n. la parola · la parola aibacom onlus associazione italiana balbuzie e comunicazione onlus viale...

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balbetta perché prende dei farmaci; chis- sà cosa potrebbe succedere mentre gui- da!”. Inutile spiegare, con la gola sempre più serrata dall’angoscia e dalla rabbia, che lui balbetta da quando era piccolino, che ha delle pagelle dei tempi delle ele- mentari in cui si legge che il bambino è buono, intelligente, voglioso di fare... peccato che balbetti. Inutile far presente che guida da trent’anni senza aver subi- to mai una multa o aver causato mai un incidente. Quel medico, solo lui, insiste nella sua tesi e riesce ad averla vinta. Il buon Walter, in data 29 Agosto 2006, si vede notificare a mano un certi- ficato in cui la commissione medica lo- cale di Arezzo esprime il suo giudizio: “È attualmente non idoneo alla guida”. Non può permettersi la resa, Walter, non può sorvolare su questa ingiustizia. La patente gli serve per lavorare, gli è indispensabile per portare a curare sua madre, non può nemmeno pensare alla sua vita senza la possibilità di guidare. Nei mesi successivi ha messo insie- me un voluminoso carteggio fatto di pa- gelle scolastiche, documenti vari e certi- ficati clinici. E infine è pronto il ricorso. libera la parola AIBACOM ONLUS Associazione Italiana Balbuzie e Comunicazione ONLUS Viale C Comaschi /C Cascina (PI) Tel Fax Internet: wwwbalbuzieit n. 19 A Febbraio, quando mi ha raccontato i fatti e mi ha mostrato tutta la docu- mentazione, non si sapeva ancora l’esito del ricorso, ma dopo poco tempo mi ha telefonato per darmi la lieta notizia: ac- colto! Ora bisognava aspettare che gli fosse resa la patente: nell’aprile scorso ancora non era arrivata. Gli iter burocra- tici da noi sono particolarmente lunghi... Mi ha raccontato, Walter, tutte le sue sofferenze. In particolare gliene bruciava una: aver dovuto chiedere a qualche col- lega di passarlo a prendere con la mac- china, la mattina alle 6, per recarsi al la- voro. “Ho dovuto spiegare che non pote- vo più guidare, ho dovuto dirne i motivi, mi sono sentito umiliato e in grande im- barazzo”. Mi ha mostrato anche le foto che si è fatto scattare, nelle mattinate fredde in mezzo alle colline del Valdar- no, mentre aspettava al buio che qualcu- no dei compagni di lavoro passasse a prenderlo. Naturalmente lui arrivava sempre in anticipo per recare meno di- sturbo possibile. Era lì, sulla strada ogni mattina, in mezzo al freddo e qualche volta in mezzo alla neve o alla pioggia, mentre intorno era ancora tutto buio. Il punto Walter è venuto a trovarci nel Feb- braio scorso. Aveva bisogno di qualcuno che lo ascoltasse, che lo capisse. Mi rac- contò di sé, della sua sofferenza, della sua balbuzie e infine della vicenda incre- dibile che gli era capitata. Mi ha anche autorizzato a pubblicare il suo cognome e tutti gli altri suoi dati anagrafici, cosa che abbiamo poi deciso di non fare. È di un paesino della provincia di Arezzo, Walter, ha quasi cinquant’anni e la vita non è stata molto generosa con lui. Oggi vive con la madre invalida, di cui è l’unico sostegno. Nonostante la balbuzie lo limiti un po’, conduce una vita tranquilla; una volta si diceva “casa e lavoro”. Qualche amicizia in paese e pochi grilli per la testa. Da anni fa l’operaio in una ditta di laterizi e pavimenti in cotto, a 5 chilo- metri dal suo paese. La sua professiona- lità e il suo attaccamento al lavoro – mai un’assenza – gli fanno guadagnare la sti- ma e la riconoscenza del suo principale e dei suoi superiori. Si reca in azienda in macchina, Walter, perché ormai da trent’anni ha la sua bella patente di gui- da: mai presa una multa, neanche per di- vieto di sosta, e un gruzzoletto di 22 punti, venti di partenza, più due aggiun- ti perché non ha commesso infrazioni. Ma arriva, nell’Agosto 2006, il mo- mento di sottoporsi alla solita routine prevista per il rinnovo del permesso di guida. Davanti alla commissione medica di Arezzo Walter balbetta, gli fanno del- le domande, un medico in particolare, e balbetta ancora di più. Quel medico gli chiede se prenda dei farmaci. La risposta è affermativa perché, sì, in effetti Walter ha bisogno di qualche farmaco per stare un po’ tranquillo. “Ecco – salta su il solito medico – lei • Continua in ultima pagina Siamo in tanti: tiriamo su la testa! Ci sono quelli come Walter... e poi ci sono gli struzzi

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Page 1: n. la parola · la parola AIBACOM ONLUS Associazione Italiana Balbuzie e Comunicazione ONLUS Viale C Comaschi /C Cascina (PI) Tel Fax Internet: n.19 A Febbraio, quando mi ha raccontato

balbetta perché prende dei farmaci; chis-sà cosa potrebbe succedere mentre gui-da!”. Inutile spiegare, con la gola semprepiù serrata dall’angoscia e dalla rabbia,che lui balbetta da quando era piccolino,che ha delle pagelle dei tempi delle ele-mentari in cui si legge che il bambino èbuono, intelligente, voglioso di fare...peccato che balbetti. Inutile far presenteche guida da trent’anni senza aver subi-to mai una multa o aver causato mai unincidente. Quel medico, solo lui, insistenella sua tesi e riesce ad averla vinta.

Il buon Walter, in data 29 Agosto2006, si vede notificare a mano un certi-ficato in cui la commissione medica lo-cale di Arezzo esprime il suo giudizio:“È attualmente non idoneo alla guida”.

Non può permettersi la resa, Walter,non può sorvolare su questa ingiustizia.La patente gli serve per lavorare, gli èindispensabile per portare a curare suamadre, non può nemmeno pensare allasua vita senza la possibilità di guidare.

Nei mesi successivi ha messo insie-me un voluminoso carteggio fatto di pa-gelle scolastiche, documenti vari e certi-ficati clinici. E infine è pronto il ricorso.

liberala parola

AIBACOM ONLUSAssociazione Italiana Balbuzie e Comunicazione ONLUSViale C� Comaschi ���/C� ����� Cascina (PI)Tel� ��� ����� Fax �� ������� Internet: www�balbuzie�it

n.19

A Febbraio, quando mi ha raccontatoi fatti e mi ha mostrato tutta la docu-mentazione, non si sapeva ancora l’esitodel ricorso, ma dopo poco tempo mi hatelefonato per darmi la lieta notizia: ac-colto! Ora bisognava aspettare che glifosse resa la patente: nell’aprile scorsoancora non era arrivata. Gli iter burocra-tici da noi sono particolarmente lunghi...

Mi ha raccontato, Walter, tutte le suesofferenze. In particolare gliene bruciavauna: aver dovuto chiedere a qualche col-lega di passarlo a prendere con la mac-china, la mattina alle 6, per recarsi al la-voro. “Ho dovuto spiegare che non pote-vo più guidare, ho dovuto dirne i motivi,mi sono sentito umiliato e in grande im-barazzo”. Mi ha mostrato anche le fotoche si è fatto scattare, nelle mattinatefredde in mezzo alle colline del Valdar-no, mentre aspettava al buio che qualcu-no dei compagni di lavoro passasse aprenderlo. Naturalmente lui arrivavasempre in anticipo per recare meno di-sturbo possibile. Era lì, sulla strada ognimattina, in mezzo al freddo e qualchevolta in mezzo alla neve o alla pioggia,mentre intorno era ancora tutto buio.

Il punto

Walter è venuto a trovarci nel Feb-braio scorso. Aveva bisogno di qualcunoche lo ascoltasse, che lo capisse. Mi rac-contò di sé, della sua sofferenza, dellasua balbuzie e infine della vicenda incre-dibile che gli era capitata. Mi ha ancheautorizzato a pubblicare il suo cognomee tutti gli altri suoi dati anagrafici, cosache abbiamo poi deciso di non fare.

È di un paesino della provincia diArezzo, Walter, ha quasi cinquant’anni ela vita non è stata molto generosa conlui. Oggi vive con la madre invalida, dicui è l’unico sostegno. Nonostante labalbuzie lo limiti un po’, conduce unavita tranquilla; una volta si diceva “casae lavoro”. Qualche amicizia in paese epochi grilli per la testa.

Da anni fa l’operaio in una ditta dilaterizi e pavimenti in cotto, a 5 chilo-metri dal suo paese. La sua professiona-lità e il suo attaccamento al lavoro – maiun’assenza – gli fanno guadagnare la sti-ma e la riconoscenza del suo principale edei suoi superiori. Si reca in azienda inmacchina, Walter, perché ormai datrent’anni ha la sua bella patente di gui-da: mai presa una multa, neanche per di-vieto di sosta, e un gruzzoletto di 22punti, venti di partenza, più due aggiun-ti perché non ha commesso infrazioni.

Ma arriva, nell’Agosto 2006, il mo-mento di sottoporsi alla solita routineprevista per il rinnovo del permesso diguida. Davanti alla commissione medicadi Arezzo Walter balbetta, gli fanno del-le domande, un medico in particolare, ebalbetta ancora di più. Quel medico glichiede se prenda dei farmaci. La rispostaè affermativa perché, sì, in effetti Walterha bisogno di qualche farmaco per stareun po’ tranquillo.

“Ecco – salta su il solito medico – lei

• Continua in ultima pagina

Siamo in tanti: tiriamo su la testa!Ci sono quelli come Walter...

e poi ci sono gli struzzi

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liberala parola

RedazioneNino Magni, Paola PescagliniPiero Pierotti, Stefano Tulini

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La posta elettronica offre ad orga-nizzazioni e singoli individui una possi-bilità fino a qualche anno fa sicuramenteimpensata: quella di ricevere tantissimimessaggi, anche da chi, i ragazzi piùgiovani, non avrebbe neanche pensato adutilizzare carta e penna.

La nostra Associazione, prima del-l’esplosione di Internet, riceveva pochis-sime decine di lettere in un anno. Oggici arrivano alcune centinaia di mail ognimese, il che ci offre l’opportunità di po-tere elaborare statistiche attendibili, dipoter capire cosa pensino i giovani dellapropria balbuzie, cosa ne pensino i lorogenitori, quali linee d’intervento gli uni egli altri intendano intraprendere.

Insomma rispondere personalmenteda ormai 10 anni a tutte le mail che ciarrivano mi permette oggi di buttar giùdelle riflessioni, delle considerazioni chenon sarebbero state possibili soltantoqualche anno fa.

I ragazzi che balbettanoNel numero scorso riportavamo al-

cune testimonianze di ragazzi tra i 13 e i16 anni, alcune addirittura drammatiche.Quello che sorprende, a prima vista, èche spesso i genitori non conoscono lostar male dei loro figli. La causa è chegeneralmente gli adolescenti – e più stra-namente anche i bambini – non parlanovolentieri del loro disturbo. Per quantopossa sembrare incredibile si prova uncerto imbarazzo a raccontare le brutte fi-gure, gli insuccessi a scuola dovuti allaimpossibilità di esprimerci, le prese ingiro talvolta crudeli dei compagni, l’in-comprensione di alcuni insegnanti...

I genitori, intuendo che il figlio nonpuò star bene continuando a parlare condifficoltà, a volte insistono e cercano disapere qualcosa di più. Ma lui, il figlio,ostinatamente nega la difficoltà, assicuradi star bene e alla fine dice magari di“non rompere”.

È un disturbo subdolo, il nostro. Cicondiziona, ci limita, ci fa star male, avolte con gli anni ci annienta se non sifa qualcosa prima. Eppure il bambino, ilragazzo, l’adolescente, non ne parla.L’argomento è tabù. Perfino con gli ami-ci più cari, perfino con l’amico del cuo-re a cui si confida qualsiasi segreto, sista zitti, si fa finta di niente.

Poi si arriva a casa, si accende il PCe si scopre l’esistenza dell’Associazione.

È di qualche giorno fa l’e-mail chetrascriviamo:

“Ciao, sono una ragazza di 17 annie sono di Roma, frequento il II liceoclassico e convivo con la balbuzie fin dapiccola, ma pur con questo problemaconduco una vita normale, ho molti ami-

Noi diamo suggerimenti sui compor-tamenti giusti e su quelli sbagliati attra-verso un manuale sulla prevenzione, og-gi esaurito e sostituito da schede che in-viamo a chi ce le richiede. Consigliamoinoltre terapie adeguate e affidabili subi-to dopo i 6 anni: oggi sappiamo tutti cheprima si interviene, maggiori sono leprobabilità di “guarigione”.

Eppure accadono cose strane: per trevolte, negli ultimi 5 anni, abbiamo orga-nizzato dei fine settimana invitando i ge-nitori (o almeno uno di loro) con il bam-bino: sarebbero stati presenti specialistidel settore – consulenti dell’Associazio-ne – che avrebbero offerto GRATUITA-MENTE il loro intervento attraverso unparent training con il gruppo dei genito-ri e consulenze individuali; sarebbe statoofferto inoltre materiale informativo sul-la prevenzione e il primo intervento. Nonsi richiedeva, ai genitori, alcun contribu-to, neppure una quota minima, per esem-pio l’iscrizione all’Associazione. Bene:per tre volte abbiamo tentato, per tre vol-te abbiamo registrato solo indifferenza.

Cosa pensare? Mi dispiace esserecrudo, ma ho sentito troppe volte dire daqualcuno frasi come: “in fondo non bal-betta molto”, “noi lo sentiamo tutti igiorni, sappiamo bene come parla”, “luidice di non avere problemi”, ecc. ecc.Ho sentito perfino dire: “ci sono in giroproblemi ben più gravi”.

Signori genitori, che lo sappiate ono, che i vostri ragazzi ve ne parlino omeno, essi stanno male, hanno bisognodi aiuto. Cercate di sapere DAVVEROcosa pensano, come vivono il disturbo,se qualcuno li prende in giro, se qualcu-no fa di peggio approfittando che essinon possono difendersi, almeno verbal-mente. Vi assicuro che registriamo gior-nalmente episodi di bullismo. A voltesiamo intervenuti, abbiamo fatto cambia-re scuola a qualche ragazzo, abbiamoparlato con un preside o un insegnante.

