mobilitÀ traffico e sicurezza stradale adottano processi costruttivi e di gestione caratterizzati...

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3 ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI XXX GIORNATA DELLAMBIENTE MOBILITÀ, TRAFFICO E SICUREZZA STRADALE 17 OTTOBRE 2012 R I A S S U N T I R O M A Palazzina dell’Auditorio - Via della Lungara, 230

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ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI

XXX GIORNATA DELL’AMBIENTE

MOBILITÀ, TRAFFICO E SICUREZZA STRADALE 17 OTTOBRE 2012

R I A S S U N T I

R O M A Palazzina dell’Auditorio - Via della Lungara, 230

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XXX GIORNATA DELL’AMBIENTE

CONVEGNO

MOBILITÀ, TRAFFICO E SICUREZZA STRADALE 17 OTTOBRE 2012

PROGRAMMA

Comitato ordinatore: Enrico ALLEVA, Michele CAPUTO, Sergio CARRÀ, Giorgio FIOCCO †, Antonio GOLINI, Alberto QUADRIO CURZIO, Giovanni SEMINARA (coordinatore)

9.45 Saluto della Presidenza dell’Accademia dei Lincei

10.00 Michele CAPUTO (Accademia dei Lincei), Apertura dei lavori 10.15 Giovanni SERPELLONI (Presidenza del Consiglio dei Ministri): Aspetti neuroscientifici in relazione alla

guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti 10.45 Alberto COLORNI (Politecnico di Milano): Ripensare la mobilità nello spazio urbano 11.15 Lorenzo DOMENICHINI (Università di Firenze): Normativa e infrastrutture 11.45 Intervallo 12.00 Massimo GAIDO (Centro ricerche Fiat di Torino): Tecnologia dei veicoli e prevenzione 12.30 Paolo GARONNA (ANIA, Roma): Costi e benefici socio- economici della mobilità e della sicurezza stradale 13.00 Discussione

14.30 Giuseppe GESANO (CNR-IRPSS, Roma): Sostenibilità ambientale del trasporto su strada 15.00 Franco TAGGI (ISS, Roma): È davvero possibile prevenire gli incidenti stradali? 15.30 Discussione

COMUNICAZIONI

16.00 Loretta GRATANI, Laura VARONE (Sapienza Università di Roma): Variazione della concentrazione atmosferica di CO2 a Roma in relazione al traffico autoveicolare e il ruolo dei parchi urbani nel miglioramento della qualità dell’aria Giuseppe Giulio CALABRESE (CNR-CERIS, Moncalieri): Traiettorie tecnologiche e mobilità sostenibile nel settore automotive Natalia DE LUCA, Glauco DI GENOVA, Giovanni PITARI (Università dell’Aquila): Impatto su atmosfera e clima del traffico stradale: possibili strategie di mitigazione Marco SCHIAVON (Fondazione Trentina per la Ricerca sui Tumori, Trento), Marco RAGAZZI, Elena Cristina RADA (Università di Trento): Esposizione a benzene e stazioni di servizio Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre): Le potenzialità della realtà virtuale per gli studi di sicurezza stradale Claudia GUATTARI, Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre) - Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI (IRIDE, Roma): L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni di un’infrastruttura viaria Michela CORSI (MIUR, Roma) - Alessandro PACELLA (CUEIM, Roma) – Mario RUSCONI (ANP, Roma): Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca

17.45 Discussione e conclusioni

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ESPOSIZIONE DI POSTERS

Angelo Stephen CARDAMONE, Laura EBOLI, Gabriella MAZZULLA (Università della Calabria): La propensione dei conducenti verso l’utilizzo dei sistemi informativi e di telecomunicazione per il miglioramento della sicurezza stradale Fulvio SOCCODATO (ANAS, Roma) - Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI (IRIDE, Roma): GREENWAY: un metodo per la progettazione sostenibile di una strada Demetrio Carmine FESTA, Francesca SALVO, Manuela DE RUGGIERO (Università della Calabria): Il valore del Capitale Umano. Criteri e metodi di stima Pietro IAQUINTA (Università della Calabria): Stima e quote dell’incidentalità stradale in Italia Carlo GERMANI, Adriano INGA (Roma Servizi per la Mobilità): Traffico a Roma. Interventi dell’Agenzia per la Mobilità sugli assi stradali urbani di Nomentana e Lungotevere Gaetano TROTTA, Giuseppe CAPUTI (Tecno Habitat SpA, Roma): La nuova linea metropolitana leggera sul Lungotevere a Roma Pier Giacinto GALLI (Terni): Relazioni oikonomiche veicoli - strade: città mobili su reti infrastrutturali Stefania ANGELELLI (Università di Roma Tre): ELEbici@Roma3 Paolo FIAMMA (Università di Pisa): Architetture della mobilità: flussi e infrastrutture

Il convegno è organizzato con il contributo della COMPAGNIA DI SAN PAOLO di Torino

ROMA PALAZZINA DELL’AUDITORIO - VIA DELLA LUNGARA, 230

Segreteria del Convegno: [email protected]

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Ripensare la mobilità nello spazio urbano Alberto COLORNI (Politecnico di Milano) 

  Il seminario illustrerà le varie affermazioni attraverso esempi di progetti in Italia e nel mondo.  1. Gli effetti della mobilità in‐sostenibile In poco più di 50 anni  abbiamo sacrificato significative parti del territorio (e della nostra vita) alle automobili, che hanno “divorato” spazi comuni e  luoghi dʹincontro. La città non è più di tutti ed è un pericolo per alcuni: muoversi è sempre più difficile, consumiamo  tempo, spazio, salute.  2. Tre idee Il problema non  è  [più]  risolubile  con nuove  infrastrutture,  strade, parcheggi:  ciò non  fa  che aumentare lo spazio dedicato alle auto. E’ necessario cambiare la logica, usando meglio quello che  c’è,  tenendo  conto  dei  nuovi  comportamenti  (per  esempio  l’idea  di  condivisione, contrapposta a quella di proprietà), sapendo che in questo contesto esistono molti “attori” con priorità differenti,  promuovendo  e  comunicando  i  vantaggi dei  comportamenti  virtuosi. Nel mondo  sono  ormai  in  atto  varie  esperienze  che  è possibile  riprodurre  e  “mettere  a  sistema” nelle nostre città.    3. Gli strumenti Oggi  gli  strumenti  a  disposizione  sono  numerosi  e  diversificati,  comprese  varie  strategie  di incentivazione  ai  comportamenti  virtuosi  e  alle  nuove modalità  di  spostamento.  Oltre  agli esperti di  traffico  (gli urbanisti e  i pianificatori)  in grado di elaborare piani per  la mobilità,  il sistema può essere gestito da figure specializzate, i Mobility Manager, in grado di organizzare al meglio  la mobilità  collettiva.  Tutto  questo  aiuta  a  distribuire  il  carico  del  sistema  su  una maggiore varietà di soluzione e di mezzi.   4. Si può fare a meno dell’auto personale ? La mobilità sostenibile è chiamata da alcuni “intelligente” proprio per  l’idea di sostituire alla materia  prima  (costruire)  la  materia  grigia  (pensare  un  uso  migliore  per  le  opportunità esistenti).  Questo  significa  governare  i  processi  per  fare  in  modo  che  i  soggetti  coinvolti traggano benefici concreti dall’agire in modo “virtuoso”: ciò richiede di analizzare i vari attori del processo e i loro obiettivi, di individuare i vantaggi per ciascuno di essi (vedendo se esistano strategie in cui tutti possono migliorare), di progettare servizi innovativi a partire dalle esigenze dell’utenza.  5. Partecipazione e comunicazione Alla base di qualunque  ipotesi di  ʺcittà  intelligenteʺ  (quindi più vivibile) non può che esserci una  cittadinanza  intelligente,  informata  e partecipe. E  tutto quanto detto  si può  fare  [anche] partendo dal basso: analizzando  le problematiche del  traffico attraverso gruppi organizzati di cittadini e proponendo idee alternative per far rivivere gli spazi liberati dalle auto. Spetterà poi ai decisori – e ai tecnici – di tenerne conto e di trasformare le proposte in soluzioni concrete.   

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 Normativa e infrastrutture 

Lorenzo DOMENICHINI (Università di Firenze)  L’ESIGENZA DI UNA SVOLTA DECISA La  rete  delle  infrastrutture  di  trasporto  costituisce  la  spina  dorsale  della  società  e  del commercio1. Disporre di una rete di  infrastrutture di trasporto efficiente a tutti  i  livelli,  locale, regionale, nazionale e  transnazionale, rappresenta  il basamento  fondante sul quale si possono sviluppare  i rapporti  fra  i popoli e  le relazioni di scambio  tra  i  luoghi della produzione, della distribuzione e del consumo dei beni.  L’Europa possiede una delle più diffuse e sviluppate reti infrastrutturali del mondo; un enorme patrimonio accumulato durante  tutta  la sua  lunga storia, ereditato e condiviso dalle moderne nazioni, caratterizzato da un grande valore economico, che consente di generare ricchezza e di godere delle ricadute.  Il più grosso sforzo di infrastrutturazione diffusa risale agli anni 1960‐1970 (Figura 1). Le opere realizzate in quel periodo oggi hanno raggiunto 50 anni di vita, target di durata spesso assunto a  riferimento  nella  fase  iniziale  della  progettazione.  Oggigiorno  queste  infrastrutture  sono sollecitate da flussi e carichi di traffico che vanno ben al di là delle loro iniziali capacità; anche le prestazioni  dei  veicoli  sono  cambiate,  spinte  dalla  pressione  commerciale  nella  direzione  di sempre più elevate velocità, e risultano oggi incoerenti con le caratteristiche delle infrastrutture. Di conseguenza molti archi della rete  in esercizio non sono  in grado di soddisfare gli odierni requisiti funzionali, di sicurezza e di qualità e rischiano di compromettere le fondamenta su cui si basa l’economia delle nazioni.  Il mantenimento in esercizio ed in efficienza di questo grande patrimonio presenta elementi di criticità.  Il  suo  adeguamento,  ricostruzione  o  miglioramento  comporta  costi  astronomici  e richiede  investimenti  e  finanziamenti  massicci  e  coordinati  che,  nella  fase  economica  che l’Europa  sta  attraversando,  non  sono  disponibili  e  non  prevedibile  lo  diventino  in  futuro. Eppure  è  comune  la  convinzione  che  gli  investimenti  nel  settore  delle  infrastrutture rappresentano  la chiave che può  rinvigorire  le economie stagnanti ed offrire preziosi posti di lavoro. 

Figura 1: Ponti in c.a. e la loro evoluzione nel tempo2  

Si presenta quindi una importante e difficile sfida.  Nella situazione economica odierna non è più possibile costruire e gestire  infrastrutture con  i metodi  e  le  impostazioni  adottate  nel XX  secolo.  Le  infrastrutture  che  il  secolo  scorso  ci  ha consegnato sono costruite con  largo  impiego di risorse non rinnovabili, producono per  la  loro manutenzione  grandi  quantità  di  materiali  da  demolizione  che  debbono  essere  smaltiti, 

1 Horizon 2020 - The Framework Programme for Research and Innovation (2014-2020) 2 J. Gijsbers, G. Dieteren, C. van der Veen, “Beoordelingskader bestaande constructes”, Cement 4/2012

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adottano  processi  costruttivi  e  di  gestione  caratterizzati  da  elevati  consumi  energetici,  che immettono  in  ambiente  tonnellate  di  CO2,  consentono  condizioni  di  deflusso  veicolare  che comportano,  soprattutto  nelle  aree  urbane,  grandi  perditempo  per  diffusi  fenomeni  di congestione  e  offrono  condizioni  di  insicurezza  all’utenza  che  non  sono  più  a  lungo sopportabili. In sostanza, sono caratterizzate da alti costi e bassi livelli di efficienza.  Oggi  non  è  più  pensabile  continuare  su  questi  binari  nel  momento  in  cui  si  prende  in considerazione l’adeguamento della rete di infrastrutture esistenti.  Il Libro Bianco sui trasporti della Commissione Europea sollecita il settore dei trasporti ad una profonda riflessione mirata ad  individuare  i criteri,  i  tempi ed  i modi per un cambiamento di impostazione che possa consentire di ulteriormente far fronte all’incremento della domanda di mobilità di persone e beni3 e di continuare in conseguenza a sostenere lo sviluppo della società. E’  vitale  riuscire  a  sviluppare  metodi  e  tecnologie  in  grado  di  migliorare  l’offerta infrastrutturale e renderla globalmente più competitiva.   Sotto l’egida della Commissione Europea ed il coordinamento del FEHRL (Forum of European National Highway Research Laboratories) è stata istituita nell’Aprile 2012 una Task Force della Piattaforma  Tecnologica  Europea  (European  Technology  Platform  –  ETP),  che  riunisce rappresentanti  di  tutti  e  4  i modi di  trasporto  (su  gomma,  su  ferro,  aereo  e marittimo)  e  le Associazioni delle  Imprese  costruttrici,  che ha  l’obiettivo di definire,  entro metà del  2013,  la Roadmap della  ricerca per  l’innovazione nelle  infrastrutture di  trasporto. Questo processo di pianificazione  e  programmazione  della  ricerca  nel  settore  delle  infrastrutture  costituirà  il presupposto per  l’attuazione delle  azioni di  ricerca  e  sviluppo nel periodo di  attuazione del programma Horizon 2020 della Commissione Europea. Le parole chiave dell’azione avviata sono: “adaptable, automated and resilient infrastructures”, cioè: 

- adaptable  infrastruttures:  infrastrutture  che modificano  in  tempo  reale  le  loro  condizioni di funzionamento  in  relazione  alle  caratteristiche della domanda di  trasporto  in una  visione multimodale e che informano gli utenti delle effettive condizioni di utilizzo per ottimizzare la loro capacità e garantire la sicurezza della circolazione; 

Figura 2: R. Smit, “Joint vision 2030 – 2050: Introduction”, Joint ETP Task Force on Transport Infrastructure Innovation, First Workshop, 28 settembre 2012 

- authomated  infrastructures:  infrastrutture  inserite  nella  costellazione  dei  sistemi  tecnologici dell’informazione  e  comunicazione,  in  una  visione  cooperativa  veicoli‐infrastruttura,  per garantire sicurezza e risparmi energetici; 

- resilient infrastructures: infrastrutture che garantiscono il mantenimento delle loro capacità di servizio nelle più estreme condizioni climatiche ed in presenza di criticità naturali.  

3 Il numero di passeggeri-kilometro è previsto si raddoppi nei prossimi 40 anni secondo le stime del programma

quadro Horizon 2020

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In  questo  quadro,  l’European  Construction  Technology  Platform  (ECTP)    ha  promosso l’iniziativa reFINE (research for Future Infrastructure Network in Europe) per creare, attraverso la  cooperazione  delle  imprese  europee  attive  nel  campo  della  ricerca,  costruzione, manutenzione e gestione delle infrastrutture, i presupposti per lo sviluppo delle  infrastrutture del futuro i cui connotati sono4: 

- “Green”: infrastrutture progettate per produrre un minimo impatto ambientale durante tutto il loro ciclo di vita, dal progetto alla costruzione, all’esercizio ed alla fase finale del loro riuso. Nella visione dell’iniziativa  reFINE  l’obiettivo operativo è  individuato  in una  riduzione al 2020 del 30% delle emissioni di CO2; 

- “Smart”: infrastrutture in grado di offrire un servizio di elevata qualità, grande affidabilità in esercizio e di sicurezza, tenuto conto dei rischi dell’ambiente naturale ed antropizzato in cui le  stesse  si  sviluppano  e  dei  cambiamenti  climatici  attesi.  Espresso  nella  visione  reFINE, questo  si  traduce  nell’obiettivo  di  incrementare  al  2020  del  30%  le  prestazioni  delle infrastrutture in termini di capacità e sicurezza;     

- “Low Cost”: infrastrutture il cui costo di costruzione e manutenzione sia ottimizzato e gestito al  fine di preservare  e migliorare  la  qualità della  vita delle  generazioni  future  in Europa. Nella visione reFINE, questo si traduce in un incremento del valore finale dell’opera con una riduzione del 30% dei costi di primo impianto. 

Per raggiungere tali scopi occorre sviluppare importanti azioni di ricerca per l’innovazione che dovranno essere accompagnati da azioni parallele mirate a rimuovere alcune delle barriere che possono bloccare lo sviluppo nella direzione indicata:  

- la barriera culturale: occorrono azioni mirate a promuovere iniziative formative che aiutino a dissipare  l’avversione  verso  l’innovazione  tecnologica  nelle  costruzioni  (“abbiamo  fatto sempre così!! Perché cambiare?”); 

- la  barriera  normativa:  occorre  predisporre  standard  normativi  che  abbandonino l’impostazione prescrittiva,  tutt’ora persistente, per   abbracciare un approccio prettamente prestazionale, l’unico che può aprire la porta all’innovazione.  

 LA NORMATIVA IN CAMPO STRADALE In  Italia  il 70% circa della rete è stata realizzata prima dell’emanazione del primo documento ufficiale che delinea, nel 1963,  le regole di buona progettazione delle strade (norma CNR UNI 10005) e la restante parte è stata costruita prima del 2001, in vigenza delle norme CNR BU 31/73 e BU78/80 (spesso, tra l’altro, applicate con poco rigore). La maggior parte delle infrastrutture, cioè, è stata realizzata prima dell’emanazione dei più moderni DM 5.11.2001 e DM 19.4.2006 che regolano  le  caratteristiche geometriche  e  funzionali  che devono  avere  le moderne  strade  e  le intersezioni di nuova costruzione. 

4 European Construction Technology Platform, “Building Up Infrastructure Networks of a Sustainable Europe –

Strategic Targets and Expected Impacts”, draft August 2012

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1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005Anni

km x

1.0

00

s. statali

autostrade(1)

CNR 31/73

CNR UNI 10005edizione 1963

CNR 78/80

DM 5.11.2001

s. provinciali

(1)

(1) I dati relativi al 2002, ad eccezione di quelli relativi alle autostrade, sono influenzati dal passaggio di un notevole chilometraggio di strade, già Statali, che attualmente ricadono nella giurisdizione di Regioni, Provincie e Comuni.

Figura 3: La formazione del patrimonio stradale italiano 

La consapevolezza dei riflessi che le caratteristiche costruttive delle strade hanno sulla sicurezza della  circolazione  è  andata  aumentando  nel  tempo  in  virtù  degli  approfondimenti  e  delle acquisizioni  che  la  ricerca del  settore  ha  via  via  reso disponibili.  Il  riferimento  esplicito  alla sicurezza stradale come criterio informatore del progetto delle strade, assente nella norma CNR UNI 10005, compare nelle successive revisioni, ed è ribadito con vigore nei più recenti strumenti normativi cogenti. Se ne desume che il processo di affinamento successivo dei criteri normativi per la definizione delle caratteristiche delle strade è stato determinato dalla volontà di ricercare configurazioni infrastrutturali sempre più adeguate alle aspettative di guida degli utenti così da minimizzare,  se  non  annullare,  la  responsabilità  dell’infrastruttura  nella  generazione  degli incidenti o nel determinarne la gravità delle conseguenze.  E  lo  sviluppo  della materia  è  continuato  anche  nell’ultimo  decennio,  sulla  scia  anche  delle interessanti ricerche svolte sull’influenza del “Fattore Umano” sulla sicurezza delle strade5. Le nuove consapevolezze  suggeriscono  l’opportunità di metter mano ad una  revisione profonda degli  standard  in  vigore  al  fine  di  inserire  in  modo  più  puntuale  i  nuovi  concetti  sulla percezione  spaziale  degli  utenti  alla  guida  e, magari,  cogliere  l’occasione  per  trasformare  in prestazionali le nostre norme che ora sono spiccatamente prescrittive. In più, nell’ultimo decennio,  sotto  la  spinta di una  accresciuta  sensibilità  a  livello nazionale, europeo e mondiale verso la necessità di incrementare la sicurezza nell’uso delle infrastrutture, il panorama del corpo normativo si è arricchito di una serie di importanti documenti in materia di sicurezza delle gallerie stradali6 e ferroviarie7 e di gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali8,9, mentre ha visto il consolidarsi ed ulteriormente precisarsi delle norme in materia di dispositivi di  ritenuta.  In questo campo,  tra  l’altro, è stato  introdotto  l’importante concetto di “Forgiving Roadsides” quale significativo elemento di sicurezza da adottare ovunque possibile, al posto del troppo diffuso impiego lungo i bordi delle nostre strade di barriere di sicurezza, tra l’altro  sempre  più  pesanti  ed  invasive,  nella  fuorviante  e  sbagliata  sensazione  che  ciò corrisponda a maggiore sicurezza.  E’  chiaro quindi  che  infrastrutture progettate  in vigenza di norme oggi  superate  contengano intrinsecamente  livelli  di  rischio  superiori  a  quelli  considerati  oggi  ammissibili. A  questo  si 

5 PIARC Technical Committee C1, “Human Factor principles of spatial perception for safer road infrastructures”,

Paris, 2012 6 D.Lgs. 5 ottobre 2006 n. 264 “Attuazione della direttiva 2004/54/CE in materia di sicurezza per le gallerie della

rete stradale trans europea”. 7 DECRETO 28 ottobre 2005, “Sicurezza nelle gallerie ferroviarie”. 8 D.Lgs. 15 marzo 2011 n. 35 “Attuazione della direttiva 2008-96-CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture” 9 DM 2 maggio 2012 n. 182 “Linee guida gestione sicurezza infrastrutture stradali”

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aggiunge  l’elevato  incremento  dei  flussi  di  traffico  registrato  nel  tempo,  foriero  di  gravi condizioni d’interazione veicolare che sono all’origine di ulteriori condizioni di pericolo per la circolazione. Nella Figura 4 è illustrata la relazione statistica ricavata, per una infrastruttura di tipo autostradale, mettendo  in relazione  la  frequenza chilometrica degli  incidenti registrata  in un decennio  con  i volumi di  traffico presenti al momento degli  stessi. La densità  incidentale aumenta all’aumentare del traffico ed è tanto più elevata quanto più peggiorano, sotto il punto di  vista  della  sicurezza,  le  caratteristiche  dell’andamento  altimetrico  del  tracciato:  i  tratti  in discesa  (con  pendenze  superiori  al  2%)  sono  più  pericolosi  dei  tratti  in  salita  ed  i  tratti pianeggianti  risultano  relativamente  meno  critici10.  Tutto  ciò  non  può  che  giustificare  un allarmato giudizio di inadeguatezza della rete infrastrutturale esistente a riguardo dell’aspetto specifico della sicurezza stradale. 

Aperto: Flusso/pendenza/densità incidentale

0,0

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0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 2000

Flusso (veh/h)

Inc/

km

Discesa PianuraSalita Potenza (Discesa)Potenza (Salita) Potenza (Pianura)

Figura 4: Relazione tra densità incidentale e flussi di traffico, per diverse caratteristiche altimetriche di un tracciato autostradale 

Il compito che impegna oggi gli Enti proprietari di strade ed i progettisti, quando sono chiamati ad  operare  sulla  rete  esistente  con  l’obiettivo  di  conferirle  prestazioni migliori  in  termini  di funzionalità e sicurezza, così da contribuire al  raggiungimento degli obiettivi programmati, è pertanto particolarmente arduo e complesso. In questa opera non è possibile pretendere  l’adeguamento delle strade esistenti ai più elevati standard geometrici e funzionali tracciati dalle più recenti normative per le nuove costruzioni, se pur ciò resti comunque auspicabile in tutti i casi in cui risulti ragionevolmente realizzabile ed economicamente  giustificato.  Occorrono  nuovi  criteri  e  nuove  competenze  per  affrontare correttamente e con consapevolezza questo compito. A  ciò  aveva  cercato  di  dare  risposta  la  bozza  di  norma  sull’“Adeguamento  delle  strade esistenti”, sviluppata nel 2006 e mai emanata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. L’impostazione  del  testo  predisposto  era  di  tipo  prestazionale  nel  senso  che,  al  di  là  e,  si potrebbe dire, indipendentemente dalle modalità con cui gli interventi avrebbero potuto essere realizzati, ciò che è importante è il risultato auspicato di un innalzamento dei livelli di sicurezza e, contemporaneamente, di un miglioramento della qualità della circolazione, nel  rispetto dei vincoli ambientali presenti, delle caratteristiche del contesto territoriale attraversato, garantendo un doveroso ritorno sociale degli investimenti effettuati. 

Questo  approccio,  che  è  in  linea  con gli obiettivi della Commissione Europea di  concepire  e realizzare  infrastrutture  green,  smart  e  low‐cost, dovrebbe  essere  ripreso  in  considerazione dal  10 La tendenza illustrata in Figura 4 è valida solo per condizioni di deflusso lontane dalla congestione. Quando la

domanda di traffico diventa paragonabile all’offerta capacitiva della strada, la densità veicolare raggiunge livelli tali da condizionare fortemente le velocità, che mediamente si riducono, come si riducono le differenze tra le velocità praticate dai diversi veicoli all’interno del flusso di traffico. In queste condizioni l’incidentalità (per lo meno quella più grave) tendenzialmente si riduce.

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Ministero per  incentivare nei  tecnici  che operano nel  settore un approccio alla progettazione, manutenzione e gestione delle strade più consapevole degli effetti che gli  interventi effettuati hanno  sulla  sicurezza  (in  termini  di  riduzione  del  numero  di  incidenti‐feriti‐morti),  sulla funzionalità  (in  termini  di miglioramento  delle  condizioni  di  deflusso  e  di  riduzione  degli eventi di perturbazione)  e  sull’impatto  ambientale  in  esercizio  (in  termini di  riduzione delle emissioni gassose ed acustiche).  I NUMERI DELLA SICUREZZA STRADALE 11  Maggio  2011:  l’organizzazione  mondiale  per  la  salute  (WHO)  decide  di  denominare  il periodo 2011 – 2020  come  il decennio di azioni per  la  sicurezza  stradale delle Nazioni Unite (UN Decade of Action for Road Safety) 11. Il WHO prevede che, se non si interviene prontamente, la mortalità stradale diventerà nel 2030 la quinta causa di morte per il genere umano.  L’obiettivo posto dal piano mondiale è quello di evitare 5 milioni di vittime del traffico stradale entro il 2020 e per farlo il WHO chiede che ciascuna nazione che partecipa al Piano sviluppi al suo  interno azioni per  il miglioramento della  sicurezza  stradale  in  ciascuno dei 5 pilastri del Piano stesso  (gestione della sicurezza, strade e mobilità, veicoli, utenti della strada,  interventi post‐incidente).  

Leading causes of death

Rank Disease or Injury

1 Ischaemic heart disease

2 Cerebrovascular disease

3 Lower respiratory infections

4 COPD

5 Diarrhoeal diseases

6 HIV/AIDS

7 Tuberculosis

8 Trachea, bronchus, lung cancer

9 Road traffic injuries

10 Prematurity & low‐birth weight 

Rank Disease or Injury

1 Ischaemic heart disease

2 Cerebrovascular disease

3 COPD

4 Lower respiratory infections

5 Road traffic injuries

6 Trachea, bronchus, lung cancer

7 Diabetes mellitus

8 Hypertensive heart disease

9 Stomach cancer

10 HIV/AIDS

2004 2030

Figura 5: E. Krug, “Saving millions of lives”, One‐year progress update: Decade of Action for Road Safety 2011‐2020” 

In linea col Piano Mondiale delle UN, il piano europeo per la sicurezza stradale per il periodo 2011‐202012 ha  riproposto  l’obiettivo, già adottato nel decennio 2001‐2010,   dimezzare entro  il 2020, rispetto alla situazione del 2011,  il numero di vittime sulle strade. Ha  inoltre adottato  il piano strategico denominato “Vision Zero” che prevede all’anno 2050 che la strada non rientri più tra le cause che producono perdite di vite umane.  Secondo le statistiche ACI/ISTAT, nel 2010 sono stati registrati in Italia 211.404 incidenti stradali con  lesioni  a  persone.  Il  numero  dei morti  è  stato  pari  a  4.090,  quello  dei  feriti  ammonta  a 302.735. 

11 UN Resolution on Road Safety March 2010: http://www.un.org/News/Press/docs/2010/ga10920.doc.htm 12 EU Action Plan 2011_2020 “Towards a European road safety area: policy orientations on road safety 2011-2020”

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Il costo sociale complessivo valutato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti assomma a ben 28,5 miliardo di euro, includendo nel conto tutti gli incidenti (con morti, con feriti e con solo danni alle cose) 13.  Rispetto al 2009, si è riscontrata una  leggera diminuzione del numero degli  incidenti (‐1,9%) e dei feriti (‐1,5%) ed un calo più consistente del numero dei morti (‐3,5%).   Rispetto allʹobiettivo fissato dallʹUE nel Libro Bianco del 2001, che prevedeva la riduzione della mortalità del 50% entro il 2010, lʹItalia ha raggiunto una diminuzione del 42,4% del numero dei morti, valore in linea con la media europea UE27, pari al ‐42,8%. In  Italia  fin dal 2000 è  stato adottato  il Piano Nazionale per  la Sicurezza Stradale  (PNSS) nel quale era stato individuato, come obiettivo,  la riduzione entro il 2010 del 40 % dei morti e dei feriti, obiettivo che, come sopra visto, è stato raggiunto almeno per quanto riguarda il numero di morti.  In realtà, dopo  i primi  tre Piani di Attuazione varati nel 2002, nel 2003 e successivamente nel 2006, che hanno incentivato in modo molto efficace la presa di coscienza del problema da parte dei  numerosi Enti  proprietari di  strade  in  Italia  e  sollecitato  iniziative mirate  ad  avviare  un processo di gestione di questa emergenza, il PNSS non è stato più finanziato.  Il rinnovato impegno a risolvere il problema della insicurezza stradale che viene dall’Europa e dalle  Nazioni  Unite  dovrebbe  spingere  i  nostri  governanti  a  considerare  con  maggiore attenzione  la  priorità  della  sicurezza  stradale  nei  piani  di  sviluppo  nazionali,  anche  fosse soltanto  in  forza dell’enorme  risparmio  economico  che una  riduzione degli  incidenti  stradali può consentire.  LA GESTIONE DELLA SICUREZZA DELLE INFRASTRUTTURE STRADALI Per  risolvere  il  grave  problema  della  sicurezza  stradale,  è  universalmente  riconosciuto  che occorre un approccio di sistema.  La distribuzione delle cause dell’incidentalità tra le diverse componenti che operano all’interno del  sistema  (utenti,  veicoli,  strada)  viene  schematicamente  rappresentata  mediante  il diagramma di Figura 6 dal quale risulta evidente che le responsabilità sono distribuite tra tutte le componenti del Sistema. E’ pur vero che, complessivamente,  le responsabilità attribuibili al comportamento non appropriato dei guidatori assommano al 93%, come spesso viene a livello giornalistico annunciato, ma  ciò  è ben  lontano dal  consentire  la  facile  e deresponsabilizzante affermazione  secondo  la  quale  le  caratteristiche  dell’infrastruttura  influenzano  soltanto  un numero  trascurabile di  incidenti  (il 3%  in  figura). Viceversa quest’ultima entra direttamente o indirettamente in gioco in ben un terzo degli incidenti.  E’  in sostanza riconosciuto che  la configurazione dell’ambiente stradale gioca un ruolo spesso determinante  nel  generare  incidenti,  soprattutto  quelli  con  più  gravi  conseguenze  (scontri frontali,  scontri  in  corrispondenza delle  intersezioni,  svii dalla  carreggiata e urti  coinvolgenti utenze deboli). Troppo  spesso gli utenti  sono vittime di  strade pianificate  in modo  scorretto, mal progettate, non dotate di  idonei  impianti  segnaletici  o di  elementi di  ritenuta  efficaci  o, infine, mantenute in condizioni d’esercizio scadenti.  

13 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento per i Trasporti, la Navigazione ed i Sistemi Informativi

e Statistici, Direzione Generale per la Sicurezza Stradale, Decreto Dirigenziale n. 000189 del 24 settembre 2012

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Figura 6: Distribuzione delle cause degli incidenti (fonte: PIARC Road Sefety Manual, 2003) 

Nei  piano  di  azione  varati  a  livello  europeo  e mondiale  la  strada  è  considerata  come  il  3° pilastro della sicurezza stradale, insieme all’educazione stradale, alla formazione, alle azioni di repressione dei comportamenti scorretti e alle azioni di intervento post incidente (1° pilastro) e ai veicoli (2° pilastro). Per  affrontare  il  tema  del  miglioramento  della  sicurezza  delle  infrastrutture  sono  state recentemente emanate dal Ministero delle  Infrastrutture e dei Trasporti  le Linee Guida per  la Gestione della Sicurezza delle Infrastrutture Stradali che definiscono  i criteri e  le modalità per l’effettuazione  dei  controlli  della  sicurezza  stradale  in  fase  di  progettazione  delle  opere,  per l’esecuzione  delle  ispezioni  di  sicurezza  sulle  infrastrutture  esistenti  e  per  l’attuazione  del processo  di  classificazione  della  sicurezza  della  rete  stradale.  Le  nuove  Linee  Guida introducono  in  sostanza  nel  settore  delle  infrastrutture  stradali  una  nuova  disciplina:  quella dell’Ingegneria della Sicurezza Stradale. 

Figura 7: DM 2 maggio 2012 n. 182 “Linee guida gestione sicurezza infrastrutture stradali” 

Lo schema illustrato in Figura 8 riassume, specificandone i contenuti, i ruoli e le azioni con cui ai diversi livelli può essere articolata tale nuova disciplina. Alcuni elementi di questa articolata materia  sono  già  operanti  al  presente  presso  numerose Amministrazioni  ed  Enti  di  ricerca, anche in Italia; altri invece  rappresentano elementi di cui occorre incentivare l’applicazione. Tra queste si sottolinea  l’importanza che rivestono gli strumenti di analisi e valutazione  introdotti dalle cit. Linee Guida del Ministero ed evidenziate in rosso in Figura 8.  

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  Figura 8: Campi di azione e strumenti operativi dell’Ingegneria della Sicurezza Stradale 

Studio di  Impatto  sulla Sicurezza Stradale  (Road Safety  Impact Assesment): alla  stessa  stregua con  cui  nel  1988  è  stata  introdotta  nell’ordinamento  italiano  l’obbligatorietà,  nell’ambito  del processo  decisionale  per  la  realizzazione  delle  grandi  opere,  di  uno  studio  finalizzato  ad approfondire gli aspetti di  interazione  tra  l’opera  e  l’ambiente naturale o antropizzato  in  cui essa  si  inserisce  (procedimento  di  Valutazione  di  Impatto  Ambientale  –  VIA),  così  è  stato introdotto all’interno del processo di pianificazione degli  interventi di adeguamento della rete stradale  esistente  la  procedura  di  Valutazione  di  Impatto  sulla  Sicurezza  Stradale  (VISS). Attraverso  questo  studio  viene  valutata  in  modo  quantitativo  l’utilità  sociale  di  ciascun intervento, espressa in termini di potenziale capacità di riduzione degli incidenti, dei morti, dei feriti. Gli strumenti per svolgere queste  valutazioni sono di diverso tipo e sono in genere basati su procedure di analisi benefici‐costi all’interno delle quali sono codificate  le modalità con cui monetizzare  gli  effetti  di  miglioramento  della  sicurezza  stradale  potenzialmente  offerti  da ciascun intervento. A tal riguardo il MIT dovrà emanare apposite Linee Guida.  Ispezioni di sicurezza (Safety Inspections): trattasi di una analisi di sicurezza operativa della rete stradale esistente, eseguita con criteri di periodicità biennale, al fine di identificare i potenziali problemi di sicurezza che  richiedono  intervento. Le  ispezioni debbono comprendere anche  la verifica delle misure di sicurezza  temporanee poste  in essere  in corrispondenza di cantieri di lavori stradali e la verifica della sicurezza operativa delle gallerie, quest’ultima da effettuare in coordinamento  con  le  analoghe  ispezioni  prescritte  dal  D.Lgs.  264/06  sulla  sicurezza  delle gallerie stradali. Le ispezioni di sicurezza debbono essere effettuate dando priorità ai tratti della rete nei quali si è manifestata nel passato elevata incidentalità.  Procedura di Gestione della Sicurezza a livello di Rete (Network Safety Management): trattasi di una procedura per  l’analisi della  sicurezza della  rete  stradale  in esercizio  i  cui obiettivi  sono quelli di:  - Individuare, attraverso una azione preventiva svolta mediante l’esecuzione delle Ispezioni di 

sicurezza,  estese  a  tutta  la  rete  stradale  esistente,  i  siti  che possono  essere potenzialmente critici ai fini della sicurezza stradale;  

- Individuare, attraverso procedure di analisi d’incidentalità, gli elementi della  rete  in cui si sono già manifestati fenomeni di incidentalità particolarmente elevati;  

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- Analizzare  mediante  ispezioni  di  sicurezza  puntuali  le  caratteristiche  specifiche dell’infrastruttura  stradale  nei  tratti  ad  elevata  concentrazione  di  incidenti  al  fine  di confrontare dette caratteristiche con la fenomenologia incidentale per individuare il ripetersi di  incidenti  dello  stesso  tipo  che  possano  essere messi  in  relazione  ad  eventuali  difetti nell’infrastruttura; 

- Classificare  in  ordine  di  priorità  i  tratti  della  rete  individuati  attraverso  le  ispezioni  di sicurezza  e  l’analisi  dei  tratti  ad  elevata  concentrazione  di  incidenti  che  necessitano  di interventi per migliorarne  la  sicurezza;  le priorità d’intervento dovranno essere definite  in relazione  ai potenziali benefici  in  termini di miglioramento della  sicurezza  stradale  che  si possono conseguire intervenendo in modo mirato su di essi.  

 Analisi di  sicurezza  in  fase di progettazione delle  infrastrutture  (Road Safety Audit),  sia nel caso di progetti di nuove  strade,  sia di  interventi di adeguamento di  strade esistenti. Questa procedura non rappresenta una novità in Italia in quanto è oggetto della Circolare n° 3699 del Ministero delle  Infrastrutture “Linee guida per  le analisi di sicurezza  (n.d.r. preventiva) delle strade”. Di  fatto però  lo è  in quanto, differentemente da quanto avvenuto per  le  ispezioni di sicurezza  codificate  dalla  stessa  Circolare  (che  hanno  avuto  negli  anni  trascorsi  numerose applicazioni), la procedura di Auditing per la sicurezza dei progetti stradali non è entrata tra le attività  di  controllo  della  qualità  tecnica  dei  progetti  messe  in  atto  dalle  Amministrazioni appaltanti, nonostante avrebbe dovuto esserlo, a giudicare da quanto di sbagliato, sotto questo aspetto,  si  continua  a  fare,  fatte  salve  le doverose  eccezioni. Questa prassi,  al  contrario,  è da tempo adottata in molti paesi europei e riveste una grande utilità, documentata dai benefici che l’applicazione della procedura ha consentito in termini di sicurezza (riduzione degli incidenti), di  economia  (minore  spese  di  manutenzione  straordinaria  per  correggere  criticità  che  si evidenziano dopo l’entrata in esercizio della strada e, in taluni casi, minore costo delle soluzioni progettuali individuate) e di miglioramento della qualità tecnica dei progetti. Sia le ispezioni di sicurezza che  le analisi di sicurezza dei progetti di strade debbono essere effettuate da esperti nominati dal Ministero  tra coloro che si  iscrivono  in uno specifico Albo degli controllori della sicurezza gestito dal MIT, al quale ci si può iscrivere dopo aver frequentato un apposito corso di formazione14.  CONCLUSIONI Il momento difficile che  l’Europa ed  il mondo  industrializzato stanno attraversando riporta  le infrastrutture stradali al centro di un dibattito complesso in cui, all’esigenza di produrre nuovi posti  di  lavoro,  rinvigorire  l’economia  e,  nel  lungo  termine,  di  garantire  un  futuro  alle generazioni che verranno, si contrappone  l’esigenza di mettere a disposizione nell’immediato finanziamenti  pubblici  e  privati  in  grado  di  coprire  gli  enormi  costi  che  il  rinnovamento infrastrutturale richiede. Per dare una risposta alla questione occorre sviluppare nel prossimo decennio grandi sforzi di ricerca  per  l’innovazione mediante  i  quali  sia  possibile  giungere  a  concepire  e  realizzare  in modo diverso  le  infrastrutture del  futuro.  Infrastrutture più  ecologiche,  flessibili, dinamiche, snelle e nel contempo in grado di sopportare le sfide che l’ambiente naturale impone. Tra  le  fide  da  fronteggiare  c’è  quella  urgente  del  miglioramento  della  sicurezza  della circolazione per rendere maggiormente “smart” le infrastrutture. L’ingegnere che si interessa di costruzioni  stradali  deve  maturare  la  consapevolezza  del  ruolo  importante  che  egli  può svolgere  in  questo  campo,  aiutato  dai  nuovi  indirizzi  normativi  che  le  istituzioni mondiali promuovono e che anche in Italia sono stati introdotti di recente.  

