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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 2-2004 1 I l Triduo Pasquale ci immerge profon- damente nel cuore del mistero della salvezza, nel punto preciso in cui si realizza la nostra redenzione, cioè quel momento “cruciale” per l’intera uma- nità che si identifica con la Pasqua e con il suo Mistero. La Pasqua era il memoriale di un pas- saggio: dalla schiavitù d’Egitto al servizio del Signore, celebrazione della morte alla legge del mondo per entrare nella libertà della legge di Dio. La morte dei primoge- niti d’Egitto ne segnava drammaticamen- te il passaggio, quella morte scongiurata da un segno di salvezza: l’agnello immola- to nella cena pasquale il cui sangue sparso sugli stipiti delle porte diventa redenzione per i figli di Israele. Cristo viene a svelare quel segno, a far sì che l’ombra diventi realtà: il mistero na- scosto finalmente si svela illuminando tut- ta la storia. I “tre giorni” della Pasqua cri- stiana tracciano un itinerario d’amore in cui la sofferenza è preludio alla gloria e al trionfo. È il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dall’antica economia sal- vifica alla nuova realtà che in Cristo il Pa- dre realizza. Cristo, nuovo Adamo, è il ca- postipite di una nuova creazione che con- duce l’uomo e l’intero universo nella nuo- va dinamica della grazia. Tutto questo avviene in modo “tragi- co”, occorre che il vecchio uomo muoia perché il nuovo rinasca, occorre che la Croce si sveli con tutta la sua durezza perché la sua salvezza possa manifestar- si al mondo. È il mistero del Passaggio, è il mistero della fine e dell’inizio, il momento “esca- tologico” in cui si squarcia il velo del tem- po per rivelare la realtà finale della crea- zione. Il fine di tutte le cose traspare at- traverso la drammatica realtà del dolore, e in questo parto di dolore il mondo rina- sce: è il mistero pasquale. In questo “dramma” agiscono la luce di Dio e le tenebre del mondo in una lot- ta all’ultimo sangue, in un conflitto im- menso tra la bellezza del Verbo Creatore e Redentore e l’orrore del peccato che deforma la bellezza dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Così co- me cantano l’inno alla Croce del Venerdì Santo Crux fidelis e la sequenza del gior- no di Pasqua Victimae paschali, si tratta di una lotta, di un combattimento da cui Cristo esce vittorioso. Le sue piaghe di- vengono porte gloriose attraverso cui il mondo può trovare riparo e redenzione, e attraverso cui può entrare nella gloria di Dio. Il “mistero nascosto dai secoli eterni” è dunque svelato in Cristo. Nella liturgia tutto questo è celebrato e vissuto nella fe- de in quella stupenda sequela di segni che riempie il Triduo Pasquale, segni tutti orientati alla rivelazione di un’unica realtà: l’amore di Dio per noi e la libera- zione del mondo nell’amore di Dio. La distruzione del peccato e della mor- te ad opera del gesto sublime dell’amore di Cristo fa rinascere l’intera creazione, che finalmente esulta perché ha ritrova- to, dopo il suo smarrimento, il cammino verso Dio, verso quella gloria a cui era de- stinata e che sembrava così lontana e ir- raggiungibile. Lasciamoci coinvolgere dalla celebra- zione di questo Mysterium, lasciamo che la sua grazia ci inondi: entriamo nella lu- minosa liturgia del Triduo sapendo che nella Pasqua ritroviamo il significato profondo della nostra esistenza e la gioiosa rivelazione della nostra gloria. Mysterium Paschale di mons. Marco Frisina

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Page 1: Mysterium Paschale di mons. Marco Frisina...salvezza, nel punto preciso in cui si realizza la nostra redenzione, cioè quel momento “cruciale” per l’intera uma-nità che si identifica

FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 2-2004 1

Il Triduo Pasquale ci immerge profon-damente nel cuore del mistero dellasalvezza, nel punto preciso in cui si

realizza la nostra redenzione, cioè quelmomento “cruciale” per l’intera uma-nità che si identifica con la Pasqua e conil suo Mistero.

La Pasqua era il memoriale di un pas-saggio: dalla schiavitù d’Egitto al serviziodel Signore, celebrazione della morte allalegge del mondo per entrare nella libertàdella legge di Dio. La morte dei primoge-niti d’Egitto ne segnava drammaticamen-te il passaggio, quella morte scongiuratada un segno di salvezza: l’agnello immola-to nella cena pasquale il cui sangue sparsosugli stipiti delle porte diventa redenzioneper i figli di Israele.

Cristo viene a svelare quel segno, a farsì che l’ombra diventi realtà: il mistero na-scosto finalmente si svela illuminando tut-ta la storia. I “tre giorni” della Pasqua cri-stiana tracciano un itinerario d’amore incui la sofferenza è preludio alla gloria e altrionfo. È il passaggio dall’uomo vecchioall’uomo nuovo, dall’antica economia sal-vifica alla nuova realtà che in Cristo il Pa-dre realizza. Cristo, nuovo Adamo, è il ca-postipite di una nuova creazione che con-duce l’uomo e l’intero universo nella nuo-va dinamica della grazia.

Tutto questo avviene in modo “tragi-co”, occorre che il vecchio uomo muoiaperché il nuovo rinasca, occorre che laCroce si sveli con tutta la sua durezzaperché la sua salvezza possa manifestar-si al mondo.

È il mistero del Passaggio, è il misterodella fine e dell’inizio, il momento “esca-tologico” in cui si squarcia il velo del tem-po per rivelare la realtà finale della crea-zione. Il fine di tutte le cose traspare at-

traverso la drammatica realtà del dolore,e in questo parto di dolore il mondo rina-sce: è il mistero pasquale.

In questo “dramma” agiscono la lucedi Dio e le tenebre del mondo in una lot-ta all’ultimo sangue, in un conflitto im-menso tra la bellezza del Verbo Creatoree Redentore e l’orrore del peccato chedeforma la bellezza dell’uomo creato adimmagine e somiglianza di Dio. Così co-me cantano l’inno alla Croce del VenerdìSanto Crux fidelis e la sequenza del gior-no di Pasqua Victimae paschali, si trattadi una lotta, di un combattimento da cuiCristo esce vittorioso. Le sue piaghe di-vengono porte gloriose attraverso cui ilmondo può trovare riparo e redenzione,e attraverso cui può entrare nella gloriadi Dio.

Il “mistero nascosto dai secoli eterni” èdunque svelato in Cristo. Nella liturgiatutto questo è celebrato e vissuto nella fe-de in quella stupenda sequela di segni cheriempie il Triduo Pasquale, segni tuttiorientati alla rivelazione di un’unicarealtà: l’amore di Dio per noi e la libera-zione del mondo nell’amore di Dio.

La distruzione del peccato e della mor-te ad opera del gesto sublime dell’amoredi Cristo fa rinascere l’intera creazione,che finalmente esulta perché ha ritrova-to, dopo il suo smarrimento, il camminoverso Dio, verso quella gloria a cui era de-stinata e che sembrava così lontana e ir-raggiungibile.

Lasciamoci coinvolgere dalla celebra-zione di questo Mysterium, lasciamo chela sua grazia ci inondi: entriamo nella lu-minosa liturgia del Triduo sapendo chenella Pasqua ritroviamo il significatoprofondo della nostra esistenza e lagioiosa rivelazione della nostra gloria.

Mysterium Paschale di mons. Marco Frisina

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“Tutto ciò che non va diritto allacarità è figura. L’unico oggetto dellaScrittura è la carità”. Con la citazionedi queste parole di Blaise Pascal siapre Solo l’amore è credibile di HansUrs von Balthasar. È l’affermazioneinequivocabile dell’esistenza di uncentro.

La Pasqua evento Trinitario

E noi non possiamo non compren-dere la Pasqua, innanzitutto, che co-me evento dell’amore Trinitario, cen-tro di tutto ciò che esiste.

“Come il Padre ha amato me” (Gv15, 9): è il Padre che, per amore, chie-de al Figlio di donare la sua vita. Peramore non solo degli uomini, ma perl’amore stesso che ha per Lui, il Figlio.L’amore esige, chiede, perché l’altrosia fino in fondo ciò che è e si consuminel dono completo.

E il Figlio ama il Padre da cui èamato e mandato. Il suo sacrificio pa-squale sulla croce è realizzazione interra dell’abbandono e dell’amoreeterno che il Figlio ha verso il Padre:“Bisogna che il mondo sappia che ioamo il Padre e faccio quello che il Pa-dre mi ha comandato” (Gv 14, 31). Èla realtà dell’ “amore più grande” chenon dà tregua al cuore dell’uomo, fi-no a che non arrivi al dono di sé.

Sarebbe allora un grave errore ve-dere nella risurrezione solo qualcosa

fatto per gli uomini. Essa è di nuovo larealtà dell’amore del Padre che solle-va il Figlio dal letto di morte. È unamore che non solo dà inizio, ma cheporta a compimento. Il Figlio è ricono-sciuto dal Padre nell’eternità e in ognipassaggio della sua esistenza storica,nelle proclamazioni del Battesimo alGiordano e della Trasfigurazione, nel-l’evento della Resurrezione: “Dio loha resuscitato dai morti!” (At 3, 15). Èil motivo della grande nostalgia delcuore umano che sempre chiede di es-sere riconosciuto, dopo essere statogenerato, confermato, dopo esserestato inviato, accompagnato, dopo es-ser partito.

Ma il Padre e il Figlio non solo siamano scambievolmente. Essi pureamano insieme. È la presenza dello Spi-rito Santo, è il mistero dell’eterna fe-condità della pericoresi trinitaria – an-nuncio segreto che non esisterà mai ve-ro amore umano che non sia generati-vo, fecondo di nuova vita. Il cerchio nonsi chiude nell’amore del Padre verso ilFiglio e del Figlio verso il Padre. Dal loroamore “procede” lo Spirito Santo nell’e-ternità e la Pentecoste nella storia. LaPasqua è centro perché lì, nel dono del-lo Spirito Santo, ha inizio la Chiesa e iltempo, da allora, si protende con essaverso il domani, verso la Gerusalemmeceleste, realtà non diversa dalla stessaChiesa, bensì suo compimento pieno.

Veramente non possiamo parlaredella Pasqua senza parlare della Trinità!

La Pasqua, centro della storia della salvezza di don Andrea Lonardo

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La storia della salvezza fino al dono del Figlio

Tutta la storia della salvezza, rac-contataci dalla Bibbia, è cresciuta ver-so questo vertice di realtà. Agli insi-pienti che affermano che Gesù non siastato cosciente di essere il Figlio, l’uni-co Figlio, il diletto Figlio, la Chiesa ri-sponde proprio raccontando la Pa-squa. È proprio sulla spianata del Tem-pio, nei giorni che precedono e causa-no la croce, che Gesù parla ancora inparabole. I sinottici ricordano la pri-ma, raccontata al Tempio in quegli ul-timi giorni di importanza straordina-ria, verità di tutto ciò che Gesù vuolesia più accolto e compreso.

In Mc 12, 1- 12 e paralleli si snoda ilracconto del padrone della vigna cheinviò un servo, poi un altro, poi altriancora, a chiedere conto, a testimo-nianza del suo amore per la feconditàfruttifera di questa vigna. Ma il cuoredella parabola è più in là. Non è ingioco soltanto che la vigna – il popolo,quel Tempio, la vita umana stessa –non sia proprietà degli uomini, che an-zi hanno ricevuto tutto solo in affida-mento e ne debbono rendere conto,ma, soprattutto che al padre, dopotanta cura per la sua vigna, sia rimastosolo uno, il figlio prediletto! Tanti ser-vi, tanti inviati, giudici e re, messagge-ri e profeti – e fra essi anche Giovanniil Battista – aveva mandato alla sua vi-gna. È da ultimo che ha deciso di invia-re il suo Unico e prediletto Figlio.“Avranno rispetto per mio figlio”, siera detto fra sé! Straordinaria è la me-moria lucana che ben comprende ilsenso di questa parabola. Il Padre faseguire alla domanda che medita tra

sé e sé – “Che devo fare?” – cioè, po-tremmo dire: “Le ho provate tutte, co-me posso dar loro ancora una chan-ce?” La risposta: “Manderò il mio uni-co figlio; forse di lui avranno rispetto”.

Ecco la chiara coscienza della iden-tità di Gesù che sa di essere assoluta-mente diverso da tutti coloro che ilPadre ha inviato prima di lui.

È l’annunzio del contenuto della fe-de. Se anche nessuno vivesse la verità,essa resta la verità. Bisogna averlo que-sto coraggio della verità. Non è perchéGesù è accolto che diviene il Figlio. Egli èil Figlio, anche se tutti lo buttassero fuoridalla sua vigna. L’uomo, a volte, ha co-me paura della verità, pensa che essapossa poi essere costrizione, imposizioneschiavizzante. In realtà, è vero l’opposto.È proprio nell’assenza della verità chel’uomo vive nell’arbitrio e diviene ditta-tore o servo e il messaggio dell’evangelosi annacqua in seduzione, confezione diprodotto suadente, gadget, simpatia su-perficiale che cerca di conquistare l’uo-mo. La verità sola crea quella distanza,quel distacco che ti obbliga a riflettere, adecidere. La verità precede, viene primadell’adesione dell’uomo. La pericope siconclude con la constatazione: “Aveva-no capito che aveva detto quella para-bola contro di loro”. È una parola dettaal cuore del problema e al cuore dell’a-scoltatore. Ma non è proprio questa l’o-pera dell’amore: appellarsi alla libertàdell’altro, perché l’altro possa vedere laverità sua e della realtà?

È proprio nella passione che abbia-mo la rivelazione più alta nella stessabocca di Gesù del suo essere Figlio.Nella proclamazione altissima dinanzial sommo sacerdote (che domanda“Sei tu il Cristo, il Figlio del Dio bene-

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detto?”): “Io lo sono!”. Nella preghie-ra del Getsemani all’Abbà, Padre. Nel-le preghiere sulla croce: “Padre, nelletue mani consegno il mio spirito” e“Padre, perdona loro, perché non san-no quello che fanno”.

Ecco il centro della storia della sal-vezza! Ecco il Figlio! Colui “per mezzodel quale sono tutte le cose” è final-mente in mezzo a noi.

Il nuovo culto reso a Dio

Proprio per il dono totale e irrevo-cabile del Figlio la Pasqua diviene lafine dell’antico culto e l’inizio delnuovo. Sarebbe possibile vedere tuttoquesto da molteplici prospettive. Vo-gliamo qui presentarne una sola, achiarificazione e introduzione: è l’an-nuncio del nuovo Tempio.

In Mc 11, 11, l’unico luogo che sem-bra interessare Gesù, a Gerusalemme,è proprio il Tempio (e questo ben pri-ma del vangelo di Luca che, come sap-piamo, lo ha come punto di riferimen-to costante). Le due azioni sembranoaddirittura coincidere: Gesù entrò aGerusalemme, Gesù entrò nel Tempio.Immediata segue una frase solo appa-rentemente misteriosa: “Dopo averguardato ogni cosa attorno, uscì”.

Soffermiamoci un istante a riflette-re sul significato della presenza delTempio nell’Antica e nella Nuova Al-leanza, con l’aiuto delle meditazioniche don Umberto Neri pronunziò nelpellegrinaggio dei preti e seminaristidi Roma, in Terra Santa nel 19901:

La questione dei templi: per capireil ruolo del tempio nella tradizione di

Israele occorre un attimo ricompren-dere tutta l’antropologia e tutta lateologia di Israele, quindi ricondursiall’idea originaria. Mi baso sui testidella tradizione rabbinica, evidente-mente, per questo, ma la Scrittura lilegittima totalmente. Corrispondonoquesti testi ad una lettura oggettivadell’Antico Testamento ...

L’uomo è stato creato come esserecolloquiante con Dio. E il paradiso è illuogo di questo colloquio con Dio. Ela cacciata dal paradiso, più che comein una lettura non corretta dal puntodi vista teologico e spirituale spessofatta fra di noi, vista come grave diconseguenze per il faticare dell’uomo,per la sua stessa morte, è vista come lacatastrofe in quanto allontanante dalluogo dell’incontro personale con Dio.La restitutio quindi dell’uomo, la re-denzione dell’uomo, dell’umanità, lastoria della salvezza si disegna tuttacome un ritorno al luogo della com-munio con Dio, della comunione ede-nica… Ci sono dei testi numerosissiminei quali si parla delle diverse genera-zioni che si succedono alla prima ge-nerazione quella di Adamo, come ge-nerazione nella quale la Shekinah siallontana di un gradino, poi di un al-tro, poi di un altro, poi di un altro, poidi un altro fino al punto supremo del-l’allontanamento che è costituito dal-la generazione della separazione, del-la dispersione, la generazione dellaTorre di Babele, l’ultimo grado di se-parazione. E poi i riavvicinamenti pro-gressivi che iniziano con la storia diAbramo. La storia di Abramo è la sto-ria del ritorno, dunque di questo riab-bassarsi della Shekinah, della dimoradella Gloria di Dio, al livello dell’uo-

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mo, in modo da riavvolgere l’uomo ericomprenderlo nella communio. Que-sto è il discorso. Quindi il viaggio diAbramo verso la terra che Dio gli indi-cherà, è il viaggio con cui Abramo ini-zia la riconduzione dell’uomo allacommunio con Dio. È’ per questo che,arrivato nella terra, - “questa è la ter-ra” - comincia subito a costruire deglialtari. Non è soltanto una presa dipossesso, ma è la qualifica della terracome il luogo nel quale si può ritrova-re il colloquio con Dio, e dal quale èlegittimo innalzare a Dio la supplica enel quale è giustificato attendere daparte di Dio la benedizione...

Gesù, “guardando ogni cosa intor-no”, manifesta di essere il vero respon-sabile di ogni rapporto sacramentalecon Dio. Egli è il signore del Tempio, ècolui che viene a prenderne possesso, ècolui che ha il diritto sul quel luogo,perché ne ha la potestà sacramentale!

Ed ecco che il giorno dopo, incorni-ciato dall’episodio del fico sterile, Gesùtorna nuovamente a Gerusalemme edi nuovo l’unico luogo menzionato è ilTempio: nient’altro gli interessa, maattraverso quell’interesse è in giocotutto il rapporto di Dio con gli uomini!

È il secondo ingresso, al v. 11, 15 nelTempio. Marco sottolinea che non ven-gono cacciati da Gesù solo i “vendito-ri” di oggetti, ma anche i “compratori”e chiunque “portasse cose attraverso ilTempio”! È la manifestazione non tan-to della malizia morale di chi guada-gnava sulle offerte, ma del fine, delcompimento di un modo di vivere ildialogo con Dio. Dio manifesta che ilsuo amore non si può acquistare! Cheil trasportare cose in suo nome, non è

motivo della comunione fra l’uomo eDio. Viene il momento in cui l’unico sa-crificio gradito a Dio è la vita del suostesso Figlio, Figlio offerto e non acqui-stato, da accogliere e non da costruire.

Marco, con le sue sottolineature, cimanifesta l’unitaria comprensionedella Chiesa apostolica nei confrontidella realtà di Cristo, nuovo Tempio.Citiamo ancora don Umberto Neri:

Il testo a questo riguardo più signi-ficativo, che però ha degli elementi al-trove inconfutabilmente corretti, cor-rispondenti, è il capitolo II del Vange-lo di Giovanni, dove Gesù dice, dopoavere scacciato i venditori dal tempio:“Distruggete questo Tempio ed io intre giorni ne riedificherò un altro”.Non per protestare contro lo sfrutta-mento dei poveri! Non ha motivo perprotestare contro le classi abbienti chesfruttavano i poveri facendo fare loroofferte al Tempio – ecco allora com-mentari che parlano in questo mododi un Gesù come riformatore socialeche scaccia i creditori dal tempio! Nonsi possono dire cose di questo genere -credo che anche a lui interessasse chei poveri non fossero sfruttati. Ma nonlo fa certamente per quello! Lo fa perdichiarare finita ormai la liturgia, conun gesto profetico, la liturgia del Tem-pio! È sostanzialmente conclusa. Con-clusa perché? La giustificazione è datadopo. “Quale segno fai per scacciarequesti venditori e per ripulire il Tem-pio in modo che non si possano farepiù sacrifici, non ci siano più animali,venditori ecc. Tutto questo ordine dicelebrazioni non c’è più?” La giustifi-cazione: “Distruggete questo Tempioed io in tre giorni ne riedificherò un

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altro e uno nuovo e non manufatto”.E i discepoli non capirono, ma capiro-no soltanto dopo che alludeva al Tem-pio del suo corpo. Allora il nuovoTempio! Il Tempio non è distrutto, ilTempio è sostituito. Nessuna dellerealtà dell’Antico Testamento è di-strutta, sono tutte sostituite, tutti i sa-cramenta “veteris Legis” sono ripresinei sacramenti “novae Legis”, altri-menti sarebbe un impoverimento co-lossale. E il Tempio stesso è ripresoperché c’è un luogo solo donde salgo-no a Dio le preghiere gradite, l’unicomediatore tra Dio e gli uomini, l’unicoluogo sul quale è aperto il cielo, l’uni-co luogo sul quale si posa lo sguardocompiaciuto di Dio, il luogo anzi in cuidimora corporalmente la pienezzadella divinità che è il corpo del Cristo.Il corpo del Cristo è il nuovo Tempio.Ugualmente essenziale quanto l’anti-co, anzi ancor più essenziale, perchénessuna preghiera può innalzarsi aDio se non per Dominum nostrum Je-sum Christum, Tempio. E questo nuo-vo Tempio è il Tempio messianico, è ilcorpo stesso glorificato del Cristo, ve-rificato come Tempio nuovo anche daciò che Giovanni per esempio fa osser-vare sull’acqua che scaturisce dal fian-co trafitto del Cristo, che è l’acqua chesgorga dal lato destro del tempio diEzechiele, il Tempio messianico, ed èl’acqua del sacrificio che sgorga conti-nuamente dal Tempio, come già inZaccaria 12–13.

Segue subito dopo la splendida pe-ricope di Mc 11, 27-33. È il terzo gior-no, ed è la terza volta che Gesù va di-ritto al Tempio e “si aggirava” in esso.Non solo ne ha cacciato gli altri, ma

egli vi “resta”. È il suo luogo, è il“suo” Tempio. Chi cerca Dio deve orapassare attraverso di lui. Subito “isommi sacerdoti, gli scribi e gli anzia-ni” si accorgono – a differenza dicommentatori moderni! – che Gesùsta affermando la sua “autorità”, cheGesù sta chiedendo che sia riconosciu-to il suo essere da Dio.

“Con quale autorità fai queste co-se? O chi ti ha dato l’autorità di far-lo?”. Come puoi dichiarare decadutociò che Dio ha stabilito?

Il tempo che viene dopo la Pasqua

La Pasqua non è così solo prepara-ta, annunciata, fin dai primordi dellastoria della salvezza, ma si proietta inogni epoca a venire, fino alla parusia,fino al ritorno del Cristo nella gloria. Èluogo di nascita della novità cristiana.È solo la dimenticanza della rilevanzadel tema della Chiesa che porta talvol-ta ad affermazioni come: “Nulla ècambiato dalla Pasqua nella storia de-gli uomini, tutto procede come pri-ma!” L’annuncio pasquale, invece, dàvita alla primizia, al pegno, alla Chie-sa. Essa è voluta e amata, come splen-didamente dicono i primi capitoli del-la Lumen Gentium, non solo dal Figlioe dallo Spirito Santo, ma è pensata dalPadre stesso, prima della creazionedel mondo.

Ci soccorre, a livello iconografico,la rappresentazione medioevale delCrocifisso, che bene interpreta la fedecattolica. Nelle croci medioevali è ma-nifesto che la salvezza giunga a noiattraverso la Chiesa. Maria e Giovannisono sempre ai lati del Cristo in croce,

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a rappresentare tutta la Chiesa. Al lo-ro fianco la figura di una secondadonna, nuovamente la Chiesa stessa,che raccoglie in una coppa il sangue(è l’ordine dei sacramenti, che nascedal costato trafitto del Cristo, da cuisgorgano sangue e acqua, eucaristia ebattesimo). E solo quando il simboli-smo passa in secondo piano, che, nel-l’evoluzione della rappresentazionepittorica, il sangue viene raccolto dacoppe tenute da angeli e portato ver-so il cielo, oppure scende semplice-mente sul corpo del Trafitto e sul le-gno della croce. Senza questa coscien-za ognuno sembra accogliere singo-larmente lo zampillo del sangue chesgorga e Maria e Giovanni divengonosolo memoria di un dolore. In un Cro-cifisso di Lucas Cranach a Wittenberg,ad esempio, il sangue cade diretta-mente sulla testa del pittore, raffigu-rato fra Giovanni Battista e Lutero.

La Pasqua è centro perché è il mo-mento della nascita della Chiesa, cherende presente l’opera del Risorto inogni luogo e ogni tempo.

L’eternità come comunione con ilRisorto e con i suoi santi

Anche l’eternità è nuova, dopo l’e-vento pasquale. L’uomo, nei secoli enelle differenti culture, aveva sognatoo temuto l’eternità, l’aveva immagina-ta come prolungamento della vita diquesta terra o come dissolvimentodella realtà individuale.

Solo ora, dopo la Pasqua, essa simanifesta come comunione con il Ri-sorto e, in lui, con la Trinità. Quel vino“che sarà bevuto nuovo nel regno di

Dio” rimanda all’immagine del ban-chetto eterno del Cristo e dei suoieletti.

L’inferno appare nella sua spaven-tosa e gelida solitudine come estremoed eterno rifiuto di qualsiasi comu-nione e amore, come totale isolamen-to di chi si chiude all’amore di Dio edel fratello e non vuole nemmenosentire la parola del perdono – e laChiesa prega, su invito dello stesso Si-gnore, perché nessuno vi possa averedimora eterna.

Il Purgatorio manifesta la serietàdello svelamento operato dalla rivela-zione della pienezza dell’amore delCristo. Dinanzi al suo totale e perfet-to amore saranno un giorno manife-ste tutte le mancanze, i peccati, le oc-casioni di bene rifiutate e trascurate,e in terra nascoste agli occhi altrui.Ma il dolore provocato dalla loro ma-nifestazione, punizione redentiva epurificatrice, sarà trasfigurato nell’ab-braccio dell’amore del Cristo che, congli immensi meriti del sacrificio dellacroce, salverà.

Il Paradiso sarà la celebrazione pie-na della comunione di Cristo con gliuomini. Non ci sarà più matrimonio,non perché l’amore scomparirà, maperché la carità stessa di Dio sarà tuttain tutti. Il Signore e l’Agnello stessi(Ap 21, 22) saranno il Tempio.

Ecco la Pasqua, non evento isolatoed erratico, ma senso e pienezza delmistero umano e divino del vivere.

1 I testo integrali di quelle meditazioni, unita-mente a quelle di don Giuseppe Dossetti che sialternarono alle prime, sono on-line sul sitowww.santamelania.it al frame I, luoghi dellaBibbia e della storia della Chiesa.

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Tutti i lettori di questa rivista sannoche la Pasqua è la festa principale del-l’anno liturgico, perché celebriamo lagrande novità data dal fatto che unmorto è risuscitato. Ma io mi doman-do se tutti credono alla risurrezionedell’uomo in genere. Molti, forsetroppi cristiani, credono che Gesù è ri-sorto, ma non credono che noi risor-geremo. Eppure questa è la fede e laforza del cristianesimo. Chi non credealla risurrezione “della carne”, non ècristiano. Risorgendo, Gesù ha mostra-to che l’uomo è destinato alla risurre-zione. Il Vangelo di Matteo ci dice chequando Gesù è risorto, “molti sepolcrisi aprirono e molti corpi che eranostati sepolti, risuscitarono e apparve-ro a molti”.

L’antica omelia che la liturgia delleOre ci fa leggere all’ufficio delle lettu-re del sabato santo dice che Gesù,quando emise lo spirito, discese agliinferi, cioè nel regno dei morti e, diceil testo, “andò certamente a cercare ilprimo padre [Adamo]. Appena questilo vide, disse a tutti: il mio Signore siacon tutti voi. E Gesù rispose: e con iltuo spirito. Poi Gesù continuò: io sonoil tuo Dio, che per te mi sono fattotuo figlio... Alzati, usciamo di qui...”.La risurrezione viene quindi dipinta,nell’icona dell’anastasis, con Gesù cheesce dalle porte infrante, tenendo inuna mano la croce vittoriosa, e tiran-do, con l’altra mano, un uomo e unadonna [Adamo ed Eva] e tutta una

folla di uomini e donne che li segue.Imitando san Paolo, che in Romani

7 personifica la morte, possiamo pen-sare che questa, che aveva vinto daAdamo fino a Cristo, quando vide Ge-sù, ebbe a pensare: “finora ho vintosempre, ma costui è la vita, se riesco aucciderlo, ho vinto per sempre”. Equando lo vide morto in croce, si saràfregata le mani per la soddisfazione.Ma quando lo vide uscire, portandosidietro tutti quelli che lei aveva fattoprigionieri, è rimasta con un palmo dinaso. San Paolo le domanda: “Dov’è,o morte, la tua vittoria, dov’è, o mor-te, il tuo pungiglione?”. Alla morte ècapitato come all’ape, che va per pun-gere, e muore.

Il problema dell’uomo è la morte.Da sempre egli ha cercato una solu-zione. La teoria della reincarnazione èun tentativo di risolvere il problema,ma non lo risolve, perché, anche sefosse vero, annullerebbe la mia iden-tità: chi sono io, se in questo momen-to io sono quello spirito che è in me, eche poi passa ad altri?

