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Ideogramma cinese “Ascoltare” CODESIGN ORGANIZZATIVO di G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva potenziamo persone e organizzazioni

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E’ possibile surfare sulla complessità insita in un’impresa, invece che scomporla nelle sue parti? Si può trovare un punto di equilibrio fra interessi aziendali ed esigenze di affermazione e riconoscimento di chi vi lavora? Possiamo coniugare senso della gerarchica e partecipazione nei processi decisionali? La risposta è sì, secondo il codesign organizzativo, un metodo di intervento nelle organizzazioni basato sull’integrazione dei diversi attori interni al sistema azienda. Le pagine che seguono raccolgono le esperienze di Mida nella coprogettazione e delivery partecipata dei processi di business, di sviluppo organizzativo, di management delle risorse umane.

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I d e o g r a m m a c i n e s e “Asco l ta re”

CODESIGN ORGANIZZATIVO di G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

potenziamo persone e organizzazioni

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2 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

Con la linea IDEOGRAMMI Mida si propone di pubblicare le sue ricerche, intese come risultato di studi, pensieri, interpretazioni che gli autori

traggono dalla diretta esperienza sul campo. Ma non solo. I contributi sono anche frutto del desiderio di raccontare l’approccio

peculiare di Mida alla professione attraverso i suoi stessi protagonisti.

CODESIGN ORGANIZZATIVO

Far accadere cose nelle organizzazioni

di Giulia Bussi, Alberto Carpaneto,

Pierpaolo Peretti Griva

E’ possibile surfare sulla complessità insita in un’impresa, invece che scomporla nelle sue parti? Si può trovare un punto di equilibrio fra interessi aziendali ed esigenze di affermazione e riconoscimento di chi vi lavora? Possiamo coniugare senso della gerarchica e partecipazione nei processi decisionali? La risposta è sì, secondo il codesign

organizzativo, un metodo di intervento nelle organizzazioni basato sull’integrazione dei diversi attori interni al sistema azienda. Le pagine che seguono raccolgono le esperienze di Mida nella coprogettazione e delivery partecipata dei processi di business, di sviluppo organizzativo, di management delle risorse umane. L’ideogramma è suddiviso in quattro parti: la prima inquadra la storia e il modello complessivo del codesign, la seconda e la terza entrano nel merito della metodologia, la quarta presenta alcuni casi aziendali emblematici.

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 3

Il codesign organizzativo:

precedenti e presupposti

Uno sguardo al di fuori delle aziende …

Il codesign non si afferma casualmente nelle aziende. Se,

come crediamo, rappresenta una corrente “profonda” della

contemporaneità e una risposta alla complessità crescente

del mondo, i suoi precedenti sono da cercare anche altrove,

al di fuori delle pratiche e teorie di management. Le aziende

hanno recepito e amplificato, a partire dal primo decennio

del 2000, una tendenza trasversale che nel frattempo si era

già manifestata in contesti molto diversi. Ne indichiamo tre,

fra i molti possibili: il design, l’information & communication

technology, le scienze sociali.

Dagli anni ’80 del secolo scorso nel design industriale

emerge la corrente del UCD, User Centered Design, che

teorizza e pratica l’importanza fondamentale di coinvolgere,

nel processo di progettazione di prodotti e beni, l’utilizzatore

cui quei prodotti e beni sono destinati. Si passa da una

filosofia progettuale centrata sulla figura del designer e

sull’industria committente a una partnership fra l’esperienza

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4 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

di chi pensa e crea l’oggetto di design e chi lo acquista e

usa. Si prova a mostrare prototipi di oggetti a gruppi o

singoli utilizzatori (tramite focus group, interviste,

questionari) per raccoglierne reazioni e suggerimenti.

Negli anni ‘90 il design dei servizi imprime un’ulteriore

evoluzione a questo approccio progettuale. Il punto di vista

dell’end-user è considerato in modo nuovo, non in un

ambiente simulato, ma nel contesto sociale e fisico in cui

avviene la transazione cliente-fornitore, come proposto per

esempio in Gran Bretagna da Hilary Cottam1. Attraverso

strumenti di indagine più sofisticati (come l’osservazione

partecipata, lo shadowing e così via) si vuole intercettare

non solo l’esigenza esplicita dell’utente rispetto alle

caratteristiche del servizio, ma i suoi bisogni latenti.

Il mondo dell’ICT è stato antesignano nell’abbracciare

approcci e pratiche di codesign. A partire dal 1980, con il

progressivo decollo del mercato di massa dell’informatica

distribuita, della telefonia mobile, dell’entertainment

elettronico, la usability irrompe nella progettazione software

e hardware con i lavori pionieristici del team Star di Xerox2 e

i contributi innovativi di Jakob Nielsen3. Attualmente lo

sviluppo di applicazioni, pagine web e devices avviene

sempre più in Beta release. Il processo di sviluppo è

compresso e non ultimato, per anticipare la disponibilità sul

1 Cottam H. et alii, RED Paper 02 Transformation Design, London, 2006, Design

Council 2 Smih et alii, “Designing the Star User interface”, Byte, 7 (4), 1982 3 Nielsen J. "Coordinating User Interfaces for Consistency", San Francisco, 1989 e

successive, Morgan Kaufmann Publishers

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mercato della tecnologia, commercializzata appunto in

versione Beta. I successivi aggiornamenti sono il risultato

dell’interazione con la comunità degli utilizzatori, grazie

soprattutto a strumenti di intelligence indiretti (la tracciatura

digitale dei clienti consente di acquisire dati sui percorsi

d’uso, funzioni più scaricate, accessibilità ecc.). L’altro fronte

è costituito dal diffondersi dell’Open source, che supera la

logica proprietaria del software e che conta oggi migliaia di

progetti sviluppati grazie alla collaborazione volontaria di

utenti finali o di programmatori professionali (vedi i casi

molto noti di software come Firefox, VLC o di sistemi

operativi come GNU, Android e Linux).

Nelle scienze umane (in particolare sociologia,

antropologia culturale, scienze del territorio) la riflessione

sulla partecipazione sociale riprende vigore nell’ultimo

decennio del secolo scorso, senza la forte connotazione

ideologica degli anni ‘60-‘70. L’interesse è rivolto ai temi del

cambiamento sociale e delle decisioni pubbliche visti come

processi che nelle società complesse richiedono, oltre al

ruolo istituzionale dello Stato e della sua burocrazia,

l’“inclusione” di altri soggetti: le imprese e le professioni, i

cittadini, l’associazionismo locale. Uno dei contributi più

rilevanti è venuto dall’antropologa italiana Marianella Sclavi.