14 DM n. 305 del 05.08.2011 “Programma di formazione per i controllori della sicurezza stradale”

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Tecnologia dei veicoli e prevenzione Massimo GAIDO (Centro ricerche Fiat di Torino) 

 Il  veicolo,  in  quanto  strumento  indispensabile  per  la mobilità  odierna,  è  uno  dei  principali elementi  che  impatta  sulla  qualità,  sulla  sicurezza  e  sull’efficienza  dei  nostri  quotidiani spostamenti:  rispondere  nel  miglior  modo  a  queste  esigenze  di  mobilità  è  uno  degli  assi fondamentali che guidano  lo sviluppo dei modelli  tenendo presente che  la mobilità efficiente sta  man  mano,  sotto  la  spinta  della  situazione  economica  mondiale  e  con  la  progressiva acquisizione di una  coscienza  ecologica,  superando  le  tradizionali motivazioni di  acquisto di un’automobile (prestazioni, esclusività, stile, ...).  Un’ulteriore spinta in questa direzione arriva da Enti Istituzionali, nell’ambito della sostenibilità ambientale  (si pensi al programma EU2020  ) e sociale  (con  il progressivo  inseverimento degli standard EU‐NCAP di valutazione delle prestazioni di safety).  Tuttavia  lo  scenario  competitivo  dell’industria  Automotive  impone  un  terzo  asse  di sostenibilità,  quella  economica,  che  completa  e  rende  proponibili  e  competitive  sul mercato automobili che realizzano il migliore compromesso tra le prestazioni attese e il costo finale del prodotto:  in  questo  equilibrio  è  essenziale  la  giusta  scelta delle  tecnologie da  adottare  e dei sistemi da proporre al mercato. Lo scenario tecnologico attuale, finalizzato alla realizzazione di sistemi che migliorino efficienza e sicurezza, vede applicazioni in due grandi aree: l’ottimizzazione dei sistemi a bordo veicolo e la gestione complessiva dell’utilizzo del veicolo nel contesto reale di mobilità. La prima area è ampiamente  coperta  dall’evoluzione  dei  sistemi  di  motopropulsione  (con  l’introduzione  di tecnologie  come MultiJet, MultiAir,….),  di  efficienza  dei  sistemi  ausiliari  (ad  esempio  per  il recupero dell’energia)  e di protezione passiva  (air‐bag) o  attiva  (ABS, ESP). La  seconda  area diventa molto  promettente  quando  si  considera  il  veicolo  come  parte  dell’ecosistema  della mobilità, cioè comprendente il guidatore stesso (con il suo stile e suoi comportamenti di guida) e  lo  scenario  circostante  (con  il monitoraggio  della  situazione  di  traffico  in  prossimità  del veicolo e l’attivazione preventiva di sistemi di protezione in caso di collisione imminente). Ad esempio uno studio fatto da Fiat sui dati raccolti tramite il sistema ECODrive dimostra che uno stile di guida eco‐compatibile, non solo riduce le emissioni nocive di un fattore rilevante (fino al 16%) ma contribuisce anche ad una fluidità di traffico maggiore che non penalizza la mobilità in termini di tempo di viaggio.  Sull’area  della  sicurezza  preventiva,  l’introduzione  sempre  più  diffusa  di  sistemi  di monitoraggio  e  controllo  longitudinale  e  laterale del  veicolo porta  ad  avere  vetture  con una authority crescente nel confronto del guidatore: pur rimanendo ampiamente lontani dalla guida automatica, sistemi di mantenimento corsia e di frenata di emergenza hanno dimostrato la loro valenza nel ridurre l’occorrenza di incidenti, sia in ambito urbano che extra‐urbano. Interessanti in questo ambito sono  i risultati di uno studio effettuato nel progetto EuroFOT che va oltre  la misura  dell’efficacia  dei  sistemi  in  oggetto,  analizzandone  il  grado  di  comprensione  e accettabilità  dal  cliente  finale:  lo  studio  dimostra  come  siano  determinanti  la  presenza  e  la modalità  di  erogazione  di  un  feedback  al  guidatore  nel momento  in  cui  il  sistema  agisce attivamente per mantenere la corsia o effettuare manovre di collision‐avoidance. 

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Le  tecnologie  alla  base  di  questa  evoluzione  offrono  supporto  a  tre  principali  esigenze:  una localizzazione sempre più precisa del veicolo nel contesto stradale (e quindi, a partire da sistemi GPS, eventualmente corredati da una correzione EGNOSS,  fino a Galileo), una sensoristica di prossimità  che  permetta  di  ricostruire  lo  scenario  in  tempo  reale  sia  a  corto/medio  raggio (appoggiandosi  su  sistemi ultrasuoni, RADAR e, ultimamente  introdotti, LIDAR)  sia a  lungo raggio (principalmente RADAR e in futuro radar a scansione) e una connettività tra il veicolo e le infrastrutture che in futuro si prevede sempre più pervasiva (spinta dall’adozione del sistema e‐Call).  In  questo  scenario  tecnologico,  gioca  un  ruolo  importante  la  forte  integrazione  tra sistemi, dove ad esempio, mediante  sensor‐fusion,  si generano  informazioni da utilizzare per algoritmi  decisionali  su  azioni  attive  di  controllo  veicolo  oppure,  mediante  una  strategia cooperativa  tra veicoli connessi, si migliora  la precisione delle  informazioni  topologiche dello scenario dinamico di traffico, come dimostrato dai risultati del progetto COVEL finalizzato ad una “lane‐navigation” per ambito urbano.  E’  infine  importante notare  che negli ultimi  anni  si  è vista un’accelerazione nell’adozione di queste  tecnologie  a  bordo  veicolo:  sistemi  complessi  e  costosi  che  fino  a  pochi  anni  fa  si ritrovavano solo su veicoli di alta gamma, sono ora sempre più presenti anche su vetture medie se non addirittura utilitarie: ciò è dovuto alla consapevolezza e all’interesse del Cliente finale ai temi  della  sostenibilità, ma  anche  ad  una  riduzione  di  costo  resa  possibile  dall’evoluzione tecnologica stessa, sia nel comparto Automotive, sia dal mondo Consumer, che rende e renderà disponibili soluzioni e servizi di connettività accessibili a tutti. Tutto  questo  rappresenta  oggi  un  ulteriore  passo  significativo  che  il mercato  dell’auto  sta facendo nell’ottica di una mobilità sempre più sicura e sostenibile:  la sfida che ci attende è  la sempre maggiore integrazione tra il veicolo e le infrastrutture di mobilità: è su questi temi che la ricerca precompetitiva focalizzerà i prossimi progetti di ricerca ed innovazione.  

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Sostenibilità ambientale del trasporto su strada Giuseppe Gesano (CNR‐IRPPS) 

 In  cento  anni,  l’automobile  è passata da  simbolo del progresso  e della  libertà  individuale di movimento a uno dei principali  imputati dell’inquinamento ambientale e del deterioramento della qualità della vita delle collettività. Motivano quest’accusa da un  lato  l’apporto negativo degli scarichi dei motori a scoppio sulla qualità dell’aria che respiriamo e il traffico veicolare che siamo costretti a sopportare nelle nostre città e sulle strade di grande comunicazione, dall’altro la dimensione di un problema  che  si misura nel  rapporto di un veicolo  circolante ogni  sette abitanti del pianeta, con i massimi attorno a un veicolo ogni 1,3 abitanti negli USA e in Italia. La pluralità dei  fattori che  intervengono sulla sostenibilità ambientale del  trasporto su strada richiede un’analisi puntuale delle loro componenti, che vanno dall’impatto delle strutture viarie sull’ambiente e  sul paesaggio ai vari aspetti dell’inquinamento esercitato  in  tutto  il  corso del ciclo di vita dei veicoli. Il  traffico dei veicoli  si  svolge  su una  rete stradale  la cui estensione è  funzione del numero e della  distanza  dei  nodi  del  sistema,  dell’intensità  dei  flussi  e  della  velocità  che  si  vuole assicurare  a  questi.  Inoltre,  gli  spostamenti  vicinali  e  la  sosta  dei  veicoli  utilizzano  ampie superfici destinate alla circolazione e alla sosta dei veicoli nelle aree urbane. L’occupazione di spazio delle infrastrutture destinate ai veicoli per il trasporto su strada è dunque tutt’altro che trascurabile: in Italia la rete stradale può essere valutata in 850‐900 mila chilometri (di cui 6.700 km di  autostrade).  I  tracciati, però,  impegnano porzioni di  terreno  ben più  ampie delle  sole carreggiate  stradali a causa degli  sbancamenti, delle  scarpate, delle opere di  sostegno. Questi manufatti  occupano  superfici  considerevoli  e  intervengono  sul  territorio  modificandovi  la forma, la giacitura, la permeabilità, l’erosione, i regimi idraulici, l’insolazione, la vegetazione, la fauna,  la  mobilità  di  questa  e  le  sue  interazioni  con  l’ambiente,  l’accessibilità  e  l’uso  del territorio da parte dell’uomo; in una parola, l’habitat. L’insieme di queste opere esercita poi un impatto  di  tipo  visivo  sul  paesaggio,  che  va  dalla  semplice  traccia  lineare  che  attraversa  il panorama  ai  pesanti  ingombri  della  prospettiva  causati  da  uno  svincolo  autostradale  o  da viadotti,  alti  e  incombenti  o prolungati per  chilometri,  come  anche dagli  sviluppi della  sede stradale in profonde ed evidenti trincee. La distribuzione e la forma degli insediamenti urbani è poi un  altro  aspetto dell’uso del  territorio  a  fini  antropici  che  incide  fortemente  sull’impatto ambientale dei mezzi di trasporto, con la “città diffusa” che richiede molte più strade e genera molti più spostamenti della “città compatta”.  L’impatto ambientale di un veicolo stradale comincia fin dalla sua produzione (con l’utilizzo di materie  prime,  energia,  lavorazioni  inquinanti  e macchinari  complessi)  e  dal  suo  trasporto (spesso di  lungo percorso) dalle  fabbriche  ai  luoghi d’acquisto. Quell’impatto proseguirà nel corso della vita attiva del veicolo attraverso le riparazioni e il suo mantenimento in efficienza, con  i relativi problemi di produzione e di  trasporto dei ricambi e di smaltimento delle scorie. Alla  fine  dell’attività,  la  rottamazione  del  veicolo,  l’eventuale  smontaggio  e  riciclo  dei componenti  riutilizzabili,  o  il  suo  accatastamento    nei  cosiddetti  “cimiteri  delle  auto” presenteranno problemi d’impatto ambientale assai rilevanti: il dato impressionante di quasi 25 milioni di veicoli (88% le auto) radiati in Italia tra il 2000 e il 2011 dà un’idea della dimensione del problema. D’altra parte, l’attuale rallentamento nel ricambio del parco veicoli a causa della 

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crisi economica rischia di mantenere  in circolazione anche quelli meno efficienti e più obsoleti sotto il profilo ecologico. Aspetti  rilevanti  nel  dimensionamento  dell’impatto  ambientale  e  nella  sua  distribuzione  sul territorio  sono  costituiti  dal  modo  d’uso  del  veicolo  e  dal  contesto  in  cui  avviene  la  sua circolazione  e  sosta.  La  percorrenza media  delle  auto  in  Italia  è  valutata  in  circa  11.000  km l’anno,  in  calo  significativo  rispetto  al  passato,  anche  a  causa  del moltiplicarsi  dei  veicoli  a disposizione di una stessa famiglia. Sull’impatto influiscono poi gli stili di guida e le condizioni del  traffico.  Studi  di  laboratorio  e  prove  su  strada  hanno  dimostrato  che  la  velocità  e  le accelerazioni durante la marcia di un veicolo incidono in misura rilevante sulle sue emissioni di inquinanti.  La  concentrazione  del  traffico  veicolare  accentua  e  prolunga  l’insistenza dell’impatto  su una determinata area  riducendone  le  capacità di assorbimento. Gli effetti del traffico,  infatti,  superano  di  molto  la  sommatoria  degli  effetti  che  i  singoli  veicoli apporterebbero in sua assenza, sia perché l’inquinamento acustico e quello atmosferico crescono in misura più che proporzionale alla densità del  traffico veicolare, sia perché si modificano di conseguenza le condizioni d’uso dei veicoli diminuendo la loro velocità media e rendendo più frequenti le frenate, le accelerazioni e i periodi di sosta a motore acceso. Il problema della sostenibilità del  trasporto su strada va poi analizzato nelle sue conseguenze sui diversi elementi dell’ambiente.  Il  traffico veicolare è corresponsabile,  insieme a molti altri fattori, dell’inquinamento concentrato e diffuso del suolo attraverso la ricaduta degli inquinanti emessi dalla  combustione degli  idrocarburi nei motori  e  la dispersione nell’ambiente di  altri componenti leggeri e pesanti che provengono dalla circolazione o anche solo dalla presenza dei veicoli. Anche le acque subiscono gli effetti dell’inquinamento imputabile al trasporto su strada: ciò  avviene  sia  attraverso  la  ricaduta degli  inquinanti  atmosferici  sulle  superfici  acquee  o  in occasione  di  precipitazioni  meteoriche,  sia  per  il  dilavamento  delle  superfici  stradali.  La situazione  è  migliorata  sensibilmente  dopo  la  messa  al  bando  del  piombo  tetraetile  come antidetonante nelle benzine; è tuttavia cresciuta la diffusione delle polveri sottili con l’aumento delle auto diesel e la presenza di scorie di metalli pesanti rilasciati dagli apparati di scarico e di frenatura, dall’usura degli pneumatici e dall’abrasione delle superfici stradali.  Le maggiori  attenzioni  relative  alla  sostenibilità  del  trasporto  su  strada  si  appuntano  però sull’inquinamento dell’aria. A questo contribuiscono principalmente  i gas di scarico: anidride carbonica (nel 2009, il 22% dei gas serra è stato emesso in Italia dal traffico stradale ), monossido di  carbonio  (47%), ossidi d’azoto  (52%),  composti organici non metanici  (25%), polveri  sottili (1/5 delle PM10 e 1/4 delle PM2.5).  Il  contributo del  singolo veicolo  (che dipende dal  tipo di motore e di alimentazione, ma anche dalla sua anzianità e manutenzione e da come è guidato) si integra con le condizioni di traffico nelle quali è immerso e con le caratteristiche tecniche delle strade  che percorre. L’ambiente  circostante  e  le  condizioni meteorologiche provvedono poi a contenere  o  a  diffondere  le  emissioni  inquinanti  da  traffico  stradale  modificando l’inquinamento  atmosferico.  Risalgono  al  1992  i  primi  interventi  normativi  della  Comunità Europea  sulle  emissioni  da  veicoli  di  nuova  immatricolazione,  passati  progressivamente  da Euro1 a Euro5, mentre sono stati anche fissati precisi limiti ai vari parametri dell’inquinamento dell’aria nelle nostre città. Tuttavia, da un  lato  la vetustà del parco circolante e  la sua cattiva manutenzione, dall’altro  la  colpevole  tolleranza di molti  sindaci  fanno  sì  che quelle norme  e quei limiti vengano resi spesso inefficaci. 

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Non  sono diversi  i  fattori dell’inquinamento  sonoro  e da vibrazioni,  che hanno  effetti nocivi sulla  salute umana non minori dell’inquinamento atmosferico. La CE  è  intervenuta anche  su questi aspetti riducendo progressivamente i limiti di emissione sonora dei veicoli che vengono immatricolati  e  richiedendo  alle  città  di  definire  le  proprie  “mappe  del  rumore”  e  di programmare gli interventi volti ad abbatterlo, specie nelle ore notturne. Dagli organi preposti al  controllo  ambientale  viene  però  riconosciuto  che  in  Italia  vi  sono  ritardi  e  inadempienze rispetto a quanto prescritto. Un  aspetto  importante  della  sostenibilità  del  trasporto  su  strada  sta  nel  consumo  di  risorse energetiche non rinnovabili o, in ogni caso, dall’utilizzo delle fonti energetiche necessarie per il funzionamento  dei motori.  Il  consumo  di  carburanti  per  autotrazione  supera  in  Italia  i  35 milioni  di  tonnellate  l’anno,  con  un  andamento  a  decrescere  della  benzina  e  a  crescere  del gasolio. Le  riserve mondiali accertate di petrolio  sono  tuttora  in  crescita: ai volumi attuali di consumo  assicurerebbero una prospettiva di  copertura  superiore  ai  45  anni. Tuttavia,  i  costi d’estrazione e di produzione sono quintuplicati negli ultimi dieci anni, mentre le prospettive di motorizzazione  di massa  nei  grandi  paesi  ora  in  fase  di  sviluppo  (Cina,  Brasile,  India,  ecc.) mettono  in  discussione  l’ipotesi  di  costanza  degli  attuali  livelli mondiali  di  consumo  degli idrocarburi. Le alternative di alimentazione dei motori finora proposte spostano il problema su altre  fonti  esauribili,  o  concentrano  l’inquinamento  nei  luoghi  di  produzione  dell’energia elettrica,  oppure  creano  problemi  di  sostenibilità  idrica  e  agricolturale  nel  caso  dei  bio‐carburanti ricavati da apposite piantagioni. L’impronta ecologica del trasporto su strada ha due componenti principali: una è misurata dalla superficie sequestrata direttamente dalle strutture stradali e di servizio; l’altra corrisponde alla superficie  forestale  che  sarebbe  necessaria  ad  assorbire  l’anidride  carbonica  prodotta nell’utilizzo  dell’energia  necessaria  allo  spostamento  e  alle  attività  connesse.  Possono  essere adottati diversi metodi per  la  sua  stima, arrivando a  risultati  sensibilmente diversi, dai quali però  emerge  in  ogni  caso  la  forte  posta  negativa  che  il  trasporto  su  strada  sottrae  alla sostenibilità ambientale complessiva del nostro paese.  La mobilità  delle  persone  e  delle merci  sul  territorio  è  un  fattore  vitale  per  una  comunità. Devono però essere incentivate le alternative al trasporto su strada, soprattutto nella sua forma d’uso individuale dell’automobile in percorsi brevi e routinari: tra quelle, il ritorno a modalità di  spostamento  ad  impatto  ecologico  pressoché  nullo,  come  il  camminare  e  lo  spostarsi  in bicicletta, oppure  l’uso dei mezzi pubblici o almeno collettivi, così da diminuire  il numero di mezzi  in  circolazione  e  ripartire  il  loro  carico  ambientale  su  un  più  ampio  numero  di viaggiatori. Per raggiungere questi risultati, un sagace equilibrio tra incentivi e divieti dovrebbe indirizzare  l’azione  di  autorità  locali  attente  alle  problematiche  ambientali  e  rispettose  delle regole già operanti. Nel trasporto delle merci, da un  lato va fatta una verifica dell’utilità dello spostamento anche  in un’ottica di  economia ambientale  (consumi a km 0), dall’altro, almeno sulle grandi e medie distanze, vanno incentivati i trasporti su mezzi alternativi rispetto a quelli su  strada. La  ricerca  tecnologica può  fare molto, ma gli  autoveicoli  a bassa  emissione  (LEV), infatti,  e  quelli  a  emissione  zero  (ZEV),  anche  se  presentano  aspetti migliorativi  rispetto  alla situazione  corrente,  rischiano  solo  di  spostare  il  problema  su  altre  forme  o  altri  luoghi  di inquinamento, a meno che le fonti energetiche utilizzate non siano effettivamente rinnovabili e a impatto ecologico globale nullo o assai ridotto. 

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“E’ davvero possibile prevenire gli incidenti stradali?” (E se sì, come farlo in modo razionale?) 

Franco TAGGI (ISS, Roma)  Per  quanto  possa  sembrare  paradossale,  esistono  precise  evidenze  del  fatto  che  gli incidenti  stradali  sono  (almeno  in  parte)  una  ineluttabile  espressione  del  sistema “circolazione”. Uno studioso  inglese  (Smeed, 1944), dimostrò  infatti negli anni  ’40 dello scorso secolo come esistesse, quale fosse il paese, una stretta correlazione (non lineare) tra il numero dei  suoi  abitanti,  il  numero  di  auto  in  questo  immatricolate  e  il  numero  delle morti nell’anno per incidenti stradali. Tuttavia, col passare del tempo si osservò che in certi casi il numero morti nell’anno era ben  inferiore alle previsioni del modello di Smeed e che questa riduzione avveniva  in paesi  che avevano preso  certi  specifici provvedimenti e  introdotto nuove  regole nella circolazione dei veicoli.  In base a  tutto questo si poté concludere che era possibile contrastare efficacemente  il fenomeno  degli  incidenti  stradali.  Meno  semplice,  tuttavia,  fu  stabilire  come  farlo razionalmente. Nella  relazione  si mostrerà  come  partendo  dai  dati  di  base  relativi  al  fenomeno  in studio  e  alla messa  in  luce,  tramite  l’uso  di  tecniche  epidemiologiche,  dei  fattori  di rischio  ovvero  di  caratteristiche  (del  conducente,  del  veicolo  e  della  strada)  che  se presenti  aumentano  la  probabilità  che  si  verifichi  l’incidente  stradale,  sia  possibile individuare valide azioni di prevenzione.  Tali azioni agiscono a diversi livelli: - un primo  tipo esplica  la sua  funzione prima che avvenga  l’incidente stradale, nel 

senso  che  lo  evita  del  tutto.  Una  guida  prudente,  col  conducente  in  stato  di sobrietà, è un esempio di questo. E’ abbastanza evidente come  l’educazione degli utenti della strada possa favorire su larga scala una sì auspicabile situazione; 

- un  secondo  tipo  di  azioni  interviene  durante  lo  svolgimento  dell’incidente, tendendo a minimizzarne gli  esiti. Per ben  comprenderci,  indossare  le  cinture di sicurezza  non  previene  certo  l’incidente  stradale,  ma  –  nel  malaugurato  caso dovesse succedere –  riduce non di poco i possibili danni alla persona; 

- un  terzo  tipo  è  relativo  al  dopo,  cioè  dopo  che  l’incidente  è  avvenuto,  e  va  dal primo soccorso prestato da chi è presente sul luogo, al pronto soccorso e successive cure in ambito ospedaliero; 

- il quarto  tipo è  infine  relativo al poi, dove con questo  intendiamo  l’insieme delle pratiche  riabilitative  e  quant’altro  occorra  per  reinserire  al meglio  nella  società l’infortunato.   

 Chiaramente,  in coda a  tutto questo esiste  il capitolo della valutazione dell’efficacia e dell’efficienza  delle  azioni  di  prevenzione,  fondamentale  per  comprendere  sia  come muoversi al meglio, sia cosa approfondire maggiormente. 

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Verrà  infine  svolta una valutazione  critica di quanto  ad oggi  fatto  (o non  fatto),  e di come fatto (o non fatto), nel settore della prevenzione degli incidenti stradali. Come si avrà modo di vedere, la strada da percorrere è ancora molta.  Esistono infatti molte incongruenze ancora presenti, incongruenze che si spera possano essere  eliminate  quanto  prima. A  questo  fine,  l’obiettivo  dell’Unione  Europea  per  il decennio 2011‐2020 può considerarsi una sorta di catalizzatore, così già in precedenza lo fu  l’obiettivo  2001‐2010,  i  cui  risultati  sono  a  testimoniare  come  un  serio  impegno generalizzato porti inevitabilmente a risultati di interesse sociale e sanitario.  

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RIASSUNTI  COMUNICAZIONI  Carbon dioxide concentration (CO2) in Rome in relationship with traffic 

density: the role of parks in air amelioration quality Loretta GRATANI, Laura VARONE (Sapienza Università di Roma) 

Carbon dioxide  (CO2) has been  recognized  as  the major global  change driver  accounting  for over  80%  of  all  greenhouse  gas  emissions  in  the  European  Union  (European  Environment Agency, report No 9/2009). The most part of global CO2 emissions is believed to originate from fossil  fuel  combustion  sources with  a  significant  contribution  from  traffic  (Rubio  et  al., 2002, Environ. Monit. Assess., 162: 209–217; Davis and Caldera 2010, PNAS, 107: 5687–5692).  It has been  hypothesized  that  CO2  emissions  from  road  traffic  worldwide  will  increase  by  92% between 1990 and 2020  (Gorham, 2002,    report  for  the United Nations and  the World Bank), affecting  the  environment,  health  and  economy  (Stevanovic  et  al.,  2009,  Transport  Res  Rec 2128:105–113;Santos  et  al.,  2010  Res.  Transportation  Economics  28:  46‐91).  Despite  the importance  of CO2,  the  exact magnitude  and  the  spatial distribution  of  its  emissions  remain poorly  quantified  (Nemitez  et  al.,  2002,  Environ  Sci  Technol  36:  3139–3146; Kordowski  and Kuttler  2010, Atmos  Environ  44:  2722–2730).  The  high  fuel  consumption  on  urban  streets  is associated with  driving  in  congested  traffic,  characterized  by  higher  speed  fluctuations  and frequent  stops  at  intersections.  Moreover,  traffic  density  and  speed  can  vary  significantly depending  on  distance  and  time  (Stevanovic  et  al.,  2009,  Transport  Res  Rec  2128:105–113). Concern  over  global warming has  resulted  in  an  international  investigation  into methods  of ameliorating the greenhouse effects and reducing CO2 concentration (Gomi et al. 2010, Energy Policy  38:  4783–4796).  Only  recently,  the  use  of  plants  to  ameliorate  urban  air  quality  has become  a  focus  of  research  (Gratani  and Varone  2006, Urban  Ecosyst  9:  27–37; Gratani  and Varone  2007, Landscape Urban Plan.,  81:  282‐286; Row  2011, Envion. Pollut.  159:  2100‐2110). Increasing  the  urban  green  areas  may  contribute  to  slow  CO2  concentration  by  their sequestration capability (Gratani and Varone 2011 Urban Ecosyst, in press).  We analyzed  the atmospheric carbon dioxide  (CO2) concentration  in streets of different  traffic levels and urban parks of different sizes in Rome. Rome represents an example of a mega‐city, where  the urbanization process has been  increasing over  the  last years,  and many new  sub‐urban areas have been built by scaling down free areas surrounding the city. CO2 concentration in Rome has been significantly increasing from 1995 to date due to the increase of private means of  transportation. Our  results  underline  that CO2  concentration  in  streets  located  in  the  city centre has a strong diurnal trend peaking  in the first hours of the morning when the traffic  is the highest, then decreasing at 3:00 p.m. and increasing again at 8:00 p.m., in relation to traffic level  variations.  It  is  attested  also  by  the  correlation  between  the  two  variables.  The  results underline the effect of buildings delimiting the urban streets on the CO2 concentration.   With  regards  to  urban  parks,  the  day‐time  CO2  trend  underlines  the  significantly  highest concentration during the night until the first hours of the morning, decreasing from 11:00 a.m. to 1:00 p.m., and then increasing at 8:00 p.m., in relation to the plant photosynthesis/respiration ratio. In particular, the increase of the photosynthetic rates over respiration around the middle 

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of  the morning  (Gratani  et  al.  1998,  Photosynthetica  35:  445–451;  Gratani  et  al.  2008,  Atm Environ 42: 8273–8277) contributes to lower atmospheric CO2 concentration inside the parks. A significant  difference  between  the  considered  streets  and  parks  was  observed  when  traffic peaked, the parks having a 15 % decrease in CO2 concentration than streets. More efforts should be made  to  further reduce CO2 concentration  in urban areas, such as  improving strategies  for encouraging  public  transport  instead  of  private  one,  suggesting  changes  in  local  transport according to the type of the street (i.e. large, narrow, limited by buildings, near to parks), and improving  diesel  vehicles with  respect  to  gasoline  and  biofuel  policies. Nevertheless,  urban vegetation cover can help to reduce the daytime CO2 flux (Coutts et al., 2007, Atmos Environ 41: 51–62; Gratani and Varone 2007, Landscape Urban Plan, 81: 282‐286; Gratani and Varone 2011 Urban  Ecosyst,  in  press).  In  particular,  urban  parks  reveals  the  extent  and  variation  of  this resource across a city, which provides an extensive view of urban vegetation (Nowak et al. 2006, Urban  For. Urban Gree.  4,  115‐123). Moreover,  plants  can  indirectly  reduce CO2    emissions associated with  electric  power  production  and  consumption  of  natural  gas  by  reducing  the demand for heating and air conditioning  in  the buildings  they shelter (McPherson et al. 1997, Urban Ecosyst 1: 49‐61; Shahmohamadi et al. 2010, International Journal of Physical Sciences, 5: 626‐636).  Without  detailed  local  data,  urban  forest  managers  cannot  easily  design  and implement  strategies  to maximize  a  particular  forest’s  desired  ecological  function,  and  thus protect and enhance its value (Millward and Sabir 2011).  

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Traiettorie tecnologiche e mobilità sostenibile nel settore automotive Giuseppe Giulio CALABRESE (CNR‐CERIS, Torino) 

Introduzione L’innovazione è spesso associata al  livello delle novità  introdotte e alle sue conseguenze. Può essere descritta  in  termini di continuità di cambiamenti da  incrementali a radicali  (Tidd et al., 2005),  in  termini  di  discontinuità  quando  l’emergere  di  tecnologie  dirompenti  portano all’individuazione di nuove prospettive di mercato (Christensen e Overdorf, 2000), o in termini di innovazione sistemica quando è richiesto lo sviluppo di beni e di competenze complementari (Teece, 1984).  Il modello  tipico usato nella  letteratura economica per descrivere  le dinamiche innovative si concentra principalmente sui processi di creazione, gestione e valorizzazione delle conoscenze  scientifiche  e  tecnologiche,  in  cui  generalmente  il  flusso  dei  processi  innovativi inizia  con  la  ricerca di  base  e  si  conclude  con  il  lancio del  prodotto,  passando  attraverso  la ricerca applicata e quella pre‐competitiva (Malerba, 2000). Tale modello è  stato  largamente adottato nel  settore automobilistico. Tuttavia, a partire dagli anni  ‘90,  le  case  automobilistiche  hanno  profondamente  ridefinito  i  modi  in  cui  i  veicoli vengono progettati, sviluppati e costruiti: riducendo il time‐to‐market, cambiando le strategie di prodotto,  e  introducendo metodologie  di  simultaneous  engineering.  Il  raggiungimento  di  tali obiettivi richiede meccanismi integrativi, l’abbandono delle attività sequenziali, la creazione di team per la gestione dei progetti e l’uso massiccio delle tecnologia dell’informazione (Calabrese, 2001). Ciononostante,  il  settore  automobilistico  è  considerato  un  settore maturo,  tecnologicamente dominato dalla carrozzeria autoportante e dal motore a combustione interna, caratterizzato da costi  fissi elevati,  spesso  inutilizzati e  irreversibili, ed elevata  fiscalizzazione alla produzione, soprattutto  in Europa. Ne  consegue  che per  ottenere  bassi  costi unitari  e  ridurre  i prezzi di vendita  sono  necessarie  elevate  produzioni  di  massa  (Wells,  2010).  Per  questo  motivo l’innovazione è nell’automotive, per la maggior parte, incrementale, conservatrice e orientata al processo (MacNeill e Bailey, 2010).   Lo mobilità sostenibile come occasione di cambiamento La mobilità sostenibile è  in qualche modo un’opportunità per  infrangere  tali consuetudini,  in quanto l’ambito di riferimento è più ampio della semplice progettazione di un’automobile che deve  inquinare  meno.  L’approccio  design‐driven  oltrepassa  i  processi  innovativi  indotti  dal problem‐solving, dalle esigenze del mercato (market pull) o dallo sviluppo tecnologico (technology push)  (Calabrese,  2010).  Inoltre,  i  requisiti  e  i  vincoli  imposti  dalla  mobilità  sostenibile dell’industria automobilistica  stanno diventando  sempre più  stringenti  e  rigorosi  evitando  in questo modo la commodificazione avvenuta nei prodotti elettronici. L’aumento  dei  prezzi  del  petrolio,  le  preoccupazioni  per  il  riscaldamento  globale,  e,  più recentemente,  la  diffusa  crisi  finanziaria  ed  economica  hanno  portato  i  diversi  attori  ad approfondire  maggiormente  le  tematiche  inerenti  la  fuel  economy.  Sebbene  molti  studi prevedano scenari dirompenti per l’industria dell’auto, lo stato dell’arte attuale è tutt’altro che chiaro, e numerosi miglioramenti sono ancora possibili, anche per le i propulsori tradizionali.  Ogni tecnologia di veicolo alternativo può essere collocata all’interno di una delle tradizionali fasi della R&S. L’esperienza acquisita finora sull’utilizzo dei gas naturali nella motorizzazione (GPL o metano) è particolarmente consolidata. Alcuni miglioramenti sono allo studio e possono 

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essere  collocati  all’interno  della  fase  della  ricerca  pre‐competitiva,  dal momento  che  si  sta sviluppando l’uso del metano sui veicoli a diesel e sui veicoli ibridi elettrici. Sebbene la Toyota Prius  sia un grande  successo  commerciale e molti  carmaker  stanno  lanciando modelli elettrici puri o  ibridi,  la  loro evoluzione  si può considerare ancora nella  fase della  ricerca  industriale, mentre  per  quanto  riguarda  le  fuel  cell  la  fase  della  ricerca  di  base  non  è  ancora  stata completata15. Un elemento  importante da sottolineare e che queste  tecnologie non sono sviluppate  in modo distaccato, ma piuttosto esse seguono traiettorie tecnologiche che si intrecciano reciprocamente, co‐evolvendo  e  rinforzandosi  vicendevolmente  attraverso  processi  di  apprendimento  (Dosi, 1982). La soluzione ottimale non è ancora emersa e tale situazione può favorire la condivisione degli investimenti. Le prestazioni del motore a combustione  interna sono essenziali per  i veicoli a metano e per  i biocarburanti, come pure negli ibridi elettrici e nei veicoli a idrogeno senza la presenza di celle a combustibile.  I  sistemi di  immagazzinamento del  gas  sono  simili nel GPL, nel metano  e nei veicoli ad  idrogeno, e possono essere utilizzati sia a bordo del veicolo sia presso  le stazioni di rifornimento. Sebbene alcune distinzioni, i sistemi di accumulo delle batterie sono comuni nelle diverse tipologie di veicoli elettrici. I sistemi elettronici di potenza sono comuni a molti veicoli alternativi  e  dal momento  che  le  celle  a  combustibile  sono  essenzialmente  dei  generatori  di energia, sono in fase di sviluppo anche per altri usi industriali.  Le tecnologie per i veicoli elettrici e gli sviluppi recenti nelle batterie rappresentano il potenziale più dirompente,  in quanto possono comportare  il cambiamento strutturale e architetturale dei veicoli (Aggeri et al., 2009), mentre  lo sviluppo nel motore a combustione  interna non cambia radicalmente  l’identità  dei  veicoli,  se  non  nella  riduzione  dei  pesi,  e  lo  scenario  per  le automobili ad idrogeno con celle a combustibile non è facilmente ipotizzabile.  La necessità di nuovi criteri valutativi La  disponibilità  di  automobili  ecocompatibili  rappresenta  un’opportunità  non  solo  per  i produttori, ma anche per i cittadini e i lavoratori. Tuttavia, questa opportunità è accompagnata da  una  serie  di  ostacoli,  come  ad  esempio  la  necessità  di  convertire  o  integrare  la  rete  di distribuzione e di definire standard comuni.  Inoltre, non vi è consenso sul confronto dei costi energetici  tra  i  diversi  metodi  di  propulsione.  Alcuni  esperti  ritengono  che  il  problema principale  sia  l’inquinamento  urbano,  che  può  essere  risolto  immediatamente  utilizzando  i veicoli a metano. D’altra parte, se si considera l’intero ciclo produttivo, alcuni studi concludono che  i veicoli  ibridi elettrici sono più ecologici di quelli a  idrogeno. Altri ritengono che  i  futuri sviluppi nei motori tradizionali, insieme all’uso di carburanti biologici o sintetici, porterà a una riduzione  del  30‐40  per  cento  dei  consumi  di  carburante,  e  al  massiccio  utilizzo  di  fonti energetiche rinnovabili. I sostenitori del motore a combustione interna affermano che i motori ibridi elettrici apportano solo un lieve miglioramento allo stato attuale delle cose e, in definitiva, sono troppo costosi per essere ampiamente utilizzati. Al contrario, i supporter dei motori ibridi elettrici ripongono le loro speranze sullo sviluppo delle batterie, per favorire l’utilizzo per i brevi spostamenti. In accordo con  i promotori dei  veicoli  elettrici, mettono  in  evidenza  i potenziali progressi  in  termini di ingombro, peso, potenza, sicurezza e tempi di ricarica.  15 I pochi prototipi che sono stati costruiti servono più come laboratori di ricerca che come veicoli simili a quelli attualmente in uso, inoltre le principali attività di ricerca sono ancora svolte dalle università e dai centri di ricerca.

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Tuttavia,  se  si  confrontano  i  veicoli  elettrici  con  i motori  a  combustione  interna  in  termini unicamente prestazionali, quest’ultimi risulteranno sempre vincenti (Beaume e Midler, 2009). Di conseguenza,  secondo  i  sostenitori  dei  veicoli  elettrici,  il  confronto  competitivo  deve  essere spostato  verso  nuovi  contenuti  di  valore,  come  la  silenziosità,  la  facilità  di  guida,  i  benefici ambientali  e  collettivi,  e  così  via.  Tale  convinzione  si  basa  sul  fatto  che  tendenzialmente  il successo  delle  tecnologie  distruttive  non  può  essere  normalmente  misurato  utilizzando  i parametri di efficienza derivati dalle tecnologie esistenti, ma devono essere considerati anche i nuovi valori  e  le nuove performance  autogeneratisi  rispetto  a quelle  convenzionali  (Bower  e Christensen, 1995). Fino ad ora,  le  case automobilistiche non hanno perseguito  soluzioni  tecniche ottimali, ma  si sono piuttosto  concentrate  su  limitate  strategie di profitto  (Freyssenet, 2009) o  sull’immagine della marca.  In  passato,  Peugeot‐Citroën  aveva  raggiunto  performance  eccellente  nei  veicoli elettrici,  ma  sono  stati  abbandonati  nel  1998  per  concentrarsi  sul  miglioramento  delle prestazioni ambientali dei motori a combustione  interna. Fiat ha seguito un percorso analogo, passando  dai  veicoli  elettrici  ai  veicoli  a metano.  Toyota  e Honda  hanno  sviluppato  e  reso affidabili i veicoli ibridi elettrici, ma gli altri modelli evidenziano emissioni superiori alla media. BMW  si  è  comportata  in modo  simile, utilizzando  l’idrogeno per  l’alimentazione diretta dei motore  a  combustione  interna.  Nissan  e  Renault  hanno  deciso  di  supportare  la  nuova generazione di batterie e proporre autovetture con un’autonomia sufficiente a percorrere medie distanze in zone poco densamente popolate. In sintesi, le strategie dei carmaker sembrano essere condizionate  dalla minimizzazione  del  rischio  e  dall’obiettivo  di  apparire  allo  stesso  tempo innovative e rispettose dell’ambiente.  La turbolenza che l’industria automobilistica dovrà affrontare dipenderà da quale standard alla fine prevarrà. Se le modifiche riguardano solo la tipologia di carburante con l’alternativa degli ibridi elettrici, i cambiamenti prevedibili nel settore non saranno particolarmente dirompenti, se l’elettricità sarà l’unico vettore energetico la metamorfosi sarà più radicale. Tuttavia, dal punto di  vista dei  sistemi di  energia  elettrica,  una diffusione massiccia di  veicoli  elettrici  potrebbe rappresentare  un  serio  problema  così  come  una  nuova  stimolante  opportunità.  L’elettricità necessaria per alimentare i veicoli elettrici deve essere resa disponibili a livello di distribuzione e  ci  sono  enormi  differenze  in  termini  d’impatto  globale,  a  seconda  che  essa  sia  prodotta localmente  da  fonti  rinnovabili  o  centralmente  attraverso  le  tradizionali  centrali  a  olio combustibile.  In  questo  caso,  è  probabile  che  appariranno  nuovi  attori  e  tenteranno  di appropriarsi  di  una  parte  significativa  del  valore  e  controllarne  la  ripartizione,  tra  questi:  i produttori  dei  nuovi  carburanti,  i  produttori  di  energia  elettrica,  i  produttori  di  batterie,  i produttori  di  celle  a  combustibile,  i  produttori  di  nuovi  sistemi  di  guida,  o  aziende  che progettano  e  producono  i  nuovi  sistemi  elettronici  di  potenza  e  le  funzioni  di  controllo  e regolazione (Freyssenet, 2009). Tuttavia, va notato che  l’elettrificazione dei veicoli non è affatto una soluzione definitiva alle emissioni  di  CO2  e  alla  sostenibilità  dell’industria  automobilistica.  L’obiettivo  delle  zero emissioni  richiede  non  solo  auto  pulite,  ma  anche  la  decarbonizzazione  completa  della generazione di energia elettrica.    

