mobilitÀ traffico e sicurezza stradale adottano processi costruttivi e di gestione caratterizzati...
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ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI
XXX GIORNATA DELL’AMBIENTE
MOBILITÀ, TRAFFICO E SICUREZZA STRADALE 17 OTTOBRE 2012
R I A S S U N T I
R O M A Palazzina dell’Auditorio - Via della Lungara, 230
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XXX GIORNATA DELL’AMBIENTE
CONVEGNO
MOBILITÀ, TRAFFICO E SICUREZZA STRADALE 17 OTTOBRE 2012
PROGRAMMA
Comitato ordinatore: Enrico ALLEVA, Michele CAPUTO, Sergio CARRÀ, Giorgio FIOCCO †, Antonio GOLINI, Alberto QUADRIO CURZIO, Giovanni SEMINARA (coordinatore)
9.45 Saluto della Presidenza dell’Accademia dei Lincei
10.00 Michele CAPUTO (Accademia dei Lincei), Apertura dei lavori 10.15 Giovanni SERPELLONI (Presidenza del Consiglio dei Ministri): Aspetti neuroscientifici in relazione alla
guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti 10.45 Alberto COLORNI (Politecnico di Milano): Ripensare la mobilità nello spazio urbano 11.15 Lorenzo DOMENICHINI (Università di Firenze): Normativa e infrastrutture 11.45 Intervallo 12.00 Massimo GAIDO (Centro ricerche Fiat di Torino): Tecnologia dei veicoli e prevenzione 12.30 Paolo GARONNA (ANIA, Roma): Costi e benefici socio- economici della mobilità e della sicurezza stradale 13.00 Discussione
14.30 Giuseppe GESANO (CNR-IRPSS, Roma): Sostenibilità ambientale del trasporto su strada 15.00 Franco TAGGI (ISS, Roma): È davvero possibile prevenire gli incidenti stradali? 15.30 Discussione
COMUNICAZIONI
16.00 Loretta GRATANI, Laura VARONE (Sapienza Università di Roma): Variazione della concentrazione atmosferica di CO2 a Roma in relazione al traffico autoveicolare e il ruolo dei parchi urbani nel miglioramento della qualità dell’aria Giuseppe Giulio CALABRESE (CNR-CERIS, Moncalieri): Traiettorie tecnologiche e mobilità sostenibile nel settore automotive Natalia DE LUCA, Glauco DI GENOVA, Giovanni PITARI (Università dell’Aquila): Impatto su atmosfera e clima del traffico stradale: possibili strategie di mitigazione Marco SCHIAVON (Fondazione Trentina per la Ricerca sui Tumori, Trento), Marco RAGAZZI, Elena Cristina RADA (Università di Trento): Esposizione a benzene e stazioni di servizio Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre): Le potenzialità della realtà virtuale per gli studi di sicurezza stradale Claudia GUATTARI, Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre) - Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI (IRIDE, Roma): L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni di un’infrastruttura viaria Michela CORSI (MIUR, Roma) - Alessandro PACELLA (CUEIM, Roma) – Mario RUSCONI (ANP, Roma): Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca
17.45 Discussione e conclusioni
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ESPOSIZIONE DI POSTERS
Angelo Stephen CARDAMONE, Laura EBOLI, Gabriella MAZZULLA (Università della Calabria): La propensione dei conducenti verso l’utilizzo dei sistemi informativi e di telecomunicazione per il miglioramento della sicurezza stradale Fulvio SOCCODATO (ANAS, Roma) - Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI (IRIDE, Roma): GREENWAY: un metodo per la progettazione sostenibile di una strada Demetrio Carmine FESTA, Francesca SALVO, Manuela DE RUGGIERO (Università della Calabria): Il valore del Capitale Umano. Criteri e metodi di stima Pietro IAQUINTA (Università della Calabria): Stima e quote dell’incidentalità stradale in Italia Carlo GERMANI, Adriano INGA (Roma Servizi per la Mobilità): Traffico a Roma. Interventi dell’Agenzia per la Mobilità sugli assi stradali urbani di Nomentana e Lungotevere Gaetano TROTTA, Giuseppe CAPUTI (Tecno Habitat SpA, Roma): La nuova linea metropolitana leggera sul Lungotevere a Roma Pier Giacinto GALLI (Terni): Relazioni oikonomiche veicoli - strade: città mobili su reti infrastrutturali Stefania ANGELELLI (Università di Roma Tre): ELEbici@Roma3 Paolo FIAMMA (Università di Pisa): Architetture della mobilità: flussi e infrastrutture
Il convegno è organizzato con il contributo della COMPAGNIA DI SAN PAOLO di Torino
ROMA PALAZZINA DELL’AUDITORIO - VIA DELLA LUNGARA, 230
Segreteria del Convegno: [email protected]
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Ripensare la mobilità nello spazio urbano Alberto COLORNI (Politecnico di Milano)
Il seminario illustrerà le varie affermazioni attraverso esempi di progetti in Italia e nel mondo. 1. Gli effetti della mobilità in‐sostenibile In poco più di 50 anni abbiamo sacrificato significative parti del territorio (e della nostra vita) alle automobili, che hanno “divorato” spazi comuni e luoghi dʹincontro. La città non è più di tutti ed è un pericolo per alcuni: muoversi è sempre più difficile, consumiamo tempo, spazio, salute. 2. Tre idee Il problema non è [più] risolubile con nuove infrastrutture, strade, parcheggi: ciò non fa che aumentare lo spazio dedicato alle auto. E’ necessario cambiare la logica, usando meglio quello che c’è, tenendo conto dei nuovi comportamenti (per esempio l’idea di condivisione, contrapposta a quella di proprietà), sapendo che in questo contesto esistono molti “attori” con priorità differenti, promuovendo e comunicando i vantaggi dei comportamenti virtuosi. Nel mondo sono ormai in atto varie esperienze che è possibile riprodurre e “mettere a sistema” nelle nostre città. 3. Gli strumenti Oggi gli strumenti a disposizione sono numerosi e diversificati, comprese varie strategie di incentivazione ai comportamenti virtuosi e alle nuove modalità di spostamento. Oltre agli esperti di traffico (gli urbanisti e i pianificatori) in grado di elaborare piani per la mobilità, il sistema può essere gestito da figure specializzate, i Mobility Manager, in grado di organizzare al meglio la mobilità collettiva. Tutto questo aiuta a distribuire il carico del sistema su una maggiore varietà di soluzione e di mezzi. 4. Si può fare a meno dell’auto personale ? La mobilità sostenibile è chiamata da alcuni “intelligente” proprio per l’idea di sostituire alla materia prima (costruire) la materia grigia (pensare un uso migliore per le opportunità esistenti). Questo significa governare i processi per fare in modo che i soggetti coinvolti traggano benefici concreti dall’agire in modo “virtuoso”: ciò richiede di analizzare i vari attori del processo e i loro obiettivi, di individuare i vantaggi per ciascuno di essi (vedendo se esistano strategie in cui tutti possono migliorare), di progettare servizi innovativi a partire dalle esigenze dell’utenza. 5. Partecipazione e comunicazione Alla base di qualunque ipotesi di ʺcittà intelligenteʺ (quindi più vivibile) non può che esserci una cittadinanza intelligente, informata e partecipe. E tutto quanto detto si può fare [anche] partendo dal basso: analizzando le problematiche del traffico attraverso gruppi organizzati di cittadini e proponendo idee alternative per far rivivere gli spazi liberati dalle auto. Spetterà poi ai decisori – e ai tecnici – di tenerne conto e di trasformare le proposte in soluzioni concrete.
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Normativa e infrastrutture
Lorenzo DOMENICHINI (Università di Firenze) L’ESIGENZA DI UNA SVOLTA DECISA La rete delle infrastrutture di trasporto costituisce la spina dorsale della società e del commercio1. Disporre di una rete di infrastrutture di trasporto efficiente a tutti i livelli, locale, regionale, nazionale e transnazionale, rappresenta il basamento fondante sul quale si possono sviluppare i rapporti fra i popoli e le relazioni di scambio tra i luoghi della produzione, della distribuzione e del consumo dei beni. L’Europa possiede una delle più diffuse e sviluppate reti infrastrutturali del mondo; un enorme patrimonio accumulato durante tutta la sua lunga storia, ereditato e condiviso dalle moderne nazioni, caratterizzato da un grande valore economico, che consente di generare ricchezza e di godere delle ricadute. Il più grosso sforzo di infrastrutturazione diffusa risale agli anni 1960‐1970 (Figura 1). Le opere realizzate in quel periodo oggi hanno raggiunto 50 anni di vita, target di durata spesso assunto a riferimento nella fase iniziale della progettazione. Oggigiorno queste infrastrutture sono sollecitate da flussi e carichi di traffico che vanno ben al di là delle loro iniziali capacità; anche le prestazioni dei veicoli sono cambiate, spinte dalla pressione commerciale nella direzione di sempre più elevate velocità, e risultano oggi incoerenti con le caratteristiche delle infrastrutture. Di conseguenza molti archi della rete in esercizio non sono in grado di soddisfare gli odierni requisiti funzionali, di sicurezza e di qualità e rischiano di compromettere le fondamenta su cui si basa l’economia delle nazioni. Il mantenimento in esercizio ed in efficienza di questo grande patrimonio presenta elementi di criticità. Il suo adeguamento, ricostruzione o miglioramento comporta costi astronomici e richiede investimenti e finanziamenti massicci e coordinati che, nella fase economica che l’Europa sta attraversando, non sono disponibili e non prevedibile lo diventino in futuro. Eppure è comune la convinzione che gli investimenti nel settore delle infrastrutture rappresentano la chiave che può rinvigorire le economie stagnanti ed offrire preziosi posti di lavoro.
Figura 1: Ponti in c.a. e la loro evoluzione nel tempo2
Si presenta quindi una importante e difficile sfida. Nella situazione economica odierna non è più possibile costruire e gestire infrastrutture con i metodi e le impostazioni adottate nel XX secolo. Le infrastrutture che il secolo scorso ci ha consegnato sono costruite con largo impiego di risorse non rinnovabili, producono per la loro manutenzione grandi quantità di materiali da demolizione che debbono essere smaltiti,
1 Horizon 2020 - The Framework Programme for Research and Innovation (2014-2020) 2 J. Gijsbers, G. Dieteren, C. van der Veen, “Beoordelingskader bestaande constructes”, Cement 4/2012
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adottano processi costruttivi e di gestione caratterizzati da elevati consumi energetici, che immettono in ambiente tonnellate di CO2, consentono condizioni di deflusso veicolare che comportano, soprattutto nelle aree urbane, grandi perditempo per diffusi fenomeni di congestione e offrono condizioni di insicurezza all’utenza che non sono più a lungo sopportabili. In sostanza, sono caratterizzate da alti costi e bassi livelli di efficienza. Oggi non è più pensabile continuare su questi binari nel momento in cui si prende in considerazione l’adeguamento della rete di infrastrutture esistenti. Il Libro Bianco sui trasporti della Commissione Europea sollecita il settore dei trasporti ad una profonda riflessione mirata ad individuare i criteri, i tempi ed i modi per un cambiamento di impostazione che possa consentire di ulteriormente far fronte all’incremento della domanda di mobilità di persone e beni3 e di continuare in conseguenza a sostenere lo sviluppo della società. E’ vitale riuscire a sviluppare metodi e tecnologie in grado di migliorare l’offerta infrastrutturale e renderla globalmente più competitiva. Sotto l’egida della Commissione Europea ed il coordinamento del FEHRL (Forum of European National Highway Research Laboratories) è stata istituita nell’Aprile 2012 una Task Force della Piattaforma Tecnologica Europea (European Technology Platform – ETP), che riunisce rappresentanti di tutti e 4 i modi di trasporto (su gomma, su ferro, aereo e marittimo) e le Associazioni delle Imprese costruttrici, che ha l’obiettivo di definire, entro metà del 2013, la Roadmap della ricerca per l’innovazione nelle infrastrutture di trasporto. Questo processo di pianificazione e programmazione della ricerca nel settore delle infrastrutture costituirà il presupposto per l’attuazione delle azioni di ricerca e sviluppo nel periodo di attuazione del programma Horizon 2020 della Commissione Europea. Le parole chiave dell’azione avviata sono: “adaptable, automated and resilient infrastructures”, cioè:
- adaptable infrastruttures: infrastrutture che modificano in tempo reale le loro condizioni di funzionamento in relazione alle caratteristiche della domanda di trasporto in una visione multimodale e che informano gli utenti delle effettive condizioni di utilizzo per ottimizzare la loro capacità e garantire la sicurezza della circolazione;
Figura 2: R. Smit, “Joint vision 2030 – 2050: Introduction”, Joint ETP Task Force on Transport Infrastructure Innovation, First Workshop, 28 settembre 2012
- authomated infrastructures: infrastrutture inserite nella costellazione dei sistemi tecnologici dell’informazione e comunicazione, in una visione cooperativa veicoli‐infrastruttura, per garantire sicurezza e risparmi energetici;
- resilient infrastructures: infrastrutture che garantiscono il mantenimento delle loro capacità di servizio nelle più estreme condizioni climatiche ed in presenza di criticità naturali.
3 Il numero di passeggeri-kilometro è previsto si raddoppi nei prossimi 40 anni secondo le stime del programma
quadro Horizon 2020
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In questo quadro, l’European Construction Technology Platform (ECTP) ha promosso l’iniziativa reFINE (research for Future Infrastructure Network in Europe) per creare, attraverso la cooperazione delle imprese europee attive nel campo della ricerca, costruzione, manutenzione e gestione delle infrastrutture, i presupposti per lo sviluppo delle infrastrutture del futuro i cui connotati sono4:
- “Green”: infrastrutture progettate per produrre un minimo impatto ambientale durante tutto il loro ciclo di vita, dal progetto alla costruzione, all’esercizio ed alla fase finale del loro riuso. Nella visione dell’iniziativa reFINE l’obiettivo operativo è individuato in una riduzione al 2020 del 30% delle emissioni di CO2;
- “Smart”: infrastrutture in grado di offrire un servizio di elevata qualità, grande affidabilità in esercizio e di sicurezza, tenuto conto dei rischi dell’ambiente naturale ed antropizzato in cui le stesse si sviluppano e dei cambiamenti climatici attesi. Espresso nella visione reFINE, questo si traduce nell’obiettivo di incrementare al 2020 del 30% le prestazioni delle infrastrutture in termini di capacità e sicurezza;
- “Low Cost”: infrastrutture il cui costo di costruzione e manutenzione sia ottimizzato e gestito al fine di preservare e migliorare la qualità della vita delle generazioni future in Europa. Nella visione reFINE, questo si traduce in un incremento del valore finale dell’opera con una riduzione del 30% dei costi di primo impianto.
Per raggiungere tali scopi occorre sviluppare importanti azioni di ricerca per l’innovazione che dovranno essere accompagnati da azioni parallele mirate a rimuovere alcune delle barriere che possono bloccare lo sviluppo nella direzione indicata:
- la barriera culturale: occorrono azioni mirate a promuovere iniziative formative che aiutino a dissipare l’avversione verso l’innovazione tecnologica nelle costruzioni (“abbiamo fatto sempre così!! Perché cambiare?”);
- la barriera normativa: occorre predisporre standard normativi che abbandonino l’impostazione prescrittiva, tutt’ora persistente, per abbracciare un approccio prettamente prestazionale, l’unico che può aprire la porta all’innovazione.
LA NORMATIVA IN CAMPO STRADALE In Italia il 70% circa della rete è stata realizzata prima dell’emanazione del primo documento ufficiale che delinea, nel 1963, le regole di buona progettazione delle strade (norma CNR UNI 10005) e la restante parte è stata costruita prima del 2001, in vigenza delle norme CNR BU 31/73 e BU78/80 (spesso, tra l’altro, applicate con poco rigore). La maggior parte delle infrastrutture, cioè, è stata realizzata prima dell’emanazione dei più moderni DM 5.11.2001 e DM 19.4.2006 che regolano le caratteristiche geometriche e funzionali che devono avere le moderne strade e le intersezioni di nuova costruzione.
4 European Construction Technology Platform, “Building Up Infrastructure Networks of a Sustainable Europe –
Strategic Targets and Expected Impacts”, draft August 2012
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1950 1955 1960 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005Anni
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s. statali
autostrade(1)
CNR 31/73
CNR UNI 10005edizione 1963
CNR 78/80
DM 5.11.2001
s. provinciali
(1)
(1) I dati relativi al 2002, ad eccezione di quelli relativi alle autostrade, sono influenzati dal passaggio di un notevole chilometraggio di strade, già Statali, che attualmente ricadono nella giurisdizione di Regioni, Provincie e Comuni.
Figura 3: La formazione del patrimonio stradale italiano
La consapevolezza dei riflessi che le caratteristiche costruttive delle strade hanno sulla sicurezza della circolazione è andata aumentando nel tempo in virtù degli approfondimenti e delle acquisizioni che la ricerca del settore ha via via reso disponibili. Il riferimento esplicito alla sicurezza stradale come criterio informatore del progetto delle strade, assente nella norma CNR UNI 10005, compare nelle successive revisioni, ed è ribadito con vigore nei più recenti strumenti normativi cogenti. Se ne desume che il processo di affinamento successivo dei criteri normativi per la definizione delle caratteristiche delle strade è stato determinato dalla volontà di ricercare configurazioni infrastrutturali sempre più adeguate alle aspettative di guida degli utenti così da minimizzare, se non annullare, la responsabilità dell’infrastruttura nella generazione degli incidenti o nel determinarne la gravità delle conseguenze. E lo sviluppo della materia è continuato anche nell’ultimo decennio, sulla scia anche delle interessanti ricerche svolte sull’influenza del “Fattore Umano” sulla sicurezza delle strade5. Le nuove consapevolezze suggeriscono l’opportunità di metter mano ad una revisione profonda degli standard in vigore al fine di inserire in modo più puntuale i nuovi concetti sulla percezione spaziale degli utenti alla guida e, magari, cogliere l’occasione per trasformare in prestazionali le nostre norme che ora sono spiccatamente prescrittive. In più, nell’ultimo decennio, sotto la spinta di una accresciuta sensibilità a livello nazionale, europeo e mondiale verso la necessità di incrementare la sicurezza nell’uso delle infrastrutture, il panorama del corpo normativo si è arricchito di una serie di importanti documenti in materia di sicurezza delle gallerie stradali6 e ferroviarie7 e di gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali8,9, mentre ha visto il consolidarsi ed ulteriormente precisarsi delle norme in materia di dispositivi di ritenuta. In questo campo, tra l’altro, è stato introdotto l’importante concetto di “Forgiving Roadsides” quale significativo elemento di sicurezza da adottare ovunque possibile, al posto del troppo diffuso impiego lungo i bordi delle nostre strade di barriere di sicurezza, tra l’altro sempre più pesanti ed invasive, nella fuorviante e sbagliata sensazione che ciò corrisponda a maggiore sicurezza. E’ chiaro quindi che infrastrutture progettate in vigenza di norme oggi superate contengano intrinsecamente livelli di rischio superiori a quelli considerati oggi ammissibili. A questo si
5 PIARC Technical Committee C1, “Human Factor principles of spatial perception for safer road infrastructures”,
Paris, 2012 6 D.Lgs. 5 ottobre 2006 n. 264 “Attuazione della direttiva 2004/54/CE in materia di sicurezza per le gallerie della
rete stradale trans europea”. 7 DECRETO 28 ottobre 2005, “Sicurezza nelle gallerie ferroviarie”. 8 D.Lgs. 15 marzo 2011 n. 35 “Attuazione della direttiva 2008-96-CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture” 9 DM 2 maggio 2012 n. 182 “Linee guida gestione sicurezza infrastrutture stradali”
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aggiunge l’elevato incremento dei flussi di traffico registrato nel tempo, foriero di gravi condizioni d’interazione veicolare che sono all’origine di ulteriori condizioni di pericolo per la circolazione. Nella Figura 4 è illustrata la relazione statistica ricavata, per una infrastruttura di tipo autostradale, mettendo in relazione la frequenza chilometrica degli incidenti registrata in un decennio con i volumi di traffico presenti al momento degli stessi. La densità incidentale aumenta all’aumentare del traffico ed è tanto più elevata quanto più peggiorano, sotto il punto di vista della sicurezza, le caratteristiche dell’andamento altimetrico del tracciato: i tratti in discesa (con pendenze superiori al 2%) sono più pericolosi dei tratti in salita ed i tratti pianeggianti risultano relativamente meno critici10. Tutto ciò non può che giustificare un allarmato giudizio di inadeguatezza della rete infrastrutturale esistente a riguardo dell’aspetto specifico della sicurezza stradale.
Aperto: Flusso/pendenza/densità incidentale
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Flusso (veh/h)
Inc/
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Discesa PianuraSalita Potenza (Discesa)Potenza (Salita) Potenza (Pianura)
Figura 4: Relazione tra densità incidentale e flussi di traffico, per diverse caratteristiche altimetriche di un tracciato autostradale
Il compito che impegna oggi gli Enti proprietari di strade ed i progettisti, quando sono chiamati ad operare sulla rete esistente con l’obiettivo di conferirle prestazioni migliori in termini di funzionalità e sicurezza, così da contribuire al raggiungimento degli obiettivi programmati, è pertanto particolarmente arduo e complesso. In questa opera non è possibile pretendere l’adeguamento delle strade esistenti ai più elevati standard geometrici e funzionali tracciati dalle più recenti normative per le nuove costruzioni, se pur ciò resti comunque auspicabile in tutti i casi in cui risulti ragionevolmente realizzabile ed economicamente giustificato. Occorrono nuovi criteri e nuove competenze per affrontare correttamente e con consapevolezza questo compito. A ciò aveva cercato di dare risposta la bozza di norma sull’“Adeguamento delle strade esistenti”, sviluppata nel 2006 e mai emanata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. L’impostazione del testo predisposto era di tipo prestazionale nel senso che, al di là e, si potrebbe dire, indipendentemente dalle modalità con cui gli interventi avrebbero potuto essere realizzati, ciò che è importante è il risultato auspicato di un innalzamento dei livelli di sicurezza e, contemporaneamente, di un miglioramento della qualità della circolazione, nel rispetto dei vincoli ambientali presenti, delle caratteristiche del contesto territoriale attraversato, garantendo un doveroso ritorno sociale degli investimenti effettuati.
Questo approccio, che è in linea con gli obiettivi della Commissione Europea di concepire e realizzare infrastrutture green, smart e low‐cost, dovrebbe essere ripreso in considerazione dal 10 La tendenza illustrata in Figura 4 è valida solo per condizioni di deflusso lontane dalla congestione. Quando la
domanda di traffico diventa paragonabile all’offerta capacitiva della strada, la densità veicolare raggiunge livelli tali da condizionare fortemente le velocità, che mediamente si riducono, come si riducono le differenze tra le velocità praticate dai diversi veicoli all’interno del flusso di traffico. In queste condizioni l’incidentalità (per lo meno quella più grave) tendenzialmente si riduce.
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Ministero per incentivare nei tecnici che operano nel settore un approccio alla progettazione, manutenzione e gestione delle strade più consapevole degli effetti che gli interventi effettuati hanno sulla sicurezza (in termini di riduzione del numero di incidenti‐feriti‐morti), sulla funzionalità (in termini di miglioramento delle condizioni di deflusso e di riduzione degli eventi di perturbazione) e sull’impatto ambientale in esercizio (in termini di riduzione delle emissioni gassose ed acustiche). I NUMERI DELLA SICUREZZA STRADALE 11 Maggio 2011: l’organizzazione mondiale per la salute (WHO) decide di denominare il periodo 2011 – 2020 come il decennio di azioni per la sicurezza stradale delle Nazioni Unite (UN Decade of Action for Road Safety) 11. Il WHO prevede che, se non si interviene prontamente, la mortalità stradale diventerà nel 2030 la quinta causa di morte per il genere umano. L’obiettivo posto dal piano mondiale è quello di evitare 5 milioni di vittime del traffico stradale entro il 2020 e per farlo il WHO chiede che ciascuna nazione che partecipa al Piano sviluppi al suo interno azioni per il miglioramento della sicurezza stradale in ciascuno dei 5 pilastri del Piano stesso (gestione della sicurezza, strade e mobilità, veicoli, utenti della strada, interventi post‐incidente).
Leading causes of death
Rank Disease or Injury
1 Ischaemic heart disease
2 Cerebrovascular disease
3 Lower respiratory infections
4 COPD
5 Diarrhoeal diseases
6 HIV/AIDS
7 Tuberculosis
8 Trachea, bronchus, lung cancer
9 Road traffic injuries
10 Prematurity & low‐birth weight
Rank Disease or Injury
1 Ischaemic heart disease
2 Cerebrovascular disease
3 COPD
4 Lower respiratory infections
5 Road traffic injuries
6 Trachea, bronchus, lung cancer
7 Diabetes mellitus
8 Hypertensive heart disease
9 Stomach cancer
10 HIV/AIDS
2004 2030
Figura 5: E. Krug, “Saving millions of lives”, One‐year progress update: Decade of Action for Road Safety 2011‐2020”
In linea col Piano Mondiale delle UN, il piano europeo per la sicurezza stradale per il periodo 2011‐202012 ha riproposto l’obiettivo, già adottato nel decennio 2001‐2010, dimezzare entro il 2020, rispetto alla situazione del 2011, il numero di vittime sulle strade. Ha inoltre adottato il piano strategico denominato “Vision Zero” che prevede all’anno 2050 che la strada non rientri più tra le cause che producono perdite di vite umane. Secondo le statistiche ACI/ISTAT, nel 2010 sono stati registrati in Italia 211.404 incidenti stradali con lesioni a persone. Il numero dei morti è stato pari a 4.090, quello dei feriti ammonta a 302.735.
11 UN Resolution on Road Safety March 2010: http://www.un.org/News/Press/docs/2010/ga10920.doc.htm 12 EU Action Plan 2011_2020 “Towards a European road safety area: policy orientations on road safety 2011-2020”
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Il costo sociale complessivo valutato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti assomma a ben 28,5 miliardo di euro, includendo nel conto tutti gli incidenti (con morti, con feriti e con solo danni alle cose) 13. Rispetto al 2009, si è riscontrata una leggera diminuzione del numero degli incidenti (‐1,9%) e dei feriti (‐1,5%) ed un calo più consistente del numero dei morti (‐3,5%). Rispetto allʹobiettivo fissato dallʹUE nel Libro Bianco del 2001, che prevedeva la riduzione della mortalità del 50% entro il 2010, lʹItalia ha raggiunto una diminuzione del 42,4% del numero dei morti, valore in linea con la media europea UE27, pari al ‐42,8%. In Italia fin dal 2000 è stato adottato il Piano Nazionale per la Sicurezza Stradale (PNSS) nel quale era stato individuato, come obiettivo, la riduzione entro il 2010 del 40 % dei morti e dei feriti, obiettivo che, come sopra visto, è stato raggiunto almeno per quanto riguarda il numero di morti. In realtà, dopo i primi tre Piani di Attuazione varati nel 2002, nel 2003 e successivamente nel 2006, che hanno incentivato in modo molto efficace la presa di coscienza del problema da parte dei numerosi Enti proprietari di strade in Italia e sollecitato iniziative mirate ad avviare un processo di gestione di questa emergenza, il PNSS non è stato più finanziato. Il rinnovato impegno a risolvere il problema della insicurezza stradale che viene dall’Europa e dalle Nazioni Unite dovrebbe spingere i nostri governanti a considerare con maggiore attenzione la priorità della sicurezza stradale nei piani di sviluppo nazionali, anche fosse soltanto in forza dell’enorme risparmio economico che una riduzione degli incidenti stradali può consentire. LA GESTIONE DELLA SICUREZZA DELLE INFRASTRUTTURE STRADALI Per risolvere il grave problema della sicurezza stradale, è universalmente riconosciuto che occorre un approccio di sistema. La distribuzione delle cause dell’incidentalità tra le diverse componenti che operano all’interno del sistema (utenti, veicoli, strada) viene schematicamente rappresentata mediante il diagramma di Figura 6 dal quale risulta evidente che le responsabilità sono distribuite tra tutte le componenti del Sistema. E’ pur vero che, complessivamente, le responsabilità attribuibili al comportamento non appropriato dei guidatori assommano al 93%, come spesso viene a livello giornalistico annunciato, ma ciò è ben lontano dal consentire la facile e deresponsabilizzante affermazione secondo la quale le caratteristiche dell’infrastruttura influenzano soltanto un numero trascurabile di incidenti (il 3% in figura). Viceversa quest’ultima entra direttamente o indirettamente in gioco in ben un terzo degli incidenti. E’ in sostanza riconosciuto che la configurazione dell’ambiente stradale gioca un ruolo spesso determinante nel generare incidenti, soprattutto quelli con più gravi conseguenze (scontri frontali, scontri in corrispondenza delle intersezioni, svii dalla carreggiata e urti coinvolgenti utenze deboli). Troppo spesso gli utenti sono vittime di strade pianificate in modo scorretto, mal progettate, non dotate di idonei impianti segnaletici o di elementi di ritenuta efficaci o, infine, mantenute in condizioni d’esercizio scadenti.
13 Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Dipartimento per i Trasporti, la Navigazione ed i Sistemi Informativi
e Statistici, Direzione Generale per la Sicurezza Stradale, Decreto Dirigenziale n. 000189 del 24 settembre 2012
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Figura 6: Distribuzione delle cause degli incidenti (fonte: PIARC Road Sefety Manual, 2003)
Nei piano di azione varati a livello europeo e mondiale la strada è considerata come il 3° pilastro della sicurezza stradale, insieme all’educazione stradale, alla formazione, alle azioni di repressione dei comportamenti scorretti e alle azioni di intervento post incidente (1° pilastro) e ai veicoli (2° pilastro). Per affrontare il tema del miglioramento della sicurezza delle infrastrutture sono state recentemente emanate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti le Linee Guida per la Gestione della Sicurezza delle Infrastrutture Stradali che definiscono i criteri e le modalità per l’effettuazione dei controlli della sicurezza stradale in fase di progettazione delle opere, per l’esecuzione delle ispezioni di sicurezza sulle infrastrutture esistenti e per l’attuazione del processo di classificazione della sicurezza della rete stradale. Le nuove Linee Guida introducono in sostanza nel settore delle infrastrutture stradali una nuova disciplina: quella dell’Ingegneria della Sicurezza Stradale.
Figura 7: DM 2 maggio 2012 n. 182 “Linee guida gestione sicurezza infrastrutture stradali”
Lo schema illustrato in Figura 8 riassume, specificandone i contenuti, i ruoli e le azioni con cui ai diversi livelli può essere articolata tale nuova disciplina. Alcuni elementi di questa articolata materia sono già operanti al presente presso numerose Amministrazioni ed Enti di ricerca, anche in Italia; altri invece rappresentano elementi di cui occorre incentivare l’applicazione. Tra queste si sottolinea l’importanza che rivestono gli strumenti di analisi e valutazione introdotti dalle cit. Linee Guida del Ministero ed evidenziate in rosso in Figura 8.
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Figura 8: Campi di azione e strumenti operativi dell’Ingegneria della Sicurezza Stradale
Studio di Impatto sulla Sicurezza Stradale (Road Safety Impact Assesment): alla stessa stregua con cui nel 1988 è stata introdotta nell’ordinamento italiano l’obbligatorietà, nell’ambito del processo decisionale per la realizzazione delle grandi opere, di uno studio finalizzato ad approfondire gli aspetti di interazione tra l’opera e l’ambiente naturale o antropizzato in cui essa si inserisce (procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale – VIA), così è stato introdotto all’interno del processo di pianificazione degli interventi di adeguamento della rete stradale esistente la procedura di Valutazione di Impatto sulla Sicurezza Stradale (VISS). Attraverso questo studio viene valutata in modo quantitativo l’utilità sociale di ciascun intervento, espressa in termini di potenziale capacità di riduzione degli incidenti, dei morti, dei feriti. Gli strumenti per svolgere queste valutazioni sono di diverso tipo e sono in genere basati su procedure di analisi benefici‐costi all’interno delle quali sono codificate le modalità con cui monetizzare gli effetti di miglioramento della sicurezza stradale potenzialmente offerti da ciascun intervento. A tal riguardo il MIT dovrà emanare apposite Linee Guida. Ispezioni di sicurezza (Safety Inspections): trattasi di una analisi di sicurezza operativa della rete stradale esistente, eseguita con criteri di periodicità biennale, al fine di identificare i potenziali problemi di sicurezza che richiedono intervento. Le ispezioni debbono comprendere anche la verifica delle misure di sicurezza temporanee poste in essere in corrispondenza di cantieri di lavori stradali e la verifica della sicurezza operativa delle gallerie, quest’ultima da effettuare in coordinamento con le analoghe ispezioni prescritte dal D.Lgs. 264/06 sulla sicurezza delle gallerie stradali. Le ispezioni di sicurezza debbono essere effettuate dando priorità ai tratti della rete nei quali si è manifestata nel passato elevata incidentalità. Procedura di Gestione della Sicurezza a livello di Rete (Network Safety Management): trattasi di una procedura per l’analisi della sicurezza della rete stradale in esercizio i cui obiettivi sono quelli di: - Individuare, attraverso una azione preventiva svolta mediante l’esecuzione delle Ispezioni di
sicurezza, estese a tutta la rete stradale esistente, i siti che possono essere potenzialmente critici ai fini della sicurezza stradale;
- Individuare, attraverso procedure di analisi d’incidentalità, gli elementi della rete in cui si sono già manifestati fenomeni di incidentalità particolarmente elevati;
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- Analizzare mediante ispezioni di sicurezza puntuali le caratteristiche specifiche dell’infrastruttura stradale nei tratti ad elevata concentrazione di incidenti al fine di confrontare dette caratteristiche con la fenomenologia incidentale per individuare il ripetersi di incidenti dello stesso tipo che possano essere messi in relazione ad eventuali difetti nell’infrastruttura;
- Classificare in ordine di priorità i tratti della rete individuati attraverso le ispezioni di sicurezza e l’analisi dei tratti ad elevata concentrazione di incidenti che necessitano di interventi per migliorarne la sicurezza; le priorità d’intervento dovranno essere definite in relazione ai potenziali benefici in termini di miglioramento della sicurezza stradale che si possono conseguire intervenendo in modo mirato su di essi.