I suoi studi, noti a livello internazionale4, hanno avuto il

merito di liberare le pratiche di partecipazione pubblica da

4 Vedi per es. Sclavi M., Arte di ascoltare e mondi possibili, Milano, 2003, Bruno

Mondadori

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un’impostazione politica e di fondarle dal punto di vista

metodologico, applicandole ad ambiti molto diversi come lo

sviluppo urbano, la tutela ambientale, la salute pubblica, la

scuola. Si è costituito così un corpus di metodi e tecniche

molto ampio5, che includono dispositivi per l’ascolto del

contesto, strumenti di problem-setting e di dibattito, tools

per la composizione dei conflitti.

Le caratteristiche del codesign organizzativo

In quale formula il codesign ha trovato crescente diffusione

nel contesto delle imprese negli ultimi dieci anni? In base

alla nostra esperienza di consulenti, il “corporate codesign”

si caratterizza per quattro aspetti:

1) è focalizzato sullo sviluppo e cambiamento

organizzativi: è una metodologia allo stesso tempo di

change e project management, efficace in tutte le

situazioni in cui si vuole far evolvere il sistema-azienda,

migliorare le sue performance, fare innovazione. Non

serve il codesign organizzativo se si tratta di preservare

l’efficienza ed efficacia di processo raggiunta, ripetere cicli

standard di lavoro, mantenere a regime l’organizzazione;

2) si basa su una visione sistemica dell’organizzazione,

considerata in particolare come un network strutturato

di stakeholder (costituiti da attori interni ed esterni al

5 Per una panoramica completa in lingua italiana vedi L. Bobbio, A più voci, Napoli,

2004, Edizioni Scientifiche Italiane.

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sistema-azienda) il cui coinvolgimento aumenta l’efficacia

e le probabilità di successo di un progetto. Il principio di

fondo è semplice; un’attività a progetto ricca e articolata

non ha un’ownership unica: è “di proprietà” della

committenza (in genere il management, il vertice

aziendale), di chi lo gestisce (i membri del project team,

le funzioni interne che hanno “voce in capitolo”), ma

appartiene anche ai suoi destinatari interni (chi ne

usufruirà o lo applicherà nell’organizzazione) ed esterni

(fornitori, consulenti, e ovviamente clienti);

3) fa riferimento alla prospettiva dell’open management,

per cui conviene ed è più efficace superare l’approccio

tradizionale di forte controllo gerarchico e tecnocratico

per intercettare la ricchezza di talenti, know-how e valore

potenzialmente presenti in ogni organizzazione. Per fare

ciò, si scala la “piramide dell’engagement”, si attivano

modalità di collaborazione e scambio fra i diversi attori

aziendali di intensità crescente6:

- WATCHING: a questo livello il coinvolgimento è

minimo, le persone sono messe al corrente, informate

di quanto avviene,

- SHARING & COMMENTING: in questo caso si mettono

insieme le conoscenze disponibili e c’è ampio ricorso al

feedback e al contributo critico,

6 Cfr. Charlene Li, Open Leadership, San Francisco 2010, pagg. 58 e segg.

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- PRODUCING: a questo livello il coinvolgimento porta

ad un’ampia delega nel produrre soluzioni e contenuti

da parte delle persone,

- CURATING: la partnership è completa, è normale che

le persone si sentano responsabilizzate rispetto a

obiettivi condivisi e collettivi e si attivino

spontaneamente nel farsi carico delle responsabilità;

4) si applica a una gamma amplissima di contenuti e

questo rappresenta un elemento apprezzato di flessibilità

e plasticità della metodologia. In pratica, come vedremo

più avanti, consente di gestire progetti:

- direttamente collegati al business (sviluppo del

prodotto/servizio, marketing-mix, strategie

commerciali, processo di vendita)

- di macro e micro cambiamento organizzativo (BPR,

revisione di strutture e ruoli, start-up di nuove unità,

fusioni e incorporazioni, sviluppo di sistemi qualità,

controllo di gestione, sicurezza del lavoro)

- focalizzati sul fattore umano (processi di gestione del

personale di ogni tipo, implementazione di nuovi

modelli di leadership, avvicendamento nel

management).

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La metodologia di intervento

Quando e perché scegliere il codesign

Nella nostra esperienza sono tre i casi principali in cui i

vantaggi di questo approccio sono massimizzati, il che non

esclude ulteriori possibilità di applicazione:

1) gestione di progetti in senso stretto (out-put definiti,

timing definito, coordinamento di risorse)

2) eventi aziendali di impatto (workshop, inaugurazioni e

lanci commerciali, iniziative di comunicazione interna)

3) situazioni nuove o di forte discontinuità con il passato

(mutamenti organizzativi rilevanti, fusioni e

incorporazioni, nuovo management, …)

Quali sono invece i vantaggi generati dal codesign, le

ragioni per adottarlo nelle organizzazioni?

Il codesign non è ovviamente una “ricetta organizzativa” di

sicuro successo o una bacchetta magica che risolve tutti i

problemi di un’azienda. I suoi limiti e potenziali rischi sono

intuibili: può non essere coerente con la “velocità” e

l”urgenza” di cui l’azienda ha bisogno (i risultati arrivano ma

non sono immediati, richiedono una costruzione graduale e

per step), può generare più know-how ed esperienza di

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quanta il sistema aziendale riesca a metabolizzare, può far

nascere aspettative da parte delle persone che dopo sono

difficili da soddisfare.

La sua crescente diffusione e attualità deve tuttavia far

riflettere con attenzione sui vantaggi che genera; il codesign

può creare valore per l’azienda e i suoi attori da almeno

quattro punti di vista:

1) genera output di qualità

Quanto realizzato grazie al codesign è spesso originale, di

elevato valore tecnico, accurato e del tutto coerente con le

caratteristiche ed esigenze dell’azienda; il fatto che il

codesign valorizzi e non nasconda la pluralità presente in

ogni organizzazione si traduce in diversità delle fonti di

competenza, ricchezza di informazioni, varietà degli approcci

professionali. L’apertura alla pluralità consente anche di

contenere il rischio di errore, in quanto è un "sistema" con

ampi margini di autoregolazione;

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2) rafforza l’elasticità organizzativa

Oltre a diverse soft skills (team working, problem solving,

lavoro per obiettivi, pianificazione, efficacia comunicativa,

ecc.) viene allenata una capacità oggi fondamentale per le

persone e le organizzazioni: saper lavorare

indifferentemente con un assetto organizzativo strutturato e

di tipo funzionale (quello che serve in tempi correnti) o con

un assetto per progetti (che per natura sono temporanei,

reversibili, meno strutturati, interfunzionali);

