network in progress #7

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1 #7mar/apr 2012

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Paesaggio. Città. Architettura. Rivista bimestrale di paesaggio, architettura e cultura contemporanea.

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1#7mar/apr 2012

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www.verdiananetwork.com

Direttore Responsabile della rivista_Alessandra Borghini..........................................sandra.borghini@edizioniets.com Presidente del Comitato di redazioneEnrico Falqui....................................................................... [email protected] Generale, Responsabile stage formativi e attività di tirocinio_arch. Francesca Calamita.........................................francesca.calamita@libero.itResponsabile editoria e comunicazioni_arch. Stella Verin...............................................................stellaverin@gmail.comResponsabile web e servizio inviato speciale_Valerio Massaro.......................................valerio.massaro@verdiananetwork.comResponsabile progetto di ricerca_dott.ssa Chiara Serenelli.......................................chiaras@verdiananetwork.com Responsabile progetti urbani_arch. Paola Pavoni...........................................................pavoni_paola@libero.it

Concept copertina: Annalisa Cataldi, Antonina Cremona,KP[PUN�L�NYHÄJH!�=HSLYPV�4HZZHYV

Contatti

[email protected]

Direttore responsabile: Alessandra Borghini

Casa Editrice e sede della rivista: ETS, P.za Carrara 16/19, Pisa

Legale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Presidente redazione e proprietario sito online: Enrico Falqui, via Lamarmora 38, Firenze

Iscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisa n° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress”

ISSN 2281-1176

Responsabile editoriale: Stella Verin

(GLWLQJ�H�JUDÀFD��9DOHULR�0DVVDUR

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QUANDO LA NATURA E’ CULTURAdi Fabio Bettoni

L’itinerario culturale come chiave interpretativa per il

patrimonio di Maria Teresa Idone

ITINERARI CULTURALI E PROGETTO PAESAGGISTICO:QUESTIONI APERTE

di Chiara Serenelli

LA VIA FRANCIGENA COME LINEA NARRATIVA DEL TESTO PAESAGGISTICO: ESPERIENZE DI RICERCA in itinere.

di Serena Savelli

La resilienza di un territorio:

gli Altipiani Plestinidi Marinella Lippi

LORETO 2030:

EUTOPIA DI UN TERRITORIOdi Chiara Caberletti e Laura Vedovati

saggioPRODURRE PAESAGGI AZIONI CORALI IN EPOCHE PRE-INDUSTRIALI di Mario Ghio ; postfazione di Francesco Correnti

A Parigi, attraverso i parchi urbani di ultima generazione

di Francesca Calamita

DALLA STORIA AL PROGETTO: RIQUALIFICAZIONE DI TRE AREE VERDI NEL

COMUNE DI

CAMPIGLIA MARITTIMAdi Silvia Ruzziconi, Elena Lo Re

Paesaggio e BenessereRECENSIONE

EDITORIALESOMMARIO

di Silvia Minichino

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In questo numero invitiamo il lettore ad un viaggio virtuale lungo percorsi di pellegrinag-gio, alcuni dei quali appartengono a Itinerari Culturali Europei molto noti e frequentati. Le immagini mostrano evocativi paesaggi che durante il cammino permettono al viaggia-tore a piedi di cogliere contemporaneamente visuali panoramiche e dettagli anche molto minuti, dandogli la possibilità di costruire la propria personale esperienza di cammino. Nella profondità estetica e nella carica identitaria che alcuni scorci esprimono, proviamo però a cogliere anche degli input di un approccio di ricerca che gli articoli di questo nume-ro illustrano, immaginandoci le opportunità di progettazione paesaggistica che il concetto di itinerari culturali può veicolare, e che via via nella percorrenza si chiariscono attraver-so la percezione. Così non troviamo semplicemente “cartoline” di un viaggio, ma vere e proprie ri!essioni, che aprono a una varietà di temi riguardanti le forme del relazionarsi dell’uomo con il proprio ambiente di vita, che lasciamo all’immaginazione del lettore sco-prire e approfondire.

PhotoStory

Lungo il Cammino di Santiago. Istallazione sulla

cima del Alto del Perdón, passata Pamplona.

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L’Architettura che mi piaceL’Architettura che non mi piaceDAMIANO GALEOTTI Paesaggista

Rubrica

A pochi chilometri da Firenze, in località Focognano (Campi Bisenzio) “risorge”

l’omonima Oasi naturalistica Stagni di Focognano. L’area umida rappresenta il

tipico paesaggio storico ricostruito della Piana Fiorentina ed è un intervento di

YPWYPZ[PUV�HTIPLU[HSL�H�JHYH[[LYL�WHLZHNNPZ[PJV�JOL�¸ZÄKH¹�L�[LU[H�KP�YPJ\JPYL�\U�territorio frammentato e degradato in cui cemento e asfalto fanno da padroni: l’o-

asi “cresce” (ai 35 ha iniziali si aggiungono oggi altri 51 ha di suolo pubblico) nel

piccolo triangolo di terra racchiuso tra l’autostrada del sole, la Firenze mare e il

polo industriale dell’Osmannoro. Oggi, Focognano nodo focale di una rete di con-

nessioni ecologiche, diventa spazio d’incontro che coinvolge numerose persone

“esperte e non” che si occupano e si prendono cura dell’area in forma gratuita, e

rappresenta un tavolo importante di confronto fra tutti gli enti che si occupano di

NLZ[PVUL��WPHUPÄJHaPVUL�L�[YHZMVYTHaPVUL�KLS�[LYYP[VYPV��,U[P�7\IISPJP��ZVJPL[n�(\-

tostrade, Università...). Una realtà che fa scuola, nato per insegnare e per “essere

copiato”, l’oasi è “Luogo di Natura” fatto per la NATURA, ma soprattutto un luogo

che fa bene all’uomo.

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PhotoStory

Contadini al lavoro nei campi di grano in

Tierra de Campos (Mesetas)

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Si ricorderanno certamente le parole di Georges Henri Rivière a proposito di ecomusei come strumenti di raccor-

do tra cultura e natura, specchi sui quali ri!ettersi, davanti ai quali riconoscere se stessi, le storie proprie e locali, le memo-rie collettive; laboratorî delle conoscenze a disposizione di chiunque se ne voglia ap-propriare. Le parole di Rivière stanno sul-lo sfondo delle iniziative assunte dalla Re-gione dell’Umbria la quale ha istituito nel 1990 il Centro per la Documentazione e la Ricerca antropologica in Valnerina e nella Dorsale appenninica umbra (Cedrav) con sede in Cerreto di Spoleto (Pg), ha pro-mulgato la Legge Regionale 14 dicembre 2007, n. 34 sulla Promozione e disciplina degli Ecomusei e il relativo regolamento attuativo (2010), ha riconosciuto (2010) l’Ecomuseo della Dorsale appenninica umbra.

In questo contesto si pone il progetto dell’Ecomuseo della Valle del Menotre commissionato dal Comune di Foligno.

Via Plestina dal Castello di Serravalle,

incisione J. Forrester

QUANDO LA NATURA E’ CULTURA

EDITORIALE

di Fabio Bettonidocente presso la Facoltà di Scienze Politichedell’Università degli Studi di Perugia

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Collegandosi alla prospettiva metodo-logica ed operativa del citato Ecomuseo regionale-appenninico, il progetto tende ad evidenziare le peculiarità di uno spazio speci"co con l’intento di arricchire la pro-posta ecomuseale d’insieme.

La Valle del Menotre, infatti, innestata or-togonalmente alla Dorsale nella porzione centrale di quest’ultima, presenta una con-"gurazione compatta e marcata dall’inci-sione !uviale del Menotre. Nel complesso, il bacino imbrifero del "ume ha un am-piezza di 113 kmq con un perimetro di circa 73 km, una pendenza media del 40 per 100 circa; l’asta idrica si approssima ai 28 km, ed è quasi interamente (26 km) interna al territorio folignate. Il "ume ha svolto un ruolo essenziale nel sistema eco-nomico locale: nel corso di tanti secoli, ha fornito infatti il potenziale energetico per una pluralità di attività economiche, e ha impresso alla Valle una rilevanza signi"-cativa all’interno delle polarità produttive di Foligno (gli altri poli essendo: la stes-sa città, ricca anch’essa di acque interne, e la Valle del Rio di Capodacqua, contigua alla Valle del Topino e alla via Flaminia del Furlo).

Se le tracce "n qui rilevate dell’inse-diamento umano sono di remotissima

ascendenza, ma questa non sarebbe una particolarità trattandosi di un territorio appenninico, testimonianze materiali di-rette antecedono il Mille, mentre prezio-se attestazioni manoscritte, risalenti ai primissimi anni successivi a quello snodo epocale, mostrano, sia pure in modo or-mai residuale e frammentario, la vitalità di un territorio. Tali documenti, che erano depositati un tempo nell’archivio dell’ab-bazia di Santa Croce in Sassovivo, permet-tono di realizzare approcci a vasto raggio sulla plurisecolare vicenda del monastero e su molto altro ancora. Adagiato sui con-tra#orti collinari dell’Appennino foligna-te, concentrazione claustrale di un gruppo di origine eremitica poi uniformatosi alla regola di Benedetto da Norcia, l’Istituto ha lasciato memorie, almeno stando ai mate-riali di cui si dispone tuttora, che muovo-no dalla seconda metà dell’Undicesimo secolo; via via cresciuto in potenza, dilagò, per così dire, ben oltre il nucleo d’insedia-mento primario. Favorito al suo nascere da una scelta fondativa operata dalla dinastia comitale di origine longobarda detta dei Monaldi, il monastero di Santa Croce ne avrebbe di fatto accelerato il declino, risuc-chiandone il vasto patrimonio attraverso acquisti, permute e lasciti così de"nendo nel corso del tempo una propria signoria patrimoniale, a scapito anche di altri, non

*VSÄVYP[V�L�Palude,Altipiani

Plestini, Foligno

(PG)

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pochi signori del contado folignate, "no a contendere i diritti e le giurisdizioni del Comune quando questo, una volta pro-"latosi all’orizzonte - nel 1177 -, diritti e giurisdizioni volle con fermezza acquisire, a#ermare, difendere ed esaltare.

A causa delle particolari caratteristiche ambientali del Folignate - la storia peraltro aveva aggiunto del suo -, che includeva (e comprende tuttora) una pianura assai ri-stretta e per di più paludosa, lo spazio del Menotre, collinare-montano ma con piani e pianori coltivabili anche a quote elevate, una riserva rigogliosa di boschi e di radure pascolative, si presentava alle popolazioni come l’areale meglio praticabile; qui le di-verse signorie fondiarie, formatesi su ceppi d’origine longobarda e delle quali restano oscure le successive investiture, avevano attecchito e prosperato, qui le comunità di villaggio avevano mantenuto le terre comuni o ne avevano ritagliate di nuove nelle quantità bastevoli a garantire le basi di un’economia elementare, qui si era for-mata una piccola proprietà individuale e contadina di pari passo con l’a#ermarsi ineluttabile dei processi di a#rancazione, qui i liberi valligiani avevano condiviso o strappato o usurpato diritti e giurisdizioni sui beni allodiali, in particolare sulle ac-que, qui avevano avviato attività produt-

tive in particolare nella macinazione delle granaglie, nella franturazione delle olive e nella valcatura dei panni, qui avevano eret-to le loro chiese, cappelle, edicole votive, qui avevano alimentato la formazione di un clero autoctono.

Dagli albori dell’età comunale (secolo Dodicesimo) all’a#ermazione della signo-ria dei Trinci (1305-1439), dall’età lunga dell’egemonia patriziale (1460-1797) alle restaurazioni e "no all’Ottocento inoltra-to, i ceti eminenti di Foligno ebbero an-coraggi patrimoniali ed economici sicuri e di gran rilievo nella Valle del Menotre; e fu all’ombra di questo potere economico-"nanziario di matrice gentilizia e urbana, che si formarono i maestri artigiani i quali nei diversi settori dettero vita progressi-vamente a dinastie di piccoli imprendito-ri che mai dismisero la pratica diretta di artigiani-manifattori: mulinari, cartai, val-chierai, tintori, ma anche ramai, tabaccari (per dirla con le nomenclature d’epoca), maestri della pietra, fabbri-ferrai, mecca-nici; un universo che ha segnato il destino economico, sociale, culturale e cultuale di queste contrade "no a tempi assai vicini.Sebbene criticità anche notevoli non sia-no mai mancate, il sistema valligiano ha trovato sempre la capacità endogena di su-perarle. Esemplare, in tal senso, la concen-

Sasso di Pale e

abitato di Pale

(PG)

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trazione degli impianti, l’innovazione e la polarizzazione esperite negli anni Venti del secolo scorso: una profonda ristruttura-zione del sistema cartario di Pale-Bel"ore, all’estremità occidentale della Valle, con un ruolo spiccato assunto dalla cartiera Sordini (1929-1930), e il rinnovamento impiantistico-tecnologico del lani"cio di Umberto Tonti (1925-1928) sullo snodo di Rasiglia nella parte orientale del bacino, hanno ra#orzato il carattere polare dei tre insediamenti tanto all’interno del sistema locale di Foligno, quanto all’interno del suo segmento collinare-montano.

Con gli anni Cinquanta del Novecento, tuttavia, veniva meno la tradizionale cen-tralità del territorio attraversato dall’asta !uviale del Menotre, una centralità poten-ziata, nel corso dei secoli, da arterie im-portanti quali la via Plestina poi Flaminia-Lauretana (o Romana) e la via della Spina e da altrettanto vitali funzioni postali quan-do, dalla seconda metà del Cinquecento, vi furono attivate le poste con le relative stazioni; la Valle diventava in larga misu-ra una proiezione meramente insediativa della città, "no a che stimoli provenienti da politiche di riequilibrio territoriale non avviavano con gli anni 1980 una inver-sione di tendenza, legata all’agricoltura e

all’allevamento di qualità nonché a forme di valorizzazione turistica, tuttora in atto. Ma "no a quando?

L’imponente, massiccio, invasivo e deva-stante intervento sulla Strada Statale 77 “Val di Chienti”, frutto del peggior stra-dismo politico e degli interessi che vi sono connessi, sta letteralmente distruggendo un tratto cospicuo della Valle e rischia di compromettere un tessuto economico che ha trovato il proprio volàno nella di#usa ricettività accogliente. A questo punto, pensare ad un Ecomuseo nella Valle può sembrare cosa ridicola, se non un’autentica presa in giro. Ma forse, pensarvi un Eco-museo, può servire a salvare il salvabile. Da qui il progetto ecomuseale che ha trovato intorno a sé adesioni ampie e convinte in associazioni attive nella zona come la Pro Loco “Valle del Menotre”, la Federezione Italiana Escursionisti (Fie), la Fondazione Museo diocesano di Arte Contemporanea di Foligno con sede in Scopoli, il Parco per l’Arte in Cancelli, l’Associazione Rasiglia e le sue Sorgenti; nonché associazioni e isti-tuti culturali come l’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industria-le (Aipai), il laboratorio storico L’O$cina della Memoria, l’Accademia “Fulginia”, l’Archeoclub, il Centro di Ricerche “Fede-

Valle del

Menotre,

cantiere per

la realizzazione

della Variante

SS77, progetto

quadrilatero

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rico Frezzi”; ed anche imprese industriali di Foligno come la Società EMC2 operan-te nel settore delle energie dolci e rinno-vabili.

