nano reef guide

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Nanoreef 2010 – mail: [email protected] 1 Cos’è un nanoreef Un nanoreef è un piccolo acquario marino, che con una spesa relativamente contenuta, vi permetterà di avere in casa vostra un piccolo angolo di natura. Esistono alcuni prefissi che si danno a seconda delle dimensioni della vasca (pico, nano, micro, mini, ecc.), ma non li ritengo importanti per la comprensione dell’argomento, anche perché soggetti a differenti interpretazioni. E’ importante capire da subito quali sono i limiti di questi sistemi, limiti che sono dettati sia dalle dimensioni che dall’esperienza nella gestione di un reef. Non è difficile capire che un acquario è dipersè una forzatura, in quanto ogni animale, in natura, vive in ambienti ben più grandi. I pesci marini, in particolar modo, sono abituati a vivere in ettolitri d’acqua, a fronte dei ridotti spazi che possiamo riservargli nei nostri cinque vetri. Aldilà dei motivi di ordine etico, nelle vasche piccole il problema diventa anche pratico, in quanto l’attrezzatura spesso non consente di avere una filtrazione accettabile per mantenere uno o più pesci. Questo argomento verrà riproposto più avanti nel momento in cui si parlerà dell’allestimento vero e proprio della vasca; è però necessario esserne consapevoli da subito, in quanto se desiderate fare una vasca di pinnuti occorrerà giocoforza aumentarne le dimensioni e l’attrezzatura. L’altro limite è legato alle difficoltà di gestione. Vorrei smentire, da subito, la convinzione che un nanoreef sia una vasca difficilissima e inadatta a principianti. E’ vero che le ridotte dimensioni equivalgono a un equilibrio più precario rispetto a una vasca grande, ma è indiscusso che in tanti abbiamo ottenuto ottimi risultati con vaschette da 20/30 litri, facendo solamente attenzione a non inserire animali troppo esigenti. Anche il discorso della popolazione merita un paragrafo a sé; quello che è importante sapere da ora è che un nanoreef può ospitare una moltitudine di animali belli e colorati, molti dei quali cresceranno e si riprodurranno in continuazione, fornendoci uno spettacolo sempre diverso e delle soddisfazioni uniche. Quanto costa un nanoreef Un acquario marino è decisamente costoso, e tante volte il nanoreef rappresenta un approccio prudente a questo hobby. Potrà succedere che la passione vi prenda al punto di cambiare vasca più volte, come magari può essere che terrete per anni la stessa; l’importante è sapersi muovere bene per evitare di buttar via soldi nell’immediato e nel futuro. Per l’attrezzatura, la soluzione più economica è senza dubbio quella dell’acquisto di materiale usato da altri appassionati. I forum di discussione spesso hanno una sezione “mercatino” dove si possono fare facilmente buoni affari. C’è da dire che è possibile pure prendere delle fregature, per cui, conviene frequentare per un po’ di tempo il forum, anche per entrare in contatto con potenziali amici che si faranno in quattro per risolvere i vostri problemi. In ordine di convenienza, per chi non volesse affidarsi al mercato dell’usato, la scelta successiva va verso i siti di e-commerce internet. Anche qui la maggior parte dei negozi sono professionisti seri, ma è importante tener presente l’incidenza delle spese di trasporto, soprattutto nel caso vi dovessero essere dei resi. Al negoziante tradizionale voglio dedicare un paragrafo a sé, perché il discorso è molto più complesso di quel che sembra. Anche per quel che riguarda l’acquisto degli animali, la scelta più economica è senza dubbio quella dei privati, tenendo comunque presente che è preferibile non acquistare a distanza, sia per l’impossibilità di vedere in anticipo l’animale, che per i rischi dovuti ai ritardi nella consegna. Una variabile importante nel conto, è il costo della strumentazione per la gestione dei valori della vasca che in genere prescinde dal litraggio. In una vasca piccola l’incidenza è ovviamente maggiore, ma anche qui il rapporto col negoziante locale può fare la differenza.

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Nanoreef 2010 – mail: [email protected] 1

Cos’è un nanoreef Un nanoreef è un piccolo acquario marino, che con una spesa relativamente contenuta, vi permetterà di avere in casa vostra un piccolo angolo di natura. Esistono alcuni prefissi che si danno a seconda delle dimensioni della vasca (pico, nano, micro, mini, ecc.), ma non li ritengo importanti per la comprensione dell’argomento, anche perché soggetti a differenti interpretazioni. E’ importante capire da subito quali sono i limiti di questi sistemi, limiti che sono dettati sia dalle dimensioni che dall’esperienza nella gestione di un reef. Non è difficile capire che un acquario è dipersè una forzatura, in quanto ogni animale, in natura, vive in ambienti ben più grandi. I pesci marini, in particolar modo, sono abituati a vivere in ettolitri d’acqua, a fronte dei ridotti spazi che possiamo riservargli nei nostri cinque vetri. Aldilà dei motivi di ordine etico, nelle vasche piccole il problema diventa anche pratico, in quanto l’attrezzatura spesso non consente di avere una filtrazione accettabile per mantenere uno o più pesci. Questo argomento verrà riproposto più avanti nel momento in cui si parlerà dell’allestimento vero e proprio della vasca; è però necessario esserne consapevoli da subito, in quanto se desiderate fare una vasca di pinnuti occorrerà giocoforza aumentarne le dimensioni e l’attrezzatura. L’altro limite è legato alle difficoltà di gestione. Vorrei smentire, da subito, la convinzione che un nanoreef sia una vasca difficilissima e inadatta a principianti. E’ vero che le ridotte dimensioni equivalgono a un equilibrio più precario rispetto a una vasca grande, ma è indiscusso che in tanti abbiamo ottenuto ottimi risultati con vaschette da 20/30 litri, facendo solamente attenzione a non inserire animali troppo esigenti. Anche il discorso della popolazione merita un paragrafo a sé; quello che è importante sapere da ora è che un nanoreef può ospitare una moltitudine di animali belli e colorati, molti dei quali cresceranno e si riprodurranno in continuazione, fornendoci uno spettacolo sempre diverso e delle soddisfazioni uniche. Quanto costa un nanoreef Un acquario marino è decisamente costoso, e tante volte il nanoreef rappresenta un approccio prudente a questo hobby. Potrà succedere che la passione vi prenda al punto di cambiare vasca più volte, come magari può essere che terrete per anni la stessa; l’importante è sapersi muovere bene per evitare di buttar via soldi nell’immediato e nel futuro. Per l’attrezzatura, la soluzione più economica è senza dubbio quella dell’acquisto di materiale usato da altri appassionati. I forum di discussione spesso hanno una sezione “mercatino” dove si possono fare facilmente buoni affari. C’è da dire che è possibile pure prendere delle fregature, per cui, conviene frequentare per un po’ di tempo il forum, anche per entrare in contatto con potenziali amici che si faranno in quattro per risolvere i vostri problemi. In ordine di convenienza, per chi non volesse affidarsi al mercato dell’usato, la scelta successiva va verso i siti di e-commerce internet. Anche qui la maggior parte dei negozi sono professionisti seri, ma è importante tener presente l’incidenza delle spese di trasporto, soprattutto nel caso vi dovessero essere dei resi. Al negoziante tradizionale voglio dedicare un paragrafo a sé, perché il discorso è molto più complesso di quel che sembra. Anche per quel che riguarda l’acquisto degli animali, la scelta più economica è senza dubbio quella dei privati, tenendo comunque presente che è preferibile non acquistare a distanza, sia per l’impossibilità di vedere in anticipo l’animale, che per i rischi dovuti ai ritardi nella consegna. Una variabile importante nel conto, è il costo della strumentazione per la gestione dei valori della vasca che in genere prescinde dal litraggio. In una vasca piccola l’incidenza è ovviamente maggiore, ma anche qui il rapporto col negoziante locale può fare la differenza.

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Voi e il negozio Se frequentate, o vi capiterà di frequentare i forum di discussione sull’acquariofilia, troverete sicuramente una quantità di “colleghi” che si sono trovati in serie difficoltà con il loro negoziante. Allestimenti o consigli sbagliati possono mettere in seria difficoltà sia la vasca che il portafoglio. E’ necessario però fare una premessa, per capire meglio il problema. L’acquariofilia è un hobby in continua evoluzione; a distanza di pochi mesi escono nuovi prodotti o si scoprono differenti sistemi per ottimizzare la propria vasca. Spesso capita che il negoziante non sia aggiornato, o ancora peggio, sia talmente legato a metodi di gestione oramai ultradecennali che non prende proprio in considerazione altre alternative. C’è da dire pure che ci sono diversi modi di intendere l’acquariofilia e che spesso e volentieri i forum sono un’avanguardia poco rappresentativa della realtà. Questo non significa che quegli appassionati stiano sbagliando, tutt’altro, ma occorre tenere presente che vi è una tendenza a estremizzare gli allestimenti per ottenere il massimo dalla propria vasca. Per fare un esempio facilmente comprensibile, se io sono appassionato di cellulari cercherò di avere sempre il modello più recente, nonostante il vecchio funzioni ancora perfettamente. Devo dire pure che io sono “cresciuto” e appartengo a quell’ambiente, per cui il mio pensiero ne è fortemente influenzato. Mi rendo conto però che non esiste solo quello e per onestà devo farlo presente. Ci sono regole di gestione però, che prescindono da quanto uno sia appassionato, la cui inosservanza denota una scarsa competenza da parte del negoziante. Chiusa questa parentesi tendenzialmente buonista, devo dire che come tanti, sono stato fregato bellamente dal mio ex negoziante, e solo quando ho iniziato a interessarmi più nello specifico, ho ottenuto dei risultati. La soluzione migliore è senza dubbio quella di potersi appoggiare a una persona competente, e allo stesso modo onesta. Più volte mi è capitato di sentire discorsi differenti (e spesso opposti) a seconda che il cliente fosse un principiante o un esperto. Il primo passo è quindi quello di acquisire alcune nozioni di base, per far capire al vostro interlocutore che non siete proprio a zero, sull’argomento. Non importa che conosciate questa guida a memoria, ma la parte sull’allestimento e quei pochi processi biochimici è meglio averli chiari ancora prima di passare la soglia. Vi serviranno pure per capire se è sufficientemente aggiornato per potervi seguire o se vi sta raccontando delle sonore cavolate. Altro aspetto da valutare è lo stato di salute degli animali in vendita, nonché la cura delle vasche, ma per questo è necessario un po’ d’occhio che acquisterete con l’andar del tempo. Non per ultimo guardate pure ai prezzi, tenendo conto che rispetto a quelli internet un 20% in più ci può pure stare. Il fattore economico, è spesso la madre di tutte le fregature. Se entrate in un negozio senza saperne nulla e avete la pretesa di uscire con un nanoreef spendendo 100 euro o poco più, è molto probabile che uscirete con qualcosa che assomiglia a una vasca che non funzionerà mai, o che magari un giorno potrà pure andare dopo averci speso tre volte tanto. Il tutto per dire che dovete aver presente l’ordine di spesa che andrete ad affrontare e ragionare su quella. Studiatevi con calma l’attrezzatura che vi serve, guardate i prezzi su internet e presentatevi con le idee chiare su quello che vi occorre. Probabilmente alcune marche non saranno le stesse, ma in un nanoreef non ci sono attrezzature particolarmente impegnative, per cui, se siete disposti a pagare un po’ di più e ad avere in cambio un’assistenza in loco (semprechè che ci si trovi davanti a un negoziante preparato), è sicuramente la soluzione più comoda. Per ultimo non dimenticate di trattare un po’ il prezzo. Se prendete una vasca completa, qualche decina di euro riuscirete sicuramente a strapparla, ma non lasciatevi incantare dall’offerta irripetibile del momento, fatevi fare un preventivo, portatelo a casa, magari chiedete a qualcuno se avete dei dubbi e tornate il giorno successivo.