La risurrezione è la risposta vera,perché è un fatto, un evento. San Pao-lo ragiona così: “se è vero che i mortinon risorgono, allora neanche Cristo èrisorto”. Ma poi afferma con forza:“ora invece Cristo è risorto, primizia dicoloro che risuscitano dai morti”. Daquesta certezza nasce e di essa vive ilcristiano. Egli sa che la morte fisicanon è abolita [e meno male!], ma sa

Vitam resurgendo reparavit di p. Ildebrando Scicolone

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pure che essa non è la fine, non è unmuro contro il quale si va a sbattere,ma è una porta che si apre, un tunnelche ci immette in un mondo eterno ein un panorama di luce. La Chiesachiama “dies natalis”, cioè “giornonatalizio” la morte dei suoi fedeli. Sipuò quindi paragonare la morte allanascita. Immaginate di domandare aun feto nel grembo materno: vuoiuscire di qua? Egli vi risponderebbe:che significa uscire? E voi a spiegare:ma sai, fuori c’è il sole, il mare, puoicorrere, non staresti così stretto. Eglinon capirebbe. Quando, al nono me-se, si sente spingere fuori, pensa: stomorendo. E quando nasce, egli dice:sono morto. Mentre gli altri gridanodi gioia: è nato, è nato! Lo stessoevento, visto dal di dentro è morte, vi-sto dal di fuori è vita. Nascendo, nonsi muore, ma si cambia stato di vita.Questa seconda fase dura non sappia-mo quanto (vi stanno bene 90 anni?,giusto per confrontarli con i nove me-si). Noi pensiamo che questa sia la vi-ta, quella vera, quella definitiva. Mase tutto finisce con la morte, che sen-so ha la vita? San Paolo dice che senzala fede nella risurrezione, noi sarem-mo “i più miserabili degli uomini”. Èvenuto Gesù, da fuori, dal cielo, e ciha detto: “vado a prepararvi un po-sto, poi verrò e vi prenderò con me”.Noi, che abbiamo esperienza solo diquesto mondo, non possiamo capire.“Né occhio vide, né orecchio udì, némai entrò in cuor d’uomo quello cheDio ha preparato a coloro che lo ama-no”. Sapendo che Cristo è risuscitatodai morti, ci fidiamo di lui: questa spe-ranza di una vita eterna, che nascecon la morte fisica, e che è certezza,

dà senso alla vita presente. Come in-fatti i nove mesi della nostra gestazio-ne servirono a formarci perché potes-simo vivere poi fuori dal seno mater-no, così i novant’anni di questa vitaservono a prepararci a vivere beata-mente (anche se non riusciamo a im-maginare come) di là.

Voi capite l’esplosione di gioia concui a Pasqua cantiamo: “È lui [Cristo]che morendo ha distrutto la nostramorte, e risorgendo ha ridato a noi lavita” [mortem nostram moriendo de-struxit, et vitam resurgendo repara-vit]. Nel giorno della Esaltazione dellaCroce (perché ormai la croce di Cristoè diventata motivo di vittoria e di glo-ria), noi cantiamo: “O grande misterodella pietà: allora la morte è morta,quando sul legno è morta la vita”[mors mortua tunc est, quando in li-gno mortua vita fuit]. E la mattina delSabato santo, cantiamo la prima an-tifona, che è uno squillo di tromba:“O morte, io sarò la tua morte, il tuomorso sarò, o inferno”.

Comprendiamo pure l’insistenza diPaolo, nel predicare la risurrezione.Ad un certo punto dice: “Ecco, vi sveloun mistero: tutti risorgeremo” [eccemysterium vobis dico: omnes quidemresurgemus].

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La liturgia della veglia pasqualecomincia con un rito tanto sug-gestivo quanto insolito1. Come

mai il popolo in chiesa attende al buioe in profondo silenzio? Perché l’as-semblea possa ben vedere e acclamarequando dal portale entra, elevata inalto, la fiamma del grande cero pa-squale, simbolo di Cristo risorto. Daquella fiamma si propagano poi tantefiammelle, man mano che i presentiaccendono le loro lampade; quindi siilluminano tutte le luci dell’aula eccle-siale, e in mezzo all’assemblea si levail canto gioioso della risurrezione.

Quale luce che si accende luminosanel buio del mondo, la liturgia è sem-pre alimentata dalla Pasqua radiosa diCristo. Con la sua risurrezione, tutto nelcreato si illumina di una luce inestingui-bile. A Pasqua anche la notte più buiasplende più della luce piena del giorno.

La risposta al nostro quesito ci vie-ne anche dal Vaticano II, che nella Sa-crosanctum Concilium puntualizza: L’ “opera della redenzione umana edella perfetta glorificazione di Dio,che ha il suo preludio nelle mirabiligesta divine operate nel popolo del-l’Antico Testamento, è stata compiutada Cristo Signore, specialmente permezzo del mistero pasquale della suabeata Passione, Risurrezione da mortee gloriosa Ascensione, mistero con ilquale ‘morendo ha distrutto la nostramorte e risorgendo ci ha ridonato lavita’. Infatti dal costato di Cristo è sca-

turito il mirabile sacramento di tuttala Chiesa” (n. 5).

Con ciò - osserva il compianto S. Mar-sili - “la Sacrosanctum Concilium...nonsolo ha inteso porre questa (la Pasqua)come compimento reale di quello che laPasqua profeticamente significava epreparava, ma le ha assegnato anche ilposto unico e eminente che nella rivela-zione del disegno di salvezza è riservatoalla Pasqua stessa, e cioè il posto centra-le”2. Pertanto il culto cristiano ha comecentro assoluto e imprescindibile la Pa-squa: esso celebra Cristo Signore, che èla Pasqua piena e definitiva, la Pasquaeterna dei redenti (cf. 1 Cor 5,7). In luimorto e risorto, l’umanità nuova puòrendere il culto perfetto al Padre.

La Pasqua è l’evento centrale dellastoria salvifica. Il tutto della Chiesa.Anzi con la risurrezione inizia una Pa-squa ininterrotta (1 Cor 5,7-8). InfattiCristo nostro Agnello è stato immola-to e ha già compiuto per noi la passio-ne redentrice. Per questo la Chiesa nei“cinquanta giorni” di Pasqua canta ri-petutamente: “Questo è il giorno fat-to dal Signore” (Sal 117,24).

Nel giorno di Pasqua i fedeli ricevo-no il mandato pasquale di Cristo, rias-sunto in tre verbi programmatici: “An-date, annunciate, fate memoriale!”3.L’evento pasquale-resurrezionale deveproseguire nel mondo ininterrotta-mente.

La Chiesa, che deve andare in missio-ne per annunciare il Signore risorto e

I sacramenti segni salvifici del mistero pasquale di p. Sergio Gaspari, smm

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fare memoriale della sua Pasqua, nasceproprio dalla Pasqua di Cristo e dall’ef-fusione dello Spirito pentecostale4. Mapuò annunciare il mistero della pasqua,in quanto essa stessa è “sacramentouniversale di salvezza” (LG 48; cf. GS 45;AG 5)5: è il “mirabile sacramento” sgor-gato dal costato di Cristo comeprolungamento della sua umanità glo-rificata dallo Spirito (Gv 10,30.34; SC 5)6.Così, comunità sacramentale, la Chiesagenera e nutre i suoi figli mediante isingoli sacramenti7, segni-frammentodella sacramentalità fondamentale eradicale, principale e totale che è il sa-cramento pasquale.

Quando si parla di sacramenti, ci siriferisce sempre al mistero pasquale.Non invano san Leone Magno defini-sce la notte di Pasqua paschale sacra-mentum, “sacramento pasquale”8; iltempo pasquale è chiamato resurre-ctionale sacramentum, “sacramentodella risurrezione”; la quaresima è de-nominata quadragesimale sacramen-tum, “sacramento quaresimale”; tredomeniche quaresimali (III, IV e V) delciclo A sono dette sacramentali; i tresacramenti dell’iniziazione cristiana(battesimo, confermazione ed eucari-stia), ricevuti specialmente nella vegliapasquale, sono denominati “misteri”,“sacramenti” pasquali o sacramentidel mistero pasquale9.

I sacramenti sono risposta rituale al-la Pasqua celebrata ogni giorno. Ognu-no di essi opera la cristificazione: la tra-sformazione in Cristo morto e risorto.

Iniziazione cristiana. Il Vaticano IIha insistito notevolmente sul recuperodel processo unitario e dinamico deitre sacramenti dell’iniziazione (cf. SC71), sia per rispettare l’unità del triduo

pasquale, sia per mostrare come i tresacramenti incorporano a Cristo morto,sepolto e risorto. Il RICA così ne descri-ve l’unità profonda: “Per mezzo deisacramenti dell’iniziazione cristiana, gliuomini, uniti con Cristo nella sua mor-te, nella sua sepoltura e risurrezione,vengono liberati dal potere delle tene-bre, ricevono lo Spirito di adozione afigli e celebrano, con tutto il popolo diDio, il memoriale della morte e risurre-zione del Signore” (RICA, Introd. gen.,1). La tradizione, l’eucologia e i docu-menti del magistero mostrano la se-quenza classica e invariabile dei tre sa-cramenti10. Essi compiono nei fedeli l’u-nico mistero pasquale di Cristo in tripli-ce rito. Per questo sono detti sacra-menti cristici e cristificanti. La rinascitadivina (battesimo), sigillata dallo Spiri-to (confermazione), conduce alla men-sa del Signore (eucaristia); o anche: lacarne del battezzato, resa divina dalloSpirito, diviene corpo eucaristico di Cri-sto crocifisso e risorto11. Attraverso l’im-mersione (morte al peccato) ed emer-sione dalla vasca battesimale (rinascitadivina) si riproduce la morte e risurre-zione del Signore (cf. RICA, Introd.gen., 3-6). Ossia il battesimo, segno sa-cramentale dell’evento globale dellaPasqua, esige la confermazione (pente-coste); questa rinvigorisce il battesimoe conduce all’eucaristia (parteci-pazione alle Cene del Risorto con idiscepoli). È noto che da sempre nei ritiorientali i tre sacramenti sono celebra-ti, anche nel caso di un neonato, inun’unica azione liturgica.

Secondo la tradizione più antica, lacelebrazione dell’iniziazione avvienenel corso della veglia pasquale, la cuiarticolaziome rituale ben illustra i tre

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sacramenti. La liturgia iniziatica, che haluogo dopo l’omelia, è così strutturata:canto delle litanie dei santi, benedi-zione dell’acqua, triplice rinuncia almale (non si prevede l’unzione con l’o-lio dei catecumeni, perché si supponegià fatta), triplice professione di fede,rito del battesimo con tripliceimmersione o di tutto il corpo o soltan-to del capo e formula trinitaria (RICA220); riti esplicativi: si tralascia l’unzio-ne post-battesimale, poiché subito do-po avviene la confermazione; segue laconsegna della veste bianca e del ceroacceso; quindi vi è la celebrazione dellaconfermazione: introduzione, invito al-la preghiera e pausa di silenzio; imposi-zione delle mani da parte del vescovoe dei presbiteri concelebranti su tutti iconfermandi, orazione, crismazionemediante un segno di croce sulla fron-te dei candidati e relativa formula; ritodella pace; omesso il “Credo”, prose-gue l’azione eucaristica con la preghie-ra dei fedeli. I neo-battezzati econfermati partecipano per la primavolta e a pieno diritto all’eucaristia (RI-CA 208-234; cf. 27-36). L’iniziazioneraggiunge il suo culmine e compimen-to nell’eucaristia, terzo ed ultimo ritosacramentale (RICA 36; RC 13).

Anche il tempo della mistagogia, ocatechesi post-sacramentale ai neofiti,ha luogo nel periodo che va dalla ve-glia pasquale alla domenica di pente-coste (RICA 37-40; 235-239). Essa inten-de offrire “una più piena e più frut-tuosa intelligenza dei ‘misteri’” (RICA38); consente una “personale e nuovaesperienza della vita sacramentale ecomunitaria” (RICA 40); agevola “unarinnovata visione della realtà e un im-pulso di vita nuova” (RICA 39), in mo-

do che il mistero pasquale, celebrato ericevuto, possa esser tradotto “semprepiù nella pratica della vita” (RICA 37)12.Per favorire quest’esperienza si posso-no celebrare le “Messe per i neofiti” ole Messe delle domeniche di Pasqua(RICA 40).

Nel contesto unitario dell’iniziazio-ne consideriamo ora distintamente ilbattesimo e la confermazione.

Battesimo. Chi rinasce dall’acqua edallo Spirito (Gv 3,5), è creatura nuova(2 Cor 5,17; RBB 60; RICA 215). Il neofi-ta, cioè “ora vive per Dio in Cristo Ge-sù” (Rm 6,11; 8,11). Devono pertantocambiare comportamento e costumimorali: bisogna seguire il Signore ri-sorto che dona il suo Spirito, ispiratoredi una nuova mentalità. Infatti nel

Il sacramento del Battesimo, Basilica S. Caterinad’Alessandria, Galatina, sec XIV

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battesimo, vero bagno nuziale, il Si-gnore si sceglie la sua “piccola sposa”,destinata a crescere nella fedeltà spon-sale mediante il sostegno del suo Spiri-to e il cibo eucaristico, per assimilarlain tutto alla sua identità di Risorto.

Confermazione. I due momenticentrali del rito sono l’imposizione del-le mani e l’unzione sulla fronte.L’imposizione delle mani è il segnodella trasmissione dello Spirito pente-costale. Dice deputazione al culto e al-la preghiera (cf. RC 13; 25), cioè depu-tazione anzitutto alla partecipazioneeucaristica. Il rito dell’unzione invececonfigura il fedele a Cristo che si avviaal suo sacrificio pasquale, celebratonell’eucaristia13, e ricorda la consacra-zione regale, profetica e sacerdotale diGesù nel battesimo, in vista della suamissione pasquale per diffondere sullaterra il fuoco dello Spirito (RC 25).

La confermazione può esser quali-ficata come il sacramento dello Spiri-to: la pentecoste apostolica (At 2) si fapentecoste ecclesiale-personale deicresimandi (cf. RC 1).

Eucaristia. Cristo risorto si manifestaai discepoli nel giorno di Pasqua nelcontesto di un convito: a Emmaus simette a tavola con due di loro (Lc 24,30-31); mangia una porzione di pesce da-vanti agli apostoli (Lc 24,40-43); quindicigiorni dopo si manifesta una terza voltasul lago di Tiberiade, nel contesto diuna pesca e di un convito (Gv 21,1-14).

L’eucaristia, madre e matrice di cia-scun sacramento, si pone alla base, alcentro e al vertice di tutti i sacramenti.Questi, “pur distinti l’uno dall’altro co-stituiscono una unità fondamentale co-struita in forma piramidale al cui verticesi colloca l’eucaristia: il sacramento dei

sacramenti”14. Più specificamente, i sin-goli sacramenti si presentano come set-tori dell’eucaristia o cerchi concentricidisposti attorno al loro centro unico.

L’eucaristia si pone quale compi-mento degli altri due sacramenti ini-ziatici (battesimo e confermazione):sviluppa la vita sacerdotale e nuziale del battezzato e fa vivere lamorte e risurrezione del Signore, già sperimentata nell’immersionebattesimale; rinnova quotidiana-mente la forza dello Spirito ricevutonella confermazione.

L’eucaristia inoltre esige laconversione che la penitenza rico-struisce e rafforza; “aiuta i malati aunirsi al mistero della passione e dellarisurrezione in vista dell’incontro con ilSignore” (ECC 90); realizza il servizioministeriale dell’ordine sacro, finalizza-to al ministero eucaristico; nutre e rin-salda i vincoli dell’unione sponsale.

Penitenza e riconciliazione. Gesùrisorto, la sera del giorno di Pasqua ap-pare agli apostoli radunati nel cenacolo.Si intrattiene con loro e promette lo Spi-rito (Lc 24,36-49). Mentre invia i disce-poli nel mondo donando loro il Paracli-to con il potere di rimettere i peccati,opera la prima pentecoste (Gv 20,19-23;Lc 24,36). Così la Pasqua si manifestaquale giorno dell’effusione dello Spiritoe della remissione dei peccati.

Anticamente il giovedì santo matti-no avveniva la riconciliazione dei pe-nitenti, proprio perché essi potesserogustare pienamente la gioia del per-dono pasquale.

La penitenza rivela un forte legamecon l’iniziazione (cf. RP 2): reintegral’uomo nello stato di figlio di Dio (bat-

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tesimo), dotato dello Spiritosantificatore (confermazione), in gra-do quindi di nutrirsi del cibo divino(eucaristia). Non per nulla, metaforica-mente è detta “seconda tavola di sal-vezza dopo il naufragio” del peccato15.

La penitenza sacramentale attua laremissione totale dei peccati, donacioè il perdono chiesto al Padre da Cri-sto morente sulla croce. Essa celebral’anno interminabile della grazia delSignore, inaugurato il giorno di Pa-squa, l’anno dell’amnistia generale,propria dei tempi salvifici (Lc 4,18-19)e del giubileo biblico (Lev 25; Dt 15).Giustamente si osserva che il rito sacra-mentale “non è il perdono di Dio, mail segno del suo perdono”16. Ossia, piùche perdonati perché assolti, si è assol-ti perché già si è stati perdonati.

La riconciliazione - che riveste il pe-nitente della veste nuziale per parteci-pare nuovamente al convito nuziale(cf. RP 54) - è nuovo incontro tra dueinnamorati. Proprio per questo, qualesacramento medicinale che cura il ma-le, tende a ripristinare la vita resurre-zionale nel fedele.

Unzione degli infermi. Quale sa-cramento della guarigione e del perdo-no (UI 6), anche l’unzione degli infermiè sacramento medicinale, ed è finaliz-zata alla rivitalizzazione in Cristo. Essa produce un triplice effetto: 1) conla remissione dei peccati, guarisceintegralmente il malato (Mt 9,2; cf.vv.1-8); 2) ha finalità terapeutica17: vuolperseguire la salvezza dalla morte, oalmeno, quale aiuto per la vita, è ingrado di offrire al malato un sollievofisico e spirituale (Gc 5,14-15); 3) taloral’unzione guarisce proprio mentre aiu-ta ad accettare la malattia come

partecipazione all’offerta di Cristo sullacroce (cf. LG 11).

Gesù stesso, nell’unzione ricevuta dauna donna anonima a Betania, dichia-ra: ella ha unto “in anticipo il mio cor-po per la sepoltura” (Mc 14,8). E altroveGesù specifica: l’olio profumato va con-servato “per il giorno della mia sepoltu-ra” (Gv 12,7). Egli è unto per il sepolcro.

L’unzione sacramentale prepara an-che all’offerta della vita, che si consu-merà nel giorno della morte fisica, sa-crificio supremo e totale di sé (cf. Fil2,17). In tal caso l’unzione, che è consa-crazione per l’incontro col voltotrasfigurante del Signore, è finalizzataalla trasformazione del dolore dellamorte in grazia di santificazione. Cosìla Pasqua di Cristo capo diviene anchePasqua delle membra del suo corpo.

Nel contesto della partecipazione almistero pasquale di Cristo, si compren-de l’unzione impartita pure alle personesane nella settimana santa. In Grecia adesempio c’è una celebrazione comunita-ria per gli infermi e per tutti i fedeli ilmercoledì santo, quale preparazione al-la comunione pasquale, sacramento dirivitalizzazione in Cristo. Altrettanto sifa in Russia il giovedì santo18. L’unzionealle persone sane si spiega anche con ilfatto che Cristo pasquale è guaritoredelle anime e dei corpi. Se il peccato èuna forma di malattia che contagia pu-re il corpo, va curata con il segno ester-no dell’unzione. Come per la malattianello spirito c’è la confessione-riconcilia-zione, così per la malattia del corpo c’èl’unzione sacramentale.

Sacerdozio ordinato. Nell’ultimaCena Gesù ha istituito il sacerdozio or-dinato della nuova alleanza (Gv 13,1-20) a servizio del gregge che egli si è

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acquistato a prezzo del suo sanguesulla croce (At 20,28). Egli è il Sommoed eterno Sacerdote (Eb 7-9) perchécon la sua morte ha costituito per Dioun regno di sacerdoti (Ap 5,10)19.

Il sacerdozio ministeriale è chiamatoa svolgere un triplice ministero: dellaparola o munus docendi, liturgico omunus sanctificandi e pastorale o mu-nus regendi (cf. LG 25-27; CD 12-16; PO4-6), affinché il popolo sacerdotale delSignore ascolti e risponda obbedien-zialmente alla parola del Risorto, cele-bri il suo sacrificio pasquale e sia guida-to, secondo la logica della croce, nellafraternità tipica della famiglia nuovadel Signore, sorta il giorno di Pasqua.

Nel NT i “ministri della parola” (Lc1,2) e i servi della parola (At 6,1-4), so-no anche i dispensatori dei misteri divi-ni (1 Cor 4,1-2). Il profeta che spiega laParola non è diverso dal presidentedell’assemblea liturgica (cf. Rm 12,3-8).Anzi la predicazione ai pagani è cultodivino (Rm 15,16): servizio sacerdotaleche conduce all’azione sacramentale.

Il presbitero “è nello stesso tempominister Verbi e minister sacramenti...Un sacerdote, che pure celebri degna-mente la Santa Eucaristia, la fractio pa-nis, ma che non spezzi al popolo il panedella Parola di Dio, è sacerdote soltantoa metà”20. Oggi, tempo della “nuovaevangelizzazione”, è ancor più necessa-rio annotare la complementarità armo-nica tra sacerdozio predicante e sacer-dozio sacrificante. Solo a partire dal mi-nistero dell’evangelizzazione si pervie-ne al ministero del culto, centrato sulsacramento salvifico della Pasqua.

Nell’AT il re e il capofamiglia eranosacerdoti nel senso che erano chiamatirispettivamente a governare il popolo e

la famiglia con il proprio amore. Cristonel NT è sacerdote, in quanto re e capo,cioè pastore che guida i discepoli donan-do la sua vita. Il presbitero è pastore, seè pronto, come Gesù sulla croce, al sacri-ficio di sé e ad offrire la propria vita per ifedeli (cf. Gv 10,1-18). In caso contrario -direbbe sant’Agostino - è simile a “unfantoccio di paglia che sta nella vigna”21.Egli sta tra la gente, ma è incapace dianimazione. Non è pastore perché nonha un animo pasquale. Non è neppurein grado di nutrire gli altri con il cibo di-vino, perché non ha attinto l’amore sa-crificale dalla mensa del Signore, la qua-le suppone l’offerta interiore del propriocuore, primo e vero tempio del Signore.

<Matrimonio. Nel realizzare sacra-mentalmente il grande progetto della

Il sacramento dell’Ordine, Basilica S. Caterinad’Alessandria, Galatina, sec. XIV

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creazione, il matrimonio attua la vo-lontà primordiale del Signore per lesue creature (Gen 2,24). Il reciprocoamore e la mutua fedeltà dei coniugiè risposta di fedeltà al Signore. La lorounione indissolubile diviene segno del-l’amore di Dio verso di essi e segno delloro amore verso Dio (cf. CCC 2360-2365). Come nell’eucaristia il pane e ilvino diventano corpo e sangue di Cri-sto, così nel matrimonio l’amore uma-no può raggiungere il livello divino.

Il matrimonio rivela un alto valoresimbolico. In tutto l’arco dell’AT si no-ta come l’amore di Dio, sposo d’Israe-le, si trova riflesso nel matrimonioebraico. Nel NT l’amore di Cristo, spo-so della Chiesa, si prolunga nel matri-monio cristiano, segno sacramentaledella nuzialità del Signore che ama enutre la Chiesa sposa22.

Il matrimonio è intimamente con-nesso con il mistero pasquale celebra-to nell’eucaristia. Per questo solita-mente è celebrato all’interno della Ce-na, vero e proprio convito nuziale.Eucaristia e matrimonio sono entrambimistero di comunione: Cristo sposo siunisce alla Chiesa nella comunioneeucaristica, e gli sposi, unendosi a Cri-sto eucaristico, insieme si uniscono traloro come egli è unito alla Chiesa23.

Oltre che immagine e specchiodell’eucaristia, il matrimonio ne rappre-senta anche l’estensione sacramentale:l’offerta reciproca degli sposi è possibilee duratura là dove il pane eucaristiconutre e alimenta la vita coniugale. Sepoi, nel superare l’egoismo e la chiusu-ra delle mura domestiche, la loro fami-glia si inserisce altruisticamente nellaChiesa e nella società, vuol dire che l’a-more pasquale di Cristo è l’anima del

loro cammino quotidiano. Da qui emer-gono i “due impegni pasquali” deglisposi cristiani: a) il loro amore trasfigu-rante-santificante, e b) la crescita, me-diante la famiglia, della comunità cri-stiana nell’amore fraterno, quale segnoalternativo alle comunità umane, doveabitualmente regnano l’egoismo, laconcorrenza e la ricerca dell’interesseprivato. In effetti il mistero di Cristo, vi-vificante ed amante, Pasqua in atto, èdonato ad una “piccola Chiesa”, che èla coppia cristiana. I due, nella lorounione sacramentale, si uniscono persempre a Cristo sposo.

a) Il matrimonio è donum: carisma evocazione del Signore (1 Cor 7,7). Esso,che “benedice e rafforza” la consacra-zione iniziatica (cf. SM 26), rinnoval’impegno a vivere la logica convivialedi Cristo sulla croce. Così, grazie allasantità battesimale, gli sposi “si aiuta-no a vicenda per raggiungere la santitànella vita coniugale” (LG 11).

Come la vita consacrata, scelta peril regno dei cieli (Mt 12,19), il matri-monio è consacrazione totale a Dio esegno dei tempi escatologici.“Matrimonio e celibato sono due as-soluti cristiani. Entrambi, per amore diCristo, diventano segni del regno diDio che viene. Entrambi impongonodelle condizioni di vita rischiose, che sipossono accettare soltanto per amoredi Cristo e del Vangelo”24.

Tra matrimonio e vita consacrata siinstaura un mutuo scambio. Il primoevidenzia le nozze spirituali dei religio-si, e la seconda è segno del matrimonioelevato alla dignità di sacramento. Lateologia bizantina sostiene che il ma-trimonio è “monachesimo interiorizza-to”, e il fidanzamento come il novizia-

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to per i religiosi25. Neppure la teologiaspirituale dell’Occidente ha mai misco-nosciuto le nozze invisibili dei consa-crati, i quali possiedono nell’intimo larealtà del matrimonio: il vincolo nuzia-le con Cristo, di cui le nozze umane so-no immagine26. La vita consacrata ma-nifesta il senso escatologico del matri-monio: anticipa l’esistenza nel regnodei cieli, che sarà simile a quella degliangeli (Mt 22,30), in cui tutti sarannocome fratelli e sorelle in Cristo. In que-sta prospettiva va notato che se lo spo-so e la sposa rappresentano la Chiesasposa di Cristo, i due insieme sono spo-sa di Cristo, quindi anche fratello e so-rella tra loro27.

Matrimonio cristiano e nozze spiri-tuali tendono a fondersi tra loro. Ilmatrimonio di Giuseppe e Maria, veromatrimonio umano, in realtà è vissutoquale matrimonio spirituale, o meglioquale nuzialità pasquale-escatologica.Realtà questa ben visibile e realizzatatra Maria e l’apostolo Giovanni pressola croce, uniti da Cristo, unico verosposo di tutti i fedeli.

b) Il matrimonio è mandatum, “mis-sione”. Ad un tempo diviene sacerdo-zio coniugale, familiare e sociale. Ciò

che il presbitero vive nella Chiesa, glisposi lo compiono in piccolo nella fami-glia e lo proiettano nella società. Essiesercitano il loro sacerdozio con la pre-ghiera, l’esempio, il lavoro e lacollaborazione con la Chiesa e la so-cietà. Da qui deriva forse il fatto che inOriente alcuni sposati diventano pre-sbiteri: il sacerdozio della comunità fa-miliare, si espande, secondo la sua di-mensione tipicamente apostolica, nellacomunità ecclesiale e sociale.

Dall’unione feconda degli sposiprocede la famiglia, chiamata ad esse-re immagine e partecipazione dellaChiesa (GS 48). Dalla famiglia si svilup-pa la parrocchia, Chiesa locale. La par-rocchia, a sua volta, fa crescere la fa-miglia aprendola alla comunità eccle-siale e umana.

I sacramenti ci consentono di ri-percorrere con Cristo tutto il suo itine-rario pasquale. In questo modo il fe-dele, docile e obbediente, passa dallavita umana, limitata e fragile, alla gra-zia della cristificazione, opera dellapotenza dello Spirito, “il Signore deisacramenti”. Reso un “altro Cristo”, ilcredente diventa nel mondo icona vi-vente ed eloquente di Cristo risorto.

1 Abbreviazioni e sigleCCC Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1992.ECC CEI, Eucaristia Comunione e Comunità (1983).LO Liturgia delle Ore (voll. 1-4).RBB Rito del Battesimo dei bambini (1970).RC Rito della Confermazione (1972).RICA Rito dell’Iniziazione cristiana degli adulti (1978).RP Rito della Penitenza (1974).SM Sacramento del matrimonio (1975).UI Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi (1974).

2 La liturgia, momento storico della salvezza, in Anàmnesis 1, Marietti, Torino 1974, 98.3 Nel nome del Risorto iniziano la missione (Mc 16,7; Mt 28,7; Lc 24,9.33; Gv 20,21), l’annuncio

(Mt 28,8; Lc 24,9-11.34-35) e il memoriale liturgico di lui (Lc 24,6-8).4 Cf. orazione “sulle offerte” del giorno di Pasqua (in MR 186). 5 Tra i tanti testi, cf. la Colletta del II formulario della Messa “Per l’evangelizzazione dei popoli” (in MR 801).

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6 L’Inno delle Lodi mattutine per la settimana santa canta: “Dal tuo fianco squarciato / effondisull’altare / i misteri pasquali / della nostra salvezza” (in LO 2,369).

7 Per questo la Chiesa è chiamata “la vera madre dei viventi” (Tertulliano), “la Eva madre di tuttii viventi” (Ambrogio).

8 S. LEONE Magno, Tract. 72,1, in CCL 138/A, 441. Le altre denominazioni si trovano nel messale:Cf. una rassegna in J. LOPEZ MARTIN, “In Spirito e Verità”. Introduzione alla liturgia, CiniselloBalsamo 1989, 177-179, e nella liturgia delle Ore (ad es. in LO 3,770).

9 Sant’Ambrogio di Milano, ponendo sullo stesso piano “l’acqua del battesimo e le lacrime dellapenitenza”, parla anche del “sacramento nelle lacrime”, quale sacrificio della penitenza since-ra (Ep. 41,12, in PL 16,1116, ripresa da RP 2).

10 Cf. ad es. CIC 852,2 e la colletta della II domenica di Pasqua: il battesimo che ci ha purificati, loSpirito che ci ha rigenerati, il Sangue che ci ha redenti (in MR 194).

11 “Caro baptizati fit corpus crucifixi” (LEONE Magno, Tract. 63,6, in CCL 138/A,387). I tre sacra-menti conferiscono l’identità cristiana (filiazione divina), stimolano a vivere lo statuto cristiano(precetto dell’amore) e illuminano la meta della rinascita escatologica (regno celeste), Cf. Pre-fazio comune 7, in MR 374.