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Conclusioni La ricerca di nuovi metodi di propulsione per le automobili è oggetto di intenso dibattito a tutti i  livelli  a  causa  del  riscaldamento  globale,  delle  emissioni  degli  agenti  inquinanti  e  più  in generale per  la necessità di  sviluppare  in modo  sostenibile  l’industria  automobilistica.  In un prossimo futuro,  il panorama più probabile sarà  la coesistenza di un portafoglio di tecnologie sviluppate per soddisfare segmenti di utenti diversi,  in  termini di prestazioni del veicolo, con una predominanza dei veicoli convenzionali (EUCAR, 2009). In particolare per le auto elettriche è ipotizzabile che i modelli saranno meno general‐purpose e che determinate tecnologie saranno adattate  solo  per  esigenze  particolari,  ad  esempio:  i  veicoli  elettrici  puri  per  le  aree metropolitane; i veicoli elettrici ibridi leggeri per i pendolari e gli spostamenti intra‐provinciali; i veicoli elettrici  ibridi range‐extender per gli utenti che devono effettuare  lunghe distanze. Per quanto  riguarda  gli  scenari  meno  prossimi,  tutte  le  previsioni  sono  da  ritenersi  incerte  e discutibili: anche le più autorevoli analisi tendono in questo campo a sovrastimare la diffusione dei veicoli alternativi16 e a essere, purtroppo, smentite successivamente. La transizione verso autovetture più sicure ed eco‐compatibile evoca spesso una nuova visione della  mobilità  e  una  diversa  struttura  del  settore  automobilistico.  La  strada  intrapresa dall’industria  automobilistica  nell’integrazione  delle  esigenze  dello  sviluppo  sostenibile  è strettamente  connessa  a  come  queste  attività  sono  percepite  in  contesti  ambientali  che producono e usano  le automobili  (Jullien, 2008).  In particolare,  il  ruolo dell’automobile  come elemento di mobilità è  in  fase di  rinegoziazione e  implica  in primo  luogo decisioni di natura pubblica  in  termini  essenzialmente  di  regolamentazione  e  tassazione;  con  inevitabili conseguenze sui modelli di sviluppo delle imprese appartenenti alla filiera automobilistica e a quei territori altamente specializzati in tali attività.   Infine, l’evoluzione dell’industria automobilistica è indubbiamente influenzata dalle dinamiche interne  in  termini  di  flessibilità  e  inerzia  (path  dependence)  che  contraddistinguono  i  diversi sistemi  paesi  e  le  traiettorie  tecnologiche  dei  costruttori  automobilistici.  Tre  fattori  limitanti (lock‐in) sono individuabili:  − i modelli di business dei carmaker sono generalmente caratterizzati da avversione al rischio e 

dalla ottimizzazione dei risultati economici attraverso  il miglioramento continuo e  il taglio dei costi. 

− gli  atteggiamenti dei  consumatori  che  si  ritengono  soddisfatto dal motore  a  combustione interna in termini di performance e di costi facilmente preventivabili. 

− e le regolamentazioni ambientali che si è concentrata sui veicoli nuovi, mentre la riduzione dell’inquinamento  provocato  dal  parco  circolante  è  stato  raramente  preso  in considerazione17.  

 La questione  è  se  la  trasformazione  in  corso,  seppur  lenta  e  travagliata,  si  concluderà  con  il riposizionamento degli attuali attori coinvolti e  la coesistenza delle modalità convenzionali  in cui  vengono  utilizzate  le  autovetture  o  nella  formazione  di  una  nuova  configurazione industriale, come quella che si verificò tra i carmaker e le compagnie petrolifere e che, all’inizio del  XX  secolo,  portò  al  trionfo  del  motore  a  combustione  interna  a  discapito  delle  altre, 

16 In questo rapporto per veicoli alternativi si in tendono sia i veicoli che utilizzano carburanti alternativi (gas naturale e biocarburanti), sia motori alternativi alimentati da batterie elettriche. 17 Nell’Unione Europea, il 34% dei veicoli in circolazione hanno più di dieci anni.

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all’epoca,  più  efficienti  modalità  di  trazione  (Freyssenet,  2009).  In  tal  senso,  un  ruolo significativo  potrebbe  essere  assunto  dai  produttori  di  biocarburanti,  di  elettricità  o dell’idrogeno.  

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Impatto su atmosfera e clima del traffico stradale:  possibili strategie di mitigazione 

Natalia DE LUCA, Glauco DI GENOVA, Giovanni PITARI  (Università dell’Aquila) 

I  veicoli  stradali  circolanti  nel  mondo  (automobili,  trasporto  merci,  mezzi  agricoli  ecc.) contribuiscono  in modo  significativo  alle  emissioni  di  inquinanti  atmosferici  rilevanti  per  il clima globale e/o  la qualità dell’aria  locale,  in particolare CO2, CH4, NMHC  (idrocarburi non‐metanici), CO, NOx  (e quindi O3 come  inquinante secondario  formato  fotochimicamente), PM (cioè  aerosol,  prevalentemente  carbonacei  e  solforici),  SO2  (Uherek  et  al.,  2010).  La quantificazione  dell’impatto  climatico  in  termini  di  forzatura  radiativa  al  top  dell’atmosfera (RF) è ben assestata nel caso dei gas serra ben mescolati a causa dei  tempi di vita atmosferici molto lunghi (CO2, CH4), più incerta per i gas serra non ben mescolati (O3) e per gli aerosol (che possono avere dimensioni e micro‐composizione molto variabili) (IPCC, 2007). L’impatto sulla composizione atmosferica globale e locale è quantificabile in modo non ovvio, non solo a causa dei tempi di residenza molto variabili delle specie chimiche risultanti dalle emissioni dei veicoli, ma anche della esatta conoscenza e quantificazione dei processi fisico‐chimici responsabili della rimozione  degli  inquinanti  stessi,  delle  incertezze  sugli  inventari  e  scenari  di  emissione  e soprattutto  a  causa  delle  diverse  scale  spazio‐temporali  del  trasporto  atmosferico  che  può realizzare una  complessa  interazione non‐lineare  fra emissione  locale e  remota di  inquinanti,  con  sovrapposizione di  traccianti atmosferici di origine diversa. La valutazione d’impatto è a sua volta un problema non ovvio, non  solo  a  causa di  incertezze  riguardanti  il  calcolo della forzatura  radiativa  per  le  specie  ben mescolate  (e  soprattutto  gli  aerosol), ma  anche  per  la difficoltà di  stabilire  in modo  certo ed univoco gli effetti  sulla  salute umana e  sugli equilibri degli ecosistemi. Il presente studio si focalizza su due aspetti complessi legati alle emissioni del traffico veicolare:  (a) produzione  secondaria di ozono  e  (b) produzione di  aerosol  secondari, solforici, organici  (OC) e di carbonio nero  (BC). Vengono analizzati  i principali aspetti  fisico‐chimici di tali problemi, l’analisi dei trend globali e regionali, la sensibilità climatica e l’impatto sulla  salute, utilizzando  in modo  originale misure  locali di NOx, O3  e PM,  studi modellistici globali e studi di sensibilità climatica mediante un modello (validato) di trasferimento radiativo (Randles et al., 2012).    L’ozono  troposferico è uno degli  inquinanti di maggior  interesse per  i suoi effetti nocivi sulla salute  e  sulla  vegetazione  data  la  sua  elevata  capacità  ossidante. Gli  effetti  dell’ozono  sulla salute  umana  si  evidenziano  per  lo  più  a  carico  delle  vie  respiratorie:  concentrazioni relativamente basse di ozono provocano effetti quali bruciore agli occhi, irritazioni alla gola e al sistema  respiratorio;  concentrazioni  superiori  possono  portare  alterazioni  delle  funzioni respiratorie e della capacità polmonare, oltre che aggravare  l’asma ed altre patologie. Anche a basse concentrazioni l’ozono può danneggiare le colture agricole e gli ecosistemi. In particolare l’esposizione  delle  piante  all’ozono  induce  una  modifica  del  metabolismo  del  carbonio diminuendo la crescita e la produttività fino ad oltre il 30% nelle specie sensibili. In troposfera e bassa  stratosfera  l’ozono  inoltre  si  comporta  come  gas  serra,  poiché  assorbe  la  radiazione planetaria e di conseguenza influenza il bilancio radiativo del sistema terra‐atmosfera (forzatura radiativa,  RF).  Rispetto  al  periodo  pre‐industriale    l’ozono  è  notevolmente  aumentato  in 

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troposfera a causa dell’inquinamento antropico (maggiore emissione di precursori chimici) con RF=0.35 W/m2  (IPCC,  2007).  In  troposfera  l’ozono  è  formato  dall’ossidazione  di  idrocarburi volatili  (VOC)  in  presenza  di  ossidi  di  azoto  (NOx)  e  radiazione  solare;  il  trasporto  dalla stratosfera  è  un’altra  sorgente  importante  di  ozono,  specie  nella  troposfera  libera.  La deposizione secca è  la principale causa di rimozione di ozono superficiale, mentre  le reazioni chimiche con i radicali HOx sono il principale meccanismo di rimozione fotochimica. Una parte rilevante del NOx troposferico è di origine antropica e deriva da processi di combustione, come traffico  veicolare  ed  industrie  (21  Tg‐N/anno,  per  inventari  relativi  al  1995),  mentre  altre sorgenti importanti sono incendi di biomasse (12 Tg‐N/anno), attività microbica nel suolo (6 Tg‐N/anno), fulmini (3 Tg‐N/anno), ossidazione di NH3 (3 Tg‐N/anno ), emissioni da aerei (0.5 Tg‐N/anno), trasporto dalla stratosfera (0.1 Tg‐N/anno) (Jacob, 1999).   Osservazioni  satellitari di NOx  indicano una diminuzione di  circa  il  50%  in Europa  e Nord‐America negli ultimi 15 anni, largamente compensati da aumenti in Estremo Oriente. Il traffico veicolare  rappresenta  circa  il  15%  del  NOx  troposferico  e  circa  il  32%  del  NOx  di  origine antropica. Le variazioni geografiche di  cui  sopra  riflettono da un  lato  l’applicazione di  rigidi protocolli anti‐inquinamento nel settore dell’autotrazione, dall’altro il rapido aumento del parco auto circolante  in Cina ed India, soprattutto. La concentrazione media di NOx  in un certo sito (analogamente  ad  altri  inquinanti  atmosferici  primari)    è  determinata  soprattutto  dalle emissioni dirette, che presentano un’elevata variabilità diurna seguendo  il  ritmo delle attività antropiche (soprattutto il traffico veicolare). Anche le condizioni meteorologiche a piccola scala posso influenzare la concentrazione di NOx nei bassi strati, in particolare la minore o maggiore stabilità  atmosferica determina un più  o meno  efficiente mescolamento verticale delle  specie emesse a  terra e quindi una maggiore o minore rimozione degli  inquinanti dallo strato  limite atmosferico. La disponibilità di NOx determina in ultima analisi il tasso di produzione di ozono a  livello  troposferico,  per  cui  l’abbondanza  di O3  nello  strato  limite  è  fortemente  perturbata dall’attività  umana.    Per  capire  come  l’ozono  risponde  ai  cambiamenti  nell’emissione  di precursori è interessante studiare i trend dell’ozono di background, ovvero la frazione di ozono presente  in un dato sito e non attribuibile a sorgenti antropiche di origine  locale. Negli ultimi anni è cresciuto  l’interesse nel quantificare  le concentrazioni di background di O3 poiché esse determinano il limite inferiore per la sua riduzione dal controllo dei   precursori antropici.   Da diverse  osservazioni  è  accertato  che  l’ozono  di  background  sta  cambiando.  L’Aquila rappresenta  un  sito  di  misura  assimilabile  con  discreta  approssimazione  ad  un  sito  di background,  con  tassi di produzione  fotochimica  locale di O3  è molto  bassi  (Di Carlo  et  al., 2007).   Nel sito de L’Aquila  i trend hanno evidenziato una tendenza alla diminuzione di circa 0.6  ppbv/anno  dal  2004  al  2009,  rappresentativa  di  un  trend  generale  nell’area  sinottica mediterranea e collegabile ad una generale diminuzione delle emissioni di NOx  in  tale area, a seguito dell’applicazione di rigide misure comunitarie di controllo degli inquinanti (soprattutto con  protocolli  relativi  ai  motori  delle  automobili).  Gli  effetti  sull’ozono  troposferico  sono tuttavia  ancora  relativamente  “timidi”,  sebbene  ci  siano  molte  indicazioni  che  il  trend  di aumento degli anni 80‐90 sia ormai non solo stabilizzato ma, in alcune stazioni di misura, anche di segno negativo). Lo studio modellistico HTAP (Hemispheric Transport of Air Pollution) ha studiato  le  variazioni  di  O3  superficiale  (rispetto  al  2001)  dovute  a  una  riduzione  del  20% nell’emissione dei precursori antropici  (NOx, CO, CH4 e VOC) nelle quattro maggiori  regioni sorgente su scala continentale nell’Emisfero Nord (Est Asia, Europa, Nord America  e Sud Asia) 

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(Fiore et al., 2009). In Europa la diminuzione di O3 in risposta alla diminuzione locale del 20% dei precursori dell’ozono ha una  forte  stagionalità guidata  sostanzialmente dai NOx, con una media annua di circa 1 ppbv; la diminuzione causata dalla riduzione dei precursori nelle altre regioni sorgente è calcolata con un valore medio annuo di circa 0.6 ppbv e minore stagionalità. Utilizzando i trend misurati di ozono da siti di background con campioni di misura molto ampi (osservatori di Hohenpeissenberg in Germania e Jungfraujoch in Svizzera), si nota chiaramente che nell’intervallo di  tempo  2000‐2009  si  è  registrata una diminuzione di ozono di  circa  0.32 ppbv/anno nel sito di Hohenpeissenberg e di circa 0.10 ppbv/anno nel sito di Jungfraujoch.    Il  bilancio  degli  aerosol  atmosferici  in  un  sito  urbano  dipende  direttamente  dalle  emissioni locali  (principalmente  antropiche),  dalle  condizioni meteo  che  influenzano  la  rimozione  del particolato (irreversibile e mediante trasporto avvettivo e/o convettivo) e da eventuali eventi di trasporto  da  siti  remoti  (Pitari  et  al.,  2012).  In  condizioni  imperturbate  da  trasporto  remoto, l’andamento diurno  e  stagionale degli  aerosol  nello  strato  limite dell’atmosfera  è  fortemente correlato con quello degli altri inquinanti primari (CO, NOx), in quanto l’abbondanza in massa dipende principalmente dall’intensità delle sorgenti locali (combustioni e traffico in particolare) e dalla modulazione della rimozione convettiva in funzione delle condizioni meteo (insolazione, stabilità atmosferica ecc.). Le emissioni antropiche in sito urbano che direttamente influenzano la  popolazione  di  aerosol  sono  quelle  di  SO2  (che  è  poi  trasformato  in  una  lunga  catena  di ossidazione,  fino a  formare  solfato  che  condensa  in particelle di aerosol) e  carbonio organico (OC):  questi  aerosol  di  composizione  diversa  sono  entrambi  molto  solubili  e  quasi completamente  scatteranti.  In particolare  entrambi producono un  raffreddamento netto della superficie, dovuto  sia direttamente  allʹaumentata  riflettività,  sia  indirettamente  agendo  come nuclei di condensazione di nubi con aumentato  tempo di vita, che a  loro volta aumentano  la riflettività  equivalente  terra‐atmosfera.  Un  altro  tipo  di  aerosol  emesso  in  processi  di combustione  è  il  carbonio  nero  (BC)  che  è  inizialmente  poco  solubile  e  soprattutto  è  solo parzialmente  scatterante,  esibendo  una  rilevante  componente  di  assorbimento. Quest’ultima determina un  riscaldamento dello  strato  contenente BC  accoppiato  ad un  oscuramento della superficie sottostante e, se l’albedo superficiale è sufficientemente elevata, la forzatura radiativa risulta positiva. Come descritto in Pitari et al. (2012) la popolazione locale di aerosol può essere largamente  perturbata  da  trasporto  da  siti  remoti,  nel  caso  di  eventi  di  trasporto  di  polveri desertiche e/o di fumi di incendi.   Analogamente, anche  le emissioni veicolari di aerosol  in un sito specifico possono contribuire ad alterare  il bilancio globale e possono  in particolare alterare  il bilancio  in  siti  remoti. Studi effettuati all’inizio degli anni  ’80 hanno rilevato sull’Artico concentrazioni di BC  in  troposfera fino  ad  8  Km  paragonabili  con  quelle  rilevate  in  aree  urbane  a  latitudini  intermedie, evidenziando così il ruolo dei meccanismi di trasporto globale. Inoltre, la deposizione di BC su superfici  con  albedo  elevata  (ghiaccio,  neve)  ne  riduce  l’albedo  contribuendo  così indirettamente al loro riscaldamento. L’effetto netto è dunque analogo a quello di un gas serra, sebbene  agendo  sul  bilancio  della  radiazione  solare  entrante,  piuttosto  che  su  quello  della radiazione  infrarossa planetaria uscente. L’effetto netto  complessivo  risultante dall’emissione simultanea di BC ed OC (con effetti climatici antagonisti) da parte dei processi di combustione può  essere  caratterizzato  sinteticamente  dal  rapporto  BC/(OC+BC),  direttamente  collegato all’albedo di singolo scattering. Il BC attualmente costituisce il secondo contributo alla forzatura 

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radiativa su scala globale  (contribuisce per circa  la metà rispetto alla CO2 e più degli altri gas serra).    Il 58% del BC  emesso ha origine antropica  e di questo  circa un quarto  è dovuto alle emissioni derivanti dal trasporto su strada  (98.7% proviene da motori diesel e 1.3% da motori a benzina). Appare dunque evidente la rilevanza delle strategie di controllo delle emissioni di BC da parte dei motori diesel nella valutazione del cambiamento climatico. La maggior parte delle emissioni di BC proviene da paesi in via di sviluppo, a causa della normativa carente rispetto al controllo delle emissioni, con una tendenza ad aumentare. Cina ed India contribuiscono per  il 30% alle emissioni globali di BC, con un contributo cinese raddoppiato dal 2000 al 2006. Di tutta la  frazione antropica di BC,  la parte dovuta al  trasporto  su  strada è globalmente  stazionaria, esibendo  tuttavia un aumento  in Europa, dove  l’evoluzione dei dispositivi anti‐inquinamento per motori diesel  fatica a  compensare  il  forte aumento del parco  circolante.  In questo  lavoro sono presentati alcuni  risultati  relativi alla  forzatura  radiativa calcolata  in un sito di  interesse per  il caso di  trasporto di  fumi  (Pitari et al., 2012) ed alla sensibilità della  forzatura  radiativa globale rispetto alle emissioni dovute al trasporto su strada. Il BC al pari di tutti gli altri aerosol può provocare danni seri alla salute umana. Il sistema principalmente attaccato dal particolato è quello respiratorio e il fattore di maggior rilievo per lo studio degli effetti è la dimensione delle particelle  in  quanto  da  essa  dipende  la  capacità  di  penetrazione  nelle  vie  respiratorie.  Le particelle fini sono quelle che hanno il massimo impatto sulla salute dell’uomo perché quando vengono inalate arrivano fino ai polmoni, dove vengono adsorbite alla superficie delle cellule, creando  danni  seri  alla  salute.  I  gas  di  scarico  dei motori  diesel  sono  stati  classificati  come “probabili  cancerogeni  per  l’uomo”  dalla  Environmental  Protection  Agency  (EPA)  degli  Stati Uniti.  Studi  epidemiologici  hanno  dimostrato  l’esistenza  di  consistenti  e  significative associazioni  fra  tassi  di mortalità  giornalieri  e  a  lungo  termine  e  concentrazione  nell’aria  di particolato,  con  riferimento  in  particolare  al  cancro  polmonare  ed  alle  malattie cardiocircolatorie. Le particelle di aerosol possono inoltre contenere diverse sostanze organiche e  inorganiche  pericolose  per  la  salute  umana. Alcune  di  queste  sostanze  organiche  sono:  il benzene,  i  PCB  (bifenili  policlorurati)  e  gli  IPA  (idrocarburi  policiclici  aromatici); mentre  le sostanze  inorganiche più pericolose   sono  i metalli e  i composti contenenti zolfo. Il più noto e comune  IPA cancerogeno è  il benzo‐alfa‐pirene che è  risultato essere un potente cancerogeno per  gli  animali  da  esperimento  ed  un  probabile  cancerogeno  per  l’uomo  e  può  persino accumularsi nella catena alimentare.  Le emissioni non‐CO2 dovute al trasporto su terra hanno un effetto significativo sul clima, pari circa  al  20%  dell’emissione  antropogenica  totale  di CO2.  Il  controllo  delle  emissioni  di NOx tramite  restrizioni  normative  ha  ottenuto  risultati  positivi  sulla  stabilizzazione  dell’ozono troposferico, e sulla mitigazione degli effetti climatici ad esso associati. Tuttavia, soprattutto in Europa a causa della prevalenza della  trazione diesel, non si osservano  risultati analoghi per quanto riguarda le emissioni di BC, la cui riduzione fornirebbe un efficace mezzo di contrasto al cambio climatico nel breve termine a causa del breve tempo di permanenza del BC in atmosfera. Infatti,  la  riduzione  delle  sue  emissioni  produrrebbe  una  riduzione  del  riscaldamento  entro poche  settimane.  Lo  studio WMO/UNEP  (2011)  calcola  che  una  riduzione  significativa  delle emissioni di BC, insieme all’ozono troposferico ed al suo precursore CH4, può ridurre il tasso di riscaldamento globale alla metà e quello di riscaldamento dell’Artico di 2/3, insieme a tagli sulle emissioni  di  CO2.  Evitando  “picchi  di  riscaldamento”,  queste  riduzioni  possono  contenere l’innalzamento globale di  temperatura  entro  1.5˚C per  30  anni  ed  entro  2˚C per  60  anni. Per 

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quanto riguarda in particolare le emissioni dei motori diesel sono disponibili diverse tecnologie. 

Nuovi e più efficienti filtri anti particolato (DFP) possono eliminare oltre il 90% delle emissioni di BC, richiedendo tuttavia gasolio a bassissimo tenore di zolfo (ULSD). Un’altra tecnologia per ridurre  le emissioni di BC da parte dei motori diesel è  la conversione a metano per  i mezzi di trasporto pubblici. In India, questo ha portato ad una riduzione delle emissioni di BC, in termini di CO2 equivalente, tra il 10 ed il 30%.  Riferimenti Bibliografici 

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 Esposizione a benzene e stazioni di servizio Marco SCHIAVON, Marco RAGAZZI, Elena Cristina RADA   

(Università di Trento)  Tra  il  1982  e  il  1987  l’Agenzia  Internazionale  per  la  Ricerca  sul  Cancro  (IARC)  classificò  il benzene  come  composto  cancerogeno  per  l’uomo:  furono  infatti  rinvenute  correlazioni  tra l’esposizione  a  lungo  termine  a  benzene  e  lo  sviluppo di  forme  leucemiche,  specialmente  la leucemia mieloide acuta, confermate anche da studi recenti (Vlaanderen et al., 2011). Effetti non cancerogeni, in seguito ad esposizioni croniche, colpiscono comunque l’apparato ematopoietico e  consistono  prevalentemente  nello  sviluppo  dell’anemia  aplastica.  Gli  effetti  derivanti  da esposizioni  croniche  a  tale  inquinante  rivestono  importanza  maggiore  rispetto  a  quelli determinati  da  esposizioni  acute,  soprattutto  perché  gli  effetti  acuti  si  manifestano generalmente per concentrazioni molto elevate, difficilmente riscontrabili se non  in seguito ad eventi  eccezionali.  L’esposizione  a  benzene  avviene  prevalentemente  per  via  inalatoria, nonostante siano comunque possibili contaminazioni per via orale o tramite l’epidermide. Una volta assunto dall’organismo, il benzene tende ad accumularsi rapidamente nel midollo osseo e ad  essere  trasformato  nel  suo  epossido,  che  è  considerato  il  vero  agente  cancerogeno  e mutageno associato al benzene (HPA, 2007).  La progressiva riduzione del contenuto di benzene nelle benzine (oggi inferiore all’1% in molti Paesi,  inclusa  l’Italia) ha determinato una diminuzione delle emissioni da parte del traffico su strada. Nonostante tali miglioramenti, il settore dei trasporti contribuisce tuttora a più dell’80% delle  emissioni  di  benzene  in  Europa  (EEA,  2007).  Nelle  aree  urbane,  alcuni  studi  hanno dimostrato  che un’importante  fonte  addizionale di  benzene  è  rappresentata dalle  stazioni di servizio  e  distribuzione  dei  carburanti,  presso  le  quali  il  benzene,  composto molto  volatile, tende ad evaporare dai serbatoi delle automobili e dalle cisterne al momento del rifornimento. Da un recente studio effettuato presso la città di Ioannina (Grecia), è emerso un problema legato alle elevate concentrazioni di benzene che possono presentarsi nel raggio di 10‐20 metri dagli impianti di erogazione dei distributori e che possono superare i 20 μg m‐3, pari a quattro volte il limite da normativa  su base  annua,  con  il  conseguente  aumento del  rischio per  la  salute del personale  impiegato e della popolazione residente nelle vicinanze dei distributori (Karakitzios et al., 2007a). Bisogna infatti considerare che il contributo delle stazioni di servizio si somma a quello  del  traffico  stradale,  già  rilevante  in  aree  urbane.  I  risultati  di  tale  studio  hanno evidenziato come il personale possa essere facilmente esposto a concentrazioni medie comprese tra 15 e 52 μg m‐3, con punte di 85 μg m‐3  (Karakitzios et al., 2007b). Simili esposizioni medie (pari  a  44  μg m‐3)  sono  state  registrate  all’interno  di  uno  studio  compiuto  su  33  commessi impiegati presso alcuni distributori di benzina nell’Italia settentrionale (Carrieri et al., 2005). Nonostante  la dimostrata  importanza delle  stazioni di  servizio nel  rilascio del benzene,  sono ancora poche le indagini condotte presso tali sorgenti puntuali. Scopo di questo breve studio è dunque  giungere  ad una definizione del problema  rappresentato dalle  stazioni di  servizio  e distribuzione  dei  carburanti,  intese  come  potenziali  fonti  di  criticità  locali  in  termini  di emissioni di benzene.  In  tale  contesto diviene  importante  evidenziare  alcune  carenze di  tipo legislativo che caratterizzano la normativa sulla qualità dell’aria in vigore in Europa ed in Italia.  

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 La  prima  carenza  riguarda  il  sistema  convenzionale  di  monitoraggio  degli  inquinanti atmosferici, effettuato per mezzo di stazioni fisse di qualità dell’aria; la seconda fa riferimento al valore  limite di  concentrazione  in aria ambiente adottato per  il benzene; un ultimo aspetto è legato  ai  ritardi  della  normativa  italiana,  rispetto  a  quella  europea,  nel  recepimento  della direttiva  relativa  all’introduzione  dei  sistemi  di  recupero  dei  vapori  presso  gli  impianti  di distribuzione.  Il  numero  e  la  localizzazione  delle  stazioni  di  qualità  dell’aria  sono  stabiliti  tramite  la zonizzazione regionale o (nel caso delle provincie autonome) provinciale, strumento che si basa sulla definizione di aree con caratteristiche simili di qualità dell’aria, in termini di superamenti, tipi di sorgenti emissive, caratteristiche climatologiche o topografiche. L’eventuale superamento delle  soglie di valutazione  inferiori e/o  superiori per  ciascun  inquinante,  inoltre, determina  il numero minimo di stazioni  fisse per zona o agglomerato  (Gazzetta Ufficiale, 2010). Attuando tale criterio, vengono monitorate  le concentrazioni degli  inquinanti nelle singole zone ma non viene contemplata l’esposizione della popolazione residente, in quanto non si fa riferimento al problema legato alla vicinanza tra sorgenti di emissione e soggetti esposti; alcune criticità locali possono  quindi  sfuggire  al  monitoraggio  convenzionale,  che  si  limita  a  registrare  le concentrazioni  degli  inquinanti  normati  in  pochi  punti  di  misura,  non  necessariamente rappresentativi dell’effettiva esposizione della popolazione residente.   Il secondo aspetto critico riguarda l’adozione del valore limite di concentrazione adottato per il benzene: l’attuale normativa impone il rispetto, su base annua, della concentrazione media di 5 μg m‐3; sulla base di numerosi studi epidemiologici, l’Agenzia per l’Ambiente degli Stati Uniti (U.S. EPA) ha  introdotto  ed aggiornato, nel  corso degli ultimi decenni,  i  cosiddetti  Inhalation Unit  Risks,  fattori  di  tossicità  utilizzabili  per  il  calcolo  del  rischio  cancerogeno  legato  ad un’esposizione continua ad una determinata concentrazione media di  inquinante. Ipotizzando un‘esposizione, nell’arco di una vita, ad una  concentrazione media di benzene pari al valore limite da normativa, il rischio derivante risulterebbe compreso tra 1,1∙10‐5 e 3,9∙10‐5  (U.S. EPA, 1999). Poiché  il rischio di mortalità accettabile per  l’esposizione cronica agli  inquinanti emessi da una sorgente è considerato pari a 10‐6 (U.S. EPA, 2012), un’esposizione continua a 5 μg m‐3 comporterebbe un rischio non trascurabile.  Un ultimo aspetto critico riguarda il recepimento della Direttiva Europea 2009/126/CE da parte del Governo  Italiano,  previsto  entro  il  1°  gennaio  2012 ma  ancora  in  fase  di  attuazione;  la Direttiva  stabilisce  l’adozione  obbligatoria  del  sistema  di  recupero  dei  vapori  a  livello  delle singole pompe di benzina (Vapour Recovery System – Stage II) da parte dei gestori delle stazioni di  servizio.  Solo  recentemente  il  Senato  ha  espresso  parere  positivo  allo  schema  di  decreto legislativo  recante  il  recepimento della norma  (Senato della Repubblica, 2012).  Il principio di funzionamento dei dispositivi di  recupero dei vapori è semplice: al momento dell’erogazione della benzina all’interno del serbatoio dell’autovettura, una specifica pompa, situata all’interno della colonna dell’impianto, entra in azione; essa favorisce l’aspirazione dei vapori contenuti nel serbatoio dell’autovettura, per  avviarli  all’interno della  cisterna  situata  sottoterra,  tramite un tubo  coassiale  al manicotto dell’erogatore.  In  tal modo  si previene  la dispersione dei  vapori contenuti nella benzina e,  in particolare, del benzene. Considerando che  la normativa europea impone  che  l’efficienza  del  sistema  di  recupero  vapori  sia  superiore  all’85%  (Commissione 

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Europea, 2009),  si può prevedere  che  tali  sistemi possano comportare analoghe  riduzioni per quanto riguarda le concentrazioni in aria ambiente nei pressi delle stazioni.  Visto  il  potenziale  rischio determinato dai distributori di  benzina  e  considerata  l’assenza,  in Italia, di dati relativi a campagne di misura delle concentrazioni di benzene presso tali sorgenti puntuali, diviene importante pianificare un sistema di monitoraggio orientato al lungo periodo, con  il  duplice  obiettivo  di  tenere  sotto  osservazione  gli  attuali  livelli  di  concentrazione  e valutare l’effettivo beneficio derivante dall’introduzione dei sistemi di recupero dei vapori. Un monitoraggio mirato e dedicato alle stazioni di servizio consentirebbe,  inoltre, di  ricavare dei fattori di emissione per il benzene  presso tali sorgenti per giungere ad includere queste ultime all’interno degli attuali inventari delle emissioni. L’utilità di quest’ultimo passo si rifletterebbe anche  nella  possibilità  di  effettuare  simulazioni  numeriche  di  dispersione  degli  inquinanti sempre  più  accurate,  in  grado  di  contemplare  anche  sorgenti  di  emissione  il  cui  contributo finora non era stato quantificato. Infine, monitorata la concentrazione media di benzene presso le  stazioni  di  servizio,  diviene  immediata  la  stima  del  rischio  per  la  salute,  sia  a  livello  di personale impiegato che di popolazione residente nelle immediate adiacenze dei distributori.  La pianificazione di una campagna di monitoraggio è attualmente oggetto di studio da parte del  Dipartimento  di  Ingegneria  Civile  e  Ambientale  dell’Università  di  Trento.  Per  una preliminare valutazione delle priorità di intervento,  la densità abitativa rappresenta un valido indicatore, in quanto evidenzia le aree urbane per le quali sorgenti puntuali, che normalmente sfuggono  ai  monitoraggi  convenzionali,  possono  dare  luogo  ad  esposizioni  elevate  e coinvolgere un ampio numero di abitanti. Parallelamente, la densità abitativa è un indicatore di complessità del  tessuto urbano, poiché un maggior numero di abitanti per unità di superficie comporta un’elevata densità di unità abitative ed edifici che, come spesso accade, danno luogo alle cosiddette strutture a canyon urbano, ovvero arterie di traffico circondate da edifici su ambo i lati, all’interno delle quali la dispersione degli inquinanti è sfavorita per le limitate circolazioni di aria al  loro  interno. La presenza di stazioni di servizio  in aree ad elevata densità abitativa rappresenta  quindi  un  duplice  problema,  in  quanto,  oltre  all’elevato  numero  di  abitanti potenzialmente esposti,  la diluizione e  l’allontanamento degli  inquinanti sono ostacolati dalla morfologia del  tessuto urbano. Con  riferimento alla città di Trento,  in Figura 1 si  riporta una mappa della densità abitativa con evidenziate  le stazioni di servizio presenti: 4 distributori di benzina  sono  situati  in  aree  con  densità  abitativa  compresa  tra  5.000  e  10.000  ab  km‐2,  4  si trovano  in  aree  con densità  compresa  tra  10.000  e  20.000 ab km‐2, mentre  2 distributori  sono localizzati in aree ove la densità abitativa è superiore a 20.000 ab km‐2. 

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Figura 1: Mappa di densità abitativa del Comune di Trento con evidenziate le stazioni di servizio situate  all’interno dell’area urbana. 

Considerata l’inadeguatezza delle centraline fisse di qualità dell’aria nell’evidenziare situazioni critiche  presso  le  stazioni  di  servizio,  la  soluzione  per  un  efficace monitoraggio  presso  tali sorgenti  puntuali  consiste  nell’adozione  di metodi  non  convenzionali,  quali  campionamenti tramite  sensori  a  basso  costo  (come  i  sensori  a  film  spesso)  o  tramite  campionatori  passivi. Questi  ultimi  sfruttano  la  spontanea  diffusione  del  contaminante  all’interno  di  una matrice specifica, la quale, a campionamento ultimato, viene trattata chimicamente o termicamente per effettuare  il desorbimento dell’inquinante. Nel caso dei Composti Organici Volatili  (COV), di cui il benzene fa parte, il desorbimento chimico avviene tramite estrazione con soluzione di CS2 e successiva analisi al gascromatografo (Radiello, 2012). I tempi di esposizione dei campionatori sono generalmente compresi tra una settimana e un mese, a seconda del livello di inquinamento e della  simmetria del campionatore  (radiale o assiale), che  influisce  sul moto di diffusione.  Il risultato di un campionamento così condotto consiste nella valutazione di una concentrazione media  nell’arco  del  periodo  di  esposizione  dei  campionatori.  Informazioni  sui  picchi  di concentrazione  possono  essere  fornite  da  sensori  a  film  spesso,  i  quali  effettuano misure  in continuo e risultano molto comodi per le ridotte dimensioni e per la facilità di posizionamento. Il funzionamento si basa sul segnale di corrente indotta nella banda di conduzione dell’ossido semiconduttore  che  compone  il  film;  tale  corrente  viene  a  crearsi  in  seguito  al  rilascio  di elettroni provocato dalla reazione tra l’inquinante gassoso e le molecole di ossigeno atmosferico assorbite  sulla  superficie del  semiconduttore. La  concentrazione dell’inquinante  è  correlabile 

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all’intensità  di  corrente  prodotta  tramite  una  funzione  nota.  I  sensori  a  film  spesso  offrono buona precisione, ottima risoluzione e una discreta accuratezza, nonché un costo su base annua paragonabile a quello di uno stock di campionatori passivi comprensivo delle necessarie analisi sui campioni. Infine, la possibilità di inserire i sensori a film spesso all’interno di reti wireless di sensori (le cosiddette Wireless Sensor Networks) offre la possibilità di svolgere monitoraggi online, effettuabili  in  contemporanea  su  più  punti  di  campionamento.  Entrambe  le  tipologie  di campionamento  consentono  di  incrementare  la  risoluzione  spaziale  delle  misure  di concentrazione degli inquinanti, altrimenti limitate ad un unico punto di misura.  Riguardo  la  disponibilità  di  reti  wireless  si  segnala  che  in  Trentino  è  in  corso  una sperimentazione per  l’utilizzo di  sensori per macroinquinanti  (NO2, CO, O3)  con  funzione di sentinelle  ambientali  per  rilevare  eventuali  anomalie  sul  territorio.  L’estensione  al  benzene godrebbe della presenza di una piattaforma già operativa.  Ringraziamenti Gli Autori ringraziano  la Fondazione Trentina per  la Ricerca sui Tumori per  il supporto nell’attività  in corso e, in particolare, la Fam. De Luca per il prezioso sostegno finanziario all’attività di ricerca. 

