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Stagione 2016 — 2017 Musica classica, cultura per tutti. Auditorium Rai, Torino 16–17/3 17 2017 Giovedì 20.30 – Venerdì 20.00 Direore Dima Slobodeniouk Violino Baiba Skride Liszt Szymanowski Sibelius Ravel

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Stagione 2016 — 2017

Musica classica,cultura per tutti.Auditorium Rai, Torino

16–17/317

2017Giovedì 20.30 – Venerdì 20.00

Direttore Dima SlobodenioukViolino Baiba Skride

LisztSzymanowskiSibeliusRavel

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GIOVEDÌ 16 MARZO 2017 ore 20.30

VENERDÌ 17 MARZO 2017 ore 20.00

Direttore Dima Slobodeniouk Violino Baiba Skride__________Franz Liszt (1811-1886)Danza nella taverna del villaggio (Mephisto-Walzer) Secondo dei “Due Episodi dal Faust di Lenau” (1868/81)

Allegro vivace, quasi presto – Vivace fantastico – Molto vivace, selvaggiamente

durata: 10’ ca.

Ultima esecuzione Rai a Torino: 15 giugno 1990, Antoni Wit.

Karol Szymanowski (1882-1937)Concerto n. 1 op. 35 per violino e orchestra (1916)

Vivace assai - Molto tranquillo e dolce - Vivace assai - Tempo comodo. Andantino) - Lento assai - Largo - Lento - Vivace scherzando - Tempo comodo. Allegretto.

durata: 24’ ca.

Ultima esecuzione Rai a Torino:27 febbraio 2009, Yutaka Sado,Frank Peter Zimmermann._________________________

Jean Sibelius (1865-1957)La Tempesta op. 109. Musiche di scena per il dramma di Shakespeare (1925)brani scelti dalle Suite n. 1 e 2

1. La quercia. Andante sostenuto2. Humoresque. Allegro comodo3. I mietitori. Allegro4. Coro dei venti. Largamente assai5. Canone. Allegro6. Scena. Allegretto7. Danza delle ninfe. Allegretto grazioso8. Prospero. Largo

17°

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Il concertodi giovedì 16 marzoè trasmessoin collegamento diretto su Radio 3, per il programma “Radio 3 Suite”.

9. Canzone I. Allegretto moderato10. Canzone II. Un poco con moto11. Intrada - Berceuse. Largo - Andante

sostenuto12. Interludio. Canzone di Ariel. Poco

adagio13. La tempesta. Largo

durata: 33’ ca.

Prima esecuzione Rai a Torino

Maurice Ravel (1875-1937) La Valse, poema coreograficoper orchestra (1919)

Mouvement de valse viennoise

durata: 12’ ca.

Ultima esecuzione Rai a Torino:20 dicembre 2013. Juraj Valčuha

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Franz LisztMephisto Walzer

All’interno del complesso disegno dedicato da Liszt al Faust, il ritratto del personaggio viene offerto, secondo una predispo-sizione cara al musicista, attraverso lo schema delle visioni giustapposte. Come era già avvenuto nella Faust-Symphonie, in cui il protagonista e Mephistopheles erano presentati come componenti della stessa identità, il dualismo lisztiano si ripro-pone anche nei Due episodi tratti da Lenau.La fonte non è più Goethe dunque, ma una rielaborazione romantica della leggenda tedesca, scritta da Niembsch von Strehlenau, autore ungherese di nascita, austriaco di adozio-ne, operante nella prima metà del XIX secolo e noto con lo pseudonimo di Nikolaus Lenau. Da questo lavoro sono estra-polate le due scene più significative, il Corteo notturno e la Danza nella taverna del villaggio (Mephisto Walzer): a Liszt sem-bra interessare assai relativamente il pessimismo che contrad-distingue il poeta e che porterà di conseguenza anche Faust alla dannazione; più importanti sono le sollecitazioni di alcune immagini. […]Con la Danza nella taverna del villaggio – dove si sta festeg-giando un matrimonio – l’atmosfera muta completamente. È una musica ricca di ambivalenze, di contrasti, predisposta al demoniaco, che trova una sua ispirazione, lontana e ideale, nel clima e nei modi del Don Giovanni mozartiano.La danza, vorticosa, viene introdotta da una insistita figurazio-ne ritmica, che presto si articola su di un pedale costituito dal bicordo mi-si; altri, sempre legati da rapporti di quinta, si so-vrappongono.Il piglio è aggressivo, primordiale, la materia musicale è allo stato quasi magmatico.Liszt lascia a lungo imprecisata la tonalità di partenza: questa sembrerebbe ora aprirsi al minore, ma, imprevedibilmente, l’en-trata del tema, marcatissimo, la trasforma in maggiore. Il flauto ora si arresta per lasciare spazio ad un episodio lirico: le armo-nie cromatiche, in un impasto quasi skriabiniano, accompagna-no la figura di Faust seduttore di una bella paesana. Il momento meditativo, talora turbato dai ricordi del tema della danza e da progressive amplificazioni timbriche e ritmiche, viene conclu-so dalle linee del flauto e dalla cadenza svolta dall’arpa; segue un ultimo scatto ritmico che conduce – come suggerisce Liszt stesso – gli amanti ad affondare nell’oceano del desiderio.