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IL PROGETTO (1) Partiamo dal presupposto che allestire un nanoreef non è come portarsi a casa un gatto, e poi ci si pensa. Se volete evitare di accumulare delusioni e debiti futuri, occorre pianificare tutto dalla A alla Z e muoversi secondo un ordine prestabilito che difficilmente ammette varianti. I punti chiave sono:

a) cosa si vuole allevare b) l’illuminazione, ovvero, la plafoniera c) la vasca e tutto quello che segue

Mi fermo un attimo per spiegare perché sia importante seguire quest’ordine: il tipo di animali che ospiterete influenzerà decisamente la parte tecnica, a cominciare proprio dalla luce che per i coralli è la fonte principale di sopravvivenza. La scelta della plafoniera, in particolar modo in un nanoreef, è un’impresa quantomeno ardua, poiché il mercato offre ben poco. Una volta che l’avrete trovata, sarà relativamente facile trovare una vasca che sia adeguata a quelle misure, ma nella peggiore delle ipotesi potrete farla fare su misura da un vetraio qualsiasi. Il resto viene dopo e non crea in genere particolari problemi. L’errore tipico è quello di partire dalla fine, tornando cioè a casa con una vaschetta per la quale difficilmente si riuscirà a trovare una lampada adeguata, e lì son guai…

A) GLI ANIMALI (non idonei) Un nanoreef può ospitare diversi organismi marini, per cui c’è solo l’imbarazzo della scelta. Mi sembra più logico, però, partire da quelli che per vari motivi non sarà possibile allevare. Il pesce Sembra difficile riuscire a concepire un acquario che non ospiti almeno un pesce, ma sotto un certo aspetto, il fascino di un nanoreef è pure questo. Non è il classico scenario che si è soliti immaginare, bisogna vedere dal vivo le splendide vasche che si possono realizzare inserendo solo coralli, gamberetto e paguro. Qual’ è il problema del pesce? Se lasciamo perdere la parte morale, cioè che un pesce marino in una vaschetta soffre nel vero senso della parola, l’aspetto pratico dovrebbe essere più convincente. Non entro ora nell’aspetto chimico/biologico, che verrà affrontato più avanti, ma semplifico il tutto dicendo che il pesce inquina l’acqua, e una vasca piccola non è in grado di smaltire il carico organico dovuto ai resti del cibo e le deiezioni dell’animale. Questa è la regola, alla quale si possono pure fare le dovute eccezioni. Se per esempio disponiamo di un 35 litri al netto delle rocce, con la dovuta attrezzatura, un pesce di piccole dimensioni tipo il gobiodon okinawae ci può pure stare. Attenzione a non cadere nell’alibi del tipo: ‘prendo un pesce piccolo e poi quando crescerà lo sposto’. Questo non succederà, primo perché il pesce sarà soggetto a nanismo indotto, crescerà cioè molto meno del dovuto e ai vostri occhi sarà sempre piccolo e in buona salute, secondo perché è facile che vi affezionate e che questo sentimento indubbiamente sincero, condanni l’animale a una prigionia eterna. La vittima per eccellenza è il pesce pagliaccio, sia per la pessima pubblicità avuta dal cartone animato della Disney che per il costo relativamente basso. Un pesce del genere necessita almeno di 50 litri d’acqua e una vasca che gli consenta di avere qualche decina di cm di lunghezza per il nuoto. Vedremo in seguito che quel tipo di vasca è la meno indicata per un nanoreef di piccole dimensioni, perché dovrebbe essere necessariamente stretta, con i conseguenti problemi nella disposizione della rocciata. Se non sono riuscito a convincervi nell’evitare il pesce, tenete presente che con quell’animale è indispensabile disporre di uno skimmer (o schiumatoio), le cui caratteristiche saranno trattate nei paragrafi successivi.

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IL PROGETTO (2)

A) GLI ANIMALI (non idonei) Anemone Non è un caso se ho indicato quest’animale subito dopo il pesce, perché nelle fantasie più ricorrenti, la simbiosi tra anemone e pagliaccio la fa da padrone. Partiamo dal presupposto che nel paragrafo precedente non sia riuscito a convincervi sull’inopportunità di tenere un pesce pagliaccio in un nano e che siate fermamente convinti nel voler assistere al fenomeno tra i due organismi, beh, la prima cosa da sapere è che il pesce andrà in simbiosi nel momento in cui lo riterrà opportuno e con l’invertebrato (o altro) che più riterrà di suo gradimento. Sono frequenti i casi di simbiosi con invertebrati del genere Sarcophytum o Euphyllia, a discapito della povera anemone che se ne resta tutta sola, ma sono altrettanto frequenti i casi in cui non va in simbiosi con nulla, o paradossalmente lo fa con le pompe di movimento della vasca. Simbiosi a parte, l’anemone è un animale esigente e pericoloso che mal si adatta nei nanoreef. L’allevamento di questi animali richiederebbe delle vasche dedicate, con ottimi valori chimici dell’acqua, buon movimento e molta luce. Queste condizioni sono impensabili da riprodurre in un nanoreef, in particolar modo poi, se si pensa pure di inserire un pesce. Ma il vero problema dell’anemone è che spesso e volentieri gira per la vasca urticando tutti gli organismi che incontra sulla sua strada per poi finire, magari, tritata in mezzo a una pompa di movimento. La particolarità di quest’animale è che in caso di decesso (non necessariamente all’interno di una pompa, in genere quando inizia a deperire per la mancanza delle condizioni che ho indicato sopra, non è più possibile recuperarla) rilascia delle tossine che sono in grado di uccidere ogni organismo presente in vasca, rocce comprese. Si è verificato pure in vasche di medie dimensioni, e in un nanoreef, non c’è praticamente scampo. Non aggiungo altro. Cerianthus Per certi aspetti è un parente dell’anemone, anche se è un animale molto più robusto che predilige le zone d’ombra. Il problema relativo al nanoreef è di compatibilità con gli altri ospiti in vasca. Da tenere presente che cresce molto e la notte allunga i suoi tentacoli urticanti alla ricerca di prede di cui nutrirsi. La migliore delle ipotesi è che ustioni qualche corallo nelle vicinanze, quella peggiore è che un pesce o un gamberetto si vengano a trovare nel percorso dei tentacoli e diventino uno spuntino notturno. Filtratori Questo genere comprende Spirografo, Tridacna, Lima scabra e tutti quegli organismi che traggono sostegno dalla filtrazione dell’acqua. Per loro la condanna a morte, in uno spazio così piccolo e povero di nutrimento specifico è quasi certa. La Tridacna necessita poi di una forte illuminazione che raramente è installata su un nanoreef. Stelle marine Se escludiamo quelle già presenti sulle rocce vive, del genere Asterina od Ophiura, nessuna stella è idonea a vivere in una vasca di piccole dimensioni. La classica Fromia (rossa) e Linkya (blu) sono condannate a morte certa, in quanto si nutrono di flora bentonica che possono trovare solo su rocce presenti in vasche grandi e allestite da anni. Nudibranchi ornamentali Anche per questi bellissimi parenti delle lumache, il problema principale è l’alimentazione. A seconda della specie necessitano di un’alimentazione specifica costituita da cibo vivo; condizione impraticabile anche per le vasche di litraggio superiore.

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IL PROGETTO (3)

A) GLI ANIMALI (idonei) La lista degli animali idonei a essere tenuti in un nanoreef è abbastanza lunga e mi limiterò quindi a riassumerla per generi. Occorre sempre tenere presente le compatibilità tra le varie specie e lo spazio a disposizione nella vasca. Gamberetti I candidati ideali sono i Thor Amboinensis, che date le piccole dimensioni, possono essere inseriti in gruppetti di 4/6. Sono animali particolari che hanno un movimento caratteristico somigliante a una specie di danza. I rimanenti sono di dimensioni maggiori, si parte dai Lysmata Amboinensis, Debellius, Wurdermanni. I Wurdermanni, se addestrati, possono rappresentare un rimedio nel controllo di anemoni infestanti quali le aiptasie. Sono comunque animali timidi e tendenzialmente notturni, caratteristica da tener presente, se si inseriscono per motivi estetici. Da evitare invece gli Stenopus Hyspidus in quanto oltre che a essere territoriali, tendono a crescere molto. E’ sconsigliabile pure inserire differenti specie in vasche piccole. Granchi Occorre cercare animali che restino piccoli, come il Neoliomera Pubescens e che non siano pericolosi per i coralli. Sono anch’essi animali timidi e notturni, per cui poco visibili in vasca. Paguro Il paguro è un piccolo crostaceo che vive all’interno di un guscio sottratto a una lumaca. Ne esistono diverse specie, ma il Clibanarius Tricolor da preferire per le sue ridotte dimensioni e la livrea di color azzurro elettrico. E’ un animale onnivoro che si nutre principalmente dei residui organici trovati in vasca, alghe e fauna bentonica. Come tutti i crostacei è un animale molto intelligente, ma per certi aspetti fastidioso poiché ha la cattiva abitudine di ribaltare piccole rocce o talee di corallo alla ricerca di qualche cosa da mangiare. Come per i gamberetti, non è il caso di inserirne più di un paio, altrimenti è molto probabile che si uccideranno. Da tenere presente, infine, il fattore crescita che richiede la disponibilità di una “nuova casa” nel momento in cui il crostaceo ne sentirà la necessità. Potrebbero quindi essere a rischio le lumache presenti in vasca, o il paguro stesso che nel caso non dovesse trovarla, sarà condannato a morte certa. I paguro, come tutti i crostacei, mutano di frequente, per cui non spaventatevi se troverete periodicamente il “vecchio vestito” sul fondo della vasca. Lumache Questi animali non hanno nulla di spettacolare, ma sono indubbiamente utili nel controllo delle alghe infestanti. E’ sempre consigliabile non esagerare col numero degli esemplari, per evitare problemi di sopravvivenza alimentare. La classica Turbo è la specie più indicata nella lotta alle alghe. Coralli I coralli hanno diverse classificazioni, ma la distinzione più comune si riassume nella caratteristica di avere una struttura scheletrica (DURI) o meno (MOLLI), e, relativamente ai primi un’ulteriore divisione tra coralli a polipo corto (SPS) e a polipo lungo (LPS). La scelta di quale tipo di corallo allevare, influenzerà sensibilmente la parte tecnica, ovvero l’attrezzatura che dovrà essere installata. E’ da tenere presente da subito che in una vasca piccola non sarà possibile allevare tutti e 3 i generi, sia per le differenti esigenze in termini di luce, movimento e qualità dell’acqua, che per problemi di territorialità, e non per ultimo, la difficoltà relativa all’allevamento degli SPS legata sia all’esperienza che all’instabilità intrinseca tipica di una piccola vasca. In questa guida affronterò principalmente la gestione di una vasca “facile”, ovvero composta principalmente da molli e pochi LPS, facendo riferimento al genere SPS, solamente per quanto riguarda l’attrezzatura.