3) alimenta la condivisione “calda” della conoscenza

Un effetto spesso indiretto è la diffusione, scambio,

emersione di know-how ed esperienza che, come è noto,

non sono distribuite in modo omogeneo nelle organizzazioni;

in particolare il codesign favorisce la messa in comune della

conoscenza tacita, il sapere e saper fare posseduto dalle

persone e non “ingegnerizzabile”, non formalizzabile con

facilità;

4) agisce positivamente sul clima interno

Un codesign ben fatto porta “aria fresca”

nell’organizzazione, incrementa un bene fondamentale per

un’azienda: la fiducia organizzativa e la voglia di fare; le

persone si sentono veramente stimolate a realizzare

qualcosa, a cooperare, ad affrontare positivamente

situazioni conflittuali; va sottolineato che l’impatto positivo

sul benessere organizzativo si trasmette in genere oltre i

confini del progetto e dell’intervento in quanto “viaggia”

sulle reti informali che legano le persone di un’azienda

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(passa parola, scambi “peer to peer”, socialità nelle pause

del lavoro, …).

Le condizioni di successo

La nostra esperienza suggerisce che quattro fattori

rendono efficace il codesign organizzativo e ne garantiscono

in buona parte il successo:

1. COMMITTENZA PRESENTE E

ATTIVA

2. ASPETTATIVE ESPLICITE DI

RISULTATO

2. VALORE EFFETTIVO DEL

PROGETTO

3. RICONOSCIMENTO DELLE

PERSONE

Ovviamente molti altri aspetti condizionano la riuscita di un

progetto di miglioramento e sviluppo (la qualità delle

persone coinvolte nel project team, il clima interno e la

situazione complessiva dell’azienda, l’interferenza di altri

progetti e priorità aziendali, i carichi di lavoro, ecc.), ma

siamo convinti che quelli indicati possano fare veramente la

differenza.

1) La committenza. E’ fondamentale che l’intervento sia

voluto e sostenuto da un decisore aziendale. A seconda

del livello e complessità del progetto, può trattarsi del

vertice, del manager a capo di una Funzione o Divisione,

del Responsabile di un’unità organizzativa. Il suo ruolo è

fondamentale per dare credibilità all’iniziativa, per

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chiarirne il significato e i vantaggi attesi, per garantire

adeguatezza fra risorse e fini organizzativi. In genere il

committente non partecipa direttamente al lavoro di

progettazione, ma di fatto svolge una funzione

insostituibile durante tutto il codesign. Non si limita a

supportarlo e sostenerlo nella fase di lancio, è presente

nei momenti di monitoraggio intermedio, è accessibile e

disponibile nelle fasi critiche e di fronte alle inevitabili

difficoltà, svolge una funzione centrale quando il lavoro

progettuale termina e si tratta di mettere a frutto gli

output prodotti. Senza sponsorship, il codesign

organizzativo non può che impigliarsi nei mille lacci

organizzativi, perdere slancio, generare poco valore ed

essere dimenticato presto.

2) Il risultato atteso. Non si dedica mai abbastanza tempo

ad esplicitare che cosa si dovrà ottenere con il codesign

organizzativo. Ma aspettative e obiettivi di chi?

Certamente del committente, che ha deciso di varare il

progetto. Ma non solo. Una delle peculiarità del codesign

organizzativo è di conoscere, mappare e integrare i punti

di vista e gli interessi dei diversi soggetti coinvolgibili.

Cosa pensa e che cosa si aspetta la Linea? E i clienti

interni? E gli operativi che gestiranno a valle quanto

progettato? Un intervento di codesign parte infatti, come

sarà chiaro nel prossimo paragrafo, da una fase di

“ascolto e diagnosi organizzativa”. Il suo obiettivo è fare

emergere le aspettative e le percezioni sia a livello più

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“tecnico” e razionale (si tratta di fissare gli indicatori di

risultato o KPI e di formulare i risultati in modo tale che

siano verificabili se non misurabili a fine progetto) sia a

livello più profondo (la “pancia dell’organizzazione”, per lo

più silenziosa, dove alloggiano ansie e frustrazioni,

desideri nascosti e vere motivazioni, conflitti o alleanze,

aspettative di riconoscimento).

3) Il valore del progetto. Il contenuto, il “che cosa”

dell’intervento deve essere realmente nelle corde

dell’azienda, coerente con la strategia in atto, sostenibile

per le strutture e sensato per il tipo di cultura

organizzativa. Ma soprattutto deve essere percepito

dall’organizzazione come effettivamente dotato di

importanza, come la risposta a una sfida, come la

soluzione a un problema rilevante. A questo proposito in

genere riscontriamo come consulenti tre situazioni

diverse. Il primo caso è quello più semplice: l’azienda ha

circoscritto il progetto, che è frutto di un’analisi interna e

che ha le caratteristiche di senso e valore che sopra

ricordavamo. Più frequente è il secondo caso, in cui c’è

un progetto da sviluppare, ma non è chiaro a quale

problema o opportunità voglia rispondere; il lavoro di

project-setting preliminare porta allora a chiarire o

modificare sostanzialmente il progetto proprio perché lo

“sfondo organizzativo” (l’insieme di esigenze dei vari

portatori di interessi) alla fine risulta essere stridente con

quella iniziativa. Infine, non è raro il terzo caso: lo sfondo

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è ben chiaro, cioè c’è consapevolezza di quali sono le

necessità aziendali, ma non è messa a fuoco la figura in

primo piano: fuor di metafora, non si sa quale progetto

attivare oppure ne esistono diversi fra loro concorrenti.

4) Il valore riconosciuto alle persone. E’ tanto

importante “dare valore” al progetto quanto “potenziare”

le persone. Un codesign ben riuscito genera

empowerment nei protagonisti. Non serve

necessariamente lavorare sulla motivazione estrinseca

(dare incentivi retributivi, offrire status e carriera,

celebrare i successi) ma su quella intrinseca, come ha

messo molto bene in luce Daniel Pink7, identificando tre

leve motivazionali.

La soddisfazione e l’engagement si liberano se le persone

possono esercitare discrezionalità e scegliere

(autonomia), se sono nelle condizioni di affermare e

affinare le proprie competenze (senso di padronanza) e

se hanno la possibilità di elaborare il senso e il valore del

proprio compito (scopo).

7 Pink Daniel, Drive. La sorprendente verità su ciò che ci motiva nel lavoro e nella vita,

Milano 2011, Etas Libri.