Giulio Sardi(dagli archivi Rai)

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Karol SzymanowskiConcerto n. 1 op. 35 per violino e orchestra

Sirene al violinoPare che sia stato proprio il Glinka di Ruslan e Ljudmila a sti-molare l’immaginazione creativa di Karol Szymanowski. In una Polonia rimasta orfana di Chopin e del suo genio emigrato a Parigi, il vento dominante soffiava dai confini, dalla Russia e dai paesi di lingua tedesca. Era inevitabile che un giovane mu-sicista, nato in una ricca famiglia di proprietari terrieri, sentisse il desiderio di conoscere ciò che accadeva al di là della fron-tiera. Nei primi anni del Novecento a Vienna avvenne l’incontro con il Lohengrin e la Carmen; e poco dopo a Kiev il coup de foudre scoccò per la grandiosa opera di Glinka. Szymanowski, dall’alto della sua posizione sociale elevata, po-teva permettersi il lusso di avere uno sguardo cosmopolita sui fatti della vita e dell’arte. E così, terminati gli studi nel 1904, si mise a girare l’Europa, alla ricerca di quel viaggio di formazio-ne che nemmeno Chopin si era potuto permettere. A Vienna assistette nel 1913 alla prima esecuzione austriaca di Petruška; a Londra un anno dopo conobbe Stravinskij; e tra il 1908 e il 1912 si spinse addirittura verso Sud, conoscendo prima i tesori della Sicilia, poi le culture incontaminate dell’Africa settentrio-nale. Fu con questo istinto votato all’apertura antropologica che Szymanowski cominciò a dedicarsi alla composizione: le radici della tradizione popolare polacca e le ali delle esperien-ze musicali conosciute lontano da casa. Nell’Europa dei primi del Novecento, sempre più composita nella definizione del suo DNA culturale, un artista maturato con quei presupposti non poteva che incontrare successo. Fu in particolare la conoscenza del virtuoso Pawel Kochański a stimolare l’interesse di Szymanowski per il repertorio violini-stico, con opere avanzate sotto il profilo armonico come Mity o Nokturn i Tarantella (1915). Ma fu con il Concerto n. 1 op. 35 – eseguito per la prima volta a Varsavia nel 1922 con l’interpre-tazione solistica di Józef Ozimiński – che Szymanowski si im-pose davvero all’attenzione di tutti. L’ispirazione venne da un poema di Tadeusz Miciński, intriso di misticismo; e l’apertura lo dichiara a chiare lettere, materia-lizzando un tessuto orchestrale puntillistico, che profuma di magia e di esoterismo. Proprio negli anni in cui l’Europa pul-lulava di movimenti occulti (basti pensare ai circoli della Parigi debut de siècle, ai contatti con l’ordine rosacrociano di Satie

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e Debussy, al Poema dell’estasi di Skrjabin), Szymanowski la-vorava sul suono con la raffinatezza di un alchimista. Il violino, all’inizio del Concerto svolazza su una melodia incantatoria come un sinuoso movimento per cerchi concentrici. È come se Szymanowski cercasse la visione del magma, un tessuto profondamente tellurico da cui si elevano scintille abbaglianti; la melodia principale non fa che amplificare questo senso di astrazione visionaria, muovendosi con la languida morbidez-za che caratterizza le idee pericolose ma nello stesso tempo affascinanti; note rubate al canto delle sirene, alla nebbia che cala su ogni riflessione razionale. La forma concatena un di-venire di immagini in continua evoluzione: il movimento è uno solo, ma gli stati emotivi non si cristallizzano mai in unasuggestione statica. Non mancano alcuni flash di popolarità tellurica, né colossali distensioni da poema sinfonico; ma tutto tende a sublimarsi in una tonalità allargata, che investe l’ascol-tatore come un profumo inebriante e malizioso.

Andrea Malvano(dagli archivi Rai)

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Jean SibeliusBrani dalle Suites estratte dalle musiche di scena per La tempesta op. 109 (da Shakespeare)

La Tempesta di Shakespeare abbonda di passi esplicitamente musicali, perché la dimensione favolistica della vicenda, con la presenza determinante della magia, sembra espressamen-te richiederli: “Non abbiate paura. L’isola è piena di rumori, di suoni e di dolci melodie che arrecano piacere e non danno fa-stidio” esclama ad un certo punto Calibano (III,2). La musica infatti fa parte dell’isola in cui è stato relegato il protagonista, è elemento costitutivo di quel mondo. È soprattutto la figura del folletto Ariele che, come estrinsecazione dei poteri magi-ci di Prospero, non può non muoversi, con la sua impalpabile leggerezza, accompagnato dalla musica: per di più agisce tal-volta in modo invisibile, adeguandosi così proprio a quanto, come i suoni, non è per sua natura percepibile alla vista. Con la musica pertanto la rivalsa di Prospero viene ad acquistare una funzione catartica squisitamente lirica; la fuggevolezza dei suoni bene riproduce il pensiero espresso ad un certo pun-to dal protagonista a Ferdinando e Miranda: “Noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni e la nostra breve vita è nel giro d’un sonno conchiusa” (IV,1). Proprio per questo la Tempesta termina non in un trionfo di luce vittoriosa, ma nel-la penombra di una sottile malinconia, come se il protagoni-sta, malgrado tutto, fosse preso dallo struggimento di dover lasciare, assieme all’isola che ha ospitato il suo esilio, anche quella dimensione magica e sonora nella quale egli si era or-mai da tempo immedesimato.Le musiche create da Sibelius per questa commedia shake-speariana occupano una posizione di prima grandezza, tale da giustificare la superiore notorietà che esse hanno ottenuto rispetto alle consorelle composte da colleghi come Sullivan (1861), Chausson (1888), Humperdinck (1906) e Honegger (I923); solo la “fantasia sinfonica” dedicata alla stessa vicen-da da Čajkovskij si trova attualmente circondata da una pari attenzione.Quando Sibelius accettò l’invito, giuntogli nel maggio 1925, a scrivere per La tempesta in programma al Teatro Reale di Co-penaghen, si trovava al suo ottavo cimento del genere; aveva ormai da tempo rinunciato all’attiguo mondo dell’opera vera e propria, lasciando incompiuto l’unico suo tentativo nel genere (La fanciulla nella torre). Segno palese che egli si sentiva por-