Pochi giorni fa è venuto in sede unuomo della nostra zona, sposato con unasignora ucraina. Ha accompagnato il fi-

n.19

Ci interessa davvero la nostra balbuzie?E qualcuno ne sa davvero qualcosa?

ci, un ragazzo, vado a ballare, ecc. Ov-viamente perché ho imparato bene a na-scondere il mio disturbo. Solo le personedella mia classe e quelle più vicine a melo conoscono. E la mia migliore amicami aiuta in questo facendo per me ciòche io non voglio fare per paura di bal-bettare; so che non è un aiuto vero, mami risolve il problema di quel momentoe a me va bene.

Vi confesso che questo problema mifa stare male, ci piango, mi ci arrabbio.Studio ore ed ore per un’interrogazionedi cui saprei anche le virgole e ottengosempre il solito 6 di pena (come lo chia-mo io), pur meritando voti altissimi. Maquesto non lo sa nessuno, in casa, perchénon riesco a parlarne, non riesco a con-fidarmi.

Anche quando ripeto da sola, a vol-te mi capita di balbettare e quindi mi pu-nisco dandomi uno schiaffo. Ma non ser-ve. Prendo pasticche su pasticche di va-leriana prima delle interrogazioni, spe-rando che mi aiuti ma ovviamente non ècosì. Il mio ragazzo non si è mai accor-to di tutto questo perché lo maschero be-ne, evito di andare a cena fuori con lui,di comprare cose quando sto con lui, difarmi offrire qualcosa da mangiare o dabere, così non devo parlare. Mi compor-to da muta e questo mi strazia l’anima.

Spesso cambio i termini da usarementre parlo: non riesco a dire la T e laR vicine, la C, la A ecc. Mi creo quasiun mio vocabolario. Non ne ho mai par-lato con nessuno e tutto ciò che provo losto esprimendo in questa e-mail: ho lettoil vostro sito tutto d’un fiato e mi sentocapita, accolta. Spero in una vostra ri-sposta perché non ce la faccio più, vo-glio iniziare a vivere come una personanormale e non sentirmi più diversa per-ché non leggo mai in classe o perché nonriesco mai a ordinare ciò che veramentevoglio. Tra un po’ finirà il liceo e dovròiniziare l’università: vorrei tanto affron-tarla in modo diverso! Altrimenti viverecosì per me non ha assolutamente senso!Aiutatemi! Eleonora (Roma)”

I genitoriEsistono diverse tipologie di genito-

ri: quelli che si preoccupano eccessiva-mente, quelli che addirittura si colpevo-lizzano, quelli che minimizzano il distur-bo del figlio...

Riceviamo messaggi di genitori di-sperati: oggi il bambino che comincia abalbettare lo fa molto presto, a volte pri-ma dei due anni; ne prende coscienzaprestissimo, se ne vergogna, si copre labocca con la mano, rinuncia a parlare, fadomande sul perché parla così... Tuttoquesto ben prima dell’ingresso a scuola.

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glio di lei, ora quindicenne, che frequen-ta un istituto superiore di Pontedera.Chiedevano qualche consiglio, ma poi ildiscorso si è allargato quando il ragazzoha parlato delle prese in giro quotidianea scuola, addirittura delle percosse subi-te da parte dei compagni e del disinte-resse degli insegnanti; guardava nel vuo-to e piangeva mentre continuava a rac-contare. Mi sono offerto di andare ascuola a parlare con il preside e gli inse-gnanti e nel caso anche con i compagnidi classe. Purtroppo il ragazzo si vergo-gna troppo e preferisce lasciare le cosecome stanno...

Una domanda che mi faccio spessoè questa: perché molti genitori ci parlanodella situazione più o meno seria del fi-glio, ci chiedono consigli, dicendo disentirsi disarmati e di non sapere a chirivolgersi e poi non fanno niente, lascia-no che passino i mesi e gli anni senzamuovere un dito?

Un paio di anni fa mi avevano con-tattato i genitori di una ragazzina di 14anni per chiedere consigli. Si sono poi ri-volti ad un terapeuta qualificato ma han-no deciso di soprassedere non potendoaffrontare, dicevano, la spesa del corso.Ultimamente ci ha scritto la figlia rac-contando che ancora non aveva fattoniente per la sua balbuzie; aggiungevache stava male e chiedeva se potevamoconsigliarle qualche libro che l’aiutasse aparlare meglio. Intanto lei e la sua fami-glia, 4 persone, erano appena tornati daun viaggio di due settimane in Francia:Parigi e i castelli della Loira...

Gli adulti che balbettanoAbbiamo nell’archivio della posta e-

mail incredibili. In una di un paio di an-ni fa – giusto per fare un esempio – ungiovane di 25 anni ci raccontava la suadisperazione, l’incomprensione dei geni-tori che avevano sempre sottovalutato ilproblema, l’impossibilità di svolgere unlavoro decente... Voleva venire a Pisa,dalla Lombardia, per fare volontariato inAssociazione perché nel sito aveva tro-vato quello che aveva sempre cercato.

Ci volle del bello e del buono perconvincerlo a rimanere a casa, a cercaredi parlare a cuore aperto con i genitori, alavorare nella ditta del padre e, se pro-prio stava male, a sottoporsi ad una buo-na terapia. Ci ringraziò molto e ci chiesequalche consiglio. Gli parlammo dellaterapia di gruppo del nostro consulente e– visto che abitava in Lombardia – dellapossibilità di seguire una terapia logope-dica a Torino o una psicologica a Pado-va dove potevamo indicargli due profes-sioniste serie e preparate. Non lo abbia-mo più sentito, ma uno dei nostri socicon cui si era messo in contatto ci ha poiinformato che aveva seguito tre diversitrattamenti presso altrettanti ciarlatanicui si era rivolto. Disilluso e imbarazza-to è poi scomparso dalla circolazione...

Molte altre persone ci contattano

con il tono di chi ha l’acqua alla gola. Epoi non fanno niente, non tentano niente,rinunciano anche a sperare. A voltescompaiono, semplicemente.

Qualcuno ci parla di difficoltà eco-nomiche. Per altri i motivi per cui si ri-manda, spesso per sempre, la possibilitàdi seguire una idonea terapia – decisioneche potrebbe essere la più importantedella nostra vita, che potrebbe addiritturacambiare la nostra vita – sono incom-prensibili: c’è chi deve andare in Inghil-terra per un corso di lingua, chi ha unaimportante festa di compleanno, chi si èfidanzato...

Ho conosciuto persone disperate perla propria balbuzie, altre che si sono vi-ste la vita rovinata, qualcuno che non cel’ha fatta neppure a continuarla, la vita.Perché, mi chiedo, non fanno niente?

Ci è stato suggerito a volte di nondrammatizzare. Sono d’accordo e infatti2-3 anni fa, quando un nostro socio ciaveva procurato un possibile interventoad un programma RAI condotto da Gi-letti, ci fu detto che in trasmissione vo-levano fatti “forti”, fatti di sangue. Pur-troppo avremmo avuto qualcosa di forteda raccontare, ma abbiamo rinunciato.

Però, continuando a non drammatiz-zare, non raccontando le cose come stan-no, ci sarà ancora troppa gente (a co-minciare da chi balbetta e dai suoi fami-liari) che vedrà la balbuzie come un di-sturbo di serie B, come qualcosa di cuioccuparsi se non si ha niente di meglioda fare, se rimane del tempo libero.

Quando capiremo che la balbuzie èuna cosa seria, allora forse saremo pron-ti ad impegnarci a fondo per una fluenzamigliore. Chi si frattura una gamba nonrimanda perché le cure sono troppo care,non rinvia perché di lì a breve c’è il ve-glione di fine anno, non sceglie di rima-nere con la gamba rotta perché gli amiciproprio quell’estate vanno a Cuba...

I professionisti del settoreClaudio Zmarich (giova ricordarlo,

unico ricercatore del settore in Italia)qualche anno fa ci elencò una serie dimotivi che contribuiscono a spiegare lostato pietoso della ricerca/trattamentodella balbuzie nel nostro Paese. Tra que-sti ricordiamo:– scarso interesse della sanità pubblica a

trattare pazienti che richiedono cicliterapeutici spesso lunghissimi;

– assenza di prevenzione (tipico atteg-giamento del pediatra: aspettiamo, ve-drete che gli passerà);

– assenza di una preparazione specificanei professionisti: le scuole di logope-dia prevedono pochissime ore di inse-gnamento per la balbuzie; a livellomedico la foniatria, che si proponevacome l’equivalente dello SpeechPathologist nordamericano, sta per-dendo colpi e ciò si riflette fatalmentenella formazione degli operatori; glipsicologi si sentono autorizzati dal

senso comune ad intervenire in modoelettivo sul paziente, ma negli USA laricerca ha già bandito spiegazionieziologiche di tipo psicanalitico, e ilcontributo dello psicologo è spessoutile, ma quasi mai risolutivo.

Cito due casi, i più recenti.Nei primi giorni di maggio ho in-

contrato i genitori di un bambino di Fi-renze, quarta elementare. Hanno raccon-tato le peripezie del figlio, che a 10 an-ni aveva già alle spalle un lungo percor-so: la logopedista, la psicologa, un istitu-to cosiddetto specializzato... I risultatierano stati pressoché nulli, ma c’era per-sino di peggio. L’ultima psicologa concui avevano parlato, presso l’istituto dicui sopra, li aveva incoraggiati in questomodo, alla presenza del bambino (cito amemoria): “io posso anche prenderlo interapia ma è bene che sappia che balbet-terà per sempre; io potrò solo aiutarlo asoffrire di meno, a farsene una ragione”.

L’altro episodio è di oggi, 22 mag-gio. Ho appena parlato con una signoradi Viareggio, venuta col figlio di 14 an-ni. Maggiore l’età del ragazzo, più lungala trafila: prima la logopedista, poi lapsicologa, poi la psichiatra (una speciali-sta, dopo un periodo di terapia, lo “pas-sava” dall’altra...). Visti inutili i vari ten-tativi, sono approdati alla Clinica diNeuropsichiatria Infantile di Calabrone(Pisa), dove è stato consigliato ai genito-ri (trattando lì casi più gravi) di rivolger-si ad una psichiatra di loro fiducia aMassa. Nuovo viaggio della speranza enuova delusione. La psichiatra “esperta”dice che il ragazzo deve rassegnarsi a ri-manere balbuziente e allora non lo pren-de neanche in terapia: tanto vale che sirivolgano ad una sua collega menoesperta “ma tanto brava”, di cui fornisceindirizzo e numero telefonico.

Evito qualsiasi commento. Ma io, alposto dei genitori, denuncerei questi“professionisti del settore” perché nonsolo non sanno niente di balbuzie, mafanno anche del male a tanti ragazzi, to-gliendo loro anche la speranza di un piùche possibile miglioramento.

Se qualcuno di questi professionistivuole avere (e sentire...) la testimonianzadi decine di persone che oggi parlano be-ne, quasi bene, o comunque meglio diuna volta, si rivolgano all’Associazione:siamo in grado di fornire nominativi dipersone che oggi (dopo concorsi andatimale per la balbuzie, dopo aver subitosoprusi, ingiustizie e discriminazioni)svolgono attività e ricopromo cariche an-che di grande responsabilità. Tra i nostrisoci c’è chi oggi fa interviste televisive,recita in teatro, tiene conferenze in mez-zo mondo...

Sarebbe più onesto se i “professioni-sti” dicessero onestamente di non saperniente di balbuzie, come purtroppo capi-ta troppo spesso in Italia!

PIERO PIEROTTI

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Ci scrivono

Buongiorno a tutti, anzitutto compli-menti per la vostra iniziativa dell’Asso-ciazione. Vorrei però sottolineare comepoco ci si interessi dei disagi che leganoquesto fenomeno alle pari opportunitàuniversitarie. Avete dati in merito? Esi-stono facoltà che, ad esempio, permetta-no di svolgere gli esami in forma scritta?Credo che questa dovrebbe essere unabattaglia da portare avanti, prima di tut-te le altre iniziative.

Voi ideatori di questa associazionedovreste esserne i primi promotori!!! Ildiritto allo studio mi sembra decisamen-te fondamentale!!

Io sto cercando e sto chiedendo mami sembra proprio che nessuno sia inte-ressato a discorsi come questo....

Saluti.Rosa S.

La nostra risposta

Cara Rosa,Lei fotografa proprio bene la situa-

zione quando scrive: “Io sto cercando esto chiedendo ma mi sembra proprio chenessuno sia interessato a discorsi comequesto...”.

Questo è appunto il nostro problemaprincipale: nessuno è interessato al no-stro discorso a cominciare – paradossal-mente – da chi balbetta. Dopo quasi no-ve anni di attività contiamo appena 250soci, mentre si può calcolare che i bal-buzienti in Italia siano intorno al milionedi persone...

Chi balbetta prova vergogna, imba-razzo, preferisce “nascondersi” e fare lostruzzo fino a che viene toccato in primapersona.

Avrà visto sul nostro sito la sezionedelle discriminazioni: non immagina diquanti casi, anche personali, ci siamo oc-cupati, quante persone abbiamo aiutato acambiare sede di lavoro, a trovare un la-voro; siamo andati a parlare (il sotto-scritto o qualche collaboratore) con inse-gnanti, con presidi, con datori di lavoro.Abbiamo offerto in qualche caso assi-stenza legale gratuita da parte di qualcheavvocato nostro socio. Ebbene, pensa

che qualcuna di queste persone abbiaavuto la sensibilità di associarsi?

Siamo i primi a non essere ascoltatidalle istituzioni e dai media proprio per-ché non rappresentiamo che una sparutasilenziosa minoranza.

Sa benissimo che la forza di un par-tito, di un sindacato e anche di una as-sociazione dipende dal numero di perso-ne che rappresenta. A volte penso che cimeritiamo che gli “altri” (termine cheodio, ma che fotografa la situazione) cal-pestino i nostri diritti.

Sarebbe bello (e strano...) che lei de-cidesse di iscriversi.