Appoggiando le prospettive di ricerca dell’Ecomuseo alla Sezione di Foligno dell’Archivio di Stato di Perugia, alla Bi-blioteca Comunale “Dante Alighieri”, alla Biblioteca “Lodovico Jacobilli”, all’Acca-demia “Fulginia”, a taluni Istituti Univer-sitari, al Cedrav, il progetto ecomuseale si articola sulla base di alcuni "loni tematici: 1) la valle del Menotre, gli insediamenti umani, le infrastrutture, le istituzioni e le giurisdizioni, i beni comunitari e le istitu-zioni comunitarie, gli usi comunitari. 2) Il sistema produttivo della Valle nel contesto urbano-territoriale di Foligno: l’agricoltura e l’allevamento tra piano e monte; la produzione non agricola: la pro-duzione molitoria e frantoiana; la tintura e la valcatura dei panni; la fabbricazione della carta; le lavorazioni del tabacco, delle "bre naturali, dei metalli, della pietra, del legno, del salnitro; la pesca. 3) Le infrastrutture per la modernizza-zione: la sorgente dell’Acqua Bianca e la rete idropotabile, l’impianto idroelettrico all’Altolina tra Pale e Bel"ore. 4) La logistica militare; la chimica: Scan-zano. 5) Le reti commerciali. 6) L’universo sociale nella polarità signori/Lavoratori. 7) Sondaggi prosopogra"ci. 8) I poteri e le relative giurisdizioni. 9) Monumenti/Documenti. 10) Attraverso lo spazio della Valle.

Giacché inquadra un Ecomuseo in itine-re, il progetto delinea una serie di Opera-zioni che hanno lo scopo di predisporre i materiali (in senso lato) che dovranno ali-mentare le diverse sedi in cui si articolerà l’allestimento ecomuseale. Di queste Ope-razioni, cito specialmente: 1) Archivio della Valle. 2) Popolazioni antiche. 3) Signori e contadini.

4) Energia e carta, in collaborazione con la Società EMC2. 5) Valle di Marte, con riferimento alla si-gnoria patrimoniale di Sassovivo che qui aveva uno dei suoi nuclei fondiarî più ri-levanti.6) Viandanti, Pellegrini, GrandesTouri-stes. 7) Tingere e Follare. 8) Transumanze. 9) Quadriregio, in riferimento alla pre-gevole edizione (1725) stampata su carta di Pale del poema didascalico-allegorico scritto (1403ca) dal poeta folignate Fede-rico Frezzi. 10) Marco da Rasiglia, in relazione all’al-tro grande umanista folignate, vissuto tra Quattro e Cinquecento che si vuole origi-nario della Valle.

Secondo l’ipotesi progettuale, Temi e Ope-razioni diventeranno realtà - se e quando lo diventeranno - con il coinvolgimento delle tante intelligenze e dei tanti saperi che vivacizzano la Valle.

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PhotoStory

Pellegrini verso Santiago, nei pressi di Cirauqui, in Navarra

Foto di: Chiara Serenelli e Nazareno Tabbita

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PhotoStory

Lungo il Cammino di Santiago. La piazza centrale del borgo di Óbanos, sulla strada per Puente de la Reina.

Foto di: Chiara Serenelli e Nazareno Tabbita

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[…] Per lungo tempo gli antiquari non han-no avuto a loro disposizione, per esprimere la stima in cui tenevano gli oggetti del loro commercio e della loro competenza, altro che due categorie: quella di «antico» e quella di «autentico». Era un’attrezzatura concettuale ridotta, ma e!cace. Quando un antiquario diceva «è antico», tutti capivano che voleva dire «non è autentico» e quando diceva «è autentico», allora soltanto voleva dire «è an-tico».1

Così Georges Perec parlando delle strategie messe in atto dagli anti-quari ci dipinge in realtà i loro ac-

quirenti, un popolo desideroso di trovare tra tanti oggetti quotidiani qualcosa che non solo arrivasse da un tempo lontano e quindi fosse antico, ma anche che avesse una storia da raccontare, magari di chi l’a-veva costruito o di chi lo aveva utilizzato, perché solo allora diventava autentico. Come allora ancora oggi, in una città ge-nerica che dilatandosi perde i riferimenti del proprio vivere e il senso del proprio

L’itinerario culturale

come chiave

interpretativa per il

patrimoniodi Maria Teresa IdonePhd student

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PhotoStory

Croce di passo verso Astorga, passata León

Foto di: Chiara Serenelli e Nazareno Tabbita

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abitare, si sente il bisogno di riferirsi alla storia, così che le tracce materiali e im-materiali del passato diventano un perno fondamentale su cui costruire politiche identitarie. Ne sono un esempio la lunga tradizione della conservazione dei beni culturali, che in Italia e in Europa assume caratteri preponderanti se paragonati al re-sto del mondo, e le azioni volte alla tutela di organi internazionali come l’UNESCO e l’ICOMOS. Il loro sforzo di elencare ed enumerare eccezionalità che costituiscono il cosiddetto patrimonio mondiale è senza dubbio rilevante, così come tutti i lavori in cui rimettono in discussione il concet-to stesso di patrimonio, che diventa sem-pre più inclusivo. Possiamo infatti parlare tanto di patrimonio tangibile quanto di patrimonio intangibile, così come c’è un progressivo ampliamento delle categorie patrimoniali, che ora comprendono ogget-ti, manufatti, aggregati, e poi strade stori-che e per"no intere porzioni di territorio. Scorrendo le carte e le dichiarazioni si in-dividuano anche aperture che travalican-do le eccezionalità, per essere considerato patrimonio anche beni che appartengo-no ad una storia più recente e al mondo del quotidiano, secondo un allargamento orizzontale che, superando gli aspetti este-tici, riconosce un valore di natura sociale.

Tuttavia c’è un’ambiguità di fondo in questo procedere, che rischia di isolare ed emarginare beni che paradossalmente sono tali proprio per le relazioni che li legano al contesto "sico, sociale ed economico di appartenenza2. Così tra residualità consa-crate e residualità per emarginazione3, «la norma astratta e severa, sempre più severa perché impotente, "nisce per inquadrare in un intorno inquietante, poveri resti s"-lacciati di memoria collettiva entro recinti (virtuali o concreti), [dove] ciò che è den-tro è sacro, ma ciò che è fuori è, conse-guentemente, sacri"cabile»4. Un fuori e un contesto che tuttavia è proprio quello che permette di conservare non solo la struttu-ra del bene, ma anche di tutelare il sistema di valori e signi"cati che esso racchiude.

Un esempio emblematico sono le ville ve-nete, che permangono nella loro "sicità nonostante non esiste più il sistema pae-saggistico villa, e che, come già osservava Turri5, sono solo frammenti sparsi all’in-terno di un paesaggio o#eso dall’alluviona-mento edilizio e urbano. Valerio Romani a proposito diceva che «ogni bene è invece inseparabile dal suo “contesto”, e cioè pro-prio dal paesaggio circostante e percepibile di cui inevitabilmente fa parte e che spes-so ne costituisce assai più della semplice “cornice”, quanto invece il presupposto, la giusti"cazione, l’origine e la ragione della sua esistenza e collocazione».6

Risulta evidente allora che il nodo da scio-gliere non sta tanto nell’inclusività delle categorie patrimoniali, quanto nell’ap-proccio con cui si guarda a questi beni ed è qui che l’itinerario culturale può rappre-sentare una chiave interpretativa innovati-va. Il Comitato Scienti"co internazionale degali itinerari culturali (CIIC) dell’ICO-MOS lo interpreta come un oggetto che si snoda nel territorio intercettando e con-nettendo beni e polarità, diventando esso stesso una nuova categoria patrimoniale senza confondersi con le altre categorie e tipi di beni che possono esistere al suo interno. Contribuisce invece a riconoscer-le, valorizzarle e arricchirle di signi"cato, le collega nell’ambito di un sistema unito e le mette in relazione in una prospettiva scienti"ca che porta ad una visione plura-le, più completa ed esatta della storia7.

Assume allora le sembianze di un bene cul-turale complesso, le cui componenti sono non soltanto gli elementi puntuali che lo scandiscono e che ne rappresentano il contenuto manifesto, ma anche il contesto naturale di riferimento, il signi"cato com-plessivo, il carattere dinamico e il mezzo geogra"co e territoriale che l’itinerario in-corpora; tutte situazioni che la stessa Car-ta individua quali elementi di de"nizione dell’Itinerario Culturale. Nel testo sono contenute anche altre que-stioni che lasciano intravedere un atteg-giamento nuovo nei confronti degli ele-

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PhotoStory

Lungo il Cammino di Santiago. La strada per Los Arcos

Foto di: Chiara Serenelli e Nazareno Tabbita

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menti discreti che l’itinerario individua. Si fa riferimento a come questa nozione allargata del patrimonio suggerisca anche «nuovi approcci di trattamento per spiega-re e salvaguardare direttamente i rapporti signi"cativi associati all’ambiente di rife-rimento», tanto che l’itinerario culturale da oggetto passa ad essere visto come un «concetto innovatore, complesso e multi-dimensionale, che introduce e rappresenta un contributo qualitativo alla nozione del patrimonio ed alla sua conservazione».

Un punto questo che merita ulteriori ap-profondimenti, e che non può portare in maniera sempli"cata a concludere che l’obiettivo ultimo sia, per citare ancora la Carta ICOMOS, «procedere alla delimi-tazione dell’ambiente dell’itinerario cultu-rale, segnando chiaramente i limiti di una zona tampone, ben de"nita e regolamen-tata, che permette di mantenere, nella loro autenticità ed integrità, i valori culturali, materiali ed immateriali che contiene», perpetuando così quell’ambiguità di tute-la di cui sopra. A questo proposito entra in gioco in maniera feconda il paradigma Paesaggio, così come la Convenzione Eu-ropea ha contribuito a de"nire, e che è in grado di arricchire il concetto di itinerario culturale tanto da farne uno strumento di lettura del patrimonio attraverso cui inter-pretare i beni e individuarne di nuovi, in una dimensione progettuale che è già tutta contenuta nell’approccio di paesaggio, e nella sua prospettiva di processo e di svi-luppo durevole.

Non a caso l’itinerario culturale, come emerge sin dal Programma degli Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa, si inseri-sce all’interno di un discorso che da tempo indaga il rapporto tra patrimonio e svi-luppo. Un binomio ribadito recentemente nella Dichiarazione di Parigi8 adottata il primo dicembre scorso, il cui obiettivo è continuare a promuove uno sviluppo che incorpori il patrimonio culturale come prerogativa a$nché possa essere sosteni-bile e assumere una dimensione misurata

rispetto alla condizione dell’abitare delle popolazioni, in cui un ruolo fondamentale lo gioca la condizione locale come anel-lo da ra#orzare di fronte alla dimensione straniante in cui la globalizzazione ci pone.

Questo approccio sembra avvicinarsi a quello della prospettiva territorialista e dell’idea di patrimonio territoriale come risorsa, per cui si passa dalla conservazio-ne alla tutela attiva e alla valorizzazione, così che l’esigenza di patrimonio si lega al tema dello sviluppo traducendosi in pro-getti che scendono di scala e si rapportano alla dimensione locale. Una prospettiva valida e anche attuale che investe ormai tutti i settori della cultura, dal turismo alla museologia per citarne solo alcune, dove le strutture culturali riscoprono il territorio e i legami tra oggetti e comunità.

Tuttavia l’approccio di paesaggio, che l’iti-nerario culturale trasferisce nell’ambito del patrimonio, permette in una certa misura di andare ancora oltre, a partire dal ride"-nire i contorni del concetto stesso di pa-trimonio, che non si arricchisce solo della dimensione territoriale, ma sta ad indicare quelle tracce dell’uomo nella storia, sia re-cente che lontana, che per la loro capacità di intessere relazioni paesaggistiche sono suscettibili di divenire patrimonialità. La-vorando sui segni e sulla forma della storia, spostandosi dall’oggetto al contesto, è allo-ra possibile individuare patrimonio anche in assenza di elementi "sici da tutelare o da recuperare, aprendo nuovi scenari an-che per la dimensione progettuale nei con-fronti del patrimonio. Il primo progetto sarà allora quello di educare alla sua lettura e alla conoscenza, per una consapevolezza nell’agire dell’uomo che lo faccia riappro-priare del suo spazio di vita e riscoprire il senso del suo abitare. L’itinerario è allora anche camminare il paesaggio, momento in cui si imparare a leggerlo e si scoprono lì dentro le chiavi per una trasformazione coerente e sostenibile.

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1 Du lexique et des antiquaries, L’Esprit des choses in «Airts-Loisirs», n.62, 1966, p.21; ora in Borsari A. (a cura di), Georges Perec, Riga 4, Marcos y Mar-cos, p.322 Un acuto approfondimento al tema, soprattutto in riferimento al patrimonio archeologico, si trova in Ricci A., Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Roma, Donzelli, 20063 Si fa riferimento al quadro che Eugenio Turri forni-sce nel suo viaggio attraverso l’Italia cercando di co-gliere i segni e le conseguenze della Grande Trasfor-mazione. Turri E., Semiologia del paesaggio italiano, Milano, Longanesi & Co., 1979 4 Azzena G., Elogio della cronodiversità, in Abis E. (a cura di), Paesaggio Piano Progetto, Roma, Gangemi, 2009, pp. 67-735�9PÅLZZPVUP�Z\SSH�JVUKPaPVUL�]LUL[H�ZP�[YV]HUV�HSS»PU-terno di Turri E., La megalopoli padana, Venezia, Marsilio, 20006 Romani V., Il paesaggio. Percorsi di studio, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 1257 ICOMOS/CIIC, Carta Icomos degli itinerari Culturali, Québec, 20088 The Paris Declaration on heritage as a driver of development, adopted at Paris, UNESCO headquar-ters, on Thursday 1st December 2011. La dichiara-zione si inserisce all’interno di iniziative il cui obiettivo recita così «to promote a development process that incorporates tangible and intangibile cultural heritage as a vital aspect of sustainability, and gives a human face to development»

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PhotoStory

Rocca dei Varano, Valdiea (MC)

Foto: Silvia Minichino

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PhotoStory

Rocca dei Varano, Valdiea, (MC)

Foto: Silvia Minichino

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Partire dalle de"nizioni per impostare una ri!essione verso una ricerca sul tema che il binomio del titolo pro-

pone, può sembrare riduttivo, conside-rando che queste spesso non sono unani-memente riconosciute, non risolvono una loro intrinseca ambiguità e sempli"cano eccessivamente la realtà cui si riferiscono. Ma in questo caso mi sembra il punto mi-gliore da cui iniziare e il modo adatto per esprimere un pensiero molto complesso, specchio (e causa?) di una realtà altrettanto complessa. Ribaltando la visione del tito-lo, la prima cosa che cercherò di fare, pren-dendo spunto da alcuni autori, è provare ad argomentare la nozione di “progetto paesaggistico”, per poi passare al signi"ca-to di “Itinerario Culturale” (IC), ricavan-dolo dalle due de"nizioni ormai codi"cate del Consigio d’Europa e dell’ICOMOS, molto diverse ma con rilevanti elementi in comune. In"ne, limitatamente allo spazio dell’articolo, concluderò con alcune que-stioni, domande vere e proprie, da mettere in luce nel momento in cui si parla di rela-

ITINERARI CULTURALI E PROGETTO PAESAGGISTICO: QUESTIONI APERTEdi Chiara SerenelliPhd student DUPT, Università degli Studi di Firenze

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La strada della Val Sant’Angelo tra Plestia e Pievetorina

Foto: Chiara Serenelli

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zioni possibili tra la progettazione paesag-gistica e l’IC, pensati assieme al "ne di ri-spondere ai problemi di sostenibilità delle trasformazioni che interessano i luoghi di vita dell’uomo.