12 Cf. Le catechesi mistagogiche di Cirillo di Gerusalemme, in SChr 126 e di Ambrogio, De sacra-mentis - De mysteriis, in Schr 25 bis.

13 L’allocuzione così si rivolge ai candidati: “La vostra vita diffonderà il profumo di Cristo, per lacrescita spirituale della Chiesa” (RC 25). Lo Spirito rende il cresimato offerta gradita a Dio,quindi buon profumo di Cristo (2 Cor 2,15), soprattutto nell’eucaristia, offerta sacrificale disoave profumo al Padre (Ef 5,2).

14 N. CONTE, Benedetto Dio che ci ha benedetti in Cristo. Introduzione alla liturgia, Palermo 1992, 233.15 Cf. s. TOMMASO d’Aquino, S. Th. III, q.84 a.6, e Prefazio della penitenza (in MR 352). Il “Credo”

recita: “Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati”. La penitenza sacramentale, vis-suta come un secondo battesimo nelle lacrime: E. LODI, Lasciatevi riconciliare, Roma 1983, 51-122; circa le relazioni tra battesimo-eucaristia-penitenza: RP 1-2.

16 C. DI SANTE, Celebrare la vita. Viaggio nel mondo dei sacramenti, Leumann 1991, 95.17 Forse anche per questo nell’ordine classico dei 7 sacramenti l’unzione viene non per ultima, ma

prima dei sacramenti ministeriali: ordine e matrimonio. 18 Anche in Spagna, nel VI sec., dopo l’assoluzione della confessione, vigeva l’uso di ungere il pe-

nitente con olio, come segno del risanamento del corpo.19 “Donandosi per la nostra redenzione (Cristo) divenne altare, vittima e sacerdote” (Prefazio pa-

squale 5, in MR 331).20 A. BEA, Valor pastoral de la Palabra de Dios en la Liturgia, in AA. VV., Renovación de la liturgia

pastoral en el Pontificado de S. S. Pio XII. Crónica y Discursos del primer Congreso Internacionalde Liturgia pastoral (Asís-Roma 1956), Toledo 1957, 135; Cf. 119-139.

21 In A. MORIN (ed.), Miscellanea Agostiniana, 1. Testi e Studi, Roma 1930, 568. L’orazione “sulleofferte” della Messa “Per il sacerdote celebrante” chiede che “al pastore non manchi mai ladocilità del gregge e al gregge la sollecitudine del pastore” (in MR 787).

22 Nel matrimonio i coniugi “significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore cheintercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr. Ef 5,32)” (LG 11).

23 Il matrimonio nell’eucaristia trova “il suo momento fontale e la sua piena capacità di realizza-zione” (CEI, Evangelizzazione e sacramento del matrimonio, 37).

24 R. SCHUTZ, Das Heute Gottes, Freiburg 1963, 89. 25 Cf. P. EVDOKIMOV, L’Ortodossia, Bologna 31981, 425-434. 26 Cf. CEI, Rito della consacrazione delle vergini (1980) 1; C. GIULIODORI, La reciprocità matrimo-

nio-verginità: una sfida per la nuova evangelizzazione, in “Vita consacrata” 34/2 (1998), 156-170 e 34/3 (1998), 290-301.

27 Tobia chiama “sorella” la moglie Sara (Tb 8,4; cf. CCC 2361). Moglie e marito sono entrambi sotto-messi a Cristo sposo, più che tra loro (Ef 5,21-33). Si conoscono coppie e famiglie che vivono il ma-trimonio in comunità come forma di consacrazione a Cristo e di vita fraterna. Esse si impegnano arealizzare l’ideale della Chiesa primitiva, come attesta At 2,42-47; 4,32-35, cf. C. e G. BENASSI, Ma-trimonio e vita consacrata, in AA. VV., Lo Sposo e la Sposa, “Parola Spirito e Vita” 13, Bologna1986, 269-283.

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Fine della liturgia è fare sì che laPasqua di Cristo diventi la Pasquadella Chiesa e dei singoli fedeli,

chiamati a glorificare Dio mediante lamorte al peccato e la vita nuova in Cri-sto. La Pasqua resta così il punto di par-tenza e insieme il punto di arrivo dellaliturgia. La liturgia parte dalla Pasquadi Cristo, da cui desume tutto il suo si-gnificato e la sua efficacia, e tende allaPasqua della Chiesa e dei singoli fedeli;tende cioè a diffondere nelle membradel corpo mistico quella pienezza di vi-ta che sgorga perennemente dal Capo1.

Paolo VI nell’Esortazione Apostoli-ca Mysterii Paschalis, con cui approvale Norme generali per l’ordinamentodell’anno liturgico e del calendario –seguendo l’insegnamento della Costi-tuzione Sacrosanctum Concilium [=SC], nn.102-111 –, afferma che «la ce-lebrazione del mistero pasquale costi-tuisce il momento privilegiato del cul-to cristiano nel suo sviluppo quotidia-no, settimanale e annuale». Da partesua, il Catechismo della Chiesa Cattoli-ca [=CCC] dice che «l’anno liturgico èil dispiegarsi dei diversi aspetti dell’u-nico mistero pasquale» (n.1171). Ciò èvero sia da un punto di vista storico,sia da un punto di vista teologico.

La Chiesa ha incentrato, dall’inizio,la sua preghiera e la sua vita nell’euca-ristia, celebrando il ‘memoriale’ dellamorte e della risurrezione del Signore

ogni domenica e in seguito, più solen-nemente, ogni anno nella Pasqua cri-stiana, e ha sviluppato poco a poco unvero e proprio anno liturgico, asse-gnando a giorni stabiliti – divenuti ‘fe-ste’ – la ‘memoria’ di aspetti particolaridel mistero pasquale o anche di singolifedeli (martiri e santi) che questo miste-ro avevano attuato in maniera esem-plare nella loro vita. E così fino al secoloIV inoltrato, la Chiesa celebrava solo ladomenica, come Pasqua settimanale, e,in seguito, la veglia pasquale come Pa-squa annuale. Alla fine del IV secolo,soprattutto per influsso della comunitàcristiana di Gerusalemme, incomincia aprevalere il criterio della storicizzazionedella Pasqua, che tende a distribuire glieventi del mistero pasquale in altret-tante distinte celebrazioni.

1. Dalla Pasqua settimanale / an-nuale al ciclo pasquale e al dispie-garsi dell’anno liturgico

Quando parliamo di mistero pa-squale, con questa espressione non in-tendiamo indicare soltanto gli eventipuntuali della morte e della risurrezio-ne di Cristo, ma l’intero mistero di Cri-sto secondo quanto si desume dalle pa-role di Gesù riportate da Gv 16,28: «So-no uscito dal Padre e sono venuto nelmondo; ora lascio di nuovo il mondo, evado al Padre». Tutta la vicenda di Cri-sto è riassunta in queste parole, che al

La Pasqua punto di partenzae punto di arrivo liturgico di p. Matias Augé, cmf

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tempo stesso esprimono con chiarezzala sostanza della Pasqua come ‘passag-gio’: il processo di umiliazione e di ab-bassamento che inizia nell’incarnazio-ne e culmina nella croce, nonché il pro-cesso di glorificazione che culminaquando Cristo risorto è insediato, comeSignore, alla destra del Padre.

Se, come dicevamo sopra, nei treprimi secoli tutto ciò che oggi noi cele-briamo lungo l’anno era allora cele-brato in una sola festa la Pasqua (setti-manale e annuale), a partire dal IV se-colo inizia quel processo di fraziona-mento del mistero di Cristo che darà vi-ta al ciclo annuale delle celebrazioni li-turgiche. Possiamo ben dire che l’annoliturgico è un’eucaristia pasquale sdop-piata, celebrata durante tutto l’annoinsieme ai diversi aspetti del misteroredentore. Quanto ci viene dato tuttoin una sola celebrazione sacramentale,viene poi dispiegato in modo progres-sivo in una rappresentazione moltepli-ce, focalizzandone di volta in volta undeterminato evento o aspetto. Comedice l’orazione sulle offerte del Giovedìsanto del Messale Romano, «ogni voltache celebriamo questo memoriale delsacrificio del Signore, si compie l’operadella nostra redenzione».

Questo processo di frammentazioneche si osserva attorno alla celebrazionedel mistero pasquale nel corso del IV se-colo coincide con altri processi analoghi.Così, ad esempio, un processo simile lotroviamo anche nel contenuto di quellaparte della preghiera eucaristica che sichiama anámnesi, la quale passa dallamemoria della morte del Signore sem-plice ed elementare alla grande anám-

nesi presente in alcune preghiere euca-ristiche più tardive. La più antica anám-nesi eucaristica è quella di 1Cor 11,26:«Ogni volta che mangiate di questo pa-ne e bevete di questo calice, voi annun-ziate la morte del Signore finché eglivenga». Il contenuto di quest’anámnesisi riduce all’espressione “morte del Si-gnore”. Notiamo però che si tratta dellamorte “del Signore o Kyrios”, titolo cheGesù riceve in quanto risuscitato dal Pa-dre (cf. At 2,36). Abbiamo qui l’oggettocentrale del memoriale eucaristico nellasua fase più arcaica. La morte gloriosa,che era l’oggetto della primitiva festapasquale, costituisce anche il nocciolodella più antica formula dell’anámnesieucaristica. L’antico canone romano, ilcui nocciolo più arcaico è del IV secolo,fa invece memoria «della beata passio-ne, della risurrezione dai morti e dellagloriosa ascensione al cielo». Troviamopoi, più avanti nel tempo, altre preghie-re eucaristiche in cui l’anámnesi si è svi-luppata facendo memoria non solo de-gli eventi della passione, morte, risurre-zione e ascensione, ma anche degli altrieventi della vita di Cristo iniziando dalmistero della sua incarnazione. Così, adesempio, l’anámnesi della liturgia copta,chiamata di san Gregorio il Teologo, siesprime in questo modo: «E ora, Signo-re, facciamo memoria della tua venutain terra, della tua morte vivificante, deitre giorni che hai passato nel sepolcro,della tua risurrezione dai morti, dellatua ascensione in cielo, della tua glorifi-cazione alla destra del Padre e della tuaseconda venuta»2.

Praticamente l’anno liturgico si èformato come una irradiazione di tanticerchi concentrici aventi come punto di

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riferimento la Pasqua di morte-risurre-zione del Signore Gesù. Ecco perché levarie fasi del ciclo annuale pur soffer-mandosi su determinati eventi salvificili contemplano sempre nell’unico dise-gno redentore attuato da Cristo e cul-minante nel mistero della sua Pasqua.

La Pasqua di Cristo, ossia la realtàdella redenzione umana e della perfet-ta glorificazione di Dio da lui compiutanel mistero della sua passione, morte erisurrezione, è al centro della storia del-la salvezza e della liturgia della Chiesa,ed è quindi al centro della celebrazionedell’anno liturgico (cf SC, nn. 5-7 e 102).Quanto la Bibbia racconta dalla Genesiall’Apocalisse, la liturgia lo ripresenta ri-proponendolo lungo il cammino chedalla prima domenica di Avvento portaall’ultima domenica del Tempo Ordina-rio, e cioè l’unico piano di salvezza. Nel-la Bibbia esso si svolge «con eventi e pa-role intimamente connessi tra loro, inmodo che le opere, compiute da Dionella storia della salvezza, manifestanoe rafforzano la dottrina e le realtà signi-ficate dalle parole, e le parole procla-mano le opere e illuminano il mistero inesse contenuto» (Dei Verbum [=DV], n.2). Secondo i modi a essa propri la litur-gia della Chiesa ri-narra questo cammi-no, lo interpreta e lo annuncia realizza-to nel mistero di Gesù Cristo, «il quale èinsieme il mediatore e la pienezza ditutta la rivelazione» (DV 2).

Ecco quindi che il mistero del Cristopasquale informa di sé le coordinatestoriche attualizzando l’oggi della sal-vezza3. Questo mistero si manifesta at-traverso i misteri (i «mysteria carnis Christi», come dicono i Padri), che sonole azioni attraverso le quali in Cristo si

è rivelato il disegno salvifico di Dio, percui l’anno liturgico è la celebrazionedel complesso delle azioni salvifichedel Cristo che compendiano tutta lastoria della salvezza dall’inizio del suorivelarsi nella creazione fino alla realiz-zazione finale. Poiché è lo stesso Cristoil protagonista dei vari avvenimenti,ogni avvenimento celebrato rende pre-sente tutto il mistero che è Cristo.

Non si tratta, come talvolta si po-trebbe pensare, di una semplice ripro-duzione drammatica della vita terrenadi Cristo; il contenuto, la realtà ultimadi queste celebrazioni è sempre la to-talità dell’unico mistero di Cristo. Di-fatti, in ogni celebrazione, apparente-mente parziale, viene sempre celebra-ta l’eucaristia in cui avviene il tutto.«Il mistero è sempre completo»4.

Il Crocifisso di S. Francesco, origine siriaca, sec. XII

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2. La Pasqua e il ciclo della mani-festazione del Signore

Nella preghiera eucaristica si affer-ma che la domenica «è il giorno in cuiil Cristo ha vinto la morte e ci ha resipartecipi della sua risurrezione». Nelmemoriale continuo e ininterrottodella morte e risurrezione di Cristo, laChiesa inserisce, di domenica in dome-nica lungo il corso dell’anno liturgico,il ricordo memoriale del mistero diCristo nella sua totalità: «Dalla incar-nazione e dalla natività fino all’ascen-sione, al giorno della pentecoste e al-l’attesa della beata speranza e del ri-torno del Signore» (SC, n.102).

Anche il tempo liturgico di AvventoNatale Epifania è celebrazione di tutto ilmistero della salvezza in Cristo, misteroche in questo periodo viene consideratoperò sotto l’aspetto della venuta “epifa-nica” del Signore (dal greco epipháneia= manifestazione). Perciò possiamo chia-mare questa parte dell’anno liturgico“Tempo della manifestazione del Signo-re”. La liturgia celebra la venuta epifani-ca del Signore mettendo in evidenza lediverse fasi in cui essa si svolge tra me-moria, presenza e attesa: la preparazio-ne profetica dell’Antico Testamento; lavenuta storica del Signore nella sua na-scita e manifestazione sulla terra; la rea-lizzazione mistica di questa venuta nelpresente della Chiesa; finalmente, la ve-nuta ultima del Signore alla fine deitempi, detta “escatologica” (dal terminegreco éskhaton, che significa ciò che ac-cade per ultimo in ordine di tempo).

Il Natale celebra gli inizi della no-stra redenzione. Secondo sant’Agosti-

no, “celebrare” è fare memoria, me-diante un’azione simbolica, di unevento salvifico del passato, così dapoterlo accogliere e vivere nel pre-sente. In questo senso, Agostino parladella dimensione “sacramentale” del-la celebrazione pasquale. Natale inve-ce è per lui un’evocazione, un sempli-ce anniversario nel quale si ricordasoltanto il fatto della nascita di Gesù,commemorazione quindi di un even-to passato. Ma ben presto ci si anda-va accorgendo che nell’«oggi» dellaliturgia, questo anniversario è porta-tore di grazia e non un semplice ricor-do. Così, alcuni decenni dopo, il gran-de Padre della Chiesa romana, sanLeone Magno, considererà la celebra-zione del Natale una vera celebrazio-ne sacramentale perché, «la nascitadel Signore, nella quale ‘il Verbo si èfatto carne’, non tanto la celebriamocome un avvenimento passato quan-to piuttosto la intuiamo farsi presen-te»5. Le parole di papa Leone non so-no soltanto uno slancio oratorio; egliparla, a più riprese, del Natale comedel «giorno della nostra salvezza»,«giorno luminoso della nuova reden-zione». Il Natale, come la Pasqua, ren-de presente il nostro passaggio conCristo dalla morte alla vita. Possiamoquindi affermare che l’oggetto dellafesta natalizia è il mistero della re-denzione, che ha nella Pasqua il suomomento culminante. Si noti peròche qui si tratta solo del punto di par-tenza dell’opera della salvezza ordi-nata al nostro riscatto, che nel Nataleè già contenuta in germe. Come dicela colletta del giovedì prima dell’Epi-fania: Dio nella nascita di suo Figlioha «dato mirabile principio alla no-

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stra redenzione». La verità della re-denzione dipende dalla verità stessadell’incarnazione. Il Natale è in qual-che modo una Pasqua anticipata.

Le preghiere, le letture bibliche e glialtri testi dell’attuale liturgia natalizia,che si trovano nel Messale e nella Litur-gia delle Ore, sottolineano questa di-mensione salvifica del Natale. Già alleporte della festa natalizia, il ritornellodel salmo responsoriale (Sal 24) del 23dicembre invita a ripetere: «Leviamo ilcapo: è vicina la nostra salvezza». Perquanto concerne la Liturgia delle Ore,basta citare il secondo responsorio del-l’Ufficio delle letture del Natale: «Ri-splende per noi il giorno di una nuovaredenzione, giorno preparato da seco-li, gioia senza fine». Già all’inizio del ci-clo annuale delle celebrazioni liturgi-che ci viene ricordato che l’insieme del-l’anno liturgico dev’essere interpretatoin chiave unitaria e che il suo centro di-namico è il mistero pasquale di mortee risurrezione. La celebrazione del Na-tale di Gesù è quindi orientata verso ilmomento culminante della celebrazio-ne della sua Pasqua.

3. La Pasqua e il santorale

La divisione riportata dai libri litur-gici tra Proprio del Tempo e Propriodei Santi non ci deve trarre in ingan-no: non si tratta di due cicli di celebra-zioni indipendenti, parallele o, menoancora, contrapposte. La Chiesa, cele-brando ogni anno il dies natalis deimartiri e dei santi, celebra il compiersiin loro del mistero pasquale del Cristo:«Nell’anniversario dei santi […] la

Chiesa proclama il mistero pasqualerealizzato nei santi che hanno soffertocon Cristo e con lui sono glorificati»(SC, n. 104). Nel Santorale celebriamosempre l’unico mistero di Cristo, vistonei suoi frutti e realizzato nelle suemembra meglio a lui configurate nellasua morte e nella sua risurrezione. Cri-sto è l’archetipo di ogni santità, il san-to per eccellenza, il solo santo; i santivenerati dalla Chiesa sono quindi talinella misura in cui si sono conformati aCristo, e il martire è, come dice la rac-colta più antica di testi liturgici roma-ni, il Sacramentario Veronese: «imita-tor dominicae passionis»6.

Se diamo un rapido sguardo allastoria del culto dei santi, emerge chia-ramente la dimensione cristologicache questo culto ha avuto già agli ini-zi. La prima testimonianza attendibiledel culto dei santi la troviamo in unalettera della Chiesa di Smirne sul mar-tirio del suo vescovo Policarpo, indiriz-zata «alla Chiesa di Dio che è a Filome-lio e a tutte le comunità della santaChiesa cattolica di ogni luogo»7. Que-sta lettera contiene il racconto auten-tico dell’avvenimento fatto da testi-moni oculari. La data oggi ritenutaprobabile del martirio del vescovo diSmirne è il 156. Quindi il documentoin questione appartiene alla metà delII secolo e proviene dall’Asia Minore.Notiamo che i primi documenti che te-stimoniano la celebrazione della Pa-squa annuale appartengono alla stessaarea geografica e sono dello stesso pe-riodo. Tra la celebrazione del dies na-talis dei martiri e la celebrazione dellaPasqua del Signore c’è intimo rappor-to. Essi sono «discepoli e imitatori del

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Signore». Leggiamo nella sopra citatalettera della Chiesa di Smirne: «Noi ve-neriamo lui che è Figlio di Dio e de-gnamente onoriamo i martiri come di-scepoli e imitatori del Signore per l’a-more immenso al loro re e maestro.Potessimo anche noi divenire lorocompagni e condiscepoli»8. Il martire èvenerato perché ha un rapporto spe-ciale con Cristo e col suo mistero. Lanostra lettera esprime in modo esplici-to questo parallelismo tra la morte delmartire e la passione del Signorequando dice, tra l’altro: «come il Si-gnore, egli attese di essere arrestato»9.

Il Messale Romano attuale nellacolletta della festa di santa Teresa Be-nedetta della Croce (9 agosto) defini-sce il martirio come la sublime cono-scenza del Figlio di Dio crocifisso e lasua imitazione fino alla morte; e lacolletta della memoria di san Massimi-

1 Cf G. PANTEGHINI, Cristo centro della liturgia, Edizioni Messaggero, Padova 1971, p. 36.2 E. RENAUDOT (ed.), Liturgiarum orientalium collectio 1, J. Baer, Francofurti ad Moenum 18472,

p. 30.3 «Quando la Chiesa celebra il Mistero di Cristo, una parola scandisce la sua preghiera: Oggi!, co-

me eco della preghiera che le ha insegnato il suo Signore (cf Mt 6,11) e dell’invito dello Spirito

Santo (cf Eb 3,7-4,11; Sal 95,7). Questo “oggi” del Dio vivente in cui l’uomo è chiamato ad en-

trare è l’ “Ora” della Pasqua di Gesù, che attraversa tutta la storia e ne è il cardine» (CCC, n.

1165). 4 O. CASEL, Il mistero del culto cristiano, Borla, Roma 1985, p. 116.5 LEONE MAGNO, 9° Sermone sul Natale del Signore: E. MONTANARI – M. NALDINI – M. PRATESI (edd.),

Leone Magno: I Sermoni del ciclo natalizio, Nardini, Fiesole 1998, p. 195 .6 Sacramentario Veronese, n. 692 (ediz. a cura di L.C. MOHLBERG [Rerum Ecclesiasticarum Docu-

menta, Series Maior, fontes 1], Roma 1956). L’espressione in questione la ritroviamo nell’attua-

le Messale Romano, Comune dei martiri: colletta per un martire nel Tempo pasquale.7 Cf. A. QUACQUARELLI , I Padri Apostolici (Collana di testi patristici 5), Città Nuova, Roma 19894,

pp.161-172.8 Il martirio di Policarpo 17,3: ibid., p. 170.9 Il martirio di Policarpo 1,2: ibid., p. 161.

liano Maria Kolbe (14 agosto) parladel martirio come conformità al Figliodi Dio fino alla morte. Il centro e ilcuore della santità martiriale, e diogni santità in genere, è l’amore perCristo e la volontà di seguirne le or-me. In tal modo la vita del santo di-venta un sacrificio vivente e gradito aDio, come lo fu quella del Figlio diDio, fatto obbediente fino alla mortedi croce, e diventa feconda della stes-sa fecondità della Croce.

L’eucaristia che si celebra nel diesnatalis del martire e/o del santo nonè altro che l’unica Pasqua di morte-ri-surrezione di Cristo che si estende fi-no a questo giorno per illuminare an-che la morte del santo e renderla sa-crificio pasquale e fermento di risur-rezione.

Per il cristiano è sempre Pasqua!

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Nella tradizione orientale sonodiffusi soprattutto due soggettiiconografici che illustrano la Pa-

squa di Risurrezione: l’icona della Di-scesa agli inferi (detta anche Anastasis– Risurrezione) e quella delle cosiddet-te Mirofore, ossia le pie donne che re-cano gli aromi al sepolcro vuoto. Solopiù tardi, e per influsso occidentale, siè sviluppata anche la rappresentazionedi Cristo che esce dal sepolcro. Que-st’ultimo soggetto è però meno fre-quente, perché nei vangeli canonici l’e-vento della risurrezione non viene de-scritto esplicitamente, ma custoditonell’insondabile mistero dell’amore di-vino. Abbondanti sono invece le descri-zioni evangeliche della visita al sepol-cro delle mirofore, tanto nei sinottici,quanto in Giovanni. Un ulteriore cano-ne iconografico relativo alla vita del Ri-sorto è quello denominato Incredulitàdi Tommaso, di ascendenza giovannea(Gv 20,24-29). Tuttavia l’“icona tipo”della Pasqua deve essere consideratasenza dubbio quella della Discesa agliinferi (detta anche, fino a non moltotempo fa, Discesa al Limbo). Si trattadell’icona forse più importante per laliturgia bizantina: nelle chiese d’Orien-te essa viene esposta solennemente ilgiorno di Pasqua e offerta alla venera-zione dei fedeli, che la baciano con de-vozione inneggiando alla Risurrezionedi Cristo. In questa icona si compendia-no numerosi temi biblici e tutta la teo-logia del mistero pasquale.

Il Nuovo Testamento, come abbia-mo ricordato, non ci informa sul mo-do con cui Gesù è risorto; tutto l’inte-resse, sia in Paolo che negli evangelistiche negli altri scritti, è rivolto agli ef-fetti della risurrezione di Gesù sulla vi-ta dei credenti: il perdono, la pace, larestaurazione della natura umana, lalibertà dal peccato e da ogni schiavitù,il rinnovamento spirituale, il dono del-la vita divina, la comunicazione delloSpirito, la missione evangelizzatrice,l’edificazione della Chiesa… Tuttoquesto è simbolizzato e figurativa-mente descritto nell’icona di cui stia-mo parlando.

Secondo la tradizione orientale (cfrad es. P. Florenskij, Le porte regali,Adelphi 1977, p. 71ss.), ogni soggettoiconografico ha una data di nascitapiù o meno esattamente identificabi-le. Un’icona “nasce” – per così dire –quando un iconografo, per la primavolta nella storia della Chiesa, in unaesperienza spirituale profonda e ge-nuina, “vede” ciò che poi si mette araffigurare sulla tavola. Una tale ico-na, che viene detta prototipica, diven-ta il modello sulla base del quale tuttii futuri iconografi dipingeranno lostesso soggetto. Nessuno può escogi-tare con le proprie risorse umane unaicona prototipica: essa può esser solola registrazione di una esperienza in-teriore, frutto di un dono di grazia.Tale dono viene custodito nella vitaspirituale dell’iconografo e poi conse-

L’icona della Anastasis Discesa agli inferi di don Filippo Morlacchi

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gnato agli altri fratelli, siano essi a lo-ro volta iconografi (e allora, contem-plando l’immagine, potranno goderela stessa visione e poi riprodurre altreraffigurazioni della medesima espe-rienza spirituale) oppure semplici fe-deli (e allora il frutto dell’icona saràsolamente la loro esperienza interio-re). Ora, l’iconografo che ha prodottol’icona prototipica dell’Anastasis hacontemplato il mistero pasquale fa-cendosi guidare soprattutto da unpaio di versetti della Prima Lettera diPietro: “Cristo è morto una volta persempre per i peccati, giusto per gli in-giusti, per ricondurvi a Dio; messo amorte nella carne, ma reso vivo nellospirito. E in spirito andò ad annunzia-re la salvezza anche agli spiriti che at-tendevano in prigione” (1Pt 3,18-19).Il mistero della discesa agli inferi, atte-stato da tutta la tradizione patristica econfermato dallo stesso Simbolo Apo-stolico, viene contemplato, nell’icona,affiancandogli le pagine evangelichein cui Gesù “prende per mano” e“rialza” i malati, risollevandoli dallaloro infermità (cfr. ad es. Mc 1,31;1,41; 5,41; 9,27; anche At 3,6-8). Tuttoil senso dell’icona è racchiuso nel du-plice movimento di discesa e di risalitache percorre l’immagine. Vi si legge intrasparenza l’intuizione di san Paolo:“Per questo sta scritto: Ascendendo incielo ha portato con sé prigionieri, hadistribuito doni agli uomini. Ma chesignifica la parola ‘ascese’, se non cheprima era disceso quaggiù sulla terra?Colui che discese è lo stesso che ancheascese al di sopra di tutti i cieli, perriempire tutte le cose” (Ef 4,7-10). Sein Occidente siamo abituati a rappre-sentare Gesù risorto come colui che

esce glorioso dal sepolcro e sale versoil Padre, in Oriente al contrario Gesùscende. Scende, da solo, negli inferi,nel cuore della terra; ma scende perrisalire portando con sé, nella gloriadel Padre, tutti coloro che attendeva-no la liberazione e la Vita. Cristo nonesce dalla tomba come uno che si è li-berato dalla morte e scappa via; lagrandezza della sua Risurrezione con-siste nel fatto che Egli entra nell’impe-ro del principe delle tenebre e dona lasua vita immortale a tutta l’umanità.

Il Vivente (Ap 1,18) è colui che puòscegliere liberamente e per amore discendere negli inferi in favore dei fra-telli, senza timore di essere risucchiatodal potere della morte. Egli, il Verbodella Vita che aveva scelto di farsi si-mile agli uomini per condividerne lavita terrena, ora va ancora più in fon-do e raggiunge l’umanità nel puntopiù basso della sua esperienza: scendenell’abisso dell’Ade, simbolo dellamorte fisica e spirituale, del nulla, delvuoto che insidia l’esistenza dellecreature. Colui che era disceso dal cie-lo sulla terra, ora scende anche sotto-terra (cfr Fil 2,10), affinché ogni crea-tura, anche la più lontana da Dio, pos-sa essere raggiunta e trasformata dal-la grazia divinizzante.

Ai piedi del Risorto si apre la neracaverna degli inferi; ma il suo abissonon fa più paura, non sono più fauciminacciose, pronte a inghiottire ognivivente. Ormai è una prigione aperta,innocua: chiavi, catene, lucchetti echiavistelli sono spezzati o aperti, di-spersi ovunque, e le porte degli inferinon solo non prevalgono (cfr Mt16,18), ma sono scardinate e messeuna sopra all’altra in forma di croce,

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calpestate e ridotte a sgabello dei pie-di del Risorto (cfr Sal 109,1; 1Cor15,27). Cristo “ha infranto le porte dibronzo e ha spezzato le barre di fer-ro” (Sal 107,16; cfr 115,16), “ha ridot-to all’impotenza mediante la mortecolui che della morte ha il potere, cioèil diavolo” (cfr Eb 2,14). Se il SabatoSanto è il giorno del “grande silenzio”della Chiesa, perché – come la Madda-lena prima di giungere al sepolcro –ancora non ha visto il Cristo vittorioso,molto di più è il giorno del silenziodegli inferi, in cui le forze del male so-no messe a tacere perché una “cata-strofe di Vita” si è abbattuta su di es-se. “Dopo la fuga di Caino, l’uomo si èrifugiato nella morte, rassicurato daun’antica, subconscia, convinzione cheper nascondersi davanti a Dio – che intutte le religioni è associato alla vita –,per sfuggirgli davvero, occorra rifu-giarsi nella tomba. […] Cristo sprofon-da negli abissi della terra, affinché laterra possa ritrovare la sua verità eservire ad Adamo non per nasconder-lo davanti a Dio, ma per ridarlo a Dio”(M. I. Rupnik, Narrativadell’immagine, Ed. Lipa 1996, p. 51s).