Un cordiale saluto.Piero Pierotti

Ribattono

Caro Piero buongiorno, il dibattitocredo non sia così semplice. Una paleseindifferenza è fatto evidente in diversiambiti (dalla scuola al lavoro alle uni-versità) ma molto effimero mi sembraanche il modo di contrastare tutto ciò.

Mi spiego. Utilizzo Internet da po-chissimo tempo e la prima cosa che hocercato non appena avuto l’accesso è sta-to qualche associazione o ente o altroche, in qualche modo, venisse incontroalle mie specifiche esigenze di personache interagisce nella società e lo fa bal-bettando, appunto. Non ho trovato nullasalvo il Vostro sito, che descrive i disagied i limiti che gravano la nostra condi-zione senza però offrire alcuno strumen-to utile per farne fronte.

Le faccio un esempio. Il mio disagiomaggiore risiede nel voler prendere lamia seconda laurea chiedendo però dipoter sostenere i miei esami in formascritta. Non essendoci NESSUNO che sifa portavoce di un diritto così basilare,mi sono rivolta PERSONALMENTE alComitato delle Pari Opportunità del mioAteneo (dove ho incontrato persone me-ravigliose) per vedere riconosciuti alcunisemplicissimi ed innocui diritti.

Ma questa dovrebbe essere un’inizia-tiva propria di associazioni (come la Vo-stra) che dicono di volersi battere perl’abbattimento di discriminazioni equant’altro!!! Il Vostro sito è pieno dibelle citazioni, testimonianze e foto mapersone come me alle prese col quotidia-no cercano altro! Io cercavo indirizzi,numeri di telefono e nomi cui potermi ri-

volgere PRAGMATICAMENTE e nonproposte aleatorie.

Se dalla sessione di marzo potròsvolgere esami senza ansia da prestazio-ne verbale sarà solo grazie al mio perso-nale intervento, quindi proprio non vedoperché dovrei iscrivermi in un gruppoche concretamente non propone nulla!

Purtroppo nessuno pensa a fare qual-cosa per la collettività e lo scopo diun’associazione preposta dovrebbe essereproprio questo.

A presto, cordialità.Rosa S.

La seconda risposta

Cara Rosa,Le avevo pure elencato i tanti casi in

cui siamo intervenuti CONCRETAMEN-TE (seguo il Suo esempio delle maiu-scole per evidenziare la parola), ma Leinon sembra aver neanche letto la mia ri-sposta: presa dalla rabbia, sembra nonessere in grado di valutare le cose in mo-do obiettivo. Le confesso che non abbia-mo mai neanche pensato a batterci perrichieste come la Sua, in quanto non ci èmai passato per la testa che qualcunopossa opporsi alla richiesta di sostenereesami orali in forma scritta, all’universitàe in tutte le scuole di vario grado.

Trovo buffo che Lei scriva che hadovuto rivolgere PERSONALMENTE larichiesta per dare gli esami per iscritto.Ma davvero pensa che un’Associazionedebba occuparsi di queste cose – banali,mi scusi – di ogni singolo socio? Do-vremmo magari intervenire per convin-cere un salumiere, per esempio, ad ac-cettare la richiesta scritta di chi non rie-sce a dire bene “tre etti di prosciutto cru-do ben stagionato”? Non scherziamo!

Conosco personalmente molti studen-ti, dalle medie all’università, che da sem-pre sostengono per iscritto le prove ora-li. Ve ne sono anzi alcuni che si sonosentiti offesi ed umiliati perché la deci-sione è stata presa direttamente dai pro-fessori. E naturalmente la richiesta l’han-no avanzata loro o i loro genitori, a se-conda dell’età. E nessun insegnante odocente universitario si è mai rifiutato.

E mi fa anche sorridere il fatto chescriva: “Io cercavo indirizzi, numeri ditelefono e nomi cui potermi rivolgerePRAGMATICAMENTE e non propostealeatorie”. Visto che l’indirizzo e il nu-

A pA prroopopositositodi strdi struzziuzzi

(Un po’ il seguito dell’articolo precedente)

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mero di telefono dell’Associazione com-pare in bella evidenza sul sito (e chiun-que può rivolgersi a noi, come ha fattoLei stessa, anche se poi non ci ha richie-sto niente a ben vedere...), forse vorreb-be suggerire che dovremmo inserire sulsito l’elenco di tutte le scuole d’Italia, ditutti gli atenei, magari tutti i numeri te-lefonici di tutti i Comitati delle Pari Op-portunità di tutti gli atenei? E poi tutti inominativi dei rettori, dei professori?

Mi scusi il sarcasmo, ma la sua mailmi lascia interdetto.

Ovviamente siamo anche disponibili,qualora ce ne fosse bisogno, a interveni-re per richiedere quello che non ci sem-brava un diritto da conquistare. Ma Leidice di aver trovato persone meraviglio-se che hanno subito accettato la Sua ri-chiesta. E allora? Dov’è il problema, diquali diritti parla?

Per quanto riguarda il resto della suamail, non abbiamo volutamente citato sulsito casi singoli che abbiamo contribuitoa risolvere, perché non sembrasse chevogliamo vantarci, però ha ragione Lei:ci penseremo su.

E comunque mi ripeto per chiarezza:se ha bisogno di qualche richiesta uffi-ciale per sostenere in forma scritta gliesami di marzo, basta che ce la chieda.

Un caro saluto.Piero Pierotti

Conclusione

Ovviamente la signorina Rosa non hapiù risposto né, tantomeno, è diventatanostra socia.

Riporto ora un paio di notizie nellasperanza che questo numero del giornalerisvegli un bel po’ di coscienze.

I carabinieri, I° episodio

Risale a 2-3 anni fa. Mi telefonò unuomo di quarant’anni. Era uscito con suamoglie, qualche sera prima, per fare unapasseggiata e mangiare una pizza. Ave-vano bevuto una birra ciascuno. Sulla viadel ritorno vengono fermati da una pat-tuglia di carabinieri: normale routine. Se-nonché i militi sentono che lui balbetta.Facile tirare le somme: la balbuzie è ilsegno evidente che lui è ubriaco fradicio.Il poverino non riesce a spiegarsi, bal-betta di più, è bloccato. Lo portano incaserma, gli fanno la prova del pallonci-no (con una birra si supera già il limite)e il resto è solo un incubo: ritiro dellapatente, multa di non ricordo quante cen-tinaia di euro, sequestro del mezzo, unfurgone con cui lui faceva i mercati davenditore ambulante. Quando mi te-lefonò era disperato. Mi offersi di aiutar-lo mettendo a disposizione un avvocato.Rifiutò perché – disse – “si vergognavatroppo”. Non ne ho più saputo niente.

Meglio rimanere nascosto, fare lo struz-zo...

I carabinieri, II° episodio

Questo è di pochi giorni fa. Una no-stra socia, 22 anni, si trovava verso mez-zanotte a Montecatini Terme in compa-gni di altri 7 amici, ragazzi e ragazze.Erano seduti su una panchina a ridere escherzare. È arrivata una pattuglia deicarabinieri, uno di loro ha fatto qualchedomanda ai ragazzi e quando è stato ilsuo turno, lei ha balbettato. Torcia elet-trica piantata in faccia, è arrivata l’accu-sa: “Vedi cosa capita a chi si fa? Non seinemmeno più capace di parlare”. Tenta-tivo di spiegare, di difendersi, ma la bal-buzie, si sa, è canaglia. Proprio in queifrangenti ti serra di più la gola. L’hannoumiliata davanti a tutti portandola in ca-serma. Non so bene come si siano svoltii fatti (la notizia, ripeto, è di questi gior-ni). Sembra che lei si sia rifiutata di sot-toporsi al test antidroga, per la vergognae soprattutto per la rabbia di vedersi an-cora una volta fraintesa, non capita, solacontro l’ignoranza e l’insensibilità. Ri-sultato: ritiro della patente, 10 punti inmeno sulla stessa, grossa multa... Le ab-biamo rilasciato una dichiarazione atte-stante la sua appartenenza all’AIBA-COM, un avvocato sta facendo ricorso...Speriamo bene. Speriamo che non le ri-manga solo la consolazione di non averfatto lo struzzo!

Mi preme aggiungere che ovviamen-te non ho niente contro i carabinieri o al-tre forze dell’ordine (mio padre è statocarabiniere): rientrano nella grossissimamassa che ignora tutto sulla balbuzie.

Appello ai genitori

Ho già scritto qualcosa in proposito apagina 2, ma non basta. Proprio in que-sti ultimi due mesi ho avuto modo di in-

contrare diversi geni-tori e i loro figli.Dalle loro parole èfacile arguire chespesso essi non san-no quanto la balbuziepossa condizionare ibambini, i ragazzi eanche gli adulti, non sanno quanto possafarli soffrire.

Una bambina di 10 anni, di Ragusa,nel raccontare che a scuola i compagninon l’ascoltano neppure, ha commentatoamaramente: “Anche ai cani si presta unpo’ di attenzione...”.

Testimonianze del genere ne raccolgotante ma mi riesce difficile abituarmici.

Una maestra supplente, di Verona,accortasi che una bambina di secondaelementare balbettava, non ha trovato dimeglio che invitarla a leggere alla catte-dra, davanti a tutti, non risparmiandoleneppure commenti divertiti. La bambinaè tornata a casa piangendo e dicendo dinon volere più andare a scuola, la madreci ha telefonato, abbiamo scritto al diret-tore della scuola, la maestra è stata tra-sferita.

Un ragazzino di Messina era statomesso all’ultimo banco, in disparte, ta-gliato fuori dal resto della classe. Siamoandati a parlare con le insegnanti. Non èrimasto che consigliare alla famiglia difargli cambiare scuola.

So benissimo che non si deve dram-matizzare, ma sarebbe un errore imper-donabile sottovalutare la balbuzie, comepurtroppo fanno tutti (gli altri...). È veroche ci sono moltissimi insegnanti dotatidi grande umanità e sensibilità, ma nontutti sono così. E anche questi insegnan-ti molto spesso non sanno “cosa fare”.

Ma soprattutto rimane il fatto cheanche chi ha avuto la fortuna di crescerein un ambiente “protetto”, anche chi haavuto a scuola insegnanti sensibili ecompagni splendidi, si troverà prima opoi a dover fare i conti con gli “altri”.

E allora cosa si dovrebbe fare?

Scegliere una buona terapia

Anche se non è facile scegliere, an-che se in internet si trova veramente ditutto, anche se non è facile districarsi trale varie proposte.

Siamo nel 2007 e oggi tutti dovrem-mo sapere come stanno le cose e saperscegliere di conseguenza. Nessuno, midico, può credere ancora che dalla bal-buzie si possa uscirne in pochi giorni, fa-cilmente, con poco impegno e per sem-pre.

Lo dico non per spaventare chi si ap-presta a sottoporsi ad una buona terapia:in tanti anni di milizia a stretto contattocon persone che balbettano (ne ho cono-sciute ben oltre 10.000), ho la fortuna dipoter testimoniare il “successo” di moltidi loro.

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Cito alla rinfusaalcuni casi che mivengono in mente:

Giuseppe, dopodiversi concorsi dacui era stato scartatoper una grave formadi balbuzie, a 27 anni

ha voluto di nuovo “riprovarci”: un buonpercorso terapeutico, un concorso nellapolizia penitenziaria e finalmente tutto èandato bene. Oggi sta per diventareispettore, si è iscritto all’Università perlaurearsi e fare carriera, è un’altra perso-na.

Fabio, molto giovane, è capitano del-l’Esercito, dopo essere stato ammesso al-l’Accademia Militare avendo superatouna forma di balbuzie abbastanza severa.

Daniele, dopo opportuna terapia, hacoronato il suo sogno e oggi fa il carabi-niere.

Francesca, consigliere nazionale del-l’Associazione, ha superato in buonaparte una balbuzie molto grave e oggi èdirigente di un grande parco naturale.

Volevo appunto dire che anche chinon riesce a superare del tutto la balbu-zie, può comunque migliorare in modoimportante la propria fluenza: non sicontano i casi di persone che dopo unabuona terapia hanno ripreso gli studi,hanno migliorato la propria posizione la-vorativa, sono entrati in politica. O ma-gari si sono “accontentati” di poter leg-gere in chiesa, di poter comunicare con ipropri cari e con gli amici, di poter direla loro nelle discussioni.

Dicevo più sopra che non è mia in-tenzione spaventare nessuno: basterà se-guire qualche accorgimento per stare al-la larga dai ciarlatani. Mi sembra una co-sa molto semplice, a pensarci bene. Mapoi penso a Vanna Marchi e mi vengonoi brividi...

Ecco dunque con qualche suggeri-mento, iniziando da quelli stralciati daun sito amico – www.genitoriebalbu-zie.it – che condividiamo pienamente:

“Nessuno può onestamente affermaredi aver trovato la “cura” infallibile e de-finitiva. Chiunque affermasse ciò, o è inbuona fede o, molto più probabilmente, èsoltanto un ciarlatano in cerca di faciliguadagni”.

“In ogni caso ci sentiamo di afferma-re che nessun serio terapeuta può garan-tire la completa “guarigione” e, ancormeno, l’ottenimento della stessa in tempibrevi”.

“Occorre stare molto attenti alle pro-messe “miracolistiche” di alcuni operato-ri del settore soprattutto quando, per di-mostrare la bontà del metodo proposto,viene chiesto il compenso solo alla finedel corso e solo al raggiungimento dei ri-sultati promessi (“soddisfatti o rimborsa-ti”). È infatti noto (Murray) che ogni te-rapia, qualunque metodologia applichi,può avere sul bambino che balbetta (edanche sull’adulto, aggiungiamo noi) un

qualche risultato e si verifica subito unmiglioramento che, in alcuni casi, puòrealmente sembrare incredibile. In effettitale miglioramento può essere in partefrutto di un “effetto placebo” ed è gene-ralmente il risultato di un periodo in cuiil bambino (e anche la persona adulta,aggiungiamo sempre noi), seguito conattenzione e amore, si è fortemente con-centrato sul suo problema, ottenendo disolito un sostanziale miglioramento nellapropria fluenza verbale. Purtroppo, tantopiù la terapia è priva di solide fonda-menta scientifiche tanto più velocementee seriamente il bambino potrà ripiomba-re nel proprio problema...”.