Sul progetto paesaggistico alcune voci sembrano discordare sul senso che questo termine esprime. In Pedroli e Goodman 2010, Franco Za-gari, citando la de"nizione di paesaggio come Grado Zero dell’architettura di Bru-no Zevi1, sostiene che “un paesaggio non può esistere senza un progetto”, sia nel caso della tutela, sia per quanto riguarda l’attività di gestione e piani"cazione, ver-so cui ci orienta la Convenzione Europea (CEP). Il “progetto” che possiamo riferire al paesaggio (“landscape as a project”) tut-tavia non è da confondere con la fase di dettaglio della piani"cazione, il landscape design in rapporto al landscape planning. Esso è altra cosa e, a qualsiasi scala, com-porta la presa d’atto di una complessità della realtà, attraverso azioni mirate a “leg-gere, interpretare e ‘tradurre’ un contesto”, il cui “quid” sta nella “ricerca creativa di caratteri "sici e percettivi, in cui una co-munità si sente rappresentata in un certo momento e in un certo luogo”2. Chiarisce ulteriormente questi passaggi l’a#ermazione “non c’è paesaggio senza progetto”, nella quale Roberto Gambino (Paolinelli, 2010: 138) concepisce “il pro-getto non già come un costrutto soggetti-vo ed autoreferente, ma come un processo collettivo mai concluso, costantemente aperto al cambiamento, che investe il ter-ritorio in tutta la sua complessità”. Il pae-saggio non è mai un dato e “le attribuzioni di valore [quelle che precedono e fondano l’attività regolativa e strategica della piani-"cazione costituendone la base conosciti-va] […] non possono evitare di ri!ettere […] le scelte di fondo delle comunità in-teressate”. Contrasta apparentemente con quanto ri-ferito sopra la tesi che “il paesaggio non si piani"ca e non si progetta” sostenuta da Paolinelli (2011: 37 e ss.) in riferimento

al “fare collettivo” di Almo Farina, ovvero “tutta una serie di prescrizioni, regolamen-ti ed usi che tendono a gestire proprietà emergenti degli ecosistemi […] tutelan-do ove possibile l’interesse pubblico su quello privato”, in cui rientrano “le varie governance delle di#erenti gerarchie di entità pubbliche delegate dall’individuo a gestire, tutelare e progettare il contesto collettivo” (Farina, 2006: 106), cioè la pia-ni"cazione. Secondo Farina nel momento in cui il “fare collettivo” non contempla i “modelli semiotici” che caratterizzano il paesaggio (cfr. la sua idea di “paesaggio cognitivo”), è molto di$cile che essi siano e#ettivamente in grado di gestire le risorse e i sistemi delle stesse di cui il paesaggio è interfaccia semiotica, alla stregua di un “ombra”, o ri!esso, prodotta da un oggetto o un insieme di oggetti (le risorse). Pensa-re la progettazione paesaggistica come un intervento diretto sul paesaggio, di conser-vazione o trasformazione ai "ni dello svol-gimento delle attività umane, “è quindi una contraddizione, non possiamo gestire le ombre ma chi le produce. Per questo per avere un certo risultato dobbiamo gestire le risorse, le modalità per la loro produzio-ne e per la loro conservazione. Andrà da sé che un paesaggio emergerà da questa atti-vità” (ivi: 107). Gestire le risorse signi"ca prima individuarle, percepirle, per poterle utilizzare, il paesaggio è un “prodotto” di questo uso e di questa gestione (ivi: 108). Se è vero che il paesaggio in questo sen-so non può essere progettato, ma se è an-che vero che nessun paesaggio può esistere senza un atto progettuale, come è possi-bile allora concepire la progettazione pa-esaggistica? Gabriele Paolinelli (2011: 38) suggerisce uno “spostamento di punto di vista” dal progetto del paesaggio, al “pae-saggio come categoria progettuale” in cui, nei ‘piani territoriali’ e nei ‘progetti dei luoghi’, l’attenzione si sposta “sul senso paesaggistico delle idee, delle politiche e delle azioni” che il paesaggio, come realtà a cui apparteniamo, deve poter a sua volta metabolizzare. Occorre pensare ad un “ap-proccio paesaggistico al progetto” come

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La Valle del Musone da Recanati, lungo la via Lauretana.

Foto: Chiara Serenelli

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processo con cui non è possibile “control-lare tutto”, piuttosto saper decodi"care e interpretare le potenzialità nascoste dei luoghi per guidarli verso la capacità di so-stenere le trasformazioni, in continua re-lazione con la popolazione (Nassaume e La#age in Pedroli e Goodman, 2010: 62). Il “paesaggio come progetto” è una ricerca, si direbbe continua, del modo e delle for-me con cui una certa comunità si rapporta "sicamente e cognitivamente al proprio ambiente di vita, ovunque diverso, sempre con una profondità storica, che compor-ta, in risposta agli obiettivi della CEP, una altrettanto instancabile ricerca delle strade per migliorare la “qualità” della vita stessa, laddove minacciata e compromessa.

Per il Consiglio d’Europa un IC è “a cul-tural, educational heritage and tourism co-operation project aiming at the deve-lopment and promotion of an itinerary or a series of itineraries based on a historic route, a cultural concept, "gure or phe-nomenon with a transnational importan-ce and signi"cance for the understanding and respect of common European values” (CM/Res(2010)53). A questa de"nizione si è aggiunta quella dell’ICOMOS, secondo cui un IC rap-presenta “toda vía de comunicación terre-stre, acuática o de otro tipo, físicamente determinada y caracterizada por poseer su propia y especí"ca dinámica y funcio-nalidad histórica que reúna las siguientes características: a) ser resultado y re!ejo de movimientos interactivos de personas, así como de intercambios multidimensiona-les, continuos y recíprocos de bienes, ide-as, conocimientos y valores dentro de un país o entre varios países y regiones, a lo largo de considerables períodos de tiempo; b) haber generado una fecundación múlti-ple y recíproca de las culturas en el espacio y en el tiempo que se mani"esta tanto en su patrimonio tangible como intangible” (Suàrez Inclàn, 2003), speci"cando ulte-riormente il concetto di “heritage route” che l’UNESCO ha inserito tra le catego-rie patrimoniali, de"nendolo “composed

of tangible elements of which the cultu-ral signi"cance comes from exchanges and a multi-dimensional dialogue across countries or regions, and that illustrate the interaction of movement, along the route, in space and time” (UNESCO, 2011).

Pur constatando una di#erenza di fondo, per cui il Consiglio d’Europa punta a sot-tolineare la natura operativa del concetto come “progetto di cooperazione” tran-sfrontaliera in materia di cultura, educa-zione al patrimonio e turismo, basato su avvenimenti storici e fenomeni culturali, e l’ICOMOS ne sottolinea invece il ca-rattere di “vie di comunicazione”, ogget-to complesso espressione di un sistema patrimoniale, in cui l’evoluzione storica, insieme alla conformazione "sica, gioca un ruolo primario nel determinarlo, di#e-renziandolo da un itinerario turistico, una linea comune si può rilevare in entrambi gli approcci. La si riscontra nel carattere relazionale attribuito all’IC, sia in quan-to ‘strumento’ per la de"nizione di azioni progettuali verso una realtà patrimoniale, sia in quanto ‘oggetto’ con una certa di-mensione territoriale. Nel primo caso la relazionalità si esprime prevalentemente tra soggetti istituzionali a vari livelli e tra vari Paesi europei che scelgono di collabo-rare, nel secondo caso essa si attua come sistema di relazioni diacroniche e spazia-li con"gurate dall’IC in quanto tale e in quanto generatrici di “patrimonio mate-riale e immateriale”.

La natura sistemica è anche quanto avvi-cina l’IC a quella che comunemente viene de"nita la sua “dimensione paesaggistica” (%omas-Penette, 2000), data dalla com-presenza degli attributi che lo de"niscono: essere il risultato di un’evoluzione (dimen-sione storica), essere calato in un contesto geogra"co che ha contribuito a trasforma-re e da cui è stato contemporaneamente plasmato (dimensione territoriale), essere portatore di una relazione cognitiva tra l’uomo e l’ambiente, nel momento in cui esso risponde alla prima delle funzioni per

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cui è stato pensato, la percorrenza (dimen-sione percettiva).Anche l’IC pone dunque il problema di una ricerca, alla stregua della progettazio-ne paesaggistica.

Conoscere un, lavorare con e per un IC, signi"ca in primo luogo ricercare e capire le dinamiche che storicamente hanno inte-ressato territori e popolazioni che proprio grazie ai !ussi di persone, idee e merci lun-go le rotte di spostamento, hanno model-lato una cultura che a sua volta ha dato forma ai paesaggi vissuti. Signi"ca dunque condurre una ricerca sull’evoluzione del rapporto tra comunità e ambiente dentro e tra i luoghi di vita, che oggi si rispecchia nei paesaggi attuali. In questa ricerca il "lo conduttore che attribuisce signi"cato alle relazioni, in ogni periodo storico, è l’idea del movimento, del viaggio lungo gli iti-nerari. Le relazioni si possono individuare a partire dalle tracce che questi viaggi han-no lasciato sul territorio, quelle tangibili in primo luogo, espresse nella forma della viabilità e nelle forme architettoniche le-gate funzionalmente e simbolicamente ad essa. Le tracce non sono solo “beni cul-turali”, per quanto complessi, ma linee e nodi connessi semanticamente e, in alcuni casi, ancora "sicamente, da cui far gene-rare, lungo l’IC, “idee, politiche, azioni”, di conoscenza, cura e gestione del “patri-monio territoriale” come insieme di risor-se, ma anche e soprattutto, come sistema di relazioni (Gambino, in Paolinelli 2011: 139) che funzionano ancora, rinnovando-si, nel presente. In questo senso, la dimensione progettuale di cui parla il Consiglio d’Europa a propo-sito di IC, ma anche le misure che l’UNE-SCO e l’ICOMOS suggeriscono in ma-teria di “conservazione e valorizzazione”, non possono che passare per un approccio paesaggistico. Un progetto legato ad un IC (di un IC o con la categoria dell’IC) non può che essere un progetto paesaggistico, che esso preveda attività di cooperazione, piani"cazione o progettazione, o le tre in-sieme.

Questo teoricamente parlando e certa-mente solo toccando marginalmente il problema del rapporto tra la progettazione paesaggistica e l’IC. Nella realtà non è ancora chiaro, né forse ampliamente sperimentato, quanto i due termini possano trovare un punto di con-tatto per realizzare obiettivi di sviluppo durevole e sostenibile delle comunità. Le domande che vorrei porre in chiusura, su cui lascio aperta la ri!essione, riguarda in parte proprio l’attuabilità della sosteni-bilità, che, secondo molti autori deve po-tersi radicare nella realtà locale e nelle ri-sorse locali per realizzarsi. È nella cura dei luoghi, nella nostra capacità di prenderci cura di essi, che si esprime la qualità dei paesaggi. Come con"gurare il rapporto tra dimen-sione locale e IC – tale in quanto realtà sovra-locale - a$nché quest’ultimo rap-presenti davvero un dispositivo di co-noscenza e lettura dei caratteri locali per convogliarli verso la ‘progettazione’ della qualità? Come utilizzare l’IC per stimolare il riconoscimento dei ‘valori’ dei paesaggi trasformandoli in risorse e sistemi patri-moniali per lo sviluppo? Quali azioni dun-que attivare, con e lungo l’IC, perché ad attribuire i valori siano, consapevolmente, le popolazioni locali e non solo soggetti esterni estranei o lontani dalle loro “aspet-tative”?

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1 Bruno Zevi, Paesaggistica e linguaggio. Grado Zero dell’Architettura, Modena, 1997. 2 In originale nel testo: “’Landscape as a project’ reads, interprets and ‘translate’ a context […] its real ‘quid’ lies in the creative search for characteristics, both physical and perceptual, in which a commu-nity feels represented at a certain time and place” (Pedroli e Goodman, 2010: 18-19).

RIFERIMENTI BIBLIOGARFICI

Council of Europe (2000), The European Landscape Convention.Council of Europe, Committee of Ministers (2010), Resolution CM/Res(2010)53 establishing an Enlar-ged Partial Agreement on Cultural Routes.Farina A., Il paesaggio cognitivo. Una nuova entità ecologica, Franco Angeli, Milano, 2006. Paolinelli G. (a cura di), Habitare. Il paesaggio nei piani territoriali, FrancoAngeli, Milano, 2011.Pedroli B., Goodman T. (eds), Landscape as a project. A survey of views amongts UNISCAPE members. Reaction to a position paper of Franco Zagari, Libria, Foggia, 2009.Suàrez Inclàn M. R., Los Itinerarios Culturales, in The *00*�:JPLU[PÄJ�4HNHaPUL��������KPZWVUPIPSL�PU�O[[W!��www.icomos-ciic.org/INDEX_ingl.htm. Thomas-Penette M., Les itinérarires culturels de l’Europe. Du jardin au paysage, 2000, in Institut Eu-ropéen des Itinérarires culturels, Carnet de Campa-gne, Conseil de l’Europe, Metz, pp. 111-116.UNESCO, Operational Guidelines for the Implemen-tation of the World Heritage Convention, 2011.

