inter-soggettive, possono manifestare. Il fattore priorità riguarda in quale area è piùopportuno intervenire, alla luce della configurazione globale del soggetto. Ilfattore accessibilità, il quale “porta” consente meglio l’accesso all’area/meta daraggiungere (cognitiva, emotiva, comportamentale).

Il terzo livello è quello tecnico: qui trova espressione operativa l’atteggia-mento mentale di tipo pluralistico. Ogni strumento o tecnica che risulti ri-spondente all’obiettivo da raggiungere, sulla base di un’attenta selezione siste-matica supportata dalle indicazioni della ricerca, può essere applicato.

La considerazione della persona in un’ottica olistica ed ecosistemica (eco-listica), guarda all’individuo nella sua intera complessità fenomenologica, nel-la sua partecipazione attiva alla costruzione di stati, processi e significati esi-stenziali.

Quest’ottica consente di superare gli ostacoli legati alle contrapposizioniche hanno a lungo caratterizzato lo studio dell’umano: le dicotomie mente-corpo, realtà oggettiva e soggettiva, descrizione e interpretazione, pensiero-emozione-azione. Solo un’interazione dinamica delle differenze produce in-novazioni conoscitive e costituisce un campo di intervento ricco di possibilitàesplorative.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

107

La qualità della relazione è determinante dell’alleanza collaborativa e fat-tore cruciale nella costruzione della motivazione al cambiamento e nello svi-luppo dell’attaccamento nel setting del counseling e del coaching. È anche ele-mento centrale e linea di demarcazione tra sviluppo sano e percorsi psicopa-tologici (Bowlby, 1989; Crittenden, 1997; Fraiberg, 1999; Sroufe, 2000; Rap-paport & Ismond, 2000), linea necessaria a definire i confini del tipo di inter-vento (clinico, di counseling e/o di coaching).

Il soggetto dell’esperienza, la Persona, è l’elemento unificante, il fattore in-tegrativo delle dimensioni e delle direzioni teoriche, metodologiche e tecnichedell’azione curativa.

Il processo di cambiamento così definito sembra rispecchiare il naturale svi-luppo dell’individuazione: attraverso l’apertura di ogni canale di esperienza alcostante processo di disintegrazione e integrazione delle informazioni del-l’ambiente, in un’esplorazione globale del territorio interno ed esterno, prendeforma la persona, nella sua struttura e nelle sue peculiari modalità di funzio-namento individuale e relazionale, all’interno della famiglia e del contesto diappartenenza (Spalletta, Quaranta, 2002).

Lo sviluppo della compatibilità ottimale che consente di personalizzare l’in-tervento misurandolo sulle caratteristiche del cliente deriva dalle considera-zioni della ricerca meta-analitica e sarà oggetto di trattazione nel terzo capito-lo.

Capitolo 1

108

• Qualunque sia la base del proprio approccio inte-grato al counseling/coaching, sussiste il bisogno dipossedere una conoscenza base dei vari sistemi teo-rici e delle tecniche che funzionano più efficace-mente con una vasta gamma di clienti nei vari settinge contesti che, selezionate in modo sistematico, con-tribuiscono a costruire la specifica risposta per lospecifico cliente.

• La motivazione che maggiormente spinge verso unapproccio integrato è data dal riconoscimento chenessuna singola teoria è sufficientemente comprensi-va della complessità del comportamento umano,specialmente quando viene presa in considerazionela varietà dei clienti, dei loro problemi e bisogni spe-cifici.

Le radici comuni dell’integrazione pluralistica

109

BOX OPERATIVO: Scheda di auto-esplorazione

L’influenza della personalità del counselor/coach(ad.to da: de Haan, Burger, 2005)

A partire dalla sua personalità, ogni consulente ha le sue personali preferenzerispetto ad alcuni approcci che trova più interessanti di altri e più adatti a lui. Nel tuo lavoro come counselor o come coach dove ti collocheresti nella “fine-stra del coach” (Fig. 4), tenendo prima conto dei seguenti parametri?