“Occorre molta cautela per muoversinella “giungla” di terapie e modelli di re-cupero della balbuzie proposti. A questoproposito ci sembrano adatte le avverten-ze elencate dal grande studioso america-no Hugo Gregory che propone una sortadi “prontuario” da tenere presente neiprimi approcci con i terapeuti del lin-guaggio per evitare spiacevoli sorprese:– Diffidare da soluzioni coreografiche ed

immediate che promettono la scompar-sa del disturbo; nulla è possibile senzache il soggetto affetto dal disturbo la-vori duramente (accompagnato dallafamiglia, nel caso di un bambino) econ tenacia.

– Chiedere fin dall’inizio chiarezza suitempi della terapia e quali esperienzescientifiche, terapeutiche e di ricercaha l’istituzione a cui ci si è rivolti.

– Occorre una presa di coscienza del di-sturbo insieme ad una analisi/accetta-zione del problema verbale (da ap-profondire in terapia) prima di pensaredi “rimuoverlo”.

– Richiedere quali risultati statistici sicu-ri di “guarigione verbale” sono statiraggiunti da altri soggetti che hannoseguito i percorsi proposti.

– Il percorso di terapia e di “manteni-mento” o miglioramento della fluenzaverbale non deve essere troppo lungoper stimolare autonomie e non “nuovedipendenze”.

– Chiedere di potere assistere ad una“seduta di terapia” o confrontarsi du-rante le prime sedute con chi la sta giàseguendo.

– L’importante è sempre e comunquenon fare scelte che siano dettate da“ignoranza” e “disperazione”!

– Occorre invece essere ben informati(libri, Internet, seminari) su:- che cos’è la balbuzie.- quali sono gli Enti e le Organizza-

zioni scientifiche, culturali e no-pro-fit internazionali e nazionali che sioccupano di balbuzie.

- quali sono gli Istituti, Associazioni,Professionisti italiani accreditati datali organismi internazionali e qualeesperienza nel campo possiedono.

Solo a questo punto potremo rivol-gerci, con cognizione di causa e con fi-ducia, a terapeuti specializzati che, per

fortuna, sono da anni presenti anche inItalia”.

Che altro aggiungere? Penso che iconsigli sopra riportati siano esaurienti.Mi preme solo ribadire un paio di puntitoccati da Hugo Gregory:1. Chiedere al Centro o Istituto cui ci si

rivolge quale titolo accademico abbia-no i componenti l’équipe terapeutica equale formazione specifica – in dia-gnosi, prevenzione e trattamentodella balbuzie – abbiano seguito.(Già visitando i vari siti ci si può ren-dere conto di chi può vantare un lun-go percorso formativo: si faccia ilconfronto).

2. Chiedere di poter seguire un’interagiornata di “lavori” presso il Centro ol’Istituto durante un corso: presenzia-re alla parte teorica, partecipareagli incontri di gruppo, parlare coni partecipanti...(Anche in questo caso i vari siti dan-no già un’indicazione: perché alcuninon inseriscono il calendario dei cor-si? Evidentemente si raccoglie qualchenominativo nella speranza di mettereinsieme un gruppetto, spesso neancheomogeneo per età.

PIERO PIEROTTI

Non ci sono solo gli struzzi...

Un’e-mail da una nostra socia, in vistadell’esame di maturità.

Caro Piero, ebbene sì, rieccomi qui.. co-me stai? Io sto bene, anche se in questoperiodo ho parecchio da studiare: ag-giunto allo studio di sempre c’è anchequello degli esami di stato.

Ho ricevuto la mail che parla delcongresso giovanile delle associazionieuropee. Purtroppo ho già degli impegni.Non ci posso andare, uffa! Anche il 20Giugno a Ovindoli non potrò esserci: il20 dovrebbe essere il primo giorno degliesami di maturità, così dicono. Cercheròcomunque di informarmi in anticipo.

Ho stampato la tua poesia “Libera laparola” e l’ho affissa da un po’ di temposul muro, in classe mia.

A me ricorda tante cose, tra cui quel-la di utilizzare le tecniche. Mi offre inol-tre l’occasione di parlare con i compagnie gli insegnanti della mia balbuzie. Tuttimi chiedono: “Ma chi è Piero Pierotti?”Allora racconto che è uno che ha pro-blemi con la grappa... Ma NO!!! Non po-trei mai. È invece, anche questa, l’occa-sione di parlare dell’Associazione, dellamia esperienza terapeutica, di tutti voi.Quando parlo del corso e della balbuzienon balbetto mai, non balbetto più!

Sto facendo progressi. Poco a poco,piano piano, ma vado avanti.

Grazie ancora di tutto.Un abbraccio,

FLAVIA

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Nuovi vecchi amiciNuovi vecchi amici

in Brasilein BrasileAlla fine degli anni ‘70 il nostro consulente e socio, Piero

D’Erasmo, si trovava in Brasile, dove aveva completato i suoistudi ed aveva iniziato la sua attività di terapia di gruppo conpersone balbuzienti.

Sul suo sito, tra l’altro, si trovano alcune foto che ricorda-no quell’esperienza.

Una cosa bella è successa qualche mese fa, quando uno deisuoi vecchi allievi, Alcindo (un cinquantenne di origini italia-ne, oggi medico specialista) ha voluto dare un’occhiata, navi-gando in Internet, a cosa gli avrebbero proposto i motori di ri-cerca digitando la parola “balbuzie”.

Con sua grande gioia ha ritrovato l’antico maestro, primaattraverso il sito e successivamente scambiandosi un bel po’ die-mail.

Essendo Alcindo una persona piena di spirito d’iniziativa edi grande intraprendenza, gli è venuto in mente di costituire ungruppo di autoaiuto. Ma dove trovare altri balbuzienti? Anchelì, a quanto si aa, tendono a restare nascosti...

Ma Alcindo, come dicevamo è parecchio intraprendente.Così si è messo alla ricerca dei suoi antichi compagni di per-corso.

Molti di loro hanno fatto una brillante carriera e oggi oc-cupano posizioni di tutto rispetto nel panorama sociale brasi-liano; sono quasi tutti del Sud del Brasile, soprattutto del RioGrande do Sul e del Santa Catarina, tutti intorno ai cin-quant’anni, e anche se non è stato facile Alcindo li ha rintrac-ciati quasi tutti. Un po’ più difficile è stato arrivare ad un com-pagno che oggi è un pezzo grosso della polizia di stato e co-

manda non sappiamo più quante caserme.Nel Gennaio scorso hanno organizzato a Porto Alegre (città

di Alcindo) un incontro con Piero D’Erasmo e, ci dicono, è sta-ta una festa memorabile. Nell’occasione sono stati loro conse-gnati alcuni numeri del nostro giornale che hanno letto insiemeed hanno molto apprezzato.

Durante quell’incontro è nata l’idea di costituire un gruppodi autoaiuto. Poi, andando avanti e allargando i propri orizzon-ti, ci sarebbe anche l’intenzione di fondare un’associazione co-me la nostra anche in Brasile.

Questi nuovi amici hanno cominciato ad incontrarsi saltua-riamente e coinvolgono anche noi inviandoci i resoconti delleriunioni. Ci scrivono di essere felici e orgogliosi di mantenerei contatti con la nostra Associazione.

L’ultima relazione inviata è particolarmente bella, così l’ab-biamo tradotta e la pubblichiamo:

“Amici, è un anno oggi da quando decisi di formare ungruppo di incontro per praticare esercizi relativi al parlare eper rivedere il nostro processo di comunicazione.

Martedì scorso è stato bellissimo, la riunione è durata dueore e mezzo. Io e “o Jorge” [i brasiliani antepongono l’arti-colo al nome delle persone, un po’ come nel norditalia] ave-vamo vagliato 14 pagine della metodologia della Professores-sa Marlene [si usa molto chiamare le persone per nome, anchequelle famose o comunque di un certo prestigio – basti pensa-re ai calciatori – per cui è frequente leggere, per esempio sul-l’insegna di un odontoiatra, “Doutor Renato, Dentista”]. Lì sipossono trovare altre basi per una parola più fluente.

Con questi insegnamenti e quelli “do Piero” [Piero D’E-rasmo, ndr] rimasti preziosi dentro di noi, l’incontro è filatovia liscio con grande partecipazione di tutti. E anche la paro-la fluiva in modo tanto naturale che “o Jorge” a un certo pun-to si è commosso. Tutto era piano, tranquillo, facile, libero. Gliesercizi si sono susseguiti andando di pagina in pagina con na-turalezza e accettazione piena. Sembrava persino di essere sta-ti chissà quante altre volte in quella sala!

Nella parte finale dell’incontro ebbi modo di osservare cheè importante per noi in particolare possedere alcune virtù:umiltà, volontà, desiderio di migliorarsi, semplicità, abnega-zione, fiducia, ecc.

Pareva un sogno per me poiché era già un bel po’ di tem-po che cercavo e immaginavo questa opportunità e davanti ame stava proprio “o Jorge” (artefice del ritorno “do Piero” aPorto Alegre dopo tanti anni) e gli altri amici di allora.

Parecchie cose potrei scrivere sulle sensazioni che stavamovivendo, ma preferisco semplificare e scrivere appena questepoche righe.

Conto sulla vostra intelligenza perché comprendiate l’im-portanza di questo avvenimento e sulla vostra sensibilità per-ché capiate la nostra emozione. Spero che mi mandiate una vo-stra opinione su quanto accaduto. Abbracci a tutti i miei col-leghi di logoterapia.

Alcindo”Porto Alegre� Rio Grande do Sul

DDoonnaazziioonnii,, eeccccoo cchhii ccii ppuuoo’’ aaiiuuttaarreeChiunque faccia una donazione ad una ONLUS, com’è la nostra associazione, potrà portarla in detrazione dalla de-

nuncia dei redditi. Si può scaricare anche la semplice quota dell’iscrizione annuale.Le aziende hanno due possibilità di sgravio fiscale:

1) come costo aziendale, risparmiando quindi le tasse della propria aliquota: dal 23% al 43%;2) come spesa per la quale è riconosciuta la detrazione d'imposta del 19%.

Vi sono per esempio aziende che, a fine anno, “devono” fare una donazione per rientrare, nella denuncia dei red-diti, in una aliquota inferiore.

Vi sono poi istituti di credito che hanno stanziato nel loro bilancio preventivo una somma da destinare a qualcheassociazione.

Saremo grati a chiunque ci potrà aiutare direttamente con una donazione o indirettamente presentando alla propriabanca o a qualche azienda una richiesta di fondi che noi gli invieremo.

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8 Testimonianze

Proseguiamo la pubblicazione di testimonianze di nostri soci, da una proposta dell’a-mico Pippo Di Guardo. Invitiamo i lettori ad inviarci altre testimonianze, in prosa o ma-gari anche in poesia.

Testimonianze

LL’e l i s i one’ e l i s i one- No, no… fermati. Rileggi tutto dall’inizio… hai saltato

una parola…Ovviamente se n’era accorta. Figurarsi. Quella era il tipo di

professoressa che non si distrae: sempre attiva, presente, deter-minata. Già dalla prima lezione dichiarò il suo carattere deci-so: era assolutamente sicura che sarebbe riuscita a farci parla-re il francese in breve tempo, magari con l’uso della frusta.Con lei il controllo degli esercizi per casa divenne metodicocome l’appello mattutino in caserma; l’interrogazione, una cer-tezza; i compiti in classe, un cimento da concorso ministeriale.Ritmava le attività della classe con il piglio sobrio ed armoni-co del direttore d’orchestra, l’indice puntato a farle da bacchet-ta: tu, in piedi!; tu, alla lavagna!... non la finiva mai di distri-buire ordini.

Il giorno in cui si rivolse a me in quel modo, notificando-mi una distrazione nella lettura, non sapevo ancora che avrei fi-nito per innamorarmene un po’ e che non la avrei mai dimen-ticata. Anzi, ero abbastanza terrorizzato dalla sua irruenza edalla sua implacabile intransigenza.

Era uno dei primi giorni di scuola. Sul finire di una lezio-ne e di una giornata priva di particolari patemi, si fece venirel’idea di farci leggere “a staffetta” un brano del libro di anto-logia. Naturalmente avrebbe indicato lei, a caso, il lettore diturno. Tanto bastò perché perdessi la testa. L’idea che quell’in-dice potesse all’improvviso mirare su di me, fece salire la miatensione alle stelle: le mani cominciarono a farsi umide e bian-che e l’impossibilità di stare fermo sulla sedia strideva con l’e-sigenza di tenere un profilo mimetico, così da non destare lasua attenzione. Sono certo che tutti i ragazzi registrassero unasottile ansia nell’attesa di esser chiamati a leggere, perché inquella prima liceo eravamo tutti nuovi, ci si conosceva solo dapochi giorni e quella prestazione sarebbe stato il biglietto da vi-sita con cui presentarsi agli altri e soprattutto alla professores-sa. Ma per me quella normale, leggera inquietudine condivisasi tramutava a grandi passi in panico: da un momento all’altroe con una facilità che quasi rasentava la beffa, tutti avrebberopotuto scoprire il mio tremendo segreto. Gira e gira, il dito miscovò. Mi sentii come un ladro sorpreso con la refurtiva sottoil cappotto. Cominciai a leggere; e mentre leggevo, chino sullibro, con la coda dell’occhio cercavo di spingere lo sguardo unpoco più in avanti, a scrutare le parole che mi attendevano alvarco, come ad annusarne in anticipo la difficoltà. Una di que-ste, tosta come poche, la trovai prima di quanto temessi, soli-damente piantata in mezzo al rigo come un paracarro; spaval-da nel suo atteggiamento di sfida. Che fare? Ero certo che ten-tare di pronunciare quella parola avrebbe scatenato un blocco,un parossismo di balbuzie di quelli maiuscoli, dai quali è poiduro risalire la china della vergogna e della disperazione. E tut-ti, dopo l’indesiderata rappresentazione, come per magia,avrebbero avuto davanti una persona diversa da quella che ave-vano fino a quel momento conosciuto. Cosa avrebbero pensatodi me? In un lampo la disperazione, non altro, mi indusse atentare una sortita originale, mai messa in opera fino ad alloranella mia carriera di acrobata del linguaggio. Sì, avrei tentatol’elisione!