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IL PROGETTO (4)

B) L’ILLUMINAZIONE (1) La luce è un fattore fondamentale nella gestione della vasca, sia per quel che riguarda la crescita dei coralli che per tutte quelle attività biologiche e chimiche, dalle quali dipende la qualità dell’acqua. Prima di entrare nel dettaglio dei tipi di bulbo e le relative plafoniere, penso sia necessario un breve cenno teorico sulle unità di misura che ci interessano. - Watt indicano il consumo della lampada e non sono, in linea di massima, indicatori validi sull’efficacia della sorgente luminosa. Negli acquari dolci si prende in considerazione il rapporto tra watt e litri netti, in relazione alle esigenze delle piante acquatiche, attestandosi normalmente tra 0,5 e 1 w/l, a differenza del marino dove ha ben poco significato. C’è da dire però che alcuni parametri importanti non vengono pubblicizzati dai fabbricanti, per cui, lasciando stare il rapporto w/l, il consumo di una lampada può rappresentare un punto di partenza per avere almeno un orientamento su un ipotetico rendimento, a seconda del tipo di bulbo. - Lumen misurano il flusso luminoso emesso in tutte le direzioni. E’ anch’esso un dato di importanza relativa, in quanto nella gestione di un acquario occorre far riferimento al tipo di luce necessaria alla crescita degli animali. Il lumen ci dà un’indicazione più utile a uso civile per fare delle valutazioni di luminosità ambientale. - Lux rappresentano in parole povere i lumen rapportati a un metro quadrato di superficie. Valgono le stesse considerazioni di cui sopra. - Kelvin è la temperatura di colore della luce. Per capire bene questa misurazione basta pensare a un pezzo di ferro che scaldato inizia a prendere una colorazione che, in crescendo, varia dal rosso, al bianco, all’azzurro. E’ un parametro significativo per la valutazione delle fonti luminose per acquariofilia, anche perché strettamente connesso ai PAR. - PAR misura l’energia disponibile per la fotosintesi, cioè quella parte necessaria anche alla vita delle zooxantelle, alghe simbionti di molte specie di coralli. E’ un parametro preso dal mondo “vegetale” e l’applicazione in acquariofilia è ancora abbastanza discussa. A oggi, si sostiene che sia il riferimento più utile per la valutazione di una lampada ad uso acquaristico. Un fattore da tener presente, nella scelta del bulbo è che al crescere dei PAR diminuiscono i °Kelvin. In parole povere, più la luce tende all’azzurro, più bassa è la quantità di energia disponibile per la fotosintesi. Per questo motivo, in caso di illuminazione scarsa, si tende a evitare il classico neon blu, o attinico. - PUR è un parametro ancora abbastanza sconosciuto e poco utilizzato che indica la capacità di una cellula fotosintetica di sfruttare tutta la radiazione PAR. La domanda che viene spontanea, è come scegliere un bulbo adatto alla nostra vasca, anche in considerazione delle unità di misura date sopra. In teoria, dovremmo ragionare solamente in termini di PAR, cioè cercare una lampada che fornisca il maggior numero di radiazioni utili alla fotosintesi. In pratica non è affatto semplice, perché difficilmente i fabbricanti riportano questo dato e le apparecchiature per misurarli sono abbastanza costose. Da tenere presente pure che dato che al crescere dei PAR diminuiscono i K, per avere il massimo rendimento sarebbe necessaria una luce giallina, per niente bella, in una vasca. Si cerca quindi di barcamenarsi con gli altri parametri noti, ovvero i watt e i gradi Kelvin, trovando un compromesso anche con l’estetica. Normalmente si utilizzano bulbi tra i 10 e i 14000K, cercando di fornire quanti più watt possibili per la vasca e il portafoglio.

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IL PROGETTO (5)

B) L’ILLUMINAZIONE (2) IL TIPO DI LUCE LAMPADE A INCANDESCENZA Per capire meglio di cosa stiamo parlando, e soprattutto per dare un significato alle unità di misura esposte prima, penso che la cosa migliore sia di partire dal concetto di luce tradizionale. È il caso della classica lampadina domestica, composta da un filo di tungsteno (o materiali simili) che, posto sottovuoto in un bulbo trasparente e attraversato da corrente elettrica, si scalda fino a emettere luce.Il consumo della lampadina è espresso in watt, e la resa luminosa in lux o lumen. La temperatura di colore, misurata in gradi Kelvin è appunto il colore della luce, che nelle lampade a uso civile sta attorno ai 2000K. Il tutto per avere una luce il più possibile simile a quella diurna. Questo tipo di luce non è idoneo all’utilizzo in acquariofilia, poiché manca lo spettro e le radiazioni necessarie alla fotosintesi. E’ però utile come riferimento, perché più o meno tutti i tipi di illuminazione si basano su questo principio, ma è soprattutto importante sapere che tutte le lampade a risparmio energetico (neon, PL, ES) fanno riferimento a questo tipo di lampada. Il paragone è ingannevole, in quanto in acquariofilia non si usano lampade a incandescenza, e non è quindi possibile parlare di lampade a risparmio energetico. Non in questi termini almeno. LAMPADE A FLUORESCENZA A differenza delle lampade a incandescenza, la luce viene prodotta per l’emissione da parte del "plasma", che viene generato, ionizzando tramite il passaggio di corrente elettrica, il gas contenuto all'interno della lampada. È il caso dei neon e derivati (T5,T8,PL,ES) dove nel tubo sono contenute miscele di gas che consentono di ottenere diversi spettri luminosi, e, conseguentemente, differenti temperature di colore. Necessitano di un alimentatore specifico, per il funzionamento, che può essere di tipo ferromagnetico o elettronico (da preferire). Nelle versioni più compatte, quelle comunemente chiamate a risparmio energetico (ES) l’alimentatore è incorporato nella base della lampada. T8 di diametro più grosso dei T5 e meno efficienti, sono utilizzati prevalentemente nelle vasche di acqua dolce, dove è richiesta meno potenza luminosa. T5 sono i classici tubi per il marino, con potenze variabili dagli 8 agli 80W. Il mercato offre una vasta scelta di questi prodotti, sia come temperature di colore che come miscele di gas contenuto all’interno. Uno degli aspetti interessanti di questo tipo di lampada è che i gas in essa contenuti possono falsare la percezione dei colori, esaltando determinate fluorescenze nei coralli. Da tenere presente, inoltre, che tutte le lampade a fluorescenza hanno un decadimento delle prestazioni abbastanza rapido. Dopo 5 mesi sarebbe il caso di sostituirli, soprattutto nelle vasche popolate da coralli esigenti. Fate attenzione alle marche che acquistati, perché ce ne sono di ottime e di pessime. PL concettualmente potrebbero rappresentare un tubo T5 piegato a U. Nella pratica non si sa se a livello qualitativo le miscele di gas possano essere performanti (ne dubito) come per i T5 di marca. E’ certo però, che per la particolare forma del tubo, vi è una dispersione luminosa dovuta alla rifrazione interna tra i due tubi. Necessitano anch’esse di un alimentatore. Restano comunque la scelta quasi obbligata per i nanoreef, in quanto le dimensioni, che vanno dai 15 ai 50cm, con un wattaggio variabile dai 9 ai 55W, sono le ideali per vasche piccole. Per la durata si suppone che siano simili ai tubi T5, anche se non è un dato certo , ES la forma è quella delle lampadine da casa a risparmio energetico, ed è la lampada che ha il peggior rendimento nella categoria. Il motivo dipende principalmente dalla disposizione dei tubi, che aggiunge alla dispersione tipica delle PL un ulteriore spreco di luce dovuto all’affiancamento dei tubi. Hanno il vantaggio di non dover necessitare di alimentatore esterno e la semplicità di un attacco a vite standard montato su plafoniere economiche, ma è bene tenere presente che a dispetto del nome non vi è nessun risparmio energetico.

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B) L’ILLUMINAZIONE (3) IL TIPO DI LUCE LAMPADE AD ALOGENURI METALLICI (HQI) Il principio di funzionamento è simile a quello dei tubi neon, seppure con gas diversi e caratteristiche molto differenti. Sono bulbi di ridotte dimensioni con potenze variabili dai 70 ai 1000W, uno spettro abbastanza completo, e un fascio luminoso molto concentrato. Necessitano anch’essi di un alimentatore specifico, che può essere di tipo ferromagnetico o elettronico. A prima vista, in considerazione delle ridotte dimensioni, potrebbero sembrare il tipo di luce ideale per un nanoreef. Occorre però tener presente le difficoltà legate alla gestione di lampade ad alta efficienza, quali l’alto calore sviluppato e l’emissione di raggi UV LED Sfruttano le caratteristiche di alcuni materiali semiconduttori e con molta probabilità, nei prossimi anni rappresenteranno una valida alternativa alle lampade a fluorescenza. In Italia la commercializzazione di plafoniere LED è iniziata da poco, per cui (anno 2008), non si hanno ancora dati certi né sulla crescita degli animali e neppure sulla durata. I vantaggi teorici non sono indifferenti: basso consumo, lunga durata, scarsa emissione di calore, ne fanno i candidati ideali soprattutto per le piccole vasche. Purtroppo i costi sono ancora alti, e la reperibilità di prodotti finiti è abbastanza scarsa, per cui, al momento conviene aspettare gli sviluppi futuri. LA PLAFONIERA La scelta della plafoniera, vale a dire il contenitore delle lampade che potrà essere montato appeso o appoggiato a bordo vasca, è senza dubbio la parte più impegnativa nell’allestimento di un nanoreef. Il problema delle dimensioni è rilevante, e il mercato offre scarse alternative. In linea teorica bisognerebbe scegliere dei prodotti costruiti con un certo criterio, ovvero una buona parabola riflettente, un corretto progetto per la dissipazione di calore, ballast (alimentatori) di qualità. Il più delle volte ci si deve accontentare con quel che si trova, non escludendo l’ipotesi di costruirsela. La lampada PL, candidata per eccellenza nelle piccole vasche, è reperibile solo in pochi modelli, alcuni dei quali veramente pessimi per quel che riguarda la progettazione della parabola e ballast. E’ importante dimenticarsi del tubo blu (attinica) nel caso che non si disponga di un discreto numero di tubi sulla vasca, in quanto questo colore di luce è di secondaria importanza, per la crescita degli animali. Se per esempio in una vasca da 35x35 prevederete 4 bulbi PL da 24W, allora uno di questi potrà essere blu. Diversamente è meglio limitarsi solo alla componente bianca. I neon T5 rappresentano un’ottima soluzione per le vasche superiori a 60cm di lunghezza, e quindi non propriamente nanoreef. Anche per questo tipo di luce, molto più disponibile sul mercato, occorre orientarsi su modelli costruiti con materiali di qualità e riflettenti singoli, altrimenti la differenza con le PL non sarà particolarmente rilevante. Le Energy saving la fanno da padrone, nelle vasche di piccole misure. C’è da dire che oltre ai limiti derivanti dalla forma del bulbo, la maggior parte dei prodotti non presenta un riflettente progettato per quel tipo specifico di bulbo. Vale a dire che con consumi alti, otterrete una scarsa resa. Le plafoniere HQI, invece, si prestano bene al montaggio su vasche piccole. Occorre tener presente, però, che i riflettori non nascono specificamente per i nanoreef, e per evitare di disperdere troppa luce all’esterno della vasca, è necessario matenere una distanza ravvicinata dal pelo dell’acqua, con i conseguenti problemi di aumento della temperatura ed emissioni di raggi UV.