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tato più che altro a fissare l’azione in una serie di quadri statici e non tanto a sottolineare di quell’azione lo sviluppo dramma-turgico e dialettico.Le musiche per la Tempesta furono presentate il 15 marzo 1926 nella traduzione danese di Edvard Lembcke e con la direzione musicale di Johan Hye-Knudsen e la regia di Adam Poulsen (che impersonò Prospero), assente l’autore, allora in procin-to di intraprendere un nuovo viaggio in Italia. Sibelius invero aveva accolto l’invito perché il soggetto era assai vicino alla sensibilità sua: carattere fortemente allegorico della vicenda, libera escursione nel fantastico e positiva rilevanza offerta alle forze della natura.La partitura originale, destinata ad un ampio organico strumen-tale, a cinque solisti vocali (Giunone, Ariele, Calibano, Stefano e Trinculo) e a un coro a quattro voci, venne a comporsi di 36 numeri per tutte le occasioni musicali previste tanto da Shake-speare quanto dal regista. In tutte risalta l’estrema cura cui l’or-chestra è stata sottoposta: pur avendo a che fare con “musica applicata”, Sibelius infatti non mancò di trattare con scrupolo da abile strumentatore anche i particolari più collaterali.La frammentazione aforistica di questa collana, cui il musi-cista non volle sopperire con l’eventuale uso agglutinante di Leitmotive (applicato invece da Sullivan), si poneva dunque in diretta, complementare opposizione agli altri due importanti lavori orchestrali da lui creati in quel periodo, alla Settima Sin-fonia, un lavoro in cui i quattro abituali movimenti erano stati condensati in un unico lasso temporale, e al poema sinfoni-co Tàpiola, anch’esso tutto racchiuso in un bozzolo di stati-ca concentrazione e per di più tutto dedicato anch’esso alla natura. Ma questa parcellizzazione non era solo intrinseca al genere delle musiche di scena; in realtà dipendeva anch’essa da una precisa visione estetica e drammaturgica. Dai numeri dell’originale per le scene il Nostro avrebbe in seguito estratto un Preludio (op. l09 n. 1) e due Suites di nove e di otto brani ciascuna (op. 109 nn. 2 e 3). “Nelle musiche di scena non ho potuto che abbozzarli”, spiegava alla moglie. Eppure egli non ampliò nessuno degli episodi, ma si limitò a ritoccare qua e là l’orchestrazione sopprimendo, dove necessario, gli interventi vocali. In altre parole cercò di conservare il carattere aforistico del tutto, così come aveva fatto in precedenza, segnatamen-te nelle musiche per il Pelléas et Mélisande di Maeterlinck e per Bianca-come-cigno di Strindberg; continuò dunque a non sfruttare a fondo la bellezza melodica espressa, per lasciare

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così il lavoro in una dimensione di grande leggerezza, priva di qualunque smaccata tornitura melodica. Se pertanto la Settima Sinfonia e Tàpiola giungevano a rappresentare un momento di profonda e severa introspezione, le musiche per la Tempesta si ponevano invece a cogliere minuti aspetti della realtà esterna, sfuggenti proprio come Ariele. Ad eccezione dell’episodio de-dicato alla vera e propria “tempesta” (n. 13), i vari brani sono in-fatti caratterizzati da un elegante quanto discreto bozzettismo privo di qualunque compiaciuta insistenza cantabile.Con la Tempesta Sibelius si trovò finalmente di fronte a quel-la dimensione naturalistica, a lui così consentanea, che nelle precedenti musiche di scena aveva potuto solo sfio-rare, ad esempio nel quadro “In riva al mare” del Pelléas et Mélisande, uno schizzo impressionistico di squisita fattura volto a suggerire nel giro di poche battute l’immobile movi-mento della superficie equorea. Nel poema sinfonico Le Oce-anidi del 1913 egli si era a sua volta ispirato al mare avvertito nella vita segreta e impassibile dei suoi fondali; nella tempe-sta, posta in apertura e poi ripresa in chiusura della prima Su-ite, egli si trovò invece dinanzi ad un soggetto in cui la natura si estrinsecava come elemento dirompente: “Questa notte di nuovo un temporale maestoso. Stavo seduto al buio e ammira-vo” annotò un giorno nel suo diario.Destinato ad una nutrita compagine orchestrale, fra l’altro con due ottavini, clarinetto basso, tuba, grancassa, piatti, tambu-ro militare, questo episodio è sostanzialmente vacuo di temi, come se l’imperversare dei turbini non permettesse la con-crezione di alcuna idea melodica: tutto infatti deve rimanere all’insegna di un continuo sommovimento di scale cromati-che, talvolta anche a due velocità diverse (quattro gruppi di sei semicrome opposti a quattro di nove), in modo da rendere ulteriormente vischiosa l’armonia. Strutturato alla velocità di “Largamente molto” e poi addirittura di “Largo assai”, questo momento sfrutta l’instabilità dei procedimenti semitonali per collocarsi al di qua del mondo rarefatto ed elegante tipico de-gli altri brani. È dunque una tempesta concepita non tanto in senso catartico e positivo, quanto con la funzione di fondale negativo, scosso da continui crescendo e diminuendo utili a suggerire l’imperversare dei marosi, su cui si affermerà la forza stabilizzatrice e salda del protagonista. Da qui la differenza ad esempio con l’omonima fantasia di Čajkovskij, ove la tempesta conservava invece una sua solenne imponenza epica; se mai siamo vicini alla dantesca “bufera infernal che mai non resta”