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Il ruolo della consulenza

Una breve considerazione sul contributo della consulenza

negli interventi di codesign organizzativo. Noi non siamo

quasi mai gli “esperti” del mercato in cui opera l’azienda

cliente, dei suoi processi e prodotti. Il cliente ne sa molto di

più! I veri esperti sono dunque all’interno

dell’organizzazione. La consulenza, da questo punto di vista,

non si sostituisce al cliente nel prendere decisioni tecniche,

nel risolvere problemi progettuali, nel mettere in atto piani

di azione. Detto in altre parole, nell’organizzazione ci sono le

risposte e le risorse per affrontare la sfida che si è data,

un’impresa è in grado di risolvere i problemi che incontra o

che essa stessa genera. La consulenza svolge una funzione

complementare, mettendo a disposizione un altro tipo di

competenza, non di contenuto ma di metodo:

- sa gestire il processo “sociale” alla base del codesign

- ha un “occhio esterno” e allenato all’analisi e al feedback

- è in grado di supportare l’azienda nello sciogliere nodi,

superare momenti di impasse, comporre conflitti

- è esperta nel costruire dispositivi e contesti per

l’apprendimento

- aiuta a presidiare tempi, carichi di lavoro, a coordinare

risorse.

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 17

Le fasi del processo di codesign

Ciascun progetto di codesign è un’esperienza a sé e non

segue un copione già scritto. Esiste comunque una sequenza

standard di fasi e modalità consolidate di intervento, che

possono adattarsi a progetti molto semplici e brevi o a

progetti di alta complessità e lunga durata. Qui presentiamo

una versione completa di codesign, che si può adattare

facilmente ad applicazioni più snelle.

1. DISEGNO DEL PROGETTO

Il codesign ha una fase preparatoria, che non è

“esterna” al progetto, ma è già essa stessa

codesign. Fin dall’inizio emergono alcune chiare

differenze rispetto ad altri approcci, che

riguardano non tanto il “cosa” (l’impostazione del

progetto), ma il “come” (le modalità coprogettuali

di lavoro).

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Gli obiettivi della Fase 1 sono in genere questi:

- identificare il ruolo e il contributo delle risorse coinvolte

(committenza interna, protagonisti diretti del progetto,

risorse in appoggio esterno e clienti interni, management

di linea e funzioni aziendali, …)

- coinvolgere questi soggetti, chiamandoli da subito a

disegnare il progetto fin dai suoi passi iniziali

- accertare la fattibilità del progetto (su quali contenuti,

output prodotti e risultati attesi, compatibilità con altri

investimenti e carichi di lavoro).

Le metodologie impiegabili possono essere …

- Ascolto organizzativo tramite 360°

(tecnica di raccolta qualitativa di informazioni e percezioni

utile per fotografare lo status quo aziendale tramite

interviste individuali e di gruppo a soggetti diversificati,

approccio che consente di ricostruire la “rappresentazione

che l’azienda ha di se stessa” in modo plurale e

policentrico)

- Open Space Tecnology

(metodologia di interazione e discussione pubblica ideata

da Harrison Owen, particolarmente adatta quando il

progetto non ha ancora un oggetto definito e le opzioni di

contenuto sono varie; consente la partecipazione di un

numero ampio di persone, da poche decine a diverse

centinaia)

- Town meeting e altri dispositivi deliberativi (incontri in

plenaria a tema con la partecipazione fisica dei vari

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 19

soggetti coinvolti nel progetto, in analogia al suo utilizzo

storico come forma di democrazia deliberativa in USA,

che consente non tanto l’analisi di dettaglio del progetto,

ma la sua presentazione e la decisione in merito ad

aspetti rilevanti e strategici; una versione tecnologica del

TM, l’Electronic voting system, consente di votare in

diretta attraverso un software e un semplice telecomando

individuale collegato in rete wifi).

Le attività tipiche della Fase 1 sono:

1. selezione del progetto fra i diversi possibili

2. costituzione dello Steering committee (il team che

esprime la committenza dell’intervento) ed

eventualmente del Project team (se si ritiene utile avere

un gruppo di coordinamento operativo)

3. benchmark con altri progetti aziendali di change

management (le lezioni apprese)

4. scelta dei partecipanti del team di lavoro che gestirà

operativamente il progetto (in base alle dimensioni

dell’intervento possono essere ovviamente anche più di

uno).

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20 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

2. LANCIO INTERNO

Molto spesso si avverte la necessità di comunicare

il “calcio di inizio” del progetto all’interno

dell’azienda. Anche in questo caso la

comunicazione non è qualcosa di separato dal

resto del progetto, non è il puro trasferimento di

un contenuto informativo, ma è un’altra modalità

per fare codesign, che arricchisce, modifica,

sviluppa l’intervento.

Gli obiettivi della Fase 2 possono essere:

- celebrare l’avvio del progetto con i suoi protagonisti

rinforzando l’importanza e l’engagement

- precisare il master plan dell’intervento (output attesi,

tempi, ruoli interni, risorse e budget)

- raccogliere feedback dal resto dell’azienda.

Le metodologie più frequentemente utilizzate in questa

Fase sono …

- Brown Paper (metodo di coprogettazione e generazione di

idee in team di origine anglosassone che consente di

visualizzare graficamente il contenuto dell’intervento su

foglioni precisandone con un lavoro partecipato il flusso di

fasi, oppure la risk analysis, l’albero operativo dei

contenuti, la lista e pesatura degli obiettivi)

- Straight forward o altri dispositivi di project planning (il

primo è un processo che consente di sviluppare un

progetto attraverso 4 passaggi: analisi dei dati di

partenza, gallery of ideas con presentazione di

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 21

ipotesi/soluzioni, matrice payoff costi/benefici per

selezionare le ipotesi migliori, piano di azione per passare

all’operatività)

- Forum e altri dispositivi web 2.0 (i forum sono in genere

ambienti digitali di confronto e scambio informali cui sono

abilitati pubblici specifici, che possono anche coincidere

con tutto il personale di un’azienda o limitarsi ai

partecipanti al progetto; sono più efficaci, informano più

velocemente e sono meno gerarchizzati rispetto a

modalità più tradizionali come newsletter, email, giornali

aziendali).

Le attività tipiche della Fase 2 sono in genere:

1. meeting di lancio con i partecipanti e/o le diverse figure

coinvolte nell’intervento di codesign

2. meeting di lavoro per il project management di dettaglio

3. avvio e successiva gestione degli strumenti di

comunicazione interna.