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Borgo San Giovanni, (MC)

Foto: Silvia Minichino

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*VSÄVYP[V���7.�Foto: Silvia Minichino

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“Basta chiedere a persone diverse che han-no compiuto lo stesso viaggio quali sono gli elementi che ritengono più saldamente nel-la memoria e che, a loro avviso, quali"cano meglio quel territorio, paese, regione. Gene-ralmente si hanno risposte analoghe, almeno otto su dieci indicano le stesse cose.” scriveva Eugenio Turri1, ed è esattamente quello che è stato fatto nel corso dei mesi di luglio ed agosto 2011 durante la più pe-ripatetica fase di campionamento dati di un percorso di ricerca tale per cui il sostan-tivo si riappropria della sua accezione "sica originaria.

Il percorso è il tratto Italiano della Via Francigena u$cialmente riconosciu-to dal Mibac. Lo si speci"ca perché di

Francigene, che vivono nell’ignoranza re-ciproca e nella totale mancanza di anasto-mosi, ce ne sono tante. Quelle autonoma-mente tacciate dai passi e dalle e#emeridi dei gps di tecnici Comunali, Provinciali, Ministeriali o semplicemente dalle pen-nette gra"che sulle cartogra"e o sulle foto

LA VIA FRANCIGENA COME LINEA NARRATIVA DEL TESTO PAESAGGISTICO: ESPERIENZE DI RICERCA in itinere.di Serena SavelliPhd student, La Sapienza, Roma

Cippo di crinale sul passo della Cisa

ZLNHU[L�PS�JVUÄUL�[YH�.YHUK\JH[V�di Toscana e ducato di Parma e

Piacenza, iconema antropico unico e

irripetibile.

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aeree, da mitologici pellegrini capostipite delle Confraternite che hanno compiuto riti fondativi con stancil e pennelli. Queste vie rispondono ad esigenze diverse e legit-time mai messe a sistema o quantomai car-tografate sinotticamente, né organizzate in quella che sarebbe un un’utile sintesi che le quali"chi di volta in volta come: l’alterna-tiva appena attrezzata e più confortevole, la più veloce, la più sicura, la più panora-mica. Il senso di percorrenza è quello sud-nord da Roma verso le Alpi, ovvero quello che permetteva di massimizzare i contatti.

Le “persone diverse che hanno compiuto lo stesso viaggio” sono i circa 160 pellegri-ni incontrati lungo la Via e negli ostelli a "ne giornata di cammino.

Gli oggetti del cercare sono quelle “stesse cose” che e#ettivamente citano la maggior parte degli intervistati anche se in un rap-porto oscillante in funzione della "gurabi-lità e della leggibilità del paesaggio che non necessariamente si mantiene sulla percen-tuale di “otto su dieci”. Gli oggetti ricer-cati sono gli iconemi ovvero, riassumendo alcune delle molteplici e talvolta con!it-tuali de"nizioni che lo stesso Turri forni-sce, le unità elementari della percezione, le sineddoche come parti che esprimono

il tutto di un insieme organico di segni o che lo esprimono con funzione gerarchica primaria, i riferimenti visivi dalla spiccata connotazione espressiva e dalla forte cari-ca semantica rappresentativa del rapporto culturale che una società stabilisce con il proprio territorio e di come ne organizza lo spazio, gli elementi che maggiormente incarnano il genius loci di un territorio, la sua anima vera e profonda, gli oggetti sacri ai quali si deve adeguare la piani"cazione.

Uno degli obiettivi della ricerca in itine-re consta nel redigere un prototipo lineare di quella carta già urgentissima per Turri sul "nire degli anni novanta. Quella “car-ta che manca in Italia -che individua nei territori- i luoghi a forte carica simbolica e spettacolare, cioè gli iconemi, che la cul-tura ha riconosciuto come riferimenti im-portanti per l’identità”.2 Quella carta che già altri hanno richiesto e pensato di redi-gere proprio in relazione ad un percorso: “la mappa di cui i paesaggi italiani hanno bisogno è una rappresentazione del com-plesso intertesto dei diversi tipi di unità di paesaggio e del reticolo dei percorsi che ne consentono e disciplinano la lettura”.3

La scelta della Via Francigena come osser-vatorio nomade sul paesaggio è dettata dal veri"carsi, in essa, di una molteplicità di

Risaie e pioppeti nei

pressi di Tromello.

Iconemi del paesaggio

agrario ripetibili e ripetuti

ÄUV�HSSV�Z[VYKPTLU[V�nella regione della

Lomellina.

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condizioni che la caratterizzano quale sito ad alta reattività sperimentale particolar-mente vocato come laboratorio ove con-durre osservazioni sulla lettura del paesag-gio per iconemi. Se ne elencano di seguito alcune.

La prima e la più ambiziosa condizione da indagare che si veri"ca sulla Via è la fecon-da sovrapposizione di sguardi interni-stan-ziali ed esterni-nomadi che, se ben analiz-zata, sarebbe suscettibile di sperimentare de"nizioni altre di paesaggio capaci di su-perare il limite dell’attuale visione locale e

con"nata, seppur meritevole di aver tenta-to di restituire agli abitanti la cittadinanza attiva nonché di rivalutare “l’antica essenza etico-politica dei luoghi”4. La percorrenza di pellegrini di diversa provenienza quali outsiders che, “da semiologi puri inter-preti di segni -sono capaci di fornire una lettura del contenuto dizionariale, classi-"catorio, cartogra"co del paesaggio”5 e la presenza: concentrata nelle submansiones, diluita nelle frange o di#usa nelle campa-gne, delle popolazioni insediate quali in-siders che “come attori che vivono all’in-terno del paesaggio -sono suscettibili di dare una- lettura del paesaggio identitario e vissuto6 pongono il fenomeno paesaggio in una prospettiva di osservazione multi-

focale. In alcune stazioni particolarmente signi"cative verranno condotte interviste incrociate ai pellegrini ed agli abitanti e si tenterà di mettere così in evidenza quanta parte della "gurabilità di un paesaggio de-riva dalla dimestichezza e dall’a#ezione al luogo e quanta sia e#ettivamente imputa-bile agli attributi formali e quindi quanto il paesaggio sia leggibile o s"gurato. Os-servando il paesaggio in tale prospettiva se ne evidenzieranno, in caso di abbondanza, nitore e corrispondenza delle immagini ri-tenute da pellegrini ed abitanti, la leggibi-lità, la chiarezza semiotica oppure, inversa-

mente, quando le percezioni degli outsider sono più confuse di quelle degli abitanti o, peggio, quando neanche gli abitanti han-no una chiara immagine ambientale, l’en-tità del guasto a carico paesaggio,

Quantomai palese, tra le ragioni che ren-dono la Francigena vocata alla materia della ricerca, è la stretta correlazione tra i termini del binomio passeggiata-paesag-gio. Secondo alcuni7 sono state proprio le prime erranze dell’uomo neolitico a tra-sformare l’ambiente naturale creando il paesaggio caricando i luoghi di signi"cati rituali ed annettendoli alla cultura e tanti concordano che camminare sia portatore di una visione privilegiata ed acuita del pa-

Antiche torri tra i noccioleti

in località Querce

d’Orlando, presso

Capranica. I manufatti sono

un iconema antropico

irripetibile collegato al ciclo

Carolingio, i noccioleti

sono un iconema diffuso

e replicabile del paesaggio

agrario.

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esaggio che “comporta una partecipazione sentimentale, intellettuale e socializzante ma anche una partecipazione "sica impo-sta dal fatto di muoversi a piedi”8 e “dona il ritmo smisurato dell’attraversamento, la dolcezza della percezione a tutto tondo”.9 Un legame che, seppur intuito “sin dai tempi dell’ascensione del Petrarca al Mont Ventoux”10 diviene sinestetico solo sul "nire del settecento con i resoconti delle prime passeggiate dei fratelli Wordsworth e si consolida e codi"ca nell’ottocento nel genere letterario delle guide di viaggio che erudiscono all’osservazione del paesaggio del William Gilping è capostipite. Questa letteratura del camminare che “trasforma lo spazio del viaggio in scenario ed il viag-gio a piedi in un "ne”11 laddove prima, per molti secoli la distanza tra partenza e meta era stata vissuto come una pena o un’or-dalia e come tale spesso ci viene restituita dalle descrizioni dei pellegrini medievali.

A quattro chilometri l’ora la percezione frattale dell’habitat è più nitida e minuta, rispetto a quella data dalla veloce proie-zione dei "nestrini di un TGV o a quel-la geoscopica che scorre distrattamente sotto le ali di un aereo, e ci restituisce un walkscape12 fatto di una sequenza chiara e nitida di immagini di paesaggio. Tale cor-sia visiva preferenziale unita alla necessità contingente che chi cammina a piedi nel

paesaggio (ancorchè supportato da gps, App e carte) ha di utilizzare i landmarks come riferimenti utili all’orientamento rendono i pellegrini soggetti percepenti d’eccezione. Pertanto nelle interviste si è potuto convenientemente e con successo utilizzare il metodo che Kevin Lynch13 uti-lizzò per far descrivere agli abitanti della città le immagini che si dispiegavano lun-go i percorsi compiuti da essi tra la casa ed il luogo di lavoro. Gli iconemi, in questo senso, hanno ben funzionato in analogia ai riferimenti lynchani restituendo delle mappe cognitivo-percettive ove "gurano chiaramente sequenziati lungo l’asse me-trico della tappa.

Tra le ragioni che concorrono a rende-re i pellegrini osservatori d’eccellenza e, di conseguenza a quali"care la Francige-na come caso studio, non si è trascurata neanche la forte e consapevole domanda di paesaggio che muove la maggior par-te di questi moderni viatores. I moderni viaggiatori, alimentati nell’immaginario dalle memorie romantiche del gigantesco apparato iconogra"co di shizzi e dipinti del Grand tour ma anche dal proliferare di immagini georiferite che "gurano sulel migliaia di blog dedicati ai pellegrinaggi che del Grand tour costituiscono una sorta di revival, vengono in Italia ancora attirati dal mito, ormai opaco, del paesaggio del

Basolato ed arco romano

della via delle Gallie nei

pressi di Donnas

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Belpaese e ci vengono a piedi per meglio esperirlo.

Laddove riuscire a tracciare una carta li-neare che individui e riferisca all’asse me-trico del percorso gli iconemi del walksca-pe francigeno sequenziando e mappando tutte le unità di paesaggio di cui essi sono sineddoche e catalogandoli in una legenda organizzata secondo una tassonomia utile sia a "ni interpretativi che progettualmen-te operativi, sarebbe di per sé un valido ri-sultato per una ricerca volta ad individua-re nuovi metodi di rappresentazione che si rendano, secondo l’auspicio di Turri e di Socco utili supporti alla piani"cazione ed alla progettazione del paesaggio, trattan-dosi nel caso-studio della Francigena di un Itinerario Culturale del Consiglio d’Euro-pa il medesimo risultato soddisfa e coin-cide con il conseguimento di una seconda "nalità.

Poiché la Carta ICOMOS14 degli Itinerari Culturali prescrive, di individuare e “deli-mitare l’ambiente dell’ itinerario culturale marcando i limiti di un area tampone che permette di preservare, nella loro autenti-cità e integrità, i valori culturali materiali e immateriali nonché i di#erenti paesag-gi che conferiscono un’ambientazione ca-ratteristica ai diversi itinerari culturali” il modello utilizzato nella costruzione della suddetta carta, ben si presta ad elaborare metodologie da applicare in fase di re-dazione del dossier candidatura di nuovi Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa nonché in fase progettuale di valorizzazio-ne paesaggistica, intesa come implementa-zione dell’intrinseca attitudine di percorsi narrativi del paesaggio che gli stessi itine-rari hanno.

1 E. Turri, Il paesaggio come teatro dal territorio vissu-to al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia, 19982 E. Turri, Il paesaggio come teatro dal territorio vissu-to al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia, 19983 C. Socco4 M. Venturi Ferriolo, Percepire paesaggi. La potenza dello sguardo, Bollati Boringhieri, Torino, 20095 E. Turri Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia 20046 E. Turri Il paesaggio e il silenzio, Marsilio, Venezia 20047 F. Careri, 2006, Walkscape camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino8 E. Turri, 1998, Il paesaggio come teatro dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia9 R. Milani, 2005, Il paesaggio è un’avventura. Invito al piacere di guardare e di viaggiare, Feltrinelli, Milano10 C. Socco11 R. Solnit, 2000, Storia del Camminare, Mondadori, Bologna 12 F. Careri, Walkscape camminare come pratica este-tica, Einaudi, Torino, 200613 Lynch, K. (1960), The image of the city, MIT Press, Cambridge 14 Carta ICOMOS degli itinerari culturali, 4 ottobre 2008.

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Cava di Campolarzo (MC)

Foto: Silvia Minichino

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Il territorio degli Altipiani Plestini è un lembo di terra privilegiato, sia dal pun-to di vista naturalistico, che storico-

culturale, è una terra di con"ne tra umbria e marche che fa da sfondo alla vita dell’uo-mo "n da tempi remoti, è un ambiente ru-rale di montagna di natura fragile, sensibi-le, modellato nei secoli dall’attività umana, un processo di trasformazioni che ha visto il necessario adattarsi al cambiamento del territorio e della comunità, un dinamismo che ha permesso il mantenimento dell’i-dentità e la valorizzazione delle peculiarità che contraddistinguono questo contesto.

La valutazione delle attuali condizioni ter-ritoriali, ambientali e socio-economiche del bacino degli Altipiani Plestini, che si presenta come un insieme di sette vaste depressioni carsiche disposte tra i rilievi calcarei dell’Appennino centrale, o#re la possibilità di de"nire un quadro interpre-tativo utile per delineare obiettivi e strate-gie di intervento e con le quali leggere le principali problematiche che interessano il territorio, determinando allo stesso tem-po gli elementi caratterizzanti, cioè quelli che de"niscono l’identità dei luoghi incro-ciando elementi "sici e percettivi.

La resilienza di un territorio: gli Altipiani Plestinidi Marinella LippiArchitetto

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MAPPA DI COMUNITA’

Gli Altipiani Plestini rappresentano un contesto in cui sono avvenute moltepli-ci mutazioni, la conformazione attuale è sostanzialmente recente ma sono presenti caratteri omogenei propri di questo luogo che per lo più sono frutto dell’azione an-tropica.

Siamo di fronte ad un paesaggio in cui l’at-tività umana ne ha modi"cato le forme ma non le strutture e l’integrità.Il fatto che l’attività agricola e quella silvo-pastorale siano le più praticate ha inciso sulle pratiche di vita stesse degli abitanti degli altipiani i quali riconoscono la carat-teristica rurale come la più rappresentati-va di questo territorio, da sempre, quindi, l’uomo se ne prende cura proprio perché ne ha riconosciute le potenzialità e nean-che le numerose di$coltà, o eventi nega-tivi, hanno interrotto una relazione che nel tempo ha saputo mantenersi attraverso forme di adattamento e trasformazioni che si sono rese necessarie per la sopravvivenza. Dunque la capacità di reazione ha segnato e continua a segnare il territorio e la co-munità, si riscontrano atteggiamenti e di-namiche che hanno comportato la ricerca e l’a#ermazione di una nuova identità che tuttavia si è sempre ispirata a valori comu-ni riconosciuti e fondati su solide basi che hanno permesso il mantenimento dell’u-nitarietà di una comunità divisa ammini-strativamente e luogo di spartizioni anche religiose "n dal medioevo.