Analisi di sicurezza in fase di progettazione delle infrastrutture (Road Safety Audit), sia nel caso di progetti di nuove strade, sia di interventi di adeguamento di strade esistenti. Questa procedura non rappresenta una novità in Italia in quanto è oggetto della Circolare n° 3699 del Ministero delle Infrastrutture “Linee guida per le analisi di sicurezza (n.d.r. preventiva) delle strade”. Di fatto però lo è in quanto, differentemente da quanto avvenuto per le ispezioni di sicurezza codificate dalla stessa Circolare (che hanno avuto negli anni trascorsi numerose applicazioni), la procedura di Auditing per la sicurezza dei progetti stradali non è entrata tra le attività di controllo della qualità tecnica dei progetti messe in atto dalle Amministrazioni appaltanti, nonostante avrebbe dovuto esserlo, a giudicare da quanto di sbagliato, sotto questo aspetto, si continua a fare, fatte salve le doverose eccezioni. Questa prassi, al contrario, è da tempo adottata in molti paesi europei e riveste una grande utilità, documentata dai benefici che l’applicazione della procedura ha consentito in termini di sicurezza (riduzione degli incidenti), di economia (minore spese di manutenzione straordinaria per correggere criticità che si evidenziano dopo l’entrata in esercizio della strada e, in taluni casi, minore costo delle soluzioni progettuali individuate) e di miglioramento della qualità tecnica dei progetti. Sia le ispezioni di sicurezza che le analisi di sicurezza dei progetti di strade debbono essere effettuate da esperti nominati dal Ministero tra coloro che si iscrivono in uno specifico Albo degli controllori della sicurezza gestito dal MIT, al quale ci si può iscrivere dopo aver frequentato un apposito corso di formazione14. CONCLUSIONI Il momento difficile che l’Europa ed il mondo industrializzato stanno attraversando riporta le infrastrutture stradali al centro di un dibattito complesso in cui, all’esigenza di produrre nuovi posti di lavoro, rinvigorire l’economia e, nel lungo termine, di garantire un futuro alle generazioni che verranno, si contrappone l’esigenza di mettere a disposizione nell’immediato finanziamenti pubblici e privati in grado di coprire gli enormi costi che il rinnovamento infrastrutturale richiede. Per dare una risposta alla questione occorre sviluppare nel prossimo decennio grandi sforzi di ricerca per l’innovazione mediante i quali sia possibile giungere a concepire e realizzare in modo diverso le infrastrutture del futuro. Infrastrutture più ecologiche, flessibili, dinamiche, snelle e nel contempo in grado di sopportare le sfide che l’ambiente naturale impone. Tra le fide da fronteggiare c’è quella urgente del miglioramento della sicurezza della circolazione per rendere maggiormente “smart” le infrastrutture. L’ingegnere che si interessa di costruzioni stradali deve maturare la consapevolezza del ruolo importante che egli può svolgere in questo campo, aiutato dai nuovi indirizzi normativi che le istituzioni mondiali promuovono e che anche in Italia sono stati introdotti di recente.
14 DM n. 305 del 05.08.2011 “Programma di formazione per i controllori della sicurezza stradale”
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Tecnologia dei veicoli e prevenzione Massimo GAIDO (Centro ricerche Fiat di Torino)
Il veicolo, in quanto strumento indispensabile per la mobilità odierna, è uno dei principali elementi che impatta sulla qualità, sulla sicurezza e sull’efficienza dei nostri quotidiani spostamenti: rispondere nel miglior modo a queste esigenze di mobilità è uno degli assi fondamentali che guidano lo sviluppo dei modelli tenendo presente che la mobilità efficiente sta man mano, sotto la spinta della situazione economica mondiale e con la progressiva acquisizione di una coscienza ecologica, superando le tradizionali motivazioni di acquisto di un’automobile (prestazioni, esclusività, stile, ...). Un’ulteriore spinta in questa direzione arriva da Enti Istituzionali, nell’ambito della sostenibilità ambientale (si pensi al programma EU2020 ) e sociale (con il progressivo inseverimento degli standard EU‐NCAP di valutazione delle prestazioni di safety). Tuttavia lo scenario competitivo dell’industria Automotive impone un terzo asse di sostenibilità, quella economica, che completa e rende proponibili e competitive sul mercato automobili che realizzano il migliore compromesso tra le prestazioni attese e il costo finale del prodotto: in questo equilibrio è essenziale la giusta scelta delle tecnologie da adottare e dei sistemi da proporre al mercato. Lo scenario tecnologico attuale, finalizzato alla realizzazione di sistemi che migliorino efficienza e sicurezza, vede applicazioni in due grandi aree: l’ottimizzazione dei sistemi a bordo veicolo e la gestione complessiva dell’utilizzo del veicolo nel contesto reale di mobilità. La prima area è ampiamente coperta dall’evoluzione dei sistemi di motopropulsione (con l’introduzione di tecnologie come MultiJet, MultiAir,….), di efficienza dei sistemi ausiliari (ad esempio per il recupero dell’energia) e di protezione passiva (air‐bag) o attiva (ABS, ESP). La seconda area diventa molto promettente quando si considera il veicolo come parte dell’ecosistema della mobilità, cioè comprendente il guidatore stesso (con il suo stile e suoi comportamenti di guida) e lo scenario circostante (con il monitoraggio della situazione di traffico in prossimità del veicolo e l’attivazione preventiva di sistemi di protezione in caso di collisione imminente). Ad esempio uno studio fatto da Fiat sui dati raccolti tramite il sistema ECODrive dimostra che uno stile di guida eco‐compatibile, non solo riduce le emissioni nocive di un fattore rilevante (fino al 16%) ma contribuisce anche ad una fluidità di traffico maggiore che non penalizza la mobilità in termini di tempo di viaggio. Sull’area della sicurezza preventiva, l’introduzione sempre più diffusa di sistemi di monitoraggio e controllo longitudinale e laterale del veicolo porta ad avere vetture con una authority crescente nel confronto del guidatore: pur rimanendo ampiamente lontani dalla guida automatica, sistemi di mantenimento corsia e di frenata di emergenza hanno dimostrato la loro valenza nel ridurre l’occorrenza di incidenti, sia in ambito urbano che extra‐urbano. Interessanti in questo ambito sono i risultati di uno studio effettuato nel progetto EuroFOT che va oltre la misura dell’efficacia dei sistemi in oggetto, analizzandone il grado di comprensione e accettabilità dal cliente finale: lo studio dimostra come siano determinanti la presenza e la modalità di erogazione di un feedback al guidatore nel momento in cui il sistema agisce attivamente per mantenere la corsia o effettuare manovre di collision‐avoidance.
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Le tecnologie alla base di questa evoluzione offrono supporto a tre principali esigenze: una localizzazione sempre più precisa del veicolo nel contesto stradale (e quindi, a partire da sistemi GPS, eventualmente corredati da una correzione EGNOSS, fino a Galileo), una sensoristica di prossimità che permetta di ricostruire lo scenario in tempo reale sia a corto/medio raggio (appoggiandosi su sistemi ultrasuoni, RADAR e, ultimamente introdotti, LIDAR) sia a lungo raggio (principalmente RADAR e in futuro radar a scansione) e una connettività tra il veicolo e le infrastrutture che in futuro si prevede sempre più pervasiva (spinta dall’adozione del sistema e‐Call). In questo scenario tecnologico, gioca un ruolo importante la forte integrazione tra sistemi, dove ad esempio, mediante sensor‐fusion, si generano informazioni da utilizzare per algoritmi decisionali su azioni attive di controllo veicolo oppure, mediante una strategia cooperativa tra veicoli connessi, si migliora la precisione delle informazioni topologiche dello scenario dinamico di traffico, come dimostrato dai risultati del progetto COVEL finalizzato ad una “lane‐navigation” per ambito urbano. E’ infine importante notare che negli ultimi anni si è vista un’accelerazione nell’adozione di queste tecnologie a bordo veicolo: sistemi complessi e costosi che fino a pochi anni fa si ritrovavano solo su veicoli di alta gamma, sono ora sempre più presenti anche su vetture medie se non addirittura utilitarie: ciò è dovuto alla consapevolezza e all’interesse del Cliente finale ai temi della sostenibilità, ma anche ad una riduzione di costo resa possibile dall’evoluzione tecnologica stessa, sia nel comparto Automotive, sia dal mondo Consumer, che rende e renderà disponibili soluzioni e servizi di connettività accessibili a tutti. Tutto questo rappresenta oggi un ulteriore passo significativo che il mercato dell’auto sta facendo nell’ottica di una mobilità sempre più sicura e sostenibile: la sfida che ci attende è la sempre maggiore integrazione tra il veicolo e le infrastrutture di mobilità: è su questi temi che la ricerca precompetitiva focalizzerà i prossimi progetti di ricerca ed innovazione.
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Sostenibilità ambientale del trasporto su strada Giuseppe Gesano (CNR‐IRPPS)
In cento anni, l’automobile è passata da simbolo del progresso e della libertà individuale di movimento a uno dei principali imputati dell’inquinamento ambientale e del deterioramento della qualità della vita delle collettività. Motivano quest’accusa da un lato l’apporto negativo degli scarichi dei motori a scoppio sulla qualità dell’aria che respiriamo e il traffico veicolare che siamo costretti a sopportare nelle nostre città e sulle strade di grande comunicazione, dall’altro la dimensione di un problema che si misura nel rapporto di un veicolo circolante ogni sette abitanti del pianeta, con i massimi attorno a un veicolo ogni 1,3 abitanti negli USA e in Italia. La pluralità dei fattori che intervengono sulla sostenibilità ambientale del trasporto su strada richiede un’analisi puntuale delle loro componenti, che vanno dall’impatto delle strutture viarie sull’ambiente e sul paesaggio ai vari aspetti dell’inquinamento esercitato in tutto il corso del ciclo di vita dei veicoli. Il traffico dei veicoli si svolge su una rete stradale la cui estensione è funzione del numero e della distanza dei nodi del sistema, dell’intensità dei flussi e della velocità che si vuole assicurare a questi. Inoltre, gli spostamenti vicinali e la sosta dei veicoli utilizzano ampie superfici destinate alla circolazione e alla sosta dei veicoli nelle aree urbane. L’occupazione di spazio delle infrastrutture destinate ai veicoli per il trasporto su strada è dunque tutt’altro che trascurabile: in Italia la rete stradale può essere valutata in 850‐900 mila chilometri (di cui 6.700 km di autostrade). I tracciati, però, impegnano porzioni di terreno ben più ampie delle sole carreggiate stradali a causa degli sbancamenti, delle scarpate, delle opere di sostegno. Questi manufatti occupano superfici considerevoli e intervengono sul territorio modificandovi la forma, la giacitura, la permeabilità, l’erosione, i regimi idraulici, l’insolazione, la vegetazione, la fauna, la mobilità di questa e le sue interazioni con l’ambiente, l’accessibilità e l’uso del territorio da parte dell’uomo; in una parola, l’habitat. L’insieme di queste opere esercita poi un impatto di tipo visivo sul paesaggio, che va dalla semplice traccia lineare che attraversa il panorama ai pesanti ingombri della prospettiva causati da uno svincolo autostradale o da viadotti, alti e incombenti o prolungati per chilometri, come anche dagli sviluppi della sede stradale in profonde ed evidenti trincee. La distribuzione e la forma degli insediamenti urbani è poi un altro aspetto dell’uso del territorio a fini antropici che incide fortemente sull’impatto ambientale dei mezzi di trasporto, con la “città diffusa” che richiede molte più strade e genera molti più spostamenti della “città compatta”. L’impatto ambientale di un veicolo stradale comincia fin dalla sua produzione (con l’utilizzo di materie prime, energia, lavorazioni inquinanti e macchinari complessi) e dal suo trasporto (spesso di lungo percorso) dalle fabbriche ai luoghi d’acquisto. Quell’impatto proseguirà nel corso della vita attiva del veicolo attraverso le riparazioni e il suo mantenimento in efficienza, con i relativi problemi di produzione e di trasporto dei ricambi e di smaltimento delle scorie. Alla fine dell’attività, la rottamazione del veicolo, l’eventuale smontaggio e riciclo dei componenti riutilizzabili, o il suo accatastamento nei cosiddetti “cimiteri delle auto” presenteranno problemi d’impatto ambientale assai rilevanti: il dato impressionante di quasi 25 milioni di veicoli (88% le auto) radiati in Italia tra il 2000 e il 2011 dà un’idea della dimensione del problema. D’altra parte, l’attuale rallentamento nel ricambio del parco veicoli a causa della
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crisi economica rischia di mantenere in circolazione anche quelli meno efficienti e più obsoleti sotto il profilo ecologico. Aspetti rilevanti nel dimensionamento dell’impatto ambientale e nella sua distribuzione sul territorio sono costituiti dal modo d’uso del veicolo e dal contesto in cui avviene la sua circolazione e sosta. La percorrenza media delle auto in Italia è valutata in circa 11.000 km l’anno, in calo significativo rispetto al passato, anche a causa del moltiplicarsi dei veicoli a disposizione di una stessa famiglia. Sull’impatto influiscono poi gli stili di guida e le condizioni del traffico. Studi di laboratorio e prove su strada hanno dimostrato che la velocità e le accelerazioni durante la marcia di un veicolo incidono in misura rilevante sulle sue emissioni di inquinanti. La concentrazione del traffico veicolare accentua e prolunga l’insistenza dell’impatto su una determinata area riducendone le capacità di assorbimento. Gli effetti del traffico, infatti, superano di molto la sommatoria degli effetti che i singoli veicoli apporterebbero in sua assenza, sia perché l’inquinamento acustico e quello atmosferico crescono in misura più che proporzionale alla densità del traffico veicolare, sia perché si modificano di conseguenza le condizioni d’uso dei veicoli diminuendo la loro velocità media e rendendo più frequenti le frenate, le accelerazioni e i periodi di sosta a motore acceso. Il problema della sostenibilità del trasporto su strada va poi analizzato nelle sue conseguenze sui diversi elementi dell’ambiente. Il traffico veicolare è corresponsabile, insieme a molti altri fattori, dell’inquinamento concentrato e diffuso del suolo attraverso la ricaduta degli inquinanti emessi dalla combustione degli idrocarburi nei motori e la dispersione nell’ambiente di altri componenti leggeri e pesanti che provengono dalla circolazione o anche solo dalla presenza dei veicoli. Anche le acque subiscono gli effetti dell’inquinamento imputabile al trasporto su strada: ciò avviene sia attraverso la ricaduta degli inquinanti atmosferici sulle superfici acquee o in occasione di precipitazioni meteoriche, sia per il dilavamento delle superfici stradali. La situazione è migliorata sensibilmente dopo la messa al bando del piombo tetraetile come antidetonante nelle benzine; è tuttavia cresciuta la diffusione delle polveri sottili con l’aumento delle auto diesel e la presenza di scorie di metalli pesanti rilasciati dagli apparati di scarico e di frenatura, dall’usura degli pneumatici e dall’abrasione delle superfici stradali. Le maggiori attenzioni relative alla sostenibilità del trasporto su strada si appuntano però sull’inquinamento dell’aria. A questo contribuiscono principalmente i gas di scarico: anidride carbonica (nel 2009, il 22% dei gas serra è stato emesso in Italia dal traffico stradale ), monossido di carbonio (47%), ossidi d’azoto (52%), composti organici non metanici (25%), polveri sottili (1/5 delle PM10 e 1/4 delle PM2.5). Il contributo del singolo veicolo (che dipende dal tipo di motore e di alimentazione, ma anche dalla sua anzianità e manutenzione e da come è guidato) si integra con le condizioni di traffico nelle quali è immerso e con le caratteristiche tecniche delle strade che percorre. L’ambiente circostante e le condizioni meteorologiche provvedono poi a contenere o a diffondere le emissioni inquinanti da traffico stradale modificando l’inquinamento atmosferico. Risalgono al 1992 i primi interventi normativi della Comunità Europea sulle emissioni da veicoli di nuova immatricolazione, passati progressivamente da Euro1 a Euro5, mentre sono stati anche fissati precisi limiti ai vari parametri dell’inquinamento dell’aria nelle nostre città. Tuttavia, da un lato la vetustà del parco circolante e la sua cattiva manutenzione, dall’altro la colpevole tolleranza di molti sindaci fanno sì che quelle norme e quei limiti vengano resi spesso inefficaci.
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Non sono diversi i fattori dell’inquinamento sonoro e da vibrazioni, che hanno effetti nocivi sulla salute umana non minori dell’inquinamento atmosferico. La CE è intervenuta anche su questi aspetti riducendo progressivamente i limiti di emissione sonora dei veicoli che vengono immatricolati e richiedendo alle città di definire le proprie “mappe del rumore” e di programmare gli interventi volti ad abbatterlo, specie nelle ore notturne. Dagli organi preposti al controllo ambientale viene però riconosciuto che in Italia vi sono ritardi e inadempienze rispetto a quanto prescritto. Un aspetto importante della sostenibilità del trasporto su strada sta nel consumo di risorse energetiche non rinnovabili o, in ogni caso, dall’utilizzo delle fonti energetiche necessarie per il funzionamento dei motori. Il consumo di carburanti per autotrazione supera in Italia i 35 milioni di tonnellate l’anno, con un andamento a decrescere della benzina e a crescere del gasolio. Le riserve mondiali accertate di petrolio sono tuttora in crescita: ai volumi attuali di consumo assicurerebbero una prospettiva di copertura superiore ai 45 anni. Tuttavia, i costi d’estrazione e di produzione sono quintuplicati negli ultimi dieci anni, mentre le prospettive di motorizzazione di massa nei grandi paesi ora in fase di sviluppo (Cina, Brasile, India, ecc.) mettono in discussione l’ipotesi di costanza degli attuali livelli mondiali di consumo degli idrocarburi. Le alternative di alimentazione dei motori finora proposte spostano il problema su altre fonti esauribili, o concentrano l’inquinamento nei luoghi di produzione dell’energia elettrica, oppure creano problemi di sostenibilità idrica e agricolturale nel caso dei bio‐carburanti ricavati da apposite piantagioni. L’impronta ecologica del trasporto su strada ha due componenti principali: una è misurata dalla superficie sequestrata direttamente dalle strutture stradali e di servizio; l’altra corrisponde alla superficie forestale che sarebbe necessaria ad assorbire l’anidride carbonica prodotta nell’utilizzo dell’energia necessaria allo spostamento e alle attività connesse. Possono essere adottati diversi metodi per la sua stima, arrivando a risultati sensibilmente diversi, dai quali però emerge in ogni caso la forte posta negativa che il trasporto su strada sottrae alla sostenibilità ambientale complessiva del nostro paese. La mobilità delle persone e delle merci sul territorio è un fattore vitale per una comunità. Devono però essere incentivate le alternative al trasporto su strada, soprattutto nella sua forma d’uso individuale dell’automobile in percorsi brevi e routinari: tra quelle, il ritorno a modalità di spostamento ad impatto ecologico pressoché nullo, come il camminare e lo spostarsi in bicicletta, oppure l’uso dei mezzi pubblici o almeno collettivi, così da diminuire il numero di mezzi in circolazione e ripartire il loro carico ambientale su un più ampio numero di viaggiatori. Per raggiungere questi risultati, un sagace equilibrio tra incentivi e divieti dovrebbe indirizzare l’azione di autorità locali attente alle problematiche ambientali e rispettose delle regole già operanti. Nel trasporto delle merci, da un lato va fatta una verifica dell’utilità dello spostamento anche in un’ottica di economia ambientale (consumi a km 0), dall’altro, almeno sulle grandi e medie distanze, vanno incentivati i trasporti su mezzi alternativi rispetto a quelli su strada. La ricerca tecnologica può fare molto, ma gli autoveicoli a bassa emissione (LEV), infatti, e quelli a emissione zero (ZEV), anche se presentano aspetti migliorativi rispetto alla situazione corrente, rischiano solo di spostare il problema su altre forme o altri luoghi di inquinamento, a meno che le fonti energetiche utilizzate non siano effettivamente rinnovabili e a impatto ecologico globale nullo o assai ridotto.
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“E’ davvero possibile prevenire gli incidenti stradali?” (E se sì, come farlo in modo razionale?)
Franco TAGGI (ISS, Roma) Per quanto possa sembrare paradossale, esistono precise evidenze del fatto che gli incidenti stradali sono (almeno in parte) una ineluttabile espressione del sistema “circolazione”. Uno studioso inglese (Smeed, 1944), dimostrò infatti negli anni ’40 dello scorso secolo come esistesse, quale fosse il paese, una stretta correlazione (non lineare) tra il numero dei suoi abitanti, il numero di auto in questo immatricolate e il numero delle morti nell’anno per incidenti stradali. Tuttavia, col passare del tempo si osservò che in certi casi il numero morti nell’anno era ben inferiore alle previsioni del modello di Smeed e che questa riduzione avveniva in paesi che avevano preso certi specifici provvedimenti e introdotto nuove regole nella circolazione dei veicoli. In base a tutto questo si poté concludere che era possibile contrastare efficacemente il fenomeno degli incidenti stradali. Meno semplice, tuttavia, fu stabilire come farlo razionalmente. Nella relazione si mostrerà come partendo dai dati di base relativi al fenomeno in studio e alla messa in luce, tramite l’uso di tecniche epidemiologiche, dei fattori di rischio ovvero di caratteristiche (del conducente, del veicolo e della strada) che se presenti aumentano la probabilità che si verifichi l’incidente stradale, sia possibile individuare valide azioni di prevenzione. Tali azioni agiscono a diversi livelli: - un primo tipo esplica la sua funzione prima che avvenga l’incidente stradale, nel
senso che lo evita del tutto. Una guida prudente, col conducente in stato di sobrietà, è un esempio di questo. E’ abbastanza evidente come l’educazione degli utenti della strada possa favorire su larga scala una sì auspicabile situazione;
- un secondo tipo di azioni interviene durante lo svolgimento dell’incidente, tendendo a minimizzarne gli esiti. Per ben comprenderci, indossare le cinture di sicurezza non previene certo l’incidente stradale, ma – nel malaugurato caso dovesse succedere – riduce non di poco i possibili danni alla persona;
- un terzo tipo è relativo al dopo, cioè dopo che l’incidente è avvenuto, e va dal primo soccorso prestato da chi è presente sul luogo, al pronto soccorso e successive cure in ambito ospedaliero;
- il quarto tipo è infine relativo al poi, dove con questo intendiamo l’insieme delle pratiche riabilitative e quant’altro occorra per reinserire al meglio nella società l’infortunato.
Chiaramente, in coda a tutto questo esiste il capitolo della valutazione dell’efficacia e dell’efficienza delle azioni di prevenzione, fondamentale per comprendere sia come muoversi al meglio, sia cosa approfondire maggiormente.
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Verrà infine svolta una valutazione critica di quanto ad oggi fatto (o non fatto), e di come fatto (o non fatto), nel settore della prevenzione degli incidenti stradali. Come si avrà modo di vedere, la strada da percorrere è ancora molta. Esistono infatti molte incongruenze ancora presenti, incongruenze che si spera possano essere eliminate quanto prima. A questo fine, l’obiettivo dell’Unione Europea per il decennio 2011‐2020 può considerarsi una sorta di catalizzatore, così già in precedenza lo fu l’obiettivo 2001‐2010, i cui risultati sono a testimoniare come un serio impegno generalizzato porti inevitabilmente a risultati di interesse sociale e sanitario.
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RIASSUNTI COMUNICAZIONI Carbon dioxide concentration (CO2) in Rome in relationship with traffic
density: the role of parks in air amelioration quality Loretta GRATANI, Laura VARONE (Sapienza Università di Roma)
Carbon dioxide (CO2) has been recognized as the major global change driver accounting for over 80% of all greenhouse gas emissions in the European Union (European Environment Agency, report No 9/2009). The most part of global CO2 emissions is believed to originate from fossil fuel combustion sources with a significant contribution from traffic (Rubio et al., 2002, Environ. Monit. Assess., 162: 209–217; Davis and Caldera 2010, PNAS, 107: 5687–5692). It has been hypothesized that CO2 emissions from road traffic worldwide will increase by 92% between 1990 and 2020 (Gorham, 2002, report for the United Nations and the World Bank), affecting the environment, health and economy (Stevanovic et al., 2009, Transport Res Rec 2128:105–113;Santos et al., 2010 Res. Transportation Economics 28: 46‐91). Despite the importance of CO2, the exact magnitude and the spatial distribution of its emissions remain poorly quantified (Nemitez et al., 2002, Environ Sci Technol 36: 3139–3146; Kordowski and Kuttler 2010, Atmos Environ 44: 2722–2730). The high fuel consumption on urban streets is associated with driving in congested traffic, characterized by higher speed fluctuations and frequent stops at intersections. Moreover, traffic density and speed can vary significantly depending on distance and time (Stevanovic et al., 2009, Transport Res Rec 2128:105–113). Concern over global warming has resulted in an international investigation into methods of ameliorating the greenhouse effects and reducing CO2 concentration (Gomi et al. 2010, Energy Policy 38: 4783–4796). Only recently, the use of plants to ameliorate urban air quality has become a focus of research (Gratani and Varone 2006, Urban Ecosyst 9: 27–37; Gratani and Varone 2007, Landscape Urban Plan., 81: 282‐286; Row 2011, Envion. Pollut. 159: 2100‐2110). Increasing the urban green areas may contribute to slow CO2 concentration by their sequestration capability (Gratani and Varone 2011 Urban Ecosyst, in press). We analyzed the atmospheric carbon dioxide (CO2) concentration in streets of different traffic levels and urban parks of different sizes in Rome. Rome represents an example of a mega‐city, where the urbanization process has been increasing over the last years, and many new sub‐urban areas have been built by scaling down free areas surrounding the city. CO2 concentration in Rome has been significantly increasing from 1995 to date due to the increase of private means of transportation. Our results underline that CO2 concentration in streets located in the city centre has a strong diurnal trend peaking in the first hours of the morning when the traffic is the highest, then decreasing at 3:00 p.m. and increasing again at 8:00 p.m., in relation to traffic level variations. It is attested also by the correlation between the two variables. The results underline the effect of buildings delimiting the urban streets on the CO2 concentration. With regards to urban parks, the day‐time CO2 trend underlines the significantly highest concentration during the night until the first hours of the morning, decreasing from 11:00 a.m. to 1:00 p.m., and then increasing at 8:00 p.m., in relation to the plant photosynthesis/respiration ratio. In particular, the increase of the photosynthetic rates over respiration around the middle
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of the morning (Gratani et al. 1998, Photosynthetica 35: 445–451; Gratani et al. 2008, Atm Environ 42: 8273–8277) contributes to lower atmospheric CO2 concentration inside the parks. A significant difference between the considered streets and parks was observed when traffic peaked, the parks having a 15 % decrease in CO2 concentration than streets. More efforts should be made to further reduce CO2 concentration in urban areas, such as improving strategies for encouraging public transport instead of private one, suggesting changes in local transport according to the type of the street (i.e. large, narrow, limited by buildings, near to parks), and improving diesel vehicles with respect to gasoline and biofuel policies. Nevertheless, urban vegetation cover can help to reduce the daytime CO2 flux (Coutts et al., 2007, Atmos Environ 41: 51–62; Gratani and Varone 2007, Landscape Urban Plan, 81: 282‐286; Gratani and Varone 2011 Urban Ecosyst, in press). In particular, urban parks reveals the extent and variation of this resource across a city, which provides an extensive view of urban vegetation (Nowak et al. 2006, Urban For. Urban Gree. 4, 115‐123). Moreover, plants can indirectly reduce CO2 emissions associated with electric power production and consumption of natural gas by reducing the demand for heating and air conditioning in the buildings they shelter (McPherson et al. 1997, Urban Ecosyst 1: 49‐61; Shahmohamadi et al. 2010, International Journal of Physical Sciences, 5: 626‐636). Without detailed local data, urban forest managers cannot easily design and implement strategies to maximize a particular forest’s desired ecological function, and thus protect and enhance its value (Millward and Sabir 2011).
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Traiettorie tecnologiche e mobilità sostenibile nel settore automotive Giuseppe Giulio CALABRESE (CNR‐CERIS, Torino)
Introduzione L’innovazione è spesso associata al livello delle novità introdotte e alle sue conseguenze. Può essere descritta in termini di continuità di cambiamenti da incrementali a radicali (Tidd et al., 2005), in termini di discontinuità quando l’emergere di tecnologie dirompenti portano all’individuazione di nuove prospettive di mercato (Christensen e Overdorf, 2000), o in termini di innovazione sistemica quando è richiesto lo sviluppo di beni e di competenze complementari (Teece, 1984). Il modello tipico usato nella letteratura economica per descrivere le dinamiche innovative si concentra principalmente sui processi di creazione, gestione e valorizzazione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, in cui generalmente il flusso dei processi innovativi inizia con la ricerca di base e si conclude con il lancio del prodotto, passando attraverso la ricerca applicata e quella pre‐competitiva (Malerba, 2000). Tale modello è stato largamente adottato nel settore automobilistico. Tuttavia, a partire dagli anni ‘90, le case automobilistiche hanno profondamente ridefinito i modi in cui i veicoli vengono progettati, sviluppati e costruiti: riducendo il time‐to‐market, cambiando le strategie di prodotto, e introducendo metodologie di simultaneous engineering. Il raggiungimento di tali obiettivi richiede meccanismi integrativi, l’abbandono delle attività sequenziali, la creazione di team per la gestione dei progetti e l’uso massiccio delle tecnologia dell’informazione (Calabrese, 2001). Ciononostante, il settore automobilistico è considerato un settore maturo, tecnologicamente dominato dalla carrozzeria autoportante e dal motore a combustione interna, caratterizzato da costi fissi elevati, spesso inutilizzati e irreversibili, ed elevata fiscalizzazione alla produzione, soprattutto in Europa. Ne consegue che per ottenere bassi costi unitari e ridurre i prezzi di vendita sono necessarie elevate produzioni di massa (Wells, 2010). Per questo motivo l’innovazione è nell’automotive, per la maggior parte, incrementale, conservatrice e orientata al processo (MacNeill e Bailey, 2010). Lo mobilità sostenibile come occasione di cambiamento La mobilità sostenibile è in qualche modo un’opportunità per infrangere tali consuetudini, in quanto l’ambito di riferimento è più ampio della semplice progettazione di un’automobile che deve inquinare meno. L’approccio design‐driven oltrepassa i processi innovativi indotti dal problem‐solving, dalle esigenze del mercato (market pull) o dallo sviluppo tecnologico (technology push) (Calabrese, 2010). Inoltre, i requisiti e i vincoli imposti dalla mobilità sostenibile dell’industria automobilistica stanno diventando sempre più stringenti e rigorosi evitando in questo modo la commodificazione avvenuta nei prodotti elettronici. L’aumento dei prezzi del petrolio, le preoccupazioni per il riscaldamento globale, e, più recentemente, la diffusa crisi finanziaria ed economica hanno portato i diversi attori ad approfondire maggiormente le tematiche inerenti la fuel economy. Sebbene molti studi prevedano scenari dirompenti per l’industria dell’auto, lo stato dell’arte attuale è tutt’altro che chiaro, e numerosi miglioramenti sono ancora possibili, anche per le i propulsori tradizionali. Ogni tecnologia di veicolo alternativo può essere collocata all’interno di una delle tradizionali fasi della R&S. L’esperienza acquisita finora sull’utilizzo dei gas naturali nella motorizzazione (GPL o metano) è particolarmente consolidata. Alcuni miglioramenti sono allo studio e possono
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essere collocati all’interno della fase della ricerca pre‐competitiva, dal momento che si sta sviluppando l’uso del metano sui veicoli a diesel e sui veicoli ibridi elettrici. Sebbene la Toyota Prius sia un grande successo commerciale e molti carmaker stanno lanciando modelli elettrici puri o ibridi, la loro evoluzione si può considerare ancora nella fase della ricerca industriale, mentre per quanto riguarda le fuel cell la fase della ricerca di base non è ancora stata completata15. Un elemento importante da sottolineare e che queste tecnologie non sono sviluppate in modo distaccato, ma piuttosto esse seguono traiettorie tecnologiche che si intrecciano reciprocamente, co‐evolvendo e rinforzandosi vicendevolmente attraverso processi di apprendimento (Dosi, 1982). La soluzione ottimale non è ancora emersa e tale situazione può favorire la condivisione degli investimenti. Le prestazioni del motore a combustione interna sono essenziali per i veicoli a metano e per i biocarburanti, come pure negli ibridi elettrici e nei veicoli a idrogeno senza la presenza di celle a combustibile. I sistemi di immagazzinamento del gas sono simili nel GPL, nel metano e nei veicoli ad idrogeno, e possono essere utilizzati sia a bordo del veicolo sia presso le stazioni di rifornimento. Sebbene alcune distinzioni, i sistemi di accumulo delle batterie sono comuni nelle diverse tipologie di veicoli elettrici. I sistemi elettronici di potenza sono comuni a molti veicoli alternativi e dal momento che le celle a combustibile sono essenzialmente dei generatori di energia, sono in fase di sviluppo anche per altri usi industriali. Le tecnologie per i veicoli elettrici e gli sviluppi recenti nelle batterie rappresentano il potenziale più dirompente, in quanto possono comportare il cambiamento strutturale e architetturale dei veicoli (Aggeri et al., 2009), mentre lo sviluppo nel motore a combustione interna non cambia radicalmente l’identità dei veicoli, se non nella riduzione dei pesi, e lo scenario per le automobili ad idrogeno con celle a combustibile non è facilmente ipotizzabile. La necessità di nuovi criteri valutativi La disponibilità di automobili ecocompatibili rappresenta un’opportunità non solo per i produttori, ma anche per i cittadini e i lavoratori. Tuttavia, questa opportunità è accompagnata da una serie di ostacoli, come ad esempio la necessità di convertire o integrare la rete di distribuzione e di definire standard comuni. Inoltre, non vi è consenso sul confronto dei costi energetici tra i diversi metodi di propulsione. Alcuni esperti ritengono che il problema principale sia l’inquinamento urbano, che può essere risolto immediatamente utilizzando i veicoli a metano. D’altra parte, se si considera l’intero ciclo produttivo, alcuni studi concludono che i veicoli ibridi elettrici sono più ecologici di quelli a idrogeno. Altri ritengono che i futuri sviluppi nei motori tradizionali, insieme all’uso di carburanti biologici o sintetici, porterà a una riduzione del 30‐40 per cento dei consumi di carburante, e al massiccio utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. I sostenitori del motore a combustione interna affermano che i motori ibridi elettrici apportano solo un lieve miglioramento allo stato attuale delle cose e, in definitiva, sono troppo costosi per essere ampiamente utilizzati. Al contrario, i supporter dei motori ibridi elettrici ripongono le loro speranze sullo sviluppo delle batterie, per favorire l’utilizzo per i brevi spostamenti. In accordo con i promotori dei veicoli elettrici, mettono in evidenza i potenziali progressi in termini di ingombro, peso, potenza, sicurezza e tempi di ricarica. 15 I pochi prototipi che sono stati costruiti servono più come laboratori di ricerca che come veicoli simili a quelli attualmente in uso, inoltre le principali attività di ricerca sono ancora svolte dalle università e dai centri di ricerca.