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Le potenzialità della realtà virtuale per gli studi di sicurezza stradale

Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre) 

Una scienza non è tale se non dispone dello strumento della verifica, se non può accertare cioè la  validità dei  suoi modelli  teorici. Tuttavia, per  le  scienze  applicate, non  sempre  si pone  la dovuta  attenzione  alla necessità di  correlare  le  assunzioni  teoriche  ad un  adeguato  riscontro sperimentale.   Per  le  discipline  dell’ingegneria  civile  tale  situazione  si  verifica  ogni  qual  volta l’approssimazione dei risultati viene ritenuta compatibile con la gestione di opportuni gradi di sicurezza,  ed  è  questo  il  caso  dell’ingegneria  stradale,  almeno  per  quanto  riguarda  la determinazione  degli  standard  assunti  per  la  progettazione  geometrica  delle  infrastrutture. Essa, infatti, fonda le sue determinazioni su un’interpretazione delle leggi fisiche della dinamica e  della  cinematica  del  veicolo  che,  pur  indubitabili  nella  loro  formulazione  matematica, ipotizzano situazioni di  rischio e condizioni di guida  tanto apparentemente  logiche  tanto che non si è mai ritenuto necessario sottoporle al vaglio di una rigorosa verifica sperimentale.   E’ sufficiente correlare i sinistri alle cause per constatare come proprio alcune certezze fondate su semplificazioni di regole della fisica non sono più tali se interpretate alla luce delle molteplici relazioni che si determinano nell’ambito del sistema complesso che regola i rapporti tra l’uomo, il veicolo, la strada e il suo ambiente.  La  generale  consapevolezza  che  l’incidentalità  stradale  sia  da  imputare  a  molteplici responsabilità  induce  a  studiare  il  problema  in  termini  di  sistema,  tralasciando  le  inefficaci valutazioni  qualitative,  attraverso  attività  sperimentali  con  l’obiettivo  di  interpretare  la complessità del fenomeno circolatorio.  Per motivi  commerciali,  in  considerazione  delle  prestazioni  offerte,  è  stata  posta  particolare attenzione alle garanzie di sicurezza offerte dal veicolo. In ambito stradale si sono sviluppati gli studi  per  ottimizzare  i  provvedimenti di  sicurezza  passiva  e  il  comportamento dell’utente  è stato oggetto di  approfondite  ricerche da parte delle discipline psicologiche, ma nessuno dei temi trattati esce dai limiti specialistici degli studi di settore. In particolare, per quanto riguarda le  relazioni  che  intercorrono  tra  il  comportamento  dell’utente  e  le  caratteristiche  fisiche  e funzionali della strada, non emerge una considerazione reciproca degli studi condotti in settori disciplinari tradizionalmente molto distanti tra loro.  La psicologia del traffico analizza le condizioni di guida considerando le altre componenti come “invarianti”,  così  come  l’ingegneria  stradale  regola  le  sue  scelte  progettuali  con  stretto riferimento alle leggi della dinamica e della cinematica ipotizzando comportamenti dell’utente mai verificati sperimentalmente.   Se teniamo presente la complessità delle relazioni di causa ed effetto che determinano gli eventi incidentali, ciò non è logicamente condivisibile e, tra l’altro, ha consolidato l’ipotesi preconcetta che  sia  l’utente  il  primo  ed  unico  responsabile  del  sinistro.  In  realtà  numerosi  segnali conducono in altra direzione.  

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Tra questi  il più evidente è quello espresso da una  localizzazione ripetitiva degli eventi, che è un chiaro sintomo di anomalie della circolazione imputabili alla strada o alle sue condizioni di funzionamento. L’impossibilità di negare la rilevanza del fenomeno statistico ha improntato per anni la politica di gestione delle infrastrutture suggerendo due provvedimenti diversi ma altrettanto inefficaci.  Il primo  è  stato quello di orientare gli  investimenti per una bonifica dei  “punti neri”  che ha prodotto  risultati  del  tutto  deludenti,  in  quanto  fondata  sul  convincimento  che  il maggior rischio  locale  fosse  motivato  da  improprietà  viarie,  geometriche  o  funzionali,  localizzabili anch’esse in corrispondenza delle tratte caratterizzate da una più elevata incidentalità. Così non è,  e di  ciò  si  prese  atto  anche  a  livello  internazionale  sin dal  1995  quando,  in  occasione del convegno mondiale della strada  (Montréal)18,  l’esito di una pluriennale esperienza condusse  i ricercatori  francesi  ad  affermare  che  il  sintomo  di  un  malfunzionamento  non  coincide necessariamente con il luogo ove se ne rilevano gli effetti. Il secondo provvedimento, adottato diffusamente per ovvi motivi di compatibilità finanziaria, è stato  quello  di  imporre  criteri  restrittivi  per  la  circolazione  veicolare  che,  come  si  è  potuto dimostrare in seguito, se penalizza i livelli di servizio della strada oltre i limiti di una “normale” tollerabilità  da  parte  dell’utente,  hanno  il  solo  effetto  di  indurre  più  elevate  frequenze  di comportamenti a rischio.  Tali  considerazioni hanno  condotto  ad una  conferma nella necessità di  riprodurre  situazioni reali per analizzare fedelmente  i fenomeni. Tuttavia uno dei motivi primari per cui è prevalso l’uso di modellazione  teorica può attribuirsi alle oggettive difficoltà della sperimentazione sul campo.  Questa  infatti,  dovendo  tener  conto  del  comportamento  degli  utenti  in  diverse condizioni  di  circolazione,  pone  rilevanti  problemi  per  garantire  la  riproducibilità  e  la ripetitività delle misure.   Inoltre,  l’attività  sul  campo  risulta particolarmente  onerosa  sia  sotto  il profilo  temporale,  sia finanziario,  in  quanto  è  necessario  effettuare  un  numero  rilevante  di misure  per  renderne possibile  l’interpretazione  tramite  i metodi  dell’analisi  statistica.  In  considerazione  poi  della variabilità  delle  situazioni,  si  può  in  ogni  caso  analizzare  un  numero  limitato  di  casi  e  ciò rappresenta un limite rilevante per consentire una ge‐neralizzazione dei risultati.   Solo in epoca recente, giovandosi dello sviluppo delle tecnologie informatiche, alcuni ricercatori hanno  affrontato  il  problema  effettuando  campagne  di  misure  più  o  meno  complesse  che presentano  tutte  un  limite  comune:  quello  cioè  di  aver  indagato  un  caso  particolare dell’esercizio stradale, così strettamente confinato alle situazioni di prova che non è possibile ricondurlo  ad  una  teoria  generale  capace  di  spiegare  i  condizionamenti  indotti  dalle  scelte progettuali sul comportamento degli utenti. Ciò che invece è stato posto chiaramente evidenza da campagne di misura è l’insufficienza dimostrata dai tradizionali criteri di progettazione per garantire  adeguate  condizioni  per  la  sicurezza  attiva  della  strada  nelle  attuali  condizioni  di circolazione.   

18 Rapport du Comité C13 Sécurité routière – France “Problèmatique des point noirs” – XXe Congrès mondial de la route-

AIPCR Montreal, Septembre 1995

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E’ stata questa considerazione a stimolare un’attività di studio e  ricerca protrattasi per alcuni anni che, pur con esiti alterni, ha prodotto risultati che si ritengono meritevoli di considerazione e che hanno trovato riscontro in ambito accademico, sia nazionale, sia internazionale.   Per dare ordine alla trattazione si è ritenuto opportuno seguire l’ordine dei problemi, così come questi si sono presentati, al fine di dar ragione dell’evoluzione del processo speculativo che ci ha condotto a proporre una nuova strategia per la ricerca sperimentale fondata sulle verifiche in realtà virtuale.  Nei  primi  anni  della  nostra  attività  si  è  sviluppata  la  ricerca  di  base  percorrendo  itinerari tradizionali  e  analizzando  quelle  situazioni  che  almeno  intuitivamente  apparivano  più significative  sotto  il  profilo  della  sicurezza  d’esercizio.  Tuttavia,  più  si  approfondiva  il problema, più ci si rendeva conto della scarsa attendibilità dei modelli sino ad allora adottati per garantire scelte progettuali sicure.  Pertanto, proprio allo scopo di interpretare correttamente il fenomeno incidentale si è ritenuto necessario indirizzare l’attività di ricerca allo studio sistematico delle relazioni di causa/effetto che,  tenendo  conto di  tutte  le  variabili  coinvolte  caratterizzano  quei malfunzionamenti della circolazione veicolare che comportano più elevati livelli di rischio. Nello  sviluppare questa  linea di  ricerca  si  sono  incontrate notevoli difficoltà. Le banche dati disponibili,  sebbene  progressivamente  migliorate,  descrivono  uno  scenario  d’incidentalità aggregato,  dal  quale  possono  trarsi  alcune  indicazioni  di  carattere  generale  insufficienti  per correlare  gli  incidenti  alle  cause  che  li  hanno  determinati.  Per  gran  parte  della  rete  non  è possibile infatti coniugare la frequenza degli eventi al carico di traffico e ciò impedisce sin anche un’attendibile valutazione delle serie storiche del fenomeno incidentale.  Si è cercato allora di superare  tali difficoltà  incrociando dati  tratti da  fonti diverse, sono stati proposti  e  validati  statisticamente modelli  atti  a  ridurre  l’indeterminatezza  imputabile  agli eventi  non  localizzati,  si  sono definiti  criteri  oggettivi  per distinguere  i  sinistri derivante da eventi casuali rispetto a quelli più direttamente imputabili alla strada. Anche questa fase del percorso di ricerca ha contribuito in modo determinante ad approfondire un fenomeno che per sua natura è particolarmente complesso, ma una svolta decisiva in termini positivi  si  è  realizzata  solo  quando  si  è  passati  dalla  speculazione  teorica  alle  indagini  sul campo.  Allo  scopo  si  è  reso  necessario  acquisire  adeguate  attrezzature  al  cui  finanziamento  hanno concorso  sia  canali  istituzionali,  sia Enti diversi.  Inizialmente  ci  si  è dotati di un  laboratorio mobile per i rilievi sul campo, sia puntuali per l’accertamento delle geometrie locali, la verifica dei  deflussi meteorici  e  l’aderenza  offerta  dalle  pavimentazioni,  sia  per  il  rilievo  visuale  in condizioni di marcia.  Successivamente  si  è  acquisita  un’autovettura  di  media  cilindrata  allestendola  con  la strumentazione necessaria per monitorare  i principali parametri psicofisiologici dell’utente  in diverse  condizioni  di  guida.  Infine,  senza  presunzione  di  completezza,  si  è  allestito  un laboratorio di simulazione che, già nella sua fase di taratura, ha espresso notevoli potenzialità per realizzare quelle campagne di misure  in realtà virtuale che sarebbe  impossibile realizzare diversamente. 

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Citazione  particolare merita  il  sistema  di  simulazione  di  guida  in  realtà  virtuale  i  cui  due principali  requisiti del  sistema  riguardano un  elevato  livello di  realismo della  simulazione  e un’architettura  informatica  sufficientemente  versatile,  in  grado  di  rappresentare  la  strada secondo  i  consueti parametri di progetto, dalle geometrie plano  altimetriche,  alle  tipologie  e arredo  delle  sezioni,  dalle  condizioni  di  traffico  all’ambito  circostante.  Parte  integrante  del sistema di simulazione è l’insieme delle attrezzature concepite per generare stress codificati in particolari condizioni di guida  (ad es. abbagliamento), e  l’insieme dei  sistemi,  tradizionali ed avanzati,  per  la  caratterizzazione  dell’utente  sotto  il  profilo  psico‐fisico. Questi  ultimi  sono utilizzati sia per la fase preventiva alla prova, sia per la sua esecuzione, sia per la fase successiva di riposo. Inoltre il sistema prevede durante la prova l’acquisizione della frequenza cardiaca e la registrazione video. Quest’ultima, in particolare, consente inoltre di estrarre ulteriori parametri significativi  rispetto  alla  definizione  di  alcune  grandezze  psicofisiche  di  riferimento  per  lo studio dei  comportamenti  e delle  reazioni  individuali: dai movimenti del bulbo  oculare,  alla frequenza di chiusura delle palpebre, dalla mobilità dello sguardo a quella del capo.  All’assetto attuale dei laboratori si è pervenuti in un arco temporale di alcuni anni, nel corso dei quali  è  stato  l’esito  degli  studi  a  suggerire  quali  attrezzature  fossero  più  opportune  per verificarne i risultati.  Per meglio presentare sia  la versatilità, sia  le  rilevanti potenzialità delle metodologie poste  in essere si  illustrano alcune applicazioni sviluppate negli anni descrivendone sinteticamente gli aspetti salienti.  Una  prima  linea  di  ricerca  da  illustrare  ha  come  obiettivo  quello  di  offrire  un  supporto  al processo di progettazione stradale,  infatti  in esso, dopo   aver analizzato  i principali standard geometrici   tenendo conto del comportamento degli utenti  in relazione alle diverse condizioni di esercizio, è possibile disegnare una prima soluzione progettuale che, pur tenendo conto della funzionalità  sistemica  dell’infrastruttura,  deve  essere  verificata  sotto  il  profilo  prestazionale valutandone  l’incidentalità attesa di breve e medio periodo  (European Directive 2008/96/CE). Questo  passo  non  è  eludibile  ed  è  certamente  il  più  importante  di  tutto  il  procedimento  in quanto,  indipendentemente  dalle  capacità  del  progettista  di  interpretare  uno  scenario  che  è sempre di  rilevante  complessità, potremmo valutare positivamente  le  sue  scelte  se  la verifica consentisse di  prevedere  un  livello d’incidentalità  imputabile  alla  strada  compatibile  con  gli obiettivi che s’intendono perseguire sia nel caso di nuove realizzazioni, sia per gli interventi sul patrimonio.   Elemento  essenziale  di  tale  processo  è  la  determinazione  delle  possibili  conseguenze  del comportamento  degli  utenti  in  relazione  alle  esigenze  di  guida,  agli  stimoli  esterni  e  alle sollecitazioni indotte dalla strada, posto particolare riferimento all’effettuazione delle manovre in debito di  sicurezza. E’  questo  il  caso di  condizioni di  interferenza  veicolare  non  tollerate dall’utente che sfociano in manovre a rischio: urti frontali, frontali‐laterali, tamponamenti, ...ecc.  In relazione agli scontri frontali e frontali laterali generati da manovre di sorpasso in condizioni limite di sicurezza, lo studio ha analizzato il rischio assunto dagli utenti nell’effettuare ciascuna manovra  di  sorpasso  in  diverse  condizioni  di  densità  veicolare.  Sono  stati  preliminarmente 

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stimati  i  sorpassi  “sicuri”  tenendo  conto delle visuali  libere  con  riferimento  a  cinque  scenari caratterizzati  da  un  traffico  crescente,  si  è  condotta  quindi  la  sperimentazione  rilevando  i sorpassi realmente effettuati, quelli rinunciati, quelli a rischio e quelli  incidentati. L’analisi dei risultati ha  consentito di valutare  la variabilità della  soglia di  rischio accettata dagli utenti  in funzione del disagio derivante da un carico veicolare crescente. Per quanto riguarda il tamponamento, lo studio, tenendo conto degli effetti indotti dal carico di traffico  sul  comportamento  degli  utenti,  ha  analizzato  il  rischio  correlato  alle  distanze  di sicurezza verificandone la probabilità e la gravità al crescere della densità veicolare (5 scenari di traffico espressivi dei diversi livelli di servizio). L’elaborazione dei dati di output, espressivi sia delle  condizioni di moto del  conducente  in prova,  sia delle  relazioni  spazio/temporali  che  si determinavano con  il veicolo che precede, ha  fornito  indicazioni per valutare  in  funzione dei livelli  di  servizio  la  variabilità  sia  del  rischio  soggettivo  accettato  dall’utente,  sia del  rischio oggettivo derivante dalla diversa probabilità e gravità dell’evento.   Si  citano,  infine,  i  risultati  di  2  ricerche  sviluppate  per  valutare  l’efficacia  di  scelte  nei provvedimenti legislativi:  ‐ l’installazione dei pannelli a messaggio variabile  richiede una  regolamentazione circa  la 

localizzazione e i contenuti del messaggio stesso; ‐ l’uso di dispositivi audio accessori ai telefoni cellulari durante la guida.  Nel primo studio si sono esaminati 10 differenti messaggi selezionati su proposta della ricerca Easyway  il  cui  obiettivo  è  quello  di  omogeneizzare  i messaggi  sui  pannelli  dell’intera  rete stradale europea. Durante la guida l’utente ogni volta che incontrava un pannello ne descriveva il messaggio e il significato da lui percepito. Questa valutazione veniva quindi incrociata con le elaborazioni dei dati di  output della  simulazione descrittivi delle  condizioni di moto.   Dalla ricerca è emersa  l’importanza di omogeneizzare preventivamente  la  simbologia utilizzata dal Codice della  Strada di  ciascun Paese,  in  quanto  la  semplicità del messaggio  e  quindi  la  sua corretta comprensione non è collegata alla brevità del messaggio stesso, scritte brevi e nessun pittogramma, bensì a simboli noti e “attesi”. Per  quanto  riguarda  lo  studio  del  comportamento  degli  utenti  alla  guida  durante  le conversazioni  tramite  telefono  cellulare,  le  sperimentazioni  condotte  hanno  analizzato molteplici aspetti: ‐ le performance alla guida di utenti  impegnati  in conversazioni  telefoniche con differenti 

modalità: handheld, kit vivavoce, kit auricolare; ‐ l’influenza  delle  informazioni  fornite  dagli  scenari  di  guida,  quali  le  differenti 

caratteristiche geometriche del tracciato stradale ; ‐ la valutazione delle differenti velocità di percorrenza e come le stesse vengano influenzate 

durante le sopraggiunte chiamate; ‐ il comportamento in caso di eventi singolari, quali ad esempio una frenata del veicolo che 

precede, per la valutazione dei tempi di reazione. Dalle consuete analisi dei parametri descrittivi delle condizioni di moto è emerso che gli effetti principalmente  riscontrati  riguardano  la  velocità  longitudinale  di  marcia,  che  si  riduce  in generale durante  la conversazione  telefonica  (maggiormente con un  telefono palmare rispetto alle  altre modalità)  e  indipendentemente  dalle  geometrie  del  tracciato.  Tale  riduzione  deve  essere  interpretato  come  un  tentativo  di  compensare  il  maggior  carico  di  lavoro  mentale. 

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L’influenza  delle  caratteristiche  geometriche  è  risultata  irrilevante. Non  sono  state  registrate significative dispersioni di  traiettorie e quindi necessità di  correzioni  improvvise di manovre trasversali. L’utente pertanto, consapevole di un possibile  rischio aggiuntivo, adotta un atteggiamento di guida più prudente e riduce il livello di rischio individuale agendo sulla velocità e quindi senza aumentare i tempi di reazione.  

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L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni  di un’infrastruttura viaria

Claudia GUATTARI, Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre) ‐ Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI (I.R.I.D.E., ROMA) 

Introduzione  

Negli  ultimi  anni  è  stata  posta  particolare  attenzione  all’inquinamento  ambientale,  con particolare  riferimento  ai  livelli  di  qualità  dell’aria  e  alla  presenza  in  atmosfera  di  gas climalteranti.  Il problema  investe  tutti  i paesi, portandosi ad una scala di  importanza globale come  testimoniano  i  numerosi  tentativi  di  trovare  strategie  comuni  per  la  ricerca  di  uno sviluppo ambientalmente sostenibile. A partire dal Protocollo di Kyoto  (2002/358/CE, 2002),  il quale pone  importanti obiettivi a  livello mondiale di  riduzione dei “Gas Serra”, alla direttiva (2009/28/CE, 2009) che pone l’ambizioso obiettivo di ridurre i gas serra del 20% entro il 2020. In recepimento di tali importanti direttive, in Italia, sono state poste in essere numerose strategie per  il miglioramento della qualità dell’aria  sia  a  livello nazionale  che  a  livello  regionale  con l’introduzione  dei  piani  di  risanamento  della  qualità  dell’aria  (Bonanni,  et  al.,  2006).  In  tale ambito  il ruolo delle  infrastrutture viarie ricopre un posto di primordine, rappresentando una fonte di inquinamento atmosferico molto spesso non trascurabile. Il problema si sposta quindi sugli attuali strumenti previsionali di  inquinamento atmosferico, strumenti che permettono di guidare  i  tecnici  del  settore  ad  effettuare  pianificazioni  che  permettano  di  raggiungere  gli obiettivi  prefissati,  attraverso  un’elevata  affidabilità  e  una  rispondenza  tra  gli  scenari  teorici simulati e i dati di controllo derivanti dalle centraline di controllo della qualità dell’aria.  Nel panorama nazionale ed  internazionale  sono ormai affermati a  tale  scopo modelli definiti “statici” che fanno riferimento a parametri medi e costanti, sia nel tempo che nello spazio. In tali modelli,  le emissioni sono principalmente funzione della velocità media  tenuta  lungo  la  tratta analizzata.  Se  tale  assunto  può  essere  ritenuto  valido  in  alcuni  casi  (flussi  veicolari  bassi  e velocità  costanti),in  molti  altri,  soprattutto  a  causa  dell’aumento  dei  traffici  veicolari,  tale condizione  risulta  non  rispondente  ai  reali  livelli  emissivi.  Occorre  pertanto  superare  tali limitazioni per valutare in maniera globale il fenomeno emissivo estendendo l’affidabilità delle valutazioni a tutti le condizioni di deflusso possibili sulle infrastrutture. La  presente  ricerca  si  pone  l’obiettivo  di  abbinare  modelli  di  calcolo  emissivo  basati  su parametri di valutazione  istantanei, ovvero  che  tengano  conto della variazione dei parametri emissivi  al  variare  del  tempo,  con  uno  strumento  che  permetta  la  valutazione  del  reale comportamento di guida degli utenti sull’infrastruttura, partendo così da cicli di guida reali e non meramente  teorici quali velocità di progetto o, nella migliore delle  ipotesi,  la velocità di esercizio. 

Metodologia 

Gli strumenti Al  fine  di  caratterizzare  il  comportamento  degli  utenti  durante  la  guida  ci  si  è  avvalsi  del simulatore  di  guida  STI  del  laboratorio  di  Realtà Virtuale  del  Centro  Inter Universitario  di Sicurezza Stradale (CRISS). Numerose attività di ricerca e sperimentazioni hanno confermato la validità  e  l’affidabilità  dello  strumento  (Bella,  2005)  (Benedetto,  et  al.,  2003).  Il  simulatore  è installato all’interno di un veicolo reale,  tale accortezza permette di avere sensazioni di guida reali durante la sperimentazione. L’immagine della simulazione è proiettata davanti al veicolo e 

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ai  lati,  in  modo  da  poter  coprire  un  angolo  di  visuale  pari  a  135°.  La  parte  acustica  del simulatore, è installata all’interno del veicolo, al fine di simulare al meglio la reale acustica del veicolo stesso.  Il simulatore di guida permette di registrare, in maniera pseudo istantanea ‐ una stringa di dati ogni  0.3  secondi  – una  serie di parametri utili  allo  studio  e  all’analisi del  comportamento di guida degli utenti. In particolare, citando alcuni degli output principali registrabili: 

• Tempo Trascorso; • Accelerazione longitudinale; • Accelerazione Trasversale; • Velocità longitudinale; • Velocità Trasversale; • Distanza Percorsa; • Distanza dal centro della carreggiata; • Curvatura del veicolo; • Curvatura della carreggiata; • Angolazione del veicolo; • Angolazione del volante; • Pressione registrata sul pedale dell’acceleratore; • Pressione registrata sul pedale del freno; • Indicatori direzionali e segnalatori acustici (clacson); • Marcia inserita; • Tassi di deviazione del veicolo lungo le tre direzioni (x,y,z) 

Ognuno di  tali output può essere utile alla definizione di  indicatori che siano rappresentativi del comportamento di guida dell’utente, nello scenario simulato. Un ulteriore aspetto utile allo studio del comportamento di guida è  la possibilità di realizzare scenari ripetibili nelle stesse condizioni per tutti i driver della simulazione. Tale caratteristica da la possibilità di realizzare comparazioni oggettive nello stile di guida dei diversi driver, facendo agire  in maniera  controllata gli utenti  con  le  condizioni a  contorno  che  si vogliono  simulare, giungendo così alla definizione degli elementi che influenzano il comportamento di guida.  

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Figura 9 

In  ultimo,  all’interno  dello  scenario  possono  essere  inseriti  una  serie  di  veicoli  che  vanno  a costituire  un  “flusso  interferente”  con  il driver. Tali  veicoli  oltre  a possedere un’intelligenza virtuale – hanno la capacità di fermarsi al rallentare dei veicoli, possono accodarsi ed effettuare manovre utili ad evitare la realizzazione di eventi incidentali – possono essere “preimpostati” in maniera tale da ripetere un’azione in un determinato istante o in un preciso punto spaziale. In questo modo  è possibile  sottoporre  il  campione dei driver  alle  stesse  condizioni di  scenario, potendo così analizzare gli output di simulazione in maniera oggettiva.  

Il campione di utenti e la validazione E’  stato  selezionato  un  campione  omogeneo  di  driver  a  cui  sono  state  sottoposte  le  stesse condizioni  di  guida,  al  fine  di  evitare  distorsione  dei  dati  indotti  da  :  attitudine  dei  driver, esperienza  di  guida,  età,  livello  di  stress,  stato  emotivo  o  neuro‐cognitivo  o  altri  fattori.  La composizione del campione ha previsto 35 soggetti (10 donne e 25 uomini di età media 35 anni con range di variazione compreso tra i 20 e i 50 anni). 

La validazione statistica Attraverso  un metodo  statistico  basato  sulla  verifica  della  stabilità  dei  parametri medi  –  la convergenza  dei  valori medi  di  velocità  tenuti  da  ciascun  driver  (Benedetto,  2002)  –  è  stato valutato che il numero dei partecipanti è significativo dal punto di vista statistico e assicura una corretta interpretazione di dati ottenuti. Inoltre, per escludere i valori anomali, è stato utilizzato il criterio di Chauvenet. Tale criterio è un metodo statistico utile per valutare l’affidabilità degli output  di  simulazione  (Benedetto,  2002).  Coerentemente  a  quanto  sin  qui  detto,  per  ogni scenario alcuni driver sono stati esclusi in quanto hanno mostrato un comportamento anomalo durante la guida, in particolare in termini di velocità media registrata.  

La Procedura Seguendo  le  rigorose  procedure  previste  per  le  simulazioni  di  guida  in  realtà  virtuale,  ogni driver ha dovuto eseguire una procedura di “training”. Al termine di questa fase i driver, sono stati  invitati a percorrere  i due scenari simulati di strada  in tre differenti condizioni di traffico per ogni scenario, senza alcun  limite di velocità  imposto.  I driver erano  in grado di vedere  la loro velocità sul tachimetro e scegliere  liberamente  la propria velocità  in funzione di quanto a loro  suggerito  dallo  scenario  stradale.  In  particolare,  lo  Scenario  (A)  rappresentava  una geometria  autostradale, mentre  lo  Scenario  (B)  rappresentava  una  geometria  di  una  strada extraurbana  principale.  Come  accennato  ogni  scenario  è  stato  percorso  in  tre  differenti condizioni  di  traffico  che  possono  essere  qualitativamente  riassunti  in:  Flusso  Basso  (LIF), 

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Flusso  Medio  (MIF)  e  Flusso  Alto  (HIF).  Le  due  geometrie,  combinate  alle  tre  differenti condizioni di flusso, hanno generato 6 differenti scenari.  

I Modelli Statici 

Negli anni recenti, attraverso molteplici progetti Europei, sono stati sviluppati diversi metodi di valutazione delle emissioni di tipo Statico. Nel 2003 è stato sviluppato, il progetto EMEP/CORINAI “emission inventory guidebook 3rd edition” (EMEP/EEA, 2003). La correlazione tra emissione e velocità media, in tale studio, veniva calcolato attraverso l’equazione 1 

                  (1) Dove: EF: Rappresentava il fattore di emissione della CO V: il valore di velocità media espressa in Km/h Questa correlazione può essere applicata a veicoli di tipo Euro 1. Per quanto riguarda modelli più avanzati come ad esempio gli Euro 3, il valore viene calcolato come una riduzione % delle emissioni trovate con la formula precedente. Per quanto riguarda l’Euro3 tale valore è di circa il 44%. Una versione più moderna dello stesso progetto è “l’EMP/EEA air polluttant emission inventory guidebook – 2009” (EMEP/EEA, 2009). In questo nuovo modello la correlazione tra emissioni e velocità media è fornita dall’equazione 2: 

                      (2) Dove a = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a +7.17E+01 b = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a +3.54E+01 c = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a +1.14E+01 d = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a ‐2.48E+01 e = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a 0 V = velocità media espressa in km/h In ultimo, è stato utilizzato anche il modello COPERT 4 sviluppato dall’EMISIA (EMISIA/EEA, 2012). Tale modello stima le emissioni di tutti i principali inquinanti (CO, NOx, VOC, PM NH3 SO2, metalli pesanti) prodotti dalle differenti categorie di veicoli.  

I Modelli Dinamici 

Questi modelli permettono la simulazione delle emissioni di un veicolo durante la marcia lungo un determinato  tratto di  strada,  imponendo  il  ciclo di guida.  Il punto di  funzionamento del motore  viene  calcolato  sulla  base  delle  caratteristiche  della  combinazione  auto‐ambiente  (ad esempio in funzione del tipo di motore e di trasmissione, delle resistenze all’avanzamento e la massa del veicolo ecc), e  calcola, quindi,  le emissioni gassose  in atmosfera.  Inoltre  sono  state applicate le correlazione usate per calcolare le emissioni inquinanti (CO) normalmente utilizzate nel settore automobilistico.  In particolare,  tali correlazioni  fanno parte delle  librerie di calcolo del  codice  commerciale  LMS  AMESim(2011)  (AMESim,  2011),  software  utilizzato  per  la simulazione. L’approccio scelto per la simulazione riproduce la metodologia di prova prevista dalle  normative  internazionali  in materia  di  emissioni  in  atmosfera  per  l’approvazione  del motore del veicolo.  

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Risultati   

Gli output del simulatore sono stati raccolti, validati ed analizzati al fine di definire i livelli di emissione  in  funzione  delle  differenti  tipologie  di  modelli  ed  in  funzione  dei  diversi comportamenti  di  guida  tenuti  dagli  utenti  nei  differenti  scenari.  In  particolare,  sono  stati confrontati i risultati di quattro differenti modelli per stimare il valore della CO emessa: Copert 4, EMEP/CORINAIR (2003), EMEP/EEA (2009) ed AMESim. I  sei  differenti  scenari  sono  stati  implementati  per  poter meglio  interpretare  il  fenomeno.  I risultati hanno mostrato una sostanziale differenza nel calcolo dei fattori di emissione attraverso l’uso di modelli dinamici o di modelli statici.  La prima analisi ha riguardato  il confronto  tra  la velocità media  tenuta dagli utenti durante  i tratti percorsi in simulazione e i livelli di emissione calcolati dai modelli. Ad esempio, il profilo di velocità operativa, può essere molto differente, nel confronto con la velocità media registrata nello scenario, Figura 10.  

Figura 10 Profili di velocità operativa VS Velocità media 

Partendo  da  tali  differenze,  i  quattro  modelli  sono  stati  applicati  per  calcolare  i  tassi  di emissione al fine di verificare i differenti valori ottenuti. I modelli hanno fornito risultati diversi al variare del profilo di velocità operativa. La Figura 11 mostra un esempio dei risultati prodotti dai differenti modelli al variare del profilo di velocità operative mostrato in Figura 10. 

Figura 11 Valori di emissioni calcolati nei differenti scenario 

La differenza nei  fattori di emissioni ottenuta dai modelli statici  rispetto ai modelli dinamici, risulta  evidente  dal  grafico  in  Figura  12.  In  particolare,  è  importante  evidenziare  come  nei modelli statici ci sia una diretta correlazione tra velocità media e tasso di emissione, mentre per il modello dinamico, tale correlazione non sia definita.  

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Figura 12 Fattori di emissione calcolati dai modelli 

In accordo con (Smita, et al., 2010) i modelli dinamici, per valori di velocità analoghi, (differenze di  2‐3Km/h)  restituiscono  valori  di  emissione  sensibilmente  diversi,  con  fattori  di  differenza compresi tra le 5 e le 10 volte. Questo accade in quanto il tasso di emissione dipende fortemente dal profilo della velocità operativa, e non solo dalla sua velocità media.  Un’analisi comparativa dei risultati in termini di “trend emissivi” e profili di velocità operativa, ha mostrato come  la velocità media non sia rappresentativa del  fenomeno emissivo;  i modelli dinamici hanno messo in luce una forte dipendenza con la variazione di velocità.  Pertanto,  al  fine  di  identificare  un  indicatore  sintetico  in  grado  di  effettuare  confronti  tra variazioni  di  velocità  e  valore medio  della  velocità  stessa,  è  stata  analizzata  la  deviazione standard  (SD)  della  velocità  tenuta  dagli  utenti  durante  la  guida,  per  definire  una misura sintetica di come e quanto la velocità tenuta si discosti dal suo valore medio.  

Figura 13 Fattori di emissione in relazione con la deviazione standard 

Al  crescere  del  valore  di  deviazione  standard,  aumentano  i  valori  dei  fattori  di  emissione, Figura 5. Nonostante questo, non può essere identificata una elevata correlazione statistica tra le 

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due variabili (il valore di R2 è circa 0.6). Questo basso valore di correlazione, può essere spiegato dal  fatto  che  fluttuazioni  frequenti  ma  poco  elevate  in  modulo  intorno  al  valore  medio, conducono  a  valori  di  deviazione  standard  poco  elevati  al  contrario  dei  valori  di  fattori  di emissione che invece risultano essere molto elevati.  Nella   Tabella 1 sono riassunti  i valori medi dei fattori di emissione, della velocità e della sua deviazione  standard.  Per  lo  Scenario  (A)  viene  registrato  un  valore  pressoché  costante  di deviazione  standard, nonostante un abbassamento della velocità media dovuto allʹaumentare del  flusso.  Al  contrario  nello  Scenario  (B)  si  registra  un  incremento  della  SD  ed  un abbassamento  della  velocità media.  In  coerenza  con  le  analisi  precedenti,  è  stata  registrata un’indipendenza  tra  i  fattori medi di emissione e  i valori di velocità media  tenuta dai diversi utenti. 

Tabella 1 Fattori di emissione medi nelle differenti condizioni di scenario 

Discussione  In  conclusione  si  registrano valori di  fattori di  emissione  sensibilmente più bassi nel  caso di utilizzo di modelli statici rispetto a quelli dinamici. Partendo da queste considerazioni la prima analisi effettuata ha  riguardato  lo  studio delle differenti  correlazioni  tra  la velocità media e  i fattori di  emissione.  In particolare  è  emerso  come, per  i modelli dinamici,  il  comportamento degli utenti  influenzi fortemente i fattori di emissione, e per questo la velocità media non può essere considerata significativa del fenomeno emissivo.   La seconda analisi, focalizza l’attenzione sul comportamento degli utenti nei diversi scenari e i rapporti  che  intercorrono  tra  tale  stile  di  guida  e  i  fattori  di  emissione. Coerentemente  alle analisi  precedenti  è  stato  evidenziato  come  i  fattori  di  emissione  fossero  indipendenti  dalla velocità media, mentre  ci  fosse  una  buona  correlazione  tra  l’incremento  delle  variazioni  di velocità  e  l’incremento dei  fattori di  emissione. Tali variazioni di velocità  tenute dagli utenti sono  funzione  di  alcuni  parametri  progettuali  come  la  geometria  del  tracciato  e  il  flusso interferente insistente sull’infrastruttura, ovvero nello scenario simulato. Nei modelli dinamici, l’aumento  della  complessità  della  geometria  e  del  flusso  interferente,  incrementa  i  fattori  di emissione  in maniera  esponenziale. Al  contrario nei modelli  statici  tale  fenomeno non  viene evidenziato, confermando una diretta correlazione tra velocità ed emissioni. In particolare, nel range di  velocità  considerato  (70  ‐130  km/h)  i modelli  statici  evidenziano  una  riduzione dei fattori emissivi al diminuire della velocità.  Infine  il presente studio, mostra  i  limiti nel considerare  la deviazione standard della velocità, come un indicatore sintetico del fenomeno emissivo. Infatti nonostante sia possibile evidenziare un trend di crescita del fattore di emissione con il valore di SD, non è possibile determinare una stretta  correlazione  statistica.  (fenomeno  in  parte  dovuto  ad  un  numero  limitato  di  scenari analizzati).   

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Riferimenti Bibliografici 

2002/358/CE  Decisione  del  Consiglio,  del  25  aprile  2002,  riguardante  lʹapprovazione,  a  nome  della Comunità  europea, del  protocollo di Kyoto  allegato  alla  convenzione  quadro delle Nazioni Unite  sui cambiamenti climatici e lʹadempimento congiunto dei relativi impegni. ‐ Bruxelles : [s.n.], Aprile 25, 2002. 

2009/28/CE Direttiva del parlamento europeo e del  consiglio  sulla promozione dellʹuso dellʹenergia da fonti  rinnovabili,  recante modifica  e  successiva  abrogazione delle direttive  2001/77/CE  e  2003/30/CE. ‐ Bruxelles : [s.n.], Aprile 23, 2009. 

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Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca Michela CORSI (MIUR, Roma) ‐ Alessandro PACELLA (CUEIM, Roma) – 

Mario RUSCONI (ANP, Roma) 

BREVE PRESENTAZIONE DEL CUEIM 

Il CUEIM, Consorzio Universitario di Economia  Industriale  e Manageriale,  è un’organizzazione  senza finalità di  lucro,  fondata nel 1982, ed è costituita da ventidue atenei  italiani e  l’Universidad de Huelva (Spagna). Al CUEIM aderiscono altresì alcune importanti realtà del mondo imprenditoriale, quali CCIAA di Verona, Società Cattolica di Assicurazione, Banca di Verona Bcc, Banca Agrileasing, Cassa Rurale ed Artigiana dell’Agro Pontino, Osservatorio Permanente  sul Franchising, Azienda U.L.S.S. 20 di Verona, ecc.…. Il  CUEIM  si  pone,  così,  come  ponte  di  collegamento  tra  le  risorse  di  conoscenza  universitarie  e  la domanda  di  know‐how  proveniente  da  organizzazioni  pubbliche  e  private:  una  realtà  dinamica  e fortemente radicata sul territorio grazie gli Atenei collegati, capace allo stesso tempo di spaziare in realtà e territori esterni al proprio network.  La possibilità di  accedere  a  risorse  tecniche  e umane  altamente  qualificate  e  specializzate permette  al CUEIM di dare  una  risposta  efficace  e  tempestiva  ai  propri  interlocutori  e di  sviluppare  un  network aperto in cui collaborano mondo accademico, istituzioni e imprese pubbliche e private. Nella sua ormai trentennale storia, il CUEIM ha operato in vari ambiti di attività che possono essere tutti ricondotti  ad  un’unica  filiera:  produzione  di  conoscenza,  ricerca,  servizi,  divulgazione  scientifica  e formazione. Le competenze sono maturate nel supporto alle Amministrazioni pubbliche per  il governo dei  processi  di  crescita  locale,  nei  servizi  alle  imprese  a  sostegno  delle  strategie  competitive, nell’allestimento di  progetti  formativi  nel  campo del management di  impresa,  nel  settore della  tutela ambientale e territoriale e non da ultimo nella educazione e prevenzione dei disvalori sociali. In questo contesto  il  CUEIM  si  conforma  come  un  ente  in  grado  di  conciliare  capacità  tecnico‐scientifica  con l’organizzazione e  la gestione dei percorsi formativi di elevato profilo dedicati anche al personale delle Pubbliche Amministrazioni.  

 Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca 

Educazione,  Comunicazione  e  Prevenzione  possono  essere  considerati  i  tre  driver  del cambiamento, inteso, in questo contesto,  come processo di evoluzione e modifica dello stile di vita dei giovani.  Il CUEIM,  in qualità di partner scientifico di progetti di  ricerca  istituzionali, promossi dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e dal Dipartimento delle Politiche Antidroga  sulle  tematiche della prevenzione  all’uso di  sostanze psicotrope  e dell’educazione stradale, ha avuto l’opportunità di fare sintesi e dare un approccio sistemico alle tre “azioni”. I progetti sviluppati hanno contribuito alla riduzione della mortalità giovanile derivante dagli incidenti  stradali,  infatti  nel  corso  del  2011,  come  riportato  nella  relazione  del  Ministero  delle Infrastrutture  e  dei Trasporti,  in  occasione  della  quarta Giornata Europea  della  sicurezza  Stradale,  il numero dei morti si è ridotto a 3.280 a fronte dei 4.090 del 2010 e dei 4.237 dell’anno precedente. Altrettanto  significativi  sono  stati  i  risultati nella diminuzione della  criminalità, dei decessi e della riduzione nell’uso di sostanze stupefacenti:  In tale quadro si stanno implementando gli sforzi volti alla sperimentazione di nuovi moduli e modelli dei citati “Driver”, prevedendo  importanti sinergie con  le altre  istituzioni pubbliche e private coinvolte.  