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che, nella Francesca da Rimini sempre di Čajkovskij, avvolgeva le figure dei due amanti. Ma avvertiamo una contiguità ancora maggiore con Honegger, il cui Preludio alla Tempesta, crea-to nel 1923 ma rimasto sconosciuto a Sibelius, presenta tratti sorprendentemente simili. E su questo magma i fiati possono stagliare spesse fasce dissonanti, gravide di forze oscure, che imprigionano il movimento in una cappa di espressionistica tensione irrisolta. Effìcacissima è poi la chiusa con le conse-cutive entrate di trombe e tromboni chiamate a formare un ag-gregato di cinque suoni di una successione esatonale: in altre parole esse sfruttano un altro elemento strutturale che, al pari della scala cromatica, è utile ad annullare il gioco dei rapporti tonali ed a lasciare così il tutto in una dimensione sospesa.Queste convulsioni della tempesta appaiono ancora più mar-cate se poste a confronto con il resto delle musiche, in gran parte pervase invece da linearità melodica, da euritmia, da concilianti consonanze. Lo dimostrano soprattutto gli altri quadri naturalistici qua e là evocati; Sibelius con essi si trova nel suo elemento e non ha difficoltà a stendere delicate pen-nellate in cui la natura viene ora vista come benigna amica; anche il “Coro dei venti” (n. 4), che sottolinea il momento in cui Ariele narra al padrone il modo in cui è riuscito a causare il naufragio dei nemici, non ha nulla di travolgente e terribile: la vera e propria tempesta ha già avuto il suo spazio ed ora i venti possono spirare come innocue brezze con un andamen-to “Molto moderato”. Ariel parla con tono pacato e lascia che i fiati, originariamente destinati, quali vere sirene debussiane, ai vocalizzi del coro, distendano richiami al di sopra di un an-damento pizzicato dell’arpa e di trasparenti fasce d’archi. È dunque una pagina di impressionistico respiro in cui non ap-pare alcun tema preciso, se non nel breve “Poco adagio” con-clusivo, ove gli archi soli si raccolgono per intonare una com-posta perorazione in si maggiore; una pagina che ci rimanda a un significativo pensiero di Sibelius: «Fuori tira vento. Questo è molto più prezioso, questo vento è più ricco delle poesie di Goethe e degli altri signori!» e che pertanto non sembra mol-to dissimile dalla poetica di Debussy e del suo invito a «non ascoltare i consigli di nessuno se non del vento che passa». E così pure la soluzione ideata dal regista Poulsen nella 1^ scena del II atto di far apparire Ariele nascosto in una quercia dalla quale ha staccato un ramo utile a fungere da zufolo (n. 1) coglie la natura in un momento di magica fissità, quella stessa che Sibelius avrebbe di lì a poco celebrato proprio in Tàpiola,

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il poema sinfonico dedicato alla foresta come metafora di raccoglimento interiore. Shakespeare invero nella didascalia aveva richiesto in quel punto una “solemn music”, ma Sibelius ha preferito optare per un quadro di stupefatta cantabilità, in lento andamento ternario adatto ad addormentare Sebastiano e compagni (“Vorrei chiudere gli occhi e anche i miei pensie-ri: sento che stanno per farlo”, dice Alonso). Qui il flauto, stru-mento che dal Preludio al “Pomeriggio di un fauno” di Debussy è ormai divenuto caratteristico artefice di incantamento immo-bilizzante e straniante, intona una melodia senza chiara meta tonale, per di più al di sopra di armonie dove domina l’inter-vallo di tritono, il più adatto per creare un effetto di levitazione.Alla pari della musica, il folletto di Prospero è onnipresente in tutta la vicenda, vero traît d’union fra il suo padrone e gli altri personaggi. Da qui la scelta shakespeariana di affidargli vari interventi vocali con i quali poter delineare diverse sfaccetta-ture del suo carattere: in uno (n. 9) il folletto esterna la sua af-fettuosa ubbidienza a Prospero (“Mi amate sempre, padrone, vero?”), in un altro (n. 10) esprime la sua felicità di vivere nel suo mondo minuscolo, tutto a dimensioni delle api, delle pri-mule e dei pipistrelli, in un altro ancora (n. 12) annuncia con un velo di tristezza a Ferdinando la (falsa) morte del padre. E in tutti “canta” ovviamente con la semplicità consona alla sua natura. La figura centrale del protagonista colta nella sua austera ri-flessività ci viene compiutamente descritta nell’Interludio pre-visto fra I e II arto (n. 8); privato della più mossa parte centrale presente nelle originarie musiche di scena, tale episodio si muove con ampi panneggi accordali affidati agli archi soli con rade sottolineature dei timpani.L’assenza di ogni violenta drammaticità viene poi sancita dal-la figura di Miranda, che appare in due episodi ugualmente pacificati: innanzitutto nella Berceuse (n. 11b) che delinea in apertura della vicenda il momento in cui la fanciulla, dopo aver ascoltato le vicissitudini del padre, cade addormentata. Una “ninna nanna” che invero non ha nulla di cullante (è in tempo pari), ma che serve bene a disegnare un momento di calma lontana da ogni “tempesta”, in altre parole ci schiude un qua-dro di silenzioso lago finlandese sul quale l’arpa può scivolare flessuosa. Da qui la scelta squisitamente musicale di Sibelius di far precedere questa scena nella Suite dall’Intrada (n. 11a), cioè dal momento in cui Ariele alla fine della vicenda condu-ce dinanzi a Prospero i nemici ormai soggiogati. Un episodio