Così, arrivato al confine con la parola proibita, con osten-tata disinvoltura… la saltai; feci finta che non esistesse, chemai nessuno l’avesse appiccicata a quella maledetta pagina. Ecome percorrendo un improvvisato ponte steso sopra un corso

d’acqua turbolento, continuai con faticosa naturalezza a legge-re il resto.

Alla sua richiesta di ripartire daccapo, mi vidi perduto perla seconda volta.

Ma non potevo cedere! Rilessi la frase, di nuovo saltandoquel maligno paracarro, in una impossibile speranza di farlafranca.

Niente da fare. L’invito a rileggere – e stavolta “per bene”– giunse perentorio ed immediato. C’eravamo. Oramai qualco-sa di spiacevole sarebbe successo, aggravata dal clamore e dal-la curiosità che quel mio strano comportamento stava suscitan-do nella classe. Ma infilarmi dentro il blocco era l’ultima cosache desiderassi. Così ricominciai a leggere, dando l’impressio-ne che stavolta avrei eseguito l’ordine; ma alla fine decisi diammutinarmi: l’elisione trionfò! Alzai un poco gli occhi versola cattedra. L’indice della professoressa si era messo a roteareinfuriato. Mentre osservavo ammirato il vortice che si disegna-va nell’aria, si alzò dalla sedia pronunciando qualcosa di in-comprensibile. E rincorrendo il dito proteso in avanti, che sem-brava sfuggire al suo controllo, si diresse verso di me con pas-so di carica. Facendo cerchi sempre più piccoli quel dito ven-ne a schiantarsi sul mio povero libro, schiacciando la parolaelisa come fosse un moscerino.

“Devi leggere anche questa parola”, mi sibilò lentamentedentro l’orecchio, oramai fuori di sé.

Dava le spalle ad un’ampia finestra da cui proveniva unaintensa luce bianca che le riempiva i capelli rossicci facendoneun’aureola; questi risplendevano così nitidi nel controluce chesi sarebbero potuti contare uno ad uno. Ma non era il momen-to. A quel punto tutti i riflettori puntavano su di me; la scenareclamava a gran voce il suo protagonista. I banchi sembrava-no spalti animati da spettatori eccitati, che in fretta cercavanola posizione più comoda e la visuale più chiara: lo spettacolosi avviava al suo intrigante epilogo.

Rassegnato, quasi tirando un incomprensibile sospiro di sol-lievo, mi consegnai mani e piedi al blocco. Chiudendo gli oc-chi, lasciai che labbra, denti, lingua e quanto altro serve a pro-durre suoni si aggrovigliasse in una morsa perfetta ed inestri-cabile. In momenti come questi non tentavo nemmeno di reg-gere il timone: era inutile. Era come se una reazione chimica sifosse avviata; nulla avrebbe potuto interrompere il mio blocco,né uno sbattere di porte, né grida d’aiuto, né segnalazioni d’in-cendio: sarebbe finito quando doveva finire. Appunto per que-sto, mentre fuori la tempesta montava, avevo acquisito l’abitu-dine di starmene rinserrato dentro me stesso, come dentroun’armatura d’acciaio. E spesso, nell’attesa, mi ritrovavo a bi-ghellonare, con un sacco di tempo libero a disposizione. Nonera improbabile che mi sorprendessi a programmare gli impe-gni per il pomeriggio o a canticchiare un ritornello, a ripensa-re ad una discussione con un amico. Eppure il mio comporta-mento avrebbe potuto essere ben diverso, soccombere senzacombattere non era un percorso obbligato. Ammettere lealmen-te il mio difetto, mostrarmi per quel che ero, senza cercare dioccultare assurdamente lo scheletro in un armadio trasparentesarebbe stata la mossa più bella e dignitosa da giocare e in fon-do la più utile. Ma questa eventualità, per quanto possa sem-brare incredibile, in quel tempo non rientrava nel novero dellecose possibili. L’attività principale della mia giornata era alcontrario nascondere, tentare di evitare anche a costo di sacri-fici enormi e di rinunce gravi, contro ogni possibilità di suc-cesso, che qualcuno mi scoprisse con quella specie di marchiod’infamia tatuato sul braccio. Il coraggio di manifestarsi senza

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9Testimonianze

veli sarebbe stato il frutto di lunghi anni di tirocinio e di ma-turazione. Una conquista lenta – e chissà quando definitiva –da nutrire ogni giorno con la convinzione d’essere il solo at-teggiamento in grado di riscattare una vita di affanni.

Finalmente i suoni contorti sputati con l’ultimo fiato rima-sto nei polmoni composero la parola mancante e potei andareavanti fino al punto. Fu allora che cercai di scrutare cosa aves-se prodotto quel fuoco d’artificio. Il volto della professoressaera trasformato, pallido, incredulo. Per una volta la vidi incer-ta sul da farsi. Non aveva capito che l’ammutinamento di quelragazzo altro non era che una disperata richiesta di aiuto. Far-fugliò qualcosa del tipo... io non sapevo… non immaginavo…E la lasciò lì, senza concludere.

Anch’io masticai qualche sillaba, ma mi accorsi che le pa-role non avevano fiato sufficiente per dischiudersi. La campa-na dissolse d’incanto il pesante imbarazzo che ci teneva ab-bracciati. Svanì pure il silenzio irreale piombato nella classe.Sembrava che la vita avesse smesso di trattenere il fiato. Leitornò alla cattedra a sistemare i suoi registri. I ragazzi, fra ru-mori di sedie e di oggetti sbattuti sul banco, tendevano con for-za le cinghiette di gomma per legare belli stretti libri e quadernida riportare a casa. E cominciavano già a precipitarsi fuori dal-la porta, ingaggiando la solita gara per uscire per primi. Io, ba-dando a schivare ogni attenzione, mi concentrai in una ap-profondita sistemazione della cartella. Quel pomeriggio avreiavuto di che leccar ferite nel chiuso della mia stanza. Ma nonseppi resistere alla tentazione di allungare lo sguardo verso laporta, mente lei stava lasciando la classe. La vidi inaspettata-mente stanca, provata e con le spalle un po’ curve. Aveva per-so parecchio della sua baldanza.

Anche lei avrebbe avuto un pomeriggio per riflettere.

GIUSEPPE DI GUARDO

RiflessioniConosco il senso di impotenza che ti assale quando cerchi

di guardare una persona negli occhi (non importa se padre, ma-dre, fratello, sorella, amico, amica, fidanzata, estraneo) e ti sen-ti la lingua improvvisamente bloccata, come se una forza infi-nita ti bloccasse il respiro. E tu sei lì, impotente, e ti accorgi,ancora una volta, che quello che ti stava per sgorgare dalla boc-ca – le tue emozioni, la tua rabbia, i tuoi pensieri – resterannoancora una volta semplicemente TUOI, non detti, non comuni-cati o comunicati a metà.

Ed è facile sentirsi in quegli istanti di TERRORE schiaccia-ti dal peso dei ricordi di milioni di frasi non dette, di frasi maiiniziate, di frasi smarrite e lasciate orfane. È impossibile spie-gare la sensazione ad un tempo di disperazione e di sollievo cheprovi quando scopri che la prigione del SILENZIO può esserel’unica libertà che puoi concederti. Sei solo. Tutto qui. Comedue più due fa quattro.

Inizi ad odiarti. Ti odi con tutto te stesso. E scopri che nonè mai abbastanza. Mai abbastanza, come il respiro che scopri dinon avere quando devi chiedere ad un commesso di Blockbu-ster dove si possa mai trovare quel film che ti piace tanto e ilcui titolo non riesci neanche a pronunciare. Mai abbastanza, co-me il coraggio che scopri troppo spesso di non avere quando de-vi iniziare un discorso. Mai abbastanza, come la stima che per-di giorno dopo giorno nonostante tutti i tuoi sforzi. Ed è follevedersi come un bambino che cerca di costruire castelli di pa-role che il mare della PAURA demolisce inesorabilmente conritmi da catena di montaggio. Una catena ben collaudata. Preci-sa. La catena della solitudine e della NON PAROLA.

La balbuzie è il TUO disagio. Non del mondo. Il TUO. Rac-conta molto di te. Di quello che sei. La balbuzie è il tuo ami-co. La balbuzie ti fa soffrire. La balbuzie è il tuo nemico. Tut-to quello che sei. Tutto quello che non avresti mai voluto esse-re. Ma, forse, tutto quello che continuerai ad essere. Conoscotutto questo. Come migliaia di voi. E sono qui per dirvi, cariamici e amiche dalla parola saltellante e ballerina come la mia,che l’ultima cosa da fare è arrenderci. Ma vi prego: non entra-te nel tunnel pericoloso di chi dice: “Devo assolutamente smet-tere di balbettare altrimenti la mia vita non inizierà mai”.

Complimenti a chi è riuscito a smettere di balbettare (qual-cuno lo conosco anch’io). Deve essere stata durissima. Ed au-guri anche a chi non ci è ancora riuscito. Perché, probabilmen-te, un giorno ci riuscirà. Perché non provino quello che provoio. Oggi mi ritrovo studente universitario a 4 esami dalla finedel corso di laurea di giurisprudenza, insegnante di fitness da 5anni, che lavora 7 ore al giorno a contatto con la gente (la stes-sa che da bambino non riuscivo a guardare negli occhi), svilup-patore di software nell’ambito dell’allenamento. Felicemente fi-danzato. MA NON HO ANCORA SMESSO DI BALBETTA-RE. A volte mi succede ancora, qualche volta. Mi capita. Ed èorribile. Ma a volte riesco ad accettarlo come un lato della miapersonalità. Quando succede, vinco sulla balbuzie anche se con-tinuo a balbettare. Altre volte no. In questo caso è la balbuzie avincere su di me, ma non perché balbetto, ma perché non lo ac-cetto e mi lascio andare a pensieri distruttivi.

So quanto sia difficile, amici, resistere all’odio verso se stes-si. Ma l’essenziale è che NON CI ARRENDIAMO. Anche secontinueremo ad emozionarci, ad arrossire, a non respirare asufficienza di fronte ad un’altra persona, bisogna che usciamodal nostro isolamento. Bisogna credere di più in noi stessi, an-che se spesso ci facciamo trascinare dalle parole e dalle emo-zioni nascoste dietro le parole. Credo che nessuno più di un bal-buziente conosca la bellezza della parola. Credo che mostrare leproprie emozioni, le proprie insicurezze, le proprie paure ci aiu-ti a guardarle in faccia, ad elaborarle. E vi auguro di trovare unapersona che vi ami per come siete. Balbuzienti, ex balbuzienti,ancora balbuzienti o non balbuzienti affatto.

MARIO T.

Quote associativeLa quota annuale di socio effettivo è anche

per quest’anno di € 30,00 mentre la quota disocio sostenitore rimane affidata alla sensibilitàe alla generosità di chi effettua il versamento.

La quota di socio simpatizzante è invece di€ 10,00.

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Due testimonianze di Michele Pastorello, di Roma, a di-stanza di un paio di anni l’una dall’altra. Non avevamo pub-blicato la prima, due anni fa, perché ci sembrava che parlas-se troppo bene di qualcuno di noi, ma ora, unita alla seconda,ci sembra che compongano proprio un bell’insieme.

Il mio percorsoAnche se faccio parte dell’Associazione da poco, conosco

ormai da molto tempo il presidente dell’AIBACOM e anche ildirettore del Centro Punto Parola. Ogni giorno mi sento in do-vere di ringraziarli per tutto quello che hanno fatto e fanno perme, e per tantissimi ragazzi come me, con il mio stesso distur-bo. Grazie a loro io ho ricominciato a sorridere, dopo tanti an-ni che non lo facevo.

Quando andavo all’asilo sono stato maltrattato da una mae-stra e andando avanti nel tempo i miei genitori si sono accortiche non parlavo bene e che facevo fatica a socializzare e adesternare le mie emozioni. Allora mia madre, preoccupata, miportò da uno psicologo, ma non servirono a niente i diversi in-contri.

I miei genitori mi davano i soliti consigli che si danno a chibalbetta: “stai tranquillo, respira, parla piano, cerca di non bal-bettare...”, consigli scontati che non servono a niente e che in-nervosiscono di più.

Dopo diversi anni di sofferenza e di semi-autoisolamento,verso l’età di sette anni mia madre scopre un’associazione e uncentro che, in modo diverso, si occupavano di balbuzie e cheaiutavano chi soffriva di questo disturbo. Eh sì, era proprio lamitica coppia Piero D’Erasmo e Piero Pierotti. Ancora ero pic-colo e mamma si mise d’accordo con loro per un incontro e pergettare le basi per un intervento terapeutico. Così feci il primocorso insieme ad altri bambini con il mio stesso problema. Miricordo come se fosse ieri quel giorno che uscii per l’ultimavolta dalle mura di quell’edificio nei pressi di Porta Pia: ero unaltro bambino, avevo cominciato a parlare con una cadenza chenon mi piaceva molto ma che mi garantiva la fluenza, avevocominciato a scherzare sulla balbuzie e anche a prendermi ingiro, cose importantissime per affrontare la giungla di mondoche ci circonda. Ma la cosa più importante è che avevo rico-minciato a sorridere.

Naturalmente il problema non era stato risolto del tutto, masicuramente era stato fatto tanto, anche se bisognava lavorarciancora un po’. Comunque, dopo quel corso, chi mi stava intor-no, i “grandi”, riscontrarono in me un miglioramento nel par-lare, nel mio stato d’animo e anche nella maturazione.

Crescendo le esigenze sono cambiate, dovetti affrontaredapprima le medie e soprattutto, più tardi, il liceo e i professo-ri maligni di quell’istituto, che al primo anno, poiché impiega-vo diversi minuti a ripetere la lezione ed ero un ragazzo moltotimido, mi hanno bocciato. Pensavano che fossi infantile e an-cora non pronto per un liceo classico, pur avendo mia madrereso loro noto il problema.