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Tuttavia, se si confrontano i veicoli elettrici con i motori a combustione interna in termini unicamente prestazionali, quest’ultimi risulteranno sempre vincenti (Beaume e Midler, 2009). Di conseguenza, secondo i sostenitori dei veicoli elettrici, il confronto competitivo deve essere spostato verso nuovi contenuti di valore, come la silenziosità, la facilità di guida, i benefici ambientali e collettivi, e così via. Tale convinzione si basa sul fatto che tendenzialmente il successo delle tecnologie distruttive non può essere normalmente misurato utilizzando i parametri di efficienza derivati dalle tecnologie esistenti, ma devono essere considerati anche i nuovi valori e le nuove performance autogeneratisi rispetto a quelle convenzionali (Bower e Christensen, 1995). Fino ad ora, le case automobilistiche non hanno perseguito soluzioni tecniche ottimali, ma si sono piuttosto concentrate su limitate strategie di profitto (Freyssenet, 2009) o sull’immagine della marca. In passato, Peugeot‐Citroën aveva raggiunto performance eccellente nei veicoli elettrici, ma sono stati abbandonati nel 1998 per concentrarsi sul miglioramento delle prestazioni ambientali dei motori a combustione interna. Fiat ha seguito un percorso analogo, passando dai veicoli elettrici ai veicoli a metano. Toyota e Honda hanno sviluppato e reso affidabili i veicoli ibridi elettrici, ma gli altri modelli evidenziano emissioni superiori alla media. BMW si è comportata in modo simile, utilizzando l’idrogeno per l’alimentazione diretta dei motore a combustione interna. Nissan e Renault hanno deciso di supportare la nuova generazione di batterie e proporre autovetture con un’autonomia sufficiente a percorrere medie distanze in zone poco densamente popolate. In sintesi, le strategie dei carmaker sembrano essere condizionate dalla minimizzazione del rischio e dall’obiettivo di apparire allo stesso tempo innovative e rispettose dell’ambiente. La turbolenza che l’industria automobilistica dovrà affrontare dipenderà da quale standard alla fine prevarrà. Se le modifiche riguardano solo la tipologia di carburante con l’alternativa degli ibridi elettrici, i cambiamenti prevedibili nel settore non saranno particolarmente dirompenti, se l’elettricità sarà l’unico vettore energetico la metamorfosi sarà più radicale. Tuttavia, dal punto di vista dei sistemi di energia elettrica, una diffusione massiccia di veicoli elettrici potrebbe rappresentare un serio problema così come una nuova stimolante opportunità. L’elettricità necessaria per alimentare i veicoli elettrici deve essere resa disponibili a livello di distribuzione e ci sono enormi differenze in termini d’impatto globale, a seconda che essa sia prodotta localmente da fonti rinnovabili o centralmente attraverso le tradizionali centrali a olio combustibile. In questo caso, è probabile che appariranno nuovi attori e tenteranno di appropriarsi di una parte significativa del valore e controllarne la ripartizione, tra questi: i produttori dei nuovi carburanti, i produttori di energia elettrica, i produttori di batterie, i produttori di celle a combustibile, i produttori di nuovi sistemi di guida, o aziende che progettano e producono i nuovi sistemi elettronici di potenza e le funzioni di controllo e regolazione (Freyssenet, 2009). Tuttavia, va notato che l’elettrificazione dei veicoli non è affatto una soluzione definitiva alle emissioni di CO2 e alla sostenibilità dell’industria automobilistica. L’obiettivo delle zero emissioni richiede non solo auto pulite, ma anche la decarbonizzazione completa della generazione di energia elettrica.
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Conclusioni La ricerca di nuovi metodi di propulsione per le automobili è oggetto di intenso dibattito a tutti i livelli a causa del riscaldamento globale, delle emissioni degli agenti inquinanti e più in generale per la necessità di sviluppare in modo sostenibile l’industria automobilistica. In un prossimo futuro, il panorama più probabile sarà la coesistenza di un portafoglio di tecnologie sviluppate per soddisfare segmenti di utenti diversi, in termini di prestazioni del veicolo, con una predominanza dei veicoli convenzionali (EUCAR, 2009). In particolare per le auto elettriche è ipotizzabile che i modelli saranno meno general‐purpose e che determinate tecnologie saranno adattate solo per esigenze particolari, ad esempio: i veicoli elettrici puri per le aree metropolitane; i veicoli elettrici ibridi leggeri per i pendolari e gli spostamenti intra‐provinciali; i veicoli elettrici ibridi range‐extender per gli utenti che devono effettuare lunghe distanze. Per quanto riguarda gli scenari meno prossimi, tutte le previsioni sono da ritenersi incerte e discutibili: anche le più autorevoli analisi tendono in questo campo a sovrastimare la diffusione dei veicoli alternativi16 e a essere, purtroppo, smentite successivamente. La transizione verso autovetture più sicure ed eco‐compatibile evoca spesso una nuova visione della mobilità e una diversa struttura del settore automobilistico. La strada intrapresa dall’industria automobilistica nell’integrazione delle esigenze dello sviluppo sostenibile è strettamente connessa a come queste attività sono percepite in contesti ambientali che producono e usano le automobili (Jullien, 2008). In particolare, il ruolo dell’automobile come elemento di mobilità è in fase di rinegoziazione e implica in primo luogo decisioni di natura pubblica in termini essenzialmente di regolamentazione e tassazione; con inevitabili conseguenze sui modelli di sviluppo delle imprese appartenenti alla filiera automobilistica e a quei territori altamente specializzati in tali attività. Infine, l’evoluzione dell’industria automobilistica è indubbiamente influenzata dalle dinamiche interne in termini di flessibilità e inerzia (path dependence) che contraddistinguono i diversi sistemi paesi e le traiettorie tecnologiche dei costruttori automobilistici. Tre fattori limitanti (lock‐in) sono individuabili: − i modelli di business dei carmaker sono generalmente caratterizzati da avversione al rischio e
dalla ottimizzazione dei risultati economici attraverso il miglioramento continuo e il taglio dei costi.
− gli atteggiamenti dei consumatori che si ritengono soddisfatto dal motore a combustione interna in termini di performance e di costi facilmente preventivabili.
− e le regolamentazioni ambientali che si è concentrata sui veicoli nuovi, mentre la riduzione dell’inquinamento provocato dal parco circolante è stato raramente preso in considerazione17.
La questione è se la trasformazione in corso, seppur lenta e travagliata, si concluderà con il riposizionamento degli attuali attori coinvolti e la coesistenza delle modalità convenzionali in cui vengono utilizzate le autovetture o nella formazione di una nuova configurazione industriale, come quella che si verificò tra i carmaker e le compagnie petrolifere e che, all’inizio del XX secolo, portò al trionfo del motore a combustione interna a discapito delle altre,
16 In questo rapporto per veicoli alternativi si in tendono sia i veicoli che utilizzano carburanti alternativi (gas naturale e biocarburanti), sia motori alternativi alimentati da batterie elettriche. 17 Nell’Unione Europea, il 34% dei veicoli in circolazione hanno più di dieci anni.
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all’epoca, più efficienti modalità di trazione (Freyssenet, 2009). In tal senso, un ruolo significativo potrebbe essere assunto dai produttori di biocarburanti, di elettricità o dell’idrogeno.
Riferimenti Bibliografici
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Impatto su atmosfera e clima del traffico stradale: possibili strategie di mitigazione
Natalia DE LUCA, Glauco DI GENOVA, Giovanni PITARI (Università dell’Aquila)
I veicoli stradali circolanti nel mondo (automobili, trasporto merci, mezzi agricoli ecc.) contribuiscono in modo significativo alle emissioni di inquinanti atmosferici rilevanti per il clima globale e/o la qualità dell’aria locale, in particolare CO2, CH4, NMHC (idrocarburi non‐metanici), CO, NOx (e quindi O3 come inquinante secondario formato fotochimicamente), PM (cioè aerosol, prevalentemente carbonacei e solforici), SO2 (Uherek et al., 2010). La quantificazione dell’impatto climatico in termini di forzatura radiativa al top dell’atmosfera (RF) è ben assestata nel caso dei gas serra ben mescolati a causa dei tempi di vita atmosferici molto lunghi (CO2, CH4), più incerta per i gas serra non ben mescolati (O3) e per gli aerosol (che possono avere dimensioni e micro‐composizione molto variabili) (IPCC, 2007). L’impatto sulla composizione atmosferica globale e locale è quantificabile in modo non ovvio, non solo a causa dei tempi di residenza molto variabili delle specie chimiche risultanti dalle emissioni dei veicoli, ma anche della esatta conoscenza e quantificazione dei processi fisico‐chimici responsabili della rimozione degli inquinanti stessi, delle incertezze sugli inventari e scenari di emissione e soprattutto a causa delle diverse scale spazio‐temporali del trasporto atmosferico che può realizzare una complessa interazione non‐lineare fra emissione locale e remota di inquinanti, con sovrapposizione di traccianti atmosferici di origine diversa. La valutazione d’impatto è a sua volta un problema non ovvio, non solo a causa di incertezze riguardanti il calcolo della forzatura radiativa per le specie ben mescolate (e soprattutto gli aerosol), ma anche per la difficoltà di stabilire in modo certo ed univoco gli effetti sulla salute umana e sugli equilibri degli ecosistemi. Il presente studio si focalizza su due aspetti complessi legati alle emissioni del traffico veicolare: (a) produzione secondaria di ozono e (b) produzione di aerosol secondari, solforici, organici (OC) e di carbonio nero (BC). Vengono analizzati i principali aspetti fisico‐chimici di tali problemi, l’analisi dei trend globali e regionali, la sensibilità climatica e l’impatto sulla salute, utilizzando in modo originale misure locali di NOx, O3 e PM, studi modellistici globali e studi di sensibilità climatica mediante un modello (validato) di trasferimento radiativo (Randles et al., 2012). L’ozono troposferico è uno degli inquinanti di maggior interesse per i suoi effetti nocivi sulla salute e sulla vegetazione data la sua elevata capacità ossidante. Gli effetti dell’ozono sulla salute umana si evidenziano per lo più a carico delle vie respiratorie: concentrazioni relativamente basse di ozono provocano effetti quali bruciore agli occhi, irritazioni alla gola e al sistema respiratorio; concentrazioni superiori possono portare alterazioni delle funzioni respiratorie e della capacità polmonare, oltre che aggravare l’asma ed altre patologie. Anche a basse concentrazioni l’ozono può danneggiare le colture agricole e gli ecosistemi. In particolare l’esposizione delle piante all’ozono induce una modifica del metabolismo del carbonio diminuendo la crescita e la produttività fino ad oltre il 30% nelle specie sensibili. In troposfera e bassa stratosfera l’ozono inoltre si comporta come gas serra, poiché assorbe la radiazione planetaria e di conseguenza influenza il bilancio radiativo del sistema terra‐atmosfera (forzatura radiativa, RF). Rispetto al periodo pre‐industriale l’ozono è notevolmente aumentato in
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troposfera a causa dell’inquinamento antropico (maggiore emissione di precursori chimici) con RF=0.35 W/m2 (IPCC, 2007). In troposfera l’ozono è formato dall’ossidazione di idrocarburi volatili (VOC) in presenza di ossidi di azoto (NOx) e radiazione solare; il trasporto dalla stratosfera è un’altra sorgente importante di ozono, specie nella troposfera libera. La deposizione secca è la principale causa di rimozione di ozono superficiale, mentre le reazioni chimiche con i radicali HOx sono il principale meccanismo di rimozione fotochimica. Una parte rilevante del NOx troposferico è di origine antropica e deriva da processi di combustione, come traffico veicolare ed industrie (21 Tg‐N/anno, per inventari relativi al 1995), mentre altre sorgenti importanti sono incendi di biomasse (12 Tg‐N/anno), attività microbica nel suolo (6 Tg‐N/anno), fulmini (3 Tg‐N/anno), ossidazione di NH3 (3 Tg‐N/anno ), emissioni da aerei (0.5 Tg‐N/anno), trasporto dalla stratosfera (0.1 Tg‐N/anno) (Jacob, 1999). Osservazioni satellitari di NOx indicano una diminuzione di circa il 50% in Europa e Nord‐America negli ultimi 15 anni, largamente compensati da aumenti in Estremo Oriente. Il traffico veicolare rappresenta circa il 15% del NOx troposferico e circa il 32% del NOx di origine antropica. Le variazioni geografiche di cui sopra riflettono da un lato l’applicazione di rigidi protocolli anti‐inquinamento nel settore dell’autotrazione, dall’altro il rapido aumento del parco auto circolante in Cina ed India, soprattutto. La concentrazione media di NOx in un certo sito (analogamente ad altri inquinanti atmosferici primari) è determinata soprattutto dalle emissioni dirette, che presentano un’elevata variabilità diurna seguendo il ritmo delle attività antropiche (soprattutto il traffico veicolare). Anche le condizioni meteorologiche a piccola scala posso influenzare la concentrazione di NOx nei bassi strati, in particolare la minore o maggiore stabilità atmosferica determina un più o meno efficiente mescolamento verticale delle specie emesse a terra e quindi una maggiore o minore rimozione degli inquinanti dallo strato limite atmosferico. La disponibilità di NOx determina in ultima analisi il tasso di produzione di ozono a livello troposferico, per cui l’abbondanza di O3 nello strato limite è fortemente perturbata dall’attività umana. Per capire come l’ozono risponde ai cambiamenti nell’emissione di precursori è interessante studiare i trend dell’ozono di background, ovvero la frazione di ozono presente in un dato sito e non attribuibile a sorgenti antropiche di origine locale. Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse nel quantificare le concentrazioni di background di O3 poiché esse determinano il limite inferiore per la sua riduzione dal controllo dei precursori antropici. Da diverse osservazioni è accertato che l’ozono di background sta cambiando. L’Aquila rappresenta un sito di misura assimilabile con discreta approssimazione ad un sito di background, con tassi di produzione fotochimica locale di O3 è molto bassi (Di Carlo et al., 2007). Nel sito de L’Aquila i trend hanno evidenziato una tendenza alla diminuzione di circa 0.6 ppbv/anno dal 2004 al 2009, rappresentativa di un trend generale nell’area sinottica mediterranea e collegabile ad una generale diminuzione delle emissioni di NOx in tale area, a seguito dell’applicazione di rigide misure comunitarie di controllo degli inquinanti (soprattutto con protocolli relativi ai motori delle automobili). Gli effetti sull’ozono troposferico sono tuttavia ancora relativamente “timidi”, sebbene ci siano molte indicazioni che il trend di aumento degli anni 80‐90 sia ormai non solo stabilizzato ma, in alcune stazioni di misura, anche di segno negativo). Lo studio modellistico HTAP (Hemispheric Transport of Air Pollution) ha studiato le variazioni di O3 superficiale (rispetto al 2001) dovute a una riduzione del 20% nell’emissione dei precursori antropici (NOx, CO, CH4 e VOC) nelle quattro maggiori regioni sorgente su scala continentale nell’Emisfero Nord (Est Asia, Europa, Nord America e Sud Asia)
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(Fiore et al., 2009). In Europa la diminuzione di O3 in risposta alla diminuzione locale del 20% dei precursori dell’ozono ha una forte stagionalità guidata sostanzialmente dai NOx, con una media annua di circa 1 ppbv; la diminuzione causata dalla riduzione dei precursori nelle altre regioni sorgente è calcolata con un valore medio annuo di circa 0.6 ppbv e minore stagionalità. Utilizzando i trend misurati di ozono da siti di background con campioni di misura molto ampi (osservatori di Hohenpeissenberg in Germania e Jungfraujoch in Svizzera), si nota chiaramente che nell’intervallo di tempo 2000‐2009 si è registrata una diminuzione di ozono di circa 0.32 ppbv/anno nel sito di Hohenpeissenberg e di circa 0.10 ppbv/anno nel sito di Jungfraujoch. Il bilancio degli aerosol atmosferici in un sito urbano dipende direttamente dalle emissioni locali (principalmente antropiche), dalle condizioni meteo che influenzano la rimozione del particolato (irreversibile e mediante trasporto avvettivo e/o convettivo) e da eventuali eventi di trasporto da siti remoti (Pitari et al., 2012). In condizioni imperturbate da trasporto remoto, l’andamento diurno e stagionale degli aerosol nello strato limite dell’atmosfera è fortemente correlato con quello degli altri inquinanti primari (CO, NOx), in quanto l’abbondanza in massa dipende principalmente dall’intensità delle sorgenti locali (combustioni e traffico in particolare) e dalla modulazione della rimozione convettiva in funzione delle condizioni meteo (insolazione, stabilità atmosferica ecc.). Le emissioni antropiche in sito urbano che direttamente influenzano la popolazione di aerosol sono quelle di SO2 (che è poi trasformato in una lunga catena di ossidazione, fino a formare solfato che condensa in particelle di aerosol) e carbonio organico (OC): questi aerosol di composizione diversa sono entrambi molto solubili e quasi completamente scatteranti. In particolare entrambi producono un raffreddamento netto della superficie, dovuto sia direttamente allʹaumentata riflettività, sia indirettamente agendo come nuclei di condensazione di nubi con aumentato tempo di vita, che a loro volta aumentano la riflettività equivalente terra‐atmosfera. Un altro tipo di aerosol emesso in processi di combustione è il carbonio nero (BC) che è inizialmente poco solubile e soprattutto è solo parzialmente scatterante, esibendo una rilevante componente di assorbimento. Quest’ultima determina un riscaldamento dello strato contenente BC accoppiato ad un oscuramento della superficie sottostante e, se l’albedo superficiale è sufficientemente elevata, la forzatura radiativa risulta positiva. Come descritto in Pitari et al. (2012) la popolazione locale di aerosol può essere largamente perturbata da trasporto da siti remoti, nel caso di eventi di trasporto di polveri desertiche e/o di fumi di incendi. Analogamente, anche le emissioni veicolari di aerosol in un sito specifico possono contribuire ad alterare il bilancio globale e possono in particolare alterare il bilancio in siti remoti. Studi effettuati all’inizio degli anni ’80 hanno rilevato sull’Artico concentrazioni di BC in troposfera fino ad 8 Km paragonabili con quelle rilevate in aree urbane a latitudini intermedie, evidenziando così il ruolo dei meccanismi di trasporto globale. Inoltre, la deposizione di BC su superfici con albedo elevata (ghiaccio, neve) ne riduce l’albedo contribuendo così indirettamente al loro riscaldamento. L’effetto netto è dunque analogo a quello di un gas serra, sebbene agendo sul bilancio della radiazione solare entrante, piuttosto che su quello della radiazione infrarossa planetaria uscente. L’effetto netto complessivo risultante dall’emissione simultanea di BC ed OC (con effetti climatici antagonisti) da parte dei processi di combustione può essere caratterizzato sinteticamente dal rapporto BC/(OC+BC), direttamente collegato all’albedo di singolo scattering. Il BC attualmente costituisce il secondo contributo alla forzatura
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radiativa su scala globale (contribuisce per circa la metà rispetto alla CO2 e più degli altri gas serra). Il 58% del BC emesso ha origine antropica e di questo circa un quarto è dovuto alle emissioni derivanti dal trasporto su strada (98.7% proviene da motori diesel e 1.3% da motori a benzina). Appare dunque evidente la rilevanza delle strategie di controllo delle emissioni di BC da parte dei motori diesel nella valutazione del cambiamento climatico. La maggior parte delle emissioni di BC proviene da paesi in via di sviluppo, a causa della normativa carente rispetto al controllo delle emissioni, con una tendenza ad aumentare. Cina ed India contribuiscono per il 30% alle emissioni globali di BC, con un contributo cinese raddoppiato dal 2000 al 2006. Di tutta la frazione antropica di BC, la parte dovuta al trasporto su strada è globalmente stazionaria, esibendo tuttavia un aumento in Europa, dove l’evoluzione dei dispositivi anti‐inquinamento per motori diesel fatica a compensare il forte aumento del parco circolante. In questo lavoro sono presentati alcuni risultati relativi alla forzatura radiativa calcolata in un sito di interesse per il caso di trasporto di fumi (Pitari et al., 2012) ed alla sensibilità della forzatura radiativa globale rispetto alle emissioni dovute al trasporto su strada. Il BC al pari di tutti gli altri aerosol può provocare danni seri alla salute umana. Il sistema principalmente attaccato dal particolato è quello respiratorio e il fattore di maggior rilievo per lo studio degli effetti è la dimensione delle particelle in quanto da essa dipende la capacità di penetrazione nelle vie respiratorie. Le particelle fini sono quelle che hanno il massimo impatto sulla salute dell’uomo perché quando vengono inalate arrivano fino ai polmoni, dove vengono adsorbite alla superficie delle cellule, creando danni seri alla salute. I gas di scarico dei motori diesel sono stati classificati come “probabili cancerogeni per l’uomo” dalla Environmental Protection Agency (EPA) degli Stati Uniti. Studi epidemiologici hanno dimostrato l’esistenza di consistenti e significative associazioni fra tassi di mortalità giornalieri e a lungo termine e concentrazione nell’aria di particolato, con riferimento in particolare al cancro polmonare ed alle malattie cardiocircolatorie. Le particelle di aerosol possono inoltre contenere diverse sostanze organiche e inorganiche pericolose per la salute umana. Alcune di queste sostanze organiche sono: il benzene, i PCB (bifenili policlorurati) e gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici); mentre le sostanze inorganiche più pericolose sono i metalli e i composti contenenti zolfo. Il più noto e comune IPA cancerogeno è il benzo‐alfa‐pirene che è risultato essere un potente cancerogeno per gli animali da esperimento ed un probabile cancerogeno per l’uomo e può persino accumularsi nella catena alimentare. Le emissioni non‐CO2 dovute al trasporto su terra hanno un effetto significativo sul clima, pari circa al 20% dell’emissione antropogenica totale di CO2. Il controllo delle emissioni di NOx tramite restrizioni normative ha ottenuto risultati positivi sulla stabilizzazione dell’ozono troposferico, e sulla mitigazione degli effetti climatici ad esso associati. Tuttavia, soprattutto in Europa a causa della prevalenza della trazione diesel, non si osservano risultati analoghi per quanto riguarda le emissioni di BC, la cui riduzione fornirebbe un efficace mezzo di contrasto al cambio climatico nel breve termine a causa del breve tempo di permanenza del BC in atmosfera. Infatti, la riduzione delle sue emissioni produrrebbe una riduzione del riscaldamento entro poche settimane. Lo studio WMO/UNEP (2011) calcola che una riduzione significativa delle emissioni di BC, insieme all’ozono troposferico ed al suo precursore CH4, può ridurre il tasso di riscaldamento globale alla metà e quello di riscaldamento dell’Artico di 2/3, insieme a tagli sulle emissioni di CO2. Evitando “picchi di riscaldamento”, queste riduzioni possono contenere l’innalzamento globale di temperatura entro 1.5˚C per 30 anni ed entro 2˚C per 60 anni. Per
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quanto riguarda in particolare le emissioni dei motori diesel sono disponibili diverse tecnologie.
Nuovi e più efficienti filtri anti particolato (DFP) possono eliminare oltre il 90% delle emissioni di BC, richiedendo tuttavia gasolio a bassissimo tenore di zolfo (ULSD). Un’altra tecnologia per ridurre le emissioni di BC da parte dei motori diesel è la conversione a metano per i mezzi di trasporto pubblici. In India, questo ha portato ad una riduzione delle emissioni di BC, in termini di CO2 equivalente, tra il 10 ed il 30%. Riferimenti Bibliografici
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Esposizione a benzene e stazioni di servizio Marco SCHIAVON, Marco RAGAZZI, Elena Cristina RADA
(Università di Trento) Tra il 1982 e il 1987 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) classificò il benzene come composto cancerogeno per l’uomo: furono infatti rinvenute correlazioni tra l’esposizione a lungo termine a benzene e lo sviluppo di forme leucemiche, specialmente la leucemia mieloide acuta, confermate anche da studi recenti (Vlaanderen et al., 2011). Effetti non cancerogeni, in seguito ad esposizioni croniche, colpiscono comunque l’apparato ematopoietico e consistono prevalentemente nello sviluppo dell’anemia aplastica. Gli effetti derivanti da esposizioni croniche a tale inquinante rivestono importanza maggiore rispetto a quelli determinati da esposizioni acute, soprattutto perché gli effetti acuti si manifestano generalmente per concentrazioni molto elevate, difficilmente riscontrabili se non in seguito ad eventi eccezionali. L’esposizione a benzene avviene prevalentemente per via inalatoria, nonostante siano comunque possibili contaminazioni per via orale o tramite l’epidermide. Una volta assunto dall’organismo, il benzene tende ad accumularsi rapidamente nel midollo osseo e ad essere trasformato nel suo epossido, che è considerato il vero agente cancerogeno e mutageno associato al benzene (HPA, 2007). La progressiva riduzione del contenuto di benzene nelle benzine (oggi inferiore all’1% in molti Paesi, inclusa l’Italia) ha determinato una diminuzione delle emissioni da parte del traffico su strada. Nonostante tali miglioramenti, il settore dei trasporti contribuisce tuttora a più dell’80% delle emissioni di benzene in Europa (EEA, 2007). Nelle aree urbane, alcuni studi hanno dimostrato che un’importante fonte addizionale di benzene è rappresentata dalle stazioni di servizio e distribuzione dei carburanti, presso le quali il benzene, composto molto volatile, tende ad evaporare dai serbatoi delle automobili e dalle cisterne al momento del rifornimento. Da un recente studio effettuato presso la città di Ioannina (Grecia), è emerso un problema legato alle elevate concentrazioni di benzene che possono presentarsi nel raggio di 10‐20 metri dagli impianti di erogazione dei distributori e che possono superare i 20 μg m‐3, pari a quattro volte il limite da normativa su base annua, con il conseguente aumento del rischio per la salute del personale impiegato e della popolazione residente nelle vicinanze dei distributori (Karakitzios et al., 2007a). Bisogna infatti considerare che il contributo delle stazioni di servizio si somma a quello del traffico stradale, già rilevante in aree urbane. I risultati di tale studio hanno evidenziato come il personale possa essere facilmente esposto a concentrazioni medie comprese tra 15 e 52 μg m‐3, con punte di 85 μg m‐3 (Karakitzios et al., 2007b). Simili esposizioni medie (pari a 44 μg m‐3) sono state registrate all’interno di uno studio compiuto su 33 commessi impiegati presso alcuni distributori di benzina nell’Italia settentrionale (Carrieri et al., 2005). Nonostante la dimostrata importanza delle stazioni di servizio nel rilascio del benzene, sono ancora poche le indagini condotte presso tali sorgenti puntuali. Scopo di questo breve studio è dunque giungere ad una definizione del problema rappresentato dalle stazioni di servizio e distribuzione dei carburanti, intese come potenziali fonti di criticità locali in termini di emissioni di benzene. In tale contesto diviene importante evidenziare alcune carenze di tipo legislativo che caratterizzano la normativa sulla qualità dell’aria in vigore in Europa ed in Italia.
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La prima carenza riguarda il sistema convenzionale di monitoraggio degli inquinanti atmosferici, effettuato per mezzo di stazioni fisse di qualità dell’aria; la seconda fa riferimento al valore limite di concentrazione in aria ambiente adottato per il benzene; un ultimo aspetto è legato ai ritardi della normativa italiana, rispetto a quella europea, nel recepimento della direttiva relativa all’introduzione dei sistemi di recupero dei vapori presso gli impianti di distribuzione. Il numero e la localizzazione delle stazioni di qualità dell’aria sono stabiliti tramite la zonizzazione regionale o (nel caso delle provincie autonome) provinciale, strumento che si basa sulla definizione di aree con caratteristiche simili di qualità dell’aria, in termini di superamenti, tipi di sorgenti emissive, caratteristiche climatologiche o topografiche. L’eventuale superamento delle soglie di valutazione inferiori e/o superiori per ciascun inquinante, inoltre, determina il numero minimo di stazioni fisse per zona o agglomerato (Gazzetta Ufficiale, 2010). Attuando tale criterio, vengono monitorate le concentrazioni degli inquinanti nelle singole zone ma non viene contemplata l’esposizione della popolazione residente, in quanto non si fa riferimento al problema legato alla vicinanza tra sorgenti di emissione e soggetti esposti; alcune criticità locali possono quindi sfuggire al monitoraggio convenzionale, che si limita a registrare le concentrazioni degli inquinanti normati in pochi punti di misura, non necessariamente rappresentativi dell’effettiva esposizione della popolazione residente. Il secondo aspetto critico riguarda l’adozione del valore limite di concentrazione adottato per il benzene: l’attuale normativa impone il rispetto, su base annua, della concentrazione media di 5 μg m‐3; sulla base di numerosi studi epidemiologici, l’Agenzia per l’Ambiente degli Stati Uniti (U.S. EPA) ha introdotto ed aggiornato, nel corso degli ultimi decenni, i cosiddetti Inhalation Unit Risks, fattori di tossicità utilizzabili per il calcolo del rischio cancerogeno legato ad un’esposizione continua ad una determinata concentrazione media di inquinante. Ipotizzando un‘esposizione, nell’arco di una vita, ad una concentrazione media di benzene pari al valore limite da normativa, il rischio derivante risulterebbe compreso tra 1,1∙10‐5 e 3,9∙10‐5 (U.S. EPA, 1999). Poiché il rischio di mortalità accettabile per l’esposizione cronica agli inquinanti emessi da una sorgente è considerato pari a 10‐6 (U.S. EPA, 2012), un’esposizione continua a 5 μg m‐3 comporterebbe un rischio non trascurabile. Un ultimo aspetto critico riguarda il recepimento della Direttiva Europea 2009/126/CE da parte del Governo Italiano, previsto entro il 1° gennaio 2012 ma ancora in fase di attuazione; la Direttiva stabilisce l’adozione obbligatoria del sistema di recupero dei vapori a livello delle singole pompe di benzina (Vapour Recovery System – Stage II) da parte dei gestori delle stazioni di servizio. Solo recentemente il Senato ha espresso parere positivo allo schema di decreto legislativo recante il recepimento della norma (Senato della Repubblica, 2012). Il principio di funzionamento dei dispositivi di recupero dei vapori è semplice: al momento dell’erogazione della benzina all’interno del serbatoio dell’autovettura, una specifica pompa, situata all’interno della colonna dell’impianto, entra in azione; essa favorisce l’aspirazione dei vapori contenuti nel serbatoio dell’autovettura, per avviarli all’interno della cisterna situata sottoterra, tramite un tubo coassiale al manicotto dell’erogatore. In tal modo si previene la dispersione dei vapori contenuti nella benzina e, in particolare, del benzene. Considerando che la normativa europea impone che l’efficienza del sistema di recupero vapori sia superiore all’85% (Commissione
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Europea, 2009), si può prevedere che tali sistemi possano comportare analoghe riduzioni per quanto riguarda le concentrazioni in aria ambiente nei pressi delle stazioni. Visto il potenziale rischio determinato dai distributori di benzina e considerata l’assenza, in Italia, di dati relativi a campagne di misura delle concentrazioni di benzene presso tali sorgenti puntuali, diviene importante pianificare un sistema di monitoraggio orientato al lungo periodo, con il duplice obiettivo di tenere sotto osservazione gli attuali livelli di concentrazione e valutare l’effettivo beneficio derivante dall’introduzione dei sistemi di recupero dei vapori. Un monitoraggio mirato e dedicato alle stazioni di servizio consentirebbe, inoltre, di ricavare dei fattori di emissione per il benzene presso tali sorgenti per giungere ad includere queste ultime all’interno degli attuali inventari delle emissioni. L’utilità di quest’ultimo passo si rifletterebbe anche nella possibilità di effettuare simulazioni numeriche di dispersione degli inquinanti sempre più accurate, in grado di contemplare anche sorgenti di emissione il cui contributo finora non era stato quantificato. Infine, monitorata la concentrazione media di benzene presso le stazioni di servizio, diviene immediata la stima del rischio per la salute, sia a livello di personale impiegato che di popolazione residente nelle immediate adiacenze dei distributori. La pianificazione di una campagna di monitoraggio è attualmente oggetto di studio da parte del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Trento. Per una preliminare valutazione delle priorità di intervento, la densità abitativa rappresenta un valido indicatore, in quanto evidenzia le aree urbane per le quali sorgenti puntuali, che normalmente sfuggono ai monitoraggi convenzionali, possono dare luogo ad esposizioni elevate e coinvolgere un ampio numero di abitanti. Parallelamente, la densità abitativa è un indicatore di complessità del tessuto urbano, poiché un maggior numero di abitanti per unità di superficie comporta un’elevata densità di unità abitative ed edifici che, come spesso accade, danno luogo alle cosiddette strutture a canyon urbano, ovvero arterie di traffico circondate da edifici su ambo i lati, all’interno delle quali la dispersione degli inquinanti è sfavorita per le limitate circolazioni di aria al loro interno. La presenza di stazioni di servizio in aree ad elevata densità abitativa rappresenta quindi un duplice problema, in quanto, oltre all’elevato numero di abitanti potenzialmente esposti, la diluizione e l’allontanamento degli inquinanti sono ostacolati dalla morfologia del tessuto urbano. Con riferimento alla città di Trento, in Figura 1 si riporta una mappa della densità abitativa con evidenziate le stazioni di servizio presenti: 4 distributori di benzina sono situati in aree con densità abitativa compresa tra 5.000 e 10.000 ab km‐2, 4 si trovano in aree con densità compresa tra 10.000 e 20.000 ab km‐2, mentre 2 distributori sono localizzati in aree ove la densità abitativa è superiore a 20.000 ab km‐2.
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Figura 1: Mappa di densità abitativa del Comune di Trento con evidenziate le stazioni di servizio situate all’interno dell’area urbana.
Considerata l’inadeguatezza delle centraline fisse di qualità dell’aria nell’evidenziare situazioni critiche presso le stazioni di servizio, la soluzione per un efficace monitoraggio presso tali sorgenti puntuali consiste nell’adozione di metodi non convenzionali, quali campionamenti tramite sensori a basso costo (come i sensori a film spesso) o tramite campionatori passivi. Questi ultimi sfruttano la spontanea diffusione del contaminante all’interno di una matrice specifica, la quale, a campionamento ultimato, viene trattata chimicamente o termicamente per effettuare il desorbimento dell’inquinante. Nel caso dei Composti Organici Volatili (COV), di cui il benzene fa parte, il desorbimento chimico avviene tramite estrazione con soluzione di CS2 e successiva analisi al gascromatografo (Radiello, 2012). I tempi di esposizione dei campionatori sono generalmente compresi tra una settimana e un mese, a seconda del livello di inquinamento e della simmetria del campionatore (radiale o assiale), che influisce sul moto di diffusione. Il risultato di un campionamento così condotto consiste nella valutazione di una concentrazione media nell’arco del periodo di esposizione dei campionatori. Informazioni sui picchi di concentrazione possono essere fornite da sensori a film spesso, i quali effettuano misure in continuo e risultano molto comodi per le ridotte dimensioni e per la facilità di posizionamento. Il funzionamento si basa sul segnale di corrente indotta nella banda di conduzione dell’ossido semiconduttore che compone il film; tale corrente viene a crearsi in seguito al rilascio di elettroni provocato dalla reazione tra l’inquinante gassoso e le molecole di ossigeno atmosferico assorbite sulla superficie del semiconduttore. La concentrazione dell’inquinante è correlabile
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all’intensità di corrente prodotta tramite una funzione nota. I sensori a film spesso offrono buona precisione, ottima risoluzione e una discreta accuratezza, nonché un costo su base annua paragonabile a quello di uno stock di campionatori passivi comprensivo delle necessarie analisi sui campioni. Infine, la possibilità di inserire i sensori a film spesso all’interno di reti wireless di sensori (le cosiddette Wireless Sensor Networks) offre la possibilità di svolgere monitoraggi online, effettuabili in contemporanea su più punti di campionamento. Entrambe le tipologie di campionamento consentono di incrementare la risoluzione spaziale delle misure di concentrazione degli inquinanti, altrimenti limitate ad un unico punto di misura. Riguardo la disponibilità di reti wireless si segnala che in Trentino è in corso una sperimentazione per l’utilizzo di sensori per macroinquinanti (NO2, CO, O3) con funzione di sentinelle ambientali per rilevare eventuali anomalie sul territorio. L’estensione al benzene godrebbe della presenza di una piattaforma già operativa. Ringraziamenti Gli Autori ringraziano la Fondazione Trentina per la Ricerca sui Tumori per il supporto nell’attività in corso e, in particolare, la Fam. De Luca per il prezioso sostegno finanziario all’attività di ricerca.