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LA RESILIENZA

Il paesaggio plestino è sostanzialmente “prodotto dell’uomo”, l’uso ne garantisce la sopravvivenza così come il suo ricono-scimento di ambiente di vita; la margina-lità percepita localmente e rimarcata dalle amministrazioni, l’abbandono degli ultimi anni o l’attuale costruzione della superstra-da del Progetto Quadrilatero sono occasio-ne di stimolo per la comunità e il paesaggio stesso che, attraverso una gestione che non dimentica le radici storico-culturali, potrà nuovamente reagire e conseguentemente lasciare un segno caratterizzante e nuovo, aperto quindi al cambiamento e all’evolu-zione che i processi di vita impongono.

La complessità che caratterizza il sistema territoriale plestino, assieme alla proprie-tà di resilienza riconosciute come qualità del sistema stesso, permettono, attraverso la continuità tra processo di conoscenza e scelte strategiche, di determinare la forma-zione di un progetto paesaggistico che fa della sostenibilità dello sviluppo il suo "ne principale, infatti la proprietà di resilienza si riferisce ad una serie di reazioni comples-se che permettono la possibilità di reagire in modo da garantire con nuove soluzioni lo stato di funzionamento dell’intero siste-ma, essa però non può essere considerata un processo spontaneo perché necessita di una chiara intenzionalità.

Infatti un sistema mostra la propria resi-lienza quando riesce a vivere il duplice dinamismo di adattamento alla realtà ma anche di partecipazione alla ride"nizione dell’identità collettiva mediante la costru-zione della propria identità.

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STRATEGIE

L’ecomuseo si rivela quindi uno strumento e$cace proprio perché identi"cabile come un’istituzione che si basa sulla partecipa-zione della popolazione, è un progetto culturale condiviso che mira alla valoriz-zazione del paesaggio inteso come porta-tore di identità, improntando le proprie azioni conoscitive, di coordinamento, di mediazione, di interlocuzione tra le parti e di collaborazione, verso modelli di ge-stione integrata e di conservazione attiva esaltando la natura mutevole del paesaggio e quindi la dimensione dinamica del pro-getto stesso.

La conoscenza delle regole alla base dell’i-dentità del paesaggio e del suo funziona-mento strutturale sono fondamentali per orientare le scelte e determinare un strate-gia costituita da un complesso di azioni di competenza di soggetti diversi. Dall’analisi dei segni, degli usi, delle percezioni e quin-di delle conseguenti dinamiche e processi che hanno strutturato il paesaggio plesti-no, si individuano quegli elementi carat-terizzanti e quelle proprietà con le quali proporre degli obiettivi che tengano conto della vocazione del territorio e delle aspet-tative sociali prendendo in considerazione le risorse e proponendo azioni per gover-nare e orientare la risposta alle esigenze, in modo tale che le trasformazioni siano compatibili con i margini di !essibilità emersi dalla conoscenza e che si possa così ambire ad un uso sostenibile delle risorse stesse.

Lo scopo principale si rivela quello dell’ac-quisizione di una speci"ca consapevolezza culturale del luogo con lo speci"co compi-to di attuare un processo di identi"cazione culturale delle risorse esplorando la stru-mentalità dell’istituzione ecomuseale, le posizioni e i metodi con cui esso si pone a fondamento del progetto paesaggistico, as-sumendo il ruolo di luogo entro cui poter avviare dei processi che vanno dalla tutela ambientale alla riorganizzazione territoria-

le, alla valorizzazione e promozione delle ricchezze storico-culturali del territorio, "no all’educazione ambientale e ai temi della sostenibilità.

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IL PROGETTO

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PhotoStory

La strada della Val Sant’Angelo tra Plestia e Pievetorina

Foto: Chiara Serenelli

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Attraversare la città signi"ca attraver-sare il tempo e con esso misurarsi; oggi la s"da sembra essere quella

con il tempo e con i suoi molteplici volti: sappiamo percepire un intervallo ma non concepire un istante. Sul tempo e la sua gestione si gioca una partita importante tra le città e il loro sistema di relazioni.

Loreto rappresenta un caso di centro ur-bano sorto a partire dalla presenza di un elemento sacro simbolico, che attirando in principio i primi visitatori dalle località limitrofe, ha progressivamente ampliato i propri con"ni adattandosi alle esigenze di chi poco a poco vi si stabiliva impiantan-dovi attività commerciali ed artigianali le-gate alla vocazione religiosa del luogo.Alle porte di Loreto, il con"ne, originario signi"cato di “marca”, da cui il nome della Regione, si esprime nel luogo di arrivo per eccellenza, la mèta del pellegrinaggio, che attrae a sé tutto ciò che viene dall’esterno. La sua forza accentratrice ha cancellato nel tempo i segni di un susseguirsi di storie

LORETO 2030:EUTOPIA DI UN TERRITORIOdi Chiara Caberletti e Laura VedovatiArchitetti Paesaggisti

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che hanno creato una diversi"cazione di elementi nel contesto, che oggi a malapena si riconoscono.Per questo motivo occorre qui superare il limite apparente del “luogo di arrivo”, che pur nella sua forza polarizzante resta oggi separato da un contesto che appare quasi estraneo, come se spazio sacro del santuario e paesaggio esterno si fossero distaccati e avessero percorso strade com-pletamente diverse. Ricomporre il sistema storico culturale, imparando a riconoscer-ne il valore delle di#erenze e degli elementi di#usi, può rappresentare un primo passo per ricomporre le separazioni e valorizzare l’intorno del Santuario, che è, si, un luogo di arrivo, ma rappresenta certamente un ulteriore punto di partenza. In ogni sin-golo ambito l’analisi interpretativa ruota attorno a quelle che si possono de"nire le risorse locali, un complesso sistema storico patrimoniale che descrive la storia del luo-go e costituisce spesso traccia del viaggio a Loreto, non sempre riconosciuto nel suo valore, ma che rappresenta il nutrimento di un progetto di Itinerario Culturale in cui all’unitarietà del percorso si vogliono associare storie sempre diverse raccontate da ogni singolo luogo. Queste risorse, che non sono solo beni culturali, ma si iden-ti"cano anche come valori naturali degli ambiti, appaiono oggi spesso disconnes-

se, sono in realtà immerse in quello che Settis ha de"nito il tessuto connettivo dei nostri beni culturali, o, meglio, “il nostro bene culturale più prezioso”, “la rete che ci avvolge e ci identi"ca”, in una parola, il paesaggio. Alla potenzialità della loro pre-senza più o meno evidente sul territorio, si associa la criticità della perdita di memoria storica da parte delle popolazioni locali, e la conseguente frammentazione di un pa-trimonio che può essere compreso solo in un sistema reticolare fatto di connessioni "siche e relazioni anche immateriali.

LORETO OGGI: LA SCOMPARSA DI IDENTITÀ

Percorrendo oggi le strade che da Recanati a Loreto seguono i percorsi dell’antico pel-legrinaggio, ad un paesaggio che gli antichi viaggiatori descrivevano splendido e dalle straordinarie vedute, “con vallette e colline ricoperte di campi seminati, di alberi da frutto e olivi” si è sostituito un paesaggio a cui le recenti trasformazioni stanno appor-tando una crescente frammentazione degli spazi rurali, evidenti nelle aree di frangia urbana lungo la viabilità principale e, a Loreto, soprattutto nel versante meridio-nale del colle, e una preoccupante satura-zione degli spazi lineari lungo le strade di collegamento con le aree industriali (verso

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Castel"dardo) e nelle valli !uviali, dove i preziosi spazi funzionali alla connettività ecologica e alla salvaguardia degli ecosiste-mi stanno scomparendo o rischiano di es-sere irrimediabilmente compromessi dalla crescita urbana e industriale e da una gene-ralizzata sempli"cazione e riduzione della diversità biologica.La città mostra oggi gli evidenti segni della di$coltà di metabolizzazione dell’edi"ca-zione spesso convulsa avviata a partire dal secondo dopoguerra: “le città si trovano in una fase implosiva, che si sta manifestando attraverso un notevole dinamismo interno ai tessuti urbani”. All’arresto della cresci-ta spaziale corrisponde un incremento dei processi di trasformazione interna alle cit-tà e l’attenzione degli operatori economici è tornata ad essere assai vivace e si espri-me con progetti, partenariati, investimenti e lobbyng molto evidenti, anche se non sempre con e#etti positivi sull’interesse collettivo, sul dominio pubblico della pia-ni"cazione.Dal quadro che ne emerge abbiamo indi-viduato delle tipologie di situazioni:

A) MARGINALITÀ CENTRALE: co-stituita da situazioni di degrado, sia "sico che sociale ma anche conseguentemente economico ed inevitabilmente cultura-le, formatesi all’interno delle aree urbane centrali, spesso interne o coincidenti del tutto con il centro storico. La sua origine

deriva prevalentemente dall’abbandono del centro storico causato dal progressivo aumento di attività commerciali a ridosso del Santuario mariano.

B) QUARTIERI DI ESPANSIONE CONSOLIDATI: costituiti dalla grande crescita dell’edilizia che ha interessato la città nel secondo Dopoguerra. Si tratta di edilizia privata strutturata in lotti di non grande dimensione ma densa e compat-ta. Tali caratteristiche strutturali e formali rendono di$cilmente praticabili signi"ca-tivi interventi di sostituzione e ridisegno. E’ necessario operare in interventi di ri-quali"cazione e ride"nizione dei margini e delle connessioni, mediante densi"cazione e ricentralizzazione delle funzioni.

C) PERIFERIE CON TENDENZA ALLA TRASFORMAZIONE: costituite da insediamenti a densità medio -bassa nei quali è rilevabile un lieve dinamismo eco-nomico, con relativa tendenza alla trasfor-mazione, dovuto a prevedibili interventi esogeni di rivalorizzazione e di ricon"gu-razione prodotti da insediamenti commer-ciali, produttivi legati al terziario o legati allo sport ed al tempo libero. Presentano una struttura urbanistica debole e sfrangia-ta, una scarsa qualità degli spazi pubblici e di relazione e o#rono ampie aree prodotte da dismissione di funzioni.

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D) PERIFERIE CON TENDENZA AL DEGRADO: costituite dai tessuti che contengono strutturalmente, per errori di piani"cazione e di progettazione, alti tas-si di degrado, nei quali alla labilità della struttura tipo morfologica si associa la pre-carietà di quella socio-economica e, spesso, l’assenza di infrastrutture di base. Si tratta di situazioni largamente patologiche in cui si associano gravi carenze infrastrutturali, primarie e secondarie, e qualità scadenti dell’edilizia.

E) AREE DI TRASFORMAZIONE: de-rivanti dalla prevista dismissione dell’uso preesistente (industrie obsolete, aree fer-roviarie, aree demaniali sottoutilizzate..), le quali, rappresentano una grande riserva per le manovre di “ricentralizzazione” delle aree urbane periferiche e di “riconnessio-ne” del centro storico.

La centralità di Loreto: perché?

Se con il termine di centralità urbana si intendono quei luoghi che ospitano fun-zioni e servizi destinati ad un vasto bacino di utenza, l’obiettivo del piano è rappre-sentato dalla individuazione di più luoghi centrali, dalle diverse gerarchie che questi assumono e dalla de"nizione delle moda-lità con le quali devono essere progettati, ra#orzati e interconnessi. Ne consegue che questi luoghi devono essere caratterizzati da un livello di accessibilità e localizzazio-ne adeguato al ruolo che gli si vuole attri-buire. I quartieri, i luoghi della residenza e delle varie identità della città, saranno arricchiti da alcune nuove strutture pub-bliche di livello urbano destinate ad a$an-carsi ai servizipubblici di vicinato oggi presenti.Questi progetti da accompagnare ad una forte riduzione del tra$co automobilistico con un potenziamento del trasporto pub-blico e con un incremento delle pedona-lizzazioni, nonché una valorizzazione delle alberature e degli spazi verdi, si dovranno intrecciare con i percorsi del commercio, del lavoro, della cultura e del tempo libero.

La lettura dei tessuti edilizi, caratterizzati dall’eccessiva monofunzionalità di ampie parti della città, dalla presenza di ambiti degradati, dalla presenza di un forte traf-"co automobilistico e dalla ridotta dota-zione di spazi verdi e di servizi di livello urbano, hanno indirizzato il Piano verso un lavoro di dettaglio incentrato sul rico-noscimento di più luoghi centrali da pro-gettare e da connettere costruendo una trama di percorsi di relazione e di identità improntati al massimo della qualità archi-tettonica. In una città come Loreto, sorta grazie alle caratteristiche che da sempre l’hanno resa famosa e riconoscibile, le scel-te che guidano lo sviluppo non possono essere estranee alla storia del luogo ed alle esigenze contemporanee di conservarne i segni. Il turismo presente oggi, concentra-to all’interno delle mura, dentro il santua-rio, appena fuori dalle sue pertinenze per quanto riguarda l’accoglienza e gli alloggi, sembra estraneo a quanto circonda i luoghi del culto, alla consapevolezza dell’impor-tanza che una chiara organizzazione degli spazi ha per il funzionamento dell’intero sistema santuario-territorio.L’idea guida del parco-campagna punta in primo luogo a preservare l’insieme di spazi aperti a carattere prevalentemente agricolo che si sviluppa con continuità nel settore sud-est del comune di Loreto e nei territo-ri con"nanti attraverso una serie di scelte urbanistiche e progettuali già fatte da parte dei comuni interessati che necessitano di un coordinamento a livello di area vasta, di azioni convergenti tra i comuni, mediante la proposta di una nuova entità da inseri-re nel sistema regionale delle aree protet-te, qualora la nuova tipologia dei paesag-gi naturali e seminaturali protetti potesse includere anche aree di pianura con un prevalente carattere rurale, a partire dagli habitat esistenti negli ambiti con maggiore connotazione naturale e seminaturale rap-presentati dal Monte Conero, dalla costa adriatica e dalla Selva di Castel"dardo, oltre che dalle aree situate lungo il "ume Musone e lungo gli altri corsi d’acqua ed aree umide che attraversano l’area.