In ogni modo, dopo una tale sconfitta personale, mi sonoabbattuto, ma in me era rimasta la grinta di andare avanti e didare uno schiaffo morale a quei professori che mi avevano de-finito un “bambino”. Allora, dopo diverse voci che mi consi-gliavano di non riprendere il liceo, io mi sono inscritto nuova-mente nella stessa scuola ma in una sezione differente. Il pri-mo anno è andato alla grande, poiché ero prontissimo in tutto,giacché l'anno precedente avevo studiato come un matto. L’an-no seguente mi sentivo strano, sentivo il bisogno di una manodall’esterno, ma non una mano qualsiasi che mi avrebbe potu-to dare il vicino di casa o il mio migliore amico, avevo biso-gno dei “mitici due” e così ho seguito un nuovo corso, quellobreve chiamato dello “zaino”. Ho passato 5 giorni in una strut-tura presso Ciampino con ragazzi come me e dopo quei po-chissimi giorni un’altra volta mi sono sentito bene e carico.Avevo solo l’età di quindici anni. Tutti, una volta tornato a ca-sa, si erano accorti di un mio grande ulteriore miglioramento.Altrettanto successe a scuola ed io ero ancora più carico per-

Testimonianze

ché tutti i sacrifici fatti erano veramente serviti a qualcosa.Pian piano siamo arrivati ad oggi. Faccio il terzo liceo

classico, e quest’anno devo affrontare l’esame di stato. A set-tembre ho contattato Piero D’Erasmo perché avevo bisogno diuna nuova spinta per affrontare tutte le difficoltà che mi si pa-reranno davanti, come l’esame di stato e l’università. Ho deci-so di seguire un nuovo corso, che è terminato a gennaio. Que-sta volta ho trovato ragazzi con i quali mi sono legato moltis-simo, lo staff è stato dei migliori in tutta la mia esperienza. Insintesi ho trovato un vero GRUPPO. Io penso che un balbu-ziente cerchi in tutta la sua vita un gruppo dove sentirsi a pro-prio agio e dove non vergognarsi di dire la propria opinione suipiù diversi argomenti.

Per questo mi sento di ringraziarvi tutti, voi che siete dal-l’altra parte e che fate tutto questo con professionalità e gran-de umanità.

Ancora non mi sono presentato, perché più o meno le miesofferenze sono simili a quelle di tutti gli altri. Comunque so-no Michele Pastorello, vivo a Roma e ho 19anni. E se per ca-so qualche ragazzo come me legge questa mia testimonianza,gli consiglio di contattare la nostra Associazione perché ne po-trà avere solo beneficio e tanta felicità.

Il suggerimento, insomma, è quello di non chiudersi in séstessi perché sarebbe solo peggio. Se si condividono le nostresofferenze con altre persone che ne hanno di simili e che tipossono capire, ti rendi conto, dopo tanto tempo, che non seiaffetto da nessuna malattia, che non devi “guarire” e che nonsei diverso da nessun altro, anzi hai una particolarità in più chein certi casi ti può essere utile, ti può arricchire. Sicuramentenon sempre, ma alcune volte sì. Se ci chiudiamo nel nostro bel-lissimo ma monotonissimo mondo, non possiamo vedere e ca-pire quello che c’è fuori, quante persone erano nella nostrastessa situazione e poi ne sono uscite. In tal modo potremo averfiducia che anche noi potremo farcela.

Un abbraccio a tutti.

Servizi sociali e Croce Rossa ItalianaCiao a tutti, sono Michele.

Vi è mai capitato di sentire dentro un estremo bisogno diaiutare gli altri? Quando compaiono in televisione le immaginidi disastri naturali, o delle macerie di palazzi distrutti per unabombola di gas oppure per un attacco terroristico, non vi è maicapitato di sentire dentro di voi la voglia di andare lì ad aiuta-re e pensare che il vostro contributo potrebbe salvare una vitain più?

Quando passeggiate per la vostra città e davanti la vetrinadi un negozio vi è sdraiato un uomo tutto infreddolito che viinveisce contro perché state calpestando il posto dove lui dor-me e vive, non vi è mai venuto il desiderio di scambiarci dueparole, capire perché sta lì, e magari offrirgli un pasto caldo osemplicemente un panino, nonostante il suo comportamento?

Tutte queste emozioni io le ho sempre provate e per questomotivo sono diventato un volontario della Croce Rossa Italia-na. Le attività elencate qui sopra sono solo una parte di tuttequelle che la Croce Rossa svolge ogni giorno.

Un servizio che ritengo molto importante e che credo chia-risca in pieno lo spirito che spinge un volontario a svolgerecerti compiti è il S.A.S.F.I.D. (Servizio Assistenza per i SenzaFissa Dimora), sì quelli che tutti noi chiamiamo in gergo “bar-boni” ma che in realtà sono persone fantastiche. È un serviziosplendido: noi volontari ci incontriamo tre volte alla settimanaper preparare cibo e bevande che offriremo poi ai nostri caris-simi amici.

La prima volta che ho svolto quest’attività mi sono vera-mente stupito di quanto queste persone siano diverse da quan-do le vediamo nel momento in cui passiamo loro davanti: mol-ti di noi si allontanano per disprezzo del loro modo di vita, percome si vestono, ecc. Quando ci vedono arrivare con il nostro“Ducato” gli si illuminano gli occhi; scendiamo con il paninoe la bevanda, loro ti ringraziano e ti regalano un sorriso che va-

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Dalla nostra mailing list “Itaca”, a seguito di una richie-sta di riflessioni sulle difficoltà di oggi e sulle derisioni subiteai tempi della scuola. Ma non solo.

L'essere derisi. Ti mette in uno stato di inferiorità che nonti dà nemmeno la forza di controbattere. A me è successo piùvolte, soprattutto nel periodo scolastico, quelle risatine sottobanco che mi hanno fatto star tanto male. E poi nei primi an-ni di lavoro, quando ancora venivo giudicata dal modo in cuimi esprimevo, e non per quello che realmente valevo o potevovalere. Devo dire che sul lavoro le cose sono veramente mi-gliorate quando ho detto a tutti (per causa di forza maggiore)che avrei fatto un corso di rieducazione per la balbuzie. Io stes-sa, dopo, ho iniziato a parlarne con maggior tranquillità e que-sto, secondo me, ha dato una svolta decisiva alla mia fluenza.Una svolta, perché la strada resta lunga e tortuosa e con milleostacoli da superare.

Una delusione immensa, che non dimenticherò mai, quandoalla nascita della mia bambina, il medico dell’ospedale mi chie-se come avevo chiamato mia figlia ed io non riuscii a dire ilsuo nome e lui ridendo: “Signora, non si ricorda nemmeno ilnome di sua figlia?” Quella persona, che ancora oggi vedo, nonl’ho più potuta soffrire!!!

Il tempo d’altro canto cura veramente tutte le ferite, e tuttociò che appare nero lentamente diventa grigio, e poi sempre piùsfumato, fino a rimanere un “cattivo ricordo”. Ogni nostraesperienza deve servire a rinforzare la nostra corazza, in mododa permetterci di essere forti anche nei momenti in cui ci sen-tiamo più deboli.

Un saluto.PAOLA

Brutti ricordi anche per me ragazzi! A scuola in tanti fran-genti era il classico balbettio, anche se tante volte, devo am-mettere, ero io ad angosciarmi già prima di parlare e questonon faceva altro che peggiorare la situazione, purtroppo.

Poi ricordo anche quando giocavo a pallone e veniva fattala “chiama”: in quel momento dire il mio nome e il numeroche avevo sulla maglietta, davanti a tutti, compagni e avversa-ri, era un dramma. Poi piano piano ho migliorato anche perchého giocato a calcio per più di 10 anni: la necessità aguzza l’in-gegno, tante volte.

Ogni tanto, ancora oggi, mi frega qualche presentazione.Con le ragazze alcune volte è meglio che mi metta una ma-glietta con già scritto il mio nome, ma poi passerei da narcisi-sta... A parte gli scherzi, cercherò di migliorare anche in que-ste situazioni.

CRISTIAN

Ciao Itaca, ho da dire qualcosa riguardo alle prese in girodi noi balbuzienti. È successo anche a me (e a chi non è suc-cesso?). Sono rimasta male e sapete molto bene tutto quelloche si prova. A lungo andare, però, non ce l’avevo con chi miaveva ferito, ma con me stessa. Non riuscivo a perdonarmi – enon ci riesco ancora oggi – di non avere reagito come dovevo.Li ho lasciati farmi del male senza far nulla. Sono stata unagran vigliacca. Loro di solito erano la gentaglia che, tutto som-mato, non consideravo, ignoranti, maleducati, stupidi... Come cisi può aspettare qualcosa di buono da tipi simili? Qualche vol-ta erano anche gelosi. Su di loro ho una risposta che mi ac-contenta: li ho classificati. Ma se posso capire perché loro so-no così, non riesco a capire me stessa o meglio a perdonare mestessa. E qui torniamo di nuovo sull’amore per noi stessi e sul-l’accettarsi anche con i propri limiti.

Dopo aver fatto il corso mi sono finalmente accettata comebalbuziente, ma secondo la mia idea di balbuziente perfetto:che non evita mai, che combatte sempre, che non si vergognadel suo problema, che sa difendersi. Ma quando finalmente miaccetterò come una balbuziente così imperfetta come sono?

Un saluto a tutti.KSENIJA

le più di mille “grazie”. Poi naturalmente il nostro servizio nonfinisce qui: ci si parla, si chiede come stanno, come si sento-no, se hanno bisogno di un medico o di medicazioni, se ci so-no stati problemi, o se possiamo essere utili in qualche altromodo.

Quei dieci minuti per loro sono vitali, non si sentono il ri-fiuto della società, come molte volte noi, involontariamente opurtroppo volontariamente, li facciamo sentire. Poi non dobbia-mo pensare che tutte le persone che troviamo per strada si tro-vano in quelle condizioni perché sono “sfortunati”: molti di lo-ro conducono questa vita semplicemente perché così si sentonoliberi. E così si possono trovare tra loro persone con una buo-na istruzione, persone che per motivi economici non possonosostenere le spese di un affitto, persone che dopo la morte diun familiare decidono di vendere tutto, andare in un altra cittàe cominciare a dormire in piazza... Se ci pensate bene, intantosono PERSONE. Persone che hanno fatto le loro scelte e chenoi abbiamo il dovere di rispettare e rendere il loro soggiornonella nostra città il più possibile ospitale e gradito. Si dovreb-be cambiare quella brutta abitudine di cambiare strada, quasi discappare quando si incontrano.

Certo non tutte sono persone tranquille, inoffensive: ce nesono alcune che facendo uso di stupefacenti e di alcool posso-no comportarsi in modo incivile, litigioso, addirittura violento...Con queste persone infatti si cerca di instaurare un rapporto,molto difficile a volte, conquistando la loro fiducia, per con-vincerli poi a farsi aiutare, indirizzandole verso certe strutturespecializzate.

Come potete vedere, ognuno di loro ha un comportamentodiverso ma il nostro fine è sempre lo stesso: far risplendere inognuno quel sorriso che riempie la piazza, la panchina, l’ango-lo della strada… Come alcuni di voi sanno sono solo un ra-gazzo di 21 anni e frequento con buon profitto l’università:molte persone si stupiscono che a quest’età invece di andarmia divertire, spendo un bel po’ del mio tempo per svolgere si-mili attività, però vi posso garantire che quando si torna a ca-sa, se si era usciti con il broncio, si torna con il sorriso, si èsoddisfatti di noi stessi perché il desiderio iniziale, il volere es-sere utili agli altri, in parte è stato esaudito.

Un abbraccio a tutti.

MICHELE PASTORELLO

Testimonianze

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Ci piacerebbe, da questo numero, iniziare a parlare di film ed attori in qualche modo legati allabalbuzie.

Presenteremo, in questo e nei prossimi numeri, la breve biografia di alcuni attori più o meno famosiche hanno dovuto fare i conti con la balbuzie.

Il simbolo di questa rubrica rimarrà un’immagine di Marilyn Monroe, un’icona indimenticabile perdiverse generazioni di appassionati.

Con lei iniziamo anche la serie delle biografie.Il primo dei film che proponiamo, invece, ha poco a che fare in effetti con la balbuzie, ma tra i “fi-

gli” cui il film si riferisce, il regista cita in una intervista il caso vero di due fratelli entrambi balbu-zienti, da lui stesso conosciuti. Abbiamo voluto così parlare del film che tra l’altro ha ricevuto alcuni premi internazionali.

Ci piacerebbe che i lettori contribuissero ad incrementare questa rubrica con loro scritti, osservazioni, studi, considerazioni,ecc. O anche soltanto segnalandoci qualche film o attore che magari ci è sfuggito.

Ritratti

Marilyn MonrMarilyn MonroeoeNasce il I Giugno 1926 a Los Ange-

les come Norma Jeane Baker. Suo padre– o meglio il marito di sua madre, per-ché lei era figlia di un altro uomo –muore prima che lei nasca e la madreviene ricoverata a intervalli in clinicapsichiatrica.

Lei viene adottata, quindi torna conla madre, poi, a 9 anni, anche la madreadottiva finisce in una clinica psichiatri-ca, come pure sua madre... Norma Jeaneviene data di nuovo in affidamento. Il se-condo marito della seconda madre adot-tiva cerca di abusare di lei. È lo scando-lo, l’orfanotrofio, la sussistenza... Si sen-te una bambina strana e sfortunata: sen-za famiglia, angustiata da una forma dibalbuzie alquanto severa.

A 16 anni si sposa con James Do-gherty di 21 anni. Il marito diventa unpadre e un fratello. Lei desidera tantoavere un figlio, quel figlio che non avràmai.

Il fotografo Conover, colpito dallasua bellezza, la fa posare per una serie difotografie legate alla propaganda milita-re, che meritano molte copertine su roto-calchi nazionali. I primi successi coinci-dono con la fine del suo matrimonio. Nel1946 chiede il divorzio.

Comincia a fare corsi di recitazionee canto. Si schiarisce i capelli. Cambia ilsuo nome da Norma Jeane Baker in Ma-rilyn Monroe, Marilyn come il secondonome della nonna, Monroe come il co-gnome della madre. Fa di tutto per met-tersi in mostra e per migliorarsi.

Cerca anche il suo vero padre, pro-duttore cinematografico, che non avevamai conosciuto. Ma lui rifiuta di ricever-la invitandola a chiedere un appuntamen-to alla sua segretaria. Lei non lo cercheràmai più...

Fa la prima foto senza veli, nudasullo sfondo di velluto rosso, per il mi-sero compenso di 50 dollari. Gira picco-li spot televisivi e molti provini ancora.

mosa scena delle gonne che si alzano so-pra la vita.