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IL PROGETTO (7)

B) L’ILLUMINAZIONE (3) Fatta tutta questa disquisizione tecnica, viene da chiedersi, ora, quanta e quale luce mettere. La scelta è condizionata sia dal tipo di animali che intenderete allevare, che dalle dimensioni della vasca, ma indipendentemente da questi, la risposta non può essere che: “tutta quella che riuscite a farci stare”. Salvo qualche eccezione, non esistono coralli poco esigenti; diciamo piuttosto che esistono specie che meglio si adattano a una scarsa illuminazione, ma che con la giusta luce crescerebbero sicuramente di più. Oltre a questo ricordo che molti processi chimici e biologici sono collegati alla quantità di luce, e una vasca ben illuminata funzionerà senza dubbio meglio. Ciò non toglie che si possa allestire pure un nanetto con una modesta illuminazione, valutando attentamente gli animali che inserirete. Con un po’ di attenzioni e di gusto estetico si potranno avere ugualmente dei risultati. Andando sul pratico, se si ha intenzione di allevare dei coralli duri SPS, l’HQI è senza dubbio la soluzione migliore. Il taglio di partenza è da 150 W con una temperatura di colore di 12-14000 ° Kelvin. Da tenere presente che i bulbi 10000K potrebbero tendere al giallo, spesso dopo pochi mesi di utilizzo, e se non prevedete attiniche (neon blu), conviene senza dubbio tenere gradazioni più alte. Considerate pure che i bulbi HQI per acquariofilia hanno prezzi esorbitanti. Ho provato personalmente, insieme ad altri appassionati, dei bulbi di fabbricazione cinese, acquistati su ebay per pochi euro e devo dire che ne sono rimasto soddisfatto. Magari non potranno competere con le marche più blasonate, ma sono ugualmente validi, in particolar modo per un nanetto SPS, dove non si potranno avere troppe pretese. Una HQI da 150 W su una vasca cubica da 35 cm è perfettamente gestibile, facendo solamente attenzione a non avvicinarla troppo e a raffreddare la superficie dell’acqua tramite una coppia di ventoline, quando ve ne sarà bisogno. Per ottenere buoni risultati coi coralli duri, senza stare a impazzire con la chimica dell’acqua, una 250 W vi sarà sicuramente d’aiuto. Tenete in considerazione le dimensioni della vasca, ma soprattutto il fatto che questo tipo di illuminazione, con parabole riflettenti mediamente piccole, tende a emettere un fascio molto concentrato che potrebbe non riuscire a coprire vasche lunghe e strette. Se l’acquistate in un negozio la cosa migliore è vederla accesa e fare qualche prova con la distanza che vorrete tenere dal pelo dell’acqua. L’affiancamento dell’HQI ai neon attinici non è obbligatorio, in quanto lo spettro del bulbo è dipersè abbastanza completo. Potrà servirvi per creare l’effetto alba-tramonto (l’illuminazione progressiva della vasca partendo da quella più debole, i tubi neon blu) e per esaltare le fluorescenze di alcuni coralli, ma potrete sopravvivere tranquillamente senza. Per un nanetto tipico di molli e qualche LPS poco esigente, la scelta delle luci ricadrà sicuramente sulle lampade PL. I tagli più utilizzati sono le 18W, per vasche larghe ca 30cm e 24W per i 35 cm. Se avete un minimo di manualità non vi sarà difficile realizzare una plafoniera per questo tipo di lampade, magari riciclando il ballast (accenditore) montato sulle lampadine a risparmio energetico a uso civile. La quantità di bulbi ideale è di 4, e in quel caso, potrete decidere di “sacrificarne” uno al blu. Si ottengono buoni risultati anche con un numero inferiore, ma non meno di due. Un’alternativa potrebbe essere un faretto HQI da 70w, anche se sono di scarsa reperibilità. Chi avesse la possibilità di avere una vasca lunga 60cm, troverà sicuramente la migliore soluzione con una plafoniera T5, che, a seconda del numero di tubi montati, consentirà anche l’allevamento di coralli SPS. Il mercato offre diverse alternative su queste misure, ma è importante saper valutare bene il prodotto, scegliendo tubi di qualità montati con riflettore singolo, plafoniere con raffreddamento forzato e ballast elettronici. Questo tipo di vasca però, esula un po’ dal discorso nanoreef, in quanto con le opportune proporzioni si superano abbondantemente i 100 litri, ma come ho detto dalle prime righe, nano, mini, pico o micro sono tutte convenzioni che lasciano il tempo che trovano. Alla fine sono tutti acquari marini con problematiche più o meno simili.

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IL PROGETTO (8)

C) LA VASCA E L’ATTREZZATURA LA VASCA La scelta della vasca, una volta definite le misure della plafoniera, diventa relativamente semplice. Da tenere presente che il mercato offre principalmente vasche per acquari dolci; mi riferisco in particolar modo a quelle con coperchio e mobile, tendenzialmente strette e lunghe. I problemi che nascono dalla scelta di questi modelli sono molteplici: 1) un acquario marino deve essere aperto. Questa caratteristica è legata alla necessità imprescindibile di avere scambi gassosi tra la superficie dell’acqua e l’esterno. Si può rimediare prevedendo una circolazione forzata dell’aria, ma in ogni modo non si risolve il punto successivo. 2) le vasche industriali chiuse montano solitamente plafoniere adatte agli acquari di acqua dolce e richiedono modifiche al parco luci, che spesso non sono realizzabili, anche in considerazione dell’inevitabile aumento della temperatura provocato da esse. 3) le dimensioni non sono di solito idonee alla costruzione di una rocciata dall’aspetto naturale. La profondità è quasi d’obbligo, e una vasca lunga e stretta consentirà di creare solamente una struttura rocciosa molto simile a un muro. La forma di una vasca adibita a nanoreef va un po’ a gusto, e per quel che mi riguarda, ritengo che il cubo rappresenti il miglior compromesso di dimensioni. Le misure più comuni sono 30x30, 40x40 e via dicendo. C’è da dire che per vasche piccole, se si possiede un minimo di manualità, sarà pure possibile assemblarsele da soli, facendo solo attenzione a non utilizzare silicone antimuffa che causerebbe gravi scompensi nell’attività batterica presente in vasca. E’ pure possibile farsele costruire su misura da alcuni vetrai, premurandosi di chiedere più preventivi prima di acquistarle. A seconda delle dimensioni, si sceglierà cristallo di spessore 4, 8 o 10mm. Fate attenzione che le vasche commerciali sono solitamente molto sottili, come spessore, e se gli andate a togliere la struttura che incorpora il coperchio, correte il rischio di indebolire tutta la struttura, con conseguenti rischi di spanciamento, se non peggio. LE POMPE Il movimento, come vedremo più nel dettaglio, in seguito, è un fattore critico nella gestione della vasca, nel senso che da esso dipende il corretto equilibrio chimico e biologico del sistema. Nella sostanza esistono due tipi di movimento differente:

- Quello ricavato utilizzando le normali pompe da acquario (lamellare) che è da utilizzare solamente nel caso in cui la vasca sia troppo piccola per l’altro tipo.

- Il movimento da pompe specifiche per l’utilizzo (stream) che è da preferire

Il getto delle pompe lamellari può essere paragonato a quello di un rubinetto dell’acqua, mentre le stream generano un flusso conico che si allarga. Diventa abbastanza intuitivo comprendere che all’interno di una vasca è da preferire un getto aperto e delicato, piuttosto che l’altro, sia per la salute degli animali che per la circolazione dell’acqua stessa. La portata delle pompe deve essere maggiore di 20 volte il volume in litri della vasca. E’ un’indicazione approssimativa, poiché il movimento dipende anche dal tipo di animali che si allevano, dalla loro collocazione nella vasca e dalla disposizione della rocciata stessa. Occorrerà quindi fare qualche prova verificando che gli animali non siano troppo disturbati dalle pompe e tenendo presente che nessun corallo può vivere sotto il getto diretto di una pompa. Tendenzialmente si consiglia di utilizzare due pompe di movimento poste ai lati della vasca, da far funzionare in cicli alternati di 6 ore e prevedendo una mezz’ora di sovrapposizione. Questo per permettere un corretto ricircolo dell’acqua in tutta la vasca, ed evitare la formazione di ristagni, anche se in quelle più piccole, è possibile utilizzare un’unica pompa.

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IL PROGETTO (9)

D) L’ATTREZZATURA LO SCHIUMATOIO, O SKIMMER E’ un tipo di filtro non indispensabile nei nanoreef, semprechè non si ospitino pesci. Il funzionamento simula quanto avviene in natura: le onde, infrangendosi sulla spiaggia, formano una schiuma che porta con sé le sostanze organiche disciolte nell’acqua. L’apparecchio riproduce artificialmente questa schiuma, e gli scarti organici aderiscono alle bollicine di cui la schiuma è composta per essere raccolti successivamente in un bicchiere. Lo schiumatoio non filtra solamente composti inquinanti, ma anche altri elementi di cui se ne renderebbe necessario il reintegro. Il problema legato alle vasche di piccole dimensioni è che il mercato non offre nulla di affidabile, salvo qualche rara eccezione. Per un nanetto da 35 litri netti, la scelta migliore è senza dubbio il Sander a porosa, e a salire dai 50/60 litri in su, il Deltec 300, Tunze nanodoc, H&S 90. Pur non avendoli provati personalmente, eviterei quei minischiumatoi cinesi che hanno l’aspetto di un filtro a zainetto. Non lasciatevi ingannare dal fatto che fanno un po’ di schiuma, perché la stessa deve avere delle caratteristiche specifiche per indicare che un apparecchio funziona. IL FILTRO A ZAINETTO E’ utile nell’impiego del carbone o delle resine. Non esistono indicazioni particolari o preferenze. Basta solo valutare che all’interno ci sia lo spazio per contenere i due prodotti nella proporzione di 1ml/litro. Tutto quello che viene fornito a corredo non va utilizzato: spugne, cartucce di carbone compresso, cannolicchi o quant’altro. L’OSMOREGOLATORE L’evaporazione dell’acqua è un fenomeno da tener sotto controllo, in particolar modo in un nanoreef, dove un calo del livello di acqua di un cm potrebbe corrispondere a un brusco sbalzo della salinità. Nell’evaporazione, infatti, i sali minerali restano in vasca alterando la concentrazione del liquido. L’osmoregolatore non è altro che un galleggiante elettrico, che, all’abbassarsi del livello in vasca, aziona una pompa che provvede al ripristino di acqua dolce. Ne esistono diversi modelli in commercio e con differenti sistemi di rilevazioni, anche se la scelta più economica consiste nel farselo da sé, operazione alla portata di tutti, o quasi. IL RISCALDATORE L’acquario deve essere tenuto a una temperatura costante di circa 26° e il dimensionamento del riscaldatore varia sia in funzione del volume della vasca che del delta termico con l’esterno. Personalmente preferisco apparecchi sovradimensionati, in quanto, nella stagione invernale, è sufficiente lasciare la finestra aperta per pochi minuti per causare un sensibile calo della temperatura. Con un riscaldatore potente sarà possibile compensare questa variazione velocemente. Come contropartita, il rischio che se si incolla un contatto del termostato, l’acqua arrivi a una temperatura pericolosa per gli organismi ospitati. Il riscaldatore deve essere sempre di una buona marca, quelli che preferisco sono i Jaeger, ma ce ne sono anche altri. LE VENTOLE Nella stagione estiva, e in caso di utilizzo di lampade HQI molto potenti, le ventole contribuiscono a mantenere una temperatura stabile in vasca. Il raffreddamento si basa sul principio dell’evaporazione, per cui, il flusso dell’aria andrà posizionato in modo che sia quasi parallelo alla superficie dell’acqua. Da tenere presente che la temperatura massima in vasca non deve superare eccezionalmente i 28/29°. In commercio si trovano soluzioni destinate all’uso acquariofilo, ma è comunque possibile costruirsele da soli con pochi euro. In pratica sono le ventoline montate per raffreddare i personal computer che vengono vendute al ricambio.