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Il progetto Loreto 2030

L’idea forza di “Loreto 2030” trova il ful-cro concettuale nell’ interpretazione del territorio come risorsa, su cui innestare una leva per avviare un processo di svilup-po a rete che permetta di garantire la cen-tralità di Loreto.Il 2030 è stata presa di riferimento in quanto è la data utile entro cui sono pos-sibili trasformazioni che permettano di salvaguardare e far tornare ad un livello “normale” il ciclo biologico. Questa data è segnata dai demogra" urbanistici come l’epoca in cui ci sarà il maggior quantita-tivo di popolazione che si trasferirà nelle metropoli e nelle megalopoli. Per far si che ciò non avvenga, o per lo meno che av-venga entro dei limiti controllati, si dovrà intervenire entro quella data così da non creare ulteriori scompensi al sistema terra, ad oggi già nello stato limite di vivibilità. Strettamente connesso al 2030 troviamo il 2050 che risulta, invece, la data ultima en-tro la quale non è più possibile reversibilità, ne deriva quindi la necessità di considerare il 2030 come la data del cambiamento, in cui tutta la popolazione dovrà impegnarsi ed attivarsi per permettere un’inversione di tendenza.Il clima è cambiato e bisogna reagire al consumo di aria, acqua e territorio facendo diventare il concetto di limite una risorsa e opportunità per lo sviluppo sostenibile. La qualità urbana e architettonica sono

intese come le condizioni che ra#orzano la qualità dell’abitare. Il trasporto pub-blico è assunto come condizione generale della vivibilità della città e come motore del risanamento ambientale. Il consumo di nuove aree è limitato a ridotti ambiti, mentre la prevalenza degli interventi sono di ride"nizione del tessuto urbanizzato e di trasformazione di aree giàurbanizzate. La perequazione urbanistica è lo strumento che, migliorando le modali-tà di attuazione che oggi regolano le aree di espansione, consente di costruire la cit-tà pubblica acquisendo aree per realizza-re servizi e opere pubbliche. Progetti per il piano, il disegno strutturale e strategi-co della città vengono a$ancati da studi progettuali che permettono di veri"care le pre"gurazioni degli e#etti del piano ridi-segnando la città e valorizzandone la sua CENTRALITA’.

LO SVANTAGGIO RIVISITATOGli svantaggi odierni portano alla necessità di cambiamento, diventando così non solo oggetto di studio all’interno del territorio ma protagonisti stessi della piani"cazione. L’obiettivo è quello di intervenire in un paesaggio in cui l’assetto territoriale è stato fortemente compromesso nel corso dei se-coli, andando a modi"care proprio quegli svantaggi che creano fratture e scompensi. L’obiettivo "nale è stato rendere tali nega-tività i perni su cui si fonda il progetto, determinando una sorta di inversione di tendenza.

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COMPENSAZIONE E VALORIZZAZIONEPuntare sulla valorizzazione della centra-lità di Loreto promuovendo le possibilità che il territorio loretano o#re è una delle s"de che ci siamo pre"ssate, il tutto visto attraverso la compensazione di quei terri-tori che, oggi, presentano caratteri forte-mente negativi, e la valorizzazione degli elementi e dei sistemi che presentano forti potenzialità.Il disegno strutturale persegue il modello di salvaguardia del paesaggio, ovvero con-tenere il consumo di suolo e costruire una città compatta senza episodi di periferie rurali e nel contempo porre attenzione al territorio agricolo e al sistema economico secondo i seguenti indirizzi:

LA RETE DEI CAMMINILa rete dei Cammini Lauretani dovrà assu-mere il ruolo di ossatura portante del siste-ma di sviluppo di Loreto. Sarà questo iti-nerario la forza scatenante dell’ inversione di tendenza dell’ assetto territoriale della città. Si attuerà un sistema di accoglien-za a sviluppo progressivo con lo scopo di rendere il luogo una forte attrattiva a scala spaziale e temporale.

IL PATTO CITTA’-CAMPAGNACostruire un patto tra città e campagna signi"ca guardare il territorio nella sua interezza proponendo un disegno com-plessivo della città, valutando le relazioni

tra lo spazio verde, il costruito e il sistema collinare. Questo patto dovrà garantire un nuovo sistema produttivo e commerciale atto a favorire la produzione locale e l’in-centivazione dell’agricoltura.

LA CITTA’ PUBBLICAI quartieri, i luoghi della residenza e delle varie identità della città, saranno arricchi-ti da nuove strutture pubbliche di livello urbano e accompagnati da una forte ridu-zione del tra$co automobilistico con un incremento delle pedonalizzazioni e degli spazi verdi, si dovranno intrecciare con i percorsi del commercio, del lavoro, della cultura e del tempo libero.

L’EDIFICAZIONEPorre al centro politiche di contenimento del consumo di suolo, ovvero, avere atten-zione agli spazi liberi nella città consolida-ta che non devono necessariamente essere tutti edi"cati. Sviluppare inoltre un siste-ma di edi"cazione consono alle necessità del luogo e alla sua conformazione evitan-do lo sviluppo lineare e la frammentazione del territorio.

GLI OBIETTIVIDI CARATTERE GENERALE del progetto saranno quindi la valorizza-zione degli aspetti ecologico–ambientali, la valorizzazione della rete dei paesaggi e degli assetti rurali tradizionali, il migliora-mento delle generali condizioni di sicurez-za idraulica e idrologica, la fruizione del

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territorio attraverso una rete di percorsi ciclabili e pedonali e altre opportunità per il tempo libero e il turismo culturale, e la valorizzazione delle produzioni agricole locali.

GLI OBIETTIVI SPECIFICI DI DETTAGLIO sono invece i seguenti:- Promozione della biodiversità.- Tutela e potenziamento delle dotazioni ecologiche del territorio, con particolare attenzione alle fasce peri!uviali, per arric-chire il paesaggio, contribuire alla rete eco-logica provinciale e ra#orzare il ruolo di corridoio ecologico svolto dai corsi d’ac-qua.- Associazione alla funzione strettamente ambientale della rete ecologica quella di strumento per la di#usione della cono-scenza, della corretta fruizione del territo-rio e della percezione del paesaggio.- Ra#orzamento della funzione dello spa-zio agricolo come connettivo ecologico di#uso e della funzione di corridoio ecolo-gico svolta dai corsi d’acqua naturali e dai canali di boni"ca.- Salvaguardia delle permanenze del pa-esaggio agricolo tradizionale di interesse paesaggistico e testimoniale (maceri, fossi e canali, cavedagne, corti coloniche, "lari alberati, frutteti, piantate), che rappresen-tano la potenziale maglia a matrice natu-rale per la rete ecologica di questo settore della pianura.- Promozione di una gestione agricola del territorio nella quale prevalgano l’assetto tradizionale tipico del territorio loretano (piccoli campi a seminativo, fossi, "lari di alberi da frutto e viti maritate), metodi colturali a basso impatto e produzioni di qualità.- Promozione di usi agricoli produttivi at-tenti anche alla qualità del paesaggio, di iniziative private di forestazione, di bioar-chitettura, di un sistema di o#erta ricreati-va per il tempo libero rivolto alla domanda urbana e legato ad un’agricoltura a caratte-re multifunzionale.- Salvaguardia e valorizzazione nella loro

unitarietà dei complessi religiosi, dei pic-coli borghi storici, delle ville con relativi parchi, dei nuclei rurali, delle stazioni ar-cheologiche nonché conservazione e recu-pero degli edi"ci e dei manufatti di valore storico-testimoniale esistenti e di altri po-tenziali elementi di attrazione turistica del territorio.- De"nizione di una rete di percorsi cicla-bili, raccordata ai centri abitati vicini, a Loreto e ad altri percorsi ciclabili e pedo-nali esistenti per consentire la fruizione del territorio su sede protetta, toccando le sue principali emergenze storico-architettoni-che, paesaggistiche e naturali, ma anche aziende agricole, agriturismi, ristoranti, con una particolare attenzione per le pos-sibili integrazioni con i mezzi pubblici.- Promozione di accorgimenti mitigativi da associare alle nuove strutture insediati-ve.Di fronte a tale tematica il "lo conduttore che ha guidato la progettazione è stata la lettura de “Le città invisibili” di Italo Cal-vino secondo cui:“La città è fatta di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato”Italo Calvino, “Le città invisibili”Ci sono cose che sappiamo da tutta una vita. Cose che conosciamo alla perfezio-ne da quanti racconti abbiamo ascoltato a riguardo e da quanti libri e siti abbiamo consultato per comprenderle. Uno dei va-lori più emblematici delle nostre città è infatti la loro storia. Può sembrare banale, un luogo comune sentito mille volte e un dato di fatto che conosciamo alla perfezio-ne e che (ovviamente) condividiamo. Però "nchè non ci capita di porre attenzione alle nostre passeggiate per uno qualsiasi dei nostri centri storici non riusciamo ad essere sinceramente consapevoli di questa caratteristica (limite/opportunità) delle nostre città. L’emozione di calpestare i pas-si della storia può capitare in tanti luoghi simbolo degli avvenimenti cruciali per l’u-manità. Toccare con mano e vivere le pie-tre che questa storia hanno accompagnato è un privilegio che può provare solo chi vive in una società che nei secoli ha con-

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siderato la memoria un valore pregnante della sua identità. Le pietre dei piccoli e grandi centri storici italiani sono ricche di milioni di storie, da tanti considerate minori, ma che sono l’essenza della nostra cultura e ne racchiudono la ricchezza. È importante non dimenticarlo e cercare di ricordare queste storie, che sono le storie di chi ci ha preceduto e ha formato l’am-biente in cui viviamo. Il grado di resilienza dei nostri centri storici pare elevatissima: le generazioni passano, le esigenze cambiano, e i luoghi si adattano alle nuove funzioni, ma le pietre restano con il loro bagaglio di saggezza e memorie.

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PhotoStory

0U�JHTTPUV�S\UNV�SH�Z[YHKH�7SLZ[PUH�]LYZV�*VSÄVYP[V�Foto: Chiara Serenelli

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PhotoStory

Loreto, il Santuario e il Monte Conero sullo sfondo visti dalla strada in località Valdice.

Foto: Chiara Serenellli

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PRODURRE PAESAGGI AZIONI CORALI

IN EPOCHE PRE-INDUSTRIALI di Mario Ghio

Tema di queste pagine è l’a-zione che tra l’alto medioevo

e il 18° secolo popolazioni diver-se hanno esercitato sui loro ter-ritori, coltivandoli, edi"candoli, difendendoli e così producendo lungo coste, in vallate, su monti e in aree urbane paesaggi diver-si, spesso altamente suggestivi. È anche, tra gli scopi, un confronto con paesaggi prodotti in epoche più recenti da società industria-lizzate, poi con altri che vanno nascendo e nasceranno da società anche informatizzate e operanti nel mercato globale.Le diverse forme di azione non sono, in queste pagine, oggetto di approfondite analisi e di descri-zioni accurate: è qui solo posto il tema delle azioni che hanno pro-dotto, producono e produrranno paesaggi, chiarendo il signi"cato del tema con rapidi esempi, il tutto nell’ipotesi di futuri appro-fondimenti riguardanti singoli paesi e singoli periodi: nulla più che un invito ad una nuova atten-zione a quelle complesse azioni e alle mentalità da cui sono nate e nasceranno. Ma l’invito é dovu-to alla insoddisfazione generata da riduttive, limitanti de"nizio-ni di “paesaggio”, in questi anni troppo spesso e da molti ripetute. Forse sono de"nizioni dovute al

di#ondersi di testi inglesi, utiliz-zanti l’espressione “landscape”, che attribuisce ad ogni paesag-gio un signi"cato romantico: “Iandscape” potrebbe esser quasi tradotto “fuga di terre verso l’in-"nito”. Anche nei paesi di lingua tedesca - Inghilterra e Germania sono state le culle romanticismo - l’espressione “landschaft” potreb-be esser tradotta “terre che av-volgono”, o anche “terre, campi, boschi in cui si é immersi”. Pa-role che suggeriscono de"nizioni per l’appunto romantiche, secon-do le quali un ambito geogra"co ha valore di paesaggio solo se, in chi lo percorre e lo osserva, de-termina una particolare percezio-ne: un ambito è paesaggio solo se percepito come insieme estetica-mente suggestivo, determinante emozioni, sollecitante la fantasia, a volte evocante memorie o indu-cente speranze. Si dice sempre - e questo è cor-retto ed ovvio - che la percezione dei caratteri di uno stesso luogo o di un insieme di luoghi è molto diversa (perciò diverso il paesag-gio) secondo le attività, le espe-rienze, la cultura, la sensibilità e le speranze di chi osserva. Ma, partendo unicamente da questo riconoscimento, potrebbe esser su$ciente ecceder di poco per

giungere ad a#ermare che, in un qualsiasi ambito geogra"co, le scene che si aprono davanti agli occhi di un osservatore possono esser paesaggi solo se l’osservatore ha determinate qualità mentali, psichiche, culturali: allontana-tosi quell’osservatore scompaio-no quei paesaggi, almeno "no a quando non torni lui stesso, op-pure un altro osservatore dotato esattamente delle qualità del pri-mo.Ma le considerazioni appena svol-te, suggerite dall’inglese “landsca-pe” o dal tedesco “landschaft”, cambiano alquanto e molto si arricchiscono (come si arricchisce l’immagine di un luogo quando se ne osservano attentamente i dintorni anche lontani), se si de-"niscono i paesaggi ricorrendo alle parole usate nelle lingue ne-olatine. La parola italiana “paesaggio”, la francese “paysage”, la spagnola “paisaje”, suggeriscono almeno due considerazioni, molto diver-se dalle precedenti:le parti “-aggio” in italiano, “-age” in francese ed “-aje” in spagnolo derivano tutte dal latino “actio” (“azione”) e sono usate sempre come desinenze in parole che esprimono al contempo “azione” e conseguente “percezione de-