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aperto da quattro laceranti accordi a fasce e in movimento cro-matico discendente che nella sua severità non vuole suggeri-re alcun trionfo del protagonista, anche se questi sta ormai per riprendere le sue funzioni di legittimo Duca di Milano.Sempre Miranda viene poi compiutamente tratteggiata anche nell’Interludio fra II e III atto (Scena, n. 6); con la sua delicatezza preraffaellita la fanciulla si rivela stretta sorella di Mélisande e di Bianca-come-cigno, tutte fragili figurine incapaci di muove-re gli eventi, eppure essenziali a quel mondo. La figlia di Pro-spero ci appare così in una trina di archi divisi, alla pari dunque della Mélisande descritta da Debussy a Pierre Louÿs: “Incapa-ce di sopportare i violini se non divisi in 18 parti, talmente è debole”.Esautorato il male, nel mondo della Tempesta c’è in realtà an-che spazio per l’umorismo, come possiamo constatare nell’e-pisodio in cui Ariele (lII,2) presenzia invisibile al complotto di Calibano e Stefano; intervenendo a smentire le parole di quello, Ariele induce i due compari a credere che sia l’ignaro Trinculo a parlare. Questa atmosfera buffonesca viene bene riassunta nella Humoresque (n. 2), ove domina il canto dei due clarinetti; Sibelius tuttavia continua a mostrarsi poco portato a creare in musica qualunque sarcasmo negativo e lo conferma anche in questo passo, compostamente danzante, come se preferisse evocare gli eleganti volteggi dell’invisibile folletto e non tanto la corposa presenza degli altri personaggi, diretti eredi di quella Commedia dell’Arte dalla quale Shakespeare li ha fatti discendere.Per il momento poi in cui Stefano invita Trinculo a intonare una canzone con la quale sancire i loro propositi di usurpazione, Sibelius ha previsto un Canone (n. 5) al quale può prender par-te anche Calibano, in modo da far meglio intendere che tutti e tre i personaggi si trovano sullo stesso basso livello morale. Ma, invisibile, c’è anche Ariele, che riprende il loro motivo uti-lizzando, come recita la didascalia di Shakespeare, un tambu-rino e uno zufolo. Da qui l’impiego in orchestra di flauto, otta-vino, tamburo piccolo e Glockenspiel. Ed ecco che la rozza me-lodia dei tre si trasfigura e si smaterializza, al punto da indurre Stefano, dopo un iniziale smarrimento, a commentare: “Questo sarà per me un bel regno, dove avrò la musica per niente”. È soprattutto il tintinnare del Glockenspiel che concorre ad attri-buire al profilo di Ariele un ché di giocoso e di sbarazzino; del resto anche Chausson per conferire leggerezza e agilità allo stesso personaggio aveva usato per un suo canto uno stru-

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mento affine e nuovo come la celesta (ben quattro anni prima del celebre episodio nello Schiaccianoci di Čajkovskij).A loro volta le ninfe e i mietitori, evocati da Prospero e Ariele per l’epitalamio di Iris, Giunone e Cerere in onore di Ferdinan-do e Miranda (nn. 3 e 7), danzano con tutta scioltezza, le prime al suono degli archi, i secondi a quello dei legni; e nelle ultime battute, per ricreare lo “strange, hollow and confused noise” prescritto da Shakespeare per la chiusura dei mietitori, Sibe-lius interrompe bruscamente le loro piroette con un tremolo d’archi e li fa svanire fra brevi svolazzi dell’arpa.Anche questi personaggi collaterali sembrano dunque pren-dere parte al senso di distacco che aleggia tanto sul lavoro di Shakespeare quanto sulle due Suites di Sibelius: il quale do-vette certo vedere nella figura di Prospero qualche cosa di au-tobiografico. Alla fine il protagonista ormai vittorioso abban-dona la sua isola e i suoi poteri magici così come il musicista, ormai vicino al culmine della sua fama, stava anch’egli per ab-bandonare la sua musica e raccogliersi definitivamente nella foresta della sua “Tàpiola”.

Ferruccio Tammaro

Ringraziamo il Professor Ferruccio Tammaro, profondo conoscitore di Sibelius, per averci offerto questo esauriente saggio in occasione della prima esecuzione Rai de La Tempesta.