I percorsi di  ricerca  seguiti  in ambito educativo hanno posto  l’accento    sulla  sua dimensione sociale,  evidenziando il nuovo ambito disciplinare denominato “Cittadinanza e Costituzione”, riconducibile  all’educazione  alla  legalità  e  alla  cittadinanza  attiva.  In  questo  contesto l’educazione stradale è diventata attività significativa sia del diritto alla salute sia del rispetto 

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delle  norme  e  delle  istituzioni  ed  ora  svolge  un  ruolo  significativo  all’interno  del  Piano dell’Offerta Formativa di ogni istituto scolastico. In un’ottica sistemica l’educazione stradale precede, accompagna e segue anche ogni momento di  formazione  specifica alla guida dei veicoli. L’istituzione  scolastica, nel coinvolgere  tutti gli studenti  nelle  attività  curriculari  di  educazione  stradale  nonché  nei  progetti  scolastici, territoriali e/o nazionali specifici per  le  tematiche della sicurezza stradale, considera ora, nella classe  terminale della  secondaria di primo grado,  l’opportunità di assolvere alle  richieste del Decreto Legislativo  15 gennaio  2002, per  il  rilascio del Certificato di  Idoneità  alla Guida del ciclomotore. Gli  studenti e  le  studentesse diventano attori nella  ricerca di un  linguaggio  comune europeo sulla  sicurezza  stradale  e  assumono  consapevolezza  di  poter  essere  il  miglior  tramite  per costruire un’effettiva vicinanza del mondo giovanile all’Europa. 

L’apparato metodologico utilizzato dal CUEIM ha previsto diversi  livelli di apprendimento  in grado di  rispondere  all’esigenza di  attivare  i  canali  cognitivi  ed  emotivi  ed ha  tenuto  altresì conto delle risorse utili e disponibili; gli insegnanti di conseguenza si sono orientati all’interno di queste,  ed hanno  attuato gli  itinerari più  appropriati,  secondo  il  ciclo  scolastico,  la  classe, l’età, gli spazi e i tempi disponibili e quando è stato possibile, hanno fatto riferimento anche a quegli ausili esterni al mondo della Scuola, che si sono dimostrati funzionali e disponibili. Con i progetti sviluppati si è anche implementato un sistema di ricognizione di follow‐up delle attività,  con  particolare  riguardo  all’esplicitazione  dei  criteri  di  scelta  e  degli  strumenti  di valutazione;  la  valutazione  e  il  monitoraggio  sono  stati  considerati,  infatti,  come  idonei strumenti  per  garantire  non  soltanto  la  bontà  e  la  validità  dei  progetti  attivati ma  anche  le potenzialità di funzionamento degli stessi e le ricadute comportamentali. Ogni  tipo di  intervento  è  stato  ricondotto  su metodi  e procedure  che hanno  subìto  il  vaglio dell’indagine empirica e, quando è stato possibile, si è ancorato a precedenti esperienze di cui era  stata  dimostrata  la  validità.  Per  la  stessa  ragione  è  diventato  cruciale  attivare  una modellizzazione dei criteri di valutazione per la misurazione dell’efficacia delle azioni proposte e attivare l’utilizzazione di opportuni strumenti di misura per costruire una base affinché ogni progetto/sperimentazione  abbia  potuto  avere  la  possibilità  di  essere  valido  e  ripetibile. Allo scopo,  è  stato  anche  realizzato  un  portale  dove  vengono  raccolte  tutte  le  buone  pratiche  in materia di  educazione  stradale  realizzate dagli  Istituti  Scolastici. Questo materiale viene  così reso disponibile ai docenti e agli studenti, in modo da diffondere il più possibile la cultura della sicurezza stradale. L’utilizzo, a questi fini, di un portale, testimonia l’importanza che le nuove tecnologie di comunicazione rivestono nella vita dei giovani. E’ necessario avvalersi di questi nuovi media per informare ancor più efficacemente gli studenti.  E’  in questa  logica  che  si  introduce  il Driver della Comunicazione. Diamo per  scontato  che  i giovani  in  età  adolescenziale  trascorrono  la maggior  parte  del  loro  tempo  libero  dinanzi  al computer, alla  televisione, ad ascoltare  la  radio e a navigare  in  Internet; ne consegue che per veicolare un messaggio  che  li  raggiunga, occorrerà utilizzare  la  televisione,  la navigazione  in Internet ed  il  linguaggio musicale. Si è quindi  introdotto un metodo nuovo e sperimentale di comunicazione  che  fosse  rispondente  alle  attuali  esigenze manifestate  dall’utenza  giovanile, anche  in  un’ottica  di  generale  “prevenzione”  dei  fattori  che  provocano  più  frequentemente incidenti,  quali  ad  esempio  la  guida  in  stato  di  ebbrezza  ovvero  sotto  l’effetto  di  sostanze stupefacenti.  Si è dimostrato che l’informazione veicolata con i moderni mezzi e strumenti di comunicazione deve essere coerente con  le evidenze scientifiche e  fornire  informazioni riguardo ai rischi e ai danni  dell’assunzione  di  droghe,  puntando  alla  piena  e  responsabile  consapevolezza  che  la propria  salute  è  importante.  Sono,  quindi,  punti  fondamentali  l’esclusione  di  forme 

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comunicative  di  divieto,  per  la  strategia  di  comunicazione  e  la  promozione  di  una  scelta razionale  ed  intelligente  di  non  consumo.  Il modello  concettuale  cui  fare  riferimento  per  la strutturazione  e,  soprattutto,  per  la  differenziazione  delle  offerte  di  comunicazione  è  quello della vulnerabilità. Gli studi dimostrano che esiste una fascia di giovani particolarmente esposti allo  sviluppo  di  dipendenza,  nel  momento  in  cui  entrano  in  contatto  con  le  sostanze stupefacenti. E’ necessario, quindi, proporre un’offerta differenziata di prodotti  comunicativi per  rispondere  ai  bisogni  di  target  di  popolazione  giovanile  differenziati,  cui  è  necessario adeguare  i messaggi e  le modalità di  comunicazione. Oltre a questi  livelli delle  campagne di comunicazione/educazione e di promozione sociale di stili di vita sani rivolti alla comunità, è stato necessario prevedere un ulteriore  livello di  interventi  locali basati su attività educative e formative  sulla  “prevenzione”  (terzo  Driver  del  cambiamento)  a  favore  dei  giovani  e  dei genitori.  E’  così  che  si  è  coinvolto  un  terzo  livello  rappresentato  dalle  amministrazioni pubbliche  competenti  della  salute  (Ministero  della  Salute, Regioni, ASL, …)  e  del  benessere sociale dei cittadini. Ciò si è reso necessario affinché si potesse esplicitare un messaggio comune e  condiviso  nella  lotta  contro  i  “comportamenti  errati”,  creando  una  vera  e  propria “community”.  Questi  tre  driver  di  intervento  (educazione/comunicazione/prevenzione),  strumenti  virtuosi della  cultural  community  anti  discomportamenti,  dovranno  essere,  nell’immediato  futuro, perfettamente  integrati nei  formati e nei contenuti di progetto, oltre che sincroni nei  tempi di realizzazione.   I PROGETTI REALIZZATI  DAL CUEIM A) EDUCAZIONE 

Progetto “Educazione stradale – linee guida” ‐ Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca I dati mostrano chiaramente l’importanza di procedere verso un’integrazione delle iniziative di sensibilizzazione da  condurre direttamente presso  la  scuola per  favorire un uso più  sicuro  e responsabile dei veicoli, siano essi a due o a quattro ruote. Quella della sicurezza nelle strade è diventato  infatti  un  vero  e  proprio  obiettivo  culturale  della  nostra  società  per  il  cui raggiungimento la scuola è chiamata a svolgere una delle funzioni più importanti, non tanto per gli insegnamenti legati all’uso dei veicoli o delle norme tecniche del Codice della Strada, quanto sotto  il  profilo  dell’educazione  alla  sicurezza.  I  risultati  dell’indagine mostrano  infatti  che  i giovani hanno bisogno di far crescere nella scuola un proprio bagaglio culturale e di conoscenza nel campo della sicurezza e della prevenzione stradale. Devono ad esempio saperne di più a proposito  di  comportamenti  scorretti  che  sono  causa  di  incidenti  e  delle  conseguenze  sulla guida in caso di consumo di alcool e sostanze stupefacenti, senza dimenticare la conoscenza e la gestione di situazioni particolari, anomale o pericolose, e che di cosa  fare  in caso di guasto o incidente. Le attività di ricerca hanno permesso la produzione di diversi output: Annale MIUR  riportante  le  linee  guida  didattiche  e  comunicazionali  per  la  promozione  e diffusione della sicurezza stradale nelle scuole di ogni ordine e grado, a partire da un’analisi delle modifiche  introdotte dal Nuovo Codice della Strada.  I destinatari delle  linee guida sono stati  gli Uffici  Scolastici Regionali  ai  quali  è demandato  il  compito di  fornire  gli  indirizzi di intervento alle scuole ricadenti nei territori di competenza; Elaborato riportante schemi tipo, di corsi  di  formazione  e  aggiornamento  professionale  per  docenti  e  di  altre  possibili  iniziative/prodotti a sfondo comunicazionale per  la promozione e  la diffusione della sicurezza stradale, da prevedersi nelle scuole di ogni ordine e grado;  Predisposizione di indicatori e di una metodologia per la valutazione dei risultati delle azioni didattico comunicazionali e per la loro successiva comunicazione a Ministero/Regione. 

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 Dai  recentissimi  dati  della  rilevazione  sul  tasso  di  incidentalità,  si  rileva  che  il  numero  di soggetti coinvolti con età minore di 15 anni è notevolmente aumentato. Questi dati confermano che  si  sta  progressivamente  abbassando  l’età  dei  “motonauti”.  Essi  hanno  fatto  ritenere indispensabile  un’azione  di  comunicazione  preventiva  sempre  più  capillare  ed  efficace,  per fronteggiare questo preoccupante fenomeno. I genitori svolgono la funzione di influenzatori o meglio di dissuasori di una guida inconsapevole. Anche i docenti delle scuole elementari e medie fungono da influenzatori per i bambini, gli adolescenti e i giovani. Essi hanno rappresentato i destinatari naturali del progetto in quanto, al pari dei genitori, assumono ‐ o meglio dovrebbero assumere ‐ il ruolo di opinion leader, in grado di esercitare un impatto rilevante sulle scelte dei bambini, degli adolescenti e dei giovani. 

Il progetto ha  tenuto  conto  anche del  significativo  cambiamento nel  trend della popolazione giovanile.  I  dati  della  citata  rilevazione  sull’incidentalità,  mostrano  una  diminuzione dell’attenzione da parte dei giovani e giovanissimi all’uso consapevole del mezzo di trasporto.   Valutazione dei risultati delle esperienze  Le attività di studio e ricerca del progetto hanno consentito anche la messa a punto di indicatori e  di  una metodologia  che  porta  a  valutare  i  risultati  delle  azioni  didattico  comunicazionali rispetto agli obiettivi di informazione formazione sensibilizzazione.   Fasi operative Il progetto ha seguito le seguenti fasi: 1. indagine presso gli uffici del Ministero dell’Istruzione per l’individuazione, classificazione 

ed analisi dei contenti relativamente al materiale  ivi disponibile sul tema della sicurezza stradale; 

2. ricognizione  delle  attività  svolte  e  in  programmazione  a  cura  degli  uffici  scolastici regionali  sul  tema  della  sicurezza  stradale.  Ricognizione  delle  iniziative  ritenuti meritevoli. Raccolta e valutazione di riflessioni, considerazioni e proposte di intervento da parte degli stessi uffici; 

3. assistenza  al  confronto  con  altri ministeri,  enti  e  organizzazioni/istituzioni/associazioni impegnate  sul  tema  della  sicurezza  stradale,  aventi  rapporti  stabili  con  il  Ministero dell’Istruzione,  allo  scopo  di  recepire  indicazioni  e  suggerimenti  oltre  che  analizzare attività e progetti in fase di sviluppo o in programma a cura degli enti medesimi; 

4. elaborazione  di  una  prima  versione  degli  output  da  sottoporre  al  Comitato  Tecnico Scientifico e al Gruppo di Consulenza, quest’ultimo formato da esperti a disposizione del Ministero dell’Istruzione;  

5. discussione degli output con Ministero, uffici scolastici regionali ed altri enti; 6. elaborazione  della  versione  finale  delle  linee  guida  e  degli  altri  output  previsti  dal 

progetto. Multimedia e ricerca scientifica applicata all’educazione e alla prevenzione: Wireless Il protocollo Wireless lavora nelle frequenze libere di 2,45 GHz, ed ha una velocità di trasferimento dati di fino a 3 Mb/s.  La rete per la navigazione WEB è garantita senza alcun collegamento esterno. Il servizio Wireless è stato installato nell’Info Point dello stadio Olimpico, ed è restato attivo dal giorno 20/10/2011 fino alla fine del campionato e non ha mai causato interferenze con gli altri sistemi elettronici in uso presso lo stadio ed in particolare alcuna influenza è stata rilevata sul controllo “tornelli” di accesso. 

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Onde evitare qualsiasi imprevisto, l’installazione dell’Hardware all’interno dell’ Info Point dello stadio San Siro è avvenuta solo successivamente a tutte le prove tecniche che gli incaricati alla sicurezza hanno ritenuto opportuno fare.   Contenuto del messaggio inviato dall’ Info Point               Sequenza 1

Sequenza 2

B) COMUNICAZIONE Progetto “Communication” ‐ Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento politiche antidroga Il Dipartimento  Politiche Antidroga  della  Presidenza  del Consiglio  dei Ministri,  nell’ambito delle linee strategiche di prevenzione, con questo progetto ha voluto effettuare una ricerca per la definizione di prodotti comunicazionali di prevenzione per i giovani finalizzati a diffondere l’importanza di uno stile di vita sano e lontano dai pericoli delle droghe.  Gli studenti, in questo contesto, sono anche parte attiva inviando al Dipartimento slogan e idee grafiche  per  partecipare  ad  una  selezione  finalizzata  alla  diffusione  nelle  scuole,  nelle associazioni  sportive  e  di  volontariato,  negli  oratori  e  negli  altri  luoghi  di  aggregazione giovanile dei migliori prodotti realizzati. Tutti i materiali inviati dalle scuole saranno conservati, sistematicamente catalogati e trattenuti presso  il Dipartimento Politiche Antidroga unitamente a tutto  il resto del materiale pervenuto in questi anni. Tali materiali saranno  inoltre archiviati sul sito web dedicato al progetto dove sarà possibile consultarli, scaricarli ed eventualmente votarli gratuitamente esclusivamente per utilizzo no profit.  C) PREVENZIONE Progetti:  “Survey”  e    “La    Strada  per  una  guida  sicura”  ‐  Presidenza  del Consiglio  dei Ministri  – Dipartimento politiche antidroga Una  azione  di  particolare  rilievo  è  stata  anche  la    “Student  Population  Survey”,  infatti,  i questionari dell’Osservatorio Europeo sulle droghe  ‐ EMCDDA  (European Monitoring Centre for Drugs  and Drug Addiction) nell’ambito dei questionari  strutturati  sottoposti alle Regioni riserva,  per  le  aree  di  “Prevenzione  universale  dell’uso  di  sostanze  psicoattive  a  livello  di comunità  locale”  e  “Prevenzione  selettiva  e  mirata”,  una  sezione  dedicata  alle  campagne informative attivate sull’uso di sostanze  lecite ed  illecite nell’anno di riferimento (2010). Dagli studi effettuati è risultato che lo strumento di comunicazione più adottato è quello del depliant (27%) seguito da “altro” che nella maggior parte dei casi è stato indicato con rappresentazioni artistiche sotto le più varie forme (eventi musicali,teatrali); poco usate le riviste con solo il 4%. I  dati  relativi  alle  prevalenze  dei  consumi  di  sostanze  psicoattive,  legali  ed  illegali,  nella popolazione studentesca nazionale 15‐19 anni, sono stati estratti dallo studio SPS Italia (Student Population  Survey),  condotto  su  un  campione  di  studenti  nel  primo  semestre  2011  dal Dipartimento  per  le  Politiche  Antidroga  in  collaborazione  con  il  Ministero  dell’Istruzione, 

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dell’Università e della Ricerca e  con  il  supporto  tecnico‐scientifico dell’Università degli Studi Tor  Vergata  di  Roma;  nella  fase  di  realizzazione  dello  studio  sono  stati  coinvolti  anche  i Referenti Regionali per  l’Educazione  alla Salute.  I  risultati preliminari dello  studio,  relativi  a complessivi 35.048 questionari  compilati alla data del 17 Maggio 2011 mostrano  l’andamento dei consumi di sostanze stupefacenti e riferiti a studenti di età 15‐19 anni nel 2011 e confermano la  tendenza alla contrazione generale dei consumi già osservata nel 2010 per  tutte  le sostanze illecite. La poliassunzione di  sostanze psicoattive  legali  ed  illegali,  invece,  caratterizza  e definisce  lo stile di consumo prevalente sempre più diffuso tra soggetti più giovani. Il 18,2% degli studenti riferisce di aver  consumato  cannabis nell’ultimo anno,  tra questi,  il 76,3% ha  fumato almeno una sigaretta al giorno,  il 10,5% ha usato cocaina e  il 2,8% eroina. Degli studenti  intervistati  il 2,1% ha riferito l’uso di cocaina negli ultimi dodici mesi. Tra i consumatori di cocaina, l’86,8% riferisce di fumare quotidianamente sigarette, il 90% ha fatto uso anche di cannabis e il 22,4% di eroina. Il progetto “La strada per una guida sicura” ha previsto la raccolta di materiale di prevenzione contro la guida in stato dʹebbrezza e sotto lʹeffetto di sostanze stupefacenti esistente presso tutte le scuole secondarie di primo e secondo grado e le Aziende Sanitarie Locali, presenti su tutto il territorio nazionale, nonché  lo studio e  la produzione di uno spot, di un video didattico e di alcune schede tecniche da distribuire presso le scuole e le scuole guida. 

     Obiettivi del progetto 

ʺLa Strada per una Guida Sicuraʺ (SGS) è stato un progetto che ha previsto la collaborazione con il Ministero  dei  Trasporti,  il Ministero  del  Lavoro,  della  Salute  e  delle  Politiche  Sociali,  il Ministero dellʹInterno, il Ministero dellʹIstruzione, dellʹUniversità e della Ricerca. L’assunzione  di  sostanze  stupefacenti  e  l’abuso  di  alcol  costituiscono  per  molti  giovani, specialmente  nei week‐end,  un  problema  gravissimo  per  la  propria  incolumità  e  per  quella altrui, poiché rendono gli stessi incapaci di controllare le proprie azioni. In queste situazioni la vita  sulle  strade  è  gravemente  minacciata  e  guidare  una  moto  o  unʹauto  sotto  l’effetto  di sostanze stupefacenti o alcol è un atto incosciente che spesso diventa tragico. Col progetto si è ritenuto stimolare gli studenti a produrre messaggi di comunicazione sociale efficaci in grado di sensibilizzare gli stessi sul tema. Inoltre, si è ritenuto opportuno coinvolgere anche le strutture sanitarie locali che si occupano quotidianamente degli effetti che alcol e droga hanno sulla guida. L’obiettivo  principale  del  Progetto  SGS  è,  quindi,  quello  di  sensibilizzare  i  giovani sull’importanza di una guida sicura e offrire  loro, attraverso  la  realizzazione di uno specifico spot video, un’ulteriore opportunità di riflessione sulle tematiche inerenti la sicurezza stradale, sulle misure  da  adottare  per  scongiurare  i  pericoli  legati  alla  guida  sotto  lʹuso  di  sostanze stupefacenti e prevenire le stragi del ʺsabato seraʺ. Il Progetto ha voluto il coinvolgimento dei giovani, in qualità di protagonisti, nella produzione del  materiale  informativo  (video,  immagini,  testi)  sulla  prevenzione  dall’uso  di  sostanze correlato alla guida.  

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  Sito WEB realizzato

 

 Logo e locandina di uno degli eventi di progetto 

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RIASSUNTI  POSTERS 

 La propensione dei conducenti verso l’utilizzo dei sistemi informativi e di telecomunicazione per il miglioramento della sicurezza stradale 

Angelo Stephen CARDAMONE, Laura EBOLI, Gabriella MAZZULLA (Università della Calabria) 

Nota:  il presente  lavoro  è  stato  realizzato nell’ambito del progetto PON01_01541 “M2M‐Mobile  to Mobility,  Sistemi  informativi  e  di  telecomunicazione  per  la  sicurezza  stradale”,  finanziato  dal Ministero  dell’Istruzione,  dell’Università  e  della  Ricerca.  I  soggetti  partner  del  progetto  sono: UNICAL  (Università  degli  Studi  della Calabria),  FGA  (FIAT Group Automobiles  S.p.A.), Gruppo NEOS  Sistemi  (soluzioni  informatiche  per  i  processi  e  di  tecnologie  per  le  comunicazioni),  IGOP (Istituto Giuridico Opere Pubbliche).  

1. Introduzione Il progetto si propone la sistematizzazione di processi di infomobilità orientati al miglioramento ed  alla  gestione  della  sicurezza  stradale,  mediante  la  progettazione,  realizzazione, sperimentazione  e validazione di prototipi  industriali  e  applicativi  informatici  finalizzati  alla propagazione diffusa di  informazioni agli utenti della  strada per  ridurre  i  rischi e gli  impatti connessi alla mobilità. In particolare,  il progetto prevede  la realizzazione di un software per personal device  (basato sull’impiego di smartphone) utilizzabile su ogni tipo di veicolo stradale e da pedoni, capace di acquisire  anche  in  automatico  informazioni  cinematiche  e  prestazionali  del  veicolo  nonché, attraverso  il  comportamento  attivo  dell’utente,  informazioni  relative  alle  caratteristiche funzionali  dell’infrastruttura  stradale  e  del  traffico.  L’interazione  tra  utente  e  sistema informativo avviene tramite la piattaforma web M2M. M2M si pone l’obiettivo di lenire i pericoli e i disagi che provengono dalle anomalie e dai difetti realizzativi delle strutture viarie e dalla loro insufficiente o inadeguata manutenzione; il sistema considera,  inoltre,  elementi  di  disturbo  direttamente  prodotti  dai  comportamenti  di  guida dell’utente  o  ad  essi  conseguenti  (es.  presenza  di  ostacoli  accidentali,  presenza  di  incidente stradale). In definitiva,  il sistema M2M fornisce uno strumento per migliorare  le condizioni di sicurezza  stradale  rendendo  sia  la  piattaforma  che  l’utente  fonti  e  destinazioni  delle informazioni utili per una guida più sicura e responsabile. L’idea di fondo del progetto, quindi, consiste  nel  coinvolgere  l’utente  quale  soggetto  attivo  dell’azione  di monitoraggio  oltre  che come fruitore dei servizi di infomobilità. In questo modo, attraverso l’impiego di dispositivi con possibilità di connessione web, l’utente, oltre  ad  essere  informato,  può  aggiornare  gli  altri  utenti  sulla  qualità  del  servizio  e  sulle disfunzioni  dello  stesso.  La  base  del  funzionamento  del  sistema  è  dunque  l’interazione  tra utente, possessore ed utilizzatore di idoneo dispositivo, e piattaforma. Lo scopo del  lavoro presentato è analizzare dati  legati alle caratteristiche e alle aspettative dei conducenti delle autovetture, possibili fruitori del sistema M2M, per programmare le strategie da  adottare,  i  tempi  ed  i modi per  l’interazione utente‐piattaforma, gli  elementi da  tenere  in maggior conto, sulla scorta delle potenzialità che tale strumento possiede. 

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Il  primo  passo  è  stato,  dunque,  conoscere  le  potenzialità  dell’utente  ad  interagire  con  la piattaforma  e  la  sua  propensione  a  partecipare  al  sistema. Questa  finalità  è  stata  conseguita tramite  la progettazione e  la  realizzazione di una  indagine  campionaria brevemente descritta nel seguito.  2. L’indagine campionaria L’indagine campionaria è stata condotta su un campione di 516 utenti intervistati in prossimità delle aree di sosta di due poli commerciali dell’area urbana di Cosenza. Le  interviste,  del  tipo  “face  to  face”,  sono  state  eseguite  nel  periodo  compreso  tra marzo  e maggio 2012, e  sono  state  somministrate a un  campione  casuale di utenti,  secondo  la  tecnica non probabilistica di tipo accidentale. Tale tecnica si basa sulla consecutività casuale delle unità statistiche  da  rilevare,  ossia,  a  un’intervista  se  ne  fa  seguire  un’altra  rivolta  a  un  individuo successivo che rappresenta il primo utente disponibile, senza alcun criterio definito. Lo  schema  del  questionario  è  composto  da  5  sezioni  concernenti  rispettivamente  le caratteristiche  socio‐economiche  dell’utente  (Sezione  A),  i  suoi  comportamenti  di  guida (Sezione B),  le  sue  esperienze di guida  (Sezione C),  l’utilizzo di dispositivi  con possibilità di connessione web (Sezione D), la sua disponibilità a ricevere ed a fornire informazioni mediante sistema informatico (Sezione E).  3. I risultati dell’indagine Nel presente lavoro si focalizza l’attenzione sull’analisi dei dati relativi all’utilizzo di dispositivi con possibilità di connessione web e alla disponibilità a ricevere/ fornire informazioni mediante la piattaforma M2M. I risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati hanno fornito percentuali del 43% di possessori di dispositivi  con possibilità di  connessione web. Le percentuali dei  sistemi  operativi  in  uso  ai dispositivi posseduti dagli intervistati indicano un massimo del 42% per il sistema Android, e il 20% di diffusione del sistema Symbian. Le uniche opzioni tariffarie in commercio sono quelle a consumo  (con  costo  legato  alla  durata  del  tempo  di  connessione  web)  e  flat  (costo  fisso, prevalentemente mensile,  indipendente dal  tempo di utilizzazione della connessione web). Le interviste  effettuate hanno mostrato una diffusione del  64% della  tariffa  a  consumo  contro  il 36% di quella flat. Il  64%  degli  utenti  in  possesso  di  dispositivo  idoneo  ha  dichiarato  di  utilizzare  i  software applicativi sempre (24%) e spesso (40%). Altro  requisito  fondamentale per  il  successo del  sistema M2M  è  l’individuazione dell’utente tramite  GPS.  Si  è  reso  necessario  conoscere  la  percentuale  di  dispositivi  che  avessero  in dotazione un GPS  integrato e, nel caso,  la  frequenza d’uso dello stesso da parte dell’utente.  I risultati  dell’indagine  mostrano  una  percentuale  pari  all’82%  di  possesso  del  sistema  GPS integrato,  che  però  non  viene  mai  usato  dal  33%  dei  potenziali  fruitori.  Ciò  è  dovuto essenzialmente alla difficoltà di connessione per l’uso del GPS e al consumo notevole di energia (batteria) di cui tale collegamento necessita. Sostanziale  è  la  conoscenza dell’atteggiamento  che  l’utente  assume  nei  confronti del  sistema M2M,  sia  per  ricevere  informazioni  dalla  piattaforma  sia  per  fornirle  tramite  essa  agli  altri utenti. A tal fine, si è testato l’approccio degli intervistati verso il sistema in termini generali e in ambiti  relativi  ad  alcuni  eventi  critici.  Le  domande  agli  intervistati  sono  state  poste considerando  cinque  livelli  sia di gradimento nell’ottenere  informazioni  sia di disponibilità a 

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fornirle: molto basso, basso, medio, alto, molto alto. Inoltre, si sono voluti conoscere i momenti e le modalità che l’utente preferisce sia per la ricezione sia per la trasmissione di dati relativi ad eventuali criticità presenti lungo il tragitto.  Gli utenti hanno espresso livelli di gradimento sostanzialmente “molto alto” e “alto” a ricevere informazioni dalla piattaforma  circa  la presenza di eventuali elementi di pericolo.  Il giudizio complessivo  sul  sistema M2M  registra un  livello molto  alto di  gradimento di  oltre metà dei pareri (55%). Gli eventi che gli intervistati ritengono più gravi e per i quali gradirebbero essere informati sono, nell’ordine, la presenza di incidente stradale (livello “molto alto” pari all’80% ed “alto”  al  17%),  la  pavimentazione  stradale  inadeguata  (livello  “molto  alto”  per  il  67%  degli intervistati ed “alto” per  il 19% di essi),  la presenza di ostacoli accidentali  (il 66% esprime un gradimento “molto alto” ed il 12% un livello “alto”), la presenza di cantieri stradali segnalati in maniera inadeguata (registra un livello “molto alto” per il 61% e del 25% un livello “alto”). Gli altri eventi si attestano per valori di gradimento molto alto al di sotto del 50% e superano tale soglia  se  esso  viene  sommato  al  livello  di  gradimento  alto.  La  criticità  per  la  quale  è meno gradita  la  ricezione di  informazioni da  parte degli  utenti  è  quella della  presenza di  ostacoli dovuti all’arredo urbano (livello “molto alto” nel 38% dei casi e per il 20% a livello “alto”). Per quanto  riguarda  le disponibilità  espresse dagli  intervistati a  trasmettere  informazioni  sui medesimi fattori di rischio per i quali erano stati chiamati a esprimere il proprio gradimento a riceverle, i quattro eventi che hanno ricevuto maggiori adesioni sono gli stessi di quelli espressi per il gradimento nel riceverle. In particolare,  l’incidente  automobilistico ha  segnato valori percentuali di disponibilità quasi identici a quelli di gradimento (livello “molto alto” pari al 78% ed “alto” al 17%), lo stesso vale per  la presenza di ostacolo accidentale (il 63% esprime un  livello di disponibilità “molto alto” ed il 12% un livello “alto”).   La  disponibilità  ad  avvisare  della  presenza  di  cantieri  segnalati  inadeguatamente  risulta maggiore di quella della pavimentazione stradale degradata (riporta un livello “molto alto” per il  56%  e per  il  24%  quello  “alto”): per  quest’ultima  criticità  si  riduce  sensibilmente  il  livello molto alto (52% di disponibilità a fornire informazioni contro il precedente 67% di gradimento a ricevere  le  informazioni)  e  aumenta  di  qualche  punto  percentuale  il  livello  “alto”  (24%  di disponibilità a fornire informazioni a fronte del 19% di gradimento a ricevere le informazioni). Gli altri eventi ottengono valori inferiori al 50% del livello “molto alto” di disponibilità a dare informazioni; si supera il 50% solo se si somma anche il livello “alto” di disponibilità. Ancora una  volta,  la  criticità per  la  quale  si  è meno disposti  a  trasmettere  informazioni  alla piattaforma  è  la presenza di ostacoli dovuti  all’arredo urbano  (disponibilità molto  alta per  il 34% degli utenti ed alta per il 19% di essi). Il  confronto  tra  i valori percentuali  indica  come gli utenti  siano più propensi, per  tutti  i  casi critici  loro  sottoposti,  a  ricevere  informazioni  piuttosto  che  a  fornirle. Gli  unici  eventi  dove risulta minima  la  differenza  tra  il  ricevere  e  il  dare  informazioni  sono  rappresentati  dagli incidenti  stradali,  dalla  presenza  di  ostacoli  accidentali  e, marginalmente,  dalla  presenza  di cantieri stradali segnalati inadeguatamente. Inoltre,  agli  utenti  è  stato  chiesto  di  fornire  una  graduatoria  delle  alternative  proposte  tra diversi  momenti  per  ricevere  e  per  trasmettere  le  informazioni,  e  differenti  modalità  per ottenerle o inviarle. L’ordine di preferenza dei momenti per ricevere in sicurezza informazioni 

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dalla piattaforma è  stato “prima di  intraprendere  il viaggio”  (49%), “in  tempo  reale”  (27%) e “immediatamente prima” (24%). I momenti ritenuti più  idonei alla  trasmissione delle  informazioni alla piattaforma, sempre  in condizioni di sicurezza, sono stati nell’ordine: “immediatamente dopo” (61%), “in tempo reale” (26%) ed “alla fine del viaggio” (13%).  La classifica delle tre diverse modalità di ricezione delle informazioni dalla piattaforma ha visto una  lieve  preferenza  del  “messaggio  vocale”  (45%)  rispetto  all’alternativa  rappresentata  dal “messaggio visivo‐sonoro” (44%), mentre il “messaggio visivo” ha avuto scarso apprezzamento rispetto agli altri due (11%). La motivazione che gli utenti hanno addotto per tali scelte è stata che la più immediata e più sicura modalità di ricezione è quella sonora, associata al messaggio visivo che può essere visionato anche successivamente al suo arrivo. Il solo messaggio visivo è invece considerato poco rispondente ai requisiti di immediata acquisizione delle informazioni ai fini del rispetto delle condizioni di sicurezza stradale, essendo tale modalità una possibile fonte di distrazione dalla guida e, di conseguenza, eventuale causa di incidenti. La modalità vocale è preferita anche per  trasmettere  informazioni alla piattaforma  (77%),  rispetto all’alternativa di comunicare  interattivamente  con  essa mediante  la  tastiera  del  dispositivo  con  possibilità  di connessione web (23%). Si è poi chiesto all’utente se fosse disponibile a fotografare uno degli eventi critici già sottoposti alla  sua  attenzione nelle domande precedenti  e, nel  caso di  risposta  affermativa,  la  scelta di ritrarne  uno  o  più  e  di  inviarne  l’immagine  alla  piattaforma.  A  tale  quesito  ha  risposto positivamente il 54% degli intervistati, e le foto da essi inviate riguarderebbero innanzitutto gli incidenti  stradali  (19%)  e  le  altre  criticità  che  già  in  precedenza  erano  state maggiormente avvertite  dagli  utenti  sia  in  termini  di  gradimento  che  di  disponibilità.  Gli  eventi  meno fotografati  riguarderebbero  ancora  gli  ostacoli  da  arredo  urbano,  stavolta  affiancato  dalla inadeguatezza dei margini stradali. In entrambi i casi si arriva a una scelta del 7%. Dall’analisi dei dati  relativi alle  caratteristiche  socio‐economiche degli  intervistati,  risulta una maggiore concentrazione della fascia d’età compresa tra i 26 ed i 44 anni (44%) con intervistati che  sono  quasi  equamente  ripartiti  tra  maschi  (55%)  e  femmine  (45%).  Gli  occupati rappresentano  poco  più  della  metà  degli  intervistati  (58%)  con  predominanza  del  settore impiegatizio pubblico, privato e del terziario, come indica anche la condizione occupazionale. Il 24% circa degli  intervistati è costituito da studenti universitari,  il restante 18% è composto da casalinghe, disoccupati,  inoccupati e pensionati.  I redditi dichiarati non superano  i 3.000 euro mensili netti per l’85% dei casi visionati.  4. Conclusioni Gli  utenti  intervistati  hanno  espresso  il  loro  compiacimento  nell’apprendere  dell’iniziativa legata  al  sistema M2M  e  si  sono detti  favorevoli  all’uso di  un  tale  strumento  purché  la  sua efficacia  sia  reale  e  gli  interventi di  coloro  che  sono preposti  a  ripristinare  o promuovere  le condizioni di sicurezza stradale siano perentori e sostanziali, sia per  fronteggiare e risolvere  i problemi di carenza strutturale delle strade che per rimuovere le cause improvvise che possano creare elemento di disturbo o pericolo ad una circolazione stradale sicura. 

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GREENWAY: un metodo per la progettazione sostenibile di una strada Fulvio SOCCODATO (ANAS, Roma) ‐ Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI 

(I.R.I.D.E. ‐ ROMA) 

Introduzione 

<<Lo  sviluppo  sostenibile  è  uno  sviluppo  che  soddisfa  i  bisogni  del  presente  senza compromettere  la  possibilità  delle  generazioni  future  di  soddisfare  i  propri  bisogni>> (Brundtland  1983). Da  circa  trenta  anni  sono  state  gettate  le  basi  per  la  definizione  di  uno sviluppo sostenibile, volto alla ricerca del punto di “ottimo” capace di bilanciare le interazioni tra i campi sociali, economici ed ambientali.  Se  tale  concetto  appare ormai  radicato nei  criteri  economici  appare un  concetto  ancora poco sviluppato  nella  sua  interezza  per  quanto  riguarda  l’ingegneria  civile,  in  generale,  e  nello specifico  alle  infrastrutture  viarie.  Infatti  se  le  attività  connesse  all’istituzione  del Ministero dell’Ambiente  hanno  portato  ad  una  chiara  declinazione  della  disciplina  dell’impatto ambientale,  la  valutazione  della  sostenibilità  ambientale  di  un  opera  non  ha  ancora  trovato chiara  evidenza.  In  campo  normativo  non  sono  state  date  reali  indicazioni  e  nella  pratica applicazione  ancora  non  si  è  riusciti,  per  lo  più,  a  superare  l’ostacolo  delle  valutazioni ambientali “ex‐post”. In altre parole occorre elevare  il  livello di progettazione e  in tal modo si potrà  più  correttamente  interpretare  sia  la  VIA  con  una  chiave  più  moderna  ed  efficace (progettazione integrata) sia approcciare al tema più ampio della sostenibilità. Una  progettazione  più  attenta  agli  aspetti  ambientali  non  solo  nelle  implicazioni  che  ne derivano  (impatti) ma  anche  e  soprattutto nelle  scelte da  svolgere  a monte nella definizione degli  obiettivi,  potrebbe  consentire  di  superare  l’attuale  processo  che  sempre  più  imposta  il tema “ambiente” in modo “duale” confrontando gli impatti tra opera e ambiente, valutandone interazioni ed effetti e proponendo – al più ‐ eventuali sistemi di mitigazione. Appare pertanto evidente  come  in  tale processo  si  evidenzi unicamente  la  logica della  “negatività” dell’opera rispetto ad un contesto territoriale visto quale unico aspetto da salvaguardare e/o perseguire. 

Figura 1‐1 Processo di valutazione degli impatti 

Pur  riconoscendo  l’imprescindibilità della procedura di VIA,  la valutazione della sostenibilità dell’opera  si  pone  obiettivi  ancor  più  ambiziosi,  valutando  campi  generalmente  più  ampi rispetto  alla  compatibilità  ambientale,  passando  dalla  logica  degli  impatti  alla  logica dell’equilibrio, volto alla ricerca delle condizioni ottimali in cui possano coesistere gli interessi ambientali,  sociali  ed  economici,  perseguendo  i  principi  della  sostenibilità  precedentemente espressi.  

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Figura 1‐2 Processo di analisi della sostenibilità 

In  questo modo  è  possibile  superare  le  logiche  degli  impatti  proposti  dalla VIA,  spostando l’analisi ad un livello superiore, in grado di comprendere altri campi di analisi, estendendo così i processi ai sistemi di positività dell’intervento. Tale  impostazione, necessita pertanto, di una modifica delle logiche progettuali tradizionali, (in cui la valutazione ambientale veniva a valle della progettazione),  spostando  i processi di analisi di  sostenibilità a monte,  integrandoli nei processi di progettazione.  L’infrastruttura può subire un processo di miglioramento “iterativo” che investe tutti i campi di analisi, diventando così “motore” di sviluppo economico per il territorio, fornendo elementi di sviluppo e/o recupero sociale al contesto antropico e al contempo garantendo il perseguimento dei principi di conservazione e del corretto sfruttamento delle risorse naturali.  Tale possibilità  tuttavia non è una prerogativa  intrinseca di ogni  infrastruttura o opera che si intende realizzare. Occorre pertanto dotarsi di specifici strumenti che siano in grado di valutare la reale capacità di un’opera di essere sostenibile rispetto al contesto in cui si va ad inserire. Le presenti note vogliono fornire un contributo in tal senso riportando alcuni spunti di un più ampio  lavoro  di  studio  e  ricerca  che  gli  autori  stanno  sviluppando  in  questo  periodo.  In particolare  si  riportano  i  principi  generali  dai  quali  ci  si  è mossi  per  la  valutazione  della sostenibilità  di  un’opera  infrastrutturale  proponendo  una  metodologia  applicativa  per  la quantificazione di indicatori numerici in grado di analizzare i diversi aspetti della sostenibilità in maniera  sistemica e al  tempo  stesso  in grado di  fornire una valutazione quantitativa degli indicatori stessi.   La metodologia consente, pertanto, di valutare numericamente i singoli indicatori, garantendo i principi  di  oggettività  e  ripetibilità  della misura  stessa,  aspetti  imprescindibili  di  un’analisi scientifica, al fine di poter valutare i livelli di sostenibilità dell’opera.  Questo garantisce una duplice possibilità di utilizzo della metodologia stessa, da un lato, infatti, può  essere utilizzato quale  strumento  comparativo  in un processo di  scelta delle  alternative, affiancando le comuni metodologie di analisi multicriteri, dall’altro tale strumento, può essere utilizzato  dai  progettisti  per  valutare  la  bontà  e  la  correttezza  degli  assunti  fatti  in  sede progettuale, permettendo  eventuali  correzioni  in  corso di progettazione,  completando  così  il processo  iterativo  della  parte  strettamente  tecnica  (parametri  progettuali  quali  raggi  di curvatura, pendenze delle  livellette, visibilità ecc) e ampliando  l’iter alla  sostenibilità. Questo secondo  aspetto  permette  di  effettuare  il  salto  logico  precedentemente  esposto,  spostando  i 

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processi  di  valutazione  ambientali  (e  non  solo)  da meri  strumenti  di  valutazione  a  più  utili strumenti di supporto per una corretta progettazione infrastrutturale, volta non solo alla ricerca della correttezza tecnica, ma anche al raggiungimento della sostenibilità, sociale economica ed ambientale. 