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FACCIAMO QUATTRO CONTI Dopo aver visto l’elenco delle attrezzature necessarie, si può iniziare ad avere un’idea concreta della spesa che andremo a sostenere. I prezzi indicati sono relativi ai siti di vendita online nel corso del 2008. Chiaramente è possibile risparmiare, acquistando materiale usato o costruendosi il possibile, o spendere di più, se si acquista tramite i negozi tradizionali. Riporto qui una considerazione che forse andava fatta dall’inizio, ma che ho ritenuto più opportuno inserire in questa parte per evitare che venisse dimenticata nel momento in cui si tirano le somme: La stabilità di una vasca e conseguentemente la sua facilità di gestione, è strettamente correlata al volume di acqua contenuta. In poche parole più la vasca è piccola più sarà “delicata”. Con questo non voglio dire che i nanoreef siano vasche per esperti, impossibili da gestire, tutt’altro. Quello che intendo è che con una vasca grande, la gestione è sicuramente semplificata e per chi inizia sarebbe sicuramente un bel vantaggio. Il problema è poi la spesa, ed è per questo che ho inserito il discorso in questo paragrafo, per evitare che per spendere poco ci si orienti verso soluzioni troppo minimali. Per contro devo dire che sto gestendo da qualche mese, senza nessuna difficoltà o particolari attenzioni, una vaschetta da 10 litri che contiene qualche molle e un paio di lps. E’ sicuramente una configurazione rischiosa, dove un errore potrebbe andare a monte tutto, però la vedo anche come una soluzione fattibile con poca spesa, per chi volesse fare un tentativo molto economico. Basta solo stare attenti a non fare errori grossolani che indicherò nella parte relativa alla gestione. Partiamo dal 10 litri, quella che di solito viene definita picoreef Vasca 30x20x20 15 euro Pompa 400 lt/ora(*) 10 euro Riscaldatore 10w 10 euro Plafo 2x18 autocostruita 50 euro Osmoregolatore auto costruito 30 euro TOTALE 115 euro (*) questo è un esempio in cui il movimento in vasca supera abbondantemente le indicazioni standard secondo le quali sarebbe stata necessaria una pompa da 200 lt/ora Vasca da 30 litri, il classico wavebox 30 Vasca 30x30x35 Solaris 18W 75 euro Zainetto niagara Solaris 18W aggiuntiva 40 euro (cercatela usata perché non vale questa cifra) Riscaldatore 50w 15 euro Pompa nanokoralia 25 euro Osmoregolatore auto costruito 30 euro TOTALE 185 euro La vasca da tenere in considerazione per un nanetto medio di molli/lps è quella da 30 litri. A questa cifra va’ poi aggiunto il costo del rifrattometro (strumento indispensabile per la misurazione della salinità, da non sostituire assolutamente con altri meno affidabili, quali, densimetri a lancetta o a galleggiante) che si può trovare a circa 25 euro su ebay, le rocce, con un prezzo medio variabile dai 10 ai 20 euro al kg, sale, acqua e un kit di test. In una configurazione veramente essenziale, anche ricorrendo all’usato o al faidate, si può stare nell’ordine dei 300/350 euro, ma è facile che “scappi” qualcosa in più nel corso della gestione (integratori, carbone, ecc. ecc.).

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LA CHIMICA All’interno di un acquario si verificano costantemente molteplici reazioni chimiche e biologiche. Per una buona conduzione della vasca, non vi è la necessità di conoscerle in maniera approfondita, ma occorre aver chiari alcuni concetti e termini che saranno ricorrenti. In questo capitolo cercherò di esporre in maniera chiara e semplificata quello che è importante sapere, unendo la teoria alla pratica quotidiana. L’ACQUA E IL PROCEDIMENTO DI OSMOSI INVERSA La vasca è fondamentalmente composta da acqua e sale ed entrambi devono essere di buona qualità. Per la preparazione dell’acqua salata, occorre che la stessa, proveniente dall’acquedotto, sia preventivamente depurata. Allo scopo si utilizzano due differenti sistemi: le resine a scambio ionico e gli impianti di osmosi. Le colonne di resine sono tuttavia impianti abbastanza costosi e che necessitano di manutenzioni particolari, per cui, per uso hobbistico si ricorre generalmente all’utilizzo degli impianti di osmosi. Senza entrare troppo nei particolari sul funzionamento, la filtrazione avviene tramite più stadi, per mezzo dei quali è possibile avere un’acqua depurata da ogni sale, metallo o sostanza dannosa che potesse essere presente. Un impianto di osmosi di discreta qualità costa intorno ai 100 euro, e per una vasca di piccole dimensioni, può risultare una spesa sproporzionata. La soluzione più conveniente è quella di acquistarla nei negozi di acquariofilia a un prezzo variabile tra i 10 e i 20 cent/litro. Occorre però essere sicuri della purezza dell’acqua, in quanto, non è infrequente che in tali impianti venga fatta una scarsa manutenzione. Se non avete una fiducia cieca nei confronti del vostro negoziante, occorre acquistare un piccolo apparecchio in formato penna chiamato conduttivimetro. Questo strumento, dal costo di poche decine di euro, permette di misurare il grado di purezza dell’acqua tramite il valore di conducibilità. La conducibilità è l’attitudine che ha un corpo a trasportare energia elettrica; più alta sarà la conducibilità e meno pura sarà l’acqua. L’unita di misura è normalmente espressa in us/cm e il valore di riferimento per l’utilizzo in acquario è inferiore ai 10 us/cm. In linea teorica si definisce acqua d’osmosi quella che ha un valore inferiore a 40us/cm, ma la conducibilità è una misura quantitativa, non ci indica cioè quali sono i solidi presenti nel liquido, e nel dubbio conviene star bassi. L’acqua d’osmosi può essere conservata in taniche chiuse, pulite e lontane dalla luce per parecchio tempo, per cui è possibile farsene una scorta da utilizzare al bisogno. E’ importante sottolineare che in un acquario marino va utilizzata solamente acqua d’osmosi prodotta sul momento, scartando a priori la distillata o deionizzata venduta nei supermercati. Tantomeno si potrà utilizzare acqua di rubinetto addizionata a biocondizionatori. Se il negoziante vi propone una soluzione del genere, la cosa migliore che potete fare è cambiare negozio. IL SALE Per la preparazione dell’acqua marina esistono diverse marche di sale idonee allo scopo, che si differenziano da quello alimentare per la diversa composizione e raffinazione. La domanda ricorrente, ovvero, “qual è il miglior sale” trova una risposta il più delle volte soggettiva. Questo perché in linea di massima vi sono diversi parametri di valutazione e differenti necessità di utilizzo. In un nanoreef, dove l’integrazione degli elementi è affidata per la maggior parte ai cambi dell’acqua, si potrebbe azzardare che un buon sale è tendenzialmente “carico” di alcune sostanze, in modo da poter apportare quello che viene regolarmente consumato. L’affermazione è vera al 50%, ma starà a voi, con l’esperienza, stabilire quale sale vi piace di più. Per iniziare io consiglio il Tropic Marine o il Preis, proprio in funzione di quanto appena affermato. E’ importante acquistare confezioni piccole e premurarsi di chiuderle adeguatamente, in quanto il sale ha la caratteristica di assorbire l’umidità dell’aria, e un eccesso potrebbe renderlo inutilizzabile.

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LA CHIMICA SALINITA’ DENSITA’ E PESO SPECIFICO Il rifrattometro Un parametro fondamentale nella gestione dell’acquario marino è la misurazione della concentrazione del sale disciolto in acqua. Esistono differenti strumenti e altrettante unità di misura, ma il miglior rapporto precisione/costo lo si ottiene tramite l’utilizzo del rifrattometro. Il rifrattometro è uno strumento ottico, che tramite il principio della rifrazione, è in grado di misurare la salinità o il peso specifico, definito anche come gravità specifica. L’utilizzo è molto semplice, basta porre una goccia sul prisma, chiudere il vetrino e guardare attraverso l’oculare, dopo aver atteso qualche secondo. Tutti gli apparecchi in commercio, oramai, hanno il dispositivo di correzione automatica della temperatura, che permette di aggiustare la lettura secondo la temperatura del campione di liquido prelevato. E’ però importante tararlo periodicamente utilizzando acqua bidistillata alla temperatura di 20° evitando l’utilizzo di acqua di rubinetto, d’osmosi, distillata o altre. L’acqua bidistillata è reperibile in farmacia (di solito è chiamata soluzione sterile iniettabile) al costo di circa 15cent/fiala. La taratura dello strumento va effettuata con una certa frequenza, in particolar modo nei cambi di stagione, quando la temperatura ambiente subisce cambi repentini. E’ importante non dimenticarsene, perché spesso le differenze sono nell’ordine dei 2/3 punti. Il costo di questo strumento, a livello hobbistico varia dai 25/30 euro (ebay) ai 50/60 nei negozi tradizionali. Sconsiglio nella maniera più assoluta l’acquisto di densimetri a lancetta o galleggiante, in quanto, seppur più economici, sono parecchio imprecisi. Le unità di misura La proporzione dei sali contenuti nell’acqua marina è espressa in permille ‰ (ppt), vale a dire che 1000 gr. di soluzione salina al 35‰ sono composti da 965 gr. di acqua e 35 gr. di sale. Questo valore indica la salinità che è l’unità di misura più corretta per riferirsi a questo parametro. Tuttavia vengono spesso utilizzati altri due valori, a volte in maniera del tutto errata e vale la pena di precisarli: - La densità rappresenta la massa del volume occupato da un fluido rappresentata tramite un rapporto tra peso e volume a una determinata temperatura; è un valore superiore a 1000 che si ricava dalla lettura tramite il densimetro a galleggiante. A una salinità del 35‰ alla temperatura di 25° corrisponde una densità di 1023,5. - Il peso specifico esprime invece un rapporto tra la densità del campione e quello dell’acqua pura, sempre alla stessa temperatura, ed è il valore indicato dal densimetro a lancetta o dal rifrattometro. Il valore corrispondente a una salinità del 35‰ è uno virgola zeroventisei che ho indicato in lettere proprio per evidenziare l’errore che spesso accade. Spesso si confonde l’indicazione della densità con il peso specifico, omettendo la virgola e creando confusione. Il sistema più sicuro è riferirsi sempre alla corretta unità di misura della salinità, cioè 33-34-35-36 ‰, ma nel dubbio, indico la conversione tra le principali unità di misura. - Altra unità di misura, poco utilizzata principalmente a causa del costo della strumentazione, è la conducibilità. Di questa se n’è già parlato nel paragrafo relativo all’acqua d’osmosi. Da tenere presente, però, che per la misurazione dell’acqua salata occorre uno strumento con lettura in millisiemens ms/cm, che è solitamente differente da quello utilizzato per l’acqua d’osmosi, il cui valore è espresso in microsiemens us/cm. La conversione con una salinità al 35‰ corrisponde a una conducibilità di 53ms/cm, sempre riferito a una temperatura di 25°.

Conducibilità ms/cm

Densità g/l

Salinità Ppt - ‰ Peso specifico

51,0 1022,2 33,5 1,0248 51,5 1022,5 33,8 1,0250 52,0 1022,8 34,2 1,0253 52,5 1023,0 34,6 1,0256 53,0 1023,3 34,9 1,0259 53,5 1023,6 35,3 1,0262 54,0 1023,9 35,7 1,0264

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LA CHIMICA LA PREPARAZIONE DELL’ACQUA SALATA E’ un’operazione semplice che va eseguita seguendo solo qualche semplice regola:

- Si riempe un contenitore pulito d’acqua d’osmosi. - Supponendo che si voglia salare l’acqua al 35‰, che è il valore standard utilizzato negli acquari

di barriera, con una bilancia di precisione si pesa la quantità necessaria di sale nella proporzione di 36-37gr per litro. Per la proprietà igroscopica del sale non è possibile stabilire una quantità costante da utilizzare tutte le volte; occorre pertanto partire da un minimo e aggiustare secondo la lettura del rifrattometro.

- Si versa il sale lentamente, mescolando contemporaneamente con un attrezzo non metallico fino a che non sarà completamente scomparsa la polvere dal fondo.

- A questo punto si misura la salinità ed eventualmente si corregge. - L’acqua deve rimanere in movimento per 24 ore con l’ausilio di una pompa o di un aereatore a

porosa. E’ sconsigliato mettere in vasca l’acqua appena preparata, in quanto alcuni elementi necessitano di alcune ore per potersi disciogliere adeguatamente.

- Prima di essere messa in vasca va misurata nuovamente la salinità e portata alla stessa temperatura della vasca utilizzando un riscaldatore.