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Maurice Ravel La Valse, poema coreografico

Ravel compose il “Poema coreografico per orchestra” La Valse tra il 1919 e il 1920 per i Ballets Russes di Sergej Djagilev, il qua-le però rifiutò la partitura considerandola inadatta alla danza; l’idea primigenia di una composizione che riproducesse con intenti quasi celebrativi la quintessenza del valzer risaliva a molti anni prima, e precisamente al 1906. Nel lungo lasso di tempo in cui il lavoro fu portato a termine la storia cambiò pro-fondamente: lo sconvolgimento causato dalla Grande Guerra segnò per sempre la coscienza dell’umanità, con innumerevoli riflessi anche nella cultura e nella musica. La Valse è un’ope-ra in apparenza seducente: la maestria dell’orchestrazione di Ravel ammalia l’ascoltatore, e l’essenza viennese della danza produce spesso toni brillanti. In realtà in questa pagina il bal-lo simbolo dell’Ottocento e della belle époque, della gioia di vivere e dell’élan vital, assume talvolta un aspetto grottesco, a tratti addirittura macabro. Delle due parti simmetriche che compongono La Valse la prima, dipanatesi le nebbie iniziali, ha un aspetto complessivamente più lieve, pur contemplando riflessi vagamente sinistri, mentre la seconda volge inevita-bilmente verso una foga che assume tratti tragici. Non si può non associare questa musica all’angosciosa danza, preludio di morte, che attanaglia i protagonisti del Mandarino miraco-loso di Bartók, non a caso anch’esso venuto alla luce nel 1919. La civiltà europea, caduta in frantumi sotto i bombardamenti della più violenta delle guerre, esprime il dolore che la permea proprio attraverso i prodotti tipicamente deputati allo svago; e Ravel, con sguardo sintetico, riesce a racchiudere la realtà di questo momento storico in un valzer che sembra roteare come «un turbine fantastico e fatale» sulle rovine del mondo antico. Per saperne di più: Misia Sert, Misia, Milano, Adelphi 2003. Ar-thur Gold e Robert Fizdale, Misia. La vita di Misia Sert, Milano, Mondadori 1981.

La dedicataria La Valse è dedicata a Misia Sert: gran dama della Parigi tra gli anni Fin de siècle e la Seconda Guerra Mondiale, visse circon-data da artisti e intellettuali; da bambina fu coccolata da Liszt ed educata alla musica da Fauré; da adulta ebbe la straordi-naria capacità di scoprire nuove forme d’arte e di imporle al gusto degli altri. Fu nel suo salotto e sul suo pianoforte che La Valse venne suonata per la prima volta: Ravel arrivò con la sua partitura sotto braccio per farla ascoltare a Djagilev, che

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l’aveva richiesta; questi già durante l’esecuzione manifestò un certo imbarazzo e quando il pezzo fu finito disse: «Ravel, è un capolavoro, ma non è un balletto. È il ritratto di un balletto; è il dipinto di un balletto». Stravinskij, anche lui presente, non disse nulla. Ravel, con molta tranquillità, riprese la sua mu-sica e se ne andò in silenzio. Tra i due fu la rottura definitiva; Misia Sert osservò ironicamente che fu uno dei rari scontri tra Djagilev e un suo collaboratore, che non avesse per oggetto il denaro. Poco prima di morire, nel 1929, Djagilev cercò di ri-conciliarsi con Ravel, per il quale nutriva stima e ammirazione. Ma i due non ebbero più occasione di incontrarsi. Misia Sert in seguito rivelò di aver lottato “persino con le unghie” con Djagi-lev a proposito della Valse, senza riuscire a smuoverlo. Dopo la prima esecuzione in forma di concerto avvenuta il 12 dicembre 1920, La Valse fu portata sulle scene soltanto nel 1929, all’Opéra di Parigi, grazie all’intervento della straordinaria personalità di Ida Rubinstein, che ne fu la prima interprete coreutica.

Paolo Cairoli(dagli archivi Rai)