Direttivo / Non direttivo L R R LAnalitico / Intuitivo - R L LOrientato verso il futuro / Orientato nel presente L R R LFocalizzato sulle soluzioni / Focalizzato sullo sviluppo L R - LFocalizzato sul cambiamento / Accettante L R R L

Legenda:L = polo sinistroR = polo destro

Stile

dir

ettiv

oSt

ile c

entr

ato

sulla

per

sona

Stile

ana

litic

o

Stile

par

ados

sale

Focalizzato sul problema Stile Direttivo Stile Paradossale

Suggerimenti

Confronto

Esplorazione

Supporto

Focalizzato sulle soluzioni Stile focalizzato sulle soluzioni

Focalizzato sull’insight Stile Analitico

Focalizzato sulla persona Stile centrato sulla persona

Fig. 4. La finestra del Coach

Capitolo 1

110

SINTESI DI RIFLESSIONE: Conclusioni

• Una teoria è una struttura generale che offre un contenitorealle molteplici sfaccettature del processo della relazioned’aiuto, è la base delle tue azioni e delle tue parole.

• Per sviluppare uno stile professionale che sia basato sull’inte-grazione e in armonia con la tua personalità, è utile appren-dere una teoria in modo approfondito e, successivamente, al-largare la propria conoscenza ad altre.

• Poiché non esiste un approccio teorico migliore di altri, è preferibile che ticostruisca un approccio corrispondente alla tua persona e che sviluppi unapproccio integrato che dia lo stesso peso al pensiero, al sentimento e al-l’azione.

• Sviluppare un approccio personalizzato capace di guidarti nella pratica, èun processo in divenire e il tuo modello sarà continuamente sottoposto a re-visione.

NELLA STESSA COLLANA

Benson J., Gruppi. Organizzazione e conduzione per lo sviluppo personale e la psi-coterapia, 20001, pp. 272

Beutler L.E. - Harwood T.M., Psicoterapia prescrittiva elettiva. La scelta del trat-tamento sistematico fondata sull’evidenza, 2002, pp. 224

Bozarth J.D., La terapia centrata sulla persona. Un paradigma rivoluzionario, 2001,pp. 240

Campanella V. - Fiori M. - Santoriello D., Disturbi mentali gravi. Modellid’intervento pluralistico integrato dall’autismo alle psicosi, 2003, pp. 272

Chambon O. - Marie-Cardine M., Le basi della psicoterapia eclettica e integrata,2002, pp. 288

Clarkson P., Gestalt - Counseling, 1999 II ediz., pp. 192Clarkson P., La Relazione Psicoterapeutica integrata, 1996, pp. 392Delisle G., I disturbi della personalità, 20001, pp. 224Feltham C. - DrydenW. (a cura di E. Giusti),Dizionario di counseling, 1995, pp.320

Fontana D., Stress Counseling. Come gestire gli stati personali di tensione, 1996,pp. 160

Frisch M.B., Psicoterapia integrata della qualità della vita, 2001, pp. 352Giannella E., Palumbo M., Vigliar G., Mediazione familiare e affido condiviso.Come separarsi insieme, 2007, pp. 240

Giusti E. - Calzone T., Promozione e visibilità clinica. Motivare i pazienti ai trat-tamenti psicologici, 2006, pp. 288

Giusti E. - Carolei F., Terapie transpersonali. L’integrazione della spiritualità e dellameditazione nei trattamenti pluralistici, 2005, pp. 336

Giusti E. - Chiacchio A., Ossessioni e compulsioni. Valutazione e trattamento dellaPsicoterapia Pluralistica Integrata, 2002, pp. 176

Giusti E. - Ciotta A.,Metafore nella relazione d’aiuto e nei settori formativi, 2005,pp. 256

Giusti E. - Corte B., La terapia del per-dono, 2008, pp. 304Giusti E. - Di Fazio T., Psicoterapia integrata dello stress. Il burn-out professiona-le, 2005, pp. 256

Giusti E. - Di Francesco G., L’autoerotismo. L’alba del piacere sessuale: dall’iden-tità verso la relazione, 2006, pp. 208

Giusti E. - Di Nardo G., Silenzio e solitudine. L’integrazione della quiete nel trat-tamento terapeutico, 2006, pp. 240

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