Il 28 Ottobre 1954 Marilyn richiedeil divorzio. A 28 anni decide di ricomin-ciare da capo e si iscrive all’“actors stu-dio” di Lee Strasberg.

Nel 1956 interpreta “Fermata d’au-tobus”, forse il suo film più autobiogra-fico.

Il primo luglio 1956 il terzo matri-monio, con Arthur Miller.

Di quell’anno “Il principe e la balle-rina” con Lawrence Olivier, produzioneindipendente della Monroe. Ma è di que-sto periodo l’aggravarsi della sua depres-sione e delle sue fobie, le paure di nonpoter avere figli (anzi la quasi certezzadopo alcuni aborti), oscillazioni di peso,bulimia ed anoressia, insonnia, dipenden-ze e sovradosaggi di benzodiazepine,stupefacenti e barbiturici.

Nel 1959 interpreta “A qualcunopiace caldo” di Billy Wilder, con TonyCurtis e Jack Lemmon.

Nel 1960 interpreta “Facciamo l’a-more”, diretto da George Cukor, con IvesMontand.

Pone fine al matrimonio con ArthurMiller, il 6 gennaio 1961.

In quell’anno interpreta “Gli sposta-ti” di John Huston, con Clarck Gable eMontgomery Clift.

Nel 1961 ebbe un attacco di panicocon connotazioni psicotiche, paura di im-pazzire come la madre e conseguente ri-covero in clinica psichiatrica a New Yorkdove le fu vicino e presente il suo gran-de amico ed ex marito Joe Di Maggio.

I molti amori, compresi il Presiden-te J. F. Kennedy e suo fratello Bob, la la-sciarono sempre terribilmente sola.

Il 5 agosto 1962 la governante latrovò priva di vita nella sua casa a LosAngeles. Nessuno venne per salvarla. Ose qualcuno venne fu solo per soffocarelo scandalo o, chissà, per aiutarla a mo-rire.

“Candela nel vento” compose ecantò per lei Elton John: come una tenuee fragile fiamma si spense nel vento diHolliwood.

RUSTICHELLO

Piccole parti marginali in film come“Una notte sui tetti” e “Orchidea Bion-da”. Ma cominciano a notarla, vengono iprimi film.

La relazione col presidente dellaTwenty Century Fox, Zanuck, le frutta ilcontratto con la Century che la vuolebionda e sciocca. Comunque i primi suc-cessi: nel 1950 “Giungla d’asfalto” diHuston ed “Eva contro Eva” diMankiewicz.

Nel 1952 esce il calendario in cuiviene ripresa la sua famosa foto nuda,per cui aveva posato alcuni anni primaper fame.

Del 1952 è “La tua bocca brucia” diRoy Ward Baker in cui interpreta il ruo-lo drammatico in cui è brava, ma la ca-sa cinematografica preferisce confinarlanel ruolo di apparente ochetta sensuale.La stampa parla delle sue forme statuariee non del suo talento e nelle interviste lavogliono come appare nei suoi ruoli ci-nematografici. Oltre tutto per lei, balbu-ziente, è più facile canticchiare in pub-blico con gli abiti cuciti addosso che nonrilasciare interviste...

Sempre nel 1952 interpreta “Il ma-gnifico scherzo” con Cary Grant. Inquell’anno interpreta anche un bel ruolodrammatico in “Niagara”.

Nel 1953 la pubblicazione della fotonuda sul calendario su Playboy.

Dello stesso anno “Gli uomini prefe-riscono le bionde” in cui di nuovo inter-preta il ruolo di donna fatale che fa im-pazzire gli uomini. Sempre nel 1953 gi-ra “Come sposare un milionario” in cuilegge un libro all’incontrario continuan-do con il suo personaggio di bella e stu-pida.

Nel Gennaio 1954 si sposa con JoeDi Maggio, uomo tenero e riservato,grande campione di baseball, che l’a-merà per tutta la vita.

Di quell’anno è “La magnifica pre-da” con Robert Mitchum. Poi “Folliedell’anno”, con nuovo contratto Fox a3000 dollari alla settimana. Sempre nel1954 Marilyn gira “Quando la moglie èin vacanza” di Billy Wilder nella partedella affascinante ingenua vicina di casa,il solito ruolo... In questo film vi è la fa-

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CCiinneemmaa ee bbaallbbuuzziiee

Figli/HijosFigli/Hijosdi Marco Bechis

(Nel cast, tra gli altri – quasi tutti at-tori sudamericani – anche Stefania San-drelli).

Marco Bechis è nato a Santiago delCile nel 1957, da madre cilena di origi-ne svizzero-francese e da padre italiano.Cresciuto a San Paolo e a Buenos Aires,il 17 aprile 1977, a vent'anni, venne se-questrato e detenuto per quattro mesi daitorturatori argentini in un carcere clan-destino chiamato Club Atletico. È statopoi espulso dall’Argentina per motivi po-litici ed è approdato a Milano dove havissuto durante gli anni '80.

Ha trascorso lunghi periodi a NewYork, Los Angeles e a Parigi. Diversi isuoi interessi prima del cinema: maestroelementare a Buenos Aires, fotografo po-laroid e video-artista a New York.

Negli anni ‘80 ha lavorato per il ci-nema e la televisione, anche in italia.

Nel ‘91 esordisce nel lungometraggiocon “Alambrado”. Presentato al festivaldi Locarno, il film otterrà numerosi pre-mi. Quando il film esce in Italia, nel1992, Bechis si trova in Argentina doverealizza le interviste a numerosi ex-pri-gionieri politici della dittatura argentina,interviste che sono alla base del suo se-condo film.

Il suo secondo film, “Garage Olim-po” (1999), è presentato al 52° Festivaldi Cannes ed otterrà poi una lunga seriedi riconoscimenti internazionali.

In un paese lontano una donna stapartorendo, due uomini aspettano fuoriper prendersi il bimbo. Nascono due ge-melli, un maschio e una femmina. Il ma-schio viene prelevato dai due uominimentre l’ostetrica riesce a nascondere labambina (Rosa) in una borsa. Vent’annidopo a Buenos Aires, Rosa riesce final-mente a scoprire che il fratello vive aMilano con la sua nuova famiglia, e par-te per incontrarlo dopo avergli racconta-to per e-mail il loro passato, l’assurditàdella loro separazione, la morte prematu-ra della loro vera madre. Javier non puòcrederci, ma il dubbio si è insinuato. Lasua vita, le sue sicurezze, i suoi affetticrollano. Incontra Rosa che gli mostrafoto e certificati della loro unione e de-cide di seguirla a Barcellona: lì c’è uncentro di analisi sul DNA che può certi-ficare la loro parentela, e lì vive l’oste-trica che li fece nascere.

“Figli/Hijos” è la continuazione natu-rale di “Garage Olimpo”. È la storia deifigli dei desaparecidos, nati nei campi diconcentramento e adottati illegalmenteda famiglie di militari che non potevano

avere figli. Quei bambini sono oggi uo-mini e donne di oltre vent’anni che nonsanno di essere figli di desaparecidos.

Non sanno che le persone con cui so-no cresciuti sono state molto spesso leresponsabili dirette della morte dei loroveri genitori. È stato un piano sistemati-co, il crimine ultimo della dittatura, con-cepito scientificamente. Questi ragazzi eragazze vivono con un malessere perma-nente, di cui neppure conoscono l'origi-ne. Quando scoprono la verità e quindi laloro identità, cominciano a percorrere lastrada della propria liberazione.

Si stima che i bambini scomparsi do-po la nascita in Argentina tra il 1976 edil 1982 siano circa 500. I casi denuncia-ti sono solo 250. 72 ragazzi sono stati ri-trovati vivi, 8 di loro sono stati ritrovatinei cimiteri clandestini. 68 ragazzi ritro-vati sono tornati a vivere con la loro ve-ra famiglia (zii, nonni) e solo 4 hannopreferito rimanere con la famiglia che liha sottratti ai loro veri genitori, con ledonne che avevano finto la gravidanza esi erano impossessate dei neonati, sapen-do che fine avrebbe fatto la vera madre.(Fonte: Associazione “Nonne di Plaza deMayo”).

Durante gli anni in cui scomparveromigliaia di oppositori, tra i militari esi-stevano liste d’attesa per avere un bam-bino o una bambina di donne che parto-rivano in clandestinità. Quei bambinierano bottino di guerra, erano tabula ra-sa. Li avrebbero cresciuti come veri figlidella patria.

L’associazione H.I.J.O.S. organizzamanifestazioni pacifiche di denuncia sot-to le case dei torturatori e sequestratoriche hanno operato durante la dittaturamilitare dal 1976 al 1982 in Argentina.Queste persone sono oggi liberi cittadiniperché hanno goduto dell’amnistia previ-sta dalle leggi di “Punto Final” e “Obe-diencia Debida”. Gli abitanti del quartie-re, preso atto di chi sia il vicino di casa,organizzano spontaneamente la loro pro-testa: il panettiere non gli vende più ilpane, il giornalaio non gli porta più a ca-sa il giornale, la gente gli toglie il salu-

to: vengono simbolicalicamente punitiperché giustizia non c’è stata.

Questa manifestazione si chiamaESCRACHE.

Frammenti di interviste fatte a Bue-nos Aires durante la scrittura del film.

“Tu non ricordi i tuoi genitori, perchéeri troppo piccolo quando sono scompar-si. Che sentimenti provi per loro?”

CARLOS: Rispondere è complicato.Non posso dire di provare niente per lo-ro, non sarebbe esatto. Ma è molto diffi-cile voler bene a qualcuno che non si co-nosce. Io amo i miei genitori ma li amoidealmente, simbolicamente..

“Come è stato l’incontro con tua so-rella? Avevi undici anni, e non l’avevimai vista...”

MARIA: L’ho conosciuta in un tribu-nale per minori. A quel tempo vivevacon la madre apropiadora a Mar del Pla-ta. Ero convinta che dovesse assoluta-mente assomigliarmi, e quando l’ho vistasono rimasta delusa, perché mi sembravamolto diversa da me. Sono entrata nellasala del tribunale accompagnata da mianonna e mio zio: me l’hanno presentatail giudice e l’assistente sociale... Ci sia-

mo messe subito a parlare di tutto, dicartoni animati, di gusti dei gelati... perfortuna avevamo delle affinità e abbiamolegato quasi subito. Dopo un po’ ci han-no lasciate sole... Chiacchierando abbia-mo scoperto di avere un neo nello stessoposto.

“Cosa succede se un ragazzo nonvuole sapere niente della sua identità erifiuta l’analisi del DNA?”

MARIA: Farsi le analisi significascoprire di chi si è figli, qual’è la propriafamiglia naturale. Gli stessi apropiadoressi sentono scoperti e cercano di parlarecon i “figli” spiegandogli che anche setra loro non c’è una discendenza natura-le è come se ci fosse. E così insinuano inquei ragazzi un insopportaabile senso dicolpa.

“I tuoi genitori sono desaparecidos:come te li immagini?”

WADO: Vedo due persone felici, gio-

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vani, come nelle foto, non riesco nem-meno a pensarli vecchi. E poi sempre inazione, costantemente impegnati. Chissàse ho preso da loro, perché io mi appas-siono alle cose, cerco sempre di provaresensazioni forti, di sentire le vertigini...

Da una intervista a Marco Bechisrealizzata durante le riprese del film aBarcellona da Maria Tanzer, studentessadi 16 anni.

«Quei bambini ora hanno 23 anni epenso che quei giovani abbiano tutto ildiritto di sapere quel che è loro accadu-to e di decidere liberamente cosa fare,dove e con chi vivere. Decidere libera-mente significa offrire loro l’opportunitàdi sapere per poi scegliere. Anche se èdifficile che possano scegliere serena-mente perché devono fare i conti convent’anni di menzogne.

Infatti sono assolutamente contrarioalla teoria secondo la quale, per non far-li soffrire, non bisogna raccontare loroniente. Secondo me, è mostruoso. È mo-struoso pensare che un ragazzo viva lasua vita senza sapere chi è. Perché dietroalla vicenda individuale c’è una storiacollettiva. Uno può decidere di non rac-contare al proprio figlio, magari fino aduna certa età, che è stato adottato, anchese penso sia sbagliato. Ma che dietro aquesta situazione vi sia una bugia chenasconde un crimine, beh... è un fatto ditutt’altra natura. C’è un po’ di confusio-ne al riguardo, e in Argentina vi sonomolti schieramenti politici, e anche mol-ti giornalisti, che considerano la ricercadi ragazzi “apropiados” (letteralmente:appropriati) come una violenza ai lorodanni. Secondo loro vanno lasciati in pa-ce, perché comunque hanno trovato “unafamiglia” che li ha cresciuti. Ma in quel-la pace familiare gli “apropiadores” na-scondono ai ragazzi l’omicidio dei loroveri genitori.

D’altro canto sono convinto che queigiovani non hanno avuto un’infanzia fe-lice così come la raccontano spesso imedia. Penso che ci sia una percezioneinconscia delle cose. I casi che sono sta-ti resi di pubblico dominio... ad esempio,due gemelli che balbettano entrambi,sono dei ragazzi che hanno fatto moltafatica a crescere, pur essendo molto in-telligenti. Sono stati ritrovati quandoavevano 16 anni e sono stati subito as-sillati morbosamente dalla stampa. Eranodue ragazzi balbuzienti, uno di loro duefaceva ancora la pipì a letto...

Penso a tutte queste famiglie di uo-mini e donne ai quali hanno rapito ibambini. Penso che ci si sia comportatinei loro confronti come dei veri ladri.Una falsa famiglia, fondata su un crimi-ne nascosto, non può che trasmettere in-consciamente un sacco di bugie, credo

Il corvo. Favola in maschera

Il nero corvo e la bianca colomba.La Compagnia Pantakin di Venezia ri-legge la celebre favola gozziana in Cam-po San Trovaso.

Ci è dapprima arrivata sull’argomen-to un’e-mail di un visitatore del nostrosito, che pubblichiamo:

“Buongiorno. Sono un balbuzientesvizzero. Ho visitato Venezia (che bellacittà!). Vi ho visto lo spettacolo “Il cor-vo”. Il balbettare di Tartaglia è diverten-te al primo momento, ma è decisamentefuori luogo quando diventa uno spuntoper battute volgari e stupide, come“co...co...coglione”.