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3. TEAM WORKING

Una volta che il progetto è stato avviato, è

inevitabile dotarsi di modalità di lavoro più snelle,

affidando la parte operativa con ampia delega a

uno o più project team. Questa fase risponde in

pieno allo spirito del codesign, perché si svolge

secondo due modalità tipiche:

a) ogni team di progetto è un’entità a sé stante e

autonoma, ma è al centro di una “rete”

organizzativa (la committenza, le funzioni

aziendali coinvolte, il project team, …) che

all’occorrenza fornisce supporto, mette a

disposizione risorse, sponsorizza internamente

l’iniziativa; ciò non accade per caso, è il

risultato di tutta l’attività di sviluppo in

codesign descritta nelle Fasi 1-2 e che ora

dimostra tutta la sua utilità pratica;

b) ogni team di lavoro è pienamente

responsabilizzato rispetto agli obiettivi, riceve

la delega più ampia possibile rispetto alla

cultura dell’azienda e alla seniority dei suoi

membri: in un contesto del genere è difficile

resistere alla voglia di fare bene, di mettersi in

gioco, di contribuire …

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 23

Gli obiettivi della Fase 3 sono per lo più i seguenti:

- arrivare al miglior output progettuale grazie a un team

eterogeneo per professionalità e ruoli

- favorire un’esperienza stimolante di cooperazione fra i

suoi membri

- offrire un’occasione di apprendimento sul campo

intensiva, mirata e multi-tasking (su molte capacità e

molti contenuti tecnici).

La metodologia più frequentemente impiegata è il Project

system learning, una forma di action learning in gruppo

sviluppata da Mida negli ultimi anni, che utilizza i progetti

aziendali per generare apprendimento rendendo esplicite e

consolidando le competenze allenate (gestionali e

organizzative, di relazione e comunicazione, di innovazione e

pensiero strategico). Centrale è l’esplicitazione e

condivisione del duplice all’obiettivo del team-working:

quello di lavoro (l’output), e quello di apprendimento (lo

sviluppo di competenze). Il ruolo del consulente che

partecipa al lavoro del team non è sostitutivo, ma di

supporto attraverso:

- feed-back in diretta in base all’osservazione dal vivo

- momenti specifici di analisi dei “passi avanti” fatti a livello

individuale e di gruppo

- brevi pillole formative su metodi e tecniche di

management o di comportamento organizzativo.

Le attività tipiche di questa Fase 3 sono:

1. sessioni di lavoro in team facilitati dal coach

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24 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

2. sessioni di lavoro svolte dal team

3. momenti di formazione on the job e consolidamento degli

apprendimenti con il coach

4. incontri di SAL (Stato Avanzamento Lavori) con la

committenza.

4. DIFFUSIONE DEI RISULTATI

Capitalizzare quanto fatto, utilizzarne gli output,

diffondere l’esperienza e il know how accumulato

sono scelte normali quando un progetto aziendale

ha successo. Il codesign offre anche in questo

caso alcune modalità per far sì che questo accada.

Gli obiettivi della Fase 4 sono in genere legati a:

- fare un bilancio del progetto (output prodotto e

apprendimento generato)

- modellizzare l’esperienza per renderla applicabile ad altro

- riconoscere il merito di chi ha contributo al successo.

Le metodologie impiegabili variano in base agli obiettivi …

- Audit dei risultati

(L’approccio completo prevede:

1) la valutazione tecnica e di contenuto del progetto con

la committenza

2) la valutazione sullo sviluppo delle competenze

individuali, affidata non al processo standard di

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 25

performance evaluation, ma ad alcune interviste con i

responsabili diretti delle persone coinvolte a distanza di

2-3 mesi

3) la valutazione di gradimento condotta con i

partecipanti durante una seduta finale di lavoro del

team di progetto con la consulenza)

- Knowledge Management “caldo” (strumenti che

consentono di memorizzare, rendere disponibile e

diffondere l’esperienza viva del progetto con l’uso di

linguaggi e mezzi evocativi e allo stesso tempo ricchi di

contenuto: contributi video con brevi interviste ai

protagonisti, diario di bordo redatto dagli stessi

partecipanti, book di progetto, …)

- Workshop a tema (un progetto di codesign si presta

particolarmente a un momento di celebrazione finale e

di comunicazione attraverso una giornata conclusiva con

la partecipazione di chi spesso ha lavorato molto e bene

per portarlo a termine).

Le attività tipiche di questa Fase sono:

1. presentazione e restituzione alla committenza dei

progetti sviluppati dai team e loro validazione

2. momento di lavoro conclusivo con il team in cui si

analizza l’esperienza fatta

3. analisi di quanto appreso in termini di metodo con la

Direzione Risorse, il Project Team

4. messa a disposizione dei documenti di progetto

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5. verifiche a distanza di qualche mese con la linea (feed-

back sul miglioramento della prestazione e sullo

sviluppo di maggiore competenza).

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 27

Storie di codesign

Raccogliamo, tra le diverse esperienze

consulenziali di codesign, tre interventi

emblematici per l ’uso della metodologia e per i

temi affrontati.

Il primo caso riguarda un’azienda di servizi alle

prese con lo sviluppo del proprio business.

Il secondo caso descrive un intervento di

miglioramento organizzativo in un’azienda della

grande distribuzione.

Il terzo esempio ha per protagonista una public

utility del settore elettrico che ripensa il sistema

aziendale di valutazione delle performance.

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1ª storia - Creatività e innovazione per lo sviluppo del

business …

Un’azienda del settore media operante su più canali (carta,

voce e internet), dopo anni di crescita e di leadership nel

proprio settore, si trovava in un momento di rallentamento

del business, ormai maturo, e di contrazione delle quote di

mercato ad opera di nuovi player internazionali.

In questo scenario diventava vitale trovare nuove soluzioni

per presidiare le quote di mercato e stimolare l’espansione

del business. Di qui la richiesta a Mida di un supporto in

questo processo di cambiamento e innovazione.

Fin da subito sembrò evidente che il primo passo era capire

bene la situazione di mercato per poi costruire una nuova

vision, ideare la strategia di crescita e quindi implementarla.

Con il Board decidemmo di non procedere con un approccio

top-down, ma di attivare un processo di co-design creando

un management team formato dalla Direzione Generale, dai

manager delle Business Units e dai manager delle varie

funzioni di staff, per un totale di 12 persone.

L’obiettivo era quello di garantire una maggiore attivazione

dei manager nel processo, una riduzione delle resistenze al

cambiamento e una forte valorizzazione di idee e

competenze già presenti in azienda. Da qui il ricorso al co-

design proprio per realizzare un cambiamento evolutivo e

non traumatico, fonte di engagement per le persone e

guidato da una leadership coerente ed empowerizzante.