Riferimenti Bibliografici
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Le potenzialità della realtà virtuale per gli studi di sicurezza stradale
Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre)
Una scienza non è tale se non dispone dello strumento della verifica, se non può accertare cioè la validità dei suoi modelli teorici. Tuttavia, per le scienze applicate, non sempre si pone la dovuta attenzione alla necessità di correlare le assunzioni teoriche ad un adeguato riscontro sperimentale. Per le discipline dell’ingegneria civile tale situazione si verifica ogni qual volta l’approssimazione dei risultati viene ritenuta compatibile con la gestione di opportuni gradi di sicurezza, ed è questo il caso dell’ingegneria stradale, almeno per quanto riguarda la determinazione degli standard assunti per la progettazione geometrica delle infrastrutture. Essa, infatti, fonda le sue determinazioni su un’interpretazione delle leggi fisiche della dinamica e della cinematica del veicolo che, pur indubitabili nella loro formulazione matematica, ipotizzano situazioni di rischio e condizioni di guida tanto apparentemente logiche tanto che non si è mai ritenuto necessario sottoporle al vaglio di una rigorosa verifica sperimentale. E’ sufficiente correlare i sinistri alle cause per constatare come proprio alcune certezze fondate su semplificazioni di regole della fisica non sono più tali se interpretate alla luce delle molteplici relazioni che si determinano nell’ambito del sistema complesso che regola i rapporti tra l’uomo, il veicolo, la strada e il suo ambiente. La generale consapevolezza che l’incidentalità stradale sia da imputare a molteplici responsabilità induce a studiare il problema in termini di sistema, tralasciando le inefficaci valutazioni qualitative, attraverso attività sperimentali con l’obiettivo di interpretare la complessità del fenomeno circolatorio. Per motivi commerciali, in considerazione delle prestazioni offerte, è stata posta particolare attenzione alle garanzie di sicurezza offerte dal veicolo. In ambito stradale si sono sviluppati gli studi per ottimizzare i provvedimenti di sicurezza passiva e il comportamento dell’utente è stato oggetto di approfondite ricerche da parte delle discipline psicologiche, ma nessuno dei temi trattati esce dai limiti specialistici degli studi di settore. In particolare, per quanto riguarda le relazioni che intercorrono tra il comportamento dell’utente e le caratteristiche fisiche e funzionali della strada, non emerge una considerazione reciproca degli studi condotti in settori disciplinari tradizionalmente molto distanti tra loro. La psicologia del traffico analizza le condizioni di guida considerando le altre componenti come “invarianti”, così come l’ingegneria stradale regola le sue scelte progettuali con stretto riferimento alle leggi della dinamica e della cinematica ipotizzando comportamenti dell’utente mai verificati sperimentalmente. Se teniamo presente la complessità delle relazioni di causa ed effetto che determinano gli eventi incidentali, ciò non è logicamente condivisibile e, tra l’altro, ha consolidato l’ipotesi preconcetta che sia l’utente il primo ed unico responsabile del sinistro. In realtà numerosi segnali conducono in altra direzione.
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Tra questi il più evidente è quello espresso da una localizzazione ripetitiva degli eventi, che è un chiaro sintomo di anomalie della circolazione imputabili alla strada o alle sue condizioni di funzionamento. L’impossibilità di negare la rilevanza del fenomeno statistico ha improntato per anni la politica di gestione delle infrastrutture suggerendo due provvedimenti diversi ma altrettanto inefficaci. Il primo è stato quello di orientare gli investimenti per una bonifica dei “punti neri” che ha prodotto risultati del tutto deludenti, in quanto fondata sul convincimento che il maggior rischio locale fosse motivato da improprietà viarie, geometriche o funzionali, localizzabili anch’esse in corrispondenza delle tratte caratterizzate da una più elevata incidentalità. Così non è, e di ciò si prese atto anche a livello internazionale sin dal 1995 quando, in occasione del convegno mondiale della strada (Montréal)18, l’esito di una pluriennale esperienza condusse i ricercatori francesi ad affermare che il sintomo di un malfunzionamento non coincide necessariamente con il luogo ove se ne rilevano gli effetti. Il secondo provvedimento, adottato diffusamente per ovvi motivi di compatibilità finanziaria, è stato quello di imporre criteri restrittivi per la circolazione veicolare che, come si è potuto dimostrare in seguito, se penalizza i livelli di servizio della strada oltre i limiti di una “normale” tollerabilità da parte dell’utente, hanno il solo effetto di indurre più elevate frequenze di comportamenti a rischio. Tali considerazioni hanno condotto ad una conferma nella necessità di riprodurre situazioni reali per analizzare fedelmente i fenomeni. Tuttavia uno dei motivi primari per cui è prevalso l’uso di modellazione teorica può attribuirsi alle oggettive difficoltà della sperimentazione sul campo. Questa infatti, dovendo tener conto del comportamento degli utenti in diverse condizioni di circolazione, pone rilevanti problemi per garantire la riproducibilità e la ripetitività delle misure. Inoltre, l’attività sul campo risulta particolarmente onerosa sia sotto il profilo temporale, sia finanziario, in quanto è necessario effettuare un numero rilevante di misure per renderne possibile l’interpretazione tramite i metodi dell’analisi statistica. In considerazione poi della variabilità delle situazioni, si può in ogni caso analizzare un numero limitato di casi e ciò rappresenta un limite rilevante per consentire una ge‐neralizzazione dei risultati. Solo in epoca recente, giovandosi dello sviluppo delle tecnologie informatiche, alcuni ricercatori hanno affrontato il problema effettuando campagne di misure più o meno complesse che presentano tutte un limite comune: quello cioè di aver indagato un caso particolare dell’esercizio stradale, così strettamente confinato alle situazioni di prova che non è possibile ricondurlo ad una teoria generale capace di spiegare i condizionamenti indotti dalle scelte progettuali sul comportamento degli utenti. Ciò che invece è stato posto chiaramente evidenza da campagne di misura è l’insufficienza dimostrata dai tradizionali criteri di progettazione per garantire adeguate condizioni per la sicurezza attiva della strada nelle attuali condizioni di circolazione.
18 Rapport du Comité C13 Sécurité routière – France “Problèmatique des point noirs” – XXe Congrès mondial de la route-
AIPCR Montreal, Septembre 1995
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E’ stata questa considerazione a stimolare un’attività di studio e ricerca protrattasi per alcuni anni che, pur con esiti alterni, ha prodotto risultati che si ritengono meritevoli di considerazione e che hanno trovato riscontro in ambito accademico, sia nazionale, sia internazionale. Per dare ordine alla trattazione si è ritenuto opportuno seguire l’ordine dei problemi, così come questi si sono presentati, al fine di dar ragione dell’evoluzione del processo speculativo che ci ha condotto a proporre una nuova strategia per la ricerca sperimentale fondata sulle verifiche in realtà virtuale. Nei primi anni della nostra attività si è sviluppata la ricerca di base percorrendo itinerari tradizionali e analizzando quelle situazioni che almeno intuitivamente apparivano più significative sotto il profilo della sicurezza d’esercizio. Tuttavia, più si approfondiva il problema, più ci si rendeva conto della scarsa attendibilità dei modelli sino ad allora adottati per garantire scelte progettuali sicure. Pertanto, proprio allo scopo di interpretare correttamente il fenomeno incidentale si è ritenuto necessario indirizzare l’attività di ricerca allo studio sistematico delle relazioni di causa/effetto che, tenendo conto di tutte le variabili coinvolte caratterizzano quei malfunzionamenti della circolazione veicolare che comportano più elevati livelli di rischio. Nello sviluppare questa linea di ricerca si sono incontrate notevoli difficoltà. Le banche dati disponibili, sebbene progressivamente migliorate, descrivono uno scenario d’incidentalità aggregato, dal quale possono trarsi alcune indicazioni di carattere generale insufficienti per correlare gli incidenti alle cause che li hanno determinati. Per gran parte della rete non è possibile infatti coniugare la frequenza degli eventi al carico di traffico e ciò impedisce sin anche un’attendibile valutazione delle serie storiche del fenomeno incidentale. Si è cercato allora di superare tali difficoltà incrociando dati tratti da fonti diverse, sono stati proposti e validati statisticamente modelli atti a ridurre l’indeterminatezza imputabile agli eventi non localizzati, si sono definiti criteri oggettivi per distinguere i sinistri derivante da eventi casuali rispetto a quelli più direttamente imputabili alla strada. Anche questa fase del percorso di ricerca ha contribuito in modo determinante ad approfondire un fenomeno che per sua natura è particolarmente complesso, ma una svolta decisiva in termini positivi si è realizzata solo quando si è passati dalla speculazione teorica alle indagini sul campo. Allo scopo si è reso necessario acquisire adeguate attrezzature al cui finanziamento hanno concorso sia canali istituzionali, sia Enti diversi. Inizialmente ci si è dotati di un laboratorio mobile per i rilievi sul campo, sia puntuali per l’accertamento delle geometrie locali, la verifica dei deflussi meteorici e l’aderenza offerta dalle pavimentazioni, sia per il rilievo visuale in condizioni di marcia. Successivamente si è acquisita un’autovettura di media cilindrata allestendola con la strumentazione necessaria per monitorare i principali parametri psicofisiologici dell’utente in diverse condizioni di guida. Infine, senza presunzione di completezza, si è allestito un laboratorio di simulazione che, già nella sua fase di taratura, ha espresso notevoli potenzialità per realizzare quelle campagne di misure in realtà virtuale che sarebbe impossibile realizzare diversamente.
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Citazione particolare merita il sistema di simulazione di guida in realtà virtuale i cui due principali requisiti del sistema riguardano un elevato livello di realismo della simulazione e un’architettura informatica sufficientemente versatile, in grado di rappresentare la strada secondo i consueti parametri di progetto, dalle geometrie plano altimetriche, alle tipologie e arredo delle sezioni, dalle condizioni di traffico all’ambito circostante. Parte integrante del sistema di simulazione è l’insieme delle attrezzature concepite per generare stress codificati in particolari condizioni di guida (ad es. abbagliamento), e l’insieme dei sistemi, tradizionali ed avanzati, per la caratterizzazione dell’utente sotto il profilo psico‐fisico. Questi ultimi sono utilizzati sia per la fase preventiva alla prova, sia per la sua esecuzione, sia per la fase successiva di riposo. Inoltre il sistema prevede durante la prova l’acquisizione della frequenza cardiaca e la registrazione video. Quest’ultima, in particolare, consente inoltre di estrarre ulteriori parametri significativi rispetto alla definizione di alcune grandezze psicofisiche di riferimento per lo studio dei comportamenti e delle reazioni individuali: dai movimenti del bulbo oculare, alla frequenza di chiusura delle palpebre, dalla mobilità dello sguardo a quella del capo. All’assetto attuale dei laboratori si è pervenuti in un arco temporale di alcuni anni, nel corso dei quali è stato l’esito degli studi a suggerire quali attrezzature fossero più opportune per verificarne i risultati. Per meglio presentare sia la versatilità, sia le rilevanti potenzialità delle metodologie poste in essere si illustrano alcune applicazioni sviluppate negli anni descrivendone sinteticamente gli aspetti salienti. Una prima linea di ricerca da illustrare ha come obiettivo quello di offrire un supporto al processo di progettazione stradale, infatti in esso, dopo aver analizzato i principali standard geometrici tenendo conto del comportamento degli utenti in relazione alle diverse condizioni di esercizio, è possibile disegnare una prima soluzione progettuale che, pur tenendo conto della funzionalità sistemica dell’infrastruttura, deve essere verificata sotto il profilo prestazionale valutandone l’incidentalità attesa di breve e medio periodo (European Directive 2008/96/CE). Questo passo non è eludibile ed è certamente il più importante di tutto il procedimento in quanto, indipendentemente dalle capacità del progettista di interpretare uno scenario che è sempre di rilevante complessità, potremmo valutare positivamente le sue scelte se la verifica consentisse di prevedere un livello d’incidentalità imputabile alla strada compatibile con gli obiettivi che s’intendono perseguire sia nel caso di nuove realizzazioni, sia per gli interventi sul patrimonio. Elemento essenziale di tale processo è la determinazione delle possibili conseguenze del comportamento degli utenti in relazione alle esigenze di guida, agli stimoli esterni e alle sollecitazioni indotte dalla strada, posto particolare riferimento all’effettuazione delle manovre in debito di sicurezza. E’ questo il caso di condizioni di interferenza veicolare non tollerate dall’utente che sfociano in manovre a rischio: urti frontali, frontali‐laterali, tamponamenti, ...ecc. In relazione agli scontri frontali e frontali laterali generati da manovre di sorpasso in condizioni limite di sicurezza, lo studio ha analizzato il rischio assunto dagli utenti nell’effettuare ciascuna manovra di sorpasso in diverse condizioni di densità veicolare. Sono stati preliminarmente
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stimati i sorpassi “sicuri” tenendo conto delle visuali libere con riferimento a cinque scenari caratterizzati da un traffico crescente, si è condotta quindi la sperimentazione rilevando i sorpassi realmente effettuati, quelli rinunciati, quelli a rischio e quelli incidentati. L’analisi dei risultati ha consentito di valutare la variabilità della soglia di rischio accettata dagli utenti in funzione del disagio derivante da un carico veicolare crescente. Per quanto riguarda il tamponamento, lo studio, tenendo conto degli effetti indotti dal carico di traffico sul comportamento degli utenti, ha analizzato il rischio correlato alle distanze di sicurezza verificandone la probabilità e la gravità al crescere della densità veicolare (5 scenari di traffico espressivi dei diversi livelli di servizio). L’elaborazione dei dati di output, espressivi sia delle condizioni di moto del conducente in prova, sia delle relazioni spazio/temporali che si determinavano con il veicolo che precede, ha fornito indicazioni per valutare in funzione dei livelli di servizio la variabilità sia del rischio soggettivo accettato dall’utente, sia del rischio oggettivo derivante dalla diversa probabilità e gravità dell’evento. Si citano, infine, i risultati di 2 ricerche sviluppate per valutare l’efficacia di scelte nei provvedimenti legislativi: ‐ l’installazione dei pannelli a messaggio variabile richiede una regolamentazione circa la
localizzazione e i contenuti del messaggio stesso; ‐ l’uso di dispositivi audio accessori ai telefoni cellulari durante la guida. Nel primo studio si sono esaminati 10 differenti messaggi selezionati su proposta della ricerca Easyway il cui obiettivo è quello di omogeneizzare i messaggi sui pannelli dell’intera rete stradale europea. Durante la guida l’utente ogni volta che incontrava un pannello ne descriveva il messaggio e il significato da lui percepito. Questa valutazione veniva quindi incrociata con le elaborazioni dei dati di output della simulazione descrittivi delle condizioni di moto. Dalla ricerca è emersa l’importanza di omogeneizzare preventivamente la simbologia utilizzata dal Codice della Strada di ciascun Paese, in quanto la semplicità del messaggio e quindi la sua corretta comprensione non è collegata alla brevità del messaggio stesso, scritte brevi e nessun pittogramma, bensì a simboli noti e “attesi”. Per quanto riguarda lo studio del comportamento degli utenti alla guida durante le conversazioni tramite telefono cellulare, le sperimentazioni condotte hanno analizzato molteplici aspetti: ‐ le performance alla guida di utenti impegnati in conversazioni telefoniche con differenti
modalità: handheld, kit vivavoce, kit auricolare; ‐ l’influenza delle informazioni fornite dagli scenari di guida, quali le differenti
caratteristiche geometriche del tracciato stradale ; ‐ la valutazione delle differenti velocità di percorrenza e come le stesse vengano influenzate
durante le sopraggiunte chiamate; ‐ il comportamento in caso di eventi singolari, quali ad esempio una frenata del veicolo che
precede, per la valutazione dei tempi di reazione. Dalle consuete analisi dei parametri descrittivi delle condizioni di moto è emerso che gli effetti principalmente riscontrati riguardano la velocità longitudinale di marcia, che si riduce in generale durante la conversazione telefonica (maggiormente con un telefono palmare rispetto alle altre modalità) e indipendentemente dalle geometrie del tracciato. Tale riduzione deve essere interpretato come un tentativo di compensare il maggior carico di lavoro mentale.
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L’influenza delle caratteristiche geometriche è risultata irrilevante. Non sono state registrate significative dispersioni di traiettorie e quindi necessità di correzioni improvvise di manovre trasversali. L’utente pertanto, consapevole di un possibile rischio aggiuntivo, adotta un atteggiamento di guida più prudente e riduce il livello di rischio individuale agendo sulla velocità e quindi senza aumentare i tempi di reazione.
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L’uso di strumenti di guida simulata per il calcolo delle emissioni di un’infrastruttura viaria
Claudia GUATTARI, Maria Rosaria DE BLASIIS (Università di Roma Tre) ‐ Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI (I.R.I.D.E., ROMA)
Introduzione
Negli ultimi anni è stata posta particolare attenzione all’inquinamento ambientale, con particolare riferimento ai livelli di qualità dell’aria e alla presenza in atmosfera di gas climalteranti. Il problema investe tutti i paesi, portandosi ad una scala di importanza globale come testimoniano i numerosi tentativi di trovare strategie comuni per la ricerca di uno sviluppo ambientalmente sostenibile. A partire dal Protocollo di Kyoto (2002/358/CE, 2002), il quale pone importanti obiettivi a livello mondiale di riduzione dei “Gas Serra”, alla direttiva (2009/28/CE, 2009) che pone l’ambizioso obiettivo di ridurre i gas serra del 20% entro il 2020. In recepimento di tali importanti direttive, in Italia, sono state poste in essere numerose strategie per il miglioramento della qualità dell’aria sia a livello nazionale che a livello regionale con l’introduzione dei piani di risanamento della qualità dell’aria (Bonanni, et al., 2006). In tale ambito il ruolo delle infrastrutture viarie ricopre un posto di primordine, rappresentando una fonte di inquinamento atmosferico molto spesso non trascurabile. Il problema si sposta quindi sugli attuali strumenti previsionali di inquinamento atmosferico, strumenti che permettono di guidare i tecnici del settore ad effettuare pianificazioni che permettano di raggiungere gli obiettivi prefissati, attraverso un’elevata affidabilità e una rispondenza tra gli scenari teorici simulati e i dati di controllo derivanti dalle centraline di controllo della qualità dell’aria. Nel panorama nazionale ed internazionale sono ormai affermati a tale scopo modelli definiti “statici” che fanno riferimento a parametri medi e costanti, sia nel tempo che nello spazio. In tali modelli, le emissioni sono principalmente funzione della velocità media tenuta lungo la tratta analizzata. Se tale assunto può essere ritenuto valido in alcuni casi (flussi veicolari bassi e velocità costanti),in molti altri, soprattutto a causa dell’aumento dei traffici veicolari, tale condizione risulta non rispondente ai reali livelli emissivi. Occorre pertanto superare tali limitazioni per valutare in maniera globale il fenomeno emissivo estendendo l’affidabilità delle valutazioni a tutti le condizioni di deflusso possibili sulle infrastrutture. La presente ricerca si pone l’obiettivo di abbinare modelli di calcolo emissivo basati su parametri di valutazione istantanei, ovvero che tengano conto della variazione dei parametri emissivi al variare del tempo, con uno strumento che permetta la valutazione del reale comportamento di guida degli utenti sull’infrastruttura, partendo così da cicli di guida reali e non meramente teorici quali velocità di progetto o, nella migliore delle ipotesi, la velocità di esercizio.
Metodologia
Gli strumenti Al fine di caratterizzare il comportamento degli utenti durante la guida ci si è avvalsi del simulatore di guida STI del laboratorio di Realtà Virtuale del Centro Inter Universitario di Sicurezza Stradale (CRISS). Numerose attività di ricerca e sperimentazioni hanno confermato la validità e l’affidabilità dello strumento (Bella, 2005) (Benedetto, et al., 2003). Il simulatore è installato all’interno di un veicolo reale, tale accortezza permette di avere sensazioni di guida reali durante la sperimentazione. L’immagine della simulazione è proiettata davanti al veicolo e
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ai lati, in modo da poter coprire un angolo di visuale pari a 135°. La parte acustica del simulatore, è installata all’interno del veicolo, al fine di simulare al meglio la reale acustica del veicolo stesso. Il simulatore di guida permette di registrare, in maniera pseudo istantanea ‐ una stringa di dati ogni 0.3 secondi – una serie di parametri utili allo studio e all’analisi del comportamento di guida degli utenti. In particolare, citando alcuni degli output principali registrabili:
• Tempo Trascorso; • Accelerazione longitudinale; • Accelerazione Trasversale; • Velocità longitudinale; • Velocità Trasversale; • Distanza Percorsa; • Distanza dal centro della carreggiata; • Curvatura del veicolo; • Curvatura della carreggiata; • Angolazione del veicolo; • Angolazione del volante; • Pressione registrata sul pedale dell’acceleratore; • Pressione registrata sul pedale del freno; • Indicatori direzionali e segnalatori acustici (clacson); • Marcia inserita; • Tassi di deviazione del veicolo lungo le tre direzioni (x,y,z)
Ognuno di tali output può essere utile alla definizione di indicatori che siano rappresentativi del comportamento di guida dell’utente, nello scenario simulato. Un ulteriore aspetto utile allo studio del comportamento di guida è la possibilità di realizzare scenari ripetibili nelle stesse condizioni per tutti i driver della simulazione. Tale caratteristica da la possibilità di realizzare comparazioni oggettive nello stile di guida dei diversi driver, facendo agire in maniera controllata gli utenti con le condizioni a contorno che si vogliono simulare, giungendo così alla definizione degli elementi che influenzano il comportamento di guida.
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Figura 9
In ultimo, all’interno dello scenario possono essere inseriti una serie di veicoli che vanno a costituire un “flusso interferente” con il driver. Tali veicoli oltre a possedere un’intelligenza virtuale – hanno la capacità di fermarsi al rallentare dei veicoli, possono accodarsi ed effettuare manovre utili ad evitare la realizzazione di eventi incidentali – possono essere “preimpostati” in maniera tale da ripetere un’azione in un determinato istante o in un preciso punto spaziale. In questo modo è possibile sottoporre il campione dei driver alle stesse condizioni di scenario, potendo così analizzare gli output di simulazione in maniera oggettiva.
Il campione di utenti e la validazione E’ stato selezionato un campione omogeneo di driver a cui sono state sottoposte le stesse condizioni di guida, al fine di evitare distorsione dei dati indotti da : attitudine dei driver, esperienza di guida, età, livello di stress, stato emotivo o neuro‐cognitivo o altri fattori. La composizione del campione ha previsto 35 soggetti (10 donne e 25 uomini di età media 35 anni con range di variazione compreso tra i 20 e i 50 anni).
La validazione statistica Attraverso un metodo statistico basato sulla verifica della stabilità dei parametri medi – la convergenza dei valori medi di velocità tenuti da ciascun driver (Benedetto, 2002) – è stato valutato che il numero dei partecipanti è significativo dal punto di vista statistico e assicura una corretta interpretazione di dati ottenuti. Inoltre, per escludere i valori anomali, è stato utilizzato il criterio di Chauvenet. Tale criterio è un metodo statistico utile per valutare l’affidabilità degli output di simulazione (Benedetto, 2002). Coerentemente a quanto sin qui detto, per ogni scenario alcuni driver sono stati esclusi in quanto hanno mostrato un comportamento anomalo durante la guida, in particolare in termini di velocità media registrata.
La Procedura Seguendo le rigorose procedure previste per le simulazioni di guida in realtà virtuale, ogni driver ha dovuto eseguire una procedura di “training”. Al termine di questa fase i driver, sono stati invitati a percorrere i due scenari simulati di strada in tre differenti condizioni di traffico per ogni scenario, senza alcun limite di velocità imposto. I driver erano in grado di vedere la loro velocità sul tachimetro e scegliere liberamente la propria velocità in funzione di quanto a loro suggerito dallo scenario stradale. In particolare, lo Scenario (A) rappresentava una geometria autostradale, mentre lo Scenario (B) rappresentava una geometria di una strada extraurbana principale. Come accennato ogni scenario è stato percorso in tre differenti condizioni di traffico che possono essere qualitativamente riassunti in: Flusso Basso (LIF),
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Flusso Medio (MIF) e Flusso Alto (HIF). Le due geometrie, combinate alle tre differenti condizioni di flusso, hanno generato 6 differenti scenari.
I Modelli Statici
Negli anni recenti, attraverso molteplici progetti Europei, sono stati sviluppati diversi metodi di valutazione delle emissioni di tipo Statico. Nel 2003 è stato sviluppato, il progetto EMEP/CORINAI “emission inventory guidebook 3rd edition” (EMEP/EEA, 2003). La correlazione tra emissione e velocità media, in tale studio, veniva calcolato attraverso l’equazione 1
(1) Dove: EF: Rappresentava il fattore di emissione della CO V: il valore di velocità media espressa in Km/h Questa correlazione può essere applicata a veicoli di tipo Euro 1. Per quanto riguarda modelli più avanzati come ad esempio gli Euro 3, il valore viene calcolato come una riduzione % delle emissioni trovate con la formula precedente. Per quanto riguarda l’Euro3 tale valore è di circa il 44%. Una versione più moderna dello stesso progetto è “l’EMP/EEA air polluttant emission inventory guidebook – 2009” (EMEP/EEA, 2009). In questo nuovo modello la correlazione tra emissioni e velocità media è fornita dall’equazione 2:
(2) Dove a = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a +7.17E+01 b = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a +3.54E+01 c = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a +1.14E+01 d = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a ‐2.48E+01 e = Costante, per il calcolo della CO Euro3 è pari a 0 V = velocità media espressa in km/h In ultimo, è stato utilizzato anche il modello COPERT 4 sviluppato dall’EMISIA (EMISIA/EEA, 2012). Tale modello stima le emissioni di tutti i principali inquinanti (CO, NOx, VOC, PM NH3 SO2, metalli pesanti) prodotti dalle differenti categorie di veicoli.
I Modelli Dinamici
Questi modelli permettono la simulazione delle emissioni di un veicolo durante la marcia lungo un determinato tratto di strada, imponendo il ciclo di guida. Il punto di funzionamento del motore viene calcolato sulla base delle caratteristiche della combinazione auto‐ambiente (ad esempio in funzione del tipo di motore e di trasmissione, delle resistenze all’avanzamento e la massa del veicolo ecc), e calcola, quindi, le emissioni gassose in atmosfera. Inoltre sono state applicate le correlazione usate per calcolare le emissioni inquinanti (CO) normalmente utilizzate nel settore automobilistico. In particolare, tali correlazioni fanno parte delle librerie di calcolo del codice commerciale LMS AMESim(2011) (AMESim, 2011), software utilizzato per la simulazione. L’approccio scelto per la simulazione riproduce la metodologia di prova prevista dalle normative internazionali in materia di emissioni in atmosfera per l’approvazione del motore del veicolo.
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Risultati
Gli output del simulatore sono stati raccolti, validati ed analizzati al fine di definire i livelli di emissione in funzione delle differenti tipologie di modelli ed in funzione dei diversi comportamenti di guida tenuti dagli utenti nei differenti scenari. In particolare, sono stati confrontati i risultati di quattro differenti modelli per stimare il valore della CO emessa: Copert 4, EMEP/CORINAIR (2003), EMEP/EEA (2009) ed AMESim. I sei differenti scenari sono stati implementati per poter meglio interpretare il fenomeno. I risultati hanno mostrato una sostanziale differenza nel calcolo dei fattori di emissione attraverso l’uso di modelli dinamici o di modelli statici. La prima analisi ha riguardato il confronto tra la velocità media tenuta dagli utenti durante i tratti percorsi in simulazione e i livelli di emissione calcolati dai modelli. Ad esempio, il profilo di velocità operativa, può essere molto differente, nel confronto con la velocità media registrata nello scenario, Figura 10.
Figura 10 Profili di velocità operativa VS Velocità media
Partendo da tali differenze, i quattro modelli sono stati applicati per calcolare i tassi di emissione al fine di verificare i differenti valori ottenuti. I modelli hanno fornito risultati diversi al variare del profilo di velocità operativa. La Figura 11 mostra un esempio dei risultati prodotti dai differenti modelli al variare del profilo di velocità operative mostrato in Figura 10.
Figura 11 Valori di emissioni calcolati nei differenti scenario
La differenza nei fattori di emissioni ottenuta dai modelli statici rispetto ai modelli dinamici, risulta evidente dal grafico in Figura 12. In particolare, è importante evidenziare come nei modelli statici ci sia una diretta correlazione tra velocità media e tasso di emissione, mentre per il modello dinamico, tale correlazione non sia definita.
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Figura 12 Fattori di emissione calcolati dai modelli
In accordo con (Smita, et al., 2010) i modelli dinamici, per valori di velocità analoghi, (differenze di 2‐3Km/h) restituiscono valori di emissione sensibilmente diversi, con fattori di differenza compresi tra le 5 e le 10 volte. Questo accade in quanto il tasso di emissione dipende fortemente dal profilo della velocità operativa, e non solo dalla sua velocità media. Un’analisi comparativa dei risultati in termini di “trend emissivi” e profili di velocità operativa, ha mostrato come la velocità media non sia rappresentativa del fenomeno emissivo; i modelli dinamici hanno messo in luce una forte dipendenza con la variazione di velocità. Pertanto, al fine di identificare un indicatore sintetico in grado di effettuare confronti tra variazioni di velocità e valore medio della velocità stessa, è stata analizzata la deviazione standard (SD) della velocità tenuta dagli utenti durante la guida, per definire una misura sintetica di come e quanto la velocità tenuta si discosti dal suo valore medio.
Figura 13 Fattori di emissione in relazione con la deviazione standard
Al crescere del valore di deviazione standard, aumentano i valori dei fattori di emissione, Figura 5. Nonostante questo, non può essere identificata una elevata correlazione statistica tra le
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due variabili (il valore di R2 è circa 0.6). Questo basso valore di correlazione, può essere spiegato dal fatto che fluttuazioni frequenti ma poco elevate in modulo intorno al valore medio, conducono a valori di deviazione standard poco elevati al contrario dei valori di fattori di emissione che invece risultano essere molto elevati. Nella Tabella 1 sono riassunti i valori medi dei fattori di emissione, della velocità e della sua deviazione standard. Per lo Scenario (A) viene registrato un valore pressoché costante di deviazione standard, nonostante un abbassamento della velocità media dovuto allʹaumentare del flusso. Al contrario nello Scenario (B) si registra un incremento della SD ed un abbassamento della velocità media. In coerenza con le analisi precedenti, è stata registrata un’indipendenza tra i fattori medi di emissione e i valori di velocità media tenuta dai diversi utenti.
Tabella 1 Fattori di emissione medi nelle differenti condizioni di scenario
Discussione In conclusione si registrano valori di fattori di emissione sensibilmente più bassi nel caso di utilizzo di modelli statici rispetto a quelli dinamici. Partendo da queste considerazioni la prima analisi effettuata ha riguardato lo studio delle differenti correlazioni tra la velocità media e i fattori di emissione. In particolare è emerso come, per i modelli dinamici, il comportamento degli utenti influenzi fortemente i fattori di emissione, e per questo la velocità media non può essere considerata significativa del fenomeno emissivo. La seconda analisi, focalizza l’attenzione sul comportamento degli utenti nei diversi scenari e i rapporti che intercorrono tra tale stile di guida e i fattori di emissione. Coerentemente alle analisi precedenti è stato evidenziato come i fattori di emissione fossero indipendenti dalla velocità media, mentre ci fosse una buona correlazione tra l’incremento delle variazioni di velocità e l’incremento dei fattori di emissione. Tali variazioni di velocità tenute dagli utenti sono funzione di alcuni parametri progettuali come la geometria del tracciato e il flusso interferente insistente sull’infrastruttura, ovvero nello scenario simulato. Nei modelli dinamici, l’aumento della complessità della geometria e del flusso interferente, incrementa i fattori di emissione in maniera esponenziale. Al contrario nei modelli statici tale fenomeno non viene evidenziato, confermando una diretta correlazione tra velocità ed emissioni. In particolare, nel range di velocità considerato (70 ‐130 km/h) i modelli statici evidenziano una riduzione dei fattori emissivi al diminuire della velocità. Infine il presente studio, mostra i limiti nel considerare la deviazione standard della velocità, come un indicatore sintetico del fenomeno emissivo. Infatti nonostante sia possibile evidenziare un trend di crescita del fattore di emissione con il valore di SD, non è possibile determinare una stretta correlazione statistica. (fenomeno in parte dovuto ad un numero limitato di scenari analizzati).
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Riferimenti Bibliografici
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Smita R., Ntziachristosb L. and Boultrec P. Validation of road vehicle and traffic emission models ‐ A review and meta‐analysis [Journal] // Atmospheric Enviroment. ‐ 2010.
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Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca Michela CORSI (MIUR, Roma) ‐ Alessandro PACELLA (CUEIM, Roma) –
Mario RUSCONI (ANP, Roma)
BREVE PRESENTAZIONE DEL CUEIM
Il CUEIM, Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale, è un’organizzazione senza finalità di lucro, fondata nel 1982, ed è costituita da ventidue atenei italiani e l’Universidad de Huelva (Spagna). Al CUEIM aderiscono altresì alcune importanti realtà del mondo imprenditoriale, quali CCIAA di Verona, Società Cattolica di Assicurazione, Banca di Verona Bcc, Banca Agrileasing, Cassa Rurale ed Artigiana dell’Agro Pontino, Osservatorio Permanente sul Franchising, Azienda U.L.S.S. 20 di Verona, ecc.…. Il CUEIM si pone, così, come ponte di collegamento tra le risorse di conoscenza universitarie e la domanda di know‐how proveniente da organizzazioni pubbliche e private: una realtà dinamica e fortemente radicata sul territorio grazie gli Atenei collegati, capace allo stesso tempo di spaziare in realtà e territori esterni al proprio network. La possibilità di accedere a risorse tecniche e umane altamente qualificate e specializzate permette al CUEIM di dare una risposta efficace e tempestiva ai propri interlocutori e di sviluppare un network aperto in cui collaborano mondo accademico, istituzioni e imprese pubbliche e private. Nella sua ormai trentennale storia, il CUEIM ha operato in vari ambiti di attività che possono essere tutti ricondotti ad un’unica filiera: produzione di conoscenza, ricerca, servizi, divulgazione scientifica e formazione. Le competenze sono maturate nel supporto alle Amministrazioni pubbliche per il governo dei processi di crescita locale, nei servizi alle imprese a sostegno delle strategie competitive, nell’allestimento di progetti formativi nel campo del management di impresa, nel settore della tutela ambientale e territoriale e non da ultimo nella educazione e prevenzione dei disvalori sociali. In questo contesto il CUEIM si conforma come un ente in grado di conciliare capacità tecnico‐scientifica con l’organizzazione e la gestione dei percorsi formativi di elevato profilo dedicati anche al personale delle Pubbliche Amministrazioni.