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DimaSlobodeniouk

Nato a Mosca, ha studiato violino alla Scuola centrale di Musica con Zinaida Gilels e J. Chugajev. Ha continuato la formazione al Conservatorio di Mosca e in Finlandia alla Sibelius Academy sotto la guida di Olga Parhomenko. Nel 1994 ha iniziato gli studi di dire-zione d’orchestra con Atso Almila e in seguito con Leif Segerstam e Jorma Panula. Ha studiato inoltre con Ilya Musin e Esa-Pekka Salo-nen. Nominato Direttore principale dell’Orchestra Sinfonica di Lahti e Direttore artistico dell’International Sibelius Festival nel settembre 2016, è ammirato per le sue interpretazioni accurate e fedeli. Le radici russe combinate con la formazione musicale in Finlandia gli hanno permesso di attingere allo straordinario patrimonio musicale di que-sti Paesi. Sul podio dimostra una grande versatilità di repertorio, che abbraccia tanto i classici Beethoven, Verdi, Mahler, Sibelius, Skrja-bin quanto i moderni John Corigliano, Kaija Saariaho, Pierre Boulez e Väinö Raitio. Dal 2013 è anche Direttore musicale dell’Orquesta Sinfónica de Galicia, ruolo che mantiene accanto ai nuovi incarichi e all’intensa attività sulla scena internazionale. Con l’obiettivo di col-tivare il talento dei musicisti di domani, ha lavorato negli ultimi anni con gli allievi dell’Accademia del Festival di Verbier, di cui è stato ospite anche nel 2016. Con l’Orquesta de Galicia, lo scorso anno si è fatto anche promotore di una nuova iniziativa finalizzata ad avvi-cinare i giovani alla direzione di un’orchestra professionale. Gli im-pegni per la stagione 2016/17 includono: collaborazioni con London Philharmonic, Orchestre National de France, Orchestre Philharmo-nique de Radio France, Baltimore Symphony, Filarmonica di Varsa-via, NFM Philharmonic di Breslavia; ritorni sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Radio Stoccarda, della Filarmonica di Helsinki e dell’Or-chestra della Radio Finlandese; esibizioni con artisti quali Baiba Skride, Khatia Buniatishvili, Paul Lewis, Nikolaj Luganskij e Yevgeny Sudbin. Fra gli altri solisti con cui collabora regolarmente: Chloë Hanslip, Viktorija Mullova, Patricia Kopatchinskaja, Simon Trpčeski, Jean-Guihen Queyras e Kari Kriikku. La sua discografia comprende le registrazioni di Isola di Sebastian Fagerlund con l’Orchestra Sinfo-nica di Göteborg (BIS Records, 2011) e di Soie di Lotta Wennäkoski con l’Orchestra della Radio Finlandese (Ondine, 2015).Dima Slobodeniouk è stato molte volte ospite dell’OSN Rai ed è molto amato anche dal pubblico dell’Auditorium.

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DimaSlobodeniouk Baiba Skride

Nata in Lettonia, dopo aver intrapreso lo studio del violino a Riga, nel 1995 si è trasferita alla Hochschule für Musik und Theater di Rostock. Nel 2001 ha vinto il primo premio alla Queen Elizabeth Competition. Si è affermata suonando con le più prestigiose or-chestre internazionali, fra cui i Berliner Philharmoniker, la Boston Symphony Orchestra, l’Orchestra Reale del Concertgebouw  di Amsterdam, l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, l’Orche-stre de Paris, la London Philharmonic, l’Orchestra del  Gewan-dhaus di Lipsia e la NHK Symphony di Tokyo. Ha collaborato con importanti direttori quali Christoph Eschenbach, Thierry Fischer, Paavo e Neeme Järvi, Andris Nelsons, Santtu-Matias Rouvali, Vasílij Petrénko, Yannick Nézet-Séguin, John Storgårds e Kazuki Yamada. Nel febbraio 2016 ha debuttato con la New York Philhar-monic diretta da Christoph Eschenbach. Gli impegni per la sta-gione 2016-17 includono debutti con la Philharmonia Orchestra di Londra, l’Orchestra di Barcellona e  Nazionale di  Catalogna e l’OSN Rai; esecuzioni con i Wiener Philharmoniker e Gustavo Gi-meno, Royal Liverpool Philharmonic e Vasílij Petrénko; il concerto inaugurale di stagione dell’Orchestra Sinfonica di Göteborg con Alain Altinoglu; la prima americana del Triplo Concerto per violi-no, violoncello e bayan di Sofija Gubajdulina con la Boston Sym-phony Orchestra; concerti a Stoccolma, Bergen, Copenaghen, Nord America, Giappone e Australia. Apprezzata anche come violinista da camera, si esibisce regolarmente in festival e sale da concerto quali il Kissinger Sommer Musikfestival, il Festspiele Mecklenburg-Vorpommern, il Concertgebouw di Amsterdam, la Wigmore Hall di Londra e il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles. Col suo Piano Quartett – di cui fanno parte la sorella pianista Lauma, la violoncellista Harriet Krijgh e la violista Lise Berthaud – è stata ospite di festival quali la Schubertiade Schwarzenberg, il Malmö Chamber Festival e il BASF di Ludwigshafen. Attualmente, suona lo Stradivari “Yfrah Neaman”, gentilmente messo a sua disposi-zione dalla famiglia Neaman.

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Violini primi*Roberto Ranfaldi (di spalla)°Giuseppe Lercara°Marco LambertiAntonio BassiLorenzo BrufattoIrene CardoAldo CicchiniPatricia GreerValerio IaccioEnxhi NiniSara Pastine Fulvia PetruzzelliFrancesco PunturoMatteo RuffoElisa SchackLynn Westerberg

Violini secondi*Paolo GioloValentina BussoPietro BernardinRoberto D’AuriaMichal ĎurišCarmine EvangelistaJeffrey FabisiakPaolo LambardiAlessandro MancusoMartina MazzonMarcello MiramontiFrancesco SannaIsabella TarchettiCarola Zosi

Viole*Ula UlijonaMatilde ScarponiGiovanni Matteo Brasciolu

Giorgia CerviniFederico Maria FabbrisRiccardo FregugliaAgostino MattioniDavide OrtalliMargherita SarchiniClara Trullén-SáezIvan CavalloLizabeta Soppi

Violoncelli*Massimo MacrìMarco Dell’AcquaGiacomo BeruttiStefano BlancEduardo dell’OglioPietro Di SommaMichelangiolo MafucciCarlo PezzatiStefano PezziFabio Storino

Contrabbassi*Gabriele CarpaniSilvio AlbesianoAntonello LabancaAlessandro BelliLuigi DefonteFrancesco PlatoniVirgilio SarroVincenzo Venneri