In alcune icone (ad esempio inquelle della scuola di Pskov, del XIVsecolo) è dato ben poco risalto alladescrizione dell’abisso infernale: esso– per così dire – non merita più atten-zione, è ormai calpestato e distrutto,viene appena accennato con negli-genza e noncuranza: il cuore dellascena è la vita nuova che irrompe etrabocca. Il colore rosso vivo della ve-ste di Cristo è tipico delle icone diquesta scuola pittorica. Sulle iconeprovenienti da Mosca e Novgorod,Gesù porta invece di norma una tuni-

ca azzurra o bianca: l’evento è descrit-to con minor impatto emotivo e piùdelicatezza, si contempla la pace rista-bilita piuttosto che l’evento restaura-tore, il dono della nuova vita più chela sconfitta dell’antico avversario. An-cora una volta, le molteplici sfumatu-re delle diverse tradizioni pittoriche,lungi dal contraddirsi a vicenda, testi-moniano l’inesauribile ricchezza delmistero.

Vincitore sulla morte, il Risorto,“primizia di coloro che sono morti”(1Cor 15,20), stende la mano versoAdamo (oppure la destra verso Ada-mo e la sinistra verso Eva), cioè l’Uma-nità intera, e la risolleva, restituendo-le il senso autentico della vita. Il toccodella mano del Redentore non è me-no vivificante di quello del Creatore(pensiamo al gesto delle mani di Ada-mo e di Dio che si tendono l’una versol’altra nell’arcinoto affresco michelan-giolesco della Sistina): Adamo ed Evatornano a vivere nell’incontro-contat-to con il Verbo che scende verso di lo-ro nello Sheol. In quell’istante il movi-mento discendente e quello ascenden-te si intrecciano: il Risorto si abbassa,afferra tenacemente l’Umanità e la ri-solleva a nuova vita. È un unico gestoarticolato in più movimenti, come uni-co è il mistero della Pasqua nella suaarticolazione interna. Di norma, Ada-mo non corrisponde attivamente almovimento discendente ma manifestauna sostanziale passività; il Risorto loafferra per il polso e lo trascina in al-to: è il primato della grazia sulla rispo-sta dell’uomo, descritto con un sem-plice particolare. Il vivace moto di-scendente di Cristo è espresso soventeanche tramite il movimento del suo

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mantello, accentuato come se egliscendesse in picchiata sugli inferi, perghermire i suoi fratelli dal ventre dellaterra.

Con Adamo ed Eva, tutti i giustidell’Antica Alleanza attendono la ri-surrezione: nella maggioranza delleicone si distinguono Abele, il primodei giusti, Mosè (raffigurato semprecon la fronte ampia, simbolo di sa-pienza) che tiene in mano la Legge, ilre Davide, il re Salomone, Elia, Danie-le, Isaia e altri profeti; di norma, nonmanca mai il precursore e amico dellosposo Giovanni Battista, l’ultimo deiprofeti e il primo dei martiri.

Nella mano sinistra il Risorto portacon sé un piccolo rotolo o, in altreicone (ad esempio alcune immaginiprodotte nei monasteri del Sinai) unacroce. Nel primo caso si tratta del“documento scritto del nostro debi-to” (Col 2,14) ossia l’atto di accusacontro l’uomo peccatore, che egli hatolto di mezzo con la sua croce, op-pure il prezzo del nostro riscatto (cfr1Cor 6,20;7,23), o più in generalel’annuncio del vangelo della grazia ai“prigionieri”. Nel secondo caso, lacroce esprime simbolicamente la stes-sa verità salvifica. Nelle icone in cuiGesù ha tutt’e due le mani impegna-te nel risollevare Adamo ed Eva que-sto particolare risulta – ovviamente –omesso.

Intorno al Risorto troviamo spessol’alone luminoso della “mandorla”, iltipico stratagemma iconografico perrappresentare la sfera del divino: Gesùscende nel mondo dei morti in tutta lasua natura umana e divina, da lui pro-mana una potenza invisibile e gagliar-da, che attira irresistibilmente verso

l’alto tutta l’umanità. Altre volte la fi-gura di Cristo spicca su uno sfondo cir-colare blu o azzurro chiaro, imprezio-sito di fregi dorati: un cielo stellato,segno della sua natura celeste.

Ora, dopo aver succintamente de-scritto il contenuto dell’icona, non ri-mane che fissare lo sguardo su di essain preghiera contemplativa: Cristo èrisorto, è veramente risorto, con la suamorte ha sconfitto la morte, ha fattoquesto per me, con Adamo ed Eva sol-leva anche me dall’abisso del nulla… Ilfrutto della contemplazione è la vivifi-cante percezione del mistero, che su-scita lode e gratitudine, e questo è an-che il mio augurio pasquale per ognilettore.

Catechesi pasquale di San Giovanni Crisostomo1

Se uno è pio e amico di Dio, godadi questa festa bella e luminosa! Ilservo riconoscente entri lieto nellagioia del suo Signore! Chi ha digiuna-to si goda ora il suo denaro. Chi ha la-vorato fin dall’ora prima, riceva oggiil suo giusto salario. Se uno è giuntodopo l’ora terza, celebri la festa congratitudine. Se è arrivato dopo la se-sta, non dubiti, non avrà alcun dan-no. Se ha tardato fino all’ora nona, sifaccia avanti senza esitare. Se è arri-vato all’undicesima, non tema per lasua lentezza; perché il Signore è ge-neroso ed accoglie l’ultimo come ilprimo. Concede il riposo all’operaiodell’undicesima come a quello dell’o-ra prima; ha misericordia dell’ultimoe si prende cura del primo; all’uno dàil giusto, all’altro concede benigno;

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rende onore all’azione compiuta e lo-da l’intenzione. Entrate dunque tuttinella gioia del nostro Signore: primi esecondi, godete della mercede! Ricchie poveri, danzate in coro insieme!Astinenti e pigri, onorate questo gior-no! Voi che avete digiunato e voi chenon lo avete fatto, rallegratevi oggi:la mensa è ricolma, godetene tutti! Ilvitello è abbondante, nessuno se nevada affamato! Gustate tutti il ban-chetto della fede, gustate tutti la lar-ghezza della bontà, nessuno lamentila sua povertà: è apparso infatti il Re-gno universale. Nessuno pianga i suoipeccati, perché dalla tomba è sorto ilperdono; nessuno tema la morte, per-ché la morte del Salvatore ci ha libe-rati! Catturato dalla morte,Egli l’ha spenta; discenden-do negli Inferi, li ha spo-gliati. Gli Inferi furonoamareggiati per aver gusta-to la sua carne. Lo prevideIsaia ed esclamò: «gli Inferifurono amareggiati» (cfr14,9). Venendoti incontronelle profondità, furonoamareggiati. Amareggiatiperché distrutti! Amareg-giati perché giocati! Ama-reggiati perché annientati!Avevano preso un corpo, esi trovarono davanti a Dio;avevano preso terra, e in-contrarono il cielo; avevanopreso quel che avevano vi-sto, e caddero per quelloche non avevano visto!Dov’è il tuo pungiglione, oMorte? Dov’è la vostra vit-toria, o Inferi? (1Cor 15,55)Il Cristo è risorto e voi siete

stati precipitati! Il Cristo è risorto e idemoni sono caduti! Il Cristo è risortoe godono gli angeli! Il Cristo è risortoe regna la vita! Il Cristo è risorto enon c’è più nessun morto nella tom-ba! Il Cristo è risorto dai morti ed èdivenuto la primizia dei dormienti! Alui la gloria e la potenza per i secolidei secoli! Amen.

1 Sermo catecheticus in sanctumPascha (attribuito a san GiovanniCrisostomo, in PL, t. VIII, col. 721-724). Nella liturgia bizantina la lettu-ra di questo brano conclude la cele-brazione dell’anàstasis nella notte diPasqua.

Discesa agli inferi, Icona, Scuola di Pskov, sec XVI

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Simbolo solare della Resurrezione èl’uovo nelle sue due forme: anzituttole «uova di Pasqua» e in seguito le uo-va di struzzo che ornavano - e in parteornano ancora - gli altari, e che peral-tro si trovano in diretta relazione conl’uovo pasquale.

Anche se l’usanza delle uova di Pa-squa è dovuta in gran parte al folclo-re, nondimeno essa ha rapporti con laliturgia perché tali uova, prima di es-sere mangiate durante il pranzo pa-squale ed essere distribuite agli amici,vengono benedette nella messa dellaResurrezione. Questa tradizione è par-ticolarmente viva nei paesi slavi in cui,durante il giorno della Pasqua, il capofamiglia offre un uovo a tutti i visita-tori, lo rompe con le dita e lo offreagli ospiti.

Taluni autori hanno voluto spiega-re l’usanza di mangiare le uova bene-dette a Pasqua unicamente a causadella gioia che i fedeli avevano di po-ter mangiare un alimento di cui si era-no dovuti privare durante la Quaresi-ma. Evidentemente questo significanon cogliere che una piccola partedelle cose.

L’uovo di Pasqua è un simbolo sa-cro - oggi senza alcun dubbio sminui-to - che anche nei nostri tempi man-tiene un qualche vestigio della sua an-tica gloria. L’uovo è stato e rimane unsimbolo sacro universale e rimarche-vole. Il simbolismo dell’uovo si deduce

del tutto spontaneamente dalla suafunzione, che è quella di assicurare lapermanenza della vita e della specienella successione degli individui. L’uo-vo, con il suo germe vitale, costituiscein tutte le specie lo stato primitivodell’individuo. Attraverso una traspo-sizione del tutto legittima, si ha l’uovocosmico - l’uovo del mondo -, ovverol’insieme dei germi di tutti gli esseri.L’uovo cosmico è un riassunto dellacreazione totale che si ripete analogi-camente nella nascita e nello sviluppodi ogni individuo. Ritroviamo l’uovocosmico in tutte le tradizioni culturalie religiose.

In Egitto si adorava l’uovo lumino-so deposto dall’Oca celeste; il diocreatore, Kneph, veniva rappresentatocon un uovo che gli usciva dalla bocca:immagine magnifica del mondo cheesce da Dio, e più particolarmentedalla sua bocca, cioè dal suo Verbo. InFenicia, la cosmogonia era basata an-ch’essa sull’uovo primordiale: permezzo dell’intermediazione dell’Ariae del Respiro, il tempo genera l’uovoche contiene i germi di tutti gli esseri.La stessa cosa si dica per la Grecia:Zeus, il dio del cielo, con le sembianzedi un cigno feconda Leda (la Natura),che depone un uovo da cui nasconoCastore e Polluce, i due gemelli cherappresentano i due poli della crea-zione. Presso i Celti il famoso «uovo diserpente» si collegava a una tradizio-

Uovo di Pasqua:confessione popolare di fede 1 di don Francesco Giuliani

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ne simile. Troviamo l’uovo cosmiconell’Africa nera, in Australia, in Poli-nesia. Ma è l’India il luogo in cui latradizione si è conservata meglio. Se-condo le leggi di Manu, nel mondodell’inizio, che era senza forma e chesprofondava nelle tenebre (si veda l’i-nizio della Genesi), apparveSwayambhu - l’Essere esistente per sestesso - che produsse le acque, dovedepose una semenza sotto forma diun uovo d’oro (Hiranyagarbha) chesplendeva come il sole e che contene-va Brahma. Quest’ultimo ruppe l’uovoin due metà, dalle quali fece la terra eil cielo, per poi procedere alla creazio-ne di tutti gli esseri. Anche la tradizio-ne ebraica non ignora il tema dell’uo-vo cosmico: «Come fece Dio a creare ilmondo? - domanda la Haguiga - Egliprese due metà d’uovo e le fecondòl’una con l’altra».

La funzione dell’uovo mitico all’ori-gine del mondo ha portato a conside-rarla come un’immagine del rinnova-mento perpetuo della vita, in partico-lare collegamento con il rinnovarsidella natura e della vegetazione du-rante la primavera.

A Roma, durante le feste di Cerere,che avvenivano all’equinozio di pri-mavera, le matrone facevano una pro-cessione portando con loro delle uo-va. Gli alberi novelli di maggio, porta-ti alla festa di san Giovanni, eranospesso decorati con uova: si univanocosì due simboli del rinnovamento. InPersia la festa dell’anno nuovo è anco-ra oggi la «festa delle uova rosse».

Se è segno del rinnovamento delmondo, l’uovo lo è anche, natural-mente, del rinnovamento dell’indivi-

duo, anzitutto nella morte. Questospiega l’utilizzo delle uova nei riti fu-nebri, in cui sono considerate un pe-gno della vita nuova che viene dopola morte. Sono state rinvenute uova diargilla in numerose sepolture dellaRussia e della Svezia, e nella tombedella Beozia sono state trovate statuedi Dioniso che tiene un uovo nella ma-no. Negli scavi recenti del deserto diMari sono state scoperte tombe a for-ma d’uovo, in cui il morto riposavanella posizione fetale. Nelle sepolturegallo-romane c’erano «uova di ser-pente», e questa usanza è proseguitasino all’Alto Medio Evo cristiano.

Si vede perciò chiaramente come leuova di Pasqua abbiano giustamente illoro posto nella festa, che è quella delrinnovamento della natura e del rin-novamento spirituale. Ricordandol’uovo cosmico, le uova di Pasqua rien-trano in quell’insieme simbolico del-l’acqua, della luce e delle tenebre chealimenta l’ufficio di Pasqua. Il colorerosso con cui vengono dipinte un po’dappertutto è esso stesso significativo:il rosso si riferisce al fuoco, al calore vi-tale e, sul piano spirituale, allo SpiritoSanto santificatore e rigeneratore. I di-segni geometrici o i segni della croce odel pesce indicano la confessione di fe-de del cristiano: “Cristo è risorto”.

L’uovo di Pasqua è un simbolo di ri-surrezione a causa della dischiusa (vitanuova) e a causa del germe che con-tiene. Esso simboleggia anzitutto laresurrezione di Cristo e di tutta la na-tura, che per ciò stesso è rinnovata ericreata. D’altro canto, a più ripresenella Bibbia Dio chiama il Messia «Ilmio servitore Germe».

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L’uovo di Pasqua simboleggia inol-tre la risurrezione del neofita. Attra-verso la morte dell’uomo vecchio, ilpeccatore ritorna allo stato infantile epersino di germe, affinché possa na-scere nuovamente nella luce di Pa-squa. È così che l’uovo si collega alsimbolismo del battesimo. Mangiandole uova benedette, il fedele partecipaalla grazia della Risurrezione.

Questo insegnamento simbolicoper mezzo dell’uovo è particolarmen-te evidente in un antico dramma litur-gico che si svolgeva fino al XVIII secolonella cattedrale di Angers. Alcuni per-sonaggi raffiguranti le Sante Donneuscivano dal sepolcro (che veniva rap-presentato, come oggi è rappresenta-ta la grotta di Natale) cantando il Re-surrexit e tenendo in mano un uovo distruzzo. Il primo personaggio presen-tava l’uovo al vescovo dicendo: «Sur-rexit Dominus, alleluia!» («Il Signore èrisorto, alleluia!»), e il vescovo gli ri-spondeva: «Deo gratias, alleluia!».Ogni personaggio ripeteva questa sce-na davanti a ogni membro del capito-lo, dopo di che si riportavano le uovain sacrestia.

Nella chiesa di Saint-Maurice aRouen, dopo la recita dell’ora di Mat-tutino nel giorno di Pasqua, due per-sone in dalmatica appendevano dueuova di struzzo al disopra dell’altaremaggiore.

Nel Medioevo, in Occidente eraun’abitudine consolidata il poter ve-dere uova decorate e preziose nellecase dei reali d’Europa. Nel 1290, il reEdoardo di Inghilterra, regalò 450 uo-

va bagnate in oro ai membri della suaCasa. Il re Sole, Luigi XIV di Francia,iniziò la tradizione di decorare ricca-mente le uova di struzzo dello zoo diVersalles ma, visto che non erano suf-ficienti, gli artigiani del palazzo, le so-stituirono con uova d’oro, di avorio edi porcellana dando origine ad auten-tiche opere d’arte. È in questo conte-sto che cominciarono a nascere le uo-va con una sorpresa all’interno. Suc-cessivamente, lo zar Alessandro III, in-caricò l’artista Fabergé di realizzare,per sua moglie, un oggetto preziosoavente come tema l’uovo con la ri-spettiva sorpresa: il dono consistettein una piccola gallina d’oro con occhidi rubino, dentro la quale si trovavauna miniatura della corona imperialefatta con diamanti. Da allora, Fabergérealizzò ogni anno un’opera d’artedifferente con il motivo dell’uovo diPasqua e molte di queste opere posso-no essere contemplate nei musei diIstanbul.

Si trovavano uova di struzzo in qua-si tutti i tesori delle chiese medievali;esse erano visibilmente riservate allostesso utilizzo, o ad un uso analogo.Nelle chiese orientali le si vedono ap-pese davanti all’iconostasi o al di sopradell’altare, alternate con le sante lam-pade. Ve ne sono anche nelle moschee,e si tratta di una reminiscenza adattatadai vecchi costumi dei Semiti che,conformemente alla loro dottrina sul-l’origine del mondo, appendevano uo-va di struzzo agli alberi sacri... Neldramma di Angers l’uovo di struzzorappresenta con ogni evidenza il Cristorisuscitato. Non si comprenderà nulladi questo rito se non lo si raffronta alle

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vecchie tradizioni sull’origine del mon-do, di cui abbiamo precedentementeparlato. L’uovo di struzzo ricorda l’uo-vo cosmico; esso è il Signore in quantoVerbo divino creatore di tutti gli esseri.Più esattamente, il Verbo è in questouovo il germe d’oro, il germe solareche contiene la Vita universale.

Benedetto sei tu,

Signore del cielo e della terra,

che nella radiosa luce del Cristo risorto

ridesti l’uomo e il mondo

alla vita nuova

che scaturisce

dalle sorgenti del Salvatore:

guarda a noi tuoi fedeli

e a quanti si ciberanno di queste uova,

umile e domestico richiamo

alle feste pasquali;

fa’ che ci apriamo alla fraternità

nella gioia del tuo Spirito.

Per Cristo nostro Signore,

che ha vinto la morte

e vive e regna nei secoli dei secoli.

Amen.

1Cfr. J. HANI, Il simbolismo del tempio cristiano, Roma 1996.

Il Benedizionale riporta la possibi-lità di benedire le uova a Pasqua, pre-cisando al n. 1699: “Il gesto sempliceed umile prolunga nell’ambito fami-liare il messaggio della resurrezione edella vita nuova in Cristo, che investel’uomo e la natura”. L’orazione pro-posta è la seguente:

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L’Eucaristia edifica la Chiesa e laChiesa fa l’Eucaristia: questa con-nessione strettissima tra l’una e

l’altra consente di applicare al Misteroeucaristico quanto diciamo della Chiesanel Simbolo niceno-costantinopolitano,“una, santa, cattolica e apostolica”. Sul

tema specifico della apostoli-cità dell’Eucaristia e della Chie-sa si sofferma il terzo capito-lo della Lettera Enciclica “Ec-clesia de Eucharistia”.

Il Catechismo della ChiesaCattolica, nello spiegare come la Chiesasia apostolica, individua un triplice sen-so di questa espressione. In primo luogola Chiesa è stata e rimane costruita sul“fondamento degli Apostoli”, testimoniscelti e mandati in missione da Cristostesso. “Anche a fondamento dell’Euca-ristia ci sono gli Apostoli - scrive Giovan-ni Paolo II -, non perché il Sacramentonon risalga a Cristo stesso, ma perchéesso è stato affidato agli Apostoli daGesù ed è stato tramandato da loro edai loro successori fino a noi”. Il secon-do aspetto dell’apostolicità della Chiesaè che essa “custodisce e trasmette, conl’aiuto dello Spirito che abita in essa,l’insegnamento, il buon deposito, le sa-ne parole udite dagli Apostoli”. L’Euca-ristia è apostolica in quanto viene cele-brata conformemente alla fede degliApostoli, e il Magistero ecclesiastico indiverse occasioni lungo i secoli ha avutomodo di precisare la dottrina eucaristi-ca. Infine la Chiesa è apostolica nel sen-

so che “fino al ritorno di Cristo, conti-nua ad essere istruita, santificata e gui-data dagli Apostoli grazie ai loro succes-sori nella missione pastorale” designatia questo compito attraverso il sacra-mento dell’Ordine. “L’Eucaristia esprimeanche questo senso dell’apostolicità. In-fatti, come insegna il Concilio VaticanoII, i fedeli, in virtù del regale loro sacer-dozio, concorrono all’oblazione dell’Eu-caristia, ma è il sacerdote ministerialeche compie il Sacrificio eucaristico inpersona di Cristo e lo offre a Dio a no-me di tutto il popolo. Per questo nelMessale Romano è prescritto che siaunicamente il sacerdote a recitare lapreghiera eucaristica, mentre il popolovi si associa con fede e in silenzio”.

Il Santo Padre richiama a questo pun-to l’espressione secondo cui il sacerdoteordinato compie il Sacrificio eucaristico“in persona Christi”, e sottolinea: “vuoldire di più che “a nome”, oppure “nelleveci” di Cristo. In persona: cioè nella spe-cifica, sacramentale identificazione colsommo ed eterno Sacerdote, che è l’au-tore e il principale soggetto di questosuo proprio sacrificio, nel quale in veritànon può essere sostituito da nessuno”.L’assemblea che si riunisce per la celebra-zione dell’Eucaristia necessita assoluta-mente di un sacerdote ordinato che lapresieda per poter essere veramente as-semblea eucaristica. “D’altra parte, la co-munità non è in grado di darsi da sola ilministro ordinato. Questi è un dono cheessa riceve attraverso la successione epi-

Ecclesia de Eucharistia (4)di Stefano Lodigiani

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FORMAZIONE LITURGICA

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scopale risalente agli Apostoli… Pertan-to il Mistero eucaristico non può esserecelebrato in nessuna comunità se non daun sacerdote ordinato.”

La dottrina della Chiesa cattolicasul ministero sacerdotale in rapportoall’Eucaristia e quella sul Sacrificio eu-caristico sono state oggetto, negli ulti-mi decenni, di un dialogo proficuonell’ambito ecumenico, segnando pro-gressi e avvicinamenti. Tuttavia per-mangono ancora alcuni ostacoli cheimpediscono ai cattolici di parteciparealla comunione distribuita nelle cele-brazioni delle comunità ecclesiali sor-te in Occidente dopo il XVI secolo eseparate dalla Chiesa cattolica, pernon avallare un’ambiguità sulla natu-ra dell’Eucaristia. “Similmente, non sipuò pensare di sostituire la SantaMessa domenicale con celebrazioniecumeniche della Parola o con incon-tri di preghiera in comune con cristia-ni appartenenti alle suddette Comu-nità ecclesiali oppure con la partecipa-zione al loro servizio liturgico.”

L’Eucaristia, centro e vertice della vitadella Chiesa, lo è anche del ministero sa-cerdotale. Per questo il Papa ribadisceche essa “è la principale e centrale ra-gion d’essere del Sacramento del sacer-dozio, nato effettivamente nel momen-to dell’istituzione dell’Eucaristia e insie-me con essa”. Le numerose attività pa-storali che contraddistinguono oggi lavita del presbitero sono molteplici, e perlui sussiste il pericolo di disperdersi in ungran numero di compiti diversi. “Si capi-sce, dunque, quanto sia importante perla vita spirituale del sacerdote, oltre cheper il bene della Chiesa e del mondo,che egli attui la raccomandazione conci-liare di celebrare quotidianamente l’Eu-

caristia… In questo modo il sacerdote èin grado di vincere ogni tensione disper-siva nelle sue giornate, trovando nel Sa-crificio eucaristico, vero centro della suavita e del suo ministero, l’energia spiri-tuale necessaria per affrontare i diversicompiti pastorali.”

Il Santo Padre dedica la parte conclu-siva di questo terzo capitolo al tema del-le vocazioni: la centralità dell’Eucaristianella vita e nel ministero dei sacerdoti èinfatti strettamente congiunta alla pa-storale per le vocazioni sacerdotali. “In-nanzitutto perché la supplicaper le vocazioni vi trova il luo-go di massima unione alla pre-ghiera di Cristo sommo ed eter-no Sacerdote; ma anche perchéla solerte cura del ministero eu-caristico da parte dei sacerdoti, congiun-ta alla promozione della partecipazioneconsapevole, attiva e fruttuosa dei fedeliall’Eucaristia costituisce un efficaceesempio e uno stimolo alla risposta ge-nerosa dei giovani all’appello di Dio.”

Quando una comunità è priva delsacerdote, si affida la preghiera do-menicale a religiosi e laici, che “eserci-tano in modo lodevole il sacerdoziocomune di tutti i fedeli, basato sullagrazia del Battesimo. Ma tali soluzionidevono essere ritenute solo provviso-rie, mentre la comunità è in attesa diun sacerdote”. L’intera comunità è in-vitata a pregare con maggior fervore,affinché il Signore mandi operai nellasua messe (cfr. Mt 9,38), e a porre inatto una adeguata pastorale vocazio-nale, “senza indulgere alla tentazionedi cercare soluzioni attraverso l’affie-volimento delle qualità morali e for-mative richieste ai candidati al sacer-dozio”. (continua)

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FORMAZIONE LITURGICA

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Nella prima parte del Sermone dellaMontagna, nel capitolo sesto del Van-gelo di Matteo, il Signore, dopo averproclamato che il Regno di Dio è vici-

no, racconta ai suoi discepolidella natura della conversio-ne che li rende figli del Re-gno. Gesù parla del Regnonon solo riferendosi al futuroRegno di Dio nel mondo che

verrà, ma anche al suo Regno presen-te nel cuore degli uomini. Egli insegnaa “cercare il Regno dei cieli e la suagiustizia” (Mt 6,33). San Paolo ci aiutaa capire qual è la giustizia di Dio, incontrapposizione alla giustizia degliuomini, quando dice: “Rendo infattiloro testimonianza che hanno zeloper Dio, ma non secondo una retta co-noscenza; poiché, ignorando la giusti-zia di Dio e cercando di stabilire lapropria, non si sono sottomessi allagiustizia di Dio. Ora, il termine dellalegge è Cristo, perché sia data la giu-stizia a chiunque crede” (Rm 10,2-4).Nel capitolo 6 del Vangelo di MatteoGesù spiega che appartenere al Regnodi Dio riguarda l’intera persona, per-ché non c’è alcun aspetto della vitache non può essere soggetto alla con-versione secondo la volontà di Dio e ilsuo insegnamento.La più grande tentazione che emergein coloro che desiderano seguire la vo-

lontà di Dio, che mira a distruggere lenostre buone intenzioni, è il desideriodi essere riconosciuti e onorati daglialtri. Anche se una persona è motivatada un reale sentimento di compassio-ne, si scopre incapace di rendere lesue azioni non conosciute. Il Signoredice: “Guardatevi dal praticare le vo-stre buone opere davanti agli uominiper essere da loro ammirati, altrimentinon avrete ricompensa davanti al Pa-dre vostro che è nei cieli. Quandodunque fai l’elemosina, non suonarela tromba davanti a te, come fanno gliipocriti nelle sinagoghe e nelle stradeper essere lodati dagli uomini. In ve-rità vi dico: hanno già ricevuto la lororicompensa” (Mt 6,1-3). Capiamo co-me il Signore condanna tutte quelleazioni che sono compiute per mettersiin mostra, poiché non sono fatte pergli altri, ma per se stessi. Infatti Gesùchiama questi individualisti della ca-rità “ipocriti”, parola che originaria-mente significa “attore”.Qualcuno potrebbe obiettare che nonè sempre possibile vivere la carità sen-za essere visti, almeno da coloro chesono beneficiati dalla nostra genero-sità. Ma il Signore intende che coloroche hanno intenzione di mettersi inmostra con una falsa carità ottengonosolo la ricompensa di essere ammiratie niente altro.

Le Beatitudini,la nuova vita in Cristo

di don Giovanni Biallo

InDialogo

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FORMAZIONE LITURGICA

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Ma è possibile anche una genuina giu-stizia, come il Signore insegna: “Quan-do invece tu fai l’elemosina, non sap-pia la sinistra ciò che fa la tua destra,perché la tua elemosina resti segreta;e il Padre tuo, che vede nel segreto, tiricompenserà” (Mt 6,3-4). Dio è inogni luogo, conosce non solo ogni no-stro gesto, ma anche le motivazioni ele intenzioni che sono dietro di esso. Continuando a insegnare ai suoi di-scepoli ciò che riguarda la pratica del-la vita cristiana, Gesù passa a parlaredella preghiera. Anche nella preghie-ra si può cercare l’ammirazione deglialtri: ”Quando pregate non siate simi-li agli ipocriti che amano pregarestando ritti nelle sinagoghe e negliangoli delle piazze, per essere vistidagli uomini. In verità vi dico: Hannogià ricevuto la loro ricompensa. Tu in-vece, quando preghi, entra nella tuacamera e, chiusa la porta, prega il Pa-dre tuo nel segreto, e il Padre tuo,che vede nel segreto, ti ricompen-serà” (Mt 6,5-6).Siamo chiamati a pregare con la co-scienza della nostra povertà e con cuoreaperto, pronto a riconoscere la debolez-za della nostra vita e a chiedere l’aiutoa Dio. Così anche è indicato nell’AnticoTestamento: “Or dunque, parola del Si-gnore, ritornate a me con tutto il cuore,con digiuni, con pianti e lamenti. Lace-ratevi il cuore e non le vesti, ritornate alSignore vostro Dio, perché egli è miseri-cordioso e benigno, tardo all’ira e riccodi benevolenza e si impietosisce riguar-do alla sventura” (Gl 2,12-13).Questo non vuol dire che dovremmopregare sempre da soli, poiché tuttala preghiera della Chiesa è al plurale:“Noi ti preghiamo”, “Noi ti lodiamo”.