Dall’educazione alla conoscenza attraverso percorsi di ricerca
Educazione, Comunicazione e Prevenzione possono essere considerati i tre driver del cambiamento, inteso, in questo contesto, come processo di evoluzione e modifica dello stile di vita dei giovani. Il CUEIM, in qualità di partner scientifico di progetti di ricerca istituzionali, promossi dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e dal Dipartimento delle Politiche Antidroga sulle tematiche della prevenzione all’uso di sostanze psicotrope e dell’educazione stradale, ha avuto l’opportunità di fare sintesi e dare un approccio sistemico alle tre “azioni”. I progetti sviluppati hanno contribuito alla riduzione della mortalità giovanile derivante dagli incidenti stradali, infatti nel corso del 2011, come riportato nella relazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in occasione della quarta Giornata Europea della sicurezza Stradale, il numero dei morti si è ridotto a 3.280 a fronte dei 4.090 del 2010 e dei 4.237 dell’anno precedente. Altrettanto significativi sono stati i risultati nella diminuzione della criminalità, dei decessi e della riduzione nell’uso di sostanze stupefacenti: In tale quadro si stanno implementando gli sforzi volti alla sperimentazione di nuovi moduli e modelli dei citati “Driver”, prevedendo importanti sinergie con le altre istituzioni pubbliche e private coinvolte.
I percorsi di ricerca seguiti in ambito educativo hanno posto l’accento sulla sua dimensione sociale, evidenziando il nuovo ambito disciplinare denominato “Cittadinanza e Costituzione”, riconducibile all’educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva. In questo contesto l’educazione stradale è diventata attività significativa sia del diritto alla salute sia del rispetto
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delle norme e delle istituzioni ed ora svolge un ruolo significativo all’interno del Piano dell’Offerta Formativa di ogni istituto scolastico. In un’ottica sistemica l’educazione stradale precede, accompagna e segue anche ogni momento di formazione specifica alla guida dei veicoli. L’istituzione scolastica, nel coinvolgere tutti gli studenti nelle attività curriculari di educazione stradale nonché nei progetti scolastici, territoriali e/o nazionali specifici per le tematiche della sicurezza stradale, considera ora, nella classe terminale della secondaria di primo grado, l’opportunità di assolvere alle richieste del Decreto Legislativo 15 gennaio 2002, per il rilascio del Certificato di Idoneità alla Guida del ciclomotore. Gli studenti e le studentesse diventano attori nella ricerca di un linguaggio comune europeo sulla sicurezza stradale e assumono consapevolezza di poter essere il miglior tramite per costruire un’effettiva vicinanza del mondo giovanile all’Europa.
L’apparato metodologico utilizzato dal CUEIM ha previsto diversi livelli di apprendimento in grado di rispondere all’esigenza di attivare i canali cognitivi ed emotivi ed ha tenuto altresì conto delle risorse utili e disponibili; gli insegnanti di conseguenza si sono orientati all’interno di queste, ed hanno attuato gli itinerari più appropriati, secondo il ciclo scolastico, la classe, l’età, gli spazi e i tempi disponibili e quando è stato possibile, hanno fatto riferimento anche a quegli ausili esterni al mondo della Scuola, che si sono dimostrati funzionali e disponibili. Con i progetti sviluppati si è anche implementato un sistema di ricognizione di follow‐up delle attività, con particolare riguardo all’esplicitazione dei criteri di scelta e degli strumenti di valutazione; la valutazione e il monitoraggio sono stati considerati, infatti, come idonei strumenti per garantire non soltanto la bontà e la validità dei progetti attivati ma anche le potenzialità di funzionamento degli stessi e le ricadute comportamentali. Ogni tipo di intervento è stato ricondotto su metodi e procedure che hanno subìto il vaglio dell’indagine empirica e, quando è stato possibile, si è ancorato a precedenti esperienze di cui era stata dimostrata la validità. Per la stessa ragione è diventato cruciale attivare una modellizzazione dei criteri di valutazione per la misurazione dell’efficacia delle azioni proposte e attivare l’utilizzazione di opportuni strumenti di misura per costruire una base affinché ogni progetto/sperimentazione abbia potuto avere la possibilità di essere valido e ripetibile. Allo scopo, è stato anche realizzato un portale dove vengono raccolte tutte le buone pratiche in materia di educazione stradale realizzate dagli Istituti Scolastici. Questo materiale viene così reso disponibile ai docenti e agli studenti, in modo da diffondere il più possibile la cultura della sicurezza stradale. L’utilizzo, a questi fini, di un portale, testimonia l’importanza che le nuove tecnologie di comunicazione rivestono nella vita dei giovani. E’ necessario avvalersi di questi nuovi media per informare ancor più efficacemente gli studenti. E’ in questa logica che si introduce il Driver della Comunicazione. Diamo per scontato che i giovani in età adolescenziale trascorrono la maggior parte del loro tempo libero dinanzi al computer, alla televisione, ad ascoltare la radio e a navigare in Internet; ne consegue che per veicolare un messaggio che li raggiunga, occorrerà utilizzare la televisione, la navigazione in Internet ed il linguaggio musicale. Si è quindi introdotto un metodo nuovo e sperimentale di comunicazione che fosse rispondente alle attuali esigenze manifestate dall’utenza giovanile, anche in un’ottica di generale “prevenzione” dei fattori che provocano più frequentemente incidenti, quali ad esempio la guida in stato di ebbrezza ovvero sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Si è dimostrato che l’informazione veicolata con i moderni mezzi e strumenti di comunicazione deve essere coerente con le evidenze scientifiche e fornire informazioni riguardo ai rischi e ai danni dell’assunzione di droghe, puntando alla piena e responsabile consapevolezza che la propria salute è importante. Sono, quindi, punti fondamentali l’esclusione di forme
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comunicative di divieto, per la strategia di comunicazione e la promozione di una scelta razionale ed intelligente di non consumo. Il modello concettuale cui fare riferimento per la strutturazione e, soprattutto, per la differenziazione delle offerte di comunicazione è quello della vulnerabilità. Gli studi dimostrano che esiste una fascia di giovani particolarmente esposti allo sviluppo di dipendenza, nel momento in cui entrano in contatto con le sostanze stupefacenti. E’ necessario, quindi, proporre un’offerta differenziata di prodotti comunicativi per rispondere ai bisogni di target di popolazione giovanile differenziati, cui è necessario adeguare i messaggi e le modalità di comunicazione. Oltre a questi livelli delle campagne di comunicazione/educazione e di promozione sociale di stili di vita sani rivolti alla comunità, è stato necessario prevedere un ulteriore livello di interventi locali basati su attività educative e formative sulla “prevenzione” (terzo Driver del cambiamento) a favore dei giovani e dei genitori. E’ così che si è coinvolto un terzo livello rappresentato dalle amministrazioni pubbliche competenti della salute (Ministero della Salute, Regioni, ASL, …) e del benessere sociale dei cittadini. Ciò si è reso necessario affinché si potesse esplicitare un messaggio comune e condiviso nella lotta contro i “comportamenti errati”, creando una vera e propria “community”. Questi tre driver di intervento (educazione/comunicazione/prevenzione), strumenti virtuosi della cultural community anti discomportamenti, dovranno essere, nell’immediato futuro, perfettamente integrati nei formati e nei contenuti di progetto, oltre che sincroni nei tempi di realizzazione. I PROGETTI REALIZZATI DAL CUEIM A) EDUCAZIONE
Progetto “Educazione stradale – linee guida” ‐ Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca I dati mostrano chiaramente l’importanza di procedere verso un’integrazione delle iniziative di sensibilizzazione da condurre direttamente presso la scuola per favorire un uso più sicuro e responsabile dei veicoli, siano essi a due o a quattro ruote. Quella della sicurezza nelle strade è diventato infatti un vero e proprio obiettivo culturale della nostra società per il cui raggiungimento la scuola è chiamata a svolgere una delle funzioni più importanti, non tanto per gli insegnamenti legati all’uso dei veicoli o delle norme tecniche del Codice della Strada, quanto sotto il profilo dell’educazione alla sicurezza. I risultati dell’indagine mostrano infatti che i giovani hanno bisogno di far crescere nella scuola un proprio bagaglio culturale e di conoscenza nel campo della sicurezza e della prevenzione stradale. Devono ad esempio saperne di più a proposito di comportamenti scorretti che sono causa di incidenti e delle conseguenze sulla guida in caso di consumo di alcool e sostanze stupefacenti, senza dimenticare la conoscenza e la gestione di situazioni particolari, anomale o pericolose, e che di cosa fare in caso di guasto o incidente. Le attività di ricerca hanno permesso la produzione di diversi output: Annale MIUR riportante le linee guida didattiche e comunicazionali per la promozione e diffusione della sicurezza stradale nelle scuole di ogni ordine e grado, a partire da un’analisi delle modifiche introdotte dal Nuovo Codice della Strada. I destinatari delle linee guida sono stati gli Uffici Scolastici Regionali ai quali è demandato il compito di fornire gli indirizzi di intervento alle scuole ricadenti nei territori di competenza; Elaborato riportante schemi tipo, di corsi di formazione e aggiornamento professionale per docenti e di altre possibili iniziative/prodotti a sfondo comunicazionale per la promozione e la diffusione della sicurezza stradale, da prevedersi nelle scuole di ogni ordine e grado; Predisposizione di indicatori e di una metodologia per la valutazione dei risultati delle azioni didattico comunicazionali e per la loro successiva comunicazione a Ministero/Regione.
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Dai recentissimi dati della rilevazione sul tasso di incidentalità, si rileva che il numero di soggetti coinvolti con età minore di 15 anni è notevolmente aumentato. Questi dati confermano che si sta progressivamente abbassando l’età dei “motonauti”. Essi hanno fatto ritenere indispensabile un’azione di comunicazione preventiva sempre più capillare ed efficace, per fronteggiare questo preoccupante fenomeno. I genitori svolgono la funzione di influenzatori o meglio di dissuasori di una guida inconsapevole. Anche i docenti delle scuole elementari e medie fungono da influenzatori per i bambini, gli adolescenti e i giovani. Essi hanno rappresentato i destinatari naturali del progetto in quanto, al pari dei genitori, assumono ‐ o meglio dovrebbero assumere ‐ il ruolo di opinion leader, in grado di esercitare un impatto rilevante sulle scelte dei bambini, degli adolescenti e dei giovani.
Il progetto ha tenuto conto anche del significativo cambiamento nel trend della popolazione giovanile. I dati della citata rilevazione sull’incidentalità, mostrano una diminuzione dell’attenzione da parte dei giovani e giovanissimi all’uso consapevole del mezzo di trasporto. Valutazione dei risultati delle esperienze Le attività di studio e ricerca del progetto hanno consentito anche la messa a punto di indicatori e di una metodologia che porta a valutare i risultati delle azioni didattico comunicazionali rispetto agli obiettivi di informazione formazione sensibilizzazione. Fasi operative Il progetto ha seguito le seguenti fasi: 1. indagine presso gli uffici del Ministero dell’Istruzione per l’individuazione, classificazione
ed analisi dei contenti relativamente al materiale ivi disponibile sul tema della sicurezza stradale;
2. ricognizione delle attività svolte e in programmazione a cura degli uffici scolastici regionali sul tema della sicurezza stradale. Ricognizione delle iniziative ritenuti meritevoli. Raccolta e valutazione di riflessioni, considerazioni e proposte di intervento da parte degli stessi uffici;
3. assistenza al confronto con altri ministeri, enti e organizzazioni/istituzioni/associazioni impegnate sul tema della sicurezza stradale, aventi rapporti stabili con il Ministero dell’Istruzione, allo scopo di recepire indicazioni e suggerimenti oltre che analizzare attività e progetti in fase di sviluppo o in programma a cura degli enti medesimi;
4. elaborazione di una prima versione degli output da sottoporre al Comitato Tecnico Scientifico e al Gruppo di Consulenza, quest’ultimo formato da esperti a disposizione del Ministero dell’Istruzione;
5. discussione degli output con Ministero, uffici scolastici regionali ed altri enti; 6. elaborazione della versione finale delle linee guida e degli altri output previsti dal
progetto. Multimedia e ricerca scientifica applicata all’educazione e alla prevenzione: Wireless Il protocollo Wireless lavora nelle frequenze libere di 2,45 GHz, ed ha una velocità di trasferimento dati di fino a 3 Mb/s. La rete per la navigazione WEB è garantita senza alcun collegamento esterno. Il servizio Wireless è stato installato nell’Info Point dello stadio Olimpico, ed è restato attivo dal giorno 20/10/2011 fino alla fine del campionato e non ha mai causato interferenze con gli altri sistemi elettronici in uso presso lo stadio ed in particolare alcuna influenza è stata rilevata sul controllo “tornelli” di accesso.
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Onde evitare qualsiasi imprevisto, l’installazione dell’Hardware all’interno dell’ Info Point dello stadio San Siro è avvenuta solo successivamente a tutte le prove tecniche che gli incaricati alla sicurezza hanno ritenuto opportuno fare. Contenuto del messaggio inviato dall’ Info Point Sequenza 1
Sequenza 2
B) COMUNICAZIONE Progetto “Communication” ‐ Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento politiche antidroga Il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’ambito delle linee strategiche di prevenzione, con questo progetto ha voluto effettuare una ricerca per la definizione di prodotti comunicazionali di prevenzione per i giovani finalizzati a diffondere l’importanza di uno stile di vita sano e lontano dai pericoli delle droghe. Gli studenti, in questo contesto, sono anche parte attiva inviando al Dipartimento slogan e idee grafiche per partecipare ad una selezione finalizzata alla diffusione nelle scuole, nelle associazioni sportive e di volontariato, negli oratori e negli altri luoghi di aggregazione giovanile dei migliori prodotti realizzati. Tutti i materiali inviati dalle scuole saranno conservati, sistematicamente catalogati e trattenuti presso il Dipartimento Politiche Antidroga unitamente a tutto il resto del materiale pervenuto in questi anni. Tali materiali saranno inoltre archiviati sul sito web dedicato al progetto dove sarà possibile consultarli, scaricarli ed eventualmente votarli gratuitamente esclusivamente per utilizzo no profit. C) PREVENZIONE Progetti: “Survey” e “La Strada per una guida sicura” ‐ Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento politiche antidroga Una azione di particolare rilievo è stata anche la “Student Population Survey”, infatti, i questionari dell’Osservatorio Europeo sulle droghe ‐ EMCDDA (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction) nell’ambito dei questionari strutturati sottoposti alle Regioni riserva, per le aree di “Prevenzione universale dell’uso di sostanze psicoattive a livello di comunità locale” e “Prevenzione selettiva e mirata”, una sezione dedicata alle campagne informative attivate sull’uso di sostanze lecite ed illecite nell’anno di riferimento (2010). Dagli studi effettuati è risultato che lo strumento di comunicazione più adottato è quello del depliant (27%) seguito da “altro” che nella maggior parte dei casi è stato indicato con rappresentazioni artistiche sotto le più varie forme (eventi musicali,teatrali); poco usate le riviste con solo il 4%. I dati relativi alle prevalenze dei consumi di sostanze psicoattive, legali ed illegali, nella popolazione studentesca nazionale 15‐19 anni, sono stati estratti dallo studio SPS Italia (Student Population Survey), condotto su un campione di studenti nel primo semestre 2011 dal Dipartimento per le Politiche Antidroga in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione,
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dell’Università e della Ricerca e con il supporto tecnico‐scientifico dell’Università degli Studi Tor Vergata di Roma; nella fase di realizzazione dello studio sono stati coinvolti anche i Referenti Regionali per l’Educazione alla Salute. I risultati preliminari dello studio, relativi a complessivi 35.048 questionari compilati alla data del 17 Maggio 2011 mostrano l’andamento dei consumi di sostanze stupefacenti e riferiti a studenti di età 15‐19 anni nel 2011 e confermano la tendenza alla contrazione generale dei consumi già osservata nel 2010 per tutte le sostanze illecite. La poliassunzione di sostanze psicoattive legali ed illegali, invece, caratterizza e definisce lo stile di consumo prevalente sempre più diffuso tra soggetti più giovani. Il 18,2% degli studenti riferisce di aver consumato cannabis nell’ultimo anno, tra questi, il 76,3% ha fumato almeno una sigaretta al giorno, il 10,5% ha usato cocaina e il 2,8% eroina. Degli studenti intervistati il 2,1% ha riferito l’uso di cocaina negli ultimi dodici mesi. Tra i consumatori di cocaina, l’86,8% riferisce di fumare quotidianamente sigarette, il 90% ha fatto uso anche di cannabis e il 22,4% di eroina. Il progetto “La strada per una guida sicura” ha previsto la raccolta di materiale di prevenzione contro la guida in stato dʹebbrezza e sotto lʹeffetto di sostanze stupefacenti esistente presso tutte le scuole secondarie di primo e secondo grado e le Aziende Sanitarie Locali, presenti su tutto il territorio nazionale, nonché lo studio e la produzione di uno spot, di un video didattico e di alcune schede tecniche da distribuire presso le scuole e le scuole guida.
Obiettivi del progetto
ʺLa Strada per una Guida Sicuraʺ (SGS) è stato un progetto che ha previsto la collaborazione con il Ministero dei Trasporti, il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, il Ministero dellʹInterno, il Ministero dellʹIstruzione, dellʹUniversità e della Ricerca. L’assunzione di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol costituiscono per molti giovani, specialmente nei week‐end, un problema gravissimo per la propria incolumità e per quella altrui, poiché rendono gli stessi incapaci di controllare le proprie azioni. In queste situazioni la vita sulle strade è gravemente minacciata e guidare una moto o unʹauto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o alcol è un atto incosciente che spesso diventa tragico. Col progetto si è ritenuto stimolare gli studenti a produrre messaggi di comunicazione sociale efficaci in grado di sensibilizzare gli stessi sul tema. Inoltre, si è ritenuto opportuno coinvolgere anche le strutture sanitarie locali che si occupano quotidianamente degli effetti che alcol e droga hanno sulla guida. L’obiettivo principale del Progetto SGS è, quindi, quello di sensibilizzare i giovani sull’importanza di una guida sicura e offrire loro, attraverso la realizzazione di uno specifico spot video, un’ulteriore opportunità di riflessione sulle tematiche inerenti la sicurezza stradale, sulle misure da adottare per scongiurare i pericoli legati alla guida sotto lʹuso di sostanze stupefacenti e prevenire le stragi del ʺsabato seraʺ. Il Progetto ha voluto il coinvolgimento dei giovani, in qualità di protagonisti, nella produzione del materiale informativo (video, immagini, testi) sulla prevenzione dall’uso di sostanze correlato alla guida.
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RIASSUNTI POSTERS
La propensione dei conducenti verso l’utilizzo dei sistemi informativi e di telecomunicazione per il miglioramento della sicurezza stradale
Angelo Stephen CARDAMONE, Laura EBOLI, Gabriella MAZZULLA (Università della Calabria)
Nota: il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto PON01_01541 “M2M‐Mobile to Mobility, Sistemi informativi e di telecomunicazione per la sicurezza stradale”, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. I soggetti partner del progetto sono: UNICAL (Università degli Studi della Calabria), FGA (FIAT Group Automobiles S.p.A.), Gruppo NEOS Sistemi (soluzioni informatiche per i processi e di tecnologie per le comunicazioni), IGOP (Istituto Giuridico Opere Pubbliche).
1. Introduzione Il progetto si propone la sistematizzazione di processi di infomobilità orientati al miglioramento ed alla gestione della sicurezza stradale, mediante la progettazione, realizzazione, sperimentazione e validazione di prototipi industriali e applicativi informatici finalizzati alla propagazione diffusa di informazioni agli utenti della strada per ridurre i rischi e gli impatti connessi alla mobilità. In particolare, il progetto prevede la realizzazione di un software per personal device (basato sull’impiego di smartphone) utilizzabile su ogni tipo di veicolo stradale e da pedoni, capace di acquisire anche in automatico informazioni cinematiche e prestazionali del veicolo nonché, attraverso il comportamento attivo dell’utente, informazioni relative alle caratteristiche funzionali dell’infrastruttura stradale e del traffico. L’interazione tra utente e sistema informativo avviene tramite la piattaforma web M2M. M2M si pone l’obiettivo di lenire i pericoli e i disagi che provengono dalle anomalie e dai difetti realizzativi delle strutture viarie e dalla loro insufficiente o inadeguata manutenzione; il sistema considera, inoltre, elementi di disturbo direttamente prodotti dai comportamenti di guida dell’utente o ad essi conseguenti (es. presenza di ostacoli accidentali, presenza di incidente stradale). In definitiva, il sistema M2M fornisce uno strumento per migliorare le condizioni di sicurezza stradale rendendo sia la piattaforma che l’utente fonti e destinazioni delle informazioni utili per una guida più sicura e responsabile. L’idea di fondo del progetto, quindi, consiste nel coinvolgere l’utente quale soggetto attivo dell’azione di monitoraggio oltre che come fruitore dei servizi di infomobilità. In questo modo, attraverso l’impiego di dispositivi con possibilità di connessione web, l’utente, oltre ad essere informato, può aggiornare gli altri utenti sulla qualità del servizio e sulle disfunzioni dello stesso. La base del funzionamento del sistema è dunque l’interazione tra utente, possessore ed utilizzatore di idoneo dispositivo, e piattaforma. Lo scopo del lavoro presentato è analizzare dati legati alle caratteristiche e alle aspettative dei conducenti delle autovetture, possibili fruitori del sistema M2M, per programmare le strategie da adottare, i tempi ed i modi per l’interazione utente‐piattaforma, gli elementi da tenere in maggior conto, sulla scorta delle potenzialità che tale strumento possiede.
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Il primo passo è stato, dunque, conoscere le potenzialità dell’utente ad interagire con la piattaforma e la sua propensione a partecipare al sistema. Questa finalità è stata conseguita tramite la progettazione e la realizzazione di una indagine campionaria brevemente descritta nel seguito. 2. L’indagine campionaria L’indagine campionaria è stata condotta su un campione di 516 utenti intervistati in prossimità delle aree di sosta di due poli commerciali dell’area urbana di Cosenza. Le interviste, del tipo “face to face”, sono state eseguite nel periodo compreso tra marzo e maggio 2012, e sono state somministrate a un campione casuale di utenti, secondo la tecnica non probabilistica di tipo accidentale. Tale tecnica si basa sulla consecutività casuale delle unità statistiche da rilevare, ossia, a un’intervista se ne fa seguire un’altra rivolta a un individuo successivo che rappresenta il primo utente disponibile, senza alcun criterio definito. Lo schema del questionario è composto da 5 sezioni concernenti rispettivamente le caratteristiche socio‐economiche dell’utente (Sezione A), i suoi comportamenti di guida (Sezione B), le sue esperienze di guida (Sezione C), l’utilizzo di dispositivi con possibilità di connessione web (Sezione D), la sua disponibilità a ricevere ed a fornire informazioni mediante sistema informatico (Sezione E). 3. I risultati dell’indagine Nel presente lavoro si focalizza l’attenzione sull’analisi dei dati relativi all’utilizzo di dispositivi con possibilità di connessione web e alla disponibilità a ricevere/ fornire informazioni mediante la piattaforma M2M. I risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati hanno fornito percentuali del 43% di possessori di dispositivi con possibilità di connessione web. Le percentuali dei sistemi operativi in uso ai dispositivi posseduti dagli intervistati indicano un massimo del 42% per il sistema Android, e il 20% di diffusione del sistema Symbian. Le uniche opzioni tariffarie in commercio sono quelle a consumo (con costo legato alla durata del tempo di connessione web) e flat (costo fisso, prevalentemente mensile, indipendente dal tempo di utilizzazione della connessione web). Le interviste effettuate hanno mostrato una diffusione del 64% della tariffa a consumo contro il 36% di quella flat. Il 64% degli utenti in possesso di dispositivo idoneo ha dichiarato di utilizzare i software applicativi sempre (24%) e spesso (40%). Altro requisito fondamentale per il successo del sistema M2M è l’individuazione dell’utente tramite GPS. Si è reso necessario conoscere la percentuale di dispositivi che avessero in dotazione un GPS integrato e, nel caso, la frequenza d’uso dello stesso da parte dell’utente. I risultati dell’indagine mostrano una percentuale pari all’82% di possesso del sistema GPS integrato, che però non viene mai usato dal 33% dei potenziali fruitori. Ciò è dovuto essenzialmente alla difficoltà di connessione per l’uso del GPS e al consumo notevole di energia (batteria) di cui tale collegamento necessita. Sostanziale è la conoscenza dell’atteggiamento che l’utente assume nei confronti del sistema M2M, sia per ricevere informazioni dalla piattaforma sia per fornirle tramite essa agli altri utenti. A tal fine, si è testato l’approccio degli intervistati verso il sistema in termini generali e in ambiti relativi ad alcuni eventi critici. Le domande agli intervistati sono state poste considerando cinque livelli sia di gradimento nell’ottenere informazioni sia di disponibilità a
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fornirle: molto basso, basso, medio, alto, molto alto. Inoltre, si sono voluti conoscere i momenti e le modalità che l’utente preferisce sia per la ricezione sia per la trasmissione di dati relativi ad eventuali criticità presenti lungo il tragitto. Gli utenti hanno espresso livelli di gradimento sostanzialmente “molto alto” e “alto” a ricevere informazioni dalla piattaforma circa la presenza di eventuali elementi di pericolo. Il giudizio complessivo sul sistema M2M registra un livello molto alto di gradimento di oltre metà dei pareri (55%). Gli eventi che gli intervistati ritengono più gravi e per i quali gradirebbero essere informati sono, nell’ordine, la presenza di incidente stradale (livello “molto alto” pari all’80% ed “alto” al 17%), la pavimentazione stradale inadeguata (livello “molto alto” per il 67% degli intervistati ed “alto” per il 19% di essi), la presenza di ostacoli accidentali (il 66% esprime un gradimento “molto alto” ed il 12% un livello “alto”), la presenza di cantieri stradali segnalati in maniera inadeguata (registra un livello “molto alto” per il 61% e del 25% un livello “alto”). Gli altri eventi si attestano per valori di gradimento molto alto al di sotto del 50% e superano tale soglia se esso viene sommato al livello di gradimento alto. La criticità per la quale è meno gradita la ricezione di informazioni da parte degli utenti è quella della presenza di ostacoli dovuti all’arredo urbano (livello “molto alto” nel 38% dei casi e per il 20% a livello “alto”). Per quanto riguarda le disponibilità espresse dagli intervistati a trasmettere informazioni sui medesimi fattori di rischio per i quali erano stati chiamati a esprimere il proprio gradimento a riceverle, i quattro eventi che hanno ricevuto maggiori adesioni sono gli stessi di quelli espressi per il gradimento nel riceverle. In particolare, l’incidente automobilistico ha segnato valori percentuali di disponibilità quasi identici a quelli di gradimento (livello “molto alto” pari al 78% ed “alto” al 17%), lo stesso vale per la presenza di ostacolo accidentale (il 63% esprime un livello di disponibilità “molto alto” ed il 12% un livello “alto”). La disponibilità ad avvisare della presenza di cantieri segnalati inadeguatamente risulta maggiore di quella della pavimentazione stradale degradata (riporta un livello “molto alto” per il 56% e per il 24% quello “alto”): per quest’ultima criticità si riduce sensibilmente il livello molto alto (52% di disponibilità a fornire informazioni contro il precedente 67% di gradimento a ricevere le informazioni) e aumenta di qualche punto percentuale il livello “alto” (24% di disponibilità a fornire informazioni a fronte del 19% di gradimento a ricevere le informazioni). Gli altri eventi ottengono valori inferiori al 50% del livello “molto alto” di disponibilità a dare informazioni; si supera il 50% solo se si somma anche il livello “alto” di disponibilità. Ancora una volta, la criticità per la quale si è meno disposti a trasmettere informazioni alla piattaforma è la presenza di ostacoli dovuti all’arredo urbano (disponibilità molto alta per il 34% degli utenti ed alta per il 19% di essi). Il confronto tra i valori percentuali indica come gli utenti siano più propensi, per tutti i casi critici loro sottoposti, a ricevere informazioni piuttosto che a fornirle. Gli unici eventi dove risulta minima la differenza tra il ricevere e il dare informazioni sono rappresentati dagli incidenti stradali, dalla presenza di ostacoli accidentali e, marginalmente, dalla presenza di cantieri stradali segnalati inadeguatamente. Inoltre, agli utenti è stato chiesto di fornire una graduatoria delle alternative proposte tra diversi momenti per ricevere e per trasmettere le informazioni, e differenti modalità per ottenerle o inviarle. L’ordine di preferenza dei momenti per ricevere in sicurezza informazioni
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dalla piattaforma è stato “prima di intraprendere il viaggio” (49%), “in tempo reale” (27%) e “immediatamente prima” (24%). I momenti ritenuti più idonei alla trasmissione delle informazioni alla piattaforma, sempre in condizioni di sicurezza, sono stati nell’ordine: “immediatamente dopo” (61%), “in tempo reale” (26%) ed “alla fine del viaggio” (13%). La classifica delle tre diverse modalità di ricezione delle informazioni dalla piattaforma ha visto una lieve preferenza del “messaggio vocale” (45%) rispetto all’alternativa rappresentata dal “messaggio visivo‐sonoro” (44%), mentre il “messaggio visivo” ha avuto scarso apprezzamento rispetto agli altri due (11%). La motivazione che gli utenti hanno addotto per tali scelte è stata che la più immediata e più sicura modalità di ricezione è quella sonora, associata al messaggio visivo che può essere visionato anche successivamente al suo arrivo. Il solo messaggio visivo è invece considerato poco rispondente ai requisiti di immediata acquisizione delle informazioni ai fini del rispetto delle condizioni di sicurezza stradale, essendo tale modalità una possibile fonte di distrazione dalla guida e, di conseguenza, eventuale causa di incidenti. La modalità vocale è preferita anche per trasmettere informazioni alla piattaforma (77%), rispetto all’alternativa di comunicare interattivamente con essa mediante la tastiera del dispositivo con possibilità di connessione web (23%). Si è poi chiesto all’utente se fosse disponibile a fotografare uno degli eventi critici già sottoposti alla sua attenzione nelle domande precedenti e, nel caso di risposta affermativa, la scelta di ritrarne uno o più e di inviarne l’immagine alla piattaforma. A tale quesito ha risposto positivamente il 54% degli intervistati, e le foto da essi inviate riguarderebbero innanzitutto gli incidenti stradali (19%) e le altre criticità che già in precedenza erano state maggiormente avvertite dagli utenti sia in termini di gradimento che di disponibilità. Gli eventi meno fotografati riguarderebbero ancora gli ostacoli da arredo urbano, stavolta affiancato dalla inadeguatezza dei margini stradali. In entrambi i casi si arriva a una scelta del 7%. Dall’analisi dei dati relativi alle caratteristiche socio‐economiche degli intervistati, risulta una maggiore concentrazione della fascia d’età compresa tra i 26 ed i 44 anni (44%) con intervistati che sono quasi equamente ripartiti tra maschi (55%) e femmine (45%). Gli occupati rappresentano poco più della metà degli intervistati (58%) con predominanza del settore impiegatizio pubblico, privato e del terziario, come indica anche la condizione occupazionale. Il 24% circa degli intervistati è costituito da studenti universitari, il restante 18% è composto da casalinghe, disoccupati, inoccupati e pensionati. I redditi dichiarati non superano i 3.000 euro mensili netti per l’85% dei casi visionati. 4. Conclusioni Gli utenti intervistati hanno espresso il loro compiacimento nell’apprendere dell’iniziativa legata al sistema M2M e si sono detti favorevoli all’uso di un tale strumento purché la sua efficacia sia reale e gli interventi di coloro che sono preposti a ripristinare o promuovere le condizioni di sicurezza stradale siano perentori e sostanziali, sia per fronteggiare e risolvere i problemi di carenza strutturale delle strade che per rimuovere le cause improvvise che possano creare elemento di disturbo o pericolo ad una circolazione stradale sicura.
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GREENWAY: un metodo per la progettazione sostenibile di una strada Fulvio SOCCODATO (ANAS, Roma) ‐ Mauro DI PRETE, Valerio VERALDI
(I.R.I.D.E. ‐ ROMA)
Introduzione
<<Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni>> (Brundtland 1983). Da circa trenta anni sono state gettate le basi per la definizione di uno sviluppo sostenibile, volto alla ricerca del punto di “ottimo” capace di bilanciare le interazioni tra i campi sociali, economici ed ambientali. Se tale concetto appare ormai radicato nei criteri economici appare un concetto ancora poco sviluppato nella sua interezza per quanto riguarda l’ingegneria civile, in generale, e nello specifico alle infrastrutture viarie. Infatti se le attività connesse all’istituzione del Ministero dell’Ambiente hanno portato ad una chiara declinazione della disciplina dell’impatto ambientale, la valutazione della sostenibilità ambientale di un opera non ha ancora trovato chiara evidenza. In campo normativo non sono state date reali indicazioni e nella pratica applicazione ancora non si è riusciti, per lo più, a superare l’ostacolo delle valutazioni ambientali “ex‐post”. In altre parole occorre elevare il livello di progettazione e in tal modo si potrà più correttamente interpretare sia la VIA con una chiave più moderna ed efficace (progettazione integrata) sia approcciare al tema più ampio della sostenibilità. Una progettazione più attenta agli aspetti ambientali non solo nelle implicazioni che ne derivano (impatti) ma anche e soprattutto nelle scelte da svolgere a monte nella definizione degli obiettivi, potrebbe consentire di superare l’attuale processo che sempre più imposta il tema “ambiente” in modo “duale” confrontando gli impatti tra opera e ambiente, valutandone interazioni ed effetti e proponendo – al più ‐ eventuali sistemi di mitigazione. Appare pertanto evidente come in tale processo si evidenzi unicamente la logica della “negatività” dell’opera rispetto ad un contesto territoriale visto quale unico aspetto da salvaguardare e/o perseguire.
Figura 1‐1 Processo di valutazione degli impatti
Pur riconoscendo l’imprescindibilità della procedura di VIA, la valutazione della sostenibilità dell’opera si pone obiettivi ancor più ambiziosi, valutando campi generalmente più ampi rispetto alla compatibilità ambientale, passando dalla logica degli impatti alla logica dell’equilibrio, volto alla ricerca delle condizioni ottimali in cui possano coesistere gli interessi ambientali, sociali ed economici, perseguendo i principi della sostenibilità precedentemente espressi.