- NON mischiare mai marche di sali differenti. E’ importante porre una particolare attenzione nella miscelazione del sale con l’acqua, perché a volte può capitare che alcuni elementi non si sciolgano bene creando problemi negli equilibri chimici all’interno della vasca. L’acqua salata deve essere mantenuta in movimento e conservata per non più di 3/4 giorni. COMPOSIZIONE CHIMICA DELL’ACQUA MARINA pH Il pH è la scala di misura dell'acidità con un intervallo solitamente compreso tra 0 (fortemente acido) e 14 (fortemente basico o alcalino), con un valore intermedio di 7 che corrisponde alla condizione di neutralità tipica dell'acqua pura a 25°. Per i valori superiori a 7 si parla di soluzioni alcaline ed è il caso dell'acqua marina che in natura ha un valore medio prossimo a 8,2. Il pH è fortemente influenzato dai gas presenti in acqua e dal contenuto di sostanze alcaline quali carbonati e borati che provvedono a una funzione di “tampone” per compensarne le oscillazioni. La misurazione del valore di pH marino tramite i comuni test colorimetrici è poco attendibile e allo scopo si preferisce l'utilizzo di sonde elettriche montate in maniera stabile nella vasca, anche perché sarebbe necessario valutare l’andamento. Il valore ideale da mantenere, che può variare a seconda che le lampade siano accese o meno, è compreso nell'intervallo tra 8,0 e 8,4. Nei nanoreef, sia per l’onerosità di tali strumenti che per l’impossibilità di intervenire su tale valore, ci si occupa principalmente di mantenere le condizioni necessarie affinché il pH resti stabile all’interno di tale intervallo, vale a dire:

- buon movimento dell’acqua e sufficiente scambio gassoso con la superficie - carico organico scarso (pesci) e vasca pulita - giusto livello degli elementi tampone (KH)

Fate attenzione agli ambienti dove si soggiorna di frequente, in quanto la respirazione umana, il fumo e la qualità dell’aria, in genere scadente, creano problemi di pH basso per nulla trascurabili. KH – Durezza carbonatica e Alcalinità L'insieme di borati, carbonati e altri elementi costituiscono l'alcalinità totale che viene misurata abitualmente sulla scala della durezza carbonatica (KH). Una corretta proporzione di questo valore è fondamentale per il funzionamento della vasca, sia per la funzione di tampone che esercita sul pH, che per il ruolo basilare nei processi di calcificazione di molti organismi, quali alghe calcaree, alcuni molluschi e soprattutto i coralli duri di cui insieme al calcio ne è costituito lo scheletro. In natura il valore si attesta intorno ai 7°, mentre negli acquari si tende a mantenerlo a valori superiori, anche prossimi a 10°.

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LA CHIMICA COMPOSIZIONE CHIMICA DELL’ACQUA MARINA Ca – Calcio Anche il calcio, per i motivi sopra esposti, riveste una funzione fondamentale nella crescita degli organismi presenti in vasca. Il suo consumo è strettamente collegato a quello del KH e deve essere presente in concentrazioni equilibrate per evitare la precipitazione di uno o dell'altro elemento. In natura il valore si attesta intorno ai 400mg/L, mentre in una vasca si può mantenere uno scarto del 10% per eccesso o per difetto, fermo restando la proporzione con il valore di KH come segue:

Alcalinità ° KH Calcio Alcalinità ° KH Calcio

7.00 410.82 13.30 455.91

7.70 415.83 14.00 460.92

8.40 420.84 14.70 465.93

9.10 425.85 15.40 470.94

9.80 430.86 16.10 475.95

10.50 435.87 16.80 480.96

11.20 440.88 17.50 485.97

11.90 445.89 18.20 490.98

12.60 450.90 18.90 495.99 Se per concentrazioni superiori ai 450mg/L non sono stati dimostrati risultati apprezzabili, con valori sotto ai 360mg/L vi è un forte rallentamento della crescita corallina. Mg - Magnesio Altro elemento collegato al KH e al calcio è il magnesio, che tra le sue funzioni, ha anche quella di mantenere stabili i valori di quegli elementi. Il suo valore, in natura, è variabile tra i 1300 e 1500, a seconda della salinità. Nelle vasche si usa tenere un rapporto di 3-3,5 parti a 1, con il calcio. NELLA PRATICA La stabilità Nella pratica, tutto quello che ho riportato nel paragrafo precedente ha uno scopo principalmente informativo. Non c’è necessità di sapere nel dettaglio cosa comporta un tale valore o l’altro, ma in caso di dubbi o problemi è consigliabile ritornarci sopra. La gestione di un marino, grande o piccolo che sia, deve essere orientata alla stabilità degli elementi che ho indicato sopra. In poche parole si tratta di mantenere equilibrati i valori di KH, Calcio e Magnesio, per esempio 8-420-1350. Questo si realizza verificando periodicamente i valori della triade e reintegrando gli elementi mancanti di conseguenza. La frequenza dei test non ha uno standard, ma è collegata all’andamento della vasca. Nella fase iniziale di avviamento è consigliabile controllarli almeno una volta alla settimana, se non più di frequente, mentre a vasca stabile e avviata, se non ci sono stati particolari modifiche rilevanti (per esempio inserimento di nuovi animali che potrebbero averne aumentato il consumo), e una volta stabilita la curva dei consumi, operazione descritta nel paragrafo “gestione”, potranno essere controllati anche mensilmente. E’ importante però non trovarsi nelle condizioni di dover recuperare grossi scarti, in quanto, oltre alle conseguenze caratteristiche del singolo elemento, si creando situazioni di squilibrio che costringono gli animali ad adattarsi piuttosto che crescere. Il problema è particolarmente sentito da parte dei coralli duri che fanno uso di grandi quantità di questi elementi la cui carenza porta a problemi abbastanza gravi, non sempre risolvibili.

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LA CHIMICA NELLA PRATICA I test I test sono uno strumento indispensabile per la gestione della vostra vasca, che non deve essere affidato al negoziante. I motivi sono vari, e molti anche più che ovvi, ma in ogni modo quella mezz’oretta scarsa per le verifiche vale la pena di trovarla. Altrimenti è molto probabile che al posto dei valori, vi troverete delle risposte del tipo: “tutto bene” o “nella norma”, con le quali non potrete farci assolutamente nulla se non prenderne atto. Nel caso di KH, Calcio e Magnesio c’è da mantenere un rapporto specifico, che in alcune circostanze diventa pure instabile, per cui, non c’è verso, spendete quei 50 euro per comprarli, che saranno il vostro migliore investimento. Ricordatevi che i test vanno conservati a temperature inferiori a 25° e lontani dalla luce diretta, nonché sostituiti mediamente dopo sei mesi dall’apertura della confezione. Ci sono diverse marche di test, ma quelle che sono attendibili per gli acquari marini sono ben poche. Senza andare su test professionali o strumenti elettronici che hanno cifre da capogiro, i test che hanno il miglior rapporto qualità/prezzo sono, a mio avviso, i Salifert e i Tropic Marine, in particolar modo gli ultimi sono i più indicati per la misurazione degli inquinanti (nitriti, nitrati e fosfati). I buffer e gli squilibri ionici Vengono chiamati così gli integratori di KH, Calcio e Magnesio. Secondo la mia esperienza, a prescindere dalla marca, sono da preferire quelli in polvere, sia in termini di efficacia che di efficienza. Fate attenzione a non esagerare con le singole integrazioni e versateli in vasca, dopo averli diluiti in acqua d’osmosi, in una zona di forte movimento. Alcuni di questi, se entrano a contatto diretto con un corallo possono provocargli ustioni. C’è da dire anche che i singoli buffer vanno utilizzati quando c’è un elemento sbilanciato rispetto agli altri. Gli organismi presenti in vasca dovrebbero infatti consumare tutti e tre gli elementi in maniera bilanciata secondo il rapporto che ho indicato nella tabella precedente. A tale scopo esistono dei buffer bilanciati (A+B della Kent, per esempio) che permettono di reintegrare tutti i tre elementi, e anche altri minori, senza sbilanciare ionicamente la vasca. Lo squilibrio ionico deriva dal fatto che i preparati chimici per reintegrare i singoli elementi, contengono anche ioni di altri elementi che non vengono consumati. Per fare un esempio, reintegrando il calcio o il magnesio si vanno a introdurre anche ioni di cloro che col tempo, non essendo consumati, si troveranno in eccesso. Al problema si risolve con dei cambi d’acqua regolari, ma nel possibile sarebbe meglio evitare. LO SMALTIMENTO DEGLI ORGANICI (ciclo dell’azoto e del fosforo) Ogni organismo presente in vasca, a partire dai pesci per finire con la fauna bentonica (vermi, piccoli crostacei e altro che vivono all’interno delle rocce), si nutre di qualcosa e conseguentemente sporca. Nell’acquario vi è quindi una complessa catena alimentare che comporta una trasformazione continua delle scorie sino ad arrivare a un residuo a base di azoto e di fosforo. I composti azotati vengono mineralizzati dai batteri secondo una catena di trasformazioni che parte dall’ammonio/ammoniaca (NH3/NH4), ai nitriti (NO2), nitrati (NO3) per terminare in azoto gassoso, che viene liberato in superficie (e questo è uno dei motivi per i quali la vasca marina deve essere aperta). Anche per i residui a base fosforo, esiste una trasformazione da organico a inorganico, ma a differenza dell’azoto, non esiste una fase gassosa e di conseguenza è più facile trovare la presenza di fosfati inorganici (PO4) in vasca, Ammoniaca e nitriti sono pericolosi, anche a basse concentrazioni, mentre i nitrati sono meglio tollerati. La quantità tollerata è diversa a seconda che si tratti di pesci, coralli molli o coralli duri. Se entro certi limiti, i pesci non ne risentono affatto, i coralli duri, già a 5PPM (mg/lt) tendono scurire. Discorso simile per i fosfati, dove concentrazioni minime sono ben tollerate da pesci e molli, a differenza dei duri che oltre a uno scuri mento accusano problemi nella calcificazione.

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LA CHIMICA NELLA PRATICA E’ difficile dare delle indicazioni standard, senza avere una situazione esatta della vasca, per cui, questi sono solo suggerimenti di carattere generale da applicare con cautela, possibilmente dopo essersi consultati con una persona esperta e aver controllato che i test siano validi e correttamente conservati. Valgono per vasche già avviate e non in fase di maturazione, dove alcuni valori potrebbero essere irregolari pur non rappresentando un problema concreto. Valori alti di ammoniaca e nitriti indicano che i batteri nitrificanti non riescono a svolgere pienamente il loro lavoro. Questo potrebbe dipendere anche dalla morte di un organismo particolarmente tossico, come per esempio l’anemone. In questo caso un cambio d’acqua e carbone sono indicati, ma per le quantità occorre valutare lo stato della vasca. Valori alti di nitrati invece dipendono principalmente da errori di gestione o allestimento. Non esistono prodotti chimici per il marino che rimuovano i nitrati. Questi possono essere temporaneamente abbassati tramite cambi d’acqua con eventuale aggiunta di batteri freschi. E’ comunque un rimedio temporaneo poiché se non si risolve la causa il problema si ripresenterà dopo poco. Valori alti di fosfati possono invece essere abbattuti tramite le resine. Anche in questo caso occorre intervenire a monte per identificare e risolvere il problema. Carbone Il carbone ha proprietà di filtrazione sia meccaniche che chimiche. E’ infatti in grado di adsorbire (http://it.wikipedia.org/wiki/Adsorbimento) alcune impurità dell’acqua, rendendola più cristallina, nonché alcuni metalli pesanti, medicinali, terpeni, ecc. ecc. Va inserito in una calza, dopo averlo risciacquato abbondantemente con acqua calda e posto in una zona di movimento (filtro a zainetto). Può essere utilizzato a cicli di 4/5 gg al mese, o in via continuativa, cambiandolo una volta al mese e avendo cura, in questo caso, di smuoverlo ogni 3/4 giorni. Il dosaggio standard è di 1ml/litro, anche se alcuni produttori forniscono indicazioni diverse, per cui è il caso di verificare sulla confezione. Si consiglia pure di acquistare del carbone di qualità (Korallen-Zucht, per esempio) per evitare possibili rilasci di fosfati. Resine per fosfati Possono essere a base ferro o alluminio e sono un valido rimedio per abbassare velocemente il valore dei fosfati. Hanno alcuni effetti collaterali, tra i quali l’abbassamento del KH. Per questo e per altri motivi sarebbe il caso di non utilizzarle in via continuativa. Batteri Sono miscele di batteri nitrificanti ed eterotrofi, che possono aiutare, in caso di particolari situazioni legate alla gestione della vasca. Una fiala all’avvio della vasca può per esempio essere utile, ma non aspettatevi grandi miracoli. La marca più utilizzata è il Prodibio Biodigest. Moltiplicazione batterica Negli ultimi anni, hanno riscosso un grande successo i metodi di riproduzione batterica, quali Zeovit, Xaqua, ecc. Tali metodi prevedono, come condizione tassativa, l’utilizzo di uno skimmer performante, oltre a una notevole esperienza nel saper cogliere i segnali che danno gli animali. Di conseguenza non li reputo metodi adatti alla gestione di piccole vasche, se non attrezzate di uno skimmer performante e un volume d’acqua almeno superiore a 50 litri.