Inoltre il Signore stesso dice: “In veritàvi dico ancora: se due di voi sopra laterra si accorderanno per domandarequalunque cosa, il Padre mio che è neicieli ve la concederà. Perché dove so-no due o tre riuniti nel mio nome, iosono in mezzo a loro” (Mt 18,19-20).Pregare insieme e pregare personal-mente richiede lo stesso cuore puro.Nella preghiera noi esprimiamo la vo-lontà di conformare la nostra vita a lui,non perché il Signore non ci conoscagià, ma perché vogliamo affermare lanostra gioia riguardo ai doniche desidera farci.Così parla dell’amore di Diosan Basilio nelle Regole Mag-giori:

“Non si insegna l’amore di Dio. Nessu-no ci ha insegnato a gustare la luce oad essere attaccati alla vita più che aqualsiasi altra cosa. E nessuno ci ha in-segnato ad amare le due persone checi hanno messo al mondo ed educati.A maggior ragione, non da un inse-gnamento esterno abbiamo imparatol’amore di Dio. Nella natura stessa di ogni uomo è statogettato il seme della capacità di amare.Noi dobbiamo accogliere questo seme,coltivarlo con diligenza, nutrirlo con cu-ra e favorirne lo sviluppo frequentandola scuola dei comandamenti di Dio conl’aiuto della sua grazia.Infatti la virtù dell’amore, pur essendouna sola, abbraccia con la sua potenzatutti quanti i comandamenti. Noi ab-biamo ricevuto da Dio la tendenza na-turale a eseguire i suoi comandamenti.Dio non ci avrebbe dato il comanda-mento di amarlo senza darci anche lafacoltà naturale di amarlo”.

InDialogo

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La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

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Domenica delle Palme e della Passione del Signore4 aprile

Benedetto colui che viene nel no-me del Signore

VANGELO NELLA COMMEMORAZIONEDELL’INGRESSO DEL SIGNORE IN GERUSALEMME

Dal vangelo secondo Luca (Lc 19,28-40)

La liturgia della Parola dellacelebrazione odierna è domina-ta dalla lunga lettura del Passiosecondo Luca, mentre la com-memorazione dell’ingresso diGesù in Gerusalemme si aprecon la lettura di un brano delvangelo di Luca che fa da pro-logo introduttivo all’intera set-timana santa.

Questo vangelo dell’in-gresso in Gerusalemme è ritma-to dall’avvicinamento che Gesù fa alla cittàsanta (vv 29.37.41). Siamo alla fine di unlungo cammino che ha portato il Signore alconfronto definitivo con il tempio e contutto quello che la città di Gerusalemmerappresenta nel vangelo. Gesù troverà quil’accoglienza della fede, anticipata dai gestidei discepoli, ma anche il rifiuto deciso daparte dei suoi avversari. Ogni venuta delSignore è sempre occasione di gioia e sal-vezza per chi lo accoglie nella fede, ma an-che di giudizio e di condanna per quanti lorifiutano. Questa scelta così drastica chiu-de simbolicamente il cammino della quare-

sima: dopo un lungo tempo di preparazioneè giunto il momento di fare scelte concretee definitive riguardo a Gesù. Il vangelo sichiude con una frase enigmatica: “se costo-ro taceranno, grideranno le pietre”. Gesùapprova così il grido della folla che ricono-sce la sua regalità, sottolineata dai gesti edai simboli: il corteo regale, la cavalcatura,l’obbedienza dei discepoli. Ma la frasepreannuncia anche una condanna sullacittà, il vangelo di Luca infatti la fa seguiresubito dal pianto su Gerusalemme e dallaprofezia che dopo non resterà “pietra supietra”. Saranno proprio le pietre della Ge-

Entrata di Cristo a Gerusalemme, Pittore anonimo, sec.. XVIII

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La parola di Dio celebrata

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rusalemme distrutta a testimoniare in ma-niera tragicamente solenne quanto l’acco-glienza o il rifiuto di Cristo Signore sianouna questione di vita o di morte.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (Is 50, 4-7)

Il clima della celebrazione fa un passoavanti con questo famoso testo di Isaia: ilterzo Canto del Servo del Signore. Il profe-ta invita a fissare lo sguardo su questo per-sonaggio misterioso che affronta a visoaperto i flagelli, gli insulti e gli sputi, purdi portare a termine la sua missione di an-nuncio, il suo compito di consolatore deglisfiduciati. Collocata nel contesto della li-turgia della Parola, che sarà dominata dalPassio, questa lettura è quasi un’antifona,anticipa poeticamente il senso di quantoGesù sta per subire e vivere. Sottolinea ainostri occhi la sua libera scelta di offrirsiper la nostra salvezza.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Filip-pesi (Fil 2,6-11)

Con lo stesso registro poetico l’inno cri-stologico di Filippesi offre un’ulteriorechiave di lettura della passione. Cristo la vi-ve come un volontario cammino di umilia-zione, ma ogni passo in questa discesa anti-cipa l’inizio della risalita gloriosa. L’innopone a contrasto la discesa operata da Cri-sto con l’esaltazione attuata da Dio Padre.Nel Gesù che affronta la passione ci vienecosì offerto un modello del cammino cheanche noi dobbiamo percorrere per la sal-vezza.

VANGELOPassione di nostro Signore Gesù Cristo se-condo Luca (22,14-23,56)

COME LEGGERE LA PASSIONE SECONDO LUCA

Quando ci accostiamo ai racconti dellaPassione di Gesù la nostra tentazione è quelladi prendere un particolare dall’uno o dall’altroevangelista per ricostruire “ciò che è effettiva-mente accaduto’’. Questo metodo di lettura,tipicamente occidentale, parte dalla convin-zione che nel conoscere un fatto ciò che è de-terminante è evidenziare tutti i particolari delsuo svolgimento. Nel mondo di Gesù, in cuisono nati i vangeli, la convinzione era inveceche la pienezza della conoscenza di un fattonon è legata alla massa di particolari che sia-mo in grado di elencare, ma alla penetrazioneesistenziale del senso che questo fatto ha avu-to per chi lo ha vissuto e per noi. Comprende-re questa mentalità tipica della cultura genera-tiva dei vangeli è importante, perché cambia ilnostro modo di accostarci ai racconti dellapassione: non più una lettura che mescola i te-sti andando alla caccia dei particolari, ma unalettura che cerca di rivivere l’esperienza dellapassione e del suo senso profondo con gli oc-chi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

Per far questo diventa innanzi tutto inte-ressante porre attenzione a come ogni evan-gelista ha organizzato il materiale che posse-deva, fatto dai ricordi dei testimoni, da unastruttura ormai già tradizionale entro le co-munità cristiane e da alcune brevi, ma pre-ziose, notazioni personali.

PERCHÉ LUCA RACCONTA LA PASSIONE?

Per comprendere il racconto della Passio-ne fatto dai vangeli è necessario partire dauna domanda che sembra strana: perché gli

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evangelisti hanno raccontato la Passione? Iprimi cristiani infatti erano coscienti che ilfatto importante da tramandare ai posteri erala Resurrezione di Gesù. Essi si sentono “Te-stimoni della risurrezione” e sanno che Gesùci ha salvati soprattutto vincendo la mortecon la sua resurrezione. In base a questoavrebbero potuto considerare la Passione co-me un incidente di percorso, un ultimo tenta-tivo del male di opporsi a Gesù, che fortuna-tamente non aveva avuto conseguenze irrime-diabili. In definitiva avrebbero potuto descri-vere solo molto sommariamente alcuni fatti enon, come è avvenuto, dedicare un ampiospazio nei loro vangeli a questi due o tre gior-ni. Ma fare questo sarebbe stato ‘’tradire’’ ilvero Gesù. È infatti tutto l’evento Gesù che ciha salvati, e non soltanto il Gesù glorioso delmattino di Pasqua. Gli evangelisti voglionosfuggire alla tentazione molto umana di sor-volare sul dolore e sull’insuccesso per badaresoltanto al risultato finale. Sono infatti certiche la gloria della resurrezione è stata costrui-ta da Gesù nel dono di sé attuato nella passio-ne: la risurrezione non è un episodio, ma co-stituisce un tutt’uno con la vita di Gesù, cheha nel suo “modo di morire’’ il suo sigillo e ilsuo primo coronamento. La Passione è dun-que un momento prezioso del messaggio diGesù, sottolinea l’accettazione della realtà enon la fuga da essa, il messaggio cristianonon è infatti una ricostruzione mitica checonsenta di dimenticare il reale.

CON QUALE PARTICOLARITÀ LA RACCONTA?

Luca, che aveva aperto il suo Vangelo fa-cendo riferimento alla preoccupazione di es-sere uno storico imparziale, nel raccontare laPassione aggiunge a questa attenzione il de-siderio sincero, tipico del discepolo fedele, diaiutare il lettore a rivivere la storia del suo

Maestro. Questo attaccamento a Gesù è chia-ro nella frequente affermazione della sua in-nocenza, accanto allo sforzo di evitare i par-ticolari offensivi e crudeli. La preoccupazio-ne lucana risalta soprattutto nella descrizionedella via crucis, egli vuol invitare il credentea seguire il maestro sulla via della croce.

La Passione, come il cammino di Cristoverso la gloria del Padre, è la cifra stilisticacon cui Luca organizza la narrazione.

In queste brevi note di commento seguia-mo il testo proposto dalla liturgia, che partecon l’ultima cena, anche se siamo coscientidi quanto sia importante, in una visione com-pleta, la narrazione dei preliminari: il com-plotto contro Gesù e l’unzione a Betania.

L’ULTIMA CENA

Il racconto di Luca (Lc 22,15-20) è più lun-go rispetto a quello di Matteo e Marco e si ac-costa alla tradizione conservata da san Paolo in1Cor 11,23-26. È Gesù stesso che prende l’ini-ziativa di celebrare la cena pasquale con i suoidiscepoli (cfr. Lc 22,15 e Mc 14,12) inviando isuoi più intimi a prepararla. Luca mostra che,mentre i nemici preparano la morte di Gesù,Lui opera affinché questo delitto assuma un si-gnificato nuovo: sarà il suo sacrificio, la suapasqua di liberazione, il segno supremo delsuo amore. Luca per questo mette maggior-mente in chiaro il rapporto tra l’Eucaristia, lanuova Pasqua di Gesù, e la cena pasquale dellatradizione antica, che ancora oggi gli ebrei ce-lebrano. Il suo racconto infatti presenta per duevolte un rito con il calice del vino.

Prima infatti Luca ricorda che Gesù man-gia l’agnello Pasquale e beve il calice di vinodell’antica alleanza, simbolo dell’attesa delmessia (Lc 22,15-18). È l’ultima pasqua del-l’Antico Testamento quella che Gesù avevainiziato a celebrare con i suoi discepoli.

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Ma ora è giunto un tempo nuovo nellastoria della salvezza, l’antica alleanza è statasostituita da una Nuova Alleanza (Lc 22,20)che ha un nuovo calice e un nuovo cibo: nonl’agnello ma il pane. Nella seconda pasqua,che Gesù inizia a celebrare alla fine della ce-na e che continuerà nella passione e nellacroce, l’agnello pasquale è Gesù stesso. Luiverrà sacrificato e il suo sangue sarà fonte disalvezza e benedizione. Il nuovo rito, me-moriale perenne (Lc 22,19) della nuova al-leanza, è il modo con cui Gesù dice agliapostoli il suo amore. Come liberamentespezza il suo pane per loro, e distribuisce ilsuo vino, così donerà il suo corpo e spargeràil suo sangue: liberamente e per amore.Quando lo vedranno preso, umiliato e ucci-so, i discepoli non dovranno dimenticare chetutto si compie con la piena e libera accetta-zione di Gesù. Lui, agnello mansueto che silascia condurre al macello perché la sua car-ne diventi cibo di vita e il suo sangue fontedi benedizione e di perdono. Per questo inLuca Gesù sottolinea i gesti con un tono per-sonale e diretto: pane e vino, corpo e sanguenon sono donati “vagamente” per tutti gliuomini come in Matteo e Marco, ma sonodati per voi, in un dono personale e intimoche Gesù fa ad ogni uomo. Il vangelo di Lu-ca vuol sottolineare la convinzione che perognuno di noi Gesù è salito con amore e li-beramente al calvario!

I DISCORSI DI ADDIO

A differenza di Matteo e Marco, Luca do-po l’istituzione dell’eucaristia riporta alcunibrevi discorsi di Gesù, che non si limitano apreannunciare il tradimento di Giuda, ma co-stituiscono una specie di Testamento di Ge-sù. Gesù invita i discepoli innanzi tutto all’u-miltà: sono ancora troppo pieni di sé per po-

terlo seguire (Lc 22,24-27), ma con il suoaiuto riusciranno a conseguire il premio dellasalvezza (Lc 22,28-30). Ciò non avverrà sen-za l’umiliazione della vigliaccheria e delpeccato anche dei migliori, come Pietro (Lc22,31-34), ma su tutto trionferà la potenzadella preghiera di Gesù, che ha pregato pernoi. I momenti di lotta e di prova che il Mae-stro e i discepoli si avviano a vivere nel cor-so della Passione di Gesù ormai imminente,sono una profezia di una passione più lungae difficile che le generazioni cristiane do-vranno affrontare: sarà la Passione dellaChiesa.

SUL MONTE DEGLI ULIVI

Per Luca il sangue di Gesù non cominciaa scorrere per una causa esterna, non parla in-fatti della flagellazione di Gesù, ma l’iniziodi questa preziosissima aspersione del sanguedella nuova alleanza è dato dall’intimo, sgor-ga dal cuore stesso di Gesù in agonia (Lc22,44). L’indagine sui motivi clinici di questofenomeno, anche se possibile, mostra di noncapire l’intento dell’autore. Luca vuol ricor-darci che la passione di Gesù è soprattuttopassione d’amore. Il diavolo, che si scatenacontro di lui, perde la lotta fin da questo mo-mento. Il cuore di Gesù si apre liberamente,per donare il suo sangue per amore, quandoancora il traditore è lontano e i nemici nonsanno come catturarlo. Da questo momento èun Gesù vincitore quello che percorrerà laPassione, con la sovrana serenità di un uomoche ha donato la sua vita e non ha più timore,ma solo amore, compassione e perdono.

L’ARRESTO DI GESÙ

L’arresto di Gesù viene narrato da Luca inpochi versetti molto essenziali (Lc 22,47-

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53). La sua preoccupazione è quella di con-centrare l’attenzione del lettore sulla personadel maestro; per questo, a differenza di Mar-co e Matteo, non pone tanto l’accento sul te-ma del compimento delle Scritture. La suaattenzione è ad immedesimare, con un’artequasi ‘’filmica’’, il lettore nello svolgimentodell’azione; per questo descrive prima la fol-la che si avvicina, poi indica tra essi Giuda,descrive il tentativo dei discepoli di rivoltaarmata e solo dopo centra l’attenzione sulcomportamento di Gesù, il quale conducepian piano a capire che in quanto avviene sista attuando il volere di Dio.

Tutto viene descritto evitando particolariodiosi, come la descrizione del bacio del tra-ditore o delle ingiurie e degli sputi rivolti aGesù. La sua attenzione è tutta centrata sullagrandezza morale di Gesù che vieta ogni for-ma di violenza, e anzi fa un miracolo per sa-nare l’orecchio ferito di uno dei suoi assali-tori. In Luca c’è la coscienza della grandezzadi Gesù e del rispetto che gli è dovuto, edegli, da grande scrittore, esprime questo ri-spetto anche nel suo modo di descrivere i fat-ti, cosí che mai si dipinga in modo netto da-vanti ai nostri occhi un Gesù offeso e umilia-to, ma soltanto un Gesù grande nell’amore enella misericordia.

IL PROCESSO DAVANTI AI GIUDEI

Luca presenta la scena rendendo più orga-nico lo sviluppo del racconto, senza un dop-pio interrogatorio, uno di notte e uno di gior-no. Egli riporta solo il ricordo dell’interroga-torio ufficiale. Anche in questo la sua struttu-ra è personale ed il racconto si svolge con ilchiaro intento di coinvolgere emotivamenteil lettore. Egli infatti prima narra il rinnega-mento di Pietro e il suo pentimento (22,54-62); in questo modo vuol far riflettere il let-

tore su un atteggiamento da evitare fin da su-bito, quello di scandalizzarsi, di non ricono-scere Gesù cosí umiliato e deriso. Se abban-donassimo la lettura attenta di questo proces-so, considerando la passione un incidente dipercorso da dimenticare, saremmo uguali aPietro che si scandalizza di Gesù e lo rinne-ga. Luca ha però un gran rispetto di Pietro,non insiste dunque sul suo rinnegamento, némenziona il suo spergiuro. Pone invece at-tenzione sul fatto che il suo pentimento è de-terminato da uno sguardo di perdono che Ge-sù gli rivolge, invitando anche il lettore a in-crociare questo sguardo misericordioso delmaestro. Come Pietro, anche il lettore cristia-no segue la passione da peccatore convertito.

Segue poi la sezione sugli oltraggi inflittia Gesù dalle guardie (22,63-65), seguiti subi-to dall’interrogatorio mattutino (Lc 22,66-71); in questa sezione Luca non pone Gesùin condizione di inferiorità di fronte all’auto-rità del Sommo Sacerdote che lo interroga.Gesù infatti viene schernito ed interrogato dauna massa informe, nei cui confronti si sta-glia come unica figura significativa.

Un ultimo significativo particolare che in-dica poi il passaggio all’interrogatorio fattoda Pilato è l’assenza della condanna. Lucanon riporta la pronuncia di una condanna neiconfronti di Gesù, ma solo la sua auto-pro-clamazione che provoca il rifiuto da parte deiGiudei e la consegna a Pilato. Essi secondoLuca non sono degni di pronunciare neppureuna condanna falsa nei confronti di Gesù.

IL PROCESSO DAVANTI A PILATO

Luca organizza il racconto ponendo al cen-tro dell’attenzione il tema dell’innocenza diGesù. Secondo la sua sensibilità di storico sipreoccupa di riferire i fatti in modo organico edandone una spiegazione, per questo ricorda

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che siccome Gesù è Galileo deve logicamenteessere interrogato anche da Erode. Questo per-sonaggio offre a Luca l’occasione di mostrareal lettore un comportamento da evitare: si trat-ta dell’atteggiamento di chi guarda la passioneda spettatore curioso, senza lasciarsi coinvol-gere personalmente. Questo atteggiamento èchiaramente rifiutato da Gesù e dal vangelo,che lo vede incarnato proprio in Erode.

Nella organizzazione della passione luca-na, che presenta Gesù prima davanti a Pilato,poi davanti a Erode, e alla fine davanti al po-polo nel confronto con Barabba, questo ulti-mo personaggio perde molta della sua rile-vanza. Luca si preoccupa cosí di non metteresullo stesso piano Gesù e Barabba. E questorisalta ancora più chiaramente nel contrastotra Gesù, innocente condannato, e Barabba,colpevole assolto. Il tema dell’innocenza diGesù, centrale per Luca, ritorna a più ripresenei vv 4; 14; 15; 22. Lo stesso Pilato non siconvince della colpevolezza di Gesù, ma ab-bandona soltanto la lotta ingaggiata per di-fenderlo, lasciandolo alla loro volontà.

IL CALVARIO

L’articolazione che Luca offre dell’episo-dio del calvario è chiaramente personale: inmodo particolare la sua attenzione è centratasul Discepolo ideale. Egli non presenta infattipersonaggi che svolgano il ruolo di testimonidella passione, ma offre modelli, esempi dicome seguire il Cristo lungo la via dolorosadella Croce. Si tratta di seguire Gesù che por-ta la croce, portando la nostra croce dietro dilui. Per questo nell’episodio del cireneo nonrisalta tanto la costrizione che gli viene fatta,come negli altri evangelisti. Luca sceglie untermine più generale: gli imposero di portarela croce dietro a Gesù (Lc 23,26), che corri-sponde significativamente all’immagine del-

l’impegno del discepolo usata da Gesù nelcorso del vangelo (cfr Lc 9,23; 14,27).

Le donne che assistono sono indicate senzanomi propri, quasi a simboleggiare tutte le don-ne della comunità cristiana primitiva a cui Lucasi rivolgeva. Di esse si dice in Luca che assiste-vano da lontano osservando in una formulazio-ne che assomiglia molto al comportamento dichi sta meditando su un fatto importante.

C’è inoltre solo in Luca la menzione diuna grande folla che seguiva Gesù: essi allafine se ne andranno certo, ma battendosi ilpetto (Lc 23,48), con un chiaro invito allaconversione che la passione deve generarenei nostri cuori. Un invito che trova forza eincoraggiamento nelle parole di perdono cheGesù pronuncia dalla croce.

La sezione delle offese è stata organizzatada Luca in ordine crescente: prima Gesù è of-feso dai capi, poi dai soldati, poi preso pesan-temente in giro dai crocefissori, da ultimo an-che il cattivo ladrone lo offende. Il male del-l’offesa a Gesù, iniziato in alto, dà scandalo egiunge a coinvolgere tutti. Ma proprio a que-sto punto il buon ladrone, figura emblematicadi uno dei “Piccoli del vangelo”, a cui Gesùfa spesso riferimento, mostra l’efficacia dellasalvezza portata da Gesù e della sua graziaoperante fin dalla croce. Le sue parole diven-tano in questo contesto un modello per il di-scepolo, che è invitato a ripeterle per ottenerecome lui il perdono e la salvezza. In lui Gesùrealizza, su un piano radicalmente diverso,ciò che il primo ladrone lo sfidava a fare: Sal-va te stesso e anche noi (Lc 23,39).

Nelle conseguenze della morte di Gesù,mancando in Luca la rilevanza del tema delnuovo tempio, propria di Marco, le tenebre eil velo lacerato diventano soprattutto segnidi lutto.

A differenza di Mt e Mc Luca non ripetesul calvario che Gesù è Figlio di Dio, ma lo

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mostra con forza attraverso il suo atteggia-mento di abbandono, veramente filiale, chetrova il suo culmine nella citazione del salmo31 (Lc 23,46). Gesù ci è ancora di esempiomorendo sulla croce con la parola “Padre”sulle labbra.

In Luca dopo la morte di Gesù l’attenzio-ne è centrata sulle conseguenze interiori diquest’opera nel cuore dei presenti e che diconseguenza deve operare nel cuore dei di-scepoli: ecco perché egli conclude suggeren-do un atteggiamento di contemplazione e in-sistendo sull’efficacia della croce per la con-versione dei cuori (cfr. Lc 23,48s).

In Luca tutto il racconto della sepoltura,dopo il crescendo della passione, è una so-spensione di ritmo in preparazione all’an-nuncio pasquale.

Giovedì Santo – Messa “Nella cena del Signore” 8 aprile

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (12,1-8.11-14)

Il racconto della celebrazione della Pa-squa ebraica è centrale nella prima parte dellibro dell’Esodo.

Fa parte del rituale celebrare la festa «infretta», tuttavia l’autore si prende tutto il tem-po per una legislazione e una spiegazioneparticolareggiata. La sua preoccupazione eradi inserire in un contesto storico una doppiafesta precedente, dando una nuova letturasimbolica del suo rituale. Infatti la festa diPasqua era anteriore e indipendente al-l’avvenimento dell’esodo, come pure la festadegli «azzimi».

La Pasqua era una festa di pastori, cele-brata nella primavera, quando i pastori co-

minciano a spostarsi, e consisteva nel sacrifi-cio d’un agnello del gregge, che era arrostitoe mangiato con erbe amare, commestibili maselvatiche, e non frutto di coltivazione. Eracelebrata nel plenilunio, senza sacerdote, infamiglia. Col sangue dell’agnello si ungevanoi pali della tenda per un senso propiziatorio.

La festa degli azzimi era una festa pa-rallela degli agricoltori, e consisteva nell’of-ferta dei primi frutti, le spighe dell’orzo. Inessa si mangiava un pane provvisorio, senzalievito, in attesa della mietitura del frumento,che avveniva sette settimane più tardi. Nonpoté essere celebrata dagli Ebrei nella lorocondizione di nomadi, né in Egitto, ma solodopo che furono entrati nella terra fertile eappunto per attestare la loro nuova condizio-ne (Gs 5,10-12). Esodo propone una primarilettura del doppio rituale unificandoli inuna celebrazione comune e collocandoli nelquadro della storia della salvezza. Il ritualebiblico differisce sostanzialmente da quellopagano perché non celebra i ritmi perennidella natura, ma gli eventi salvifici compiutida Dio nella storia: esso è prima e più di tut-to celebrazione “memoriale”.

Così queste due feste diventano una cele-brazione della liberazione dalla schiavitùegiziana, e insieme annuncio e promessa del-la liberazione offerta da Dio da tutte le schia-vitù. Storicizzandosi, le due feste non perdo-no i tratti fondamentali del loro rituale primi-tivo ma, allo stesso tempo, devono assumerei tratti degli avvenimenti che celebrano.

Il nome “Pasqua” viene così accostato allaradice pasah, saltare, passar oltre, facendo ri-ferimento al «passaggio del Signore» il cui an-gelo sterminatore «passa oltre», permettendoche siano salve le case segnate col sangue del-l’agnello. Il sangue propiziatorio è messo inrelazione con la decima piaga e con la libera-zione dei primogeniti ebrei. Il carattere di cele-

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brazione “in fretta”, come di chi è all’inizio diun viaggio, tipico della pasqua primitiva, e ilcarattere provvisorio della festa degli azzimisono orientati verso la situazione di fretta e dipremura degli Ebrei che escono dall’Egitto.

Questa prima rilettura simbolica apre ilrituale alle future riletture, interne alla Bib-bia e attuate poi da Gesù nella sua Pasqua. Ilpercorso di queste riletture può far riferimen-to alla riforma religiosa di Giosia, quando sidice che si torna a celebrarla come nella suaorigine, alludendo forse in questo modo allasolennità, e non al ripristino del rituale (2Re23,21-23). La pasqua diventa allora la festadell’alleanza rinnovata tra Dio e il suo popo-lo. La seconda rilettura è la grande festa delritorno, celebrata al tempo di Esdra (Esd6,19-22), nella quale la pasqua assume laconnotazione di riconciliazione e perdonosolenne offerto da Dio al suo popolo pecca-tore, facendolo tornare nella sua terra. Lapasqua cristiana vissuta da Gesù a partiredall’ultima cena accoglierà tutte queste si-gnificazioni simboliche nella superiore sin-tesi dell’offerta di Cristo sulla croce.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di San Paolo apostolo aiCorinzi (1Cor 11,23-26)

Paolo, rimproverando i Corinzi per certiabusi nella celebrazione dell’Eucaristia, ripre-senta il contenuto della catechesi eucaristicache lui stesso ha ricevuto, probabilmente adAntiochia perché questa formulazione corri-sponde bene alla tradizione lucana provenien-te dalla stessa città. I temi dominanti sono inriferimento alla pasqua ebraica: anche questorito è infatti un memoriale e una “festa del Si-gnore” (Es 12,14). Nel rituale pasquale ebrai-co c’era poi una preghiera che domandava “il

ricordo del messia”; nel rito cristiano ciò di-venta un “ricordo di Gesù”. Se il riferimentoalla morte di Gesù come sacrificio cruento èben chiaro nel simbolo del pane spezzato e delsangue versato, la celebrazione si chiude perònella luce della risurrezione, e soprattutto delritorno glorioso di Cristo: “fino a che eglivenga”. Questa prospettiva piena di speranzae di attesa è l’ambientazione fondamentaledella celebrazione eucaristica cristiana, chePaolo ci consegna come il più prezioso tesorodella tradizione, degno perciò del massimo ri-spetto.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (Gv 13,1-15)

L’inizio della passione in Giovanni si apre

Lavanda dei piedi, Scuola di Novgorod, sec XV

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con un fatto: la lavanda dei piedi.Secondo la caratteristica fortemente simboli-ca del quarto vangelo, anche questo segno haun senso profondo che supera il fatto in sé.Prima di tutto si tratta di un atto d’amore diGesù: per i suoi egli è capace di prestarsi an-che agli uffici più umili. In questo il Maestrooffre un esempio che anche loro dovrannoseguire. È un invito al servizio reciproco co-me atto di amore. Ma lavare i piedi significa anche, secondole parole che Gesù rivolge a Pietro, purifi-care. Nel contesto simbolico cristiano il ri-ferimento al battesimo è immediato. Nelbattesimo la morte di Cristo ci ha purificatiliberandoci dal peccato e qui siamo proprioall’inizio di questo evento purificatore.Gesù legge con questo gesto il senso dellasua morte in croce. La sua missione, che inquest’ “ora” particolare raggiunge il mo-mento cruciale, ha a che fare con la costi-tuzione di un nuovo popolo purificato dalsuo sangue. Questo è il significato delleparole che egli rivolge a Pietro quandoquesto discepolo non vuole che il maestrogli lavi i piedi: se non sarai lavato, nonavrai parte con me, cioè non potrai appar-tenere al popolo che io sono venuto a riu-nire e salvare.Però né la morte, né la risurrezione, dellequali la lavanda è simbolo, saranno efficacisenza la fede di chi le accoglie. Giovanni lodice presentando a contrasto la figura di Giu-da: è presente, è lavato, ma continua a esseremacchiato.L’Eucaristia, mistero fondamentale chesta al centro della celebrazione del Gio-vedì Santo, prende luce dall’insieme diqueste letture. Il testo dell’Esodo ce nemostra le radici nel rito della pasqua, è lanuova pasqua di Gesù. Il testo paolino lamostra soprattutto come celebrazione

proiettata verso il futuro del ritorno delSignore, pane del viandante in camminoverso il Regno. Il racconto giovanneo del-la lavanda dei piedi ci invita a ricollocarlanel contesto della missione di Gesù: radu-nare un popolo nuovo, purificato dal suosangue, per dare inizio a una vita di pienacomunione con Dio. Davanti all’Eucari-stia che viene proposta alla lunga adora-zione dei fedeli siamo invitati a ripercor-rere tutto il profondo significato di questomistero di amore.