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Figura 1‐2 Processo di analisi della sostenibilità
In questo modo è possibile superare le logiche degli impatti proposti dalla VIA, spostando l’analisi ad un livello superiore, in grado di comprendere altri campi di analisi, estendendo così i processi ai sistemi di positività dell’intervento. Tale impostazione, necessita pertanto, di una modifica delle logiche progettuali tradizionali, (in cui la valutazione ambientale veniva a valle della progettazione), spostando i processi di analisi di sostenibilità a monte, integrandoli nei processi di progettazione. L’infrastruttura può subire un processo di miglioramento “iterativo” che investe tutti i campi di analisi, diventando così “motore” di sviluppo economico per il territorio, fornendo elementi di sviluppo e/o recupero sociale al contesto antropico e al contempo garantendo il perseguimento dei principi di conservazione e del corretto sfruttamento delle risorse naturali. Tale possibilità tuttavia non è una prerogativa intrinseca di ogni infrastruttura o opera che si intende realizzare. Occorre pertanto dotarsi di specifici strumenti che siano in grado di valutare la reale capacità di un’opera di essere sostenibile rispetto al contesto in cui si va ad inserire. Le presenti note vogliono fornire un contributo in tal senso riportando alcuni spunti di un più ampio lavoro di studio e ricerca che gli autori stanno sviluppando in questo periodo. In particolare si riportano i principi generali dai quali ci si è mossi per la valutazione della sostenibilità di un’opera infrastrutturale proponendo una metodologia applicativa per la quantificazione di indicatori numerici in grado di analizzare i diversi aspetti della sostenibilità in maniera sistemica e al tempo stesso in grado di fornire una valutazione quantitativa degli indicatori stessi. La metodologia consente, pertanto, di valutare numericamente i singoli indicatori, garantendo i principi di oggettività e ripetibilità della misura stessa, aspetti imprescindibili di un’analisi scientifica, al fine di poter valutare i livelli di sostenibilità dell’opera. Questo garantisce una duplice possibilità di utilizzo della metodologia stessa, da un lato, infatti, può essere utilizzato quale strumento comparativo in un processo di scelta delle alternative, affiancando le comuni metodologie di analisi multicriteri, dall’altro tale strumento, può essere utilizzato dai progettisti per valutare la bontà e la correttezza degli assunti fatti in sede progettuale, permettendo eventuali correzioni in corso di progettazione, completando così il processo iterativo della parte strettamente tecnica (parametri progettuali quali raggi di curvatura, pendenze delle livellette, visibilità ecc) e ampliando l’iter alla sostenibilità. Questo secondo aspetto permette di effettuare il salto logico precedentemente esposto, spostando i
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processi di valutazione ambientali (e non solo) da meri strumenti di valutazione a più utili strumenti di supporto per una corretta progettazione infrastrutturale, volta non solo alla ricerca della correttezza tecnica, ma anche al raggiungimento della sostenibilità, sociale economica ed ambientale.
Lo stato dell’arte
Come precedentemente accennato, nel contesto internazionale, i concetti di sostenibilità sono stati introdotti per la prima volta attraverso il rapporto Brundtland (Brundtland 1983), ricercando un equilibrio tra sviluppo economico e qualità della vita attraverso il corretto sfruttamento delle risorse naturali. In campo nazionale si deve attendere quasi un ventennio prima di riuscire a definire i principi base delle politiche per lo sviluppo sostenibile (Delibera CIPE n.57 02.08.2002), in cui tuttavia, si identifica la VIA quale unico strumento di riferimento per il raggiungimento e la valutazione della sostenibilità delle singole opere. Tuttavia a tale proposito, nel precedente paragrafo, sono stati esposti i limiti che presenta la Valutazione di Impatto rispetto ad una valutazione di sostenibilità globale volta alla valutazione globale dell’intervento. Negli anni compresi tra il 2006 e il 2008 si assiste alla riforma del “codice dell’ambiente” invitando ad adottare strumenti di lavoro volti alla sostenibilità. Relativo a tale periodo è l’introduzione nella legislazione nazionale il principio di sviluppo sostenibile (D.lgs.n.4 2008), volto a garantire e valutare la capacità degli ambienti naturali e degli ecosistemi di rigenerarsi e mantenersi a seguito delle attività di sviluppo antropico realizzate nel territorio stesso, garantendo un’equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica. Più in generale è possibile definire attraverso l’emanazione dei tre Decreti Legislativi (D.lgs. n.152 2006) (D.lgs.n.4 2008) (D.lgs. n.128 2010) un nuovo assetto dell’ordinamento italiano in materia di ambiente volto alla definizione di strategie, politiche e valutazioni integrate sul tema ambiente, che pur riconoscendo la necessità di fare riferimento a logiche di sinergia in termini di autorizzazioni e valutazioni, delega comunque al processo di VIA tale compito. Appare necessario, anche a seguito del nuovo Regolamento delle opere pubbliche (DPR 207 2010), di fornire alla Valutazione Ambientale un ruolo più propositivo, più progettuale e più condiviso a seguito di una reale integrazione tra esigenze di tutela ambientale e progettazione delle opere ispirandosi a principi più evoluti di tutela ambientale legati ai principi di sostenibilità. Attualmente, nel panorama nazionale ed internazionale, non sono molte le guide che definiscono in maniera quantitativa la sostenibilità dell’intervento progettuale infrastrutturale. Quanto attualmente presente, fa riferimento a guide che forniscono indicatori volti alla valutazione della sostenibilità di piani valutando l’insieme delle opere senza fornire valutazioni in termini progettuali. A tale tipologia appartiene il metodo americano sviluppata dall’EPA (Enviromental Protection Agency 2011) che definisce misure di performance attraverso una serie di indicatori esemplificativi e fornisce delle valutazioni relative agli obiettivi e i risultati raggiunti dai piani in termini di sostenibilità. La metodologia sviluppata è volta a definire un metodo di valutazione della sostenibilità attraverso un processo analogo al precedente, definendo cioè una matrice di indicatori volti a valutare la sostenibilità, con specifico riferimento però alle opere infrastrutturali stradali.
La metodologia
Relazionandosi ai principali riferimenti, in ambito nazionale ed internazionale, rispetto ai temi della sostenibilità (Commissione europea 1998) (Aalborg+10 Ispirare il futuro 2004) è stato
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possibile definire alcuni “Macro Obiettivi” di sostenibilità. Tali Macro obiettivi definiscono la struttura generale della metodologia (cfr bibbliografia), individuando la linea generale degli obiettivi specifici e degli indicatori e fornendo un utile strumento di sintesi dei principi di sostenibilità contenuti nei diversi documenti presenti in letteratura. In altre parole consentono di definire i temi con cui l’analisi deve rapportarsi costruendo una serie di indicatori ai quali riferirsi per un calcolo numerico.
Figura 3‐1 Definizione dell'iter metodologico
Gli indicatori individuati sono strutturati in maniera tale da poter valutare due aspetti principali connessi alla realizzazione dell’opera. Da un lato infatti vengono calcolate le grandezze relative al dato progettuale (Qp) o alla possibilità di ottimizzazione progettuale di tale dato rispetto allo standard normativo o di prassi (Qp0), viene così definita la domanda richiesta dalla realizzazione dell’opera, dall’altro vengono calcolati le grandezze di riferimento (Qr) generalmente rapportate a valori legati agli aspetti territoriali, siano essi economici, sociali o ambientali. Viene pertanto definita l’offerta disponibile nel dato territorio. La quantificazione numerica dell’indicatore viene data dal rapporto tra la quantità di progetto (eventualmente calcolata al netto della quantità di progetto ottimizzata) e la quantità di riferimento. In termini numerici, tale quantificazione può essere compresa tra 0, nel caso di progetto insostenibile, e 1 in caso di progetto sostenibile, o meglio il valore tendenziale a cui deve mirare l’indicatore al fine di raggiungere appieno l’obiettivo di sostenibilità a cui fa riferimento.
Macro Obiettivo Obiettivo Specifico Indicatore Valore dell’indicatore
Obiettivo Specifico 1.1
Indicatore 1.1.1 0.8
Indicatore 1.2.1 0.4
Macro Obiettivo 1
Obiettivo Specifico 1.2 Indicatore 1.2.2 0.1
Macro Obiettivo 2 Obiettivo Specifico 2.1
Indicatore 2.1.1 0.8
Macro Obiettivo n-esimo Obiettivo Specifico n,j
Indicatore n,j,k 0.9
Tabella 3‐1 Esemplificazione della matrice di calcolo
In questo modo è possibile pertanto definire una matrice attraverso la quale è possibile valutare in maniera immediata i punti di forza e le criticità rispetto del progetto in essere, definire delle soglie di accettazione di raggiungimento degli obiettivi, permettendo così azioni di taratura in fase progettuale oppure effettuare valutazioni comparative tra soluzioni alternative.
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Gli obiettivi di sostenibilità
Come sopra detto, partendo dai criteri generali di sostenibilità è stato possibile definire dieci macro obiettivi suddivisi in trentadue obiettivi specifici, come di seguito indicato. Macro obiettivi MO.01 Promuovere la partecipazione alle decisioni in materia di sviluppo infrastrutturale MO.02 Conservare e promuovere la qualità dell'ambiente locale, percettivo e culturale per il
riequilibrio territoriale MO.03 Migliorare la mobilità e ridurre il traffico inquinante MO.4 Tutelare il benessere sociale MO.05 Assicurare una economia locale che promuova l'occupazione senza danneggiare
l'ambiente MO.06 Aumentare gli investimenti per la protezione e la valorizzazione dell'ambiente MO.07 Utilizzare le risorse ambientali in modo sostenibile, minimizzandone il prelievo MO.08 Ridurre la produzione di rifiuti, incremenetandone il riciclaggio MO.09 Ridurre l'inquinamento MO.10 Conservazione ed incremento della biodiversità e riduzione della pressione antropica sui
sistemi naturali Tabella 4‐1 Obiettivi dello studio
Ovvero MO N° Obiettivo Specifico
OS.01 Condividere l'iniziativa progettuale con stakeholder istituzionali in fase di progettazione
MO.01
OS.02 Condividere l'iniziativa progettuale con stakeholder non istituzionali in fase di progettazione
OS.03 Garantire una adeguata tutela del patrimonio culturale OS.04 Privilegiare la manutenzione o il riuso del patrimonio infrastrutturale esistente OS.05 Rivitalizzare e riqualificare aree svantaggiate OS.06 Tutela del patrimonio storico culturale OS.07 Sviluppare tracciati coerenti con il paesaggio
MO.02
OS.08 Coerenza con la vocazione e il significato dei luoghi/territorio OS.09 Specializzare infrastrutture per tipologie di traffico (lunga percorrenza - traffico
locale) OS.10 Migliorare la funzionalità della rete viaria OS.11 Promuovere iniziative atte a migliorare le prestazioni del servizio
MO.03
OS.12 Migliorare il livello di servizio delle altre reti infrastrutturali OS.13 Tutelare la salute e la qualità della vita OS.14 Migliorare la sicurezza OS.15 Protezione del territorio da rischi idrogeologici OS.16 Aumentare le azioni di controllo degli effetti ambientali della realizzazione e
dell'esercizio
MO.04
OS.17 Assicurare la certezza dei tempi di realizzazione dell'opera MO.05 OS.18 Incrementare posti di lavoro
OS.19 Aumentare gli investimenti per la minimizzazione ed il controllo degli effetti negativi
MO.06
OS.20 Evitare i consumi superflui e migliorare l'efficienza energetica OS.21 Ridurre il consumo di energia ed incrementare la quota di energie rinnovabili e
pulite OS.22 Migliorare la qualità dell'acqua ed utilizzarla in modo più efficiente
MO.07
OS.23 Migliorare la qualità del suolo e contenere il consumo di suolo in particolare
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nelle aree sensibili OS.24 Minimizzazione delle quantità dei materiali consumati ed incremento del riuso OS.25 Favorire l'impiego di materiali riutilizzabili e/o riciclabili al termine del ciclo di
vita MO.08 OS.26 Massimizzare il riutilizzo delle terre
OS.27 Delocalizzare le sorgenti di inquinamento acustico dai ricettori abitativi sensibili OS.28 Migliorare la qualità dell’aria
MO.09
OS.29 Bonificare e ripristinare i siti inquinati OS.30 Conservare e tutelare la biodiversità OS.31 Promuovere ed incrementare la biodiversità, rivitalizzando e riqualificando in
particolare le aree
MO.10
OS.32 Recupero di funzionalità delle aree boscate Tabella 4‐2 Obiettivi specifici dello studio
In ultimo sono stati definiti gli indicatori di sostenibilità, volti a quantificare il grado di soddisfacimento dei macro obiettivi e degli obiettivi specifici. Ogni indicatore è definito da una sua unità di misura in funzione dell’obiettivo e del fine a cui deve tendere. Inoltre in funzione del tipo di indicatore e delle quantità calcolate sono state definite diverse modalità di calcolo.
Conclusioni e sviluppi futuri
Nel presente articolo è stata presentata una metodologia volta alla definizione di uno strumento di valutazione della sostenibilità ambientale in relazione ad infrastrutture di trasporto stradali. Ad oggi tale metodologia è in corso di validazione e taratura, grazie all’applicazione rispetto a casi reali. Attraverso tale applicazione sarà possibile affinare, aggiungere e tarare gli indicatori attuali, definendo quali possono essere contabilizzati attraverso i normali processi di progettazione, e quali necessitano di approfondimenti tali che gli attuali livelli di progettazione (studi di fattibilità, progettazione preliminare e progettazione definitiva) non posseggono. A valle di tale processo sarà quindi possibile non solo effettuare un primo processo di taratura, volto a garantire una maggiore affidabilità e applicabilità alla metodologia stessa, ma potranno essere definite delle nuove pratiche progettuali volte all’avvicinamento tra le esigenze tecnico strutturali dell’infrastruttura e le logiche della sostenibilità sociale economica ed ambientale. In questo modo sarà possibile garantire lo spostamento delle logiche ambientali e di sostenibilità nella fase di progettazione.
Riferimenti Bibliografici
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Il valore del Capitale Umano. Criteri e metodi di stima Demetrio Carmine FESTA, Francesca SALVO, Manuela DE RUGGIERO
(Università della Calabria)
1. Premessa L’incidente stradale è senza alcun dubbio uno degli accadimenti più drammatici nell’esistenza di un individuo, con ripercussioni significative non solo sul piano soggettivo e personale, certamente non trascurabili e di non semplice quantificazione, ma anche sul piano collettivo, in termini di oneri finanziari che a diverso titolo gravano sull’intera società per un evento che ha coinvolto un numero limitato di cittadini. La quantificazione del danno economico presenta caratteri di complessità legati alla numerosità dei soggetti e degli oggetti potenzialmente coinvolti nell’incidente, che si traducono nella definizione di una funzione multipla del danno che pone in relazione la variabile dipendente (il danno) con il set di variabili indipendenti riconducibili alle diverse voci di costo connesse agli incidenti stradali – perdita della capacità produttiva, costi umani, costi sanitari, costi amministrativi, costi giudiziari, danni materiali a proprietà terze. La stima dei predetti costi pone questioni di ordine pratico e metodologico; il problema pratico riguarda la disponibilità dei dati, quello metodologico attiene gli strumenti utilizzati. Il quesito può essere risolto da una prospettiva estimativa, dopo aver definito i criteri di stima, ossia gli angoli di visuale economica, e i procedimenti estimativi, individuando tra quelli riconosciuti dagli International Valuation Standards (IVS) quelli più idonei alla risoluzione del caso concreto di stima. Il presente lavoro si propone di affrontare il problema dei costi sociali da incidentalità stradale in termini etimativi, definendo criteri e metodi di stima con particolare riferimento al valore del Capitale Umano. 2. Stima dei costi sociali da incidentalità stradale Un’analisi estimativa volta alla quantificazione dei costi sociali da incidentalità stradale deve necessariamente muovere dal criterio dell’ordinarietà, uno dei cinque capisaldi della metodologia estimativa che postula l’oggettività del giudizio di stima in termini di generale validità degli assunti e dei risultati della valutazione. L’oggettivazione della stima rappresenta il momento centrale nonché l’obiettivo stesso di ogni procedura valutativa. Se tutte le valutazioni sono previsioni, e quindi non certe ma probabili, e quindi in qualche misura relative a chi le formula, la teoria estimativa dispone di strumenti in grado di trasformare queste anticipazioni in giudizi condivisibili dalla maggior parte dei soggetti. In senso estimativo oggettività significa intersoggettività argomentativa, intesa come replicabilità dei risultati e possibilità di controllo critico da parte di terzi. L’oggettività estimativa si affida in sostanza a due requisiti essenziali: da un lato alla disponibilità di un congruo numero di dati immediatamente e pubblicamente accessibili, grazie ai quali poter effettuare la valutazione nel rispetto del postulato della comparazione; dall’altro all’adozione di metodologie standardizzate per le quali siano chiare le ipotesi assunte e rigorosi i procedimenti operativamente impiegati.
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L’oggettivazione della stima trova facile soddisfazione nella valutazione di numerose variabili richiamate dalla funzione del danno economico da incidentalità stradale, per le quali la letteratura riconosce come accreditati sia i criteri di stima che gli strumenti valutativi. La perdita di capacità produttiva, intesa come perdita netta di produzione per l’allontanamento temporaneo o permanente dal posto di lavoro per i soggetti coinvolti direttamente o indirettamente nell’evento incidente stradale può essere stimata richiamando il criterio di stima del valore mancato. Il procedimento di stima è invece riconducibile alla capitalizzazione dei redditi mancati, definendo un orizzonte temporale corrispondente al tempo di inabilità e un reddito ordinariamente prevedibile in relazione all’età del soggetto coinvolto nell’incidente. I costi sanitari, invece, possono essere stimati ricorrendo al valore di costo e alle metodologie del cost approach, sommando tutte le spese mediche necessarie all’intervento dei mezzi di soccorso, ai trattamenti di pronto soccorso, di ricovero e di riabilitazione, sulla base delle tariffe nazionali, generalmente legate alla gravità delle lesioni riportate. Anche per i costi amministrativi e giudiziari si può far affidamento agli stessi criteri, mentre per i danni materiali a proprietà terze, con più precisione, il criterio economico è riconducibile al costo di ripristino, sommando le spese occorrenti per il ripristino ove possibile, dei beni sinistrati (costi per riparare i veicoli incidentati, la strada e le suppellettili che la compongono). 3. Il valore del Capitale Umano Se il criterio dell’oggettività trova ampio accoglimento nella definizione di criteri e strumenti volti alla determinazione delle predette categorie di costo, di contro la stima dei costi umani pone questioni di ordine metodologico e deontologico che difficilmente trovano soluzioni oggettivabili. L’Uomo, nella sua essenza fisica e psichica, presenta due distinti aspetti coesistenti, afferenti alle cosiddette “sfera della personalità” e “sfera della patrimonialità” e, in quanto essere sociale, è in grado di assolvere contemporaneamente sia a funzioni di carattere pubblico che di ordine privato o individualistico. La presenza di differenti aspetti economici in linea teorica può portare all’individuazione di diversi valori attribuibili alla persona, in funzione della “ragion pratica” della stima. Se non vi è dubbio che il punto di partenza debba riconoscersi nell’assoluta eguaglianza di tutti gli uomini, si deve tuttavia rilevare che non sempre il risarcimento è lo stesso per individui che subiscano lo stesso tipo di lesione. In termini generali, il danno alla persona contempla tutto lʹinsieme dei danni, patrimoniali e non, che un soggetto subisce in conseguenza di un evento illecito. In particolare, allʹinterno di questo insieme più ampio, è possibile individuare categorie di danno alla persona più specifiche; la giurisprudenza, il settore assicurativo e i teorici dell’estimo sono concordi nell’individuare tre distinte tipologie di danno: il danno patrimoniale, il danno biologico e il danno morale. Il danno patrimoniale si riferisce alla capacità dell’uomo di fornire servizi economicamente rilevanti ed essere per ciò stesso una fonte di redditi: si configura, pertanto, come il danno arrecato alla sfera patrimoniale in termini di mancata redditività derivante dalle lesioni temporanee o permanenti conseguenti all’evento incidente. Il danno patrimoniale da solo non basta ad assicurare il giusto ristoro dopo l’incidente, perché ha il duplice limite di non definire alcun risarcimento per quanti sono privi di reddito da un
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lato, dall’altro di non riuscire a giustificare risarcimento qualora la lesione non abbia riflesso sul guadagno. Poiché, dunque, il danno alla persona deve prescindere dalla capacità lavorativa, si devono quantificare giusti risarcimenti per il danno biologico, intendendo con esso qualsiasi lesione della integrità psico‐fisica che abbia riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni ed i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita (non solo quella produttiva, dunque, ma anche a quella spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva ed ogni altro ambito in cui il soggetto svolge e realizza la propria personalità) e per il danno morale, inteso come ʺpatema dʹanimo o sofferenza psichica di carattere interiore”. In alcuni casi è richiamato anche il concetto di danno esistenziale quando, oltre alla lesione fisica oggettivamente accertabile sul piano medico legale, e oltre il dolore o patema generato dall’evento incidente, attinente la sfera interiore del danneggiato, residuano danni permanenti, oggettivamente verificabili, che riguardano ʺconcreti cambiamenti, in senso peggiorativo, nella qualità della vita” ‐ sconvolgimento delle abitudini di vita, dellʹequilibrio e dellʹarmonia del nucleo familiare, delle aspettative affettive e relazionali. Per il principio di eguaglianza del valore di tutti gli uomini, si deve necessariamente osservare che il danno biologico, quello morale ed eventualmente quello esistenziale devono essere corrisposti in egual misura per tutti gli individui che hanno subito la stessa lesione. Di contro il danno patrimoniale, essendo legato alle specifiche condizioni di reddito del soggetto coinvolto, deve essere corrisposto in misura proporzionale a queste, differenziandosi, pertanto, da individuo a individuo. E proprio per quest’ultima tipologia di danno la determinazione del costo di risarcimento è ovvia, essendo di facile individuazione il criterio di stima, quello del valore mancato, e banale l’applicazione del procedimento di stima, riconducibile alla capitalizzazione dei flussi di redditi mancati: si tratta, in sostanza, di attualizzare una serie di redditi futuri ordinariamente prevedibili per il singolo individuo in un fondo di capitale, per un orizzonte temporale corrispondente al periodo di mancata redditività. Ben più complessa, invece, la stima dei danni c.d. “non patrimoniali”, perchè riferiti a risorse intangibili e quindi difficili da quantificare in termini monetari. Se la questione relativa all’individuazione del criterio di stima appare risolta, individuato unanimemente dalla dottrina il criterio del valore complementare quale ragion pratica della stima, ancora in fieri è la ricerca sulla definizione del procedimento di stima. La prassi dei risarcimenti assicurativi vede l’utilizzo di parametri prestabiliti dai Tribunali Italiani, basati sull’utilizzo di tabelle le cui variabili sono essenzialmente legate all’età del danneggiato e al grado di invalidità accertato in sede medico‐legale, senza alcun riferimento al reddito percepito, né tantomeno alla situazione patrimoniale. Se questo metodo da un lato assicura uniformità di giudizio, almeno in via teorica, dall’altro si propone l’arduo compito di tradurre in termini pecuniari caratteri immateriali ed extraeconomici con schemi rigidi e precostituiti, e per ciò stesso poco conformi alla stessa natura dei danni che si prefigge di stimare. La valutazione del danno extramonetario non è di semplice risoluzione, eppur tuttavia non necessariamente di impossibile attuazione; a tal proposito, è da osservare che uno dei capisaldi
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della disciplina estimativa, il postulato del prezzo, afferma che il giudizio di stima deve necessariamente esprimersi in termini monetari. Per quantificare le categorie extraeconomiche la letteratura suole ispirarsi all’ “Economia del Benessere”, un nuovo orientamento di ricerca che mira a risolvere questioni legate in particolare al passaggio dalla valutazione della quantità a quella della qualità, nella prospettiva di soggetti non sempre definiti e concreti ma anche potenziali e futuri. Più specificamente, la stima del danno non patrimoniale, derivante dalle lesioni riportate e dalle conseguenti sofferenze e ripercussioni nella vita privata e di relazione, può essere rappresentata attraverso la disponibilità al sacrificio necessario al recupero della piena integrità psico‐fisica, ovvero attraverso l’analisi del costo monetario sopportato da un individuo, sia come privato cittadino che come membro della collettività, per preservare la propria condizione nella situazione quo ante. In termini operativi, la metodologia proposta dal presente lavoro richiama gli strumenti propri della Contingent Valuation. Il metodo si basa sull’idea che, per stimare beni che non hanno mercato – l’uomo ne è senza dubbio il più significativo esempio‐ si possa pensare di chiedere direttamente agli individui quale valore attribuirebbero, o meglio quale valore monetario sarebbero disposti a pagare o ad accettare per il bene stesso. Estendendo i campi di applicazione della metodologia sopra indicata all’oggetto della presente indagine, la stima del danno non patrimoniale può essere risolta attraverso la costruzione di curve di domanda elaborate sulla base di informazioni raccolte in merito alla disponibilità a spendere, informazioni verificate in concreto attraverso i costi sostenuti per far fronte alle cause del disturbo dal singolo cittadino, nonché attraverso le spese sostenute dall’intera collettività per mantenere un certo grado di funzionalità psicofisica di ciascun individuo. 4. Conclusioni La quantificazione dei danni alla persona, riconducibile in qualche misura al “valore dell’Uomo”, porta con sé complesse e problematiche questioni di ordine metodologico ed etico, che tuttavia non possono esimere dal riflettere sulla opportunità di individuare giusti criteri e procedimenti utilizzabili nelle numerose situazioni concrete in cui assenza di idonei strumenti di valutazione potrebbe risultare lesiva degli stessi interessi dei soggetti danneggiati. La disciplina estimativa offre possibili e interessanti soluzioni alla delicata questione del valore del “Capitale Umano”, certamente plausibili di critiche e perfezionamenti, ma che lasciano ampio spazio a un dibattito che difficilmente troverà convergenza di vedute. L’uomo, infatti, porta in sé un patrimonio unico, singolare e irripetibile, il cui valore nessuna metodologia di stima potrà mai degnamente quantificare.
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Stima e quote dell’incidentalità stradale in Italia Pietro IAQUINTA (Università della Calabria)
La moderna società, subisce, ogni anno, per effetto degli incidenti stradali un costo, sociale ed umano, particolarmente elevato. Dagli anni ’50, epoca in cui ha inizio la motorizzazione di massa un pò in tutto il mondo occidentale, il numero d’incidenti stradali è aumentato molto rapidamente. Dopo una flessione e un periodo con andamento costante legato all’attenzione posta sui problemi legati alla sicurezza, il numero di incidenti riprende a crescere fino al 2002, per poi diminuire e toccare in, Italia, il minimo nel 2010 (211.404 incidenti stradali). Rispetto allʹobiettivo fissato dallʹUE nel Libro Bianco del 2001, che prevedeva la riduzione della mortalità del 50% entro il 2010, lʹItalia ha raggiunto una diminuzione del 42,4% del numero dei morti (valore in linea con la media europea UE27). L’informazione statistica sull’incidentalità stradale in Italia, è raccolta dall’Istat mediante una rilevazione totale a cadenza mensile (quando non è gestita direttamente dalle Regioni tramite appositi osservatori) di tutti gli incidenti stradali verificatisi nell’arco di un anno solare sull’intero territorio nazionale che hanno causato lesioni alle persone (morti entro il 30°giorno e feriti). La successiva elaborazione, costruita di concerto con l’ACI, che cura da anni questa statistica, produce i risultati a livello nazionale, che mediamente sono disponibili 18‐36 mesi dopo l’evento sinistro. L’Unione Europea, attraverso alcuni enti dedicati, ma anche attraverso studi e associazioni, primo tra tutti l’European New Car Assessement Programme (Euro NCAP), l’autore delle famigerate classifiche sulla sicurezza passiva delle automobili, sostiene che la principale variabile correlata con l’incidentalità stradale è rappresentata dal volume di traffico, in altre parole dalla quantità di auto in circolazione. Nella realtà, realizzare una struttura che misuri adeguatamente i volumi di traffico, è abbastanza complicato. Basti pensare che in Italia, il numero di veicoli in circolazione è aumentato, nel corso degli anni, in maniera esponenziale (circa 800 veicoli ogni 1.000 abitanti nel 2010). Ma questo aspetto rappresenta il cuore del problema, gestire il traffico vuol dire anche gestire la sinistrosità da esso derivata. La sicurezza stradale in Italia nasce con il PNSS (Piano Nazionale della Sicurezza Stradale) nel 1999 (L.144/99 art.32), che rappresenta il primo, organico strumento utilizzato per adeguarsi agli standard europei riguardo alla sicurezza in ambito dei trasporti. Il Piano è articolato in numerose sessioni e prevede azioni atte ad indirizzare la politica della sicurezza nel nostro Paese negli anni a venire. Fra queste, trova particolare riscontro quella indirizzata alla incentivazione della costituzione di centri locali di monitoraggio al fine, essenzialmente, di adeguare i bisogni locali alle realtà tagliando i tempi di realizzazione di interventi indispensabili al controllo ed al miglioramento della sicurezza stessa. Il PNSS precede di poco la direttive dell’Unione Europea dettate con il “libro bianco” sulla sicurezza stradale (La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte; Bruxelles, 12/09/2001, COM(2001) 370), che indica come obiettivo primario la riduzione del 50% della mortalità da incidente stradale entro il 2010. Ma l’UE, pur non avendo centrato appieno l’obiettivo prefissato (nel 2010 si sono verificati 31.111 decessi a fronte dei 54.355 del 2001, con una riduzione del 42,8% nell’intera UE a 27), non ha abbandonato il programma volto alla sicurezza stradale, tant’è che una nuova sfida è stata lanciata dall’ONU l’11 maggio 2011, col decennio di iniziative per la sicurezza stradale 2011‐
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2020: «Verso uno spazio europeo della sicurezza stradale: orientamenti 2011‐2020 per la sicurezza stradale» COM(2010) 389 def., in cui viene riproposto nuovamente il dimezzamento delle vittime della strada nei 27 Paesi dell’UE entro il 2020, per tentare di raggiungere l’obiettivo delle 15 mila vittime complessive, sognando, fra non molto di avvicinarsi all’obiettivo “zero deaths”; un programma ambizioso ma che potrebbe diventare realtà molto prima di quanto si immagini. L’Italia, pur attuando un interessante programma di sicurezza, anche se con incredibili ritardi nella sua attuazione, presenta, però, delle peculiarità rispetto alla sicurezza stradale, degne di essere evidenziate. Nel confronto con i principali paesi europei, omomorfi al nostro per ampiezza demografica, livello di sviluppo e penetrazione del settore auto nell’economia nazionale, evidenzia delle caratteristiche che ne fanno un paese anomalo sotto taluni aspetti. Il confronto con Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, simili per ampiezza demografica (con la Germania un pochino più ampia e la Spagna di pari percentuale più piccola), evidenzia come l’Italia sia il paese con la più contenuta rete stradale pubblica (quasi 1/10 della Francia ed 1/3 di Spagna e Germania), mentre per quanto attiene la rete autostradale, se si esclude il Regno Unito, gli altri paesi viaggiano nell’ordine del doppio di estensione della rete. In questo contesto, e pur essendo accreditata del maggior numero di veicoli a motore circolanti, i dati più recenti nel panorama europeo, evidenzino come l’Italia sia il Paese che presenta il maggior numero di decessi da incidenti stradali, con un valore addirittura doppio rispetto a quello del Regno Unito, e superiore anche a quello della Germania, che mobilita un terzo in più di popolazione.
Tabella 1‐ Confronti europei su popolazione, rete stradale, veicoli circolanti, decessi da incidenti stradali, 2010
Francia 62.469 1.027.584 11.041 551.208 38.749 3.992 Germania 82.002 644.359 12.645 357.039 49.603 3.651 Italia 60.045 183.704 6.629 301.328 48.637 4.090 Regno Unito 61.792 419.881 3.788 244.061 35.217 1.943 Spagna 45.828 666.064 13.515 504.750 30.856 2.470
Alcuni interessanti confronti Europei al 2010
Stati dell'UE Popolaz. residente
Lunghezza strade
pubbliche
Lunghezza rete
autostrad.
Superficie dello Stato
Veicoli a motore
Decessi Stradali
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
Ma il vero problema, cui si è fatto poco riferimento in questi ultimi anni di campagne sulla sicurezza e d’impegno per contenere gli effetti drammatici di questo fenomeno, è dovuto più che ai decessi agli effetti devastanti su coloro che pur salvando la vita riportano gravi conseguenze a seguito di incidenti stradali. La morbilità, derivante da incidenti stradali, oltra a rappresentare un vero dramma con conseguenze economiche devastanti sia sui soggetti, che sull’intero costo sociale, non accenna, infatti, a diminuire, se si pensa che, per esempio, in Italia, nel 1972 (l’anno nero per l’incidentalità stradale) a fronte di oltre 11 mila decessi si sono registrati quasi 268 mila feriti, mentre ancora oggi, nel 2010, con poco più di 4000 decessi, i feriti risultano essere ancora oltre 300 mila.
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Il problema della morbilità da incidente stradale è fonte di attenzione anche da parte dell’UE che, nel citato documento della Commissione del 2010, ha previsto un’importante serie di azioni, atte sia a contenere la morbilità da incidente stradale, sia ad incrementare la sicurezza attiva e passiva dei veicoli.
Tabella 2 – Numeri dell’incidentalità stradale in Italia
Anni Incidenti Morti Feriti
1954 126.232 5.281 98.766 1962 322.883 9.683 224.449 1972 332.591 11.078 267.774 1982 262.230 7.706 217.426 1992 170.814 7.434 241.094 2002 265.402 6.980 378.492 2003 252.271 6.563 356.475 2004 243.490 6.122 343.179 2005 240.011 5.818 334.858 2006 238.124 5.669 332.955 2007 230.871 5.131 325.850 2008 218.963 4.725 310.745 2009 215.405 4.237 307.258 2010 211.404 4.090 302.735
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
Dal secondo dopoguerra, in tutto il mondo industrializzato, dove la motorizzazione ha assunto livelli importanti nell’organizzazione della vita sociale (ed economica), da sempre si è dibattuto sulle cause dell’incidentalità stradale, passaggio importante per poter meglio affrontare il problema e, soprattutto, individuare correttivi e buone pratiche indispensabili per arginare il fenomeno.
Tabella 3 – Distribuzione percentuale, per mese, dei sinistri, decessi e
feriti nel 2010 in Italia
Numero Morti FeritiGennaio 7,21 7,07 7,44 Febbraio 6,82 6,89 6,88 Marzo 7,98 7,68 7,92 Aprile 8,74 8,12 8,79 Maggio 9,18 8,22 9,11 Giugno 9,38 9,95 9,22 Luglio 10,06 11,00 9,94 Agosto 7,69 9,10 7,93 Settembre 8,54 8,39 8,37 Ottobre 8,87 8,02 8,81 Novembre 8,19 7,14 8,20 Dicembre 7,34 8,44 7,39 Anno 100,00 100,00 100,00
Mesi Totale incidenti
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
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Le statistiche ufficiali non rendono merito alla realtà, limitandosi ad enumerare cause più o meno dirette, riconducibili all’azione del guidatore, e/o a cause comunque contingenti alla circolazione stradale. L’Istat, nel lavoro svolto in collaborazione con l’ACI, nell’analizzare l’incidentalità stradale individua, fra le principali cause di sinistro, rispettivamente: a) mancato rispetto della precedenza; b) guida distratta; c) velocità elevata. Queste cause, da sole, coprono la metà complessiva delle cause di sinistro e racchiudono l’essenza delle problematiche riferite alla sinistrosità stradale. La realtà è che queste cause sono tutte quante funzione della presenza nel proprio raggio d’azione, di altri veicoli (oltre i ¾ degli incidenti avvengono fra 2 o più veicoli) e che, quindi, sono connesse alla dimensione dei volumi di traffico.