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 29

Il progetto si sviluppò nell’arco di un anno circa di lavoro,

attraverso alcune tappe.

Partimmo con un workshop residenziale per la costituzione

del management team: 2 giorni “outdoor” per conoscersi più

approfonditamente, sviluppare fiducia reciproca e coesione,

facilitare l’esplicitazione delle percezioni e delle attese

reciproche tra i vari membri del team e soprattutto definire

insieme “le regole dello spogliatoio”, cioè quelle regole di

comportamento relazionale che garantiscono il buon

funzionamento del team.

Dopo un mese di rodaggio, in cui il gruppo si impegnò nella

sperimentazione del nuovo assetto in riunioni reali on the

job con la supervisione della consulenza, lanciammo un

secondo workshop su creatività e business.

In tre giornate, dopo aver condiviso dati di mercato, trend

aziendali e scenari di business, il focus si spostò sulle

persone, lavorando sulla consapevolezza e sul

potenziamento delle risorse creative dei vari membri del

team. Queste “risorse generative” vennero canalizzate nella

produzione di una vision e di una strategia condivisa,

integrando elementi di desiderio individuale con le

opportunità offerte dal contesto di mercato. Infine, si arrivò

a individuare alcune business-idea per portare l’azienda alla

realizzazione di vision e strategia.

Fra le tante idee prodotte, le più promettenti vennero

declinate in progetti da implementare nelle varie funzioni.

Tre in particolare vennero scelti dal gruppo come progetti

strategici, affidandoli a tre sottogruppi multifunzionali:

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30 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

1. l’individuazione di KPI cruciali per misurare e gestire un

business ad alto potenziale di sviluppo e la loro

implementazione in un “cruscotto” informatizzato di

business intelligence;

2. la messa in efficienza di alcune aree di business per

raggiungere tutti gli SLA di servizio e i target di

riduzione costi;

3. la creazione di una nuova linea di business che

valorizzasse alcune competenze di eccellenza presenti in

azienda nell’area dei servizi web.

La scelta fu fatta non solo in base al presunto impatto dei

progetti sul business, ma anche sulla valenza che ciascun

progetto aveva come opportunità formativa “on the job”,

utilizzando la metodologia del Project System Learning

(PSL).

Il PSL è una metodologia formativa ideata da Mida nel solco

dell’action learning, che facilita i progetti reali di sviluppo

aziendale (Project), li trasforma in occasioni per generare

apprendimento individuale e di gruppo (Learning), grazie ai

vari attori coinvolti nel sistema (System). Il progetto diventa

quindi una “palestra quotidiana” per sviluppare sul campo

un’ampia gamma di apprendimenti in modo molto più

concreto di quanto si potrebbe fare in percorsi d’aula

tradizionali. In questo modo si allenano dalle competenze

tecnico-specialistiche alle capacità manageriali (ad es.

project management, goal setting, cost & risk analisis,

visioning, strategia), dalle soft skills (come ascolto,

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 31

comunicazione persuasiva, teamworking, leadership, ecc.)

alle metacapacità (iniziativa, dealing with ambiguity,

resilienza, pensiero positivo) e soprattutto self-efficacy.

In questo caso specifico il PSL si articolò in:

- incontri di team coaching per ogni sottogruppo,

osservati e facilitati dal consulente (circa 6 incontri a

sottogruppo)

- sessioni plenarie, con tutto il gruppo al completo, con

presentazione dello stato di avanzamento del progetto

(SAL) e raccolta di feedback da parte dei partecipanti

agli altri team (4 incontri)

- sessioni di presentazione del SAL alla Direzione con

raccolta di feedback (3 incontri)

- un evento finale di celebrazione dei risultati conseguiti e

di chiusura dei progetti.

Basandoci sulla valutazione di progetto effettuata a valle

dell’esperienza, possiamo concludere che questa storia è un

caso di successo. Tutti e tre i progetti scelti furono portati a

termine positivamente. I partecipanti si dichiararono molto

soddisfatti del percorso, valutandolo come una ricca

esperienza di sviluppo personale e professionale in cui:

- si sono confrontati sulle diverse implicazioni del

cambiamento in atto in azienda,

- hanno trovato convergenze strategiche su intendimenti,

significati, rappresentazioni e snodi operativi cruciali,

- sono diventati più consapevoli delle proprie risorse e

delle competenze utilizzate,

- hanno sviluppato maggiore motivazione e engagement.

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32 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

Infine, dopo un momento di perplessità iniziale su

metodologie maieutiche pull-based come quella del PSL e

del co-design (che non danno “risposte consulenziali”, ma

stimolano ciascuno a trovare le proprie), riconobbero che

questo approccio aveva permesso loro di individuare,

scambiarsi e diffondere buone pratiche, aiutandoli a

progettare il loro futuro da protagonisti.

2ª storia - Una nuova figura organizzativa e altri

cambiamenti …

Un’azienda della grande distribuzione organizzata italiana

stava vivendo con fatica, al pari dei suoi competitors, la

crisi finanziaria in corso dal 2008. Le iniziative di marketing,

commerciali, di comunicazione messe in atto potevano solo

“tappare” qualche falla, in un contesto caratterizzato dalla

diminuzione del potere di acquisto delle famiglie e dalla

feroce competizione sui prezzi. L’azienda non voleva

ricorrere a strumenti quali riduzioni del personale o pesanti

ristrutturazioni: non erano nella sua cultura e non li

riteneva funzionali. Continuava invece a investire in

formazione e sviluppo.

Inizialmente Mida venne coinvolta nella realizzazione di un

progetto formativo dedicato a sensibilizzare la prima linea

degli ipermercati sull’importanza di agire con orientamento

alla clientela e in modo allineato con l’azienda, valorizzando

le nuove iniziative commerciali messe in campo e curando la

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 33

relazione nei confronti dei collaboratori (far passare i

messaggi aziendali, sostenerli rispetto ai problemi,

affiancarli in una logica di miglioramento …).

Durante gli incontri di progettazione proponemmo

all’azienda di coinvolgere i primi livelli delle varie strutture

commerciali - il gruppo di regia dei grandi ipermercati della

catena - in un ripensamento dei suoi processi interni,

trasformando il momento formativo in un laboratorio che

coinvolgesse direzione-consulenti-dipendenti. Chi meglio

della prima linea dei grandi ipermercati poteva conoscere il

processo commerciale e immaginare gli interventi

migliorativi per renderlo più efficace in un momento così

difficile?