Venerdì santo9 aprile

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (52,13-53,12)

Il quarto canto del servo di Yahveh è unadelle vette della rivelazione dell’AT. Al cen-tro del testo teologicamente e poeticamenteè il contrasto, la contrapposizione, tra lostato attuale del Servo, totalmente sfiguratoe disumano, e quello che i popoli e i recomprenderanno senza che sia loro spiega-to. È la fede universale dell’umanità nellaglorificazione trionfale, che non si vede enon si spiega, di questo servo di Yahveh.«Chi avrebbe creduto al nostro annunzio?»o «Chi crederà a quello che abbiamo udi-to?». Il profeta mostra tutta la sua meravi-glia per il fatto che il mondo accolga l’an-nuncio apparentemente incomprensibile einsulso di una salvezza che si compie attra-verso la sofferenza, attraverso una condizio-ne che appare a tutti gli effetti di “abbando-no” da parte di Dio. Eppure i popoli capi-ranno, riconosceranno in questo l’operacompiuta dal braccio di Dio. È qualcosa chestupisce lo stesso profeta, ma al tempo stes-

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so è la prova del fatto che proprio Dio è al-l’opera in tutta questa azione storica evoca-ta dal testo di Isaia.Il Servo, dipinto con tratti regali nel primocanto e con caratteristiche profetiche nel se-condo e terzo, ci è presentato qui, nel quar-to, come disprezzato e abbandonato dagliuomini, immerso nei dolori e vittima delleingiustizie. L’autore carica talmente le om-bre, che non vi è essere vivente che non sisenta rattristato di fronte a questa descrizio-ne. Ma la sostanza della rivelazione che ciporta il Servo non sta in questo quadro cosìtetro, ma nel frutto che la sua sofferenza haottenuto: egli ha sofferto per noi, la sua vitaintera è stata un’espiazione vicaria e graziea lui abbiamo avuto la pace e siamo stati ri-sanati. Il suo dolore ci ha riconciliati conDio a tutti i livelli. È la santificazione vica-ria, che non si ritrova altrove nell’AT, mache costituisce il fondamento basilare su cuiil NT ha compreso il senso della passione emorte di Cristo. Abbandonato nelle mani di Yahveh, il Servoha ottenuto quello che non avevano ottenutoné l’Israele storico con la moltitudine dei sa-crifici rituali, né i Gentili con la loro grandequantità di sacrifici e di divinità. Per questo,in lui si compirà la promessa fatta ad Abra-mo d’una vita perenne.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (Eb 4,14-16; 5,7-9)

La lettera agli Ebrei, rievocando il sacerdozioe i sacrifici del tempio, ben conosciuti dai suoilettori, mette in evidenza la grandezza del sa-crificio del Cristo, nel quale egli è stato altempo stesso vittima e sacerdote. Ci offre cosìuna lettura rituale e sacrificale, della passionee morte di Cristo. Questa lettura simbolica

non deve però far svanire la concretezza delfatto e la durezza delle realtà che si compiro-no sul calvario. Per questo l’autore sottolineacon forza che tutto si è compiuto in un atteg-giamento di preghiera, ma “con forti grida elacrime”. La concretezza e durezza della pas-sione da parte di Dio rivelano la profonditàdel suo amore per noi e da parte nostra sonoun invito alla fiducia: possiamo serenamenteaccostarci a Dio nonostante i nostri peccati,perché ci ha così tanto amati.

VANGELOPassione di Nostro Signore Gesù Cristo se-condo Giovanni (18,1-19,42).

Il Vangelo di Giovanni si suddivide in dueparti principali: il Libro dei Segni e il Librodella Passione o Libro della Gloria. Di fattoil Libro della Gloria presenta il segno supre-mo dell’intero vangelo, al quale puntano tuttii segni minori, e nel quale trovano il loro si-gnificato ultimo. La storia dell’arresto, pro-cesso e crocifissione di Gesù Cristo è il se-gno supremo al cui significato ciascun segnoprecedente rimanda. I segni preliminari avevano solo effetti prov-visori, e limitati. Il vino, anche se tanto buo-no da rallegrare tutto il banchetto nuziale,tuttavia era finito. La moltitudine che avevamangiato i pani nel deserto ha provato dinuovo la fame. Lazzaro è stato risuscitato,ma per morire ancora una volta. Invecequando il Figlio di Uomo è stato innalzatosulla croce tutto il mondo è stato coinvolto ela storia è definitivamente cambiata. La cro-ce è dunque un segno, ma insieme è anchela cosa significata.Se tutti gli evangelisti sono dei teologi, chenon solo narrano dei fatti, ma ci fornisconouna riflessione e spiegazione del mistero di

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cui parlano, ciò è vero in maniera particola-re per il vangelo di Giovanni. Tutto il suoracconto della passione è dominato da un’i-dea portante: la regalità di Cristo, il Messiache è venuto tra i suoi, ma che i suoi nonhanno accolto. Giovanni, che ha ben chiarocome la missione di Cristo sia stata di por-tare il regno di Dio tra gli uomini, rivelandoil Padre e la sua volontà, si preoccupa dimostrare che ogni passo della via dolorosa èstato compiuto dal Figlio in piena obbedien-za al piano di salvezza del Padre. Il Signoredella storia lavora attraverso le macchina-zioni umane che vogliono umiliare e di-struggere il rivelatore e rappresentante dellasua divina sovranità. Ma neppure per unmomento il piano di Dio può fallire. Ognimomento della passione, per quanto appa-rentemente oscuro, è un anticipo chiaro del-la luce della resurrezione.La scena di apertura nell’orto degli ulivi ri-vela la maestà del re che gli uomini non vo-gliono riconoscere. I soldati mandati a cattu-rarlo si ritirano impauriti e cadono a terra.Ma siccome il re è anche il figlio obbedienteal Padre, è proprio lui che si avanza per con-segnarsi liberamente alla morte. Il filo cheunisce in tutto questo racconto regalità eumiliazione appare con chiarezza nell’inter-rogatorio davanti al sommo sacerdote Anna.In tutto questo racconto è il prigioniero chesi comporta con la dignità e l’autorità di ungiudice, mentre il giudice e i suoi sgherri di-vengono i veri imputati, perché non hannoaccolto la Parola di Dio.Ma è soprattutto nel processo davanti a Pi-lato che questo tema è sviluppato in manie-ra eminente, dall’inizio del confronto finoal titolo della croce che Pilato stesso com-pone e che non vuole venga cambiato. At-traverso i tentennamenti di Pilato, le mac-chinazioni dei Giudei e le offese dei soldati

è solo la volontà divina che si attua in pie-nezza. Gesù ricorda che ogni autorità giun-ge dall’alto e non si realizza se non con ilpermesso divino.Questo aspetto è sottolineato da Giovanni,che punteggia il suo racconto con citazionidell’AT a confermare che tutto accade perchési compia la volontà salvifica del Padre.Il racconto della passione giovannea è statospesso accusato di avere un particolare accen-to anti-giudaico. Di fatto alcuni elementi del-la narrazione vanno piuttosto nella direzioneopposta. Il primo è che il nostro vangelo nondescrive il processo tenuto dal Sinedrio, masolo un breve interrogatorio attuato da Anna.Giovanni è informato del processo del sine-drio e ne riferisce il capo di accusa davanti aPilato, ma non descrive l’assemblea ufficialegiudaica che processa e condanna Gesù. An-cora più interessante è che Giovanni tacciasul grido del popolo riferito dagli altri evan-gelisti: “il suo sangue ricada su di noi e suinostri figli!” (Mt 27,25). La colpa della con-danna è chiaramente addossata ai capi deiGiudei, e in particolare a Caifa, che dà al Si-nedrio il consiglio decisivo di sacrificare uninnocente per il bene di tutto il popolo (Gv11,50). Tutto è portato avanti con decisioneda un piccolo gruppo compatto agli ordini diCaifa (Gv 19.5.12.14-15), si tratta di un com-plotto di pochi che esclude dalla decisione ilgrosso del popolo giudaico. Non appare dun-que fondata l’accusa di antisemitismo rivoltaal nostro evangelista.Giovanni, un giudeo che scrive per altri giu-dei vuol mostrare piuttosto che la morte diGesù è stato un atto di tradimento delle au-torità giudaiche nei confronti del loro stessopopolo. È questo gruppo di “traditori dellavera speranza di Israele” che appare conchiarezza smascherato dalle sue stesse paro-le: “Non abbiamo altro re che Cesare!” (Gv

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19,15). Veglia Pasquale

La veglia pasquale presenta una intensa me-ditazione sulle tappe più significative dellastoria della salvezza che hanno condotto allaresurrezione di Cristo. La liturgia offre uncommento sintetico e denso ad ogni lettura,attraverso l’orazione di apertura e le orazioniche seguono le letture. Si mettono in rilievomolte tematiche tra loro complementari.

TEMI DELLE SETTE LETTURE DELL’ATTutta la storia della salvezza rivela la guidadivina della storia umana. La potenza di Dio si manifesta fin dalla crea-zione (Gn 1,1-2,2). Il compimento della promessa ad Abramo siha nel dono della figliolanza divina attraver-so il battesimo (Gn 22,1-18).La salvezza del popolo dalla schiavitù egizianaè immagine che anticipa la salvezza dei popolidalla schiavitù del peccato (Es 14,15-15,1).La paternità divina, secondo la rivelazioneprofetica, si estende a tutti i popoli (Is 54,5-14).La salvezza per tutti, che i profeti avevanoannunciato, può compiersi solo grazie allaconversione operata nei cuori dalla potenzadello Spirito (Is 55,1-11).Se Israele ha abbandonato la fonte della sa-pienza, Dio però non ha abbandonato il suopopolo e l’intera umanità a cui continua adoffrire la salvezza (Bar 3,9-15.32-4,4).La promessa di una nuova alleanza si è com-piuta attraverso la morte di Cristo e l’effusio-ne del suo sangue (Ez 36,16-28).

EPISTOLA (Rm 6,3-11)Questo cammino apre all’ascolto della letteraai Romani che proclama il mistero della re-surrezione di Cristo letto alla luce del battesi-

mo cristiano. Paolo sottolinea l’aspetto essen-ziale della vita cristiana: la scoperta dell’a-more gratuito di Dio. Chi l’accoglie ne vieneprofondamente trasformato. Riceve il donodello Spirito. Avviene una trasformazione ra-dicale, una vera morte dell’uomo vecchio eduna resurrezione ad una esistenza nuova.Questo cambiamento diventa ogni giorno piùradicale e pieno quanto più cresce la nostraidentificazione con Gesù Cristo. Con Lui mo-riamo al vecchio mondo del peccato ed en-triamo nel nuovo mondo della grazia divina.

VANGELO (Lc 24,1-12)Contrariamente a Marco e Matteo, Luca situa aGerusalemme tutte le manifestazioni di Gesùrisorto. È soprattutto preoccupato di sottolinea-re il modo nel quale lo Spirito, dopo la pente-coste, provocherà l’esplosione della buona no-vella fino all’estremità della terra. Gerusalem-me è il punto di partenza, figura del mondogiudaico ancora chiuso in sé stesso ed incapacedi farsi veicolo di salvezza per il mondo. Allafine degli Atti degli Apostoli, Roma, centro delmondo allora conosciuto e simbolo conseguen-te della universalità della salvezza, sarà il puntodi arrivo del lungo cammino del vangelo. Lucavalorizza anche il ruolo delle donne, restandocosì fedele alla impostazione del suo vangelo:la buona novella è accolta in primo luogo dacoloro che nel mondo sono disprezzati e rifiu-tati. Pietro, che in altri momenti era apparso co-sì sicuro di sé, crederà invece solo dopo avervisto il Signore con i suoi occhi.

Domenica di Pasqua11 aprile

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (10,34a.37-43)

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Pasqua, la domenica per eccellenza, il Giornodel Signore, ci invita all’incontro con GesùSignore, con Gesù risuscitato, con Gesù vivoper sempre. Gli atti degli Apostoli presentanoquesto annuncio sulla bocca di Pietro e diret-to ad un ufficiale romano, espresso quindi inun linguaggio comprensibile anche per un pa-gano: “Gesù è passato nel mondo facendo delbene, gli uomini hanno cercato di bloccare ilsuo cammino uccidendolo, ma Dio lo ha risu-scitato, ed ora chiunque crede in Lui può ot-tenere, grazie a Lui, il perdono dei peccati”.Questo problema di linguaggio tocca anche ilmondo contemporaneo. Come dire all’uomodi oggi che Gesù è risorto? Forse sulla lineadel libro degli Atti sottolineando l’efficaciaper noi di questa resurrezione accolta nella fe-

de. Gesù è diventato la guida, Colui che puòrinnovare ogni cosa, Colui che apre una via disalvezza perennemente nuova e disponibile.Credere nella Sua resurrezione non è tantopensare alla verità di un fatto passato, quantoaffidarsi a Lui e camminare speditamente sul-le sue orme, perché né gli uomini, né la mortehanno fermato il cammino di salvezza che pervolere divino è venuto ad aprire.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Colos-sesi (Col 3,1-4)

L’invito a seguire il cammino di salvezzaaperto da Cristo è rinnovato da Paolo nella

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Il Sepolcro vuoto, Giusto dei Menabuoi, Battistero della Cattedrale, Padova, sec. XIV

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sua lettera ai Colossesi. Se il regno dell’amo-re non è ancora pienamente manifestato nelmondo, è tuttavia iniziato nel cuore di quantisono risorti con Cristo. Sta a loro vivere darisorti, anticipare nella concretezza delle loroazioni la trasformazione della realtà che lagrazia divina sta operando.

VANGELODal vangelo secondo Luca (Lc 24,13-35)

Il Vangelo di Luca continua a proporre unalettura del mistero della resurrezione di Cri-sto come “mistero per noi”, evento che cam-bia la nostra vita nella relazione con Dio, congli altri, con il mondo. È infatti “lungo il lorocammino” che i pellegrini di Emmaus incon-trano il Risorto. La notte impone una tappa,ma grazie alla loro preghiera accorata la Suapresenza non cessa, essi anzi lo riconoscononello spezzare il pane. A questo punto Gesùsparisce… o meglio entra chiaramente in unanuova presenza discreta e misteriosa, legataa quel pane spezzato che possono “vedere etoccare” e che Lui ha lasciato nelle loro ma-ni. Il risorto non è scomparso, ma dopo es-sersi consegnato nelle mani degli uomini permorire per loro, ora si consegna di nuovonelle mani degli uomini per vivere per sem-pre con loro.Il mistero della resurrezione, il mistero dellapasqua e della presenza del Risorto, sfocianel mistero dell’eucaristia. Di quella comu-nione pasquale così fondamentale da esserepresentata dalla tradizione della Chiesa comeuno dei passaggi indispensabili della fede.La tradizione della comunione “almeno a Pa-squa” comunica il messaggio che anche lafede più tiepida ed episodica non può sussi-stere senza l’esperienza del Risorto, e non sidà esperienza del Risorto senza eucaristia,

senza l’esperienza della comunione sacra-mentale con lui.È un momento di arrivo, ma anche una tappadel cammino. I discepoli di ogni epoca reste-ranno sempre questo popolo in cammino, checammina spesso al Suo fianco senza ricono-scerlo, che lo riscopre presente nell’eucaristiae nella carità che da essa naturalmente scatu-risce, nella condivisione del pane quotidiano.

Oppure :Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)

Se nella celebrazione preferiamo leggere ilbrano di Giovanni ci troviamo ancora inmovimento, in cammino, anzi in corsa in-sieme con Pietro. Egli giunge al sepolcro,spinto da un misto di fede e di incredulitàgenerato dalle parole della Maddalena. Gio-vanni racconta la scoperta della resurrezio-ne con una sostanziale concordanza rispettoai sinottici. Sono le donne che per primehanno scoperto la tomba vuota e sono venu-te ad avvertire gli apostoli. Questi, dopoaver verificato i segni, restano sconvolti edubbiosi. Solo le apparizioni del Risorto licondurranno alla fede. Nel vangelo di Gio-vanni però il discepolo prediletto è capacedi giungere alla fede già dalla “visione deisegni”: la tomba aperta e vuota. In lui l’a-more apre subito il cuore alla fede. In que-sto discepolo ideale Giovanni ci proponeuna via alla fede che passa attraverso l’a-more, “una via piccola e breve, tutta diritta,che porta in cielo” (S.Teresa di Lisieux).Giovanni esalta così il potere dell’amore. Adifferenza di Tommaso che vuol “vedere Ge-sù per credere” il discepolo prediletto fa giàparte di quella schiera di “beati che, pur nonavendo visto, crederanno”.Dopo il suo ritorno in vita, Lazzaro era usci-to dalla tomba ancora avvolto nelle bende e

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nei panni della sepoltura. Qui tutto è lasciatonella tomba. Con questo Giovanni vuol indi-care che la resurrezione di Gesù non è mini-mamente paragonabile a quella di Lazzaro:“Gesù risuscitato dai morti non muore più, lamorte non ha più potere su di Lui” (Rm 6,9).

Seconda domenica di Pasqua C o della Divina Misericordia 18 aprile

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (5,12-16)

La celebrazione della resurrezione di Gesù nonè un semplice ricordo storico, ma un memoria-le. Ogni Pasqua siamo invitati a riscoprire co-me gli effetti della sua resurrezione raggiungo-no efficacemente ogni uomo che crede in Lui.I primi a vivere questa esperienza furono pro-prio gli Apostoli e gli appartenenti alla primacomunità di Gerusalemme presentata dal librodegli Atti. Il tempio di Israele era il segno piùchiaro della presenza di Dio in mezzo al suopopolo, per questo i primi cristiani si raduna-vano lì a pregare. Essi non si rendevano ancoraben conto di far parte di una nuova realtà: cheDio operava attraverso di loro quella “cosanuova” che i profeti avevano annunciato. Iltempio era ormai superato: con la morte di Ge-sù il suo “velo” si era squarciato, indicandocon ciò un abbandono da parte di Dio. Eradunque necessario trovare un nuovo segno del-la presenza divina sulla terra. E questo segno èproprio la comunità radunata in preghiera, uni-ta dallo Spirito al Signore Risorto. Il tempionon è più un luogo santo, ma sono i cristianiche con la loro preghiera lo rendono nuova-mente tale. Tra quelle antiche pietre comincia-no i primi passi di una umanità nuova. Ed ilpopolo semplice, pur non unendosi subito ad

essi, percepisce il loro valore di testimoni si-lenziosi dell’opera di Dio e ne tesse le lodi. Ènormale che molto velocemente il loro numerocresca: il contagio della resurrezione si span-de! Come al tempo di Gesù è verso questa pic-cola comunità che si portano i malati perchéalmeno l’ombra di Pietro li tocchi e li sani. Lapotenza divina che si era manifestata in Gesùcontinua ad operare nella chiesa: libera uominie donne, li restituisce alla pienezza di vita, adun posto da protagonisti nella società e nellastoria. È la luce della resurrezione che conti-nua ad illuminare il mondo.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (1,9-11a.12-13.17-19)

La luce della Resurrezione rende visibile ciòche appariva nascosto nelle pieghe della sto-ria umana segnata dal peccato: l’azione diDio. Il libro dell’Apocalisse, cioè della Rive-lazione per eccellenza mostra proprio questa“illuminazione” in atto. Il veggente legge lastoria contemporanea di una chiesa persegui-tata, eroica ed esemplare, ma anche tiepida espaventata; è la chiesa del suo tempo simbo-leggiata dalle sette Chiese dell’Asia. Ad essesi indirizza a nome del Risorto invitandole aguardare le cose nella prospettiva di Dio edella vita eterna. Già Paolo aveva detto aiColossesi che se si è risorti con Cristo biso-gna cercare le cose di lassù, non quelle diquesto mondo. In questo modo la presenzadel Signore in mezzo alla sua chiesa, tra icandelabri che ne sono l’immagine simboli-ca, appare in tutta la sua concretezza e forza.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31)

La parola di Dio celebrata

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La parola di Dio celebrata

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Il vangelo presenta, a contrasto con questaesortazione alla fede nella resurrezione, la fi-gura di Tommaso. Egli non si accontenta divedere i raggi della resurrezione, ben chiariper quanti hanno fede nel Signore. Vorrebbevedere, toccare, avere prove più certe chetolgano la fatica del credere senza vedere. Ele avrà. Dio sa rispondere anche ai desideriimpossibili se giungono da un cuore onesto,un cuore capace poi della splendida profes-sione di fede che sgorga dalle labbra di Tom-maso: “Mio Signore e Mio Dio”. La condi-scendenza divina vuol mostrare che la fedenella resurrezione era effettivamente impe-gnativa anche per i primi discepoli. Il com-portamento di Tommaso ha molte scusanti,perché egli è ben disposto poi a giocare suquesta fede tutta la sua vita. Una accettazio-ne “facile” della resurrezione, potrebbe por-tare invece ad un disimpegno nel viverne leconseguenze nella vita concreta. Gesù an-nuncia però a Tommaso che c’è posto peruna fede ancora più grande della sua: quellacapace di riconoscere il Signore e la sua Re-surrezione nei segni “invisibili” presenti nel-la sua Chiesa che cammina nel tempo. Lagente umile di Gerusalemme, che tesse le lo-di della comunità cristiana radunata in pre-ghiera nel tempio, sensibile a questo picco-lissimo segno visibile del nuovo Regno diDio, che gradualmente si unisce a loro cre-dendo nella Resurrezione, è l’avanguardia diquesto esercito di credenti che sanno vederel’invisibile e di cui tutti speriamo di fare par-te.

Terza domenica di Pasqua C25 aprile

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (5,27b-32.40-41)

Luca, nei racconti della prima predicazioneapostolica, sottolinea il contrasto esistente frail comportamento degli apostoli nel periodoprecedente la resurrezione e la pentecoste edin quello successivo. Prima erano degli arrivi-sti, pieni di illusioni, facili allo scoraggiamen-to di fronte alle prove ed alle opposizioni, poisi dimostrano improvvisamente capaci dicompiere la missione che Gesù ha affidato lo-ro. In questo cambiamento si rivela il senso el’efficacia del mistero pasquale. Gli apostoliora sono arrestati, vengono interrogati comelo fu il Signore. Anche loro sono accusati diturbare l’ordine pubblico propagando il mes-saggio del loro Maestro. La risposta di Pietroè netta: “è necessario obbedire a Dio piuttostoche agli uomini”. Altrettanto netta è la con-danna: fustigazione, divieto di continuarequalsiasi genere di predicazione. Apparente-mente assurda la reazione di questi innocentiperseguitati: “se ne andarono felici d’aver sof-ferto a motivo del loro maestro”. Lo spiritodelle beatitudini comincia ad essere vissutodalla prima comunità cristiana che evangeliz-za nei fatti e non solo a parole. Molto prestoricominceranno ad annunciare il Vangelo.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (5,11-14)

L’inno liturgico che è al centro di questo pas-saggio di Apocalisse non è una semplice loderivolta al Signore risorto. Pur partendo da unarielaborazione del cap. 7 del libro di Danielecostituisce anche un forte tema di contrastocon il mondo storico politico di allora. Le af-fermazioni che riservano all’Agnello la poten-za, la ricchezza, la sapienza ecc. fanno ecopiuttosto puntuale a quello che conosciamodella liturgia del culto imperiale nel primo se-

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colo. Il veggente dell’Apocalisse si pone inpolemica con questo culto idolatrico dell’im-peratore ricordando ai cristiani che certe pre-rogative sono solo del Signore Risorto. Canta-re questo inno nella chiesa di allora era unachiamata al martirio, un invito a porsi in con-trasto chiaro con una mentalità errata tipicadel mondo dell’impero romano in cui la chie-sa iniziava ad annunciare il vangelo. Evange-lizzazione e persecuzione sono parole spessomolto vicine nella storia dell’umanità.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (Gv 21,1-19)

Gesù, apparendo risorto sulla riva del lago diTiberiade, si incontra di nuovo con i suoi di-scepoli. Ed è un incontro che si svolge nel loroambiente di lavoro, dove li aveva incontrati laprima volta. E come allora userà le immaginidel loro quotidiano: la rete, i pesci, la pesca,per inviarli in missione verso un mare più va-sto ed ampio. È una nuova alba nella storia delmondo. Essi non hanno ancora preso nulla. Masulla parola dell’uomo comparso a riva gette-ranno di nuovo la rete in mare, senza dubbi edomande. Nel loro cuore sanno già la risposta:una pesca miracolosa, le reti che sembranorompersi per il gran numero di pesci. “I pesca-tori di uomini”, spesso scoraggiati, sono invi-tati a guardare in avanti, a partire per nuovedestinazioni, portatori di un annuncio potenteche non può restare chiuso nei cuori. Prima ditornare alla destra del Padre, Gesù pone a Pie-tro una domanda: “mi ami tu?” e ripete unafrase che appare come un ritornello in questiincontri dopo la resurrezione: “Sono io”. L’u-nica via per diventare testimoni, credibili an-nunciatori del Risorto, è quella di lasciarsi af-fascinare da Lui, di seguirlo lungo la strada, diaprirsi senza condizioni al dono dello Spirito.

Una via in qualche modo diversa per compren-dere il significato di questo brano evangelicoprivilegia il suo valore simbolico a partire dalvalore del numero dei pesci pescati più o menomiracolosamente. Se l’evangelista ne ricorda ilnumero, dobbiamo essere sicuri che non lo faper soddisfare una curiosità o precisarne laquantità. Se avesse mirato solo a far vedere ilcarattere straordinario della pesca, sarebbe ri-corso al numero «tondo », che fa sempre mag-gior impressione. Contentarsi del senso lettera-le di quello che leggiamo equivarrebbe a igno-rare il modo di scrivere dell’autore del quartovangelo. Pensiamo, d’altra parte, che la culturanella quale è radicato il vangelo dà un’impor-tanza eccezionale al simbolismo dei numeri.Qual è dunque il probabile simbolismo diquesto numero 153 secondo i dati della nume-rologia ebraica del tempo? Il numero 153 ri-sulta dalla somma dei numeri dall’1 al 17, inquesto modo: 1+2+3+4+5...+17=153. D’altraparte, il 17 è composto della somma di 10+7, equesti due numeri, ciascuno per suo conto, si-gnificano una totalità perfetta. Quindi, la quan-tità indicata, 153, dev’essere intesa come ilsimbolo della totalità di qualcosa. La totalitàdell’umanità? la totalità della Chiesa? la Chie-sa in relazione con l’umanità? Una notazionecomplementare proposta dagli esegeti ricordache alcuni naturalisti del primo secolo elenca-vano 153 specie diverse di pesci. Quindi anchein questo caso, ci troveremmo di fronte a unnumero che simboleggia la totalità.Un’altra ragione si intravede nella precisa-zione del numero da parte dell’evangelista:“e benché fossero tanti, la rete non sispezzò”: se i pesci devono simboleggiare latotalità dei popoli che devono entrare nellaChiesa, e se la rete non si spezza, questo fat-to deve simboleggiare l’unità della Chiesa. Una elaborazione troppo complessa? È possibi-le, ma va ricordato lo stile retorico proprio del

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tempo ed il fatto che in definitiva si tratta solodello sviluppo di una metafora originaria diGesù: «Vi farò pescatori di uomini» (Mc 1,17).

Quarta domenica di Pasqua C2 maggio

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (13,14.43-52)

Paolo su invito del capo della sinagoga diAntiochia di Pisidia, fa un dettagliato annun-cio della fede in Cristo morto e risorto, cosìcome la chiesa primitiva la proclamava aiGiudei. La reazione di un bel gruppo di suoivecchi compagni di fede è apparentementemolto positiva.Ma il sabato seguente, vedendo la moltitudi-ne di uditori di Paolo che si è radunata, ingran parte pagani, i Giudei, per gelosia, glidiventano ostili. Non si tratta di una gelosiaimmotivata: essi percepiscono che la fede inCristo si rivolge naturalmente a tutti i popolie che l’annuncio della resurrezione ha unacarica di speranza capace di conquistare icuori molto più delle usanze legali del rabbi-nismo del primo secolo. Non a caso il cristia-nesimo era definito una “buona notizia”.L’ostilità produce la reazione. Paolo si erasempre attenuto al principio che l’annuncioevangelico è destinato prima di tutto ai Giu-dei; ma il loro rifiuto fa sì che la parola diDio sia portata direttamente ai pagani senzaprima attirarli nel seno della comunità giu-daica. Questo modo di agire, che toglieva adIsraele la sua importanza centrale nel pianodella salvezza viene proclamato dall’Aposto-lo senza timori. Non è diretto solo dalla spin-ta degli avvenimenti, ma soprattutto dal fattoche vi legge l’influsso e la volontà delloSpirito Santo. D’altra parte anche Pietro ave-va agito così in casa di Cornelio.

In più Paolo cita Isaia 49, 6: «Io ti ho postocome luce per le genti, perché tu porti la sal-vezza fino all’estremità della terra». Questeparole dette al Servo del Signore, nelle qualila comunità cristiana aveva riconosciuto la ri-velazione del mistero della missione di Gesù,Paolo le sente rivolte anche a sé stesso. Tuttoquesto scatena una persecuzione contro i mis-sionari che li porta a continuare il loro itine-rario apostolico, mentre coloro che avevanocreduto in Cristo erano pieni di gioia, segnodella verità e profondità della loro fede.È un momento importante nella storia dell’e-vangelizzazione, una novità significativa.Quello che merita di essere sottolineato è ilpercorso di verifica che Paolo compie. Eglisegue un’ispirazione dello Spirito ma la veri-fica e confronta: con il comportamento dellachiesa e di Pietro in particolare, con quantoaveva profetizzato la Parola di Dio, con il fat-to che questa scelta comporti la persecuzionee la croce e non certo una vita comoda. Que-sti principi di discernimento dell’ispirazionedivina restano validi e cruciali anche per noi.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (7,9.14b-17)

Su questa linea di obbedienza a Dio ed allasua Parola fino al martirio si colloca anche lavisione dell’Apocalisse. La moltitudine deglieletti è infatti composta da coloro che sonopassati indenni attraverso le tribolazioni e per-secuzioni a motivo della fede. La loro vestebianca significa la gloria celeste che così han-no conseguito. Essi vengono ora rappresentatinell’atto di celebrare senza interruzione unaliturgia celeste di glorificazione. È la chiesaintera che viene qui raffigurata nel grandiosogodimento della felicità e del trionfo. Nellafelicità finale non vi saranno più le necessità

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corporali che determinano spesso sofferenza edolore quando non è possibile dare loro soddi-sfazione. La fonte di questa gioia soprannatu-rale che li anima è invece nella presenza del-l’Agnello, cioè di Gesù, raffigurato come pa-store che guida alle fonti dell’acqua di vita.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)

Il vangelo mostra due gruppi opposti. I primisono i Giudei che non credono a Gesù, nonperché Dio non chiami anche loro alla fedema perché oppongono una volontaria resi-stenza, come i persecutori di Paolo e Barna-ba della prima lettura. Gli altri sono coloroche Gesù chiama le sue pecore, questi loascoltano aderendo a lui con docilità e sem-plicità, e praticano la sua sequela. In questo“seguire” si sintetizza tutto il percorso indi-cato sopra di ascolto dello Spirito, verificaecclesiale, confronto con la Parola, disponi-bilità al martirio.Proprio per la serietà di questa sequela Gesùpuò promettere molto: egli darà ai suoi la vi-ta eterna. Può anzi promettere che se essipersevereranno in questa sequela non peri-ranno, nessuno potrà toglierli né a Gesù né alPadre: Egli infatti è il pastore vero, al qualeDio Padre ha affidato le pecore.Il nostro brano contiene anche una preziosadichiarazione di Gesù: «Io e il Padre siamouna cosa sola». Tale affermazione rivela l’u-nità del Padre e del Figlio nella stessa di-gnità divina e nella stessa azione di sal-vezza. I Giudei avevano domandato a Gesùdi pronunciarsi chiaramente su se stesso esulla propria missione. Con queste paroleGesù manifesta la propria identità divina: inGesù Dio è presente nel mondo, tra gliuomini, tra i credenti.