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LA GESTIONE La prima cosa che credo interessi, sia quanto tempo occorre dedicare a un nanoreef. Penso che quantificare in un’ora alla settimana, le varie operazioni, sia dire molto. Quotidianamente, 5 minuti sono più che sufficienti, per somministrare eventuali integratori o cibo, mentre settimanalmente (o se preferite ogni 15 gg) il cambio d’acqua con la sifonatura non vi porterà via più di mezz’ora. I test si fanno con cadenze via-via sempre più distanziate, nel corso della vita dell’acquario, per cui, non dovrebbero essere un grosso impegno. E’ comunque da tener presente, che come ogni animale domestico, non potrete dimenticarvene per giorni, e durante i periodi di ferie, nonostante la vasca sia concettualmente autonoma, converrà trovare un amico che ogni tanto passi a dare un’occhiata. Diversi dalla gestione sono i metodi di gestione veri e propri, che nella sostanza definiscono il sistema di filtraggio della vostra vasca. Ora non starò ad annoiarvi con una noiosa trattazione dei vari metodi con i quali si può gestire un nanoreef (assai pochi a dir la verità, in particolar modo per una piccola vasca), mi limiterò a parlare di quello che conosco e che reputo, insieme a molti altri appassionati, il miglior sistema per la gestione di un reef, piccolo o grande che sia. Prima di entrare nel merito, debbo comunque fare un accenno a un sistema che con molte probabilità vi verrà proposto dal negozio, sia per motivi di economicità, che di arretratezza culturale. Mi sto riferendo al classico filtro biologico, composto da un filtro che contiene spugne, cannolicchi, oppure gusci d’ostrica, bioballs, o chissà quale altra diavoleria. Questo sistema è utilizzato con successo nel dolce, ma assolutamente non idoneo per un acquario marino di coralli. Il motivo è molto semplice: quel sistema non chiude il ciclo dell’azoto con la fase gassosa (vedi paragrafo “lo smaltimento degli organici”), di conseguenza, nel tempo, assisterete a un aumento dei valori inquinanti dell’acqua. Allo stesso modo non deve essere affiancato al filtraggio con le rocce, di cui parlerò a breve, perché le colonie batteriche insediate sui due differenti supporti (cannolicchi/spugne – rocce) entrerebbero in competizione tra di loro, inficiando parte del lavoro effettuato dai batteri presenti sulle rocce. Su questa posizione dovete rimanere fermi, qualsiasi cosa diversa vi dica un negoziante o chiunque altro, è stata smentita da numerose esperienze avute da centinaia di acquariofili, che si son trovati a dover stravolgere la tecnica della vasca per rimediare a impostazioni iniziali sbagliate. Il metodo Berlinese E’ il sistema più collaudato e di maggior successo utilizzato nella gestione dei reef di barriera. Il suo funzionamento è basati su tre punti chiave rimasti invariati da quasi vent’anni: - ROCCE Rocce vive nella proporzione di 1kg. ogni 4/5 litri d’acqua della vasca - MOVIMENTO Forte movimento dell’acqua (maggiore di 20 volte il litraggio complessivo) - LUCE Una forte illuminazione che favorisca l’attività ossidante - SKIMMER Uno schiumatoio performante Con la nascita dei nanoreef, questo metodo ha assunto una variante senza skimmer, chiamata Metodo naturale, I principi sono gli stessi del Berlinese, fatta eccezione che per la mancanza dello schiumatoio. Per capirlo, occorre uscire un attimo dalla logica che ci debba essere un qualcosa di meccanico che trattiene la sporcizia prodotta dagli organismi in vasca. Come avevo già accennato riferendomi al ciclo dell’azoto, i prodotti organici subiscono una trasformazione alimentare, anche grazie alla numerosa fauna bentonica presente all’interno delle rocce. I composti residui vengono poi smaltiti dalle colonie batteriche presenti all’esterno e all’interno delle rocce. Quello che rimane, sotto forma di particolato, si depositerà sul fondo della vasca e verrà sifonato durante le operazioni di cambio d’acqua. Le rocce vive Sono il cuore del sistema filtrante e devono essere scelte con cura, per evitare di avere problemi notevoli nell’avviamento della vasca. Sono composte principalmente da scheletri di coralli morti (in alcuni casi anche vivi) che negli anni si sono agglomerati trasformandosi in vere e proprie rocce. Provengono dai luoghi d’origine dei coralli e portano con loro sia i ceppi batterici idonei a ricreare l’ambiente giusto per il reef di barriera, che numerosi animaletti, alcuni dei quali, a volte, non particolarmente graditi. Non lasciatevi tentare dall’idea di risparmiare qualche decina di euro, andando a razziare le rocce del nostro mare, perché non vanno bene né come struttura, né come fauna, né tanto meno a livello di ceppi batterici.

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LA GESTIONE La scelta delle rocce vive Sarebbe molto più semplice far vedere dal vivo, come devono essere delle buone rocce vive. Proverò a descriverle con qualche aggettivo, magari unendo qualche foto, ma ritengo che il modo più sicuro sia acquistarle da una persona di fiducia, sia essa un amico o un negoziante. Innanzitutto devono essere porose, e conseguentemente leggere; c’è pure chi le annusa, anche se non potrei descrivere l’odore, se non come quello di mare fresco. Sopra di esse, spesso, vi sono segni di vita come alghe o coralli sopravvissuti al trasporto. Una colorazione violacea, tipica delle alghe coralline, è sicuramente un buon segno, anche se non la ritengo indispensabile, in quanto queste alghe si formeranno velocemente, dopo l’avvio del fotoperiodo. A mio avviso, in un nanoreef senza schiumatoio, è preferibile inserire rocce già spurgate. Le rocce vive arrivano dai paesi tropicali dentro box di polistirolo umidi; ne consegue, che buona parte della fauna che ospitano, muore e va in decomposizione. I negozianti e gli importatori stessi tengono queste rocce in vasche di stabulazione, per un periodo di tempo variabile. Durante questo periodo, buona parte dei cadaveri e dei residui derivanti dall’attività batterica, vengono espulsi, e da qui l’aggettivo “spurgato”. E’ molto probabile, che inserendo rocce già spurgate, il livello di nitrati e fosfati si mantenga ragionevolmente basso, in maniera tale da non creare troppe complicazioni durante la manutenzione. Tuttavia fare delle previsioni su quello che potrà accadere durante la maturazione, è sempre un grosso azzardo, per cui, non date per scontato che delle rocce ben spurgate vi metteranno al riparo da ogni guaio. Personalmente preferisco non acquistare rocce già utilizzate in altre vasche, sia per il rischio di ereditare sgradite sorprese (c’è chi smonta la rocciata e la cambia perché ha subito un’invasione di organismi sgraditi: alghe inespugnabili, aiptasie, cicale, e via dicendo) che per la maggiore biodiversità che possono portare delle rocce fresche. Tuttavia è solo un’opinione personale, mentre è convinzione comune che sarebbe più opportuno acquistare lotti di rocce provenienti da luoghi diversi, per aumentare la biodiversità. Discorso differente nel caso che acquistiate, da persona di fiducia, rocce e acqua (almeno in parte) della stessa vasca. In molti casi si è dimostrata una combinazione vantaggiosa, che ha facilitato l’avviamento. Anche la forma delle rocce ha una sua importanza. Innanzitutto in un nano devono essere piccole, avendo cura di sceglierne alcune piatte, per poter formare terrazze utili a ospitare degli animali. Presto vi renderete conto che montare la rocciata è la parte più impegnativa dell’allestimento, e se riuscite a scegliere delle rocce idonee, magari facendo delle prove prima di acquistarle, il compito sarà sicuramente facilitato. Un’ultima nota sulla quantità di rocce da acquistare. A livello teorico sarebbe necessario inserire 1 kg di rocce ogni 4/5 litri d’acqua. Dal punto di vista pratico non sempre questo è possibile. Le rocce hanno porosità diverse e conseguentemente densità e peso differenti. Il rapporto classico potrebbe essere scarso come pure abbondante. E’ certo che se ne mettete di più sarà solo un bene, ma dal punto di vista dello spazio, già scarso, sarà senza dubbio un errore. Un buon sistema può essere di considerare 1/3 del volume vasca. Il problema della sabbia Si è discusso molte volte, e se ne continuerà a discutere a lungo, sull’opportunità di inserire un fondo sabbioso o meno. L’argomento riguarda l’acquario marino in generale, ma è particolarmente rilevante in un nanoreef, sempre a causa delle limitazioni nel filtraggio e agli scarsi volumi d’acqua gestiti. Nella sostanza, la sabbia, che è solamente un nostro vezzo estetico, causa problemi di igiene e circolazione d’acqua sul fondo, con il risultato di un progressivo innalzamento dei valori inquinanti. Si tratta quindi di trovare un compromesso con l’estetica che non complichi troppo la gestione della vasca. Personalmente preferisco i fondi “nudi”, anche perché in breve tempo vengono coperti dalle alghe coralline rosa che sono esteticamente gradevoli e contrastano la crescita di eventuali alghe infestanti. E’ comodo da pulire anche dai sedimenti che le rocce continueranno a espellere per parecchi mesi. Per chi non ne potesse fare assolutamente a meno, fatte salve le considerazioni di cui sopra, il consiglio che posso dare è di attendere almeno sei mesi dall’avviamento della vasca, e in seguito, limitarsi all’inserimento di uno strato con un’altezza massima di un paio di mm. scegliendo una sabbia a granulometria medio-fine (evitare la sugar size). Non vi è garanzia che