Il progetto si trasformò così in una iniziativa di formazione-

intervento, all’interno della quale co-progettare soluzioni

organizzative e gestionali per migliorare i risultati

nell’ambito del ciclo del servizio. I passi seguiti furono i

seguenti.

1. Rilevazione del ciclo del servizio commerciale così come

era, attraverso un’intervista a due responsabili chiave

dell’azienda.

2. Validazione del ciclo del servizio con il Direttore del primo

ipermercato coinvolto nell’iniziativa (il “pilota”).

3. Realizzazione del Laboratorio: due giornate intere,

impegnate a lavorare con tutta la prima linea

dell’ipermercato, suddividendo il processo in fasi e

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chiedendo a sottogruppi di lavoro di concentrarsi su “pezzi

del processo” per individuare le cose che funzionano, le aree

di criticità, le migliorie da proporre. I capi reparto

dell’ipermercato erano i protagonisti, i principali contributori

delle proposte, accompagnati dai Capi Settore, che

svolgevano la funzione di membri esperti, e dai consulenti

con il ruolo di facilitatori. Le proposte erano elaborate a

partire dalla raccolta di idee individuali (su post-it), ordinate

in cluster e poi sviluppate attraverso il lavoro creativo e

propositivo nei gruppi.

4. Discussione e validazione da parte del Direttore

dell’ipermercato delle proposte dei gruppi di lavori, con il

supporto del Responsabile della Formazione dell’azienda e

della consulenza, in modo che le “buone idee” non si

perdessero nella fatica dell’elaborazione e della

socializzazione.

5. Lancio di gruppi di lavoro a seguito del Laboratorio che

presero in carico i temi di miglioramento organizzativo e

gestionale identificati e li elaborarono ulteriormente in

proposte più strutturate, da sottoporre alla Direzione

aziendale.

Il progetto così disegnato, dopo il pilota, fu confermato

dall’azienda e replicato in tutti gli ipermercati della catena

commerciale su base regionale (in Lombardia).

I vantaggi dell’iniziativa di codesign furono diversi:

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 35

1. miglioramento del clima interno, nelle relazioni tra le

diverse figure professionali coinvolte;

2. maggiore consapevolezza del fatto che i risultati

commerciali sono frutto del contributo di tutti (contributo

di lavoro e di idee), con un aumento di iniziativa e

responsabilità;

3. concrete proposte organizzative, che hanno portato a

cambiamenti nel processo di vendita; man mano che si

andava avanti con i Laboratori nei diversi ipermercati,

venivano messe in evidenza aree problematiche simili e

questo - insieme a una buona strutturazione del lavoro -

ha dato grande forza (anche statistica) alle proposte di

miglioramento, trasformandole in progetti operativi

praticabili.

Alcuni esempi di cambiamenti attivati:

- introduzione di un nuovo ruolo organizzativo, il

“responsabile di chiusura”; questo ruolo, che prima non

esisteva, fu individuato - a seguito della co-progettazione

fatta nei gruppi di lavoro - per ovviare a una serie di

problematiche connesse alla tenuta dell’ipermercato nelle

ore immediatamente precedenti la chiusura;

- progettazione e realizzazione delle riunioni di reparto: un

cambiamento gestionale, ma la cui realizzazione ha

comportato un intervento nella gestione dell’orario di

lavoro per trovare delle "finestre di orario" nelle quali la

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36 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

squadra che presidia l’iper la mattina e quella che lo

presidia nel pomeriggio potessero incontrarsi.

In conclusione l’approccio del codesign, che punta sul valore

della collaborazione e valorizza le competenze dei diversi

attori coinvolti, ha portato risultati in un campo specialistico

(quello della progettazione organizzativa), considerati molto

interessanti dalla Direzione dell’azienda e del tutto inattesi

prima che cominciasse l’esperienza.

3ª storia - Un nuovo modello di prestazione per la

gestione delle persone ...

Che l’azienda stesse cambiando da alcuni anni era sotto gli

occhi di tutti: cambiava in conseguenza della maggiore

apertura del mercato elettrico (non più un oligopolio, ma

sempre più produttori, broker, player internazionali …),

dello sviluppo tecnologico (nel risparmio energetico, nella

sicurezza elettrica, nelle fonti alternative di produzione), del

quadro normativo in evoluzione.

Il cambiamento richiedeva, fra l’altro, alcune innovazioni

nella gestione delle risorse umane: i ruoli manageriali si

dovevano trasformare (più orientamento al business, più

capacità di gestire i costi e difendere il margine, più visione

di insieme e sguardo strategico); il modello di prestazione

lavorativa per tutti doveva evolvere (eccellenza aveva

significato da sempre un lavoro “fatto al meglio dal punto di

vista tecnico”; ora era necessario integrarvi alcuni fattori

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 37

soft di prestazione come orientamento al cliente, messa in

comune del know-how, proattività a tutti i livelli).

Al vertice aziendale era chiaro che parallelamente bisognava

ripensare le politiche e i processi di gestione delle persone,

modellati fino ad allora su un’azienda di tipo tradizionale

(forte enfasi sulle funzioni e meno sui processi, controllo dal

centro, orientamento alle procedure, ecc.) che gradualmente

avrebbero lasciato il posto a un’altra organizzazione. Dopo

alcune analisi, la scelta cadde sul sistema di valutazione

delle prestazioni che, se innovato, poteva diventare lo snodo

e l’occasione per un modo più avanzato di fare gestione

delle risorse umane, coerente con l’esigenza di cambiamento

strategico dell’azienda.

Alla consulenza fu chiesto di predisporre un progetto classico

di rifacimento degli strumenti e logiche del sistema di

performance management insieme a chi lo amministrava (il

Servizio del Personale), collegandolo agli altri processi HR

esistenti (formazione, sviluppo di carriera, rewarding).

Noi facemmo una proposta un po’ diversa: far progettare il

nuovo sistema ai valutatori, i circa 40 responsabili di unità

organizzative presenti in azienda in base a un nuovo

modello di prestazione lavorativa. L’idea fu adottata dal

vertice aziendale e in breve tempo furono costituiti uno

steering commitee (il Comitato di Direzione), un presidio per

il coordinamento del progetto (formato dagli specialisti HR e

dai consulenti), alcuni team di progetto formati da tutti

(tutti!) i valutatori.