Lo stato dell’arte 

Come precedentemente accennato, nel  contesto  internazionale,  i  concetti di  sostenibilità  sono stati  introdotti  per  la  prima  volta  attraverso  il  rapporto  Brundtland  (Brundtland  1983), ricercando  un  equilibrio  tra  sviluppo  economico  e  qualità  della  vita  attraverso  il  corretto sfruttamento delle risorse naturali.  In campo nazionale si deve attendere quasi un ventennio prima di riuscire a definire i principi base delle politiche per lo sviluppo sostenibile (Delibera CIPE n.57 02.08.2002), in cui tuttavia, si identifica  la VIA quale unico strumento di riferimento per  il raggiungimento e  la valutazione della sostenibilità delle singole opere. Tuttavia a tale proposito, nel precedente paragrafo, sono stati  esposti  i  limiti  che  presenta  la  Valutazione  di  Impatto  rispetto  ad  una  valutazione  di sostenibilità globale volta alla valutazione globale dell’intervento.  Negli  anni  compresi  tra  il  2006  e  il  2008  si  assiste  alla  riforma  del  “codice  dell’ambiente” invitando  ad  adottare  strumenti  di  lavoro  volti  alla  sostenibilità.  Relativo  a  tale  periodo  è l’introduzione nella  legislazione nazionale  il principio di sviluppo sostenibile  (D.lgs.n.4 2008), volto a garantire e valutare la capacità degli ambienti naturali e degli ecosistemi di rigenerarsi e mantenersi  a  seguito  delle  attività  di  sviluppo  antropico  realizzate  nel  territorio  stesso, garantendo un’equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica. Più in generale è possibile  definire  attraverso  l’emanazione  dei  tre  Decreti  Legislativi  (D.lgs.  n.152  2006) (D.lgs.n.4  2008)  (D.lgs.  n.128  2010)  un  nuovo  assetto  dell’ordinamento  italiano  in materia  di ambiente volto alla definizione di strategie, politiche e valutazioni integrate sul tema ambiente, che  pur  riconoscendo  la  necessità  di  fare  riferimento  a  logiche  di  sinergia  in  termini  di autorizzazioni e valutazioni, delega comunque al processo di VIA tale compito.  Appare necessario,  anche  a  seguito del nuovo Regolamento delle  opere pubbliche  (DPR  207 2010), di  fornire alla Valutazione Ambientale un  ruolo più propositivo, più progettuale e più condiviso a seguito di una reale integrazione tra esigenze di tutela ambientale e progettazione delle  opere  ispirandosi  a  principi  più  evoluti  di  tutela  ambientale  legati  ai  principi  di sostenibilità.  Attualmente,  nel  panorama  nazionale  ed  internazionale,  non  sono  molte  le  guide  che definiscono  in maniera quantitativa  la sostenibilità dell’intervento progettuale  infrastrutturale. Quanto  attualmente  presente,  fa  riferimento  a  guide  che  forniscono  indicatori  volti  alla valutazione della sostenibilità di piani valutando l’insieme delle opere senza fornire valutazioni in  termini  progettuali. A  tale  tipologia  appartiene  il metodo  americano  sviluppata  dall’EPA (Enviromental  Protection Agency  2011)  che  definisce misure  di  performance  attraverso  una serie di  indicatori esemplificativi e  fornisce delle valutazioni  relative agli obiettivi e  i  risultati raggiunti dai piani in termini di sostenibilità.  La  metodologia  sviluppata  è  volta  a  definire  un  metodo  di  valutazione  della  sostenibilità attraverso un processo analogo al precedente, definendo cioè una matrice di  indicatori volti a valutare la sostenibilità, con specifico riferimento però alle opere infrastrutturali stradali.  

La metodologia 

Relazionandosi ai principali riferimenti, in ambito nazionale ed internazionale, rispetto ai temi della  sostenibilità  (Commissione  europea  1998)  (Aalborg+10  Ispirare  il  futuro  2004)  è  stato 

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possibile definire alcuni “Macro Obiettivi” di sostenibilità. Tali Macro obiettivi definiscono  la struttura  generale  della metodologia  (cfr  bibbliografia),  individuando  la  linea  generale  degli obiettivi  specifici  e  degli  indicatori  e  fornendo  un  utile  strumento  di  sintesi  dei  principi  di sostenibilità contenuti nei diversi documenti presenti  in  letteratura. In altre parole consentono di definire  i temi con cui  l’analisi deve   rapportarsi costruendo una serie di  indicatori ai quali riferirsi per un calcolo numerico.  

Figura 3‐1 Definizione dell'iter metodologico 

Gli  indicatori  individuati  sono  strutturati  in  maniera  tale  da  poter  valutare  due  aspetti principali  connessi  alla  realizzazione  dell’opera.  Da  un  lato  infatti  vengono  calcolate  le grandezze  relative al dato progettuale  (Qp) o alla possibilità di ottimizzazione progettuale di tale dato  rispetto  allo  standard normativo  o di prassi  (Qp0),  viene  così definita  la domanda richiesta dalla realizzazione dell’opera, dall’altro vengono calcolati le grandezze di riferimento (Qr) generalmente rapportate a valori legati agli aspetti territoriali, siano essi economici, sociali o ambientali. Viene pertanto definita l’offerta disponibile nel dato territorio. La quantificazione numerica dell’indicatore viene data dal rapporto tra la quantità di progetto (eventualmente  calcolata  al  netto  della  quantità  di  progetto  ottimizzata)  e  la  quantità  di riferimento.  In  termini  numerici,  tale  quantificazione  può  essere  compresa  tra  0,  nel  caso di progetto  insostenibile, e 1  in caso di progetto sostenibile, o meglio  il valore  tendenziale a cui deve mirare  l’indicatore  al  fine  di  raggiungere  appieno  l’obiettivo  di  sostenibilità  a  cui  fa riferimento.   

Macro Obiettivo Obiettivo Specifico Indicatore Valore dell’indicatore

Obiettivo Specifico 1.1

Indicatore 1.1.1 0.8

Indicatore 1.2.1 0.4

Macro Obiettivo 1

Obiettivo Specifico 1.2 Indicatore 1.2.2 0.1

Macro Obiettivo 2 Obiettivo Specifico 2.1

Indicatore 2.1.1 0.8

Macro Obiettivo n-esimo Obiettivo Specifico n,j

Indicatore n,j,k 0.9

Tabella 3‐1 Esemplificazione della matrice di calcolo 

In questo modo è possibile pertanto definire una matrice attraverso la quale è possibile valutare in maniera immediata i punti di forza e le criticità rispetto del progetto in essere, definire delle soglie di accettazione di raggiungimento degli obiettivi, permettendo così azioni di taratura in fase progettuale oppure effettuare valutazioni comparative tra soluzioni alternative. 

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Gli obiettivi di sostenibilità  

Come  sopra detto, partendo dai criteri generali di  sostenibilità è  stato possibile definire dieci macro obiettivi suddivisi in trentadue obiettivi specifici, come di seguito indicato. Macro obiettivi MO.01 Promuovere la partecipazione alle decisioni in materia di sviluppo infrastrutturale MO.02 Conservare e promuovere la qualità dell'ambiente locale, percettivo e culturale per il

riequilibrio territoriale MO.03 Migliorare la mobilità e ridurre il traffico inquinante MO.4 Tutelare il benessere sociale MO.05 Assicurare una economia locale che promuova l'occupazione senza danneggiare

l'ambiente MO.06 Aumentare gli investimenti per la protezione e la valorizzazione dell'ambiente MO.07 Utilizzare le risorse ambientali in modo sostenibile, minimizzandone il prelievo MO.08 Ridurre la produzione di rifiuti, incremenetandone il riciclaggio MO.09 Ridurre l'inquinamento MO.10 Conservazione ed incremento della biodiversità e riduzione della pressione antropica sui

sistemi naturali Tabella 4‐1 Obiettivi dello studio 

Ovvero MO N° Obiettivo Specifico

OS.01 Condividere l'iniziativa progettuale con stakeholder istituzionali in fase di progettazione

MO.01

OS.02 Condividere l'iniziativa progettuale con stakeholder non istituzionali in fase di progettazione

OS.03 Garantire una adeguata tutela del patrimonio culturale OS.04 Privilegiare la manutenzione o il riuso del patrimonio infrastrutturale esistente OS.05 Rivitalizzare e riqualificare aree svantaggiate OS.06 Tutela del patrimonio storico culturale OS.07 Sviluppare tracciati coerenti con il paesaggio

MO.02

OS.08 Coerenza con la vocazione e il significato dei luoghi/territorio OS.09 Specializzare infrastrutture per tipologie di traffico (lunga percorrenza - traffico

locale) OS.10 Migliorare la funzionalità della rete viaria OS.11 Promuovere iniziative atte a migliorare le prestazioni del servizio

MO.03

OS.12 Migliorare il livello di servizio delle altre reti infrastrutturali OS.13 Tutelare la salute e la qualità della vita OS.14 Migliorare la sicurezza OS.15 Protezione del territorio da rischi idrogeologici OS.16 Aumentare le azioni di controllo degli effetti ambientali della realizzazione e

dell'esercizio

MO.04

OS.17 Assicurare la certezza dei tempi di realizzazione dell'opera MO.05 OS.18 Incrementare posti di lavoro

OS.19 Aumentare gli investimenti per la minimizzazione ed il controllo degli effetti negativi

MO.06

OS.20 Evitare i consumi superflui e migliorare l'efficienza energetica OS.21 Ridurre il consumo di energia ed incrementare la quota di energie rinnovabili e

pulite OS.22 Migliorare la qualità dell'acqua ed utilizzarla in modo più efficiente

MO.07

OS.23 Migliorare la qualità del suolo e contenere il consumo di suolo in particolare

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nelle aree sensibili OS.24 Minimizzazione delle quantità dei materiali consumati ed incremento del riuso OS.25 Favorire l'impiego di materiali riutilizzabili e/o riciclabili al termine del ciclo di

vita MO.08 OS.26 Massimizzare il riutilizzo delle terre

OS.27 Delocalizzare le sorgenti di inquinamento acustico dai ricettori abitativi sensibili OS.28 Migliorare la qualità dell’aria

MO.09

OS.29 Bonificare e ripristinare i siti inquinati OS.30 Conservare e tutelare la biodiversità OS.31 Promuovere ed incrementare la biodiversità, rivitalizzando e riqualificando in

particolare le aree

MO.10

OS.32 Recupero di funzionalità delle aree boscate Tabella 4‐2 Obiettivi specifici dello studio 

In  ultimo  sono  stati  definiti  gli  indicatori  di  sostenibilità,  volti  a  quantificare  il  grado  di soddisfacimento dei macro obiettivi e degli obiettivi specifici. Ogni indicatore è definito da una sua unità di misura in funzione dell’obiettivo e del fine a cui deve tendere. Inoltre in funzione del tipo di indicatore e delle quantità calcolate sono state definite diverse modalità di calcolo.  

Conclusioni e sviluppi futuri  

Nel presente articolo è stata presentata una metodologia volta alla definizione di uno strumento di valutazione della sostenibilità ambientale in relazione ad infrastrutture di trasporto stradali.  Ad oggi tale metodologia è in corso di validazione e taratura, grazie all’applicazione rispetto a casi reali. Attraverso tale applicazione sarà possibile affinare, aggiungere e tarare gli indicatori attuali,  definendo  quali  possono  essere  contabilizzati  attraverso  i  normali  processi  di progettazione, e quali necessitano di approfondimenti tali che gli attuali livelli di progettazione (studi di fattibilità, progettazione preliminare e progettazione definitiva) non posseggono.  A valle di tale processo sarà quindi possibile non solo effettuare un primo processo di taratura, volto a garantire una maggiore affidabilità e applicabilità alla metodologia stessa, ma potranno essere definite delle nuove pratiche progettuali volte all’avvicinamento  tra  le esigenze  tecnico strutturali dell’infrastruttura e le logiche della sostenibilità sociale economica ed ambientale. In questo modo sarà possibile garantire  lo spostamento delle  logiche ambientali e di sostenibilità nella fase di progettazione.  

Riferimenti Bibliografici 

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Brundtland, G.H. Our  common  future. World Commission on Environment and Developmente, WCED, 1983. 

Commissione  europea,  DGXI  ʺAmbiente,  sicurezza  nucleare  e  protezione  civileʺ.  Manuale  per  la valutazione ambientale dei Piani di Sviluppo Regionale e dei Programmi dei Fondi strutturali dellʹUnione europea. Rapporto Finale, London: Enviromental Resources Management, 1998. 

D.lgs. n.128.  «Modifi  che  ed  integrazioni  al decreto  legislativo  3  aprile  2006, n.  152,  recante norme  in materia ambientale, a norma dell’articolo 12 della legge 18 giugno 2009, n. 69.» 29 Giugno 2010. 

D.lgs. n.152. «Norme in materia ambientale.» 3 Aprile 2006. 

D.lgs.n.4.  «Ulteriori  disposizioni  correttive  ed  integrative  del  decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152, recante norme in materia ambientale.» 16 Gennaio 2008. 

Del  Principe, Michele, Mauro. Di  Prete,  e Antonello Martino.  La  sostenibilità  ambientale  nei  progetti  di infrastrutture ferroviarie. Roma: Aracne, 2011. 

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Delibera CIPE n.57. «Strategia dʹazione ambientale per lo sviluppo sostenibile.» 02.08.2002. 

DPR 207. «Codice dei contratti pubblici relativi a  lavori, servizi e forniture  in attuazione delle Direttive 2004/17/CE  e  2004/18/CE.» Gazzetta Ufficiale  n.288 del  10/12/2010  ‐  Suppl. Ordinario  n.270,  5 Ottobre 2010. 

Enviromental Protection Agency. Guide to Sustainable Transportation Performance Measures. U.S. EPA, 2011. 

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Il valore del Capitale Umano. Criteri e metodi di stima Demetrio Carmine FESTA, Francesca SALVO, Manuela DE RUGGIERO 

(Università della Calabria) 

1. Premessa L’incidente stradale è senza alcun dubbio uno degli accadimenti più drammatici nell’esistenza di  un  individuo,  con  ripercussioni  significative  non  solo  sul  piano  soggettivo  e  personale, certamente non trascurabili e di non semplice quantificazione, ma anche sul piano collettivo, in termini di oneri finanziari che a diverso titolo gravano sull’intera società per un evento che ha coinvolto un numero limitato di cittadini.  La quantificazione del danno economico presenta caratteri di complessità legati alla numerosità dei  soggetti  e  degli  oggetti  potenzialmente  coinvolti  nell’incidente,  che  si  traducono  nella definizione di una funzione multipla del danno che pone in relazione la variabile dipendente (il danno) con il set di variabili indipendenti riconducibili alle diverse voci di costo connesse agli incidenti  stradali  –  perdita  della  capacità  produttiva,  costi  umani,  costi  sanitari,  costi amministrativi, costi giudiziari, danni materiali a proprietà terze. La stima dei predetti costi pone questioni di ordine pratico e metodologico; il problema pratico riguarda la disponibilità dei dati, quello metodologico attiene gli strumenti utilizzati. Il quesito può essere risolto da una prospettiva estimativa, dopo aver definito i criteri di stima, ossia  gli  angoli  di  visuale  economica,  e  i  procedimenti  estimativi,  individuando  tra  quelli riconosciuti dagli  International Valuation  Standards  (IVS)  quelli  più  idonei  alla  risoluzione del caso concreto di stima. Il presente lavoro si propone di affrontare il problema dei costi sociali da incidentalità stradale in termini etimativi, definendo criteri e metodi di stima con particolare riferimento al valore del Capitale Umano.  2. Stima dei costi sociali da incidentalità stradale Un’analisi estimativa volta alla quantificazione dei  costi  sociali da  incidentalità  stradale deve necessariamente  muovere  dal  criterio  dell’ordinarietà,  uno  dei  cinque  capisaldi  della metodologia  estimativa  che postula  l’oggettività del  giudizio di  stima  in  termini di  generale validità degli assunti e dei risultati della valutazione. L’oggettivazione della stima rappresenta il momento centrale nonché l’obiettivo stesso di ogni procedura valutativa.  Se  tutte  le valutazioni  sono previsioni,  e quindi non  certe ma probabili,  e quindi  in qualche misura  relative  a  chi  le  formula,  la  teoria  estimativa  dispone  di  strumenti  in  grado  di trasformare  queste  anticipazioni  in  giudizi  condivisibili  dalla maggior  parte  dei  soggetti.  In senso estimativo oggettività significa  intersoggettività argomentativa,  intesa come replicabilità dei risultati e possibilità di controllo critico da parte di terzi. L’oggettività  estimativa  si  affida  in  sostanza  a  due  requisiti  essenziali:  da  un  lato  alla disponibilità di un congruo numero di dati immediatamente e pubblicamente accessibili, grazie ai quali poter effettuare la valutazione nel rispetto del postulato della comparazione; dall’altro all’adozione di metodologie standardizzate per le quali siano chiare le ipotesi assunte e rigorosi i procedimenti operativamente impiegati. 

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L’oggettivazione della stima trova facile soddisfazione nella valutazione di numerose variabili richiamate  dalla  funzione  del  danno  economico  da  incidentalità  stradale,  per  le  quali  la letteratura riconosce come accreditati sia i criteri di stima che gli strumenti valutativi. La perdita di capacità produttiva, intesa come perdita netta di produzione per l’allontanamento temporaneo  o  permanente  dal  posto  di  lavoro  per  i  soggetti  coinvolti  direttamente  o indirettamente nell’evento incidente stradale può essere stimata richiamando il criterio di stima del valore mancato. Il procedimento di stima è invece riconducibile alla capitalizzazione dei redditi mancati, definendo un orizzonte  temporale  corrispondente  al  tempo di  inabilità  e un  reddito ordinariamente prevedibile in relazione all’età del soggetto coinvolto nell’incidente.  I costi sanitari, invece, possono essere stimati ricorrendo al valore di costo e alle metodologie del cost approach, sommando tutte le spese mediche necessarie all’intervento dei mezzi di soccorso, ai trattamenti di pronto soccorso, di ricovero e di riabilitazione, sulla base delle tariffe nazionali, generalmente legate alla gravità delle lesioni riportate. Anche per i costi amministrativi e giudiziari si può far affidamento agli stessi criteri, mentre per i danni materiali a proprietà  terze, con più precisione,  il criterio economico è  riconducibile al costo di ripristino, sommando le spese occorrenti per il ripristino ove possibile, dei beni sinistrati (costi per riparare i veicoli incidentati, la strada e le suppellettili che la compongono).  3. Il valore del Capitale Umano Se  il criterio dell’oggettività  trova ampio accoglimento nella definizione di criteri e  strumenti volti alla determinazione delle predette  categorie di  costo, di  contro  la  stima dei  costi umani pone  questioni  di  ordine  metodologico  e  deontologico  che  difficilmente  trovano  soluzioni oggettivabili. L’Uomo, nella sua essenza fisica e psichica, presenta due distinti aspetti coesistenti, afferenti alle cosiddette “sfera della personalità” e “sfera della patrimonialità” e, in quanto essere sociale, è in grado  di  assolvere  contemporaneamente  sia  a  funzioni  di  carattere  pubblico  che  di  ordine privato  o  individualistico.  La  presenza  di  differenti  aspetti  economici  in  linea  teorica  può portare all’individuazione di diversi valori attribuibili alla persona,  in  funzione della “ragion pratica” della stima. Se non vi è dubbio che il punto di partenza debba riconoscersi nell’assoluta eguaglianza di tutti gli uomini, si deve tuttavia rilevare che non sempre il risarcimento è lo stesso per individui che subiscano lo stesso tipo di lesione. In  termini generali,  il danno alla persona  contempla  tutto  lʹinsieme dei danni, patrimoniali e non, che un soggetto subisce in conseguenza di un evento illecito. In  particolare,    allʹinterno  di  questo  insieme  più  ampio,  è  possibile  individuare  categorie  di danno alla persona più specifiche; la giurisprudenza, il settore assicurativo e i teorici dell’estimo sono concordi nell’individuare  tre distinte  tipologie di danno:  il danno patrimoniale,  il danno biologico e il danno morale.  Il  danno  patrimoniale  si  riferisce  alla  capacità  dell’uomo  di  fornire  servizi  economicamente rilevanti  ed  essere  per  ciò  stesso  una  fonte  di  redditi:  si  configura,  pertanto,  come  il  danno arrecato  alla  sfera  patrimoniale  in  termini  di  mancata  redditività  derivante  dalle  lesioni temporanee o permanenti conseguenti all’evento incidente. Il danno patrimoniale da solo non basta ad assicurare il giusto ristoro dopo l’incidente, perché ha  il duplice  limite di non definire alcun risarcimento per quanti sono privi di reddito da un 

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lato, dall’altro di non riuscire a giustificare risarcimento qualora la lesione non abbia riflesso sul guadagno. Poiché,  dunque,  il  danno  alla  persona  deve  prescindere  dalla  capacità  lavorativa,  si  devono quantificare giusti risarcimenti per il danno biologico, intendendo con esso qualsiasi lesione della integrità psico‐fisica che abbia riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni ed i rapporti  in  cui  la  persona  esplica  se  stessa  nella  propria  vita  (non  solo  quella  produttiva, dunque, ma anche a quella spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva ed ogni altro ambito in  cui  il  soggetto  svolge  e  realizza  la propria personalità)  e per  il  danno morale,  inteso  come ʺpatema dʹanimo o sofferenza psichica di carattere interiore”.  In alcuni casi è richiamato anche il concetto di danno esistenziale quando, oltre alla lesione fisica oggettivamente  accertabile  sul  piano  medico  legale,  e  oltre  il  dolore  o  patema  generato dall’evento incidente, attinente la sfera interiore del danneggiato, residuano danni permanenti, oggettivamente verificabili, che riguardano ʺconcreti cambiamenti, in senso peggiorativo, nella qualità della  vita”  ‐  sconvolgimento delle  abitudini di  vita, dellʹequilibrio  e dellʹarmonia del nucleo familiare, delle aspettative affettive e relazionali.  Per il principio di eguaglianza del valore di tutti gli uomini, si deve necessariamente osservare che  il  danno  biologico,  quello  morale  ed  eventualmente  quello  esistenziale  devono  essere corrisposti in egual misura per tutti gli individui che hanno subito la stessa lesione. Di contro il danno patrimoniale, essendo legato alle specifiche condizioni di reddito del soggetto coinvolto, deve  essere  corrisposto  in  misura  proporzionale  a  queste,  differenziandosi,  pertanto,  da individuo a individuo. E proprio per  quest’ultima  tipologia di danno  la determinazione del  costo di  risarcimento  è ovvia, essendo di facile individuazione il criterio di stima, quello del valore mancato, e banale l’applicazione del procedimento di stima, riconducibile alla capitalizzazione dei flussi di redditi mancati:  si  tratta,  in  sostanza,  di  attualizzare  una  serie  di  redditi  futuri  ordinariamente prevedibili  per  il  singolo  individuo  in  un  fondo  di  capitale,  per  un  orizzonte  temporale corrispondente al periodo di mancata redditività. Ben più complessa,  invece,  la stima dei danni c.d. “non patrimoniali”, perchè riferiti a risorse intangibili e quindi difficili da quantificare in termini monetari.  Se  la  questione  relativa  all’individuazione  del  criterio  di  stima  appare  risolta,  individuato unanimemente dalla dottrina  il  criterio del  valore  complementare  quale  ragion  pratica della stima, ancora in fieri è la ricerca sulla definizione del procedimento di stima.  La  prassi  dei  risarcimenti  assicurativi  vede  l’utilizzo  di  parametri  prestabiliti  dai  Tribunali Italiani,  basati  sull’utilizzo  di  tabelle  le  cui  variabili  sono  essenzialmente  legate  all’età  del danneggiato e al grado di invalidità accertato in sede medico‐legale, senza alcun riferimento al reddito percepito, né tantomeno alla situazione patrimoniale. Se questo metodo da un lato assicura uniformità di giudizio, almeno in via teorica, dall’altro si propone  l’arduo  compito  di  tradurre  in  termini  pecuniari  caratteri  immateriali  ed extraeconomici con schemi rigidi e precostituiti, e per ciò stesso poco conformi alla stessa natura dei danni che si prefigge di stimare. La  valutazione  del  danno  extramonetario  non  è  di  semplice  risoluzione,  eppur  tuttavia  non necessariamente di impossibile attuazione; a tal proposito, è da osservare che uno dei capisaldi 

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della  disciplina  estimativa,  il  postulato  del  prezzo,  afferma  che  il  giudizio  di  stima  deve necessariamente esprimersi in termini monetari. Per quantificare  le  categorie  extraeconomiche  la  letteratura  suole  ispirarsi  all’  “Economia del Benessere”, un nuovo orientamento di ricerca che mira a risolvere questioni legate in particolare al passaggio dalla valutazione della quantità a quella della qualità, nella prospettiva di soggetti non sempre definiti e concreti ma anche potenziali e futuri. Più specificamente, la stima del danno non patrimoniale, derivante dalle lesioni riportate e dalle conseguenti sofferenze e ripercussioni nella vita privata e di relazione, può essere rappresentata attraverso  la disponibilità al sacrificio necessario al  recupero della piena  integrità psico‐fisica, ovvero attraverso  l’analisi del  costo monetario  sopportato da un  individuo,  sia  come privato cittadino  che  come  membro  della  collettività,  per  preservare  la  propria  condizione  nella situazione quo ante.  In termini operativi, la metodologia proposta dal presente lavoro richiama gli strumenti propri della  Contingent  Valuation.  Il metodo  si  basa  sull’idea  che,  per  stimare  beni  che  non  hanno mercato – l’uomo ne è senza dubbio il più significativo esempio‐  si possa pensare di chiedere direttamente  agli  individui  quale  valore  attribuirebbero,  o  meglio  quale  valore  monetario sarebbero disposti a pagare o ad accettare per il bene stesso.  Estendendo i campi di applicazione della metodologia sopra indicata all’oggetto della presente indagine,  la  stima del danno non patrimoniale può essere  risolta attraverso  la  costruzione di curve di domanda  elaborate  sulla base di  informazioni  raccolte  in merito  alla disponibilità  a spendere, informazioni verificate in concreto attraverso i costi sostenuti per far fronte alle cause del disturbo dal  singolo  cittadino, nonché attraverso  le  spese  sostenute dall’intera  collettività per mantenere un certo grado di funzionalità psicofisica di ciascun individuo.  4. Conclusioni La  quantificazione  dei  danni  alla  persona,  riconducibile  in  qualche  misura  al  “valore dell’Uomo”, porta con sé complesse e problematiche questioni di ordine metodologico ed etico, che tuttavia non possono esimere dal riflettere sulla opportunità di  individuare giusti criteri e procedimenti utilizzabili nelle numerose situazioni concrete in cui assenza di idonei strumenti di valutazione potrebbe risultare lesiva degli stessi interessi dei soggetti danneggiati. La disciplina estimativa offre possibili e interessanti soluzioni alla delicata questione del valore del  “Capitale Umano”,  certamente  plausibili  di  critiche  e  perfezionamenti, ma  che  lasciano ampio spazio a un dibattito che difficilmente troverà convergenza di vedute. L’uomo,  infatti, porta  in sé un patrimonio unico, singolare e  irripetibile,  il cui valore nessuna metodologia di stima potrà mai degnamente quantificare.                                                                                                               

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Stima e quote dell’incidentalità stradale in Italia Pietro IAQUINTA (Università della Calabria) 

La moderna società, subisce, ogni anno, per effetto degli  incidenti stradali un costo, sociale ed umano,  particolarmente  elevato. Dagli  anni  ’50,  epoca  in  cui  ha  inizio  la motorizzazione  di massa un pò  in  tutto  il mondo occidentale,  il numero d’incidenti  stradali è aumentato molto rapidamente. Dopo una  flessione  e un periodo  con  andamento  costante  legato  all’attenzione posta sui problemi legati alla sicurezza, il numero di incidenti  riprende a crescere fino al 2002, per poi diminuire e toccare in, Italia, il minimo nel 2010 (211.404 incidenti stradali). Rispetto allʹobiettivo fissato dallʹUE nel Libro Bianco del 2001, che prevedeva la riduzione della mortalità del 50% entro il 2010, lʹItalia ha raggiunto una diminuzione del 42,4% del numero dei morti (valore in linea con la media europea UE27).  L’informazione  statistica  sull’incidentalità  stradale  in  Italia, è  raccolta dall’Istat mediante una rilevazione  totale a cadenza mensile  (quando non è gestita direttamente dalle Regioni  tramite appositi  osservatori)  di  tutti  gli  incidenti  stradali  verificatisi  nell’arco  di  un  anno  solare sull’intero territorio nazionale che hanno causato lesioni alle persone (morti entro il 30°giorno e feriti). La successiva elaborazione, costruita di concerto con  l’ACI, che cura da anni questa statistica, produce  i  risultati  a  livello  nazionale,  che  mediamente  sono  disponibili  18‐36  mesi  dopo l’evento sinistro.  L’Unione  Europea,  attraverso  alcuni  enti  dedicati, ma  anche  attraverso  studi  e  associazioni, primo  tra  tutti  l’European  New  Car  Assessement  Programme  (Euro  NCAP),  l’autore  delle famigerate  classifiche  sulla  sicurezza  passiva  delle  automobili,  sostiene  che  la  principale variabile  correlata  con  l’incidentalità  stradale  è  rappresentata dal  volume di  traffico,  in  altre parole dalla quantità di auto  in  circolazione. Nella  realtà,  realizzare una  struttura  che misuri adeguatamente  i  volumi  di  traffico,  è  abbastanza  complicato.  Basti  pensare  che  in  Italia,  il numero di veicoli  in  circolazione  è aumentato, nel  corso degli anni,  in maniera  esponenziale (circa 800 veicoli ogni 1.000 abitanti nel 2010).  Ma questo aspetto rappresenta il cuore del problema, gestire il traffico vuol dire anche gestire la sinistrosità da esso derivata. La sicurezza stradale in Italia nasce con il PNSS (Piano Nazionale della Sicurezza Stradale) nel 1999 (L.144/99 art.32), che rappresenta il primo, organico strumento utilizzato per adeguarsi agli standard europei riguardo alla sicurezza in ambito dei trasporti. Il Piano è articolato  in numerose sessioni e prevede azioni atte ad  indirizzare  la politica della sicurezza  nel  nostro  Paese  negli  anni  a  venire.  Fra  queste,  trova  particolare  riscontro  quella indirizzata  alla  incentivazione  della  costituzione  di  centri  locali  di  monitoraggio  al  fine, essenzialmente,  di  adeguare  i  bisogni  locali  alle  realtà  tagliando  i  tempi  di  realizzazione  di interventi indispensabili al controllo ed al miglioramento della sicurezza stessa.  Il  PNSS  precede  di  poco  la  direttive  dell’Unione  Europea  dettate  con  il  “libro  bianco”  sulla sicurezza  stradale  (La  politica  europea  dei  trasporti  fino  al  2010:  il  momento  delle  scelte; Bruxelles, 12/09/2001, COM(2001) 370), che indica come obiettivo primario la riduzione del 50% della mortalità da incidente stradale entro il 2010. Ma  l’UE,  pur  non  avendo  centrato  appieno  l’obiettivo  prefissato  (nel  2010  si  sono  verificati 31.111 decessi a fronte dei 54.355 del 2001, con una riduzione del 42,8% nell’intera UE a 27), non ha abbandonato  il programma volto alla sicurezza stradale, tant’è che una nuova sfida è stata lanciata dall’ONU  l’11 maggio 2011, col decennio di  iniziative per  la  sicurezza  stradale 2011‐

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2020:  «Verso  uno  spazio  europeo  della  sicurezza  stradale:  orientamenti  2011‐2020  per  la  sicurezza stradale» COM(2010) 389 def., in cui viene riproposto nuovamente il dimezzamento delle vittime della  strada nei 27 Paesi dell’UE  entro  il 2020, per  tentare di  raggiungere  l’obiettivo delle 15 mila vittime complessive, sognando, fra non molto di avvicinarsi all’obiettivo “zero deaths”; un programma ambizioso ma che potrebbe diventare realtà molto prima di quanto si immagini. L’Italia, pur attuando un  interessante programma di sicurezza, anche se con  incredibili ritardi nella sua attuazione, presenta, però, delle peculiarità rispetto alla sicurezza stradale, degne di essere evidenziate. Nel  confronto  con  i principali paesi  europei,  omomorfi  al nostro per  ampiezza demografica, livello  di  sviluppo  e  penetrazione  del  settore  auto  nell’economia  nazionale,  evidenzia  delle caratteristiche che ne fanno un paese anomalo sotto taluni aspetti. Il  confronto  con Francia, Germania, Regno Unito  e Spagna,  simili per  ampiezza demografica (con la Germania un pochino più ampia e la Spagna di pari percentuale più piccola), evidenzia come l’Italia sia il paese con la più contenuta rete stradale pubblica (quasi 1/10 della Francia ed 1/3 di Spagna e Germania), mentre per quanto attiene la rete autostradale, se si esclude il Regno Unito, gli altri paesi viaggiano nell’ordine del doppio di estensione della rete.  In questo contesto, e pur essendo accreditata del maggior numero di veicoli a motore circolanti, i dati più  recenti nel panorama  europeo,  evidenzino  come  l’Italia  sia  il Paese  che presenta  il maggior numero di decessi da  incidenti  stradali,  con un valore addirittura doppio  rispetto a quello del Regno Unito, e superiore anche a quello della Germania, che mobilita un terzo in più di popolazione. 

Tabella  1‐  Confronti  europei  su  popolazione,  rete  stradale,  veicoli  circolanti,  decessi  da incidenti stradali, 2010 

Francia 62.469 1.027.584 11.041 551.208 38.749 3.992 Germania 82.002 644.359 12.645 357.039 49.603 3.651 Italia 60.045 183.704 6.629 301.328 48.637 4.090 Regno Unito 61.792 419.881 3.788 244.061 35.217 1.943 Spagna 45.828 666.064 13.515 504.750 30.856 2.470

Alcuni interessanti confronti Europei al 2010

Stati dell'UE Popolaz. residente

Lunghezza strade

pubbliche

Lunghezza rete

autostrad.

Superficie dello Stato

Veicoli a motore

Decessi Stradali

Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat 

 Ma  il vero problema,  cui  si  è  fatto poco  riferimento  in questi ultimi  anni di  campagne  sulla sicurezza e d’impegno per contenere gli effetti drammatici di questo  fenomeno, è dovuto più che  ai  decessi  agli  effetti  devastanti  su  coloro  che  pur  salvando  la  vita  riportano  gravi conseguenze a seguito di incidenti stradali. La  morbilità,  derivante  da  incidenti  stradali,  oltra  a  rappresentare  un  vero  dramma  con conseguenze economiche devastanti sia sui soggetti, che sull’intero costo sociale, non accenna, infatti,  a  diminuire,  se  si  pensa  che,  per  esempio,  in  Italia,  nel  1972  (l’anno  nero  per l’incidentalità stradale) a  fronte di oltre 11 mila decessi si sono registrati quasi 268 mila  feriti, mentre ancora oggi, nel 2010, con poco più di 4000 decessi, i feriti risultano essere ancora oltre 300 mila. 

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Il problema della morbilità da  incidente stradale è  fonte di attenzione anche da parte dell’UE che,  nel  citato  documento  della  Commissione  del  2010,  ha  previsto  un’importante  serie  di azioni, atte sia a contenere  la morbilità da  incidente stradale, sia ad  incrementare  la sicurezza attiva e passiva dei veicoli.  

Tabella  2  – Numeri  dell’incidentalità  stradale in Italia 

Anni Incidenti Morti Feriti

1954 126.232 5.281 98.766 1962 322.883 9.683 224.449 1972 332.591 11.078 267.774 1982 262.230 7.706 217.426 1992 170.814 7.434 241.094 2002 265.402 6.980 378.492 2003 252.271 6.563 356.475 2004 243.490 6.122 343.179 2005 240.011 5.818 334.858 2006 238.124 5.669 332.955 2007 230.871 5.131 325.850 2008 218.963 4.725 310.745 2009 215.405 4.237 307.258 2010 211.404 4.090 302.735

Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat 

Dal secondo dopoguerra, in tutto il mondo industrializzato, dove la motorizzazione ha assunto livelli importanti nell’organizzazione della vita sociale (ed economica), da sempre si è dibattuto sulle  cause  dell’incidentalità  stradale,  passaggio  importante  per  poter  meglio  affrontare  il problema e,  soprattutto,  individuare  correttivi e buone pratiche  indispensabili per arginare  il fenomeno. 

Tabella 3 – Distribuzione percentuale, per mese, dei sinistri, decessi e 

feriti nel 2010 in Italia 

Numero Morti FeritiGennaio 7,21 7,07 7,44 Febbraio 6,82 6,89 6,88 Marzo 7,98 7,68 7,92 Aprile 8,74 8,12 8,79 Maggio 9,18 8,22 9,11 Giugno 9,38 9,95 9,22 Luglio 10,06 11,00 9,94 Agosto 7,69 9,10 7,93 Settembre 8,54 8,39 8,37 Ottobre 8,87 8,02 8,81 Novembre 8,19 7,14 8,20 Dicembre 7,34 8,44 7,39 Anno 100,00 100,00 100,00

Mesi Totale incidenti

Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat 

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Le  statistiche ufficiali  non  rendono merito  alla  realtà,  limitandosi  ad  enumerare  cause più  o meno  dirette,  riconducibili  all’azione  del  guidatore,  e/o  a  cause  comunque  contingenti  alla circolazione stradale. L’Istat,  nel  lavoro  svolto  in  collaborazione  con  l’ACI,  nell’analizzare  l’incidentalità  stradale individua,  fra  le  principali  cause  di  sinistro,  rispettivamente:  a)  mancato  rispetto  della precedenza; b) guida distratta; c) velocità elevata. Queste  cause,  da  sole,  coprono  la  metà  complessiva  delle  cause  di  sinistro  e  racchiudono l’essenza delle problematiche riferite alla sinistrosità stradale. La realtà è che queste cause sono tutte quante funzione della presenza nel proprio raggio d’azione, di altri veicoli (oltre i ¾ degli incidenti avvengono fra 2 o più veicoli) e che, quindi, sono connesse alla dimensione dei volumi di traffico. 