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non vi saranno problemi, ma nel caso dovessero insorgere, sarà relativamente semplice aspirare il fondo durante le operazioni di sifonatura della vasca. LA GESTIONE La maturazione Un acquario, in generale, ha sempre bisogno di un determinato periodo di tempo, affinchè si creino i giusti equilibri chimici e biologici. Se nell’acquario marino, il metodo berlinese è universalmente riconosciuto tra i migliori, la maturazione ha invece molteplici correnti di pensiero, dettate da convinzioni ed esperienze personali, nonché da differenti allestimenti tecnici della vasca. I sistemi di riproduzione batterica (Zeovit, Xaqua), per esempio, promettono un avviamento della vasca in due settimane, ma a parte questi, all’interno del Berlinese classico, vi sono opinioni diverse su come gestire l’avviamento della vasca. I nanoreef, che utilizzano principalmente il metodo naturale, non fanno eccezione, quanto alle differenti idee sull’avviamento, anche se, l’assenza dello skimmer, i ridotti volumi d’acqua, e l’impossibilità di inserire un adeguato numero di animali alghivori, impongono una metodologia tutto sommato abbastanza condivisa. L’argomento più discusso è sicuramente il fotoperiodo, cioè il momento in cui iniziare a dar luce. La vera maturazione della vasca inizia da quel momento, e le argomentazioni sull’opportunità di accendere subito, o fare il classico mese di buio, possono essere entrambi convincenti. La preoccupazione principale, oltre alla fretta di avere una vasca da pronta da popolare, è che alcuni organismi ospitati sulle rocce possano morire, e conseguentemente si vada a limitare quella caratteristica di biodiversità tanto ricercata. Il mio parere, che non ha nulla di scientifico, è che la causa del decesso sia principalmente legata alla differente chimica dell’acqua di una vasca nuova, piuttosto che alla mancanza di luce. Penso pure che alla fine non muoia poi chissà cosa, sempre a causa della luce. Ne ho avuto conferma in questi giorni, durante la maturazione della mia vasca dove sono rimasti al buio, per circa tre settimane, alcune piccole colonie di zoanthus e palythoa. Nella vasca non ci sono stati particolari picchi di valori inquinanti, e alla riaccensione, gli animali si stanno lentamente riprendendo. Inutile precisare che se fossero stati coralli più esigenti, a quest’ora sarebbero belli e andati, ma c’è pure da tener conto che gli animali che si possono trovare sulle rocce vive, non son certo acropore, o almeno, non acropore vive… Ma qual è la conseguenza classica di un’illuminazione affrettata? Sopra determinate concentrazioni di nitrati e fosfati, correte il rischio di stimolare eccessivamente la proliferazione di alghe, senza poter inserire i naturali competitori. Il ciclo algale è un momento normale, nella maturazione della vasca, ma si sono verificati casi di vasche che hanno manifestato il problema ben oltre i tre mesi classici di avviamento. Una posizione intermedia, potrebbe essere quella di iniziare il fotoperiodo dopo qualche giorno, se i valori degli inquinanti rientrano entro limiti accettabili. Tuttavia, vista l’impossibilità di misurare alcuni valori (i fosfati e nitrati misurati rappresentano solo la parte inorganica, resta tutto il discorso degli organici, per i quali, al momento, non esiste alcun tipo di test attendibile), la mia posizione è nettamente favorevole al mese di buio, che magari potranno essere tre settimane invece che quattro, con condizioni dell’acqua accettabili, ma in ogni modo non concordo su accendere le luci dal primo giorno. Pare pure (ma sono esperienze di alcuni acquariofili, per cui, nulla di certo e scientifico) che un prolungarsi della fase di buio, limiti decisamente la proliferazione algale. Ricordatevi comunque che le alghe sono sempre in agguato. Anche in una vasca matura di anni, in caso di errori o situazioni instabili, potrebbero comparire improvvisamente e darvi del filo da torcere per diversi mesi. Il vero problema, è che in qualsiasi modo farete, nessuno vi potrà garantire che tutto filerà liscio, per il semplice fatto che non è possibile prevedere i complessi fenomeni chimici e biologici che avvengono nell’acquario, e che per alcuni tratti sono unici per ogni vasca.

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LA GESTIONE Avviamento La prima cosa a cui pensare, è dove posizionare la vasca. Vanno evitate posizioni troppo esposte alla luce diretta, che potrebbero causare una proliferazione algale difficilmente controllabile, così come posti troppo caldi (termosifoni) o freddi (sotto a una finestra). Gli ambienti frequentati da molte persone devono essere arieggiati frequentemente, scanso problemi di pH che è soggetto a cali dovuti all’anidride carbonica emessa dalla nostra respirazione. Del fumo di sigaretta penso non sia neppure necessario parlarne, è più che ovvio che non aiuta affatto la vasca. Nel locale dove sarà sistemato il nano, occorre evitare l’utilizzo di detergenti per l’ambiente troppo aggressivi, nonché insetticidi di qualsiasi genere, comprese le piastrine anti-zanzare. La seconda cosa, non meno importante, è la pazienza. L’avviamento della vasca richiede mediamente 3 mesi durante i quali non sarà possibile inserire animali. Gli inserimenti dovranno essere progressivi, per dar tempo al sistema di adattarsi. Approfitto per ricordare che un nanoreef ha un equilibrio precario e delicato e accelerare i tempi è il sistema migliore per mandare tutto a rotoli. Giorno 1 Materiale necessario:

- rifrattometro - termometro da acquario - acqua d’osmosi - sale - vasca - riscaldatore - pompe di movimento

Do per scontato che l’acqua di osmosi sia stata misurata con un conduttivimetro (valore inferiore a 10us/cm) o perlomeno che abbia valori di nitrati, fosfati e silicati non rilevabili. Risciacquate la vasca con acqua d’osmosi e posizionatela sopra un foglio di neoprene dello spessore di

circa 5/6 mm. Questo servirà sia ad assicurare un isolamento termico con la superficie, che ad attutire eventuali vibrazioni dovute al funzionamento delle pompe. Inoltre vi metterà al riparo da eventuali rotture causate dalla presenza di corpi estranei, tra il fondo della vasca e la superficie d’appoggio. Se posizionerete la vasca in una posizione molto esposta alla luce naturale, sarà opportuno coprire le pareti laterali con un cartoncino nero, lasciando libera invece la parte superiore, per favorire un buon scambio gassoso.

Riempite la vasca per 2/3 (abbondanti) e provate il funzionamento delle pompe e del riscaldatore,

portando la temperatura a 26°. Non fidatevi di quello che è indicato sulla ghiera del riscaldatore, perché spesso e volentieri occorre fare degli aggiustamenti (il Jaeger permette di correggere questa differenza)

Dopo aver pesato il sale, nella proporzione di circa 36gr./litro, iniziate a versarlo *lentamente* dentro

la vasca, aiutandovi con una mano, per facilitarne lo scioglimento. E’ importante che il sale utilizzato abbia un valore di KH tendenzialmente alto, per evitare, nel possibile, reintegri durante il mese di buio. Tropic Marine e Kent, sono ad esempio, sali, che hanno queste caratteristiche.

Controllate che il rifrattometro sia tarato bene (acqua bidistillata a 20° di T ambiente) e aggiustate fino

a portare la salinità al 35‰. Accendete le pompe di movimento e lasciate girare l’acqua, mantenendola sempre a 26° di

temperatura, per un paio di giorni.

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LA GESTIONE Avviamento (2) Giorno 3

- osmoregolatore - filtro a zainetto - resine antifosfati - rocce vive - batteri biodigest (opzionale)

Verificare la salinità con il rifrattometro ed eventualmente aggiustatela al 35‰ iniziale. Inserire le resine antifosfati (1gr/litro, se non indicato diversamente dal produttore) in una calzetta e sciacquarle abbondantemente sotto acqua bollente. Una volta che avranno cessato di perdere colore (se a base ferro), date un’ultima passata in acqua osmotica. La calza dovrà essere annodata e lasciata “lasca”, per permettere alle resine di muoversi il più possibile. Sciacquate pure il filtro a zainetto, rimuovendo gli eventuali stadi preinstallati (carbone, spugne) e inserite la calzetta al suo interno. La disposizione della rocciata, è senza dubbio il momento più difficile dell’allestimento. Aldilà del gusto estetico, che è una scelta personale, occorre seguire 4 principi base.

Distanza dai vetri laterali sufficiente a passare col magnete di pulizia. Disporre le rocce in modo che sul fondo sia garantito un buon passaggio d’acqua. Creare terrazze e anfratti per posizionare gli animali, avendo cura di non montare una rocciata

troppo compatta. L’acqua deve riuscire a circolare liberamente, al suo interno. Verificare la stabilità della rocciata, fissandole eventualmente con colla bi componente (milliput)

E’ utile allestire una sagoma di cartone delle misure del fondo della vasca, e provare le varie combinazioni di rocce prima di inserirle in vasca. Una volta inserita la rocciata, verificare che l’acqua sia a livello e accendere ‘osmoregolatore e il filtro a zainetto. Un paio di volte alla settimana, sarà utile rimuovere i sedimenti dalle rocce, aiutandosi con una pompetta e facendo attenzione a non sollevare troppo il sedimento che si sarà depositato sul fondo, ma nel contempo smuovendolo delicatamente per evitare che possa incrostarsi. E’ importante non inserire le mani nude in acqua, per cui, in questa fase tenete la pompetta per il cavo d’alimentazione, o utilizzate dei guanti lunghi in gomma. Dopo un paio di settimane misurate il valore del KH, e se inferiore a 8, provvedete a reintegrarlo con il buffer. Sostituite le resine antifosfati e continuate con la pulizia delle rocce. Arrivati al 30° giorno di buio, effettuate un giro di test completo, verificando che i valori di fosfati non siano superiori a 0,05 e i nitrati non superiori a 25. Se molto più alti, prevedete un’ulteriore settimana di buio. Annotatevi i valori su un’agenda. Sostituite le resine, sempre nella solita proporzione 1gr./litro Controllate i valori di KH, Ca, Mg che dovranno essere mantenuti rispettivamente nell’intervallo tra 7/8, 410/420, 1300/1350. Non fissatevi per avere una perfezione matematica: un punto sul KH, 10/20 sul Calcio, e una cinquantina, sul magnesio, sono differenze accettabili. L’ordine di reintegro di tali elementi è Magnesio, KH, Calcio, avendo cura di far passare almeno mezza giornata tra una correzione e l’altra.

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LA GESTIONE Avviamento (3) La maturazione vera e propria inizia da questo momento, cioè da quando accenderete le luci. E’ la fase più difficile perché richiede un’attenta osservazione delle reazioni della vasca, o meglio, una valutazione sul grado di proliferazione algale e i conseguenti interventi. Si parte con 2 ore di luce, incrementando il fotoperiodo nella maniera più progressiva possibile. L’ideale sarebbe ¼ d’ora ogni 2 giorni, ma si può pure fare una mezz’ora ogni 4. E’ molto probabile che qualche alga spunterà, perché rientra nel normale ciclo di maturazione della vasca. Le diatomee, per esempio, che si presentano sotto forma di una patina marrone/dorata che aderisce anche ai vetri, sono solitamente le prime a far capolino. Tuttavia non ci si deve preoccupare, come del resto di un’eventuale presenza di cianobatteri che sono sinonimo di instabilità nella vasca. Occorre fare parecchia attenzione allo sviluppo delle alghe filamentose; nel caso si veda una progressione troppo rapida occorrerà intervenire sul fotoperiodo, rimanendo fermi sullo stesso tempo di accensione fino a che non si noterà una regressione. Se questo non dovesse avvenire prendere in considerazione pure l’ipotesi di ridurlo. E’ difficile dire se e quando potrà succedere questo, perché non esiste uno standard. Spesso si è notato che il momento critico arriva intorno alle 6 ore di luce, ma in altri casi non ve n’è stata proprio traccia. Le variabili note sono la qualità dell’acqua e delle rocce. Con valori bassi di nitrati e fosfati, la presenza di alghe dovrebbe essere molto limitata. Continuate settimanalmente a effettuare i test di kh/ca/mg ed eventualmente reintegrare quegli elementi per i quali fosse necessario, senza esagerare sulla precisione di tali valori (vedi discorso fatto di sopra). Riguardo alle resine per fosfati, finchè avrete valori superiori allo 0,03, sostituitele ogni 15 giorni, dopodiché, al diminuire dei valori, andrete gradualmente aumentando l’intervallo tra i cambi fino ad arrivare a toglierle completamente. Tenete sempre pulita la vasca come indicato sopra, facendo pure attenzione a non fare incrostare il sedimento sul fondo della vasca, in quanto diventa difficile rimuoverlo successivamente. Arrivati alle 9 ore di luce, se non avete problemi di alghe, misurate fosfati e nitrati ed effettuate un primo cambio d’acqua del 25% aspirando anche il sedimento che si sarà depositato sul fondo. In quell’occasione inserite pure una fiala di batteri (opzionale). Dopo un paio di giorni misurate i valori e se avete ancora i nitrati >10 e fosfati >0,03, la settimana successiva effettuate un ulteriore cambio del 15%. I cambi andranno fatti regolarmente nella misura del 5% settimanale o 10% ogni 14 gg., fino ad arrivare ad avere nitrati < 5 e fosfati < 0,03. Per arrivare a queste condizioni, sono necessari mediamente 3 mesi dall’avvio. Le rocce dovranno essere pulite da alghe verdi e presenteranno, presumibilmente, diverse incrostazioni di alghe coralline. A questo punto è possibile iniziare il popolamento e la normale gestione della vasca.