SAGGIO

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gli e#etti di quell’azione”, il che risulta con molta evidenza nelle parole “linguaggio”, “coraggio”, “viaggio” ed altre simili: “lin-guaggio” implica sia azione sulla lingua per esprimersi, sia ascolto e comprensione delle parole e fra-si pronunciate; “coraggio” impli-ca un’azione sul cuore, ma anche percezione e comprensione degli e#etti di quella azione; “viaggio” implica un’azione da intrapren-dere nello spazio ma anche il rag-giungere, come e#etto, la mèta del viaggio. Pertanto, alla base di ogni luogo o fenomeno deno-minato “paesaggio” deve esistere una azione seguita dalla perce-zione dell’ef-fetto prodotto, ed é importante soprattutto la azione che ha conferito un determinato aspetto ad un luogo, compiuta in un’in"nità di luoghi dalle sole forze della natura, in altri dalla natura e dall’uomo: importante l’azione come e più della conse-guente percezione, non potendo-si avere - in questa logica - per-cezione di un paesaggio senza l’azione che lo ha prodotto,inoltre, le prime parti delle pa-role indicanti paesaggi (“paes-”, “pays-”, ecc.), dicono che la sud-detta azione/percezione, impli-cita in “-aggio”, “-age”, “-aje”, non riguarda solo campi aperti, coste sul mare, rive di "umi, bo-schi, parchi, ecc. (come suggeri-sce “land” sia nell’inglese che in tedesco) ma, "nalmente, l’intero paese. Azione/percezione per-ciò esercitata ed esercitabile non solo su luoghi abbandonati, o coltivati, o densamente boscati, o disegnati a parco o giardino, ma anche su luoghi edi"cati, in-frastrutturati e permanentemente abitati: quelli per i cui paesaggi, volendoli indicare in inglese, è invece necessario usare la parola “townscape”, che, se a$ancata a “landscape”, chiarisce ancor me-glio che l’intento di entrambe è quasi solo l’indicare “immagini”. Invece, “paes-”, “pays-”, ecc., indica anche - questo punto è centrale - le popolazioni, se po-polazioni in quell’ambito hanno

vissuto e operato: il riconoscere ad un ambito geogra"co qualità di paesaggio deve indurre a sco-prire o riscoprire e a compren-dere tutti i processi che hanno conferito a quell’ambito quelle qualità.I processi che nella maggior parte della super"cie del pianeta, perciò nei luoghi in cui l’uomo non ha abitato né operato, hanno confe-rito qualità tali da esercitare su di noi un qualche fascino, sono stati soltanto processi naturali, però molto diversi l’uno dall’altro: l’e-mergere di rocce dal mare, il !ui-re di lave da vulcani, il rovinare di frane, l’azione di venti corrodenti e modellanti rocce o conformanti dune e, là dove giungeva e sosta-va acqua da "umi o da piogge, lo svilupparsi di muschi, prati, bo-schi, foreste, con popolazioni di insetti e animali tra loro in lotta per la sopravvivenza: sono questi i processi del solo ambiente.Anche tra luoghi trasformati da società umane si determinarono e determinano grandi di#erenze, con caratteri a tutti noti ma qui da ricordare in breve per torna-re subito al tema del percepire e comprendere i paesaggi del pas-sato: là dove si insediarono società de-dite a monocolture (solo grano, solo granturco...) ai processi na-turali suddetti si sovrapposero coltivazioni e insediamenti che non cambiarono molto nel tem-po; non cambiamenti nei modi di coltivare, non nei modi di abitare, tanto che in molte parti d’Europa lontane da sedi di pro-duzioni artigianali o industriali, ancora a metà del XX secolo, per aprire solchi nei campi si usava-no aratri a chiodo e, nei pressi, le abitazioni non erano molto di-verse da primitive capanne;altre genti furono invece presto indotte ad operare e produrre in settori diversi, alcune perché insediatesi a contatto di strade percorse da tra$ci, altre perché a contatto con un qualche porto di mare o di "ume, altre ancora si insediarono in luoghi che die-

dero anche possibilità di dedicar-si a colture agricole diverse e, al contempo, possibilità di estrarre e lavorare pietre o metalli da cave o miniere vicine: così operarono tutti i gruppi umani che per in-su$cienza di risorse nei luoghi d’origine, vagando sul pianeta, cercarono luoghi nuovi in cui insediarsi. Così accadde anche per la nascita in Puglia, Calabria, Sicilia, delle più antiche colonie greche. Per comprendere la na-tura dei più importanti paesaggi sorti poi, all’interno e sull’in-torno di luoghi o#renti risorse e opportunità di#erenziate, è da osservare e studiare proprio la lunga storia di questi particolari gruppi umani. Nel produrre beni diversi, perciò anche nel produrre e utilizzare strumenti diversi, nello scambiare sia beni che strumenti tra membri della stessa comunità ma anche con altre genti e per lungo tempo continuando ciclicamente ad agi-re, produrre, scambiare, consu-mare, furono continue e forti le sollecitazioni a migliorare costan-temente i processi produttivi e le forme dei diversi prodotti, quin-di forti le sollecitazioni a studiare e comprendere se stessi, gli altri, i materiali ricevuti e quelli trattati e o#erti, le tecniche di elabora-zione e di presentazione agli altri. Una ricerca continua, necessi-tante continua collaborazione in reciproca comprensione. Sorsero così e durarono nel tempo sia le prime che le ultime “repubbliche storiche”: dalle prime, greche ed etrusche, alle ultime che in Euro-pa e in Italia sopravvivevano an-cora nel 1700 e che gli illuministi andavano studiando e citando quando speravano di cambiare in Francia le forme di governo. Speravano di eliminare le monar-chie, vedendo che nelle sopravvi-venti repubbliche si svolgevano processi ad un tempo "sici, socia-li, economici, mentali, culturali, producenti situazioni in qualche modo simili ad “opere” com-piute attraverso lunghe e inten-se “collaborazioni tra molti”, da

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nessuno imposte: sono le “azioni corali” citate nel titolo di questo scritto, coinvolgenti generazioni in successione, durate in alcuni casi alcuni secoli, ormai ovunque scomparse. L’industrializzazione delle attività produttive non le ha più consentite e non le consen-te. Ma così è accaduto in passato, ogni qual volta membri diversi di una qualche società umana, ope-rando nello spazio naturale del loro territorio e, di generazione in generazione, ivi utilizzando e trasformando soprattutto mate-riali tratti localmente dalla natu-ra, conferirono qualità espressive, quasi “parole”, ai singoli luoghi e alle singole opere, rendendo gli insiemi simili a discorsi. Così è accaduto nei luoghi oggi celebri proprio perché sedi di processi di tal natura: città grandi e piccole ed anche villaggi che dal nord al sud d’Europa ed in paesi arabi, in India, Giappone, Cina... recano ancora i segni di azioni corali: discorsi, appunto, mai interrotti per generazioni. Certo non segni simili là dove hanno governato a lungo monarchi assoluti circon-dati da nobili, tutti sfruttando l’opera di servi e di schiavi.

Vedere, ascoltare, studiare, tenta-re di rivivere con l’immaginazio-ne paesaggi nati da “azioni corali” durate secoli può condurre a per-cezioni “scon"nanti”. Si rischia cioè di scon"nare con l’immagi-nazione (ma è anche utile correre il rischio), perché le prime imma-gini realmente percepite da colui che osserva, subito lo inducono a costruirsi altre immagini, poi al-tre e altre ancora, così che giunge presto, nella mente, ad una visio-ne caleidoscopica in cui preval-gono quei quasi-ricordi che si e costruito da se, riguardanti modi trascorsi e irrepetibili di vivere, percepire, pensare, comunicare, agire.Occorre qui almeno un esempio: fermare l’attenzione su uno dei luoghi che, conservando ancora consistenti insiemi di opere rea-lizzate in condizioni culturali del

genere appena ricordato, induco-no a compiere questo particolare percorso mentale. Tra i tanti pos-sibili si può scegliere come esem-pio Venezia, innanzi tutto perché altri complessi di ugual periodo sono conservati poco o nulla, mentre quelli ben conservati - come tanti esistenti sulle coste d’Inghilterra, d’Olanda, d’Italia e altre d’Europa - sono ormai in-teramente circondati da strutture urbane di epoche industrializzate che ne alterano il senso (sarebbe accaduto anche intorno a Vene-zia, ma il fenomeno si è dovuto fermare a Mestre). Inoltre perché di quel gruppo di isole e di quel porto - come degli altri sorti du-rante gli stessi secoli - sono state scritte in"nite storie descriventi, passo dopo passo, conquiste e scon"tte sui mari, attività poli-tiche, caratteri dell’economia, delle leggi, delle architetture, di pittura, di musica e di ogni altra arte, ma pochissime storie - per alcuni periodi addirittura nessu-na - riguardanti la vita, la strut-tura, l’interno funzionamento e l’evoluzione psicologica e menta-le di una consistente parte della società che visse su quelle isole. Mancano storie riguardanti la parte di società formata dalle fa-miglie degli artigiani e degli ope-rai viventi e operanti in S. Gior-gio Maggiore, in Giudecca, nelle isole contigue. Uomini, donne e anziani che, per tutti i secoli in cui sulle isole restarono terre da coltivare perché non ancora oc-cupate da edi"ci, si dedicarono a tutte le attività possibili, tra cui anche al coltivare campi ed orti; famiglie intere che, oltre che sui campi, operavano insieme nelle loro stesse abitazioni e negli spazi annessi producendo o riparando tessuti, tappeti, abiti, corde, reti, barche... con l’aiuto dei bambini meno piccoli e badando ai più piccoli che giocavano intorno, ogni famiglia in vista e ad imme-diato contatto, lungo i canali, di abitazioni e famiglie simili, ma anche di luoghi dotati di forni in cui erano lavorati vetri e metal-

li. In luoghi più silenziosi, non raggiunti dal suono di martelli e di incudini, ecco altri ambienti e cortili in cui attentissimi esperti costruivano o riparavano violini, trombe, clarini, ed è importante il quotidiano incontro e scam-bio di notizie e commenti: tutte persone che si incontravano ogni giorno, molti tra loro sistema-ticamente collaborando, quasi tutti partecipando ai problemi di tutti anche per la "tta rete di pa-rentele che li legava; come se non bastasse, ulteriori, importanti sollecitazioni venivano da coloro che, appartenendo a quelle stes-se famiglie, partivano da giovani per alcuni anni, o come marinai impegnati in campagne militari ovvero dediti a prolungate atti-vità commerciali, e che, tornan-do, portavano oggetti e storie dal mondo.Questa è la parte di società che, una generazione dopo l’altra, fu quasi esclusivamente dedita a “materialmente produrre” tut-to ciò che oggi vediamo o altri-menti percepiamo, molto spesso tentando modi nuovi, del tutto originali, di “conferire forma” praticamente a tutto: agli ogget-ti di uso quotidiano come alle opere di rilievo e alla stessa cit-tà. Certo non sono dovute solo a loro le forme del tutto ecceziona-li conferite a tante singole opere, poiché, a ripetizione nei secoli, i dogi, i nobili e i più ricchi tra i mercanti impegnarono anche ar-chitetti e altri artisti di gran va-lore non nati o non formatisi a Venezia e neppure in città vicine e qui si incrociavano in!ussi cul-turali provenienti da tutta Italia, da tutta Europa e da vaste parti d’Oriente. Tuttavia, pur sen-za banali ripetizioni di forme, è forte la coerenza degli stili: forse neppure un edi"cio è uguale a un altro, tuttavia molti edi"ci dise-gnati da autori diversi e costruiti in periodi diversi sembrano usciti dalle stesse mani, quasi opere di uno stesso autore vissuto secoli e che con il trascorrer degli anni ha continuamente rielaborato e

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a$nato il suo stile. Questo vale per gli edi"ci di più alto pregio sorti sui lati dei canali maggiori e resi possibili dalla eccezionale ricchezza dei committenti, ma ugualmente vale per gli edi"ci minori che, abitati dalle famiglie di operai e artigiani su ricordate, sono sorti lungo i canali secon-dari di Venezia e lungo quelli di Murano, Burano, Torcello, S. Erasmo... edi"ci semplici, pri-vi di decorazioni, uno diverso dall’altro sia per forma che per colori come se ogni famiglia aves-se voluto e tuttora volesse presen-tarsi in un abito da lei scelto in un giorno di festa, edi"ci però tra loro coerentissimi per ciò che attiene allo stile. Questa costan-te “eleganza/varietà/coerenza” riscontrabile oggi in tutto il pa-esaggio veneto edi"cato induce a ritenere che la parte di società su descritta, la meno ricca, abbia in qualche modo in!uenzato tutta l’opera. Per risolvere i problemi quotidiani del produrre concre-tamente strumenti, oggetti ed opere, dovevano essere frequenti i liberi tentativi, le quasi-invenzio-ni, gli esercizi di fantasia sul come procedere per ridurre i tempi, o i costi, o le fatiche, o per migliora-re i prodotti. Tentativi che, in chi tentava, non potevano non gene-rare, secondo i casi, imprecazioni per i fallimenti e manifestazioni di soddisfazione in caso di suc-cessi, mentre da parte degli altri che assistevano certo abbondava-no i commenti e, a volte, calorosi consensi. Un modo di vivere che, producendo e comunicando, svi-luppò certamente in tutti senso critico, senso estetico ma anche senso ironico. In condizioni del genere, la partecipazione di tut-ti ad ogni opera, importante o non importante, diventa fatto naturale e quotidiano: obbliga a mantenere uno stile, mentre in altri centri le attività economiche languivano. Così accadeva a Parigi, tanto che Jean-Baptiste Colbert, ministro di Luigi XIV, tra il 1665 e l’83 tentò di sottrarre proprio a Ve-

nezia e, in minor misura, ad altri centri di attività, quanti più arti-giani di valore fu a lui possibile convincere a trasferirsi. Spesso a tal "ne li corrompeva, perché ogni città allora ricca di attività difendeva con ogni mezzo il suo patrimonio di tecnici e di artisti. L’e#etto dell’azione di Colbert fu ovviamente parziale e di molto breve durata: è noto che i pro-cessi economici che per iniziare e poi durare necessitano di un humus culturale, non nascono e non sopravvivono per decisione politica. Invece, a Venezia, fami-glie intere vivevano l’una vicino all’altra, con donne e bambini in quotidiano contatto.I segni di questo fenomeno si tro-vano in cose che fanno tutte parte del vero paesaggio di Venezia, se vero paesaggio è ciò che si è detto all’inizio. Di questi segni, si cita-no qui quattro esempi in campi molto diversi, due dei quali an-che molto lontani da ciò che, per molti, è consuetudine considera-re parte di un paesaggio:la “eleganza/varietà/coerenza” di cui si è detto, evidente quasi in ogni scena urbana o periurbana non ancora alterata da opere re-alizzate dopo il 1750;le gondole, imbarcazioni di for-ma unica e irrepetibile, non facili da governare, però così adatte ai paesaggi visibili lungo i canali da rendere inconcepibile il vedere in quegli stessi canali l’aggirarsi di normali barche a due remi;i personaggi rappresentati nelle maschere di Venezia - Arlecchi-no, Colombina, Pantalone... - i cui modi di esprimersi, di agire e reagire evidentemente sono, con ironica esagerazione e lieve ma-linconia, quelli di persone che in tempi andati si incontravano nei cantieri, nei magazzini e lungo le calli;le musiche di Venezia, special-mente le musiche scritte da Vival-di proprio quando la storia della Repubblica si andava concluden-do, nessun’altra musica essendo più adatta ad essere ascoltata in quei luoghi.