La reazione degli ascoltatori non è certo ina-spettata: vogliono lapidare Gesù, come se aves-se detto una bestemmia. Gli dicono infatti: «Tu,che sei uomo, ti fai Dio». Hanno ben compresoil significato delle sue parole e lo confermanocosì anche a noi in tutto il loro valore.

Quinta domenica di Pasqua C9 maggio

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (14,21b-27)

La buona novella, iniziando da Gerusa-lemme, si spande a tappe nel mondo anti-co . Dopo avere raggiunto la Si r ia s idiffonde in Asia Minore grazie a Paolo eBarnaba. Luca ci offre uno sguardo som-mario sul viaggio dei due missionari chesi conclude ad Antiochia di Siria, con loscopo di presentare il successo della mis-sione ai pagani. Le comunità, già evange-lizzate nel primo annuncio, vengono ria-nimate, cioè confermate nella fede ed in-coraggiate ad affrontare le tribolazionicon spirito positivo; infatti la tribolazio-ne è necessaria per entrare nel regno diDio. La sofferenza come prova della fedeva messa in conto per quanti vogliono se-guire il Signore.Per affrontare con tale serietà la fede è ne-cessario però il sostegno di una vita comu-nitaria, per questo Paolo e Barnaba stabili-scono degli anziani in ogni comunità, sitratta di capi che governano collegialmentein assenza dell’apostolo. È una organizza-zione istituzionale strutturata secondo ilmodello della comunità di Gerusalemme esta all’origine della struttura della comunitàcristiana di tutti i tempi. È significativo adesempio notare che questi anziani non ven-

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gono eletti dalla comunità, ma sono desi-gnati dagli apostoli, secondo il discernimen-to di una vocazione che giunge grazie allapreghiera ed al digiuno dei missionari. LaChiesa che conosciamo e dalla quale abbia-mo ricevuto la fede comincia a nascere.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (21,1-5a)

Dopo aver descritto simbolicamente tutti gliaccadimenti del combattimento tra le forzedi Dio e quelle della Bestia, l’autore diApocalisse mostra il trionfo finale di Dio. IlSignore può finalmente completare la suaopera: la creazione di una città splendente,nella quale avverrà l’incontro e la definitivacomunione tra Dio ed il suo popolo. È laprimizia di una nuova creazione che siaadatta all’umanità redenta. Essa supera tuttele immagini del paradiso terrestre: scom-paiono le imperfezioni, le necessità, il male,il mare, simbolo del male. Per gli uominiquesta opera di salvezza è essenzialmente ilrealizzarsi della alleanza definitiva con ilSignore e viene descritta come una festa nu-ziale nella quale si attua in pienezza l’amo-re di Dio e degli uomini, l’amore di Cristo edella Chiesa.La Gerusalemme che discende dal cielo, daDio, è la sposa adorna per il suo sposo che èCristo, Figlio di Dio. L’architetto di questacittà santa è Dio. Una voce potente dà laspiegazione di questa nuova creazione: essaè la tenda, la dimora di Dio con gli uomini. Èil compimento delle profezie che preannun-ciavano l’intima unione di Dio con il popoloeletto nell’era escatologica. Il mondo delpassato scompare; tutte quelle caratteristicheche gli conferivano la fisionomia dolorosa diuna creatura asservita al peccato vengono

eliminate; tra queste, le lacrime, la morte, illutto, il lamento, l’affanno. Il Vangelo si con-ferma ancora per ciò che realmente è: unabuona notizia per tutti i popoli.VANGELODal vangelo secondo Giovanni (Gv 13,31-33a.34-35)

Nel discorso dell’Ultima Cena Giovanni ri-porta la più profonda rivelazione che Gesùabbia fatto di sé stesso: il mistero della suagloria. Si tratta di un mistero presente: Gesùdice infatti “Ora il Figlio dell’uomo è statoglorificato…”. Ma al tempo stesso usa verbial futuro: “Dio lo glorificherà…”, ad indicareche c’è un elemento di attesa, una gloria cheverrà, anche se questa venuta è certa, dice in-fatti: “lo glorificherà subito”. C’è infine unelemento di reciprocità: la gloria è un ricono-scimento che Padre e Figlio si scambiano suun piano di eguale dignità.Non è però superfluo domandarsi in cosaconsista questa glorificazione! Da quantoappare dal contesto immediato: la uscita dalcenacolo di Giuda per recarsi a compierel’opera del tradimento e la frase che seguenel testo in cui Gesù dice che rimane ancoraper poco con i suoi, e dal contesto più am-pio di tutto il Vangelo, ove il tema della glo-ria e della glorificazione è uno dei più im-portanti, appare che il contenuto della glori-ficazione è il mistero della passione, morte,risurrezione di Gesù. Giovanni infatti chia-ma anche la crocifissione: innalzamento,elevazione, esaltazione (Gv 3,14; 8,28;12,32); mentre la risurrezione viene deno-minata: glorificazione.Nell’AT la gloria era la rivelazione di Dio, lamanifestazione della Sua presenza e del Suomistero. Per questo tutti i grandi patriarchi eprofeti desideravano contemplare la Sua glo-ria. Ora in Gesù questo è diventato possibile,

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Egli soprattutto nel mistero pasquale è la ri-velazione piena del mistero del Padre. Gio-vanni accostando a questo il comandamentodell’amore mette in luce il fatto che vivendoquesto amore somigliamo a Lui e così diven-tiamo anche noi rivelatori della gloria divina.Una comunità che vive la Parola e l’amorefraterno è rivelazione della gloria di Dio, ini-zio del paradiso già su questa terra: il regnodi Dio in mezzo a noi.

Sesta domenica di Pasqua C16 maggio

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (15,1-2.22-29)

La chiesa primitiva, all’atto della sua nascita,appariva perfettamente unita. Ma ben prestoi limiti umani cominciarono a metterne inforse l’armonia e con essa il futuro. L’operadi evangelizzazione, corse il rischio di cade-re nel nulla a causa della insistenza di alcuniGiudei convertiti al cristianesimo nell’impor-re le pratiche della legge mosaica. Già quan-do Pietro aveva ammesso nella chiesa iSamaritani (At 8, 14-17) e poi il centurioneCornelio (At 10, 44-48) era nato un certosubbuglio tra i cristiani provenienti dal giu-daismo, subbuglio contenuto soltanto dal ri-spetto per il capo della Chiesa. Ora il fer-mento diviene più forte nell’opposizione aPaolo e Barnaba.Paolo difese con forza la libertà dei paganidi diventare cristiani senza dover prima con-vertirsi alla fede ebraica ed alle sue pratiche.La sua convinzione nasceva dalla preoccu-pazione di negare la pratica della leggemosaica come necessaria via di salvezza.Questa affermazione avrebbe infatti intacca-

to il cuore stesso dell’annuncio cristiano,che proclamava la salvezza solo in virtù diCristo e non delle opere umane. Ma questachiarezza teologica non era facile da rag-giungere per quanti avevano vissuto tutta laloro vita nello sforzo, spesso frustrante, diattuare tutte le pratiche della legge. Una fedeche annunciasse la salvezza per grazia sem-brava un annuncio troppo bello e semplice.Ma proprio in questo Paolo giustamente ri-conosceva la sovrabbondanza della miseri-cordia divina offertaci in Cristo. Questo è ilcuore del Vangelo.La lettera apostolica, di cui la presente let-tura dà il testo, è frutto della sapiente solu-zione proposta dalla chiesa. Si conferma lalibertà dei pagani convertiti e si chiedel’osservanza di qualche prescrizione ele-mentare che nessun giudeo può abbandona-re perché evita qualsiasi tipo di comporta-mento idolatrico.In questo modo viene salvaguardata la co-municazione tra Giudei e pagani credenti inCristo, nel rispetto della cultura di ciascuno:a nessuno è imposta la circoncisione el’osservanza dell’intera legge. La soluzionedice insieme la novità profonda della chiesarispetto alla religione israelitica, ma suggeri-sce anche il rispetto delle differenti culture.Un valore che ha ancora oggi la sua chiararilevanza.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (21,10-14.22-23)

Nella città celeste della fine dei tempi, laverità divina si farà luminosa per tutti. Saràquella affermata dalla chiesa e fondata sul-la testimonianza degli apostoli. L’architet-tura simbolica della Gerusalemme celesteconsta infatti di tre elementi: il muro di

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cinta, le porte, le fondamenta. Le dodiciporte significano le dodici tribù di Israelementre i dodici basamenti delle mura porta-no scritto il nome dei dodici apostoli e nesono quindi il simbolo. La chiesa, signifi-cata dalla Gerusalemme celeste, è infattil’unità compatta del popolo dell’alleanzadell’antico e del nuovo testamento. L’as-senza del tempio nella Gerusalemme cele-ste è notata per sottolineare che Dio e l’A-gnello ne prendono la funzione. Non ci sa-ranno dunque più segni ambigui e strumen-talizzabili della presenza di Dio e della suavolontà, ma tutto sarà luminoso e chiaroper tutti. Finirà il tempo della fede ed avràinizio il tempo della visione della gloria di-vina rivelata in Cristo.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)

La fedeltà alla quale Gesù chiama i suoi di-scepoli è fedeltà alla sua Parola. Ma questorichiede che il discepolo si lasci coinvolgerein una relazione che permea tutta la sua esi-stenza. Accogliere la parola e farne il pernodella propria vita è in definitiva accogliereDio in noi, come la forza che muove il no-stro essere ed il nostro operare. Non si cercapiù la salvezza nelle nostre forze e capacità,ma solo nella grazia che ci giunge da Dio.La comprensione esistenziale di tutto que-sto non può giungere se non per una lucesuperiore. Questo sarà il compito primarioche Gesù lascia da compiere allo Spirito. LaParola giunge dal Padre, Gesù ne è stato ilprimo mediatore e maestro, lo Spirito avràla funzione di insegnare e ricordare tutto ciòche ha detto Gesù. Primo maestro è Gesù,l’altro maestro è lo Spirito, ma l’insegna-mento dei due ha lo stesso contenuto.

Se però la Parola di Gesù resta perennementefissata, perché egli va dal Padre, il “ricordar-la” attuato dallo Spirito è una realtà dinamica.Lo Spirito compie la sua missione attualiz-zando questa parola, mediandone il rapportocon le varie culture, con le varie epoche stori-che, con le esperienze diversificate degli uo-mini di tutti i tempi e luoghi. Questa è la mis-sione di insegnamento dello Spirito che, co-me ha mostrato la prima lettura, si è compiutafin dagli inizi coinvolgendo e guidando laChiesa. La verità che è affidata all’umanità edi cui la Chiesa guidata dallo Spirito è la pri-ma testimone è la parola viva di Cristo perl’oggi. Ma l’Apocalisse ci ricorda che nondobbiamo mai dimenticare la distanza tra laluce della gloria della Gerusalemme futura el’opacità provvisoria della Gerusalemme ter-restre. La Parola è chiara e luminosa, ma per-mane un mistero che lo Spirito ci insegna aconoscere giorno per giorno, e per grazia.

Settima domenica di Pasqua C Ascensione del Signore23 maggio

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (1,1-11)

La celebrazione dell’ascensione di Gesù alcielo, dovrebbe apparentemente essere segna-ta dalla tristezza e non dall’esultanza: quandouna persona amata scompare, lascia nella de-solazione. L’esistenza sembra perdere senso.Ma a volte capita che uno strano sentimento,incomprensibile per la pura ragione, ma chia-rissimo per chi ama, si risvegli in chi sembracondannato alla solitudine: la certezza di unanuova presenza della persona assente. Questaesperienza, ultima del sentimento umano eprima della fede, venne vissuta dagli apostoli

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dopo l’ascensione di Gesù al cielo. È su que-sto sentimento profondo che si radica il temafestoso della giornata di oggi. Se la resurre-zione era stata testimonianza della possibilità,per Gesù, di sfuggire alla morte, l’ascensioneè l’annuncio che il cielo è riaperto, che c’èuna vita eterna oltre la barriera della morte edella dissoluzione fisica. Ci sono un “luogo”ed un “tempo” della presenza di Dio e dellanostra vita futura, pienamente concreti. Dopol’ascensione di Gesù la risposta alla domandacruciale: dove andremo? Quale futuro ciaspetta? È diventata più chiara: andremo conGesù, dove Lui ci aspetta. Il brano di Atti parla cinque volte del cammi-no di Gesù verso il cielo; la prima volta sottoforma di compendio di quanto è stato dettonel vangelo: «fu assunto in cielo»; la secondae la terza volta descrivendo l’evento: «fu ele-vato in alto», «se ne andava»; la quarta e laquinta volta nella parola degli angeli: «è statodi tra voi assunto fino al cielo», «l’avete vistoandare in cielo». L’insistenza serve a mostrarel’importanza di questo atto con cui Gesù ri-sorto ricongiunge la terra, da dove egli parte,al cielo, dove egli si dirige, arriva e rimane.Ricongiunge così il mondo degli uomini conil mondo di Dio. Nella nascita di Gesù Dio èvenuto a stare con gli uomini; nella ascensio-ne di Gesù l’umanità va a stare con Dio.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (9,24-28.10,19-23)

Il sacrificio di Cristo a differenza di quellidell’At è unico. Quelli dovevano essere ripe-tuti perché non toglievano il peccato con ef-ficacia, invece il sacrificio di Cristo è statocosì efficace da non dover essere ripetuto.Questa offerta di Cristo sta al centro e al ver-tice della storia di salvezza, termina il lungo

periodo delle preparazioni e si colloca nellapienezza dei tempi inaugurando l’epocaescatologica. Infatti distrutto il peccato, l’es-senza della salvezza è acquistata, è realtà.Ora non resta che attendere la venuta finaledel Cristo come giudice della storia.

VANGELODal vangelo secondo Luca (Lc 24,46-53)

Gesù salendo al cielo lascia ai suoi un compitoche Luca sintetizza nelle parole: «Voi siete te-stimoni». Il contenuto di questa testimonianzaè l’intero annuncio del mistero di Cristo, a par-tire dalle antiche Scritture che si riferiscono aLui, fino al racconto del mistero pasquale dimorte e risurrezione di Gesù, all’annuncio dellaconversione e del perdono dei peccati. L’invioè universale, riguarda tutte le genti. Lucasottolinea l’inizio della missione nella città diGerusalemme, la capitale religiosa del popoloeletto, come è stata il teatro del mistero finaledi Gesù, così è il luogo da cui parte la missio-ne.Ma la forza interiore e la capacità di compie-re questa missione non dipenderanno dallavolontà e dalle capacità degli apostoli, madall’azione dello Spirito in loro. Essi dovran-no infatti attendere finché non siano rivestitidi potenza dall’alto (Lc 24, 49).La scena finale del vangelo è liturgica e sacer-dotale: Gesù alza le mani e benedice mentre idiscepoli lo adorano e continuano la loro pre-ghiera stando nel tempio e benedicendo Dio.Sono atti e gesti presi dalla vita cultuale. Il van-gelo di Luca che era iniziato nel tempio, conl’annuncio dato a Zaccaria, con la mancata be-nedizione del sacerdote divenuto muto, si chiu-de di nuovo nel tempio con la benedizione deidiscepoli a Dio, dopo che essi hanno ricevutola benedizione del Signore salito in cielo. L’a-scensione in cielo è quindi presentata da Luca

La parola di Dio celebrata

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La parola di Dio celebrata

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entro questo scenario cultuale, come il punto diarrivo del grande viaggio, del grande itinerariodi Gesù, che si conclude in cielo. Tutta la litur-gia cristiana non è che il prolungamento neltempo di questa prima preghiera degli apostoli.Domenica di Pentecoste30 maggioMessa del giorno

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (2,1-11)

La celebrazione di Pentecostecostituisce il coronamentodell’anno liturgico ed in parti-colare del memoriale dellaPasqua del Signore che laChiesa ci ha fatto celebrare. Ildono dello Spirito Santo nonè infatti un episodio staccatonella storia della salvezza, mail compimento di una promes-sa di Gesù ed il perfeziona-mento della sua opera. Il racconto della predicazionedi Pentecoste mostra come loSpirito sia il principio interio-re dell’annuncio evangelico,della comunicazione chediffonde la fede ed edifica laChiesa. I discepoli sono inve-ce gli strumenti attivi e consa-pevoli dello Spirito, mentre lafolla con la varietà delle lin-gue e delle culture è l’oriz-zonte, il destinatario dell’azio-ne dello Spirito. Lo sfondo antico testamenta-rio è duplice. La festa ebrai-ca di pentecoste ricordava lapromulgazione della legge edell’alleanza al Sinai. La

nuova pentecoste cristiana fa della effusio-ne dello Spirito la promulgazione dellanuova legge e della nuova alleanza.Un altro quadro dell’Antico Testamento sicolloca sullo sfondo della Pentecoste cri-stiana ed è quello della dispersione di Ba-bele a cui la Pentecoste rimedia con lacomprensione delle lingue e, attraverso diesse, con l’unificazione degli ascoltatoriche rappresentano tutta l’umanità. Nuova alleanza e nuovo popolo eletto, unitoed universale sono i componenti basilari del-

La Discesa dello Spirito Santo, Icona, Scuola di Mosca, sec. XVI

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la Chiesa di Cristo che nasce a Pentecoste.La festa di oggi è a tutti gli effetti il com-pleanno della Chiesa.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera ai Romani (Rm 8,8-17)

Protagonista fondamentale della nascitadella Chiesa è lo Spirito Santo. Paolo piùche sommando definizioni dogmatiche ciparla del mistero dello Spirito mostrando-lo in azione, mostrando come plasma in-nanzitutto in maniera nuova la vita diogni cristiano.La vita secondo la carne e la vita secondolo Spirito sono due realtà esistenziali op-poste. Quelli che si comportano in modocarnale sono ostili a Dio, non osservano icomandamenti, non sono graditi a Dio eperciò vanno incontro alla morte. Quelli che vivono secondo lo Spirito inve-ce si comportano secondo tale principioanimatore, osservano la volontà di Dio egli sono graditi. Vi è una duplice inabita-zione: dei cristiani nello Spirito e delloSpirito nei cristiani. Per mezzo del sacramento del battesimo icristiani sono nello Spirito: entrano in con-tatto con Lui che opera nella comunità cre-dente, ne ascoltano l’insegnamento che cigiunge attraverso la Parola divinamenteispirata, lo ricevono come dono e forza in-teriore attraverso i sacramenti. Abitando inloro, lo Spirito opera efficacemente e li favivere secondo il suo dinamismo. Lo Spirito Santo è la potenza che Dio hamesso in azione per risuscitare Gesù daimorti ed è la forza che in Gesù risusciterà imorti e darà loro la vita. I nostri corpi sono ancora mortali, ma ani-mati e vivificati dallo Spirito che abita in

noi, e inseriti in Cristo, sono destinati allavita eterna mediante la risurrezione.

VANGELO

Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-16.23b-26)

Anche il vangelo di Giovanni ci mostral’azione dello Spirito in noi, che ci fa vive-re secondo la volontà di Dio e così edificala Chiesa. L’inabitazione dello Spirito è indefinitiva inabitazione di tutta la Trinità,compimento di quel processo di discesaverso l’uomo ed avvicinamento a lui perfondare un legame di amore indissolubileche è l’alleanza. Questo cammino di sal-vezza lo ha iniziato Dio Padre con la crea-zione e la storia di amore per il popolo del-l’antica alleanza, lo ha portato a pienezzail Figlio attraverso l’incarnazione, lo portaavanti nella storia fino alla fine dei tempilo Spirito Santo, destinato a rimanere connoi per sempre in una perenne effusionesulla sua Chiesa.L’osservanza dei comandamenti di Cristo èstrettamente connessa a questo flusso d’a-more che lega i figli al padre, i discepoli almaestro, i credenti allo Spirito che abita inloro. Non si dà amore vero senza tensionea un sempre più completo coinvolgimento,anche operativo, con tutto ciò che l’amatodesidera ed esprime. E, senza l’amore, an-che l’osservanza più ligia finisce per im-pantanarsi nella casistica e trovare la mortedove poteva invece sbocciare una vita rin-novata. Amore ed osservanza dei comanda-menti si nutrono dunque a vicenda, ambe-due dipendono dall’opera dello Spirito chevivifica e ricorda. Questo è il grande donodel Padre, che fonda la Chiesa e così com-

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ANIMAZIONE LITURGICA

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Questo tempo di preghiera è celebrato e partecipato dall’assemblea che, radunata nelNome del Signore, invoca la sua misericordia e il suo perdono. Prima dell’esposizionedel Santissimo Sacramento il ministro introduce un breve atto penitenziale aspergen-do, a conclusione del rito, l’assemblea con l’acqua benedetta.

Preghiera penitenziale dalla Liturgia Siriaca

Guida Abbi pietà di noi, Dio onnipotente. Noi ti lodiamo, ti bene-diciamo, ti adoriamo. Te ne preghiamo, Signore nostro Dio: mostratipropizio, Tu che sei buono e amico degli uomini, usaci misericordia.

Tutti Signore, pietà.Guida Ricordiamo la tua morte, Signore Gesù, proclamiamo la tua

resurrezione, attendiamo la tua venuta nella gloria: usa verso tutti mi-sericordia.

Tutti Signore pietà.Guida Per tutto questo o amico dell’umanità, noi ti chiediamo di rendere la

bontà manifesta: concedici di trascorrere nella pace e nel tuo timore questasanta giornata e tutti i giorni della nostra vita. Allontana da noi, dal tuo popoloe da questa chiesa ogni gelosia, tentazione e opera diabolica; liberaci dai tra-nelli dei cattivi e dai nemici che ci avversano, visibili e invisibili. Concedici in ab-bondanza opere buone e vantaggiose… Non assoggettarci alla tentazione, maliberaci dal male, per la grazia, la bontà e l’amore per gli uomini che hai mani-festato nel tuo Figlio, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. A Lui e allo Spi-rito santo, a te eguale e che dona la vita, siano la gloria, l’onore, la potenza el’adorazione, ora e sempre e nei secoli dei secoli.

Tutti AmenGuida Esaudiscici, Signore nostro Dio, aiutaci e salvaci. Accogli le nostre pre-

ghiere e le nostre suppliche e, nella tua misericordia, allontana da noi ogni sor-ta di condanna, collera e castigo. Donaci sicurezza, pace e la fine serena e beatache Tu riservi ai figli della pace.

Tutti Accogli Signore, la nostra richiesta di perdono e la nostra penitenza.Abbi pietà di noi, Signore Dio: perdona le nostre e le altrui colpe, le nostre e lealtrui negligenze, gli errori commessi volontariamente e involontariamente,con avvertenza o per ignoranza. Amen

Mentre il ministro asperge i presenti con l’acqua benedetta l’assemblea esegue uncanto adatto. A conclusione si fa una pausa prolungata di silenzio e si espone il San-tissimo Sacramento intonando un ritornello eucaristico.

Veglia di preghiera penitenzialeMiserere mei

di suor Clara Caforio, ef

Preghiamo

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Il salmo 50

Guida Secondo un’antica tradizione questo salmo viene attribuito a Davideche chiede perdono a Dio dopo che aveva peccato con Betsabea. È una delle piùbelle suppliche del salterio per la spontaneità e la profonda carica di sentimentiche in esso sono espressi. Il re, meditando sul suo duplice peccato di adulterio edi omicidio, cerca rifugio nella misericordia di Dio implorando il suo perdono.

Lettore Dal secondo libro di Samuele (12,1-13)

Il Signore mandò il profeta Natan a Davide e Natan andò da lui e gli disse: “Vierano due uomini nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il riccoaveva bestiame minuto e grosso in gran numero; ma il povero non ave-va nulla, se non una sola pecorella piccina che egli aveva comprata eallevata; essa gli era cresciuta in casa insieme con i figli, mangiando ilpane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno, era perlui come una figlia. Un ospite di passaggio arrivò dall’uomo ricco equesti risparmiando di prendere dal suo bastone minuto e grosso, perpreparare una vivanda al viaggiatore che era capitato da lui portò viala pecora di quell’uomo povero e ne preparò una vivanda per l’ospite

venuto da lui”. Allora l’ira di Davide si scatenò contro quell’uomo e disse a Na-tan: “ Per la vita del Signore, chi ha fatto questo merita la morte. Pagherà quat-tro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avutopietà”. Allora Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Diod’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato lacasa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo padrone, tiho dato la casa di Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi avreiaggiunto anche altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore, fa-cendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Urìa l’Hittita, hai pre-so in moglie la moglie sua e lo hai ucciso con la spada degli Ammoniti.

Ebbene, la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai di-sprezzato e hai preso in moglie la moglie di Urìa. Così dice il Signore: Ecco iosto per suscitare contro di te la sventura dalla tua stessa casa; prenderò le tuemogli sotto i tuoi occhi per darle a un tuo parente stretto, che si unirà a loro al-la luce di questo sole; poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò questo davantia tutto Israele e alla luce del sole”.

Allora Davide disse a Natan: “Ho peccato contro il Signore!” Natan rispose aDavide: “Il Signore ha perdonato il tuo peccato; tu non morirai. Tuttavia, poi-ché in questa cosa tu hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà mori-re”. Natan tornò a casa.

Si canta: Miserere mei… o un altro canto penitenziale.

Viene offerto l’incenso al Santissimo bruciandolo in un braciere ai piedi dell’altare.

Preghiamo

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Pietà di me o Dio

Guida La preghiera di Davide divenne la supplica del popolo di Dio. Nel sal-terio è il salmo che meglio esprime i sentimenti dell’uomo peccatore e bisogno-so di perdono. Nella liturgia delle lodi il salmo 50 trova il suo posto ogni ve-nerdì dell’anno diventando implorazione per l’umanità peccatrice. Un’umanitàperò redenta dal sangue di Cristo che prega e canta con la consapevolezza cheil Signore ha sconfitto le tenebre del peccato risorgendo da morte.

Il salmo è proclamato da due solisti:

1 solista Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia,nel tuo grande amore cancella il mio peccato.Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato.Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.Contro di te, contro te solo ho peccato,quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto;perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio.

2 solista Ecco, nella colpa sono stato generato,nel peccato mi ha concepito mia madre.Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza.

1 solista Purificami con issopo e sarò mondato,lavami e sarò più bianco della neve.Fammi sentire gioia e letizia,esulteranno le ossa che hai spezzato.Distogli lo sguardo dai miei peccati,cancella tutte le mie colpe; crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.Non respingermi dalla tua presenzae non privarmi del tuo santo spirito.

2 solista Rendimi la gioia di essere salvato,sostieni in me un animo generoso.Insegnerò agli erranti le tue viee i peccatori a te ritorneranno.Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza,la mia lingua esalterà la tua giustizia.

1 solista Signore, apri le mie labbrae la mia bocca proclami la tua lode,poiché non gradisci il sacrificioe se offro olocausti non li accetti.

Preghiamo

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Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,un cuore affranto e umiliatotu, o Dio, non disprezzi.

Insieme Nel tuo amore fa grazia a Sion,rialza le mura di Gerusalemme.Allora gradirai i sacrifici prescritti,l’olocausto e l’intera oblazione;allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

Silenzio di adorazione prolungata…. Quindi l’assemblea prega insieme con questeparole:

Mi affido alla tua misericordiaPerdonami, Signore; rimettimi i peccati, te ne scongiuro per il tuo santo nome;salva la mia anima che fu redenta dal tuo sangue prezioso.Mi affido alla tua misericordia,mi consegno alle tue mani.Trattami secondo la tua bontà,

non secondo la mia malizia e la mia iniquità.Quanto di bene è in me io te lo offro:è poco e imperfetto;ma tu miglioralo e santificalo,ti sia gradito ed accetto, sempre più meritevole;ed infine trascina anche me, omiciattolo pigroed inutile, ad un termine beato e lodevole. (dall’Imitazione di Cristo)

Canto di ringraziamento al Signore.

Guida Il Signore ha preso su di sé ogni nostra miseria; ha indossato l’umanadebolezza per poter fortificare ciò che diventa fragile a causa del peccato.Gesù si è rivestito di compassione per manifestare a tutti la misericordia delPadre e insegnarci la strada del perdono e dell’amore.

Lettore Dalla Prima Lettera di san Pietro, apostolo (2,21-25)

Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: eglinon commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato nonrispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva lasua causa a colui che giudica con giustizia.

Egli portò i nostri peccati sul legno della croce, perché non vivendo più per ilpeccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate er-ranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.

Preghiamo

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Dopo l’ascolto del brano evangelico si sosta in silenzio.

Guida Il Signore ci ama di un amore senza limiti, non tiene conto delle nostremiserie poiché il suo sguardo si abbassa nelle profondità del nostro peccatoper redimerlo. Nella sua infinita misericordia non ci giudica, ma perdona e di-mentica ogni offesa. La sua bontà non umilia i nostri limiti se non per trasfor-marli in bene. Solo l’amore di Dio è trasformante… Solo l’amore di Dio ci rin-nova fin nelle radici della nostra esistenza. Il perdono che elargisce in abbon-danza ci rende creature nuove.

Lettore Dal Profeta Ezechiele (36, 24-28)

Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sulvostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vipurificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi daròun cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò davoi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spiritodentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservaree mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi aivostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio.

Canto: Vi darò un cuore nuovo o un altro appropriato.