Sono rimasto sorpreso nel vedererappresentato sulla scena un tipo comeTartaglia. Pensavo che fossero passati igiorni in cui il pubblico si divertiva conil balbettio... Qui in Svizzera non ho vi-sto mai cose cose simili. Mi sembra cheil teatro abbia capito che oggi non si puòdivertire il pubblico con personaggi co-me Tartaglia. Una commedia dell’arte,come questa, mi sembra fuori dell’Arte!

Saluti cordiali.Stefan”

Incuriositi dall’e-mail, abbiamo fattouna ricerca in Internet, trovando un arti-colo di Sebastiano Bollato sullo spetta-colo in questione, di cui riportiamo unostralcio:

“Una rilettura moderna, che unisce altesto musica e movimenti coreografici,personaggi inventati e differenti dialetti.Questa è la visione che Michele ModestoCasarin e la Compagnia Pantakin di Ve-nezia hanno voluto proporre per questaBiennale teatro. [...]

Come in tutte le fiabe gozziane sonopresenti le maschere della commedia del-l’arte, nello specifico Pantalone, Tarta-glia e la Balia, ed è questo il punto de-bole di uno spettacolo a cui non servivacaricare in modo stereotipato questi per-sonaggi per strappare l’applauso e il risodel pubblico. [...]

Il tartagliare di Tartaglia è divertentealla prima apparizione del personaggio,ma diventa fuori luogo quando si tramu-ta in spunto per battute banali come“co...co...coglione”. Al di là di questo, lospettacolo è piacevole, ed incanta con al-

CCiinneemmaa ee bbaallbbuuzziiee

che sotto l’apparente normalità di una fa-miglia del genere ci sia molta violenzache passa. Ci sono stati casi anche mol-to più gravi.»

LA REDAZIONE

......EE cc’’èè aanncchhee iill tteeaattrroo

cune scelte scenografiche e registicheche sfruttano il piccolo palco, riuscendoad evocare un mondo misterioso, imma-ginifico e meraviglioso.”

In televisione è difficile sentire labalbuzie. A meno che non ci capiti di as-sistere a qualche intervista... Ci siamoimbattuti per caso in un forum dove siparla di ciclismo e appunto di interviste:qualcuno ha scritto di Luca Mazzanti:

– A Lugano il bolognese entra in tutte lefughe e porta l’attacco decisivo negli ul-timi 1500 metri. Sul traguardo è primodavanti al basco Arreitunandia e al russoPetrov. È uno dei pochi cui affidereste ibambini da portare a scuola. Serio, testasulle spalle e forza da vendere. Mazzan-ti ha vinto il Gran premio di Luganoscattando all’ultimo giro del circuito,spettacolare e faticoso, rimanendo poi intesta alla corsa ed entrando in tutti gliscatti e perfino in tutti i controscatti.

– In gergo, Mazzanti è un “cagnaccio”.Dice di correre dall’inizio alla fine del-l’anno. A Chiasso e Lugano era venutoper prepararsi al Giro d’Italia. Come alsolito partirà per farlo bene: tappe, clas-sifica, quello che viene viene. E quelloche viene andrà comunque bene, perchésarà il risultato di una vita da atleta.

– Mazzanti è di Bologna e abita a SanLazzero di Savena. È tipo da 6-7 ore diallenamento, panini in tasca e, quando fi-niscono, si ferma nei bar a prendere uncappuccino. Niente cardiofrequenzimetri:gli bastano le sue sensazioni. E nientecompagnia: da solo, dice, si sente sem-pre in buona compagnia.

– Grande Mazzanti! Mi fa troppa tene-rezza quando lo intervistano... è uno ve-ramente tosto!

– Scusate l’ignoranza, ma il problema diMazzanti è una sorta di dislessia? Perchénon riesce a dire alcune parole.

– È balbuziente, credo...

EE llaa tteelleevviissiioonnee??

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Le colonne di ErcoleLe colonne di ErcoleRileggendo l’incontro di Dante con Ulisse nel suo “Inferno”, mi è scaturita que-

sta “poesia” (se così si può definire, visto l’impari confronto al richiamo sublime del-la fantasia dantesca).

È un inno al Buon Senso che spesso e volentieri l’uomo ha trasgredito e trasgre-disce, pagandone amare conseguenze per se stesso e senza attenzione e con noncu-ranza coinvolge interi popoli.

Non vuole essere un diniego al miglioramento e ad un possibile superamento deipropri limiti, ma un elogio alla Saggezza che aiuta a distinguere il fattibile dall’im-possibile.

Nel poema di Omero, l’arrivo di Ulisse ad Itaca pone fine al vagabondare dell’e-roe. Nell’episodio narrato da Dante, invece, Ulisse non si rassegna a consumare la suavecchiaia circondato dall’affetto dei suoi cari, in una pace inadatta al suo spirito av-venturoso. Così parte dall’isola assetato di esperienze e di conoscenze nuove.

Secondo un’antica leggenda Ulisse avrebbe intrapreso in vecchiaia un nuovo viag-gio verso l’occidente, durante il quale avrebbe fondato la città di Lisbona.

Ma è tutto dantesco lo spirito che anima l’avventura: l’ansia di conoscere, la vo-lontà di lottare per acquisire nuove esperienze, esaltano Ulisse, come colui che ha ca-pito che la mente umana non può mai accontentarsi del sapere che possiede e che siè veramente uomini quando si esercitano costantemente l’Intelligenza (il Cuore, ag-giungo io) e la Volontà.

Alla possibilità umana di conoscere, però, è stato dato un limite, simboleggiatodalle Colonne di Ercole (dove Ercole segnò i limiti affinché l’uomo non osasse an-dare oltre: lo stretto di Gibilterra).

Oltre di esso può andare – dice Dante – solo chi affida la propria Intelligenza al-la grazia divina.

Ciò non era concesso ai pagani, agli uomini del mondo antico, e quando l’auda-cia di Ulisse lo spinge al di là di questo confine, nell’oceano in mezzo al quale si al-za solitaria la montagna del Purgatorio, da essa si scatena un turbine che fa capovol-gere la nave e l’eroe.

Che dire di più... una straordinaria lezione di psicologia dantesca.Ciao a presto, amici, con un abbraccio forte.

Itaca... ancor tu non sei la Patria di Ulisse...Di nuovo il suo cuor non riposa di pace sognata.Il mare lo chiama lontano... al di là dei confini.L’imbocco del blu rassomiglia alle inquietanti sirene...Varcandolo, audace vacilla fra Sapienza e Follia.Ma l’uomo completo si ammira nell’atto di agire...Lisbona sul mare di Ulisse, pacato e prudente,ha posato la sua prima pietra.Ulisse dantesco che fai... “non resti a Lisbona?”O Itaca forse ti aspetta amandoti ancora?!È il mare il tuo sogno... il mare infinito e profondo.Che lento e spietato inghiotte la tua sete di troppo.

MARIANGELA CUCCHI

Gibilterra oggi

La trasformazione dell’Associazionein ONLUS ha comportato l’esigenza diprendere in affitto una sede decorosa incui poter lavorare, incontrarci con i socied ospitare chi ci contatta per ricevereinformazioni. Ovviamente le spese sonoaumentate moltissimo e i soci continua-no ad essere pochi.

Abbiamo richiesto contributi a dueFondazioni, quella del Monte dei Paschidi Siena e quella della Cassa di Rispar-mio di San Miniato, ma i tempi sarannomolto lunghi anche se le richieste venis-sero accolte.

Altri istituti di credito cui abbiamoinoltrato richiesta di donazione (alcunedi queste presentate da singoli soci) nonci hanno neppure risposto. La Banca To-scana di Altopascio (la citiamo perché lomerita) è stata l’unica che ci ha elargito100 euro, meglio che niente...

Abbiamo fatto una buona campagnainformativa per il 5 per mille e diversisoci hanno comunicato di avercelo devo-luto. Pare però che i tempi di assegna-zione siano alquanto lunghi: si parla dialmeno due anni... Facile arguire chesiamo in gravi difficoltà e non sappia-mo ormai come far fronte alle spese diordinaria amministrazione.

Abbiamo lanciato un paio di mesi faun appello alla nostra mailing list “Ita-ca”: chiedevamo di versare sul nostro c/cla somma di 100 euro che avrebbe ga-rantito l’iscrizione per 3 anni. Ci erasembrato l’unico modo per sopravvivere,in attesa che arrivino i benedetti fondi.Soltanto quattro persone hanno aderitoall’iniziativa.

Ma c’è di peggio: nella mailing listsuddetta (che dovrebbe essere riservataai soci...) vi sono molte persone che nonsono più iscritti da 2, 3, 4 anni.

Che dire?Rinnoviamo l’appello a chi ha a

cuore le sorti dell’Associazione: 100euro per aiutarci a mantenere viva lasperanza per 3 anni di iscrizione.

Come versarli1. A mezzo bollettino di c/c postale n.

13468566” intestato a: “AIBACOM”2. A mezzo bonifico bancario:

- beneficiario: AIBACOM- indirizzo: Viale Comaschi 100/C,

56021 Cascina (PI)- c/c n. 1000/98- banca: Intesa Sanpaolo- filiale: Cascina, fraz. Navacchio- ABI: 01025- CAB: 70950I titolari di un c/c postale potranno

effettuare il pagamento sul sito www.po-ste.it con un “bollettino generico” sul c/cn. 13468566 intestato ad “AIBACOM”;indicando nella causale “Tesseramentotriennale”.

SS.. OO.. SS..

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LL’’aannggoolloo nnuulllloo

LL’’eeppiittaaffffiioo ddii AAvvaalloonn

Il vento dell’ovest non spira più nella terra di Avalon,l’eco e l’incanto del mare non risuonano più,il cielo d’Irlanda è svanito nella terra di Avalon,Un’immane catastrofe ha annientato ogni cosa, ogni sogno.rimangono solo macerie, rovine, distruzione, umiliazione e morte.Addio Avalon, vattene via, vattene via.Il mondo è svanito dentro te, sei stanco e perduto,ombre, fantasmi, follia e demoni, ballano su di te,la gente ti guarda stupita, sorride ed ironica scuote la testa.Grida, voci e rumori s’inseguono e si confondono,il canto delle sirene è sempre più ammaliante,sei l’ultimo a vagare nella tua mente.Dimmi cosa ci fai qui, dimmi cosa ci fai qui?Addio Avalon, vattene via, vattene via.Vai mille miglia lontano da casa.Questo non è più il tuo tempo,questo non è più il tuo luogo.Cerca lontano, nella gente senza niente,il bene che potrà compensare la morte del tuo cuore.Avrai acqua calda e bende pulite per lavare via incubi e ferite.Avrai latte, zucchero e miele per gettare via dolori, spettri e fiele.Avrai stelle diverse da guardareper non permettere ai ricordi di umiliarti.Un giorno lontano tornerai, diverso, blindato, cicatrizzato.Tornerai nella tua terra che sarà solo deserto, rocce e cumuli,ritroverai una strada costellata da fantasmi,vecchie bandiere e patetici sogni.Non sarai mai quello di prima, ma forse questo sarà un bene.Forse scoprirai che sotto tutte quelle macerie,in una teca ben nascosta,sarà rimasta una lieve morente bella speranza. Forse non farai in tempo a farla ridestare.Ora addio Avalon, vattene via.Addio…Adieu chevalier.

AVALON

Una tessera di Socio simpatizzanteper i vostri familiari, per i vostri parenti, per i vostri amici.

A voi costerà poco (€ 10,00).A noi consentirà di crescere di numero e di ‘peso’

Anche a tutti i soci simpatizzanti invieremo(se non appartenenti alla stessa famiglia) il nostro giornale.

“Questa – diceva – non potrò maiperdonargliela!”. Non ho ben capito sece l’aveva con quel medico, con il “si-stema”, con chi altri.

Mi ha lasciato una sua letterina conun titolo: “Basta!”

Basta dare la possibilità ad una per-sona di decidere solo con una firma lavita di un’altra persona. Togliere la pa-tente ad una persona senza neanche do-mandare il lavoro che svolge, il percor-so della sua vita, le tante sfaccettaturedella sua storia.

Basta giocare a fare Freud, dare sen-tenze senza conoscere nulla di chi si hadavanti. La mia vita, una mamma invali-da, per cui io sono l’unico sostegno incasa... senza contare la libertà della per-sona. È stata operata il 12 ottobre 2006a Perugia e io non ho potuto nemmenoassisterla!

Io voglio solo aggiungere che chicrede che questo sia un episodio isolato,una eccezione, si sbaglia di grosso. Inquesto numero del giornale, tra altre te-stimonianze, desideriamo riportarne alcu-ne (o raccontarle io stesso) attraverso lequali io e i miei collaboratori vorremmofar capire come sia necessario fare qua-drato, essere più partecipi e più vicini al-l’Associazione.

Scrivevo nel 1990 sul vecchio gior-nale della precedente associazione, par-lando del disinteresse degli “altri” versola balbuzie, queste testuali parole:

“Più grave, però, il disinteresse di chila balbuzie se la trova dentro e di conse-guenza colpevoli le sue fughe, i suoi ma-scheramenti, il suo comportamento dastruzzo.

Non voler vedere quello che ci acca-de intorno non ci è di alcun aiuto: trove-remo sempre qualcuno che – per igno-ranza, insensibilità, sadismo, tornaconto– si comporterà come quel preside, queldirettore didattico, quel medico, quel da-tore di lavoro [si citavano nel pezzo epi-sodi di discriminazione e di sopruso]. Eanche se noi terremo ostinatamente la te-sta ben piantata nella sabbia, loro trove-ranno facilmente qualche altra parte delnostro corpo dove piazzare i loro calciben assestati.”

Dopo 17 anni nulla è cambiato...

PIERO PIEROTTI

• Segue dalla prima pagina

Chi da qualche anno curava questa rubrica ha deciso, per motivi per-sonali, di chiudere la sua collaborazione con questo numero.

Se qualcuno volesse collaborare in modo continuativo col nostro gior-nale, gli lasciamo volentieri questo spazio che ha una sua connotazioneparticolare anche dal punto di vista grafico.