Tabella 4 – Distribuzione mensile (valori %) della sinistrosità stradale in Italia per Regione, 

2010 

Incidenti Morti Feriti Incidenti Morti Feriti Incidenti Morti FeritiPiemonte 6,4 8,0 6,6 6,5 9,6 6,4 5,5 5,1 5,6 Valle d'Aosta 0,2 0,3 0,2 0,1 - 0,1 0,3 0,3 0,3 Lombardia 18,6 13,8 17,8 17,8 15,8 17,0 14,0 12,9 13,4 Trentino-A. A. 1,2 1,4 1,2 1,5 2,2 1,4 1,7 1,3 1,7 Veneto 7,4 9,7 7,2 7,4 9,3 7,4 7,6 8,9 7,5 Friuli-V. G. 1,9 2,5 1,7 1,9 2,7 1,7 2,1 2,4 1,9 Liguria 4,6 2,1 4,1 4,8 0,4 4,4 5,2 2,7 4,5 Emilia-Romagna 9,5 9,8 9,2 10,2 11,6 9,8 9,6 8,3 9,3 Toscana 8,2 6,9 7,7 8,3 6,2 7,9 8,4 8,1 7,7 Umbria 1,4 1,9 1,3 1,3 2,9 1,3 1,4 2,4 1,3 Marche 3,2 2,7 3,3 3,9 2,9 3,8 4,1 4,8 3,9 Lazio 13,2 11,0 12,9 12,2 12,2 11,9 11,1 9,4 10,7 Abruzzo 1,9 1,9 2,1 2,3 1,6 2,5 2,5 3,2 2,5 Molise 0,3 0,7 0,3 0,2 0,4 0,3 0,4 0,8 0,4 Campania 5,3 6,2 5,6 5,4 5,8 5,9 5,8 7,8 6,2 Puglia 5,9 7,1 6,9 5,7 6,0 6,6 7,1 6,2 8,2 Basilicata 0,5 1,2 0,7 0,5 1,1 0,7 0,6 1,3 0,9 Calabria 1,6 3,4 1,9 1,7 2,7 2,1 2,1 5,4 2,4 Sicilia 6,7 6,8 7,3 6,3 5,3 6,8 8,3 7,3 9,0 Sardegna 2,0 2,6 2,1 1,9 1,3 2,1 2,3 1,3 2,5 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Regioni Totale Luglio Agosto

Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat 

I volumi di traffico influenzano fortemente le condizioni della viabilità, ed il loro crescere vede crescere in maniera estremamente correlata l’incidentalità stradale. Alcune evidenze empiriche posso essere utili per comprendere l’efficacia della relazione e la sua influenza. Se  si considera  l’Italia, un paese  in cui  la mobilità,  soprattutto  stradale, subisce un forte  incremento  nei  periodi  estivi,  rispetto  a  quelli  invernali,  si  può  osservare  come,  la distribuzione dei sinistri per mese restituisce questa considerazione in maniera omomorfa. Nella distribuzione percentuale per mese dell’incidentalità stradale in Italia, si può notare come, soprattutto per  quanto  attiene  a  incidenti  e decessi,  la  concentrazione degli  eventi  sia molto elevata nei periodi estivi, notoriamente dedicati agli spostamenti per  turismo, con  i valori del mese  di  luglio,  superiori  anche  dell’80%  rispetto  a  quelli  del  trimestre  invernale,  dove,  fra l’altro,  si  concentrano  le maggiori quantità di giornate  con  condizioni  atmosferiche  che  certo non facilitano la circolazione stradale, anzi, la rendono ancora più rischiosa. 

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Se si volesse, inoltre, immaginare anche un condizionamento territoriale dei dati, nel senso che regioni più attrattive dal punto di vista  turistico subiscono un  incremento di  incidentalità nei periodi estivi, se ne può avere conferma osservando i dati in tabella 4.  Non è difficile osservare,  infatti, come,  rispetto al  totale dei sinistri  (e decessi e  feriti), alcune regioni subiscono un  forte decremento di valori   nei periodi estivi  (ad es. Lombardia con una riduzione  nell’ordine  di  ¼  degli  incidenti  in  agosto),  mentre  altre,  ad  evidente  vocazione turistica nella propria economia, ne subiscono un deciso  incremento, sempre nel confronto fra totale sinistri nell’anno e mesi di luglio e agosto. A questa seconda categoria appartengono, quindi,  tutte  le regioni che notoriamente vivono  la stagione  estiva  come  paese  di  ospitalità  turistica,  ed  infatti,  se  si  escludono  le  grandi  aree industriali tutte le altre regioni presentano un incremento in agosto, rispetto alla media annuale. Un’operazione abbastanza semplice, potrebbe essere stimare  i volumi di  traffico eseguendo  il processo a ritroso, partendo cioè dal livello di sinistrosità. Un accurato studio della sinistrosità potrebbe,  inoltre, non solo stimare  i volumi, ma addirittura classificare  la  tipologia di  traffico, derivando  dati  dalle  caratteristiche  dei  sinistri  riscontrati.  Il  lavoro  prendendo  spunto  da quest’ultima  classificazione,  consente  di  individuare  facilmente  una  sinistrosità,  e  quindi volumi  di  traffico,  alimentati  dal  flusso  turistico,  sia  commerciale  sia  proveniente  da spostamenti per motivi di lavoro. 

Riferimenti Bibliografici 

Da Molin G.,  Iaquinta P., Gli  incidenti  stradali  in Puglia,  in “Pensieri Complici”, Quaderni di  ricerca del CIRPAS, n° 19, Cacucci Editore, 2012; 

Iaquinta P., Calabrese E., Coscarelli A., Alcuni aspetti dei sinistri stradali nella  provincia di Cosenza, SIEDS, Bari, 2008; 

Iaquinta P., Malyzhenkov P., Il caso Fiat, University of Nizhni Novgorod, 2006; 

Iaquinta P., Calabrese E., Coscarelli A., Road Safety in the District of Cosenza, SIS, Cosenza, 2008;  

Iaquinta P., Crocco F., Mongelli D.W.E., Uno studio preliminare dell’influenza della velocità dei mezzi pesanti sull’incidentalità in un tronco dell’A3, Strade e Autostrade n° 3, 2008; 

Iaquinta P., Di Lazzaro F., L’impatto del  turismo sull’incidentalità stradale. Il caso della Provincia di Cosenza, Atti del III Convegno Nazionale su Turismo, Amantea, Cosenza, 13‐14 settembre 2008; 

Iaquinta P., Aspetti demografici e sociali dell’incidentalità stradale in Provincia di Cosenza, Centro Editoriale e Librario, Università della Calabria, 2009; 

Istat, Statistiche degli incidenti stradali, anni vari; 

 

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Traffico a Roma. Interventi dell’Agenzia per la Mobilità sugli assi stradali urbani di Nomentana e Lungotevere 

Carlo GERMANI, Adriano INGA (Roma Servizi per la Mobilità)  Una  migliore  e  più  efficace  distribuzione  dei  flussi  veicolari  lungo  un  asse  stradale  può produrre non solo una riduzione dei tempi di percorrenza ma anche una minore  incidentalità dovuta alla riduzione dello “stress” da guida per i conducenti e ad una mitigazione dei punti di conflitto nei nodi della rete.   LʹAgenzia Roma Servizi per  la Mobilità S.p.A. soggetta alla direzione e al coordinamento del Comune  di  Roma,  ha  come  obiettivi  quelli  di  integrare  le  funzioni  di  pianificazione, progettazione  e  controllo  della  mobilità  pubblica  e  privata  con  quelle  di  un’efficace informazione  al  servizio  del  cittadino  per semplificare  e  rendere  più  consapevole  l’uso  dei diversi mezzi di trasporto. Tra  i compiti fondamentali dell’Agenzia sono  i progetti di traffico e viabilità,  la pianificazione della  rete  del  trasporto  pubblico  su  gomma  e  su  ferro,  la  progettazione  e  realizzazione  di interventi  sulla  viabilità  e  sulla  rete  tranviaria.  La  gestione  integrata  dei  sistemi  tecnologici inerenti  la mobilità  urbana  è  affidata  alla  struttura  organizzativa  “Centrale  della Mobilità” all’interno  della  quale  l’Unità Operativa  “Gestione  Impianti  di Controllo”  (di  cui  gli Autori fanno parte) gestisce la rete di segnaletica luminosa presente sul territorio comunale, dove per segnaletica  luminosa  si  intendono  tutti  quei  sistemi  elettronici  che  gestiscono  ed  informano l’utente della strada, quali impianti semaforici, pannelli a messaggio variabile, ZTL, ecc. Tra le attribuzioni  dell’UO  GIC,  oltre  alla  manutenzione  ordinaria  e  straordinaria  dei  sistemi  di segnaletica  luminosa  ad  essa  affidati,  è  la  sperimentazione  di  nuove  tecnologie  per  il decongestionamento e la fluidificazione del traffico veicolare urbano.  Un  terzo dei  circa  1500  impianti  semaforici  che  esistono  su  tutto  il  territorio del  comune di Roma sono centralizzati, ovvero sono collegati tramite  linea telefonica, ADSL, GSM o GPRS ad una Centrale che ne gestisce il funzionamento.  I sistemi per la regolazione del traffico per gli impianti semaforici centralizzati del Comune di Roma sono sostanzialmente di due tipi: • formazione di piano o  sistema adattativo,  che  realizza  il piano  semaforico  secondo per 

secondo in base alla reale domanda di traffico sugli incroci controllati; • selezione di piano, nel quale  i piani semaforici sono  reimpostati e vengono attuati o ad 

orario o in base a eventi specifici.  Per  i due  itinerari scelti si è optato per  la  selezione di piano  in quanto più performante su assi viari ove  la domanda di  traffico maggiore si  trova  lungo una direzione prevalente;  inoltre,  in base alle nostre esperienze precedenti, si ha un  rapporto  tra costi di manutenzione e benefici ottenuti sostanzialmente più vantaggioso rispetto alla formazione di piano.  I  sistemi  a  formazione  o  adattativi  richiedono,  infatti,  un  maggiore  attenzione  nella configurazione  di  tutti  i  parametri  di  flusso  e  una  intensa  attività  di manutenzione  a  causa dell’elevato  numero  di  sensori  conta  traffico,  circa  2000,  la  cui manutenzione  si  è  rivelata estremamente complessa a causa dell’elevatissimo traffico veicolare della capitale. Si tratta nella maggior parte dei casi di spire elettromagnetiche posizionate al centro di ogni corsia di marcia, “affogate” nell’asfalto e quindi soggette ad un intenso logoramento (MTBF stimato intorno ai 2 

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anni), per  la cui riparazione occorre un  tempo molto  lungo sia per  le pratiche amministrative necessarie sia per la loro posizione al centro di assi viari ovviamente molto trafficati.     Il poster  illustra gli  interventi di upgrade hardware  e  software  effettuati dalla UO GIC nella prima metà del 2011 sugli itinerari urbani (o “assi”) di Via Nomentana e del Lungotevere. Le aree  interessate sono, per  l’asse Nomentana,  il  tratto  tra  l’intersezione con Corso Trieste e Piazza Sempione (3,2 km) e, per Lungotevere, il tratto compreso tra Ponte Sisto e Ponte Regina Margherita su entrambe le sponte del Tevere (6 km) .    Nel tratto di via Nomentana interessato dal nostro intervento si è provveduto alla sostituzione delle  interfacce  hardware  (dette MFU, multy  function  unit)  tra  il  regolatore  semaforico  e  il centro di controllo  traffico, attività che ha consentito  la migrazione verso una nuova versione del software esistente (UTOPIA – OMNIA), più efficiente del precedente. Su  Lungotevere  si  è  realizzata  invece  la  sostituzione  di  tutti  i  regolatori  semaforici,  ormai vetusti,  con altri di ultima generazione, mentre  il  controllo del  traffico è  stato affidato ad un nuovo  SW  di  gestione  (TMacs). Anche  in  questo  caso  il  sistema  di  regolazione  adottato,  a selezione di piano, ha consentito una maggiore efficacia della regolazione ed una riduzione del numero di sensori necessari.  In entrambi gli  interventi  si è potuto  riscontrare un miglioramento dei  tempi di percorrenza, misurati  dal  sistema UTT  (Urban  Travel  Times)  del Comune  di Roma,  gestito  anche  questo dalla UO GIC. L’adozione di  sistemi centralizzati più moderni di  regolazione del  traffico offre  la possibilità, infine, di poter stabilire un calendario di cicli semaforici appositamente studiati per i numerosi eventi che nel nostro caso si svolgono a Roma ed in particolare nella zona del Lungotevere. Qui  circostanze  quali  l’udienza  settimanale  del  Santo  Padre,  ogni  mercoledì,  e  le  varie manifestazioni serali o notturne che si svolgono sulle sponde del Tevere  influiscono  in modo molto pesante sul già intenso traffico cittadino ma la diversificazione dei calendari semaforici e l’adozione di diagrammi di fasatura studiati ad hoc e opportunamente centralizzati, permettono di apportare un sia pur lieve miglioramento dei tempi di percorrenza.  

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La nuova linea metropolitana leggera su Lungotevere a Roma Gaetano TROTTA, Giuseppe CAPUTI (Tecno Habitat SpA, Roma) 

Tecno Habitat SpA ha realizzato uno studio di fattibilità da cui è derivata la sostenibilità di una nuova linea di trasporto pubblico a guida vincolata, denominata “Tiberina” – Linea T ‐, per il collegamento  tra  le  stazioni  Piramide  della  linea  B  della metropolitana  (Piazzale Ostiense)  e Flaminio della  linea A  (Piazzale Flaminio), con un  tracciato di  lunghezza pari a 5,5 km, con 9 stazioni sotterranee e con gran parte del percorso al di sotto del piano stradale del Lungotevere sinistro (da Ponte Sublicio a Ponte Regina Margherita). 

Lo studio ha evidenziato: 

• la compatibilità dell’intervento con il quadro programmatico del Comune di Roma; • la sostenibilità finanziaria dell’opera; • l’elevato  valore  aggiunto  dell’opera  (nuovi  volumi  e  recupero  di  un  rapporto  con  il 

Tevere). 

Il Lungotevere è oggi utilizzato come arteria veicolare, ma non garantisce uno stretto rapporto tra  la città e  il suo  fiume, esistente all’origine della sua storia. Già nel dopoguerra, quando  il traffico privato era ben lontano dalle dimensioni odierne, sul Lungotevere, tra Ponte Garibaldi e Ponte Vittorio Emanuele II, transitavano due  linee tranviarie:  le “Circolari” (esterna e  interna) realizzate nel 1930‐31 e soppresse, rispettivamente, nel 1959 e nel 1975. Ora che la situazione è nuovamente  in  emergenza,  gli  obiettivi  che  della  nuova  linea  Tiberina  sono  molteplici  e intersettoriali e riguardano: 

1. Mobilità 2. Qualità ambientale 3. Parcheggi e Sosta 4. Urbanistica 5. Nuovo terziario 6. Turismo 

L’intervento trova sostegno anche nel Piano Strategico per la Mobilita Sostenibile (PSMS) del Comune di Roma, approvato nel Marzo 2010, ed  in particolare nel capitolo “Strategie per una 

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mobilità sostenibile” del PSMS che riporta, tra i vari interventi, sia la “Passeggiata Tiberina” che il “Sottopasso di Castel Sant’Angelo”. La  linea T,  infatti, agevola  l’accessibilità del CS ed è a servizio di un Municipio che, oltre ad ospitare il 27% di stranieri residenti a Roma, concentra la maggior  parte  di  sedi  istituzionali,  politiche  e  amministrative,  le  principali  rappresentanze economiche  e  finanziarie,  una  gran  quantità  di  attività  commerciali,  una  buona  parte  del patrimonio artistico e archeologico della città e, nella sola ora di punta del mattino, circa 56.000 persone  che giungono nell’area  con provenienza dai parcheggi di  scambio  (Partigiani  e Villa Borghese) o dagli aeroporti ed  intendono accedere all’area archeologica centrale, al Vaticano e al Tevere.  

Soluzioni  a  maggiore  capacità  (metropolitana  pesante)  sono  da  scartare  per  le  elevate dimensioni dei manufatti (in particolare delle stazioni) non compatibili con un efficace utilizzo dello  spazio  a  disposizione  nel muraglione  del  Lungotevere. Devono  essere  scartati  anche  i sistemi  a  bassa  capacità  (tram,  autobus,  filobus)  poiché  di  scarso  interesse  per  capacità  di trasporto e scarsa efficacia ed attraibilità del servizio. Le analisi comparative condotte,  infatti, hanno  portato  alla  scelta  di  un  progetto  di metropolitana  leggera  che  si  sviluppa  per  più dell’80% del tracciato al di sotto del Lungotevere sinistro sul muraglione costruito all’inizio del ‘900  su  progetto  dell’ing. Carnevari,  a  seguito  delle  piene  del  Tevere  (l’ultima,  il  2/12/1900, raggiunse al suo colmo l’altezza di 16,17 m sullo zero dell’idrometro di Ripetta). Per molti tratti sarà  sfruttata  la volumetria del  terrapieno per  realizzare  stazioni e nuovi  servizi  che,  inoltre, riconnettono  il  centro  storico  al  fiume  (9  stazioni  e  550  parcheggi  non  solo  pertinenziali  su un’area di 21.500 mq con aree museali, commerciali, ecc.). L’allineamento ferroviario può essere suddiviso in due sezioni principali. In particolare: 

• Sezione 1 – da attestazione Piazzale Ostiense a Ponte Palatino; • Sezione 2 – da Ponte Palatino a Lungotevere Arnaldo da Brescia (Collegamento Metro “A” 

Piazzale Flaminio) Lungo la Sezione 1 (via Marmorata – Piazzale dell’Emporio – Lungotevere Aventino), si potrà utilizzare: 

a) l’esistente linea tranviaria n°3, opportunamente adeguata, ed il lato destro del Lungotevere Aventino; 

b) un nuovo tracciato interrato (larghezza totale 8,5 ml, profondità max. 7,0 ml) a ridosso del ciglio destro di via Marmorata e, sul Lungotevere Aventino, del riporto degli argini della sponda sinistra del Tevere. 

Lungo  la  Sezione  2  (Lungotevere  di  sinistra),  il  tracciato  sarà  interrato  (8,5x7,0  ml),  con riferimento fisso il ciglio destro del tracciato viario dell’intero  Lungotevere. Ciò consentirà di: 

a) utilizzare il marciapiede esistente come transito pedonale ed accesso ai civici; b)  prevedere  almeno  una  corsia  libera  per  il  transito  veicolare  del  Lungotevere,  durante 

l’esecuzione dei lavori. 

Per la realizzazione delle opere si può ipotizzare un periodo di 4‐5 anni comprensivo di quanto necessario  per  la  progettazione,  l’espletamento  delle  gare  d’appalto  e  per  l’esecuzione  dei lavori. 

I costi di investimento sono stati stimati e suddivisi in costi di infrastrutturazione (opere civili e impianti),  costi  per  la  fornitura  del  materiale  rotabile  e  altri  costi  (progettazione, cantierizzazione, ecc.) e la tabella seguente riepiloga tali costi (517 Mln € pari a 94 Mln €/km) al netto dell’IVA, ma comprensivi delle “somme a disposizione” della stazione appaltante. 

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Riepilogo costi di investimento 

Voce Metropolitana leggera

Opere civili e impianti (linea) 293,6 Mln € Altre opere civili (parcheggi, ecc.) 45,0 Mln € Materiale rotabile 50,0 Mln € Altri costi (progettazione, somme a disposizione, ecc.) 128,4 Mln €

Totale 516,9 Mln €

Costo parametrico 94,0 Mln €/km

Particolare enfasi è stata assegnata nel porre, per la prima volta probabilmente nella storia di un progetto  similare,  una  posta  specificatamente  dedicata  all’alleviamento  dei  disagi  che  la collettività  patirà  durante  le  fasi  di  cantiere  a  compensazione,  quantomeno  parziale,  di  tali disagi. Circa l’1% del costo di investimento, infatti, sarà dedicato a tale posta e sarà il Comune a studiare e definire l’utilizzazione ottimale di tale posta attraverso una partecipazione ai costi dei disservizi patiti. 

La stima dei costi di esercizio è stata effettuata sulla base dei bilanci ATAC decurtati del 15% per tenere conto che la metropolitana leggera che si propone sarà a guida automatica19. 

Costi di esercizio del trasporto

Voce Metropolitana leggera

Costo unitario 7,40 €/vkm

Percorrenza annua 1.300.000 km

Costo di esercizio annuo 9,6 Mln €

Il costo per la gestione dei parcheggi e per le connesse aree dedicate al nuovo terziario avanzato sono stati stimati pari a 0,5 Mln €/anno. 

I ricavi della Società concessionaria sono stati sintetizzati in: 

• contributi pubblici (sia per la costruzione che per la gestione); • ricavi dalle attività accessorie (parcheggi e attività commerciali). 

I contributi possono essere sintetizzati nel modo seguente: 

• “contributo  in  conto  impianti”  che  sarà  versato  al  Concessionario  durante  la  fase  di progettazione e costruzione; 

• “canone di disponibilità”  che  sarà  erogato  al Concessionario durante  la  fase di gestione dell’infrastruttura. 

Nel  caso  della  Linea  T  si  possono  ipotizzare,  pertanto,  i  contributi  riportati  nella  tabella seguente. 

Contributi pubblici 

Voce Metropolitana leggera Contributo in conto impianti 179,8 Mln € (40%)

Canone di disponibilità 31,5 Mln € / anno (7%)

19 La Metro C S.p.A. stima nel 14/20% il risparmio nei costi globali di gestione dei treni driverless previsti per la linea C

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Il prezzo di vendita dei posti auto pertinenziali (box e stalli) è stato stimato basandosi sui dati dell’Osservatorio  del  Mercato  Immobiliare  (OMI)  dell’Agenzia  del  Territorio  e  si  è  fatto riferimento, in via prudenziale, al valore minimo dei prezzi di vendita nei rioni Ripa, S. Angelo, Regola, Ponte e Campo Marzio. 

• box auto: 5.200 €/mq; • stalli auto: 3.800 €/mq. 

Considerando 15 mq per posto auto, risulta un ricavo complessivo di 24,6 Mln €. 

Per  la stima dei ricavi dai parcheggi a rotazione si è considerata una  tariffa media di 1,20 €/h che, al netto dell’IVA, equivale a 1,00 €/h. Tale stima è molto prudenziale visto che nei principali parcheggi romani i costi (soprattutto per le prime ore di sosta) sono spesso applicate tariffe ben più alte20. Considerando una percentuale di occupazione media nell’arco delle ore del giorno (12 h) e dell’anno  (365 gg) pari al 60%,  risulta un prudenziale  ricavo annuo pari a 578.000 € circa. 

Anche  per  la  stima  dei  ricavi  dall’affitto  di  spazi  commerciali,  si  è  fatto  riferimento  ai  dati dell’OMI.  Il  ricavo  unitario  considerato  è  di  51  €/mq‐mese.  Considerando  una  superficie disponibile media di 200 mq per stazione, risultano i seguenti valori: 

• opzione “metropolitana leggera”: 1,1 Mln €/anno; • opzione “tram”: 0,9 Mln €/anno21. 

Altri ricavi per il Concessionario possono derivare da: 

• pubblicità e sponsorizzazioni; • accordi commerciali con altri vettori (ATAC, Battelli di Roma, ecc.); • affitto dei sottoservizi (fibre ottiche, ecc.); • organizzazione di eventi sulle sponde del Tevere; • ecc. 

Non essendo possibile  fornire una stima analitica di  tali  ricavi, sono stati assunti pari al 30% della somma dei ricavi dai parcheggi a rotazione e dagli spazi commerciali risultando, quindi, pari a circa 504.000 €/anno. 

Per la valutazione del numero di passeggeri che potrebbero essere trasportati dalla Linea T, sono state considerate solo le 5 tipologie di traffico seguenti: 

1. deviazioni dalla rete metropolitana; 2. deviazioni dalle linee di superficie; 3. deviazioni dal traffico stradale; 4. traffico turistico; 5. generazione di nuovi spostamenti. 

20 Prezzo della prima ora di sosta in alcuni parcheggi di Roma (IVA compresa):

• Park Sì - Villa Borghese: 1,30 € • Parking Ludovisi: 2,20 € • Terminal Gianicolo: 1,50 €

21 Il valore differisce dal precedente a causa del minor numero di stazioni previsto (6)

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In via prudenziale sono stati considerati i valori minimi dei passeggeri previsti sui tratti di linee metropolitane considerate e, assegnando un peso pari al 50% per i due tronchi parziali, risulta che  la domanda media deviata dalle  linee metropolitane nell’ora di punta è pari a 2.000÷2.900 passeggeri/h. 

Sono molte le linee di autobus potenzialmente interessate a deviazioni di passeggeri trasportati sulla  Linea  T. Considerando  che  la  domanda  nel  corridoio  della  Linea  T  nell’ora  di  punta  si attesta a  circa 4.450 passeggeri/h  (stima basata  sull’analisi dell’offerta attuale) ed  ipotizzando una  capacità media dei veicoli di  90 passeggeri  ed un  coefficiente di  riempimento di  0,9,  ed ipotizzando, altresì, una deviazione del 20%÷25%, la domanda deviata risulta pari a 900÷1.100 passeggeri/h. 

La rete stradale considerata utile per coprire il tracciato dalla Linea T è composta da due itinerari fondamentali: 

1. i due Lungotevere destro e sinistro, ognuno per un senso di marcia; 2. la “Via Olimpica” che dalla Circonvallazione Gianicolense giunge a Ponte Milvio. 

Si può stimare che  i volumi di  traffico su entrambi gli  itinerari nell’ora di punta siano pari a 6.000 veicoli/h (stima prudenziale). 

A questi vanno aggiunti moltissimi altri spostamenti intermedi che potrebbero essere effettuati con il mezzo pubblico (non essendo disponibili stime, tale quota è stata assunta pari al 20% di quelle dei grandi itinerari) ed ipotizzando un coefficiente di riempimento pari a 1,2 pass/auto, risulta che la domanda deviata dalla rete stradale è pari a 1.300÷1.900 passeggeri/h. 

Anche i bus turistici rappresentano una domanda potenziale che potrebbe/dovrebbe utilizzare la nuova Linea T. Il flusso giornaliero di bus turistici si attesta tra i 500 e i 1.000 e considerando un coefficiente medio di riempimento di 40 passeggeri/bus e un valore per l’ora di punta di 100 bus, si arriva a valutare un movimento a 4.000 passeggeri/ora.  

Considerando  che  una  gran  parte  di  questi  viaggiatori  è  già  organizzato  e,  dunque,  non  è potenziale utente del trasporto pubblico, ovvero se lo fosse, già sarebbe già stato considerato nei viaggiatori della metropolitana, si può ipotizzare un traffico medio nell’ora di punta pari al 15% nello scenario minimo e 20% in quello massimo, cioè pari a 600÷800 passeggeri/h.  

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Considerando  i  numerosi  spostamenti  nella  zona  attraversata  dalla  nuova  linea  e  l’elevata attrazione  che  la  zona  genera  per  nuovi  spostamenti,  con  speciale  riferimento  al  traffico turistico,  non  sembra  azzardato  ipotizzare  una  domanda  generata  del  15%  pari  a  700÷1.000 passeggeri/h. 

In definitiva,  la domanda di  trasporto della  Linea T,  a  regime, potrebbe  oscillare, nell’ora di punta del mattino, tra 5.500 e 7.700 passeggeri/h. Considerando,  inoltre, pari al 10%  il traffico dell’ora di punta  rispetto a quello giornaliero,  risulta una domanda giornaliera media pari a 66.000 passeggeri/giorno. 

Domanda di trasporto Linea T (ora di punta) 

Pax/h Tipo di domanda

min max

1. Da linee metro 2.000 2.900 2. Da linee di superficie 900 1.100 3. Dalla rete stradale 1.300 1.900 4. Turistica 600 800 5. Generata 700 1.000

Totale 5.500 7.700 Media 6.600

L’analisi finanziaria condotta nello studio è stata elaborata a prezzi costanti su di un periodo di 24  anni,  considerando  4  anni  per  la  progettazione  e  la  costruzione  e  20  anni  di concessione/esercizio.  Il SRIF  risultante  è positivo  e dimostra  che  l’investimento  è  sostenibile per gli investitori privati   con un piano finanziario basato su una combinazione tra capitale di rischio (equity) e indebitamento bancario a lungo termine (mutui). 

I  vantaggi  indotti  dalla  realizzazione  del  progetto  proposto  non  sono  certo  limitati  al miglioramento  della  qualità  dell’aria,  ma  sono  estesi  al  miglioramento  complessivo  della vivibilità di una vasta area tra le più importanti al mondo dal punto di vista culturale e artistico.   A tutto ciò occorre aggiungere un aspetto di straordinario interesse paesaggistico derivante dal recupero  dell’accesso  diretto  al  sistema  fluviale  e  da  una  innovativa  definizione del  sistema ambientale complessivo finalmente unitario tra  il Lungotevere,  la città storica ed  il suo fiume, ricostruendo l’antica integrazione da troppi anni persa con i muraglioni.  L’impatto  sulle  alberature  esistenti,  a  differenza  di  altre  proposte  progettuali  circolanti  sui media,  non  sarà  assolutamente  elevato.  Il  tratto  in  galleria,  infatti,  non  toccherà,  se  non  in minima parte, i platani a dimora sul lato Tevere e solo alcuni limitatissimi abbattimenti saranno necessari sul lato opposto (dove il filare non è continuo e le piante sono risultate ammalate). La  dettagliata  conoscenza  dell’esatta  posizione  del  “collettore  basso  di  sinistra“  tra  Ponte Regina Margherita e il Ponte Palatino, che fu costruito insieme ai muraglioni all’inizio del 900, 

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ha permesso ai progettisti di studiare un tracciato che evitasse totalmente il rischio di incontrare presenze  archeologiche  sovrapponendosi  al  tracciato  del  collettore.  Tra  le  demolizioni  già avvenute  con  la messa  in  opera del  collettore,  infatti,  vi  sono  le  spallette di  raccordo  con  il Campo Marzio, del Ponte Elio  (oggi Ponte Sant’Angelo), del Ponte Sisto e del Ponte Fabricio (all’isola Tiberina).  Dal  punto  di  vista  della  sostenibilità  economica  del  progetto  proposto  è  utile  evidenziare quanto una specifica analisi SWOT del progetto ha registrato: Dalla seguente sintetica analisi SWOT si può dedurre che  i punti di forza e  le opportunità del progetto  proposto  siano  di  straordinario  valore  e  superino  facilmente  e  con  evidenza  i  pur presenti  punti  di  debolezza  e  rischi  possibili  offrendo  alla  collettività  intera  una  soluzione potentemente  sostenibile. Le principali  criticità  che  lo  studio  ha  evidenziato,  infatti,  e per  le quali  è  stato  già  sviluppato  un  approccio  preliminare  per  identificare  soluzioni  idonee  a superarle, sono così sintetizzate: a. Attraversamento degli incroci stradali principali; b. Attraversamento degli incroci stradali in corrispondenza dei ponti sul Tevere; c. Esercizio del traffico veicolare durante la fase di realizzazione; d. Esercizio del  servizio tranviario durante la fase di realizzazione; e. Strozzature; f. Interferenze e sottoservizi di rete; g. Eventuali preesistenze archeologiche; h. Problematiche ambientali; i. Disagi  sociali; j. Difficoltà costruttive delle soluzioni tecniche adottate 

Analisi SWOT (Punti di forza, debolezza, opportunità e rischi/minacce del progetto) 

Punti di forza Punti di debolezza

• Importante contributo al sistema complessivo della mobilità della città di Roma

• Alleggerimento del traffico veicolare sui Lungotevere con deciso miglioramento degli attuali livelli d’inquinamento dell’aria

• Creazione di nuovi spazi per la sosta, sia di tipo pertinenziale che a rotazione

• Ricostruzione di un rapporto di scambio diretto tra la città storica e le adiacenti sponde del Tevere attraverso percorsi trasversali di accesso

• Sviluppo di nuovo terziario sulle sponde del Tevere senza, tuttavia, creare nuove volumetrie fuori terra

• Sviluppo dei servizi al turismo consentendo ai flussi provenienti dal sistema ferroviario e da quello aeroportuale di accedere direttamente all’area archeologica, al centro storico, al Vaticano e al fiume

• Cantierizzazione difficile in una zona nevralgica della vita cittadina

• Possibile contrasto con alcune politiche urbanistiche promosse recentemente dal Comune di Roma (sottopasso veicolare dell’Ara Pacis, parcheggio a Lungotevere Arnaldo da Brescia)

Opportunità Rischi/Minacce

• Interconnessione con la linea D (spostamento della stazione Sonnino)

• Integrazione con il sistema delle piste ciclabili • Integrazione con gli eventi estivi organizzati lungo le

sponde del Tevere • Integrazione con il servizio di navigazione del Tevere

• Possibili ritrovamenti archeologici in alcuni punti singolari

• Possibili interferenze dei manufatti con le spalle dei ponti storici

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Relazioni oikonomiche veicoli ‐ strade: città mobili su reti infrastrutturali Pier Giacinto GALLI (Terni) 

Comunico  che  il  mio  libro  intitolato  PIANIFICAZIONE  TERRITORIALE  FREDDA  ‐  SPATIAL PLANNING non  è  ancora  stato  stampato perciò ne  riferisco  alcuni  aspetti  che  sono  attinenti  ai  sette argomenti di questo Convegno celebrativo della XXX Giornata dell’Ambiente. L’opera è cresciuta intorno a  una  monografia,  dal  titolo  “Un  modello  computabile  che  permette  di  selezionare  un  progetto preliminare attraverso  l’ottimizzazione della  rete stradale”, portata nel 2009 all’attenzione scientifica di esperti  in Programmazione Matematica e  in Ricerca Operativa, sia nazionali sia  internazionali. Questa limitata diffusione del preprinting è stata consigliata da alcuni accademici Lincei che volevano condividere la mia dimostrazione matematica scaturita da un algoritmo ‐ generalizzabile ‐ messo a punto per fare la graduatoria delle “Convenienze” di tutti i tracciati stradali fattibili tra omologhe origine‐destinazione.  La metodica scientifica TCR (Traiettoria Congruente di Rete) consente di selezionare il progetto di pubblica utilità calcolata e distinguerlo dai progetti alternativi di minor “Convenienza” (C = Benefici / Costi) ….  La  novità  consiste  nella  capacità  dell’algoritmo  di  selezionare  freddamente  il  tracciato  ottimale Conveniente di effettiva pubblica utilità; infatti, il modello omnicomprensivo è un “classico” non soggetto alle variazioni di clima e di mode culturali: la monografia commenta lo sviluppo dell’algoritmo presentato nel 1973 per i vari tracciati stradali Terni – Rieti e spiegato, passaggio per passaggio, nel biennio 2007‐2009, così da  fornire un  completo  supporto didattico applicativo  che,  se  fosse  stato utilizzato per  i possibili tracciati TAV Torino – Lione con riguardo ai rispettivi “livelli di servizio”, avrebbe potuto discernere la disinteressata  soluzione  non‐preconcetta  incompatibile  con  le  bollenti  manifestazioni  risultato  degli equivocabili “studi partecipati” vecchio stile in val di Susa.  Dal  libro  si  evince  come  riorganizzare  la  dottrina  urbanistica  in  base  alla  complessità  degli algoritmi  quantificatori  di  decisioni  di  pubblica  utilità  a  vari  livelli  di  approfondimento  e dimensionamento  qualitativo  ‐  formale,  che  in  fondo  sono  le  positività  su  cui  si  fonda  uno strutturalismo territoriale supplementare a quello architettonico di Pier Luigi Nervi. Come noto, Nervi  aveva  “fiducia nella naturale  espressività  estetica di una  buona  soluzione  costruttiva” ben calcolata: la sommatoria di queste bontà dovrebbe abbellire, dall’interno, la forma cittadina, così  come  dall’esterno  il  disegno  urbano  “conveniente”  è  determinabile  da  questa  logistica intelligente  che  è  in  grado  di  costruire  ‐  in  linea  di  principio  ‐  l’ottimo  strategico  delle  reti interurbane. Queste  analisi  quantitative  cambiano  il  modo  di  progettare  le  spendite  pubbliche,  perché separano,  da  tutto  quello  che  è  fattibile  in  se,  soltanto  quello  che  conviene  nell’insieme reticolare: pragmatica attuazione del controllo e del contenimento dei Limits to Growth paventati a  iniziare  dal  1972  (Peccei)  e  successivi  aggiornamenti  del  1987  (Brundtland),  1996 (Wackernagel), 2004 (Meadows), 2008 (Turner) che hanno concorso alle definizioni di “sviluppo sostenibile”. Ne  consegue  un’etica  quantificabile,  o  dove  e  quando  lo  sia,  non  riguarda  più quella morale ingeneratrice d’emozionali sensi di colpa bensì riguarda la fredda razionalità che, se non applicata, porta all’errore matematico, causa prima della rovina economica delle nazioni se  non  la  pratichino  come mezzo di  civiltà  giuridica  e  come  cultura  del  primato  del  lavoro intellettuale che mette a sistema energia e territorio.   