Silenzio di adorazione. Un lettore proclama la preghiera:

Fa’ che io oda la tua voce

Fa’ che io oda il tuo grido gioioso: Venite, benedetti dal Padre mio,ricevete il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo!Mentre attendo, ascolto in silenziociò che dice in me lo Spirito Santo…In me dice: Pace!Fa’ che io oda, nel silenzio, questa voce.Come l’amico dello sposo,fa’ che non mi disperda in discorsi,ma esulti di gioia per la voce dello sposo.Allora la mia anima, che è neve congelatasulla montagna dell’orgoglio,si scioglierà al calore della tua parola, che è fuoco, e diverrà una valle di umiltà. (S. Anselmo)

Il ministro può opportunamente offrire una riflessione sui testi proclamati conclu-dendo con la benedizione eucaristica, seguita da un canto.

Preghiamo

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espressive e interpretative, e soprattut-to come s’è detto si fa subito l’esperien-za dell’insieme, che è la cosa più impor-tante e più difficile, specie se si tratta dimusiche contrappuntistiche imitative.Infatti, anche nel caso che le singole vo-ci abbiano imparato a perfezione la lo-ro parte, si trovano immancabilmentesmarrite al momento di incontrare lealtre; la vera difficoltà non sta nel pre-parare i mattoni ma nell’elevare un edi-ficio da tanti mattoni separati. Tantovale cominciare subito la costruzione,non senza mattoni, ma con mattoniche nel caso del canto si vanno perfe-zionando cammin facendo. In altre pa-role, appresa la parte, sia pure in ma-niera posticcia ma sufficiente, i cantorinon hanno il tempo di dimenticarlaperché nel lavorare d’insieme hannomodo di assimilarla più profondamen-te. Si farà eccezione per quei pochi casiin cui le parti risultassero straordinaria-mente difficoltose o per ritmo o per ar-ditezza di intervalli e fosse quindi an-noiante e dispersivo di tempo insegnar-le alla presenza di tutto il coro. In que-sti casi si studieranno a parte.

L’ideale sarebbe che i cantori fosse-ro in grado di studiare a casa la pro-pria parte e che il direttore si limitassealla concertazione dell’insieme; quelloche per noi è utopia in altri paesi eu-ropei avviene normalmente.1

Ad ogni modo, l’importante è cheil direttore ricerchi e stabilisca un me-todo, un suo metodo, che funzioni eche maturi dei risultati.

Riprendiamo l’ascolto di ValentinoDonella per poi adattarlo calandolonella nostra realtà.

Momento delicato nel quale il corostabilisce l’interpretazione dei vari pez-

zi e indirettamente lo stile ge-nerale del complesso, la suafisionomia. Generalmente sicomincia a studiare a voci se-parate — in luoghi diversi oin momenti diversi — o almassimo abbinando voci (te-nori e bassi... soprani e con-tralti); in un secondo momen-

to, quando tutte le voci hanno appresola loro parte, si riuniscono per «metter-le insieme». Oppure si lavora tutti insie-me, dal primo approccio con la nuovacomposizione fino alle ultime rifiniture.

Ognuno può fare la sua esperienza.Qui ci permettiamo di esprimere la no-stra opinione e la nostra preferenzache è senz’altro per il secondo metodo,come il più producente e in definitiva ilpiù veloce. Si affronta e si abbozza unaprima frase con senso compiuto (musi-calmente e letterariamente) con la 1a

voce, poi subito con la 2a, con la 3a e la4a; immediatamente si accostano tuttee 4 le voci perché si possa avere l’ideadell’insieme e si cominci a lavorare sul-l’architettura del pezzo. Con questo si-stema tutti ascoltano e imparano laparte altrui, non per eseguirla, ma pertenerla presente; le raccomandazionivengono date una volta sola e valgonoper tutti e così le indicazioni dinamiche,

Le provedi don Daniele Albanese

Pregarcantando

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Qui ci limiteremo a offrire una se-rie di consigli, traendoli dalla nostrapersonale esperienza. Chi li legge literrà nel conto che crede. — Esigere sempre disciplina e applica-zione; una eventuale pausa distensivastabilita dal maestro deve solo consenti-re di riprendere con maggiore impe-gno. Un coro dilettante potrebbe tro-varsi per le prove un paio di volte la set-timana; un prova non dovrebbe duraremeno di un’ora per essere producente.Due ore, dopo cena, sarebbero già trop-pe. Ben altre considerazioni e valutazio-ni sono da farsi nei confronti di un coro«professionista», disponibile per con-tratto l’intero arco della giornata. — I cantori possono stare comodamen-te seduti: dopo una giornata di lavoronon si può pretendere da essi l’impossi-bile. Però è bene che di tanto in tantosi alzino in piedi per una esecuzionepiù impegnativa, a mo’ di prova gene-rale. Ma anche quando stanno sedutinon devono confondere il giusto rilas-samento con la pennichella. — Bisogna anzitutto spiegare i testi,specialmente se sono in lingua scono-sciuta (latino, inglese...): non si fa musi-ca pura, ma interpretazione musicale diun testo. È detto tutto. E interpretareun testo significa osservare la pronun-cia, l’interpunzione, la fraseologia e tut-ti gli altri aspetti letterari esteriori; piùancora significa scendere nel profondoe lasciarsi investire dai sentimenti cheesso esprime (religiosi, di gioia, di dolo-re, di rabbia, ironici, umoristici, ecc.). — In mano ai cantori si dia sempre te-sto e musica, possibilmente lo spartitointero se non è troppo complicato ovoluminoso. È sempre una guida, an-che per coloro che non masticano se-

miminime e crome; una occasione inpiù per fare alfabetizzazione musicale. — Di tanto in tanto il maestro passi trale sezioni per controllare la pulizia delcanto da parte di tutti. Certe imperfezio-ni possono sfuggire dal posto di direzio-ne. E qualche volta costringa i cantori —nonostante la loro riluttanza — a farsiascoltare singolarmente per mettere anudo eventuali difetti o cattive imposta-zioni. È un lavoro che richiede tempo epazienza ma che dà frutti sor-prendenti. — Il maestro deve aver chiaroquello che vuole e volerlo condeterminazione; ripensamen-ti, incertezze, nebulosità di in-tenzioni diventano incertezzee confusioni del coro. Quindi,prima di presentarsi al coro, ilmaestro deve studiarsi bene la partiturae fare chiaramente le sue scelte. Quan-do un coro dilettante ha appreso uncanto in tutti i suoi particolari, è tragicopretendere di fargli cambiare ancheuna nota. Procedere con scrupolosità epignoleria nello studio del pezzo in tut-te le sue parti e aspetti (tempo, coloriti,variazioni dinamiche, legato, staccato,equilibrio delle parti e messa in risalto diqualcuna). Nulla va trascurato, tutto vapuntigliosamente stabilito, chiedendo alcoro che, una volta acquisita una tecnica(es. lo staccato), sia in grado di applicarlaogni volta che se ne presenti l’occasione.Agire sempre con calma, anzi con bona-rietà, senza mai arrabbiarsi, usando tan-ta pazienza. Saper correggere con dol-cezza senza far pesare il richiamo; menoancora offendere o umiliare, assoluta-mente mai prendersela con un solo can-tore. Semmai lo si richiama privatamen-te. Ogni osservazione di carattere tecni-

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co o artistico va circostanziata in modoche venga da tutti capita. Di ogni inter-ruzione spiegare il motivo. Ad ogni pro-posta fornire il supporto della esemplifi-cazione; sarebbe un guaio se il maestronon sapesse cantare e dimostrare con lasua voce (anche se non bella) quello chevuole dai coristi. Non temere di perderetempo a soffermarsi qualche volta adapprofondire una tecnica, a richiamarneun’altra, a compiere una sorta di revisio-

ne o autocritica sul modo dicantare. A lungo andare i can-tori « inselvatichiscono ». Tra idifetti di un coro che si lasciaandare c’è quello bruttissimodel « singhiozzo », dovuto al-l’articolazione brusca di unafrase per la preoccupazione direspirare velocemente.

Saper usare l’eventuale strumento indotazione (…): in fase di apprendimen-to è utile far sentire un passaggio melo-dico o un ritmo, ma è saggio non ren-dersene schiavi. Specialmente se si trat-ta di musiche a cappella, abbandonarloil più presto possibile per crearsi una co-scienza corale autonoma. Se invece so-no in questione musiche corali concerta-te con qualche strumento, cioè con l’ac-compagnamento obbligato del pia-noforte, dell’organo o dell’orchestra, lacosa è diversa. Allora è necessario stabi-lire il giusto rapporto di intonazione edi equilibrio tra coro e strumenti, tenen-do presente che chi canta si trova nellacondizione di doversi confrontare conuno strumento ad accordatura diversa,che è quella fittizia del sistema equabi-le, non naturale. Non è un gran proble-ma, si fa abitualmente. Ma occorre te-nere sempre le orecchie in allarme. Ciòvale per le prove e vale ancor più per le

esecuzioni, essendo sempre incombenteil pericolo di uscire dall’intonazione.

C’è veramente poco da aggiungereai consigli del Donella. Vengono da unaprovata esperienza sul campo, capacedi unire profonda conoscenza teorica epratica. Chi come lo scrivente frequentada molti anni cori e solisti, da giovanemusicista diplomato al conservatorioprima e da prete che non ha affatto di-menticato la musica poi, non può cheritrovarsi completamente nei suggeri-menti pratici dati dal maestro per unafruttuosa riuscita delle prove corali.

Alcune considerazioni le avevamoaddirittura anticipate nei numeri pre-cedenti, quando consigliavamo, peresempio, di dare sempre lo spartitoper una iniziale abitudine dell’occhioalla grafia musicale2.

Una prima osservazione sulla mo-dalità delle prove.

Tutti insieme subito, o prima a vociseparate da unire in un secondo mo-mento? Il Nostro opta per la seconda so-luzione. C’è da ricordare, però, che i no-stri cori parrocchiali non sono i primissi-mi referenti nel discorso del Donella (an-che se, come abbiamo visto, moltissimodi quanto dice è da condividere e utiliz-zare) e che per essi sarebbe da preferirsiil primo metodo. La difficoltà e lo smar-rimento dell’insieme di cui parla il Do-nella è solo delle primissime fasi, se le di-verse voci hanno svolto diligentementee al meglio il loro lavoro. La maggiorparte dei nostri ragazzi non conosce lamusica e i tempi di lettura non sono im-mediati: il doversi aspettare dei gruppinell’imparare la parte per poi mettereinsieme nella stessa serata quando anco-ra l’assimilazione globale è carente, ri-

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schia di stancare e demotivare.Una seconda osservazione sull’im-

portanza strategica dei testi. Il Donella chiede la loro spiegazione

per entrare meglio nell’interpretazionedella linea melodica, e per parteciparedei sentimenti di cui quelle parole so-no pervase. Il discorso è su un livellogenerale. È evidente che la non com-prensione di un testo preclude seria-mente l’ambito dell’espressione confe-ritagli, ma per noi, per i nostri cori, perle nostre parrocchie, quella dei testi edel loro commento diventa un’occasio-ne straordinaria e privilegiata di cate-chesi ed evangelizzazione.

Sperimentiamo tutti la difficoltà diparlare ai giovani di Dio. Spesso i classi-ci incontri dei gruppi giovanili non rie-scono a coinvolgere più di tanto e gliinviti cadono nel vuoto. Il canto, inve-ce, può costituire di solito un’occasionepratica e immediata di incontro. Spessovi partecipano anche ragazzi che nonsono direttamente legati a nessungruppo parrocchiale, ma invitati (comenel mio caso) con un accorato appellodall’altare a rinfoltire il coro già esi-stente. Accade molte volte che durantele prove i ragazzi non capiscano unadeterminata espressione, che desideri-no conoscere la traduzione di un innolatino e che rimangano incantati dallabellezza e dalla passione di alcuni testicome lo Iesu dulcis memoria. Non ave-re paura di proporre questi testi fer-mandosi ogni tanto durante le proveper spiegare cosa c’è dietro alcuneespressioni della fede; far intuire la

profondità di alcune immagini e legrandi verità di cui sono custodi, è,senza il rischio di esagerare, molto piùche una riunione. Lì il rischio dell’ac-centuazione del solo momento intel-lettivo può portare a una certa fred-dezza; qui la verità si incarna in canto,trasporto, emozione, in uno iubilus ca-pace di superare le soglie del signifi-cante per toccare il significato.

Ecco perché la scelta dei testi deveessere oculatissima: non do-vrebbe andare al di fuori del-l’immenso tesoro della Scrit-tura, della tradizione liturgi-ca, degli scritti dei santi e deisanti Dottori della Chiesa. So-lo di questo immenso patri-monio ci si può fidare. Solol’energia immensa di questeparole infuocate può toccare i nostricuori e risvegliarli all’amore di Dio. Soloqueste parole possono risvegliare la ve-ra curiosità sul mondo, su noi stessi e suDio. Solo questi testi possono offrire lamateria veramente consistente per unacatechesi su Dio, per quella catechesiche altrimenti rischiamo di non riuscirea fare in altra maniera.

Non dovremmo indulgere, dunquea qualsiasi testo, non a parole perso-nali e piccole. E l’ abuso in questocampo è notevole.

In altra sede e momento vorremmodare saggio di quello che si può contro-testimoniare con un semplice testo diun canto. La catechesi musical-musicataoggi ritorna ad essere forse lo strumen-to più potente per parlare di Dio.

1 L’ideale inseguito dal Donella è realizzabile. Si può chiedere ai coristi di studiare la parte da soli a

casa registrandogliela su una cassetta. È un metodo che ho usato molte volte con ottimi risultati.2 Culmine e fonte, n° 6, anno 2003, p. 71.

Pregarcantando

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Sembra quasi di vederli per le vie ele piazze di Roma, nel tardo Cinque-cento, due religiosi trattenersi insiemein ragionamenti celestiali sull’amore diDio e la via della perfezione. L’arguto

e bonario prete Filippo Neriaveva scoperto in fra Feliceda Cantalice, cappuccino,uno di quei fanciulli ai qualispetta il regno dei cieli. I duesanti si incontravano spesso aSan Girolamo della Carità, in-sieme con san Carlo Borro-meo. Allora si prevenivanol’un l’altro nell’inginocchiarsi

e nel chiedere d’esser benedetti. Maspesso rimanevano così, per lungotempo, senza che alcuno osasse alzarela mano per benedire: non si alzaval’uno se non lo benediva l’altro.

La loro amicizia era così forte e su-blime che si auguravano l’un l’altro lepiù atroci pene per somigliare a Cristocrocifisso. Filippo apostrofava il cap-puccino: “Ti possa veder bruciato vi-vo!”. E fra Felice: - “Ti possa io vede-re squartato”. - “Ti possa vedere appiccato”.- “E tu sii fatto a pezzi”.- “Ti siano troncate le mani”.- “E a te recisa la testa”.- “Possi essere frustato per tutta Roma”- “E tu con una macina al collo possiessere gettato al Tevere”.

Ecco svelato il mistero:“Tutto questopossa tu sopportare per amor di Cristo”.

Umorismo e pazzie dei santi! L’uno,Felice da Cantalice, cappuccino e l’altro,

Filippo Neri, noti per la loro amicizia, laloro stima vicendevole e per le gare diumiltà: Felice andava in giro elemosi-nando per Roma con addosso la berret-ta del prete, Filippo in pubblico bevevaalla fiasca del Cappuccino, e la gentecommentava: “Ecco un santo che dà dabere ad un altro santo”. Anche san Car-lo Borromeo lo tenne in grandissimaconsiderazione, come tanti altri prelati,che riconoscevano nell’illetterato, maspirituale cappuccino, una straordinariapotenza intellettuale.

Così, nella gloriosa Roma cinquecen-tesca, si videro le porpore dei Cardinali ele dignità prelatizie inchinarsi dinanzi aquel contadino ricoperto dal rozzo saiofrancescano, col lungo cappuccio, adot-tato da Matteo da Bascio 25 anni prima.

Il santo delle vie di Roma: San Felice da Cantalice delle Clarisse Cappuccine

di Mercatello sul Metauro (PU)

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ni imbarazzi. Non mi abbandonate perla mia ingratitudine; assistetemi, indiriz-zatemi al fine di questa grand’opera.Nelle vostre mani mi abbandono e sonotutto vostro” 1.

Felice prese la via del Convento diCittà Ducale e si presentò al Guardiano(Superiore dei frati) il quale lo portò inchiesa e gli disse di pregare e chiedereluce a Dio. Felice si trovò di fronte a ungrande Crocifisso: era un Cristolivido, scarno, grondante san-gue. Il nostro santo non potétrattenere i singhiozzi: nonc’era altro, nel mondo e per lasua anima, che quel misteroinfinito di dolore. Neppure iltempo esisteva più per misu-rare la compassione2. La sera ilGuardiano lo trovò ancora là,sopraffatto dalle lacrime e dai singhioz-zi: assicuratosi che il postulante era chia-mato da Dio allo stato religioso lo inviòa Roma con una lettera per il VicarioProvinciale affinché, se lo giudicasseconveniente, lo ammettesse al novizia-to. Ed ecco Felice, giulivo e festante,prendere la via di Roma…

Nel convento romano di San Niccolòde Portiis fu accolto dal p. Bernardinod’Asti, già Ministro Generale e alloraguardiano del convento. In un mattinodi gennaio-febbraio 1544 fra Felice e ilsuo maestro fra Bonifacio partirono al-la volta del convento di Fiuggi, che erastato scelto come sede di noviziato efra Felice iniziò subito “l’anno dellaprova”, rivestito del saio cappuccino.Quanto gli era cara quella rozza tona-ca, che con la sua forma gli ricordava ilsuo Amore Crocifisso! Quante peniten-ze, mortificazioni, lavoro, veglie e pri-vazioni! Tanto zelo lo ridusse in un pes-simo stato di salute, tanto che una feb-

Felice da Cantalice è lo specchio del-la prima santità cappuccina, figura at-traente per la sua semplicità e giovia-lità, povertà, amore a Dio e fervore perla salvezza della anime: fu il primo del-l’Ordine Cappuccino a essere canoniz-zato. L’affabilità e disponibilità ad an-dare laddove fossero più richiesti e il lo-ro modo di lavorare e vivere ha merita-to ai Frati Cappuccini l’appellativo di“frati del popolo”.

Nasce a Cantalice (Rieti) nel 1515da genitori poveri, con un nome che ègià tutto un programma: Sante Porri eSanta Nobili. Santi di nome, lo furonoanche di fatto, educando in una federobusta i 5 figli, uno dei quali è il no-stro Felice che, analfabeta, amava far-si leggere le storie dei santi e dei mar-tiri e avrebbe voluto imitarli.

Aveva 28 anni quando, sul finire del1543, entrò tra i Cappuccini. La decisionenon fu presa all’improvviso, ma era ma-turata lentamente: sin da bambino erastato a pascolare le pecore fino ai 9 anni,poi il padre lo aveva mandato a lavorarei campi. E sappiamo come la vita delcontadino tempra la volontà, e il sacrifi-cio ne è il pane quotidiano. Un giorno,mentre era ancora nel mondo e stava adarare, i buoi si imbizzarrirono e lo travol-sero: il vomere passò veloce su di lui co-me una saetta; vesti stracciate, ma nes-sun danno alla persona. Felice si gettòginocchioni in terra e, sollevate le manial cielo con gli occhi pieni di lacrime dis-se: “Signore mio Creatore, io vi rendograzie infinite della misericordia che me-co avete usato: io meritava la morte el’inferno per la colpa di aver finora indu-giato ad eseguire la vostra volontà chem’ispirò di servirvi nella religione di SanFrancesco. Confesso la mia negligenzanell’ubbidirvi, e giuro che per quanto èda me m’impegnerò a farmi Cappuccinoappena dato sesto ai miei pochi monda-

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bre maligna quartana gli durò per di-versi mesi. I frati pensarono subito di ri-mandarlo a casa, ma come fare se eraun novizio dal comportamento cosìesemplare?

Si provò a fargli cambiare aria: daFiuggi fra Felice fu mandato al con-vento di Monte san Giovanni Campa-no, dove in pochi giorni la febbre ces-sò e lui riacquistò perfetta salute.

Concluso l’anno di prova fra Felicepromise di “vivere in obbe-dienza, senza proprio e in ca-stità” e in risposta udì pronun-ciare solennemente dal Supe-riore: “E se queste cose osser-verai, io, da parte di Dio, tiprometto la vita eterna”.

Da Monte San Giovannipassò a Tivoli e a Viterbo, manel 1547 prese la via di Ro-

ma, destinato a questuare il pane e ilvino come compagno del cercatore fraAngelo da Collepardo, a cui poi succe-dette nell’ufficio per quarant’annicontinui, fino alla morte.

Il suo pesante e penoso ufficio mise Feli-ce a contatto diretto con il popolo. Egli, piùche dal viso, imparò a distinguere i bene-fattori dal suono della voce. A vedere quelfraticello camminare con gli occhi costante-mente a terra, con la corona in mano, scal-zo nei piedi, coperto di una rozza tonacarappezzata qua e là e con la mente semprefissa in Dio così da non accorgersi di chi gliavesse dato l’elemosina, era un richiamoper tutti quelli che lo avvicinavano. Gli stes-si suoi confratelli si meravigliavano di comepotesse conservare il raccoglimento in mez-zo alle strade rumorose di Roma; ed egli ri-spondeva: “Tutte le creature servono a sol-levarci a Dio, quando le guardiamo dibuon occhio”. 3.

Quando già era vecchio, il Cardina-le Protettore dell’Ordine, gli disse cheaveva intenzione di chiedere ai Supe-

riori di dispensarlo da tante fatiche,affinché, divenuto debole per la vec-chiaia, potesse dedicarsi con più li-bertà alle cose dello spirito. E si sentìreplicare: “Che debolezze, che faticheandate dicendo? Mai permetterò chesi faccia per me questa pratica. Lascia-temi reggere e guidare liberamentedalla prudenza dei miei superiori aiquali ho promesso e giurato in nomedi Dio di starmene rassegnato fino al-la morte. Essi conoscono bene, megliodi voi, dove arrivano le mie forze; equando mi lasciassero morire sottoquesta soma, ciò non mi sarebbe d’ag-gravio: perché così deve morire l’asi-no; e io appunto sono l’asino dei Cap-puccini. Sappiate, Eminenza, che a meè più cara questa bisaccia che mi af-fanna ogni giorno, di tutti gli addob-bi, le delizie, i piaceri nei quali voipassate tranquillamente la vostra vita.Questa bisaccia, piena della carità deifedeli, io la considero la croce del mioSalvatore; e se avrò la fortuna di mori-re oppresso dal suo peso, morrò con-tento”. 4

I bambini erano per Felice oggettodi speciale predilezione: quando glicorrevano incontro a frotte per ba-ciargli la mano, imponeva loro di ba-ciargli la corona e di cantare canzo-nette a Gesù. Il frate con la bisacciaera per loro un’istituzione: l’avevanopreso in simpatia anche se era di po-che parole e piuttosto rude. Quandoun bambino si ammalava, prima di ri-correre al medico si chiamava fra Feli-ce. Egli aveva sempre un momentoper loro; voleva che imparassero lesue canzoncine devote ed essi tutti fe-lici strillavano: “Giesù, Giesù” “Deogratias”: di queste grida risuonavanole piazze ogni volta che appariva ilfrate con la bisaccia.

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Quando incontrava giovani studenti,specialmente quelli del Collegio Germa-nico li fermava e cantava con loro:“Deo gratias”. Sicché ben presto Felicedivenne fra Deo Gratias: ” Arriva fraDeo Gratias!”; e avvicinandosi a lui,senza aspettare il suo invito si metteva-no tutti a cantare “Deo gratias, fra Feli-ce, Deo gratias” ed egli giulivo rispon-deva e non poteva trattenere le lacrimedalla commozione.

Aveva ottenuto dai superiori il per-messo di aiutare i poveri e i bisognosi elo faceva ben volentieri: dalla bisaccia,come dal cuore, uscivano pane, vino,olio e carne. Non di rado offriva paneagli stessi ricchi perché onorassero ladivina Provvidenza. Girava per le vie diRoma, col suo rozzo saio, chiedendol’elemosina, non tanto per il convento,quanto per i poveri e per i malati. A chigli dava qualcosa, diceva: Deo gratias;e anche a chi non gli dava nulla dicevaugualmente: Deo gratias.

Felice era un mistico. Dormiva appe-na due o tre ore e il resto della notte lotrascorreva in chiesa in preghiera, cheper lo più era contemplazione dei mi-steri della vita di Gesù. Le ore d’adora-zione notturna trascorrevano senza cheegli se ne accorgesse. Perché la scienzache fa parer corte le ore dedicate all’a-more di Dio è l’oblio di sé.5 Negli ultimiquindici anni della sua vita si comunicòquotidianamente. Nei giorni festivi so-leva peregrinare alle “Sette Chiese” op-pure visitava gli infermi nei vari ospe-dali romani. Per tutti Felice aveva paro-le di conforto e la sua presenza era de-siderata come una speciale grazia delCielo. Nel congedarsi dai malati dicevaa ciascuno: “Fratello, quando voi sietenel colmo del vostro male, e dei vostritravagli, abbiate cura di stringervi contutti i vostri affetti alla croce di Cristo,considerando che in tal modo si guada-

gna il Paradiso; e le vostre pene si con-vertiranno in diletto” 6.

Nei suoi contatti quotidiani con ilpopolo, fu efficace consigliere spiritua-le di gente umile e della stessa aristo-crazia della Roma rinascimentale. Permolti anni dopo la sua morte (18 mag-gio 1587) ragazzi e signore seguitaro-no a cantare le canzoncine da lui com-poste e insegnate, come queste:

Gesù, somma speranza, del cuor somma baldanza. Deh! dammi tanto amore, che mi basti ad amarti”;

Se tu non sai la via d’andare in paradiso,

vattene a Maria con pietoso viso,

ch’è clemente e pia: t’insegnerà la via

d’andare in paradiso.

Il suo libro era il Crocifisso, e le solelettere che conosceva erano sei, comediceva lui stesso: cinque rosse e unabianca; le cinque lettere rosse eranole piaghe di nostro Signore Gesù Cri-sto, la bianca la Madonna, di cui Feli-ce aveva una devozione oltre misura.

Tra i detti di fra Felice c’è anchequesto: “Occhi a terra, cuore in cielo,corona in mano”. Queste sono quasi leuniche testimonianze della sua teneris-sima devozione alla Madonna, perchéFelice fu riservatissimo riguardo a que-sto. Solo una notte, la pazienza e l’in-traprendenza di un frate furono pre-miate: a un certo momento si vide ap-parire la Madonna che pose in braccioa Felice il Bambino Gesù.

Un giorno, andato in casa di un av-vocato per fare la questua del pane,fra Felice vide nella casa di questi una

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libreria molto fornita, e in alto, appe-so al muro, un crocifisso. Immediatafu la reazione: “Signore, chi non in-tende questo libro (il crocifisso), nonsa cosa siano i libri; e se intende que-sto libro, intende tutti gli altri libri”.

A Roma fece il questuante del pa-ne, del vino e dell’olio; dormiva po-chissimo e su tavole di legno, e lamattina si alzava molto presto, dopo

la messa usciva dal conventoe andava a fare la questua,scalzo sia d’inverno, sia d’e-state, metteva il pane nellatasca che chiamava la sua“alabarda”. L’andar scalzogli procurò presto delle pia-ghe profonde ai piedi, chelui stesso ricuciva con lo spa-go; mangiava solo i tozzi del

pane raccolto durante la questua cheavanzavano dalla tavola dei frati, di-cendo che erano migliori dei pezzi dipane intero; nella vecchiaia dovetteindossare i sandali per obbedienza.Benché fosse analfabeta, san FilippoNeri gli chiese di correggere e di rive-dere la regola degli Oblati che sanCarlo Borromeo stava stendendo, eFelice seppe fare ciò che molti lettera-ti e sante persone non erano state ca-paci di realizzare.

Il 30 aprile 1587 fra Felice caddeinfermo. Morì verso le ore 19 del 18maggio 1587, mentre dal piccolocampanile di San Niccolò de Portiissuonavano a festa le campane per la

Pentecoste. Dopo aver avuto una vi-sione della SS. Vergine circondata dauna schiera di angeli e dopo aver vo-luto che tutti i presenti dicessero DeoGratias, partì da questo mondo, sem-pre nel nome dell’obbedienza.

Al momento della morte i piedi diFelice, sempre piagati e ulcerati, diven-nero bianchi e lisci come quelli di unbambino. Fu subito venerato dalla pietàpopolare come santo, e nel 1712 papaClemente XI lo elevò ufficialmente aglionori degli altari. Sepolto nella chiesa diSan Niccolò, la salma fu traslata nelnuovo tempio dell’Immacolata Conce-zione, in via Veneto, il 27 aprile 1631.

Ci sembra opportuno concluderequesta breve biografia del nostro con-fratello con le parole del suo e nostroMinistro generale attuale che, parlan-do della minorità e dell’itineranza co-me caratteristiche peculiari della voca-zione cappuccina afferma:

“Tutti i santi Cappuccini sono vissu-ti nella semplicità e nello spirito diservizio perché è con l’umiltà che Dioha mostrato il suo amore nel mondo:la minorità francescana ripone tuttala sua fiducia in Dio e rende il cuorelibero” (John Corriveau, Ministro Ge-nerale OFM Cap).

Ed è questo che ha vissuto e incar-nato San Felice da Cantalice, frateDeo Gratias.

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1 P. Bernardino da Palmas Arborea – Vita di S. Felice da Cantalice – Ed. Italia Franc., RM 1928, pag. 18.2 Mariano d’Alatri – Santi e Santità nell’Ordine Cappuccino, vol. I - Post. Gen. dei Cappuccini, RM 1980.3 P. Bernardino da Palmas Arborea – Vita di S. Felice da Cantalice – Ed. Italia Franc., RM 1928, pag. 29.4 P. Bernardino da Palmas Arborea – Vita di S. Felice da Cantalice – Ed. Italia Franc., RM 1928, pag. 31.5 Mariano d’Alatri - Santi e Santità nell’Ordine Cappuccino- Post. Gen. dei Cappuccini, RM 1980, vol. I.6 P. Bernardino da Palmas Arborea – Vita di S. Felice da Cantalice – Ed. Italia Franc., Roma 1928, pag. 33.