Flauti e Ottavini*Dante MilozziLuigi ArciuliPaolo Fratini

Oboi*Francesco PomaricoSandro MastrangeliFranco Tangari

Partecipano al concerto

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Corno ingleseFranco Tangari

Clarinetti*Luca MilaniFranco Da RoncoGraziano Mancini

Clarinetto piccoloFranco Da Ronco

Clarinetto basso Salvatore Passalacqua Fagotti*Andrea CorsiMauro MonguzziBruno Giudice

ControfagottoBruno Giudice

Corni*Stefano AprileMarco PanellaEmilio MencoboniPaolo Valeriani

Trombe*Marco BraitoErcole CerettaDaniele Greco D’Alceo

Tromboni*Joseph BurnamAntonello Mazzucco

Trombone bassoGianfranco Marchesi

Partecipano al concerto

TubaMatteo Magli

Timpani*Claudio Romano

PercussioniCarmelo Giuliano GullottoAlberto OcchienaEmiliano RossiAlberto BovioLuca Ranalli

Arpe*Margherita BassaniDonata Mattei

Pianoforte*Roberto Galfione

CelesteFrancesco Bergamasco

*Prime parti °Concertini

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21 marzo 2017Ore 18.30 Fondazione “Fulvio Croce”, Via Santa Maria 1 - Torino

PRESENTAZIONE DEL LIBROGiorgio Pestelli – Il genio di Beethoven. Viaggio attraverso le nove Sinfonie Donzelli Editore, Roma

Oltre all’autore sarà presente SUSANNA FRANCHI, giornalista di “La Repubblica”Introduce: Stefano Vitale, Amici Orchestra Sinfonica Nazionale RAI

Le nove Sinfonie di Beethoven sono forse il patrimonio musicale più conosciu-to al mondo: esse possono essere considerate un unico corpo creativo, in cui si delinea un percorso evolutivo e anche il racconto di una storia. Il libro ripercorre questa storia, considerando i nove capolavori nella loro genesi e nelle loro fisio-nomie, cercando di «far parlare» le Sinfonie stesse, come vere e proprie «azioni» che si realizzano nell’ascolto.

In collaborazione con la Scuola di Quartetto del Maestro Manuel Zigante del Conservatorio di Torino verrà eseguito il QUARTETTO N° 10, IN MI BEMOLLE MAGGIORE, Op. 74 “Delle Arpe”

Sawa Kuninobu, Dinara Sepirhayava,  violiniMonica Spatari viola, Emanuele Abete, violoncello 

Necessaria prenotazione [email protected]

4 aprile 2017Ore 18.00 Sala Coro, Auditorium RAI

Incontro con: Ernesto Napolitano

“Wolfgang Amadeus Mozart e il Concerto n. 24 in do minore KV 491 per pianoforte e orchestra”

Mozart scrisse soltanto due Concerti per pianoforte in tonalità minore, quello in re minore K. 466 e quello in do minore K. 491. Il primo risale al febbraio del 1785, l’altro fu pubblicato il 24 marzo 1786. Sebbene il modo minore crei un’affinità tra i due lavori, il loro carattere è molto diverso. A differenza del Concerto in re minore, il KV 491 non schiude le porte a un futuro di speranza. Ernesto Napolitano ci aiuterà a capire il senso mozartiano di tale idea.

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CONVENZIONE OSN RAI – VITTORIO PARKTutti gli abbonati, i possessori di Carnet e gli acquirenti dei singoli Concerti per la Stagione Sinfonica OSN Rai 2016-2017 che utilizzeranno il VITTORIO PARK di PIAZZA VITTORIO VENETO nelle serate previste dal cartellone, vidimando il bi-glietto di sosta nell’apposita macchinetta installata nel foyer dell’Auditorium To-scanini, avranno diritto allo sconto del 25% sulla tariffa oraria ordinaria.

Per informazioni rivolgersi al personale di sala o in biglietteria

Le varie convenzioni sono consultabili sul sito www.osn.rai.it alla sezione “riduzioni”.

LE DOMENICHEDELL’AUDITORIUM 2017 Il concerto previsto DOMENICA 19 MARZOè stato posticipato a DOMENICA 2 APRILE.In programma la Gran Partita per 13 fiati KV 361 di Mozart.

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LE DOMENICHEDELL’AUDITORIUM 2017 Il concerto previsto DOMENICA 19 MARZOè stato posticipato a DOMENICA 2 APRILE.In programma la Gran Partita per 13 fiati KV 361 di Mozart.

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18°GIOVEDÌ 23 MARZO 2017 ORE 20.30 - Turno rossoVENERDÌ 24 MARZO 2017 ORE 20.00 - Turno blu

Direttore John Axelrod

Joaquin TurinaDanzas fantasticas op. 22

Igor StravinskijScherzo fantastique op. 3 Hector BerliozSymphonie Fantastique op. 14

BIGLIETTERIA via Rossini – 011.8104653/4961 - [email protected] - www.osn.rai.it

instagram.com/orchestrasinfonicarai @OrchestraRai www.facebook.com/osnrai

SINGOLO CONCERTO Poltrona numerata: da 30,00 € a 15,00 € (ridotto giovani)

INGRESSO Posto non assegnato: da 20,00 € a 9,00 € (ridotto giovani)

Classica per tuttiSabato 25 marzo 2017 ore 16

Direttore John Axelrod

BerliozSymphonie Fantastique op. 14

con la partecipazione di Giacomi Tesini