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38 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

Il progetto si sviluppò nell’arco di 9 mesi con alcuni passaggi

fondamentali:

1) la survey con tutti i valutatori e, in un momento distinto,

con un campione di collaboratori, da cui è emersa la loro

percezione e il livello di soddisfazione rispetto al sistema

valutativo in uso;

2) la definizione di un’ipotesi di massima di lavoro: un

sistema valutativo basato su poche competenze tecniche

e comportamentali core, non eguali per tutti ma

differenziate per famiglie professionali, e collegato in

modo inedito al sistema retributivo con il riconoscimento

di una componente variabile individuale;

3) l’impegno dei tre principali attori a sostenerla e realizzarla

(vertice aziendale, capi e Funzione HR), con una

negoziazione incrociata e rivisitazione del progetto, che

ha incluso la discussione dell’intervento anche con le

OO.SS.;

4) il laboratorio in cui i responsabili hanno progettato

interamente il sistema, costituito dal modello di

prestazione attesa (formalizzata in una nuova scheda di

valutazione), lo sviluppo del repertorio di competenze

(l’insieme di know how tecnico e manageriale posseduto

dall’azienda e richiesto alle persone), il processo

operativo (con diverse novità sul ruolo della Funzione HR,

il livello di coinvolgimento dei collaboratori, round table

fra valutatori, ecc.) con circa 16 ore di lavoro per ogni

gruppo;

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 39

5) il piano di comunicazione interna destinato a tutto il

personale aziendale e concretizzatosi in un “road show” di

presentazione e discussione del nuovo sistema presso

tutte le sedi di lavoro e nella stesura di una guida

operativa di supporto alla valutazione distribuita a tutta

l’azienda;

6) la formazione d’aula intensiva per tutti i valutatori,

soprattutto sugli aspetti meno toccati in fase di

progettazione: rapporto con il collaboratore, gestione del

colloquio, uso della valutazione per tutte le successive

attività di sviluppo delle persone.

Che cosa si è ottenuto con questo intervento di co-design?

- Un cambio di rotta nel concepire le attese di prestazione:

l’introduzione di pochi e chiari fattori di capacità adottati

e discussi, insieme alla salvaguardia del grande

patrimonio di know-how dell’azienda attraverso le schede

di valutazione differenziate per famiglia professionale.

- Un forte investimento sul management intermedio (i

valutatori), che ha ripensato il proprio ruolo e il modello

di leadership, ha praticato in modo nuovo la gestione

delle risorse umane (prima considerata di fatto un

“affare” del Servizio Personale), ha generato

spontaneamente una “community” capace di maggiore

legame e propositività.

- La percezione chiara che con il codesign “Si può fare!”.

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40 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

Giulia Bussi Mi occupo di formazione finalizzata allo sviluppo di

comportamenti organizzativi funzionali al

raggiungimento degli obiettivi aziendali, di

consulenza di accompagnamento al cambiamento e

di coaching.

In particolare ho approfondito i temi legati alla messa in pratica

efficace del ruolo nel contesto lavorativo, al coordinamento di

persone e gruppi, alla identificazione e assegnazione di obiettivi,

alla valutazione di risultati e al problem solving. Nell’ambito della

consulenza, lavoro su progetti di cambiamento strategico delle

aziende, attraverso il modellamento di esperienze di successo e

l’individuazione dei principi di funzionamento e dell’identità

organizzativa delle imprese. Mi sono occupata, per alcuni anni, del

mercato della Pubblica Amministrazione Locale e sono intervenuta

a numerosi convegni pubblici e aziendali sui temi della qualità della

formazione.

[email protected]

Alberto Carpaneto Mi occupo di management delle persone dal 1990,

attraverso un percorso personale e professionale in

cui si sono intrecciati: l’interesse per le “humanities”

(ho una laurea in filosofia con lode), l’esperienza

quadriennale in azienda (ho lavorato nell’area del personale di una

banca italiana e di una multinazionale) e la formazione psicologica

individuale e di gruppo. Per me fare consulenza significa fare

innovazione: è un’attività sul campo, in cui do e ricevo molto nei

progetti realizzati con i clienti, ed è un’attività parallela di studio e

ricerca, che realizzo da alcuni anni con il Dipartimento di Psicologia

dell’Università di Torino e il Dipartimento di Ingegneria gestionale

del Politecnico di Torino. Oggi affianco all’attività professionale la

direzione di Human+, fondazione di ricerca che promuove iniziative

nell’ambito della gestione delle persone e dello sviluppo

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Mida spa – Codesign organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva 41

organizzativo. I miei campi di intervento consulenziale sono: le

strategie HR, il management della formazione, la valutazione della

performance, i sistemi premianti e la gestione della carriera, il

knowledge management, l’ascolto organizzativo. Ho maturato una

buona esperienza nella gestione dei cambiamenti complessi, in cui

è determinante integrare gli aspetti “hard” (metodologie, project

management, ICT) con la parte “soft” (comunicazione, ascolto e

coinvolgimento). [email protected]

Pierpaolo Peretti Griva

Coach, formatore, consulente senior. In Mida dal

2001.

Dottore di ricerca in Scienze Cognitive e counsellor

certificato in Analisi Transazionale. Accanto

all’attività di ricerca presso il Centro di Scienza Cognitiva

dell’Università di Torino, dal 1993 realizzo progetti di formazione

nell’ambito del comportamento organizzativo e progetti di

consulenza per la gestione e lo sviluppo delle risorse umane. Ho

sviluppato particolare passione e competenza per l’ambito della

Self-efficacy, e più in generale della Positive Psychology, applicate

all’interno dei loro contesti lavorativi. Per il mio benessere suono

musica elettronica e ho realizzato dischi e colonne sonore di film.

Dal 2005 insegno al Master in Psicologia dello Sport presso la

S.U.I.S.M.- Università di Torino e sono responsabile scientifico

dell’area comunicazione della Juventus University. Sono coautore

del libro L’Analisi Transazionale e la formazione degli adulti, F.

Angeli 2003, e autore di articoli nell’ambito della psicologia

sperimentale e della psicologia applicata ai contesti lavorativi. [email protected]

Codesign Organizzativo by G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti

Griva is licensed under a Creative Commons 2.5 Italia

License, 2012

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42 Mida spa – Codesign Organizzativo, G.Bussi, A.Carpaneto, P.Peretti Griva

Mida SpA Via Antonio da Recanate, 1

20124 Milano - Italy Tel. 026691845 - Fax 026697220 www.mida.biz – [email protected]

In copertina

L'ideogramma cinese di “ascoltare” è composto da diversi elementi:

l’orecchio naturalmente, ma anche l’occhio per vedere il tu inteso come altro da sé, infiine il cuore indica la qualità e la profondità del vedere e del

sentire, il tutto vissuto in termini di unitarierà degli elementi. In sintesi il verbo ascoltare è rappresentato dall’idea-immagine che sia

sentire e vedere l’altro con il cuore.