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A pagina 19 della versione italiana della monografia si legge «… l’effettiva determinazione della graduatoria delle Convenienze consiste nell’elencare  i quoti  fra dividendi  (Benefici) e divisori (Costi dei Danni addendi ai Costi di costruzione):  le  implicazioni matematiche della ricerca di Convenienza,  come quoto B/C, permangono asettiche  in  tutti gli eventuali  intervalli di valori C>1,  0≤C≤1  e  C≤0  nonostante  C≤0  significa  diseconomia  (economia  senza  etica  [praticabile soltanto da una  “arte del possibile” non‐scientifica])  esplicata da un numeratore  ≤0 privo di senso pratico e da un denominatore ovviamente >0; l’interpretazione d’ordine non‐privatistico ammette  che “lo Stato non può  fallire”  ‐ assunto  lo Stato  ‘dispensatore’ d’inflazione  ‐ banale proposizione per lasciare insoluta la stima del pubblico Danno indiretto il quale esiste distinto dal Danno diretto  che F. Giannini  (1974  [conversazione privata])  conglobava  in un  indistinto concetto  di  Danno,  per  altro  indicato  da  V.  Joffe  (A.A.  1992/93)  come  divisore  “Costo  di riproduzione delle perdite di valore ambientale” (in seguito chiamato “Costo della mitigazione ambientale”,  in modo  eufemistico):  così,  sembra  contato  il Danno  indiretto  (ambientale  non riproducibile),  ma,  sembra  non  direttamente  (indirettamente)  contato  il  Costo  erariale  del ritardo amministrativo, id est i Costi dell’incompetenza, della corruzione e per tacitare ‘i gruppi di pressione’, tutta materia per auditors.».  È  quindi  superata  l’etica  come  dottrina  o  indagine  speculativa  intorno  al  comportamento pratico  dell’uomo  di  fronte  ai  due  concetti  di  Bene  e  Male  della  morale  professionale, deontologico  insieme  di  regole  che  disciplinano  l’esercizio  di  una  determinata  professione. Superata perché  la filosofia o teoria di J. Bentham (1748‐1832), di porre  l’origine e  il fine della morale e del diritto nel principio utilitaristico,  fa appunto  intervenire  la saggia sapienza della ragione  con  la  sua  esigenza  di  governare  il  limite  edonistico  o  egoistico  della  concezione dell’utile  che,  per  l’appunto,  evolve  in  un  principio  quantitativo  piuttosto  che  qualitativo, principio  condivisibile  nella  formula  secondo  cui  il  Bene  è  la maggior  felicità  del maggior numero di persone. L’ingegneria è un’attività di pubblico interesse e quella Fordiana ha ‐ non a caso  ‐  inventato  l’autovettura  utilitaria  costruita  in  conformità  a  criteri  di  praticità  e  di economicità per prezzi  e  consumi. Uti  = usare. Utile, vantaggioso,  conveniente,  aumentare  il rendimento  di  un  ‘motore’  =  ridurre  le  resistenze  passive,  lubrificando,  non  col  denaro  che induce  un  rapporto  corruttivo  ‐  concussivo,  ma  recuperando  calore  (energia  termica)  o addirittura  evitando  di  produrlo  andando  verso  l’automobile  elettrica.  Non  si  tratta  di  un semplice  dominio  d’uso materiale ma  anche morale.  L’innovazione  non  è  in  contrasto  con l’onesto e dovrebbe dare un ricavo insegnandola finché non diventi patrimonio di tutti; questo tipo d’insegnamento non  è  riconosciuto al pari dell’utile da prestito di denaro. Ciò  è motivo dell’emigrazione  intellettuale da  questo Paese, dove  chi  resta  a presidiare,  si  sente  frustrato, esiliato  in  Patria  finché  non  subentrerà  l’età  del  calcolo  della  Convenienza  che  serve semplicemente a definire una graduatoria di progetti o di decisioni contenenti le corrette azioni di pubblica utilità, inseguite a parole o distorte da militanti e mercenari comunicatori del nulla strumentale.  La  metodica  merita  attenzione  se  non  altro  perché  è  stata  concepita  assai  prima  che  la “trasparency” diventasse una parola d’ordine della “governance” con il “Memorandum for the heads  of  executive  department  and  agencies”  firmato  dal  presidente  Barack  Obama  il  21 gennaio  2009.  Infatti,  sul  finire del  2006,  quando  la Pubblica Amministrazione,  “imparziale” paladina  del  ‘merito’,  insabbiò  il mio  Ricorso  Straordinario  al  Presidente  della  Repubblica, 

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ricorso  avverso  ai  tardo‐retrogradi  criteri  che  avevano  informato  ‐  il Consiglio  di  Stato  e  il Comitato Interministeriale per  la Programmazione Economica (CIPE)  ‐ al finanziamento di un ambo di tracciati tra tutti quelli estraibili sulla ruota di una ‘nuova’ Strada Terni  ‐ Rieti, allora presi la decisione di riscrivere, in modo sistematico e analitico, tutti i passaggi matematici della deterministica  metodica.  La  monografia,  che  ne  è  scaturita,  s’intitolava  “Un  modello computazionale  concreto  per  selezionare  il  tracciato,  di  alternativi  progetti,  congruente  col reticolo stradale: una pianificazione territoriale fredda”; è preceduta da un Abstract, concepito in lingua  inglese,  che  traduco  in  italiano per  riportarne  la versione  seguente: …  è  la  riscrittura delle  grandezze  geometriche  fisiche  economiche  ripartite  lungo  il  grafo  di  tutti  i  percorsi infrastrutturali, quelli progettati e quelli pre‐esistenti ed è per l’appunto un apparato critico di considerazioni  cognitive  con  precetti  che  ne  conseguono.  La  dualità  tra,  teoria  al  fine  di ottimizzare  una  rete  autostradale  per  mezzo  del  selezionamento  del  tracciato  stradale  di pubblica  utilità,  e,  teoria  per  selezionare  il  tracciato  viario  di  pubblica  utilità  attraverso lʹottimizzazione di una rete autostradale, consegue dalle pagine 56÷59 in Atti delle Giornate di Lavoro dell’Associazione  Italiana di Ricerca Operativa, Padova 12‐14 Novembre 1973, pagine che  erano  state  accademicamente  discusse  prima  che  significassero  ostilità  ai  malvagi finanziamenti politici non economici. «Un modello computabile che permette di selezionare un progetto  preliminare  ottimizzando  la  rete  stradale:  una  pianificazione  territoriale  fredda» esprime  la conclusione che,  le NORME ITALIANE del 2006 FUNZIONALI E GEOMETRICHE PER LA COSTRUZIONE DELLE  STRADE E DELLE  INTERSEZIONI  STRADALI  (G.U. della Repubblica  Italiana  n.170  24‐07‐2006)  non  sono  sufficientemente  obbligatorie  perché  non impediscono di costruire lotti stradali progettati senza la necessaria verifica di compatibilità del grafo  con  la  rete  stradale  cui  il  nuovo  tronco  stradale  vorrebbe  appartenere.  In  altre parole, dovrebbe entrare a  far parte della preesistente  rete stradale soltanto quel nuovo  tracciato più “conveniente”  perché  il  calcolo  della  Convenienza,  C,  determina  l’ottimo  grafo  tra  i  vari progetti di massima messi  a punto per  il processamento  algoritmico di  confronto. La  chiave risolutiva  è  il  teorema:  il  tracciato  origine‐destinazione  di  Pubblica  Utilità  è  di  maggior Convenienza relativa e ottimizza la rete stradale. Questa rivendicazione, datata 18 agosto 2007, è  lʹestensione  delle  pagine  619÷621  dedicate  al  titolo  “Collegamenti  stradali  e  autostradali dellʹarea  romana”  in  ATTI  DEI  CONVEGNI  LINCEI  218  (2005),  Convegno  ECOSISTEMA ROMA [ (Roma, 14‐16 aprile 2004) con menzione di crudi MatCad‐calcoli del 17/11/1993]. Ciò è la  conseguenza  di  tutti  i  passaggi  matematici  e  delle  complete  spiegazioni  operative  per completare la comprensione di un algoritmo originariamente regolo‐calcolato. Mi riferisco alle originali formule riportate nella tesi di laurea pubblicata nel 1972 (“Collegamento stradale Terni ‐ Roma nell’ambito delle ipotesi di assetto territoriale” in Rassegna Economica della Camera di Commercio,  Industria,  Artigianato  ed  Agricoltura  di  Terni,  parte  prima  N.4  Luglio‐Agosto 1972; parte seconda N.5 Settembre‐Ottobre 1972) e alle stesse formule implementate nella bozza della  «Teoria  per  la  computazione÷selezione  della  traiettoria  congruente  dentro  una  rete‐supporto di un problema di trasporto», disponibile dal novembre 1973 negli Atti dell’AIRO.   Suddetti passeggi e spiegazioni, snocciolati nella monografia, costituiscono una composizione lessicografica  di  dimensioni  geometriche,  fisiche  ed  economiche  ripartite  lungo  gli  archi  del grafo  che  schematizza  i  cammini  di  “pre‐esistenti”  linee  di  traffico  e  di  “progettate”  nuove strade alternative;  le soluzioni senza precedenti, perché graduate, arco per arco,  in  termini di Quantità di Convenienza = Quantity of Suitability = (Benefici) * (Costi)‐1 = (Benefits) * (Costs)‐1 = 

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C_origine_destinazione, hanno perciò aperto una frontiera per migliorare il simbolismo predisposto per espressioni  concettuali  in  un  più  idoneo  campo  della  Ricerca Operativa.  La  logica  iterativa illumina i grovigli del grafo ‐ matrice dellʹalgoritmo ‐ con un’algebra molto semplice adatta per definire  il  complesso  che  è  stato  levigato  dall’analisi  dimensionale.  La  semplificazione terminologica dipende dallʹinnovazione che sistematicamente ha correlato  le variabili di stato del traffico (velocità, flusso, densità [“Diagrammi di stato dei parametri del traffico”, pagg. 20‐21 in Elaborato per Concorso P. G. Galli {Classe 72/A} O. M. n.153 del 15 giugno 1999 – prot. n D1/3495  Terni  15  Gennaio  2000.]).  Questa  teoria  applicata  a  una  rete  infrastrutturale  omo‐modale  è  una  circostanza  di  vera  e  propria  logistica  generalizzabile  perché  le  “percorso‐sequenze” del  “grafo‐modello” possono  anche  alludere  al  luminoso decadimento di  effimere traiettorie  appartenenti  a  frammenti  di  particelle  con  masse  scemanti  in  proporzione  alle assunzioni di corrispettivo portato economico‐energetico.  (Aspetto, questo,  ripreso  in un paio delle undici appendici che  integrano  la monografia.) La  lezione ha a che  fare con un modello infrastrutturale pronto a  lenire ministri per competenze:  le considerazioni modellate non sono né una dialisi palliativa per quinte colonne che istituzionalizzano un bluff finanziario ‐ politico, né un’etichetta alla moda di pratiche per società di comodo o di un opportunistico accordo  in più  interiori  speculazioni,  perché  i  conseguenti  precetti  non  possono  ritardare  l’inesorabile «legge  zero  della  termodinamica»  cui  i  tre  omonimi  principi  e  la  bio‐economia  sono naturalmente assoggettati.  Il Centro Studi dell’Automobile Club Italiano era, negli anni ‘960, uno sponsor e promotore di ricerche  su  temi  connessi  a  quello  dell’odierno  Convegno  Linceo MOBILITÀ,  TRAFFICO  E SICUREZZA STRADALE. L’ACI, da qualche tempo, non ha studi di base in corso, forse perché gli  studi  di  ricerca,  che  producono  innovazioni  concettuali,  non  sono  programmabili  o commissionabili giacché sortiscono in modo ‘inaspettato’ come il caso della mia monografia del tutto  indipendente  e  originale. Oggi  la  Fondazione Caracciolo  dovrebbe  avvalersi  di  questo libro  che  ha  come  nucleo  la  nuova  sintesi  delle  interdipendenze  strada‐veicolo‐infomobilità ovvero  il  ritrovato  lascito‐superamento  di  “Highway  Capacity  Manual  1965”  tradotto dall’inglese  e  commentato dal mio mentore Franco Giannini  e da Altri dell’allora Gruppo di Lavoro della Commissione Traffico e Circolazione dell’Automobile Club Italiano. La diffusione del libro PIANIFICAZIONE TERRITORIALE FREDDA ‐ SPATIAL PLANNING ricostituirebbe una continuità culturale  interrotta con  la prematura scomparsa del Professor  Ingegner Franco Giannini che  ‐ prima dei miei contributi agli Atti delle XXIX e XXX Conferenza del Traffico e della  Circolazione  di  Stresa  ‐  era  stato  ispiratore  del Modello Matematico  che  ho  ampliato, implementato e proiettato nel futuro ancora non raggiunto dai competenti ministeri del Tesoro e delle Infrastrutture.  Il metodo quantitativo era stato preparato in previsione del cambio di marcia da fare nella fase d’esaurimento del boom  economico  italiano: ma  fu  trascurato  e  la marcia non  fu  innestata  a causa del prevalere di un’economia politica propensa ad applicare la matematica all’aritmetica dei cosiddetti voti di scambio, anziché a spingere  la ricerca operativa verso  l’oggettività delle scienze  naturali  dove  ciò  che  non  è  quantificabile  può  attendere  finché  non  se  ne  scopra  il teorema. In questo periodo sono diventati di moda, o meglio “attuali”,  i convegni su ethics, su spending review, su smart cities, su smart modelling, smart networking, smart programming … su transportation 

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innovation, … innovations, sustainable growth che sono alcuni dei contenuti rievocati e prelusi nei capitoli di PIANIFICAZIONE TERRITORIALE FREDDA, libro di una storia italiana estranea a quei  pregiudizi  sistemici  che  ostacolano  l’inserimento  di  questo  Paese  nella  mentalità dell’Europa continentale in competizione globale. La monografia, nocciolo del volume, è una chiave per dischiudere e  storicizzare gli orizzonti filosofici della crisi economico‐finanziaria maturata nella sconsiderazione di metodi matematici come il nostro modello, esempio di strumento per far funzionare il processo della gestione del progresso strutturalmente concretizzabile nel sottinteso del programma quadro UE di portare la spesa per ricerca e innovazione al 3% del PIL.  Le  appendici  spaziano  da  fatti  concreti  a  considerazioni  di  frontiera  scientifica,  idee  scaturite  dalla miscelazione di fisica, matematica e topografia. La miscela ha dato luogo a una topologia consona, da un lato, ad accelerare la convergenza tra l’universo convenzionale e quello reale, e d’altro lato, a far evolvere la funzione matematica Uomo‐Urbanista verso una nuova concezione culturale. Concezione che riconsideri, tra  l’altro, gli  elementi mobili diffusi  sulla  rete  infrastrutturale della  città‐territorio,  con  taglie  reticolari diverse, dove le lunghezze medie del trasporto di merci e/o di persone ‐ sui relativi percorsi ferroviari e di traffico tradizionale o del trasporto rotaia‐strada  ‐ cambiano nelle rispettive scale urbano‐metropolitane, regioni‐peninsulari e macroregioni‐continentali.   

Si comprende altresì come la stessa disposizione mentale (forma mentis, mind set) abbia isolato il  “principio  attivo”  contro  le  decisioni  pubbliche  ascientifiche,  principio  che  avevo  isolato definendo un modello matematico per la guida di decisioni scientifiche, un algoritmo che però mi ha confinato dentro un ambiente  intellettuale circoscritto da agenti patogeni della politica contro  cui  ho  resistito  convertendomi  all’insegnamento,  per  sopravvivere.  Sì  tratta  del “principio attivo” utile a decisioni pubbliche scientifiche, dell’algoritmo tacciato come difettoso dai  puristi  della  discrezionalità  assoluta  che  annida  di  tutto:  dall’ostracismo  al  nomoteta Ermodoro di Efeso (sec. V a.C.) tramandato con un frammento di Eraclito (535 – 475 a.C.), alle calunnie larvate nelle molteplici variazioni aziendalistiche imitanti l’aforisma «Chi sa non parla, chi parla non sa», di Lao‐tzu “immortale” contemporaneo di Confucio (551 – 479 a.C.). Infatti, non a tutti piace una ‘semplice’ “cartina di tornasole” indicatrice del grado di coordinamento e d’efficienza delle separate giurisdizioni che amministrano  la polis! Il  libro pecca d’insistere su un  caso  rappresentativo,  perno  di  una  scientifica  estrapolazione  che mostra  in  filigrana  la trasversalità di tutte le parti politiche indistintamente responsabili d’intendere i lavori pubblici come mezzi,  di  generica  emunzione,  prioritari  rispetto  a  specifici  quanto  indeterminati  fini strategici di pubblica utilità.            

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Progetto ELEbici@Roma3 Stefania ANGELELLI (Università di Roma Tre) 

Obiettivo del progetto Il progetto ELEbici@Roma3 si propone tramite un accordo fra Enel Green Power e  lʹateneo di Roma Tre di dare impulso e sviluppo alla mobilità elettrica nel settore delle biciclette a pedalata assistita attraverso una sperimentazione nella città di Roma.    Durata del progetto La sperimentazione avrà la durata di 18 mesi per poter raccogliere i dati relativi almeno ad un anno  solare  intero di 12 mesi e poter  inoltre apprezzare  la differenza di utilizzo da un anno allʹaltro; escludere cioè lʹeffetto novità. Saranno disponibili 2 rapporti intermedi e uno finale: il primo dopo 6 mesi sulle attività dei primi 4 mesi; il secondo dopo 14 mesi sulle attività del 1 anno; l’ultimo e definitivo dopo 20 mesi sull’intero progetto di 18 mesi;   Partecipanti Il  progetto    ELEbici@Roma3  prevede  la  partecipazione  di  Enel  Green  Power  per  quanto riguarda  la  messa  a  disposizione  di  30  biciclette  a  pedalata  assistita,  e  la  partecipazione dellʹateneo di Roma Tre che mette a disposizione studenti che utilizzano  le bici e raccolgono  i dati relativi alla loro sperimentazione. In particolare  il progetto ELEbici@Roma3 si rivolge a studenti universitari di 3 aree tematiche (facoltà)  diverse: Architettura Urbana  (ArchiUrba),  Economia Ambientale  (EcoAmbi),  Ingegneria Trasporti (IngeTra). Sono previsti 10 studenti per ogni area tematica, coordinati da un docente di riferimento della stessa area tematica. Per gli studenti di Architettura il coordinamento dell’area tematica viene affidato al Prof. Mario Panizza, per gli  studenti di Economia  il  coordinamento dell’area  tematica viene  affidato  alla Prof.ssa Maria Claudia  Lucchetti  e  per  gli  studenti  di  ingegneria  il  coordinamento  dell’area tematica viene affidato al Prof. Stefano Carrese. Per  l’ateneo di Roma3  il progetto viene diretto dal mobility manager Arch. Stefania Angelelli con il supporto scientifico del prof. Ing. Stefano Carrese.  Attività del progetto Il progetto si compone principalmente di 3 attività: sperimentazione, analisi e progetto. Mentre la prima fase di sperimentazione segue un programma di rilevamento comune a tutte e 3  le aree  tematiche,  le successive attività di analisi e progetto seguono obiettivi e metodologie diverse secondo l’area tematica.  1 Sperimentazione Ogni utilizzatore di  bicicletta  a pedalata  assistita  svilupperà una  analisi dell’uso  quotidiano, settimanale  e  mensile  secondo  la  metodologia  dei  “diari  di  viaggio”.  In  figura  1  viene rappresentato un esempio parziale di diario di viaggio relativo ad un singolo spostamento. 

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INFO VIAGGIO  INFO TECNICHE  INFO ECONOMICHE 

ORIGINE  DESTINAZIONE FASCIA ORARIA  KM TEMPI min 

VELOCITA' km/h 

Pendenza % 

Motivo  Spostamento

Ciclabili % 

TEMPI  ricarica h 

consumo % 

SPESA  (consumo *  costo  kwh 0.15*  tempi ricarica) 

RISPARMIO (costo in auto  0.15  euro  a  km – ‐ spesa elettrica) 

PERCORSO 

Casa Via… 

Lavoro Roma3 

8.00‐9.00 am  15  60  15  5  lavoro  90  3  40  0,18  2,07 ltvr da ponte milvio  a ponte marconi 

2 Analisi I diari di viaggio nel loro insieme vengono poi analizzati dai 3 gruppi di studio, afferenti ciascuno ad un area tematica diversa Architettura Urbana (Archiurba),  analisi  comportamentale del  sistema uomo‐territorio  compreso  il  riconoscimento  sociale derivato dall’uso della Bicicletta  a pedalata assistita. Economia Ambientale (Ecoambi), analisi economica del sistema eco‐ambientale e sue ricadute in termini di benefici economici esterni. Ingegneria Civile e Trasporti (InCiTra): analisi tecnico‐economica del sistema di trasporto e sue ricadute sul sistema della mobilità locale.    3 Progetto Ognuna delle 3 aree tematiche, secondo le analisi che ha sviluppato, procederà a formulare proposte o progetti per la tematica di interesse. Iniziative comuni e interconnesse fra aree tematiche diverse sono benvenute soprattutto se partono dagli studenti e portano a elaborazioni di rapporti tecnici, tesi di prova finale e tesi di laurea.  Il progetto nel corso del suo sviluppo potrà allargarsi e  includere altre  iniziative  in corso o da sviluppare nell’ambito del Bike sharing all’interno dell’Ateneo.

Architetture della mobilità: flussi e infrastrutture Paolo Fiamma (Università di Pisa) 

1. Introduzione Statica  e  dinamica,  luogo  e  percorso,  stasi  e mobilità  non  sono  sempre  concetti  contrapposti  nella ricerca e nell’attività dell’uomo (nonostante  l’affermazione che  la nostra sia divenuta oramai una vita “di  corsa”).  In Architettura,  per  esempio,  è  stata  cercata  spesso  una  sintesi,  concettuale  prima  che costruttiva,  fra  i due  termini,  come  significati  complementari  (M. Sacripanti, 1973). Proprio ai nostri giorni  l’importanza,  anche  strategica,  degli  interventi  sul  territorio,  dimostra  in modo  crescente,  la necessità di realizzarli a partire da un’integrazione di conoscenze, che deve rispondere a nuovi livelli di crescente  complessità. Oggi viviamo  in un ambiente  che  tende a divenire  sempre più “unitario” nel modo di essere concepito e modificato. Flusso e manufatto definiscono realmente, senza paradossi (Fig. 1), Architetture della mobilità a diversa scala.  

2. Architettura e Mobilità Non è una mera giustapposizione di elementi e di  funzioni,  l’Architettura  indica, evidenzia, esalta  la mobilità: come nell’icona dell’Autogrill  (L. Greco, 2010). Una  tipologia che esprime nettamente  l’idea dellʹattraversamento statico, a ponte, del flusso dinamico: il traffico sull’autostrada.  E’ un’Architettura che permette a chi viaggia un momento di sosta, di tempo, per guardare (durante un pranzo, rilassati) il movimento di cose e persone, la ʺvelocitàʺ, lo sviluppo economico di quegli anni.  L’autogrill sullʹautostrada Milano ‐ Torino, a Veveri vicino a Novara, progettato nel 1962 dallʹarchitetto Angelo Bianchetti  (Fig. 2)  è un’icona della  rinascita  economica  italiana,  con  la  snellezza  e  l’eleganza della  struttura  è  sinonimo di modernità  e di progresso. Quest’idea di  sviluppo  è  simboleggiata  con forza  nella  concezione  costruttiva  dell’Autogrill  Pavesi  del  1958  a  Villoresi,  vicino  a  Lainate, coniugando lo slancio della struttura arcuata con la funzionalità della copertura appesa (Fig. 3,4).  

Opere architettoniche che osservano la mobilità. 

Fig. 1,2 Canale impossibile, Escher M.C. - Autogrill Pavesi presso Novara, Bianchetti A., 1962

Fig. 3, 4 Autogrill Pavesi presso Lainate, Bianchetti A., 1958: vista d’insieme e particolare della torre

 

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3. Architettura della mobilità Altre opere accolgono e ospitano questa mobilità: l’infrastruttura di un parcheggio può diventare tema per  le star dell’architettura. Come  il “garage” progettato dallo studio Herzog & de Meuron a   Miami Beach in Florida e costruito dal 2008 al 2010, denominato: “1111 Lincoln Road” (Fig. 4a). Questa’opera evita certamente di adottare stereotipo del parcheggio tradizionale. E’ ispirata, invece, al  Modernismo  Tropicale  con  una  struttura  aperta,  di  cinque  piani,  senza  pareti  esterne,  con  forti differenze d’interpiano che coniugate ai pilastri e setti in cls. armato che sembrano contrafforti, per un effetto complessivo che potrebbe ricordare un castello di carte.   I  piani  sono  d’altezza  variabile  (Fig. 4b) secondo  le funzioni ospitate: parcheggi e attività commerciali; al centro della pianta (Fig. 4d) sono disposti  i collegamenti verticali per  le persone: ascensori e scala  (Fig. 4c);  le  rampe per  le automobili sono di pendenza variabile per assorbire le differenze d’interpiano.  Al piano terra si trova la piazza con giardini acquatici, percorsi e aree verdi, dove la varietà di arbusti locali, palme ed erbe piantumati realizza una radura urbana che porta il verde nell’ambiente costruito. L’edificio risulta ben areato e illuminato grazie all’energia prodotta dai pannelli solari inseriti sul tetto. La concezione e costruzione dell’opera può essere esempio della trasformazione dei segni formali dei progettisti  dalla  semplicità  purista  (per  esempio  di  forme  rettangolari)  alla  ricerca  di  forme  più complesse  e  dinamiche.  Mobilità  su  ruote  e  mobilità  pedonale  coesistono  all’interno  della  stessa architettura. C’è  interazione di ambienti e di percorsi dovuta alla presenza nell’edificio anche di una libreria,  un  negozio  sportivo  e  un  outlet  e  le  aree  per  gli  eventi  speciali,  come  pranzi  di  nozze  e degustazioni di vini. La struttura, infatti, è in grado di offrire agli utenti ampie visuali; da ogni parte si susseguono  viste  diverse  della  zona  di  South  Beach  e  il  valore  panoramico  è  ritenuto  un  valore aggiunto dagli utenti.   

Fig. 4 a,b,c,d Herzog e De Meuron, Il garage "1111 Lincoln Road", Miami Beach, California,Usa. L’opera  architettonica  è  divenuta  ormai  un’attrazione  turistica  (J.  P.  McBrien,  2012)  la  meta  per architetti e ingegneri che ne vogliono studiare le caratteristiche, il luogo per l’organizzazione di eventi 

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promozionali a livello internazionale, che utilizzano l’orizzontamento più alto. Le critiche più ricorrenti considerano il garage non sufficientemente protetto contro le tempeste di pioggia del Sud della Florida; e  il  forte  interesse di  cui è oggetto  scarsamente  incidente  sull’incremento  turistico per  la  spiaggia di Miami. L’opera architettonica per contenere  il movimento per cui è realizzata può arrivare a un passaggio di scala,  divenendo  tout‐cour  percorso.  L’architettura  ordina  la mobilità.  Il  tema  progettuale  è  ampio (come architettura) e complesso (come mobilità).  Il Terminal 4 dell’Aeroporto di Barajas, a Madrid,  (Fig. 5a) rappresenta   un esempio significativo per  i suoi quattrocentosettantamila metri quadrati progettati dallo studio di Richard Rogers. Una  percorrenza  a  perdita  d’occhio  che  si  riflette  bi  univocamente  nella  copertura  ondulata  che rappresenta  l’elemento più  forte dell’edificio, sorretta da pilastri che sembrano alberi strutturali. Nel più  trafficato  Hub  spagnolo,  ovviamente,  si  amplificano  i  percorsi,  le  utenze,  le  intersezioni,  le interazioni,  in  verticale:  ascensori  e  scale mobili  e  in  orizzontale:  tapis  roulant.  Per  una  fruizione ottimale,  la  luce  naturale  diviene  un  elemento  fondamentale,  valorizzato  oltre  che  dalle  consuete vetrate strutturali di  facciata, anche dalla conformazione della copertura  (Fig. 5b), modellata secondo un’ondulazione continua, che conferisce unʹatmosfera di leggerezza e ampiezza, amplificata dai grandi pozzi  luce  che,  forando  con  cadenza  regolare  il  tetto  ‐  internamente  ricoperto di  strisce di  bamboo smaltate con colori primari  ‐  illuminano  lʹinterno dellʹedificio.  I materiali utilizzati per  la costruzione dellʹaeroporto sono principalmente cemento armato, acciaio inox e cristalli; infatti condizioni di luce e trasparenza tra  i vari  livelli consentono ai passeggeri di orientarsi meglio. Questa realizzazione riceve nel 2006 il premio Stirling per il disegno architettonico e lʹuso di materiali che rispettano lʹambiente. 

Fig. 5a,b Terminal 4, Airport of Barajas, Madrid, exterior and interior, Richard Rogers and Estudio Lamela, 2006

4. Architettura dalla mobilità Il senso di percorrenza, di movimento, di flusso arriva a concepire l’opera architettonica non solo come contenitore  muto  di  queste  dinamiche  ma  come  intrinsecamente  derivante  dallo  sviluppo  di  una propria  “mobilità”.  Nell’Architettura  attuale  molti  sono  gli  esempi  e  probabilmente  uno  dei  più conosciuti è quello del MaXXI realizzato a Roma da Zaha Adid.  Un Museo è certamente un luogo ma allo stesso tempo percorso: può essere progettato e costruito come un’architettura generata anche dall’idea di flusso. Il Guggenheim Museum realizzato da F.L. Wright a New York  è  una  delle  icone  più  famose  di  questa  concezione,  nascendo,  nello  stesso  tempo,  come “luogo” e “percorso”, coniugati lungo la forma a spirale definita dalla funzione espositiva.  Zaha Adid  amplifica,  grazie  anche  alle  nuove  tecnologie,  la  possibilità  di  realizzare  opere,  dove  il concetto di flusso plasma l’idea architettonica, che è concepita proprio come movimento. Composizione formale e tecnica costruttiva si coniugano in una realizzazione dalle forti connotazioni sperimentali.  

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Per la messa in opera del cemento armato faccia vista è stato appositamente studiato e (brevettato) un calcestruzzo auto‐compattante  ‐ Scc:  self compacting concrete  ‐ gettato a pressione poiché praticamente liquido grazie ad un additivo  superfluidificante. La miscela  individuata a permesso di  conferire alle pareti del museo un aspetto marmoreo senza riprese come accade, invece, normalmente nelle opere in calcestruzzo  armato.  Altre  soluzioni  adottate  sono  state  elaborate  come  prototipi:  per  esempio,  le vetrate  della  copertura  che  filtrano  la  luce  del  sole  evitando  così  che  colpisca  direttamente  lʹopera dʹarte.  Alcune  caratteristiche  dell’intervento  sono  da  evidenziare  anche  per  la  loro  valenza 

metodologica:  il  costante  dialogo  con  i  progettisti  e  con  il  Provveditorato  Regionale  alle  opere pubbliche;  la continuità dei  lavori perseguita per non perdere  le maestranze qualificate nonostante  la discontinuità dei finanziamenti; la realizzazione di modelli in scala delle vetrate della copertura con lo scopo di verificare lʹeventuale presenza di conflitti non prevedibili in sede progettuale. Il risultato finale (Fig.  6a)  è  un’architettura  dal  forte  impatto  scenico:  linee  curve,  volumi  flessuosi,  scale  dall’aspetto plastico, scultoreo, una generale morbidezza e sinuosità sottolineata dall’interazione di luce naturale e illuminazione  artificiale  (G.  Racanà,  2010).  L’ambiente  interno  risulta  fluido  (Fig.  6b),  dotato  di  un movimento che si coniuga con la mobilità dei visitatori.  

Fig. 6a,b Museo MAXXI, Zaha Hadid, Roma, 2009: plastico d’insieme e vista interna

Queste  Architetture  dimostrano  come  si  stia  definendo,  progressivamente,  un’idea  di  mobilità concepita, in nuce, come propensione al movimento di un ambiente spazio‐temporale o al movimento che avviene al suo interno, fissati nell’opera realizzata, che ne diviene dimensione attuativa.   5. Architettura nella mobilità  

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Oggi  l’ambiente  antropizzato  è  indagato  a  diverse  scale,  compresa  quella  architettonica,  come  un sistema di funzioni, sparse o raggruppate, di diverse tipologie di utenti, di precise gerarchie dei volumi e  dei  percorsi,  così  che  emerge  il  concetto  di mobilità  da  riscoprire  come  attitudine  dell’utente  (G. Melchiorre,  M.  Capriotti,  2005),  prima  che  come  criterio  di  progetto.  Questo  concetto  ha  molte declinazioni operative. Una delle applicazioni più diffuse  consiste nella verifica delle  scelte  tecniche progettuali e costruttive, in questa dimensione di mobilità. Per esempio in base alla reale possibilità di sussistenza nelle misure degli spazi del manufatto dei flussi programmati, nell’interazione nei percorsi degli utenti, nella loro necessità di evitare ostacoli, nella correttezza delle visuali, nella rispondenza ai requisiti, nella fruizione in sicurezza dell’edificio (Fig. 7a).  E’  l’estensione  o  la  riproposizione  del  concetto  di  diagramma  come  intermediario  del  processo  di generazione fra spazi reali e tempo (P. Eisenman, 2001).  

Fig. 7a,b Verifica analitica dell’area d’interazione di pedoni e di veicoli: all’interno e all’esterno di un edificio Così

Un’opera  architettonica  può  essere  concepita  pervasa  dai  flussi  interni  che  permettono  di  viverla  e anche dai  flussi  esterni  che  la  rendono parte viva del  contesto  (Fig. 7b): non  solo macro‐flussi  come quelli, per  esempio, dell’architettura degli  aeroporti, ma  anche micro‐flussi propri del quotidiano  in edifici o aggregati urbani.   Il soggetto del movimento si modifica, la sua modellazione analitica varia, ma il principio d’interazione permane Per questa ragione la ricerca sulla micro simulazione dinamica, tende a progettare e validare reali flussi di traffico pedonale e carrato in relazione a scenari architettonici e urbani variabili, esistenti o di progetto (Fig. 8a,b). Per un edificio importante, come per un flusso veicolare, si calcola il numero di soggetti in ingresso, le caratteristiche della loro mobilità, l’attitudine a seguire percorsi predeterminati o a  modificarli,  fino  agli  scenari  previsionali  al  variare  dei  parametri  stabiliti  e  l’interazione  con accadimenti improvvisi come incendi di edifici o incidenti stradali.  In questa complessità di dati e variabili, sta diventando sempre più strategico disporre di metodologie e  tecniche  innovative e affidabili,  in grado a  trasmettere,  in modo sintetico, elementi di conoscenza e risultati, anche per i non addetti ai lavori.  

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Fig. 8 a,b Risultati del calcolo analitico di flussi di mobilità nel contesto architettonico e urbano: casi di studio: progetto e verifica di un intervento di recupero e di un insediamento residenziale

Aumentando la scala e la complessità dell’intervento aumenta l’esigenza di questa concezione unitaria prima ancora della sua verifica. Oggi sarebbe necessario vagliare questa visione alla luce della cresciuta e crescente problematica generata dai flussi di persone e veicoli nell’ambiente costruito, che richiedono metodologie  e  tecniche  in  grado  di  offrire  nuove  potenzialità  e  di  gestire  quelle  esistenti,  secondo principi  e  metodiche  d’integrazione  progettuale  e  costruttiva,  come  il  calcolo  dei  rumori  e dell’inquinamento  atmosferico  associato  ai  flussi  stessi,  che  offre,  inoltre,  dati  utili  per  rispettare  i requisiti previsti per i nuovi edifici.  Il concetto di flusso assume in Architettura significati differenti e articolati (M.A. Crippa, 1996): molte opere recenti hanno contribuito a sviluppare quello di una mobilità fluida, realizzata con mezzi e scale differenti,  interagenti  fra  loro  e  con  l’ambiente:  tema  di  piena  attualità  per  la  sua  scalabilità  e  la necessità di ottimizzare le scelte secondo criteri di sostenibilità energetica.  Se dunque il movimento si progetta, può divenire parte di un unico quadro nel quale si relazione con la stasi non  in contrasto o  in giustapposizione ma  in modo biunivoco e progressivamente unitario. Una visione che, già nel 1934, F.L. Wright esprimeva nell’ideazione di Broadacre City (D. Larkin, B. Brooks Pfeiffer, 2005):  la visione di un  territorio della mobilità, esteso e omogeneo presente “dovunque e  in nessun  luogo”,  la  cui  qualifica  formale  è  affidata  al  singolo  elemento  architettonico  e  non  più  al generale  disegno  urbano. Un’intuizione  compositiva  basata  quindi  su  un’idea  quasi  illimitata  della mobilità individuale.  

 6. Conclusioni Architettura e mobilità rappresentano un binomio che assume oggi diverse valenze. Le opere architettoniche realizzate lungo le autostrade, per esempio, ma anche molte altre costruite per le  infrastrutture  dei  trasporti,  sono  ormai  solo  dei  simboli muti  del  passato  economico  italiano  o possono  contribuire  a  rappresentare  uno  stimolo  per  la  conoscenza  e  la  ripresa  di  una  nuova condizione di crescita? Nella loro realizzazione furono per esempio introdotti elementi d’interesse per lʹadozione di dispositivi progettuali e costruttivi inediti.  La mobilità include il senso del movimento e quindi di una componibilità dei percorsi e degli spazi: ne risulta  un  appesantimento  delle  procedure  tradizionali  o  un  principio  da  seguire  per  sviluppare  in modo  armonico  interventi  a  diversa  scala,  che  richiedono  quindi  conoscenze  interdisciplinari? Progettare il movimento in Architettura significa anche potersi misurare con la variabile tempo, come principio validante le funzioni assegnate al manufatto, per raggiungere nuovi standard di funzionalità, efficienza,  sostenibilità  e bellezza.  In  ogni  caso, prima della verifica di  requisiti  tecnici, di  afflussi  o deflussi di utenti e dei  loro mezzi, di valori estetici o compositivi,  la mobilità sottende  il concetto di rapporto, d’interazione.  Come  una  superficie  vetrata  che  favorisce  la  relazione  interno  –  esterno,  oggi  vi  sono  ricerche  in Architettura  che  sviluppano  questo  concetto,  in  relazione  a  tecniche  progettuali  e  costruttive  che consentono ad  ingegneri ed architetti di ottenere relazioni spaziali da movimenti nel  tempo: mobilità endogena e d’interazione con  l’esterno. Alcune  tipologie di edifici complessi, come gli aeroporti o  le stazioni  di  scambio  fra  diversi  mezzi  di  trasporto,  sono  più  facilmente  oggetto  di  nuove sperimentazioni (Fig. 9 a,b).    

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Fig. 9 a,b Progettare il sistema: architetture complesse, flussi di mobilità, insediamenti territoriali:

Paris Charles De Gaulle Airport; Passenger Terminal Building, Edit! Architecture, Hong Kong, 2011

Ritengo che il rapporto Architettura e Mobilità si svilupperà, progressivamente, nei prossimi anni. Non sarà  solo  per  un  automatismo derivante,  per  esempio, dalla  realizzazione di  architetture  su  grande scala, che  interesseranno  interi quartieri; e nemmeno, viceversa, per un concetto di flusso considerato criterio proprio dell’ideazione e della costruzione di edifici di grandi dimensioni.  Il motivo deve essere ricercato, piuttosto, nella crescente considerazione dell’importanza di una visione unitaria dell’azione dell’uomo sul territorio. La visione di una maglia di percorrenze che definisce gli spazi  per  l’architettura  sembra  non  riesca  più  ad  aggiungere  alcuna  soluzione  innovativa  alle  note problematiche  d’insediamenti  storicizzati  da  riqualificare  per  la  loro  salvaguardia;  e  nemmeno  alle cogenti necessità della nuova edificazione. Certamente  innumerevoli sono gli esempi di opere di “architettura  in movimento”, o di “movimento dell’architettura”  (K.  Jormakka, 2002; M.  J. Gorman 20005); eppure  il concetto di “mobilità” appare  ‐ tout  court  –  come  “esterno”  al  fare  architettura. Concetto  che,  probabilmente,  potrà  essere  sempre meno attuabile, se ridotto a mera intenzionalità o al tentativo di ottenere un’attribuzione di significati all’opera architettonica. Per queste  ragioni,  risulta da  approfondire,  il  concetto di movimento  come uno dei  tanti  fattori  sui quali può basarsi la concezione progettuale e costruttiva. Nuovi risultati si potranno aggiungere se sarà speso un concetto di mobilità, definibile e misurabile, che contribuisca al raggiungimento dei risultati attesi, per esempio in termini di rispondenza dell’opera finale ai requisiti. Al pari di quello di funzione e di requisito, anche il concetto di flusso, se scientificamente inteso, può svilupparsi nel cuore della concezione e della costruzione dell’opera architettonica, che risulterebbe, a sua volta, in grado di acquisirlo, divenendone quasi la sua “infrastruttura” di attuazione.   

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C. Socco, a cura di, Linee guida per la sicurezza stradale, Alinea editrice, 2009. 

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INDICE ANGELELLI Stefania ELEbici@Roma3 p. 93 CALABRESE Giuseppe G. Traiettorie tecnologiche e mobilità sostenibile nel settore automotive p. 23 CAPUTI Giuseppe La nuova linea metropolitana leggera sul Lungotevere a Roma p. 81 CARDAMONE Angelo S. La propensione dei conducenti verso l’utilizzo dei sistemi informativi... p. 59 COLORNI Alberto Ripensare la mobilità nello spazio urbano p. 3 CORSI Michela Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca p. 52 DE BLASIIS Maria R. Le potenzialità della realtà virtuale per gli studi di sicurezza stradale p. 38 DE BLASIIS Maria R. L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni... p. 44 DE LUCA Natalia Impatto su atmosfera e clima del traffico stradale: possibili strategie... p. 28 DE RUGGIERO Manuela Il valore del Capitale Umano. Criteri e metodi di stima p. 70 DI GENOVA Glauco Impatto su atmosfera e clima del traffico stradale: possibili strategie... p. 28 DI PRETE Mauro L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni... p. 44 DI PRETE Mauro GREENWAY: un metodo per la progettazione sostenibile di una strada p. 63 DOMENICHINI Lorenzo Normativa e infrastrutture p. 4 EBOLI Laura La propensione dei conducenti verso l’utilizzo dei sistemi informativi... p. 59 FESTA Demetrio C. Il valore del Capitale Umano. Criteri e metodi di stima p. 70 FIAMMA Paolo Architetture della mobilità: flussi e infrastrutture p. 95 GAIDO Massimo Tecnologia dei veicoli e prevenzione p. 14 GALLI Pier G. Relazioni oikonomiche veicoli - strade: città mobili su reti infrastrutturali p. 88 GERMANI Carlo Traffico a Roma. Interventi dell’Agenzia per la Mobilità sugli assi stradali... p. 79 GESANO Giuseppe Sostenibilità ambientale del trasporto su strada p. 16 GRATANI Loretta Variazione della concentrazione atmosferica di CO2 a Roma... p. 21 GUATTARI Claudia L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni... p. 44 IAQUINTA Pietro Stima e quote dell’incidentalità stradale in Italia p. 74 INGA Adriano Traffico a Roma. Interventi dell’Agenzia per la Mobilità sugli assi stradali... p. 79 MAZZULLA Gabriella La propensione dei conducenti verso l’utilizzo dei sistemi informativi... p. 59 PACELLA Alessandro Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca p. 52 PITARI Giovanni Impatto su atmosfera e clima del traffico stradale: possibili strategie... p. 28 RADA Elena C. Esposizione a benzene e stazioni di servizio p. 33 RAGAZZI Marco Esposizione a benzene e stazioni di servizio p. 33 RUSCONI Mario Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca p. 52 SALVO Francesca Il valore del Capitale Umano. Criteri e metodi di stima p. 70 SCHIAVON Marco Esposizione a benzene e stazioni di servizio p. 33 SOCCODATO Fulvio GREENWAY: un metodo per la progettazione sostenibile di una strada p. 63 TAGGI Franco È davvero possibile prevenire gli incidenti stradali? p. 19 TROTTA Gaetano La nuova linea metropolitana leggera sul Lungotevere a Roma p. 81 VARONE Laura Variazione della concentrazione atmosferica di CO2 a Roma... p. 21 VERALDI Valerio L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni... p. 44 VERALDI Valerio GREENWAY: un metodo per la progettazione sostenibile di una strada p. 63