Tabella 4 – Distribuzione mensile (valori %) della sinistrosità stradale in Italia per Regione,
2010
Incidenti Morti Feriti Incidenti Morti Feriti Incidenti Morti FeritiPiemonte 6,4 8,0 6,6 6,5 9,6 6,4 5,5 5,1 5,6 Valle d'Aosta 0,2 0,3 0,2 0,1 - 0,1 0,3 0,3 0,3 Lombardia 18,6 13,8 17,8 17,8 15,8 17,0 14,0 12,9 13,4 Trentino-A. A. 1,2 1,4 1,2 1,5 2,2 1,4 1,7 1,3 1,7 Veneto 7,4 9,7 7,2 7,4 9,3 7,4 7,6 8,9 7,5 Friuli-V. G. 1,9 2,5 1,7 1,9 2,7 1,7 2,1 2,4 1,9 Liguria 4,6 2,1 4,1 4,8 0,4 4,4 5,2 2,7 4,5 Emilia-Romagna 9,5 9,8 9,2 10,2 11,6 9,8 9,6 8,3 9,3 Toscana 8,2 6,9 7,7 8,3 6,2 7,9 8,4 8,1 7,7 Umbria 1,4 1,9 1,3 1,3 2,9 1,3 1,4 2,4 1,3 Marche 3,2 2,7 3,3 3,9 2,9 3,8 4,1 4,8 3,9 Lazio 13,2 11,0 12,9 12,2 12,2 11,9 11,1 9,4 10,7 Abruzzo 1,9 1,9 2,1 2,3 1,6 2,5 2,5 3,2 2,5 Molise 0,3 0,7 0,3 0,2 0,4 0,3 0,4 0,8 0,4 Campania 5,3 6,2 5,6 5,4 5,8 5,9 5,8 7,8 6,2 Puglia 5,9 7,1 6,9 5,7 6,0 6,6 7,1 6,2 8,2 Basilicata 0,5 1,2 0,7 0,5 1,1 0,7 0,6 1,3 0,9 Calabria 1,6 3,4 1,9 1,7 2,7 2,1 2,1 5,4 2,4 Sicilia 6,7 6,8 7,3 6,3 5,3 6,8 8,3 7,3 9,0 Sardegna 2,0 2,6 2,1 1,9 1,3 2,1 2,3 1,3 2,5 Italia 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Regioni Totale Luglio Agosto
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat
I volumi di traffico influenzano fortemente le condizioni della viabilità, ed il loro crescere vede crescere in maniera estremamente correlata l’incidentalità stradale. Alcune evidenze empiriche posso essere utili per comprendere l’efficacia della relazione e la sua influenza. Se si considera l’Italia, un paese in cui la mobilità, soprattutto stradale, subisce un forte incremento nei periodi estivi, rispetto a quelli invernali, si può osservare come, la distribuzione dei sinistri per mese restituisce questa considerazione in maniera omomorfa. Nella distribuzione percentuale per mese dell’incidentalità stradale in Italia, si può notare come, soprattutto per quanto attiene a incidenti e decessi, la concentrazione degli eventi sia molto elevata nei periodi estivi, notoriamente dedicati agli spostamenti per turismo, con i valori del mese di luglio, superiori anche dell’80% rispetto a quelli del trimestre invernale, dove, fra l’altro, si concentrano le maggiori quantità di giornate con condizioni atmosferiche che certo non facilitano la circolazione stradale, anzi, la rendono ancora più rischiosa.
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Se si volesse, inoltre, immaginare anche un condizionamento territoriale dei dati, nel senso che regioni più attrattive dal punto di vista turistico subiscono un incremento di incidentalità nei periodi estivi, se ne può avere conferma osservando i dati in tabella 4. Non è difficile osservare, infatti, come, rispetto al totale dei sinistri (e decessi e feriti), alcune regioni subiscono un forte decremento di valori nei periodi estivi (ad es. Lombardia con una riduzione nell’ordine di ¼ degli incidenti in agosto), mentre altre, ad evidente vocazione turistica nella propria economia, ne subiscono un deciso incremento, sempre nel confronto fra totale sinistri nell’anno e mesi di luglio e agosto. A questa seconda categoria appartengono, quindi, tutte le regioni che notoriamente vivono la stagione estiva come paese di ospitalità turistica, ed infatti, se si escludono le grandi aree industriali tutte le altre regioni presentano un incremento in agosto, rispetto alla media annuale. Un’operazione abbastanza semplice, potrebbe essere stimare i volumi di traffico eseguendo il processo a ritroso, partendo cioè dal livello di sinistrosità. Un accurato studio della sinistrosità potrebbe, inoltre, non solo stimare i volumi, ma addirittura classificare la tipologia di traffico, derivando dati dalle caratteristiche dei sinistri riscontrati. Il lavoro prendendo spunto da quest’ultima classificazione, consente di individuare facilmente una sinistrosità, e quindi volumi di traffico, alimentati dal flusso turistico, sia commerciale sia proveniente da spostamenti per motivi di lavoro.
Riferimenti Bibliografici
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Istat, Statistiche degli incidenti stradali, anni vari;
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Traffico a Roma. Interventi dell’Agenzia per la Mobilità sugli assi stradali urbani di Nomentana e Lungotevere
Carlo GERMANI, Adriano INGA (Roma Servizi per la Mobilità) Una migliore e più efficace distribuzione dei flussi veicolari lungo un asse stradale può produrre non solo una riduzione dei tempi di percorrenza ma anche una minore incidentalità dovuta alla riduzione dello “stress” da guida per i conducenti e ad una mitigazione dei punti di conflitto nei nodi della rete. LʹAgenzia Roma Servizi per la Mobilità S.p.A. soggetta alla direzione e al coordinamento del Comune di Roma, ha come obiettivi quelli di integrare le funzioni di pianificazione, progettazione e controllo della mobilità pubblica e privata con quelle di un’efficace informazione al servizio del cittadino per semplificare e rendere più consapevole l’uso dei diversi mezzi di trasporto. Tra i compiti fondamentali dell’Agenzia sono i progetti di traffico e viabilità, la pianificazione della rete del trasporto pubblico su gomma e su ferro, la progettazione e realizzazione di interventi sulla viabilità e sulla rete tranviaria. La gestione integrata dei sistemi tecnologici inerenti la mobilità urbana è affidata alla struttura organizzativa “Centrale della Mobilità” all’interno della quale l’Unità Operativa “Gestione Impianti di Controllo” (di cui gli Autori fanno parte) gestisce la rete di segnaletica luminosa presente sul territorio comunale, dove per segnaletica luminosa si intendono tutti quei sistemi elettronici che gestiscono ed informano l’utente della strada, quali impianti semaforici, pannelli a messaggio variabile, ZTL, ecc. Tra le attribuzioni dell’UO GIC, oltre alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei sistemi di segnaletica luminosa ad essa affidati, è la sperimentazione di nuove tecnologie per il decongestionamento e la fluidificazione del traffico veicolare urbano. Un terzo dei circa 1500 impianti semaforici che esistono su tutto il territorio del comune di Roma sono centralizzati, ovvero sono collegati tramite linea telefonica, ADSL, GSM o GPRS ad una Centrale che ne gestisce il funzionamento. I sistemi per la regolazione del traffico per gli impianti semaforici centralizzati del Comune di Roma sono sostanzialmente di due tipi: • formazione di piano o sistema adattativo, che realizza il piano semaforico secondo per
secondo in base alla reale domanda di traffico sugli incroci controllati; • selezione di piano, nel quale i piani semaforici sono reimpostati e vengono attuati o ad
orario o in base a eventi specifici. Per i due itinerari scelti si è optato per la selezione di piano in quanto più performante su assi viari ove la domanda di traffico maggiore si trova lungo una direzione prevalente; inoltre, in base alle nostre esperienze precedenti, si ha un rapporto tra costi di manutenzione e benefici ottenuti sostanzialmente più vantaggioso rispetto alla formazione di piano. I sistemi a formazione o adattativi richiedono, infatti, un maggiore attenzione nella configurazione di tutti i parametri di flusso e una intensa attività di manutenzione a causa dell’elevato numero di sensori conta traffico, circa 2000, la cui manutenzione si è rivelata estremamente complessa a causa dell’elevatissimo traffico veicolare della capitale. Si tratta nella maggior parte dei casi di spire elettromagnetiche posizionate al centro di ogni corsia di marcia, “affogate” nell’asfalto e quindi soggette ad un intenso logoramento (MTBF stimato intorno ai 2
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anni), per la cui riparazione occorre un tempo molto lungo sia per le pratiche amministrative necessarie sia per la loro posizione al centro di assi viari ovviamente molto trafficati. Il poster illustra gli interventi di upgrade hardware e software effettuati dalla UO GIC nella prima metà del 2011 sugli itinerari urbani (o “assi”) di Via Nomentana e del Lungotevere. Le aree interessate sono, per l’asse Nomentana, il tratto tra l’intersezione con Corso Trieste e Piazza Sempione (3,2 km) e, per Lungotevere, il tratto compreso tra Ponte Sisto e Ponte Regina Margherita su entrambe le sponte del Tevere (6 km) . Nel tratto di via Nomentana interessato dal nostro intervento si è provveduto alla sostituzione delle interfacce hardware (dette MFU, multy function unit) tra il regolatore semaforico e il centro di controllo traffico, attività che ha consentito la migrazione verso una nuova versione del software esistente (UTOPIA – OMNIA), più efficiente del precedente. Su Lungotevere si è realizzata invece la sostituzione di tutti i regolatori semaforici, ormai vetusti, con altri di ultima generazione, mentre il controllo del traffico è stato affidato ad un nuovo SW di gestione (TMacs). Anche in questo caso il sistema di regolazione adottato, a selezione di piano, ha consentito una maggiore efficacia della regolazione ed una riduzione del numero di sensori necessari. In entrambi gli interventi si è potuto riscontrare un miglioramento dei tempi di percorrenza, misurati dal sistema UTT (Urban Travel Times) del Comune di Roma, gestito anche questo dalla UO GIC. L’adozione di sistemi centralizzati più moderni di regolazione del traffico offre la possibilità, infine, di poter stabilire un calendario di cicli semaforici appositamente studiati per i numerosi eventi che nel nostro caso si svolgono a Roma ed in particolare nella zona del Lungotevere. Qui circostanze quali l’udienza settimanale del Santo Padre, ogni mercoledì, e le varie manifestazioni serali o notturne che si svolgono sulle sponde del Tevere influiscono in modo molto pesante sul già intenso traffico cittadino ma la diversificazione dei calendari semaforici e l’adozione di diagrammi di fasatura studiati ad hoc e opportunamente centralizzati, permettono di apportare un sia pur lieve miglioramento dei tempi di percorrenza.
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La nuova linea metropolitana leggera su Lungotevere a Roma Gaetano TROTTA, Giuseppe CAPUTI (Tecno Habitat SpA, Roma)
Tecno Habitat SpA ha realizzato uno studio di fattibilità da cui è derivata la sostenibilità di una nuova linea di trasporto pubblico a guida vincolata, denominata “Tiberina” – Linea T ‐, per il collegamento tra le stazioni Piramide della linea B della metropolitana (Piazzale Ostiense) e Flaminio della linea A (Piazzale Flaminio), con un tracciato di lunghezza pari a 5,5 km, con 9 stazioni sotterranee e con gran parte del percorso al di sotto del piano stradale del Lungotevere sinistro (da Ponte Sublicio a Ponte Regina Margherita).
Lo studio ha evidenziato:
• la compatibilità dell’intervento con il quadro programmatico del Comune di Roma; • la sostenibilità finanziaria dell’opera; • l’elevato valore aggiunto dell’opera (nuovi volumi e recupero di un rapporto con il
Tevere).
Il Lungotevere è oggi utilizzato come arteria veicolare, ma non garantisce uno stretto rapporto tra la città e il suo fiume, esistente all’origine della sua storia. Già nel dopoguerra, quando il traffico privato era ben lontano dalle dimensioni odierne, sul Lungotevere, tra Ponte Garibaldi e Ponte Vittorio Emanuele II, transitavano due linee tranviarie: le “Circolari” (esterna e interna) realizzate nel 1930‐31 e soppresse, rispettivamente, nel 1959 e nel 1975. Ora che la situazione è nuovamente in emergenza, gli obiettivi che della nuova linea Tiberina sono molteplici e intersettoriali e riguardano:
1. Mobilità 2. Qualità ambientale 3. Parcheggi e Sosta 4. Urbanistica 5. Nuovo terziario 6. Turismo
L’intervento trova sostegno anche nel Piano Strategico per la Mobilita Sostenibile (PSMS) del Comune di Roma, approvato nel Marzo 2010, ed in particolare nel capitolo “Strategie per una
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mobilità sostenibile” del PSMS che riporta, tra i vari interventi, sia la “Passeggiata Tiberina” che il “Sottopasso di Castel Sant’Angelo”. La linea T, infatti, agevola l’accessibilità del CS ed è a servizio di un Municipio che, oltre ad ospitare il 27% di stranieri residenti a Roma, concentra la maggior parte di sedi istituzionali, politiche e amministrative, le principali rappresentanze economiche e finanziarie, una gran quantità di attività commerciali, una buona parte del patrimonio artistico e archeologico della città e, nella sola ora di punta del mattino, circa 56.000 persone che giungono nell’area con provenienza dai parcheggi di scambio (Partigiani e Villa Borghese) o dagli aeroporti ed intendono accedere all’area archeologica centrale, al Vaticano e al Tevere.
Soluzioni a maggiore capacità (metropolitana pesante) sono da scartare per le elevate dimensioni dei manufatti (in particolare delle stazioni) non compatibili con un efficace utilizzo dello spazio a disposizione nel muraglione del Lungotevere. Devono essere scartati anche i sistemi a bassa capacità (tram, autobus, filobus) poiché di scarso interesse per capacità di trasporto e scarsa efficacia ed attraibilità del servizio. Le analisi comparative condotte, infatti, hanno portato alla scelta di un progetto di metropolitana leggera che si sviluppa per più dell’80% del tracciato al di sotto del Lungotevere sinistro sul muraglione costruito all’inizio del ‘900 su progetto dell’ing. Carnevari, a seguito delle piene del Tevere (l’ultima, il 2/12/1900, raggiunse al suo colmo l’altezza di 16,17 m sullo zero dell’idrometro di Ripetta). Per molti tratti sarà sfruttata la volumetria del terrapieno per realizzare stazioni e nuovi servizi che, inoltre, riconnettono il centro storico al fiume (9 stazioni e 550 parcheggi non solo pertinenziali su un’area di 21.500 mq con aree museali, commerciali, ecc.). L’allineamento ferroviario può essere suddiviso in due sezioni principali. In particolare:
• Sezione 1 – da attestazione Piazzale Ostiense a Ponte Palatino; • Sezione 2 – da Ponte Palatino a Lungotevere Arnaldo da Brescia (Collegamento Metro “A”
Piazzale Flaminio) Lungo la Sezione 1 (via Marmorata – Piazzale dell’Emporio – Lungotevere Aventino), si potrà utilizzare:
a) l’esistente linea tranviaria n°3, opportunamente adeguata, ed il lato destro del Lungotevere Aventino;
b) un nuovo tracciato interrato (larghezza totale 8,5 ml, profondità max. 7,0 ml) a ridosso del ciglio destro di via Marmorata e, sul Lungotevere Aventino, del riporto degli argini della sponda sinistra del Tevere.
Lungo la Sezione 2 (Lungotevere di sinistra), il tracciato sarà interrato (8,5x7,0 ml), con riferimento fisso il ciglio destro del tracciato viario dell’intero Lungotevere. Ciò consentirà di:
a) utilizzare il marciapiede esistente come transito pedonale ed accesso ai civici; b) prevedere almeno una corsia libera per il transito veicolare del Lungotevere, durante
l’esecuzione dei lavori.
Per la realizzazione delle opere si può ipotizzare un periodo di 4‐5 anni comprensivo di quanto necessario per la progettazione, l’espletamento delle gare d’appalto e per l’esecuzione dei lavori.
I costi di investimento sono stati stimati e suddivisi in costi di infrastrutturazione (opere civili e impianti), costi per la fornitura del materiale rotabile e altri costi (progettazione, cantierizzazione, ecc.) e la tabella seguente riepiloga tali costi (517 Mln € pari a 94 Mln €/km) al netto dell’IVA, ma comprensivi delle “somme a disposizione” della stazione appaltante.
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Riepilogo costi di investimento
Voce Metropolitana leggera
Opere civili e impianti (linea) 293,6 Mln € Altre opere civili (parcheggi, ecc.) 45,0 Mln € Materiale rotabile 50,0 Mln € Altri costi (progettazione, somme a disposizione, ecc.) 128,4 Mln €
Totale 516,9 Mln €
Costo parametrico 94,0 Mln €/km
Particolare enfasi è stata assegnata nel porre, per la prima volta probabilmente nella storia di un progetto similare, una posta specificatamente dedicata all’alleviamento dei disagi che la collettività patirà durante le fasi di cantiere a compensazione, quantomeno parziale, di tali disagi. Circa l’1% del costo di investimento, infatti, sarà dedicato a tale posta e sarà il Comune a studiare e definire l’utilizzazione ottimale di tale posta attraverso una partecipazione ai costi dei disservizi patiti.
La stima dei costi di esercizio è stata effettuata sulla base dei bilanci ATAC decurtati del 15% per tenere conto che la metropolitana leggera che si propone sarà a guida automatica19.
Costi di esercizio del trasporto
Voce Metropolitana leggera
Costo unitario 7,40 €/vkm
Percorrenza annua 1.300.000 km
Costo di esercizio annuo 9,6 Mln €
Il costo per la gestione dei parcheggi e per le connesse aree dedicate al nuovo terziario avanzato sono stati stimati pari a 0,5 Mln €/anno.
I ricavi della Società concessionaria sono stati sintetizzati in:
• contributi pubblici (sia per la costruzione che per la gestione); • ricavi dalle attività accessorie (parcheggi e attività commerciali).
I contributi possono essere sintetizzati nel modo seguente:
• “contributo in conto impianti” che sarà versato al Concessionario durante la fase di progettazione e costruzione;
• “canone di disponibilità” che sarà erogato al Concessionario durante la fase di gestione dell’infrastruttura.
Nel caso della Linea T si possono ipotizzare, pertanto, i contributi riportati nella tabella seguente.
Contributi pubblici
Voce Metropolitana leggera Contributo in conto impianti 179,8 Mln € (40%)
Canone di disponibilità 31,5 Mln € / anno (7%)
19 La Metro C S.p.A. stima nel 14/20% il risparmio nei costi globali di gestione dei treni driverless previsti per la linea C
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Il prezzo di vendita dei posti auto pertinenziali (box e stalli) è stato stimato basandosi sui dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia del Territorio e si è fatto riferimento, in via prudenziale, al valore minimo dei prezzi di vendita nei rioni Ripa, S. Angelo, Regola, Ponte e Campo Marzio.
• box auto: 5.200 €/mq; • stalli auto: 3.800 €/mq.
Considerando 15 mq per posto auto, risulta un ricavo complessivo di 24,6 Mln €.
Per la stima dei ricavi dai parcheggi a rotazione si è considerata una tariffa media di 1,20 €/h che, al netto dell’IVA, equivale a 1,00 €/h. Tale stima è molto prudenziale visto che nei principali parcheggi romani i costi (soprattutto per le prime ore di sosta) sono spesso applicate tariffe ben più alte20. Considerando una percentuale di occupazione media nell’arco delle ore del giorno (12 h) e dell’anno (365 gg) pari al 60%, risulta un prudenziale ricavo annuo pari a 578.000 € circa.
Anche per la stima dei ricavi dall’affitto di spazi commerciali, si è fatto riferimento ai dati dell’OMI. Il ricavo unitario considerato è di 51 €/mq‐mese. Considerando una superficie disponibile media di 200 mq per stazione, risultano i seguenti valori:
• opzione “metropolitana leggera”: 1,1 Mln €/anno; • opzione “tram”: 0,9 Mln €/anno21.
Altri ricavi per il Concessionario possono derivare da:
• pubblicità e sponsorizzazioni; • accordi commerciali con altri vettori (ATAC, Battelli di Roma, ecc.); • affitto dei sottoservizi (fibre ottiche, ecc.); • organizzazione di eventi sulle sponde del Tevere; • ecc.
Non essendo possibile fornire una stima analitica di tali ricavi, sono stati assunti pari al 30% della somma dei ricavi dai parcheggi a rotazione e dagli spazi commerciali risultando, quindi, pari a circa 504.000 €/anno.
Per la valutazione del numero di passeggeri che potrebbero essere trasportati dalla Linea T, sono state considerate solo le 5 tipologie di traffico seguenti:
1. deviazioni dalla rete metropolitana; 2. deviazioni dalle linee di superficie; 3. deviazioni dal traffico stradale; 4. traffico turistico; 5. generazione di nuovi spostamenti.
20 Prezzo della prima ora di sosta in alcuni parcheggi di Roma (IVA compresa):
• Park Sì - Villa Borghese: 1,30 € • Parking Ludovisi: 2,20 € • Terminal Gianicolo: 1,50 €
21 Il valore differisce dal precedente a causa del minor numero di stazioni previsto (6)
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In via prudenziale sono stati considerati i valori minimi dei passeggeri previsti sui tratti di linee metropolitane considerate e, assegnando un peso pari al 50% per i due tronchi parziali, risulta che la domanda media deviata dalle linee metropolitane nell’ora di punta è pari a 2.000÷2.900 passeggeri/h.
Sono molte le linee di autobus potenzialmente interessate a deviazioni di passeggeri trasportati sulla Linea T. Considerando che la domanda nel corridoio della Linea T nell’ora di punta si attesta a circa 4.450 passeggeri/h (stima basata sull’analisi dell’offerta attuale) ed ipotizzando una capacità media dei veicoli di 90 passeggeri ed un coefficiente di riempimento di 0,9, ed ipotizzando, altresì, una deviazione del 20%÷25%, la domanda deviata risulta pari a 900÷1.100 passeggeri/h.
La rete stradale considerata utile per coprire il tracciato dalla Linea T è composta da due itinerari fondamentali:
1. i due Lungotevere destro e sinistro, ognuno per un senso di marcia; 2. la “Via Olimpica” che dalla Circonvallazione Gianicolense giunge a Ponte Milvio.
Si può stimare che i volumi di traffico su entrambi gli itinerari nell’ora di punta siano pari a 6.000 veicoli/h (stima prudenziale).
A questi vanno aggiunti moltissimi altri spostamenti intermedi che potrebbero essere effettuati con il mezzo pubblico (non essendo disponibili stime, tale quota è stata assunta pari al 20% di quelle dei grandi itinerari) ed ipotizzando un coefficiente di riempimento pari a 1,2 pass/auto, risulta che la domanda deviata dalla rete stradale è pari a 1.300÷1.900 passeggeri/h.
Anche i bus turistici rappresentano una domanda potenziale che potrebbe/dovrebbe utilizzare la nuova Linea T. Il flusso giornaliero di bus turistici si attesta tra i 500 e i 1.000 e considerando un coefficiente medio di riempimento di 40 passeggeri/bus e un valore per l’ora di punta di 100 bus, si arriva a valutare un movimento a 4.000 passeggeri/ora.
Considerando che una gran parte di questi viaggiatori è già organizzato e, dunque, non è potenziale utente del trasporto pubblico, ovvero se lo fosse, già sarebbe già stato considerato nei viaggiatori della metropolitana, si può ipotizzare un traffico medio nell’ora di punta pari al 15% nello scenario minimo e 20% in quello massimo, cioè pari a 600÷800 passeggeri/h.
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Considerando i numerosi spostamenti nella zona attraversata dalla nuova linea e l’elevata attrazione che la zona genera per nuovi spostamenti, con speciale riferimento al traffico turistico, non sembra azzardato ipotizzare una domanda generata del 15% pari a 700÷1.000 passeggeri/h.
In definitiva, la domanda di trasporto della Linea T, a regime, potrebbe oscillare, nell’ora di punta del mattino, tra 5.500 e 7.700 passeggeri/h. Considerando, inoltre, pari al 10% il traffico dell’ora di punta rispetto a quello giornaliero, risulta una domanda giornaliera media pari a 66.000 passeggeri/giorno.
Domanda di trasporto Linea T (ora di punta)
Pax/h Tipo di domanda
min max
1. Da linee metro 2.000 2.900 2. Da linee di superficie 900 1.100 3. Dalla rete stradale 1.300 1.900 4. Turistica 600 800 5. Generata 700 1.000
Totale 5.500 7.700 Media 6.600
L’analisi finanziaria condotta nello studio è stata elaborata a prezzi costanti su di un periodo di 24 anni, considerando 4 anni per la progettazione e la costruzione e 20 anni di concessione/esercizio. Il SRIF risultante è positivo e dimostra che l’investimento è sostenibile per gli investitori privati con un piano finanziario basato su una combinazione tra capitale di rischio (equity) e indebitamento bancario a lungo termine (mutui).
I vantaggi indotti dalla realizzazione del progetto proposto non sono certo limitati al miglioramento della qualità dell’aria, ma sono estesi al miglioramento complessivo della vivibilità di una vasta area tra le più importanti al mondo dal punto di vista culturale e artistico. A tutto ciò occorre aggiungere un aspetto di straordinario interesse paesaggistico derivante dal recupero dell’accesso diretto al sistema fluviale e da una innovativa definizione del sistema ambientale complessivo finalmente unitario tra il Lungotevere, la città storica ed il suo fiume, ricostruendo l’antica integrazione da troppi anni persa con i muraglioni. L’impatto sulle alberature esistenti, a differenza di altre proposte progettuali circolanti sui media, non sarà assolutamente elevato. Il tratto in galleria, infatti, non toccherà, se non in minima parte, i platani a dimora sul lato Tevere e solo alcuni limitatissimi abbattimenti saranno necessari sul lato opposto (dove il filare non è continuo e le piante sono risultate ammalate). La dettagliata conoscenza dell’esatta posizione del “collettore basso di sinistra“ tra Ponte Regina Margherita e il Ponte Palatino, che fu costruito insieme ai muraglioni all’inizio del 900,
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ha permesso ai progettisti di studiare un tracciato che evitasse totalmente il rischio di incontrare presenze archeologiche sovrapponendosi al tracciato del collettore. Tra le demolizioni già avvenute con la messa in opera del collettore, infatti, vi sono le spallette di raccordo con il Campo Marzio, del Ponte Elio (oggi Ponte Sant’Angelo), del Ponte Sisto e del Ponte Fabricio (all’isola Tiberina). Dal punto di vista della sostenibilità economica del progetto proposto è utile evidenziare quanto una specifica analisi SWOT del progetto ha registrato: Dalla seguente sintetica analisi SWOT si può dedurre che i punti di forza e le opportunità del progetto proposto siano di straordinario valore e superino facilmente e con evidenza i pur presenti punti di debolezza e rischi possibili offrendo alla collettività intera una soluzione potentemente sostenibile. Le principali criticità che lo studio ha evidenziato, infatti, e per le quali è stato già sviluppato un approccio preliminare per identificare soluzioni idonee a superarle, sono così sintetizzate: a. Attraversamento degli incroci stradali principali; b. Attraversamento degli incroci stradali in corrispondenza dei ponti sul Tevere; c. Esercizio del traffico veicolare durante la fase di realizzazione; d. Esercizio del servizio tranviario durante la fase di realizzazione; e. Strozzature; f. Interferenze e sottoservizi di rete; g. Eventuali preesistenze archeologiche; h. Problematiche ambientali; i. Disagi sociali; j. Difficoltà costruttive delle soluzioni tecniche adottate
Analisi SWOT (Punti di forza, debolezza, opportunità e rischi/minacce del progetto)
Punti di forza Punti di debolezza
• Importante contributo al sistema complessivo della mobilità della città di Roma
• Alleggerimento del traffico veicolare sui Lungotevere con deciso miglioramento degli attuali livelli d’inquinamento dell’aria
• Creazione di nuovi spazi per la sosta, sia di tipo pertinenziale che a rotazione
• Ricostruzione di un rapporto di scambio diretto tra la città storica e le adiacenti sponde del Tevere attraverso percorsi trasversali di accesso
• Sviluppo di nuovo terziario sulle sponde del Tevere senza, tuttavia, creare nuove volumetrie fuori terra
• Sviluppo dei servizi al turismo consentendo ai flussi provenienti dal sistema ferroviario e da quello aeroportuale di accedere direttamente all’area archeologica, al centro storico, al Vaticano e al fiume
• Cantierizzazione difficile in una zona nevralgica della vita cittadina
• Possibile contrasto con alcune politiche urbanistiche promosse recentemente dal Comune di Roma (sottopasso veicolare dell’Ara Pacis, parcheggio a Lungotevere Arnaldo da Brescia)
Opportunità Rischi/Minacce
• Interconnessione con la linea D (spostamento della stazione Sonnino)
• Integrazione con il sistema delle piste ciclabili • Integrazione con gli eventi estivi organizzati lungo le
sponde del Tevere • Integrazione con il servizio di navigazione del Tevere
• Possibili ritrovamenti archeologici in alcuni punti singolari
• Possibili interferenze dei manufatti con le spalle dei ponti storici
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Relazioni oikonomiche veicoli ‐ strade: città mobili su reti infrastrutturali Pier Giacinto GALLI (Terni)
Comunico che il mio libro intitolato PIANIFICAZIONE TERRITORIALE FREDDA ‐ SPATIAL PLANNING non è ancora stato stampato perciò ne riferisco alcuni aspetti che sono attinenti ai sette argomenti di questo Convegno celebrativo della XXX Giornata dell’Ambiente. L’opera è cresciuta intorno a una monografia, dal titolo “Un modello computabile che permette di selezionare un progetto preliminare attraverso l’ottimizzazione della rete stradale”, portata nel 2009 all’attenzione scientifica di esperti in Programmazione Matematica e in Ricerca Operativa, sia nazionali sia internazionali. Questa limitata diffusione del preprinting è stata consigliata da alcuni accademici Lincei che volevano condividere la mia dimostrazione matematica scaturita da un algoritmo ‐ generalizzabile ‐ messo a punto per fare la graduatoria delle “Convenienze” di tutti i tracciati stradali fattibili tra omologhe origine‐destinazione. La metodica scientifica TCR (Traiettoria Congruente di Rete) consente di selezionare il progetto di pubblica utilità calcolata e distinguerlo dai progetti alternativi di minor “Convenienza” (C = Benefici / Costi) …. La novità consiste nella capacità dell’algoritmo di selezionare freddamente il tracciato ottimale Conveniente di effettiva pubblica utilità; infatti, il modello omnicomprensivo è un “classico” non soggetto alle variazioni di clima e di mode culturali: la monografia commenta lo sviluppo dell’algoritmo presentato nel 1973 per i vari tracciati stradali Terni – Rieti e spiegato, passaggio per passaggio, nel biennio 2007‐2009, così da fornire un completo supporto didattico applicativo che, se fosse stato utilizzato per i possibili tracciati TAV Torino – Lione con riguardo ai rispettivi “livelli di servizio”, avrebbe potuto discernere la disinteressata soluzione non‐preconcetta incompatibile con le bollenti manifestazioni risultato degli equivocabili “studi partecipati” vecchio stile in val di Susa. Dal libro si evince come riorganizzare la dottrina urbanistica in base alla complessità degli algoritmi quantificatori di decisioni di pubblica utilità a vari livelli di approfondimento e dimensionamento qualitativo ‐ formale, che in fondo sono le positività su cui si fonda uno strutturalismo territoriale supplementare a quello architettonico di Pier Luigi Nervi. Come noto, Nervi aveva “fiducia nella naturale espressività estetica di una buona soluzione costruttiva” ben calcolata: la sommatoria di queste bontà dovrebbe abbellire, dall’interno, la forma cittadina, così come dall’esterno il disegno urbano “conveniente” è determinabile da questa logistica intelligente che è in grado di costruire ‐ in linea di principio ‐ l’ottimo strategico delle reti interurbane. Queste analisi quantitative cambiano il modo di progettare le spendite pubbliche, perché separano, da tutto quello che è fattibile in se, soltanto quello che conviene nell’insieme reticolare: pragmatica attuazione del controllo e del contenimento dei Limits to Growth paventati a iniziare dal 1972 (Peccei) e successivi aggiornamenti del 1987 (Brundtland), 1996 (Wackernagel), 2004 (Meadows), 2008 (Turner) che hanno concorso alle definizioni di “sviluppo sostenibile”. Ne consegue un’etica quantificabile, o dove e quando lo sia, non riguarda più quella morale ingeneratrice d’emozionali sensi di colpa bensì riguarda la fredda razionalità che, se non applicata, porta all’errore matematico, causa prima della rovina economica delle nazioni se non la pratichino come mezzo di civiltà giuridica e come cultura del primato del lavoro intellettuale che mette a sistema energia e territorio.
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A pagina 19 della versione italiana della monografia si legge «… l’effettiva determinazione della graduatoria delle Convenienze consiste nell’elencare i quoti fra dividendi (Benefici) e divisori (Costi dei Danni addendi ai Costi di costruzione): le implicazioni matematiche della ricerca di Convenienza, come quoto B/C, permangono asettiche in tutti gli eventuali intervalli di valori C>1, 0≤C≤1 e C≤0 nonostante C≤0 significa diseconomia (economia senza etica [praticabile soltanto da una “arte del possibile” non‐scientifica]) esplicata da un numeratore ≤0 privo di senso pratico e da un denominatore ovviamente >0; l’interpretazione d’ordine non‐privatistico ammette che “lo Stato non può fallire” ‐ assunto lo Stato ‘dispensatore’ d’inflazione ‐ banale proposizione per lasciare insoluta la stima del pubblico Danno indiretto il quale esiste distinto dal Danno diretto che F. Giannini (1974 [conversazione privata]) conglobava in un indistinto concetto di Danno, per altro indicato da V. Joffe (A.A. 1992/93) come divisore “Costo di riproduzione delle perdite di valore ambientale” (in seguito chiamato “Costo della mitigazione ambientale”, in modo eufemistico): così, sembra contato il Danno indiretto (ambientale non riproducibile), ma, sembra non direttamente (indirettamente) contato il Costo erariale del ritardo amministrativo, id est i Costi dell’incompetenza, della corruzione e per tacitare ‘i gruppi di pressione’, tutta materia per auditors.». È quindi superata l’etica come dottrina o indagine speculativa intorno al comportamento pratico dell’uomo di fronte ai due concetti di Bene e Male della morale professionale, deontologico insieme di regole che disciplinano l’esercizio di una determinata professione. Superata perché la filosofia o teoria di J. Bentham (1748‐1832), di porre l’origine e il fine della morale e del diritto nel principio utilitaristico, fa appunto intervenire la saggia sapienza della ragione con la sua esigenza di governare il limite edonistico o egoistico della concezione dell’utile che, per l’appunto, evolve in un principio quantitativo piuttosto che qualitativo, principio condivisibile nella formula secondo cui il Bene è la maggior felicità del maggior numero di persone. L’ingegneria è un’attività di pubblico interesse e quella Fordiana ha ‐ non a caso ‐ inventato l’autovettura utilitaria costruita in conformità a criteri di praticità e di economicità per prezzi e consumi. Uti = usare. Utile, vantaggioso, conveniente, aumentare il rendimento di un ‘motore’ = ridurre le resistenze passive, lubrificando, non col denaro che induce un rapporto corruttivo ‐ concussivo, ma recuperando calore (energia termica) o addirittura evitando di produrlo andando verso l’automobile elettrica. Non si tratta di un semplice dominio d’uso materiale ma anche morale. L’innovazione non è in contrasto con l’onesto e dovrebbe dare un ricavo insegnandola finché non diventi patrimonio di tutti; questo tipo d’insegnamento non è riconosciuto al pari dell’utile da prestito di denaro. Ciò è motivo dell’emigrazione intellettuale da questo Paese, dove chi resta a presidiare, si sente frustrato, esiliato in Patria finché non subentrerà l’età del calcolo della Convenienza che serve semplicemente a definire una graduatoria di progetti o di decisioni contenenti le corrette azioni di pubblica utilità, inseguite a parole o distorte da militanti e mercenari comunicatori del nulla strumentale. La metodica merita attenzione se non altro perché è stata concepita assai prima che la “trasparency” diventasse una parola d’ordine della “governance” con il “Memorandum for the heads of executive department and agencies” firmato dal presidente Barack Obama il 21 gennaio 2009. Infatti, sul finire del 2006, quando la Pubblica Amministrazione, “imparziale” paladina del ‘merito’, insabbiò il mio Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica,
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ricorso avverso ai tardo‐retrogradi criteri che avevano informato ‐ il Consiglio di Stato e il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) ‐ al finanziamento di un ambo di tracciati tra tutti quelli estraibili sulla ruota di una ‘nuova’ Strada Terni ‐ Rieti, allora presi la decisione di riscrivere, in modo sistematico e analitico, tutti i passaggi matematici della deterministica metodica. La monografia, che ne è scaturita, s’intitolava “Un modello computazionale concreto per selezionare il tracciato, di alternativi progetti, congruente col reticolo stradale: una pianificazione territoriale fredda”; è preceduta da un Abstract, concepito in lingua inglese, che traduco in italiano per riportarne la versione seguente: … è la riscrittura delle grandezze geometriche fisiche economiche ripartite lungo il grafo di tutti i percorsi infrastrutturali, quelli progettati e quelli pre‐esistenti ed è per l’appunto un apparato critico di considerazioni cognitive con precetti che ne conseguono. La dualità tra, teoria al fine di ottimizzare una rete autostradale per mezzo del selezionamento del tracciato stradale di pubblica utilità, e, teoria per selezionare il tracciato viario di pubblica utilità attraverso lʹottimizzazione di una rete autostradale, consegue dalle pagine 56÷59 in Atti delle Giornate di Lavoro dell’Associazione Italiana di Ricerca Operativa, Padova 12‐14 Novembre 1973, pagine che erano state accademicamente discusse prima che significassero ostilità ai malvagi finanziamenti politici non economici. «Un modello computabile che permette di selezionare un progetto preliminare ottimizzando la rete stradale: una pianificazione territoriale fredda» esprime la conclusione che, le NORME ITALIANE del 2006 FUNZIONALI E GEOMETRICHE PER LA COSTRUZIONE DELLE STRADE E DELLE INTERSEZIONI STRADALI (G.U. della Repubblica Italiana n.170 24‐07‐2006) non sono sufficientemente obbligatorie perché non impediscono di costruire lotti stradali progettati senza la necessaria verifica di compatibilità del grafo con la rete stradale cui il nuovo tronco stradale vorrebbe appartenere. In altre parole, dovrebbe entrare a far parte della preesistente rete stradale soltanto quel nuovo tracciato più “conveniente” perché il calcolo della Convenienza, C, determina l’ottimo grafo tra i vari progetti di massima messi a punto per il processamento algoritmico di confronto. La chiave risolutiva è il teorema: il tracciato origine‐destinazione di Pubblica Utilità è di maggior Convenienza relativa e ottimizza la rete stradale. Questa rivendicazione, datata 18 agosto 2007, è lʹestensione delle pagine 619÷621 dedicate al titolo “Collegamenti stradali e autostradali dellʹarea romana” in ATTI DEI CONVEGNI LINCEI 218 (2005), Convegno ECOSISTEMA ROMA [ (Roma, 14‐16 aprile 2004) con menzione di crudi MatCad‐calcoli del 17/11/1993]. Ciò è la conseguenza di tutti i passaggi matematici e delle complete spiegazioni operative per completare la comprensione di un algoritmo originariamente regolo‐calcolato. Mi riferisco alle originali formule riportate nella tesi di laurea pubblicata nel 1972 (“Collegamento stradale Terni ‐ Roma nell’ambito delle ipotesi di assetto territoriale” in Rassegna Economica della Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura di Terni, parte prima N.4 Luglio‐Agosto 1972; parte seconda N.5 Settembre‐Ottobre 1972) e alle stesse formule implementate nella bozza della «Teoria per la computazione÷selezione della traiettoria congruente dentro una rete‐supporto di un problema di trasporto», disponibile dal novembre 1973 negli Atti dell’AIRO. Suddetti passeggi e spiegazioni, snocciolati nella monografia, costituiscono una composizione lessicografica di dimensioni geometriche, fisiche ed economiche ripartite lungo gli archi del grafo che schematizza i cammini di “pre‐esistenti” linee di traffico e di “progettate” nuove strade alternative; le soluzioni senza precedenti, perché graduate, arco per arco, in termini di Quantità di Convenienza = Quantity of Suitability = (Benefici) * (Costi)‐1 = (Benefits) * (Costs)‐1 =
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C_origine_destinazione, hanno perciò aperto una frontiera per migliorare il simbolismo predisposto per espressioni concettuali in un più idoneo campo della Ricerca Operativa. La logica iterativa illumina i grovigli del grafo ‐ matrice dellʹalgoritmo ‐ con un’algebra molto semplice adatta per definire il complesso che è stato levigato dall’analisi dimensionale. La semplificazione terminologica dipende dallʹinnovazione che sistematicamente ha correlato le variabili di stato del traffico (velocità, flusso, densità [“Diagrammi di stato dei parametri del traffico”, pagg. 20‐21 in Elaborato per Concorso P. G. Galli {Classe 72/A} O. M. n.153 del 15 giugno 1999 – prot. n D1/3495 Terni 15 Gennaio 2000.]). Questa teoria applicata a una rete infrastrutturale omo‐modale è una circostanza di vera e propria logistica generalizzabile perché le “percorso‐sequenze” del “grafo‐modello” possono anche alludere al luminoso decadimento di effimere traiettorie appartenenti a frammenti di particelle con masse scemanti in proporzione alle assunzioni di corrispettivo portato economico‐energetico. (Aspetto, questo, ripreso in un paio delle undici appendici che integrano la monografia.) La lezione ha a che fare con un modello infrastrutturale pronto a lenire ministri per competenze: le considerazioni modellate non sono né una dialisi palliativa per quinte colonne che istituzionalizzano un bluff finanziario ‐ politico, né un’etichetta alla moda di pratiche per società di comodo o di un opportunistico accordo in più interiori speculazioni, perché i conseguenti precetti non possono ritardare l’inesorabile «legge zero della termodinamica» cui i tre omonimi principi e la bio‐economia sono naturalmente assoggettati. Il Centro Studi dell’Automobile Club Italiano era, negli anni ‘960, uno sponsor e promotore di ricerche su temi connessi a quello dell’odierno Convegno Linceo MOBILITÀ, TRAFFICO E SICUREZZA STRADALE. L’ACI, da qualche tempo, non ha studi di base in corso, forse perché gli studi di ricerca, che producono innovazioni concettuali, non sono programmabili o commissionabili giacché sortiscono in modo ‘inaspettato’ come il caso della mia monografia del tutto indipendente e originale. Oggi la Fondazione Caracciolo dovrebbe avvalersi di questo libro che ha come nucleo la nuova sintesi delle interdipendenze strada‐veicolo‐infomobilità ovvero il ritrovato lascito‐superamento di “Highway Capacity Manual 1965” tradotto dall’inglese e commentato dal mio mentore Franco Giannini e da Altri dell’allora Gruppo di Lavoro della Commissione Traffico e Circolazione dell’Automobile Club Italiano. La diffusione del libro PIANIFICAZIONE TERRITORIALE FREDDA ‐ SPATIAL PLANNING ricostituirebbe una continuità culturale interrotta con la prematura scomparsa del Professor Ingegner Franco Giannini che ‐ prima dei miei contributi agli Atti delle XXIX e XXX Conferenza del Traffico e della Circolazione di Stresa ‐ era stato ispiratore del Modello Matematico che ho ampliato, implementato e proiettato nel futuro ancora non raggiunto dai competenti ministeri del Tesoro e delle Infrastrutture. Il metodo quantitativo era stato preparato in previsione del cambio di marcia da fare nella fase d’esaurimento del boom economico italiano: ma fu trascurato e la marcia non fu innestata a causa del prevalere di un’economia politica propensa ad applicare la matematica all’aritmetica dei cosiddetti voti di scambio, anziché a spingere la ricerca operativa verso l’oggettività delle scienze naturali dove ciò che non è quantificabile può attendere finché non se ne scopra il teorema. In questo periodo sono diventati di moda, o meglio “attuali”, i convegni su ethics, su spending review, su smart cities, su smart modelling, smart networking, smart programming … su transportation
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innovation, … innovations, sustainable growth che sono alcuni dei contenuti rievocati e prelusi nei capitoli di PIANIFICAZIONE TERRITORIALE FREDDA, libro di una storia italiana estranea a quei pregiudizi sistemici che ostacolano l’inserimento di questo Paese nella mentalità dell’Europa continentale in competizione globale. La monografia, nocciolo del volume, è una chiave per dischiudere e storicizzare gli orizzonti filosofici della crisi economico‐finanziaria maturata nella sconsiderazione di metodi matematici come il nostro modello, esempio di strumento per far funzionare il processo della gestione del progresso strutturalmente concretizzabile nel sottinteso del programma quadro UE di portare la spesa per ricerca e innovazione al 3% del PIL. Le appendici spaziano da fatti concreti a considerazioni di frontiera scientifica, idee scaturite dalla miscelazione di fisica, matematica e topografia. La miscela ha dato luogo a una topologia consona, da un lato, ad accelerare la convergenza tra l’universo convenzionale e quello reale, e d’altro lato, a far evolvere la funzione matematica Uomo‐Urbanista verso una nuova concezione culturale. Concezione che riconsideri, tra l’altro, gli elementi mobili diffusi sulla rete infrastrutturale della città‐territorio, con taglie reticolari diverse, dove le lunghezze medie del trasporto di merci e/o di persone ‐ sui relativi percorsi ferroviari e di traffico tradizionale o del trasporto rotaia‐strada ‐ cambiano nelle rispettive scale urbano‐metropolitane, regioni‐peninsulari e macroregioni‐continentali.
Si comprende altresì come la stessa disposizione mentale (forma mentis, mind set) abbia isolato il “principio attivo” contro le decisioni pubbliche ascientifiche, principio che avevo isolato definendo un modello matematico per la guida di decisioni scientifiche, un algoritmo che però mi ha confinato dentro un ambiente intellettuale circoscritto da agenti patogeni della politica contro cui ho resistito convertendomi all’insegnamento, per sopravvivere. Sì tratta del “principio attivo” utile a decisioni pubbliche scientifiche, dell’algoritmo tacciato come difettoso dai puristi della discrezionalità assoluta che annida di tutto: dall’ostracismo al nomoteta Ermodoro di Efeso (sec. V a.C.) tramandato con un frammento di Eraclito (535 – 475 a.C.), alle calunnie larvate nelle molteplici variazioni aziendalistiche imitanti l’aforisma «Chi sa non parla, chi parla non sa», di Lao‐tzu “immortale” contemporaneo di Confucio (551 – 479 a.C.). Infatti, non a tutti piace una ‘semplice’ “cartina di tornasole” indicatrice del grado di coordinamento e d’efficienza delle separate giurisdizioni che amministrano la polis! Il libro pecca d’insistere su un caso rappresentativo, perno di una scientifica estrapolazione che mostra in filigrana la trasversalità di tutte le parti politiche indistintamente responsabili d’intendere i lavori pubblici come mezzi, di generica emunzione, prioritari rispetto a specifici quanto indeterminati fini strategici di pubblica utilità.
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Progetto ELEbici@Roma3 Stefania ANGELELLI (Università di Roma Tre)
Obiettivo del progetto Il progetto ELEbici@Roma3 si propone tramite un accordo fra Enel Green Power e lʹateneo di Roma Tre di dare impulso e sviluppo alla mobilità elettrica nel settore delle biciclette a pedalata assistita attraverso una sperimentazione nella città di Roma. Durata del progetto La sperimentazione avrà la durata di 18 mesi per poter raccogliere i dati relativi almeno ad un anno solare intero di 12 mesi e poter inoltre apprezzare la differenza di utilizzo da un anno allʹaltro; escludere cioè lʹeffetto novità. Saranno disponibili 2 rapporti intermedi e uno finale: il primo dopo 6 mesi sulle attività dei primi 4 mesi; il secondo dopo 14 mesi sulle attività del 1 anno; l’ultimo e definitivo dopo 20 mesi sull’intero progetto di 18 mesi; Partecipanti Il progetto ELEbici@Roma3 prevede la partecipazione di Enel Green Power per quanto riguarda la messa a disposizione di 30 biciclette a pedalata assistita, e la partecipazione dellʹateneo di Roma Tre che mette a disposizione studenti che utilizzano le bici e raccolgono i dati relativi alla loro sperimentazione. In particolare il progetto ELEbici@Roma3 si rivolge a studenti universitari di 3 aree tematiche (facoltà) diverse: Architettura Urbana (ArchiUrba), Economia Ambientale (EcoAmbi), Ingegneria Trasporti (IngeTra). Sono previsti 10 studenti per ogni area tematica, coordinati da un docente di riferimento della stessa area tematica. Per gli studenti di Architettura il coordinamento dell’area tematica viene affidato al Prof. Mario Panizza, per gli studenti di Economia il coordinamento dell’area tematica viene affidato alla Prof.ssa Maria Claudia Lucchetti e per gli studenti di ingegneria il coordinamento dell’area tematica viene affidato al Prof. Stefano Carrese. Per l’ateneo di Roma3 il progetto viene diretto dal mobility manager Arch. Stefania Angelelli con il supporto scientifico del prof. Ing. Stefano Carrese. Attività del progetto Il progetto si compone principalmente di 3 attività: sperimentazione, analisi e progetto. Mentre la prima fase di sperimentazione segue un programma di rilevamento comune a tutte e 3 le aree tematiche, le successive attività di analisi e progetto seguono obiettivi e metodologie diverse secondo l’area tematica. 1 Sperimentazione Ogni utilizzatore di bicicletta a pedalata assistita svilupperà una analisi dell’uso quotidiano, settimanale e mensile secondo la metodologia dei “diari di viaggio”. In figura 1 viene rappresentato un esempio parziale di diario di viaggio relativo ad un singolo spostamento.
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INFO VIAGGIO INFO TECNICHE INFO ECONOMICHE
ORIGINE DESTINAZIONE FASCIA ORARIA KM TEMPI min
VELOCITA' km/h
Pendenza %
Motivo Spostamento
Ciclabili %
TEMPI ricarica h
consumo %
SPESA (consumo * costo kwh 0.15* tempi ricarica)
RISPARMIO (costo in auto 0.15 euro a km – ‐ spesa elettrica)
PERCORSO
Casa Via…
Lavoro Roma3
8.00‐9.00 am 15 60 15 5 lavoro 90 3 40 0,18 2,07 ltvr da ponte milvio a ponte marconi
2 Analisi I diari di viaggio nel loro insieme vengono poi analizzati dai 3 gruppi di studio, afferenti ciascuno ad un area tematica diversa Architettura Urbana (Archiurba), analisi comportamentale del sistema uomo‐territorio compreso il riconoscimento sociale derivato dall’uso della Bicicletta a pedalata assistita. Economia Ambientale (Ecoambi), analisi economica del sistema eco‐ambientale e sue ricadute in termini di benefici economici esterni. Ingegneria Civile e Trasporti (InCiTra): analisi tecnico‐economica del sistema di trasporto e sue ricadute sul sistema della mobilità locale. 3 Progetto Ognuna delle 3 aree tematiche, secondo le analisi che ha sviluppato, procederà a formulare proposte o progetti per la tematica di interesse. Iniziative comuni e interconnesse fra aree tematiche diverse sono benvenute soprattutto se partono dagli studenti e portano a elaborazioni di rapporti tecnici, tesi di prova finale e tesi di laurea. Il progetto nel corso del suo sviluppo potrà allargarsi e includere altre iniziative in corso o da sviluppare nell’ambito del Bike sharing all’interno dell’Ateneo.
Architetture della mobilità: flussi e infrastrutture Paolo Fiamma (Università di Pisa)
1. Introduzione Statica e dinamica, luogo e percorso, stasi e mobilità non sono sempre concetti contrapposti nella ricerca e nell’attività dell’uomo (nonostante l’affermazione che la nostra sia divenuta oramai una vita “di corsa”). In Architettura, per esempio, è stata cercata spesso una sintesi, concettuale prima che costruttiva, fra i due termini, come significati complementari (M. Sacripanti, 1973). Proprio ai nostri giorni l’importanza, anche strategica, degli interventi sul territorio, dimostra in modo crescente, la necessità di realizzarli a partire da un’integrazione di conoscenze, che deve rispondere a nuovi livelli di crescente complessità. Oggi viviamo in un ambiente che tende a divenire sempre più “unitario” nel modo di essere concepito e modificato. Flusso e manufatto definiscono realmente, senza paradossi (Fig. 1), Architetture della mobilità a diversa scala.
2. Architettura e Mobilità Non è una mera giustapposizione di elementi e di funzioni, l’Architettura indica, evidenzia, esalta la mobilità: come nell’icona dell’Autogrill (L. Greco, 2010). Una tipologia che esprime nettamente l’idea dellʹattraversamento statico, a ponte, del flusso dinamico: il traffico sull’autostrada. E’ un’Architettura che permette a chi viaggia un momento di sosta, di tempo, per guardare (durante un pranzo, rilassati) il movimento di cose e persone, la ʺvelocitàʺ, lo sviluppo economico di quegli anni. L’autogrill sullʹautostrada Milano ‐ Torino, a Veveri vicino a Novara, progettato nel 1962 dallʹarchitetto Angelo Bianchetti (Fig. 2) è un’icona della rinascita economica italiana, con la snellezza e l’eleganza della struttura è sinonimo di modernità e di progresso. Quest’idea di sviluppo è simboleggiata con forza nella concezione costruttiva dell’Autogrill Pavesi del 1958 a Villoresi, vicino a Lainate, coniugando lo slancio della struttura arcuata con la funzionalità della copertura appesa (Fig. 3,4).
Opere architettoniche che osservano la mobilità.
Fig. 1,2 Canale impossibile, Escher M.C. - Autogrill Pavesi presso Novara, Bianchetti A., 1962
Fig. 3, 4 Autogrill Pavesi presso Lainate, Bianchetti A., 1958: vista d’insieme e particolare della torre
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3. Architettura della mobilità Altre opere accolgono e ospitano questa mobilità: l’infrastruttura di un parcheggio può diventare tema per le star dell’architettura. Come il “garage” progettato dallo studio Herzog & de Meuron a Miami Beach in Florida e costruito dal 2008 al 2010, denominato: “1111 Lincoln Road” (Fig. 4a). Questa’opera evita certamente di adottare stereotipo del parcheggio tradizionale. E’ ispirata, invece, al Modernismo Tropicale con una struttura aperta, di cinque piani, senza pareti esterne, con forti differenze d’interpiano che coniugate ai pilastri e setti in cls. armato che sembrano contrafforti, per un effetto complessivo che potrebbe ricordare un castello di carte. I piani sono d’altezza variabile (Fig. 4b) secondo le funzioni ospitate: parcheggi e attività commerciali; al centro della pianta (Fig. 4d) sono disposti i collegamenti verticali per le persone: ascensori e scala (Fig. 4c); le rampe per le automobili sono di pendenza variabile per assorbire le differenze d’interpiano. Al piano terra si trova la piazza con giardini acquatici, percorsi e aree verdi, dove la varietà di arbusti locali, palme ed erbe piantumati realizza una radura urbana che porta il verde nell’ambiente costruito. L’edificio risulta ben areato e illuminato grazie all’energia prodotta dai pannelli solari inseriti sul tetto. La concezione e costruzione dell’opera può essere esempio della trasformazione dei segni formali dei progettisti dalla semplicità purista (per esempio di forme rettangolari) alla ricerca di forme più complesse e dinamiche. Mobilità su ruote e mobilità pedonale coesistono all’interno della stessa architettura. C’è interazione di ambienti e di percorsi dovuta alla presenza nell’edificio anche di una libreria, un negozio sportivo e un outlet e le aree per gli eventi speciali, come pranzi di nozze e degustazioni di vini. La struttura, infatti, è in grado di offrire agli utenti ampie visuali; da ogni parte si susseguono viste diverse della zona di South Beach e il valore panoramico è ritenuto un valore aggiunto dagli utenti.
Fig. 4 a,b,c,d Herzog e De Meuron, Il garage "1111 Lincoln Road", Miami Beach, California,Usa. L’opera architettonica è divenuta ormai un’attrazione turistica (J. P. McBrien, 2012) la meta per architetti e ingegneri che ne vogliono studiare le caratteristiche, il luogo per l’organizzazione di eventi
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promozionali a livello internazionale, che utilizzano l’orizzontamento più alto. Le critiche più ricorrenti considerano il garage non sufficientemente protetto contro le tempeste di pioggia del Sud della Florida; e il forte interesse di cui è oggetto scarsamente incidente sull’incremento turistico per la spiaggia di Miami. L’opera architettonica per contenere il movimento per cui è realizzata può arrivare a un passaggio di scala, divenendo tout‐cour percorso. L’architettura ordina la mobilità. Il tema progettuale è ampio (come architettura) e complesso (come mobilità). Il Terminal 4 dell’Aeroporto di Barajas, a Madrid, (Fig. 5a) rappresenta un esempio significativo per i suoi quattrocentosettantamila metri quadrati progettati dallo studio di Richard Rogers. Una percorrenza a perdita d’occhio che si riflette bi univocamente nella copertura ondulata che rappresenta l’elemento più forte dell’edificio, sorretta da pilastri che sembrano alberi strutturali. Nel più trafficato Hub spagnolo, ovviamente, si amplificano i percorsi, le utenze, le intersezioni, le interazioni, in verticale: ascensori e scale mobili e in orizzontale: tapis roulant. Per una fruizione ottimale, la luce naturale diviene un elemento fondamentale, valorizzato oltre che dalle consuete vetrate strutturali di facciata, anche dalla conformazione della copertura (Fig. 5b), modellata secondo un’ondulazione continua, che conferisce unʹatmosfera di leggerezza e ampiezza, amplificata dai grandi pozzi luce che, forando con cadenza regolare il tetto ‐ internamente ricoperto di strisce di bamboo smaltate con colori primari ‐ illuminano lʹinterno dellʹedificio. I materiali utilizzati per la costruzione dellʹaeroporto sono principalmente cemento armato, acciaio inox e cristalli; infatti condizioni di luce e trasparenza tra i vari livelli consentono ai passeggeri di orientarsi meglio. Questa realizzazione riceve nel 2006 il premio Stirling per il disegno architettonico e lʹuso di materiali che rispettano lʹambiente.
Fig. 5a,b Terminal 4, Airport of Barajas, Madrid, exterior and interior, Richard Rogers and Estudio Lamela, 2006
4. Architettura dalla mobilità Il senso di percorrenza, di movimento, di flusso arriva a concepire l’opera architettonica non solo come contenitore muto di queste dinamiche ma come intrinsecamente derivante dallo sviluppo di una propria “mobilità”. Nell’Architettura attuale molti sono gli esempi e probabilmente uno dei più conosciuti è quello del MaXXI realizzato a Roma da Zaha Adid. Un Museo è certamente un luogo ma allo stesso tempo percorso: può essere progettato e costruito come un’architettura generata anche dall’idea di flusso. Il Guggenheim Museum realizzato da F.L. Wright a New York è una delle icone più famose di questa concezione, nascendo, nello stesso tempo, come “luogo” e “percorso”, coniugati lungo la forma a spirale definita dalla funzione espositiva. Zaha Adid amplifica, grazie anche alle nuove tecnologie, la possibilità di realizzare opere, dove il concetto di flusso plasma l’idea architettonica, che è concepita proprio come movimento. Composizione formale e tecnica costruttiva si coniugano in una realizzazione dalle forti connotazioni sperimentali.
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Per la messa in opera del cemento armato faccia vista è stato appositamente studiato e (brevettato) un calcestruzzo auto‐compattante ‐ Scc: self compacting concrete ‐ gettato a pressione poiché praticamente liquido grazie ad un additivo superfluidificante. La miscela individuata a permesso di conferire alle pareti del museo un aspetto marmoreo senza riprese come accade, invece, normalmente nelle opere in calcestruzzo armato. Altre soluzioni adottate sono state elaborate come prototipi: per esempio, le vetrate della copertura che filtrano la luce del sole evitando così che colpisca direttamente lʹopera dʹarte. Alcune caratteristiche dell’intervento sono da evidenziare anche per la loro valenza
metodologica: il costante dialogo con i progettisti e con il Provveditorato Regionale alle opere pubbliche; la continuità dei lavori perseguita per non perdere le maestranze qualificate nonostante la discontinuità dei finanziamenti; la realizzazione di modelli in scala delle vetrate della copertura con lo scopo di verificare lʹeventuale presenza di conflitti non prevedibili in sede progettuale. Il risultato finale (Fig. 6a) è un’architettura dal forte impatto scenico: linee curve, volumi flessuosi, scale dall’aspetto plastico, scultoreo, una generale morbidezza e sinuosità sottolineata dall’interazione di luce naturale e illuminazione artificiale (G. Racanà, 2010). L’ambiente interno risulta fluido (Fig. 6b), dotato di un movimento che si coniuga con la mobilità dei visitatori.
Fig. 6a,b Museo MAXXI, Zaha Hadid, Roma, 2009: plastico d’insieme e vista interna
Queste Architetture dimostrano come si stia definendo, progressivamente, un’idea di mobilità concepita, in nuce, come propensione al movimento di un ambiente spazio‐temporale o al movimento che avviene al suo interno, fissati nell’opera realizzata, che ne diviene dimensione attuativa. 5. Architettura nella mobilità
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Oggi l’ambiente antropizzato è indagato a diverse scale, compresa quella architettonica, come un sistema di funzioni, sparse o raggruppate, di diverse tipologie di utenti, di precise gerarchie dei volumi e dei percorsi, così che emerge il concetto di mobilità da riscoprire come attitudine dell’utente (G. Melchiorre, M. Capriotti, 2005), prima che come criterio di progetto. Questo concetto ha molte declinazioni operative. Una delle applicazioni più diffuse consiste nella verifica delle scelte tecniche progettuali e costruttive, in questa dimensione di mobilità. Per esempio in base alla reale possibilità di sussistenza nelle misure degli spazi del manufatto dei flussi programmati, nell’interazione nei percorsi degli utenti, nella loro necessità di evitare ostacoli, nella correttezza delle visuali, nella rispondenza ai requisiti, nella fruizione in sicurezza dell’edificio (Fig. 7a). E’ l’estensione o la riproposizione del concetto di diagramma come intermediario del processo di generazione fra spazi reali e tempo (P. Eisenman, 2001).
Fig. 7a,b Verifica analitica dell’area d’interazione di pedoni e di veicoli: all’interno e all’esterno di un edificio Così
Un’opera architettonica può essere concepita pervasa dai flussi interni che permettono di viverla e anche dai flussi esterni che la rendono parte viva del contesto (Fig. 7b): non solo macro‐flussi come quelli, per esempio, dell’architettura degli aeroporti, ma anche micro‐flussi propri del quotidiano in edifici o aggregati urbani. Il soggetto del movimento si modifica, la sua modellazione analitica varia, ma il principio d’interazione permane Per questa ragione la ricerca sulla micro simulazione dinamica, tende a progettare e validare reali flussi di traffico pedonale e carrato in relazione a scenari architettonici e urbani variabili, esistenti o di progetto (Fig. 8a,b). Per un edificio importante, come per un flusso veicolare, si calcola il numero di soggetti in ingresso, le caratteristiche della loro mobilità, l’attitudine a seguire percorsi predeterminati o a modificarli, fino agli scenari previsionali al variare dei parametri stabiliti e l’interazione con accadimenti improvvisi come incendi di edifici o incidenti stradali. In questa complessità di dati e variabili, sta diventando sempre più strategico disporre di metodologie e tecniche innovative e affidabili, in grado a trasmettere, in modo sintetico, elementi di conoscenza e risultati, anche per i non addetti ai lavori.
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Fig. 8 a,b Risultati del calcolo analitico di flussi di mobilità nel contesto architettonico e urbano: casi di studio: progetto e verifica di un intervento di recupero e di un insediamento residenziale
Aumentando la scala e la complessità dell’intervento aumenta l’esigenza di questa concezione unitaria prima ancora della sua verifica. Oggi sarebbe necessario vagliare questa visione alla luce della cresciuta e crescente problematica generata dai flussi di persone e veicoli nell’ambiente costruito, che richiedono metodologie e tecniche in grado di offrire nuove potenzialità e di gestire quelle esistenti, secondo principi e metodiche d’integrazione progettuale e costruttiva, come il calcolo dei rumori e dell’inquinamento atmosferico associato ai flussi stessi, che offre, inoltre, dati utili per rispettare i requisiti previsti per i nuovi edifici. Il concetto di flusso assume in Architettura significati differenti e articolati (M.A. Crippa, 1996): molte opere recenti hanno contribuito a sviluppare quello di una mobilità fluida, realizzata con mezzi e scale differenti, interagenti fra loro e con l’ambiente: tema di piena attualità per la sua scalabilità e la necessità di ottimizzare le scelte secondo criteri di sostenibilità energetica. Se dunque il movimento si progetta, può divenire parte di un unico quadro nel quale si relazione con la stasi non in contrasto o in giustapposizione ma in modo biunivoco e progressivamente unitario. Una visione che, già nel 1934, F.L. Wright esprimeva nell’ideazione di Broadacre City (D. Larkin, B. Brooks Pfeiffer, 2005): la visione di un territorio della mobilità, esteso e omogeneo presente “dovunque e in nessun luogo”, la cui qualifica formale è affidata al singolo elemento architettonico e non più al generale disegno urbano. Un’intuizione compositiva basata quindi su un’idea quasi illimitata della mobilità individuale.
6. Conclusioni Architettura e mobilità rappresentano un binomio che assume oggi diverse valenze. Le opere architettoniche realizzate lungo le autostrade, per esempio, ma anche molte altre costruite per le infrastrutture dei trasporti, sono ormai solo dei simboli muti del passato economico italiano o possono contribuire a rappresentare uno stimolo per la conoscenza e la ripresa di una nuova condizione di crescita? Nella loro realizzazione furono per esempio introdotti elementi d’interesse per lʹadozione di dispositivi progettuali e costruttivi inediti. La mobilità include il senso del movimento e quindi di una componibilità dei percorsi e degli spazi: ne risulta un appesantimento delle procedure tradizionali o un principio da seguire per sviluppare in modo armonico interventi a diversa scala, che richiedono quindi conoscenze interdisciplinari? Progettare il movimento in Architettura significa anche potersi misurare con la variabile tempo, come principio validante le funzioni assegnate al manufatto, per raggiungere nuovi standard di funzionalità, efficienza, sostenibilità e bellezza. In ogni caso, prima della verifica di requisiti tecnici, di afflussi o deflussi di utenti e dei loro mezzi, di valori estetici o compositivi, la mobilità sottende il concetto di rapporto, d’interazione. Come una superficie vetrata che favorisce la relazione interno – esterno, oggi vi sono ricerche in Architettura che sviluppano questo concetto, in relazione a tecniche progettuali e costruttive che consentono ad ingegneri ed architetti di ottenere relazioni spaziali da movimenti nel tempo: mobilità endogena e d’interazione con l’esterno. Alcune tipologie di edifici complessi, come gli aeroporti o le stazioni di scambio fra diversi mezzi di trasporto, sono più facilmente oggetto di nuove sperimentazioni (Fig. 9 a,b).
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Fig. 9 a,b Progettare il sistema: architetture complesse, flussi di mobilità, insediamenti territoriali:
Paris Charles De Gaulle Airport; Passenger Terminal Building, Edit! Architecture, Hong Kong, 2011
Ritengo che il rapporto Architettura e Mobilità si svilupperà, progressivamente, nei prossimi anni. Non sarà solo per un automatismo derivante, per esempio, dalla realizzazione di architetture su grande scala, che interesseranno interi quartieri; e nemmeno, viceversa, per un concetto di flusso considerato criterio proprio dell’ideazione e della costruzione di edifici di grandi dimensioni. Il motivo deve essere ricercato, piuttosto, nella crescente considerazione dell’importanza di una visione unitaria dell’azione dell’uomo sul territorio. La visione di una maglia di percorrenze che definisce gli spazi per l’architettura sembra non riesca più ad aggiungere alcuna soluzione innovativa alle note problematiche d’insediamenti storicizzati da riqualificare per la loro salvaguardia; e nemmeno alle cogenti necessità della nuova edificazione. Certamente innumerevoli sono gli esempi di opere di “architettura in movimento”, o di “movimento dell’architettura” (K. Jormakka, 2002; M. J. Gorman 20005); eppure il concetto di “mobilità” appare ‐ tout court – come “esterno” al fare architettura. Concetto che, probabilmente, potrà essere sempre meno attuabile, se ridotto a mera intenzionalità o al tentativo di ottenere un’attribuzione di significati all’opera architettonica. Per queste ragioni, risulta da approfondire, il concetto di movimento come uno dei tanti fattori sui quali può basarsi la concezione progettuale e costruttiva. Nuovi risultati si potranno aggiungere se sarà speso un concetto di mobilità, definibile e misurabile, che contribuisca al raggiungimento dei risultati attesi, per esempio in termini di rispondenza dell’opera finale ai requisiti. Al pari di quello di funzione e di requisito, anche il concetto di flusso, se scientificamente inteso, può svilupparsi nel cuore della concezione e della costruzione dell’opera architettonica, che risulterebbe, a sua volta, in grado di acquisirlo, divenendone quasi la sua “infrastruttura” di attuazione.
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