Non c’è, in esempi simili, nulla di tecnico e di materialmente uti-lizzabile. Molti li riterranno com-pletamente inutili; specialmente inutili per chi opera nel campo del recupero e restauro di antichi paesaggi. Ma il tentare di rivive-re tanti paesaggi induce ad evo-cazioni di tal fatta, se i paesaggi sono azioni degli abitanti sui loro paesi, sulle loro terre e città e, in-versamente, azioni di paesi, terre e città sugli abitanti. Evocazioni che, anche in chi opera nel recu-pero e nel restauro, possono forse contribuire a creare l’atmosfera mentale adatta a correttamente operare.Meritano poi un commento "-nale gli accenni fatti all’ironia. Si è ricordato poco sopra ciò che a#ermano gli storici: il fatto che molti illuministi andavano stu-diando le repubbliche esistenti in Europa ai loro tempi o anche pri-ma, alla ricerca di esempi di libe-ro esercizio del pensiero, di libera azione e lieta fantasia, per trarne argomenti contro le oppressive limitazioni dei governi monocra-tici. Oltre a Venezia, studiavano Genova, Firenze, Pisa, Siena… più le repubbliche di Svizzera e d’Olanda e le semi-repubbliche d’Inghilterra nate con l’adozione dei princìpi scritti nella “Magna Charta Libertatum”. All’oppo-sto esistevano principati, regni, imperi. Quanto fossero non solo oppressive ma addirittura ipno-tizzanti le azioni di re e impera-tori nonché di principi, duchi, conti e baroni su contadini, ope-rai, soldati e loro famiglie, è am-piamente narrato da Mark Bloch nella sua opera sui Re Taumatur-ghi: veniva di#usa e coltivata la convinzione che ogni malato di malattie allora incurabili potes-se guarire solo se, in certi giorni dell’anno dedicati ad alcuni san-ti, fosse riuscito a s"orare il man-tello del Re che, in quei giorni, si mostrava per questo scopo alle folle. Certo di$cile che, in que-sta atmosfera, tra operai, conta-dini, soldati, tra le loro donne, "glie e "gli, potesse svilupparsi

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un ra$nato senso ironico. Senso estetico forse ancor meno. Restando all’ironia, è ben noto il piacere provato da Henri Beyle detto Stendhal nel tornare più volte dalla Francia in Italia e nel sostarvi, anche per l’ironia per-meante i discorsi dei tanti che lui incontrava. Ironia come parte del paesaggio: è questa, per i paesaggisti, un’ipo-tesi tollerabile?

Finisce il 1700 e si sviluppano in Inghilterra, poi il Olanda, poi in Germania e Francia, più tardi anche in Italia, le attività indu-striali; gradualmente, ovunque scompa-iono le mille attività artigianali prima svolte nelle città, spesso in locali ristretti e in piccoli luoghi all’aperto, all’interno e sull’im-mediato intorno di case edi"cate anche per abitarvi. Poco a poco accade che ogni opera necessaria in area urbana sia eseguita con parti e con materiali elaborati in luoghi anche molto lontani: par-ti pensate, disegnate e prodotte indipendentemente dai luoghi in cui saranno da collocare e da usare.Tutti gli elementi-base da com-binare e comporre per realizza-re strade, piazze, edi"ci, stanze, mobili, lampade, parchi... sono prodotti in serie, per il mercato, da esperti in produzioni-base; esperti che nulla sanno dei luoghi in cui i loro prodotti saranno as-semblati. Poi quei prodotti sono scelti sul mercato da altri deno-minati architetti, paesaggisti, am-bientalisti, esperti appunto nel combinare, comporre, montare ciò che i primi hanno prodotto in totale cecità dei luoghi e degli scopi dell’assemblaggio.Un modo di procedere che ovvia-mente induce in tutti - produt-tori, montatori, utilizzatori "nali - a trascurare ogni rapporto con i luoghi, a volte persino con gli scopi dell’edi"care e in altri modi operare. Di ogni operazione ar-chitettonica - e, tendenzialmen-te, anche di operazioni paesisti-

che e ambientale - due diventano gli scopi principali:colpire l’immaginazione con l’o-perazione in sé, indipendente-mente dai caratteri del luogo in cui è da compiere,renderla economicamente più conveniente di altre operazioni ugualmente possibili.

Nel generale annebbiamento in-tellettuale sono cresciuti prima in America, poi in Europa, ora in Giappone, Cina, India - ma, tra poco, chissà dove ancora - i nuovi aggregati di grattacieli, cia-scun grattacielo riversante la pro-pria ombra sull’altro e ciascuno già rivestito o in frenetica attesa di essere rivestito da pubblicità luminose, ovunque senza un solo albero o cespuglio tra una mas-sa edi"cata e l’altra. La maggior parte della gente lì dentro vive, lavora, dorme e tra quelle masse si sposta con mezzi meccanici, ri-ducendo al minimo, per pruden-za, l’interessarsi reciprocamente l’uno dell’altro.Tragicamente, anche tanta mu-sica è ormai prodotta, venduta, ascoltata in massa. Altrettanto l’ironia, chiesta in buona parte a specialisti regolarmente com-pensati a$nché non passi giorno senza che su ogni giornale appaia una battuta illustrata da un pic-colo disegno riprodotto uguale a se stesso in migliaia di copie, e su internet ne circolino altre che chiunque a qualsiasi ora del gior-no e della notte può fare apparire a volontà sul suo schermo.Ma adesso, tra la "ne del secon-do millennio dell’era cristiana e l’inizio del terzo, siamo giunti alla così detta globalizzazione. Il globo intero - con l’atmosfera troppo calda, tante terre e tan-te foreste troppo sfruttate, mari ed oceani inquinati, ghiacci che vanno sciogliendosi ai poli e sui monti più alti - il globo intero è presente nella immaginazione di tutti (anche di coloro che cerca-no di dimenticarsene per evitare il tormento che ne deriva), ogni suo punto è ormai raggiungibile

da chiunque, le comunicazioni tra chiunque e chiunque sono istantanee, si vanno moltiplican-do i paradisi "scali e riducendo i controlli su investimenti e ricavi, ogni mercato locale è in!uenza-to o in!uenzabile dal mercato globale… Può darsi di no, ma tutto rende probabili, in questa situazione, interventi occulti da parte di poteri che, avvalendosi di tecnologie so"sticate, eserci-tano controlli e condizionamenti costanti, continui e totali per go-vernare le scelte.

Tutti sanno che le ricostruzio-ni nella mente di quegli antichi processi, dei processi che hanno generato importanti paesaggi (si-ano stati, quegli antichi processi, soltanto processi naturali, siano stati invece connubi tra proces-si naturali e processi culturali), quelle ricostruzioni possono ave-re, esse stesse, valore di paesaggi: possono essere - e per molti sono - veri e propri “paesaggi mentali”. C’è chi, per costruirseli, svolge solo ricerche di ordine naturali-stico. Chi compie invece ricerche in campo storico e antropologi-co é subito indotto a volgere lo sguardo alle arti, scienze, tecni-che e tecnologie dell’epoca dei paesaggi "sici studiati.Il carattere speciale dei paesaggi mentali è nel fatto che, costrui-ti nell’intelletto una prima volta attraverso i primi studi e le prime ricerche, pretendono poi - ogni qual volta richiamati dalla me-moria - ulteriori approfondimen-ti e ampliamenti di campo. Or-bene: questa spinta a “procedere nell’opera”, sperimentata dal sin-golo studioso e del tutto soggetti-va, è in qualche modo simile alla sollecitazione esercitata in passa-to sull’intelletto e sulla fantasia di quei molti che, operando per anni e decenni, hanno prodotto importanti paesaggi reali in luo-ghi abitati, coltivati, edi"cati.

L’attenzione a un paesaggio indu-ce l’osservatore a tentare di com-prendere la storia e i caratteri dei

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rapporti tra la società e il “territo-rio” in cui quel paesaggio è stato creato, ma il meccanismo che si mette in moto è estremamente complesso.L’espressione “territorio” richia-ma sempre l’idea di “possesso”, di “dominio esercitato entro un con"ne”, anche quando usata per campi di attività e di interesse che poco hanno a che vedere con am-biti geogra"ci (si parla spesso, ad esempio, del “territorio della mu-sica”, o del “territorio delle scien-ze”, per indicare campi diversi di conoscenze ed esperienze riserva-te a chi opera entro quei campi, ne domina o aspira a dominarne gli strumenti e i metodi e lì den-tro scopre, inventa, gode e so#re: ancora con"ni tra un campo e l’altro e sub-con"ni entro ogni campo; ancora domini o aspi-razioni a domini esercitabili in campi "sici o culturali, allo scopo di ricevere alcunché, poi investire qualcosa, poi ricevere altro...), e c’è sempre, qualunque sia il cam-po posseduto, un ciclo di investi-menti e ritorni, spesso modi"cato da scoperte e invenzioni, sempre punteggiato da successi e da falli-menti, quasi sempre illustrato in opere artigianali e a volte in opere d’arte. Ma chi tenta di de"nire i “cicli di investimenti e ritorni” nel territorio di una società umana, si accorge immediatamente del fatto che la sola area delimitata, posseduta e difesa dice ben poco di quel territorio: se un qualche ciclo continuo di investimenti e ritorni deve esservi assicurato per la sopravvivenza, quell’area deve essere continuamente attraversa-ta e investita da numerosi e con-sistenti “!ussi vitali” provenienti dall’alto, dal basso, nonché da aree esterne non delimitate né delimitabili, non possedute né acquisibili come possessi esclu-sivi: energia solare; in!ussi della luna e dei pianeti; venti, piogge, tempeste; sorgenti dì acque dal-le profondità; acque provenienti da monti lontani; pesci risalenti le correnti dei corsi d’acqua, uc-celli migranti, … e si accorge per

conseguenza del fatto che, per de"nire realmente un territorio (perciò, anche un paesaggio cre-ato da una società di esseri uma-ni) proprio non basta conoscer-ne i con"ni e, di quel territorio e suoi vasti dintorni, i caratteri "sici: geologia, idrologia, morfo-logia, "tologia, suoli, ecc.; diven-ta indispensabile conoscere sia la quantità e qualità dei numerosi !ussi vitali che, in modo diverso secondo le stagioni, investono un territorio più il suo contesto, sia gli strumenti usati e le tecniche e tecnologie adottate dalla socie-tà che se ne giova, sia, in"ne, gli e#etti sui “!ussi vitali” delle for-me adottate per lo sfruttamento di tali !ussi. Qui è il legame tra paesaggi, territori, ambiente.

Pubblicato in Francesco Correnti (a cura di), Programma innovativo in ambito urbano per il recupero delle zone retroportuali e ferrovia-rie nel comune di Civitavecchia, volume II, Piani e progetti in co-mune, U!cio Consortile Interre-gionale della Tuscia, Edizioni del Cdu, Roma, 2006-2012.

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Dalla metà del 2004 a tutto il 2006, ho avuto la possibi-

lità – quale direttore del Dipar-timento Urbanistica, Territorio e Patrimonio Storico del Comune di Civitavecchia e dell’U$cio Consortile Interregionale della Tuscia – di organizzare l’attua-zione del programma innovativo in ambito urbano “Porti e Stazio-ni”, "nanziato dal Ministero del-le Infrastrutture e dei Trasporti ai sensi del Protocollo d’intesa sottoscritto dallo stesso Mini-stero, dal Comune, dall’Autorità Portuale di Roma e del Lazio, da RFI (Rete Ferroviaria Italiana), da Ferrovie dello Stato S.p.A. e dalla Regione Lazio

Il programma – che si è innestato sull’esperienza avviata nel 1999 con il P.r.u.s.s.t. “Patrimonio di San Pietro in Tuscia ovve-ro il Territorio degli Etruschi” comprendente un centinaio di Comuni dell’Alto Lazio, delle Toscana e dell’Umbria – ha rap-presentato l’occasione per speri-mentare un processo virtuoso, coordinato da un unico sogget-to tecnico (l’U$cio Consortile, appunto), riguardante le proble-matiche insite nel discorso della rigenerazione urbana, funziona-le, economica e sociale di quei contesti territoriali connotati dalla presenza di infrastrutture nodali, quali il Porto, le Stazioni ferroviarie (centrale e marittima) e delle altre attrezzature di inter-scambio tra i tra$ci marittimi e quelli terrestri. In tale processo, il dialogo con l’Ente di governo portuale ha assunto una parti-colare rilevanza, in quanto sono stati individuati quegli interventi in grado di avviare una piani"ca-zione condivisa "nalizzata all’in-

tegrazione del porto con la città, con il sistema territoriale della “Piattaforma logistica medio-tirrenica” e in generale con le di-verse direttrici dei collegamenti europei e mediterranei. La veri"ca della fattibilità e coe-renza urbanistica dei programmi è stata condotta con la collabo-razione di giovani professioni-sti a progetto a$ancati da tutor di altissimo livello scienti"co: Vittoria Calzolari, Mario Ghio, Corrado Placidi. Nell’ambito di questa veri"ca, abbiamo comple-tato gli studi sulla storia urbana sviluppati negli anni con la reda-zione d’una Carta delle strati"-cazioni storiche informatizzata e georeferenziata, accompagnata da ricostruzioni e vedute dell’ar-tista Arnaldo Massarelli.

Con Mario Ghio avevo potuto collaborare "n da studente negli anni Sessanta, poi come compo-nente del Cd della Sezione Lazio dell’INU durante la sua presi-denza, quale attivo socio della Sezione Lago di Bracciano di Ita-lia Nostra e, ancora, come copro-gettista di alcuni piani attuativi e di edi"ci scolastici per il Comune di Civitavecchia. Le sue bellissi-me pagine qui pubblicate hanno rappresentato uno dei contributi da lui o#erti al gruppo di lavoro, impegnato in una serie di studi sulle zone di margine tra la città e il porto, "nalizzati a de"nire in-dirizzi per la riquali"cazione ur-banistica di tali zone, il recupero di aree e di edi"ci, la veri"ca del-le previsioni riguardanti le infra-strutture e i trasporti e della tem-pistica dei programmi, anche in relazione alla dismissione di siti ENEL e RFI, di zone carcerarie, industriali, per depositi o di altra

natura, nella prospettiva della ri-funzionalizzazione e del riassetto urbanistico, anche al "ne di pre-disporre elementi e proposte per il Piano Strategico e il Piano del-la Mobilità.

I risultati del programma e tutti i contributi saranno pubblicati tra breve in due volumi di grande formato, da me curati, dal titolo Programma innovativo in ambi-to urbano per il recupero delle zone retroportuali e ferroviarie nel comune di Civitavecchia. Il primo volume sarà dedicato agli studi di storia urbana, il secon-do, Piani e progetti in comune, agli studi urbanistici e ambienta-li (Edizioni del Cdu dell’U$cio Consortile Interregionale del-la Tuscia, Roma-Civitavecchia -Orvieto-Pitigliano-Viterbo).

Postfazionedi F.Correnti

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PhotoStory

Sentiero nel territorio di Serravalle del Chienti, nei pressi di Forcella.

Foto: Chiara Serenelli

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Un cielo pallido, un timido sole e una spruzzata di neve che attutisce il rumore dei passi sono

le condizioni ideali per una passeggiata inedita tra i parchi urbani di ultima generazione, nel freddo pungente di una Parigi ai primi di febbraio.La stagione invernale infatti è considerata quella meno adatta per visitare parchi e giardini perché mancano ancora i colori, i profumi e i forti chiaroscuri che la primavera porta con sé, e allora si presenta la necessità di dover a$nare la capacità percettiva per cogliere tenui sfumature, ardite silhouettes di alberi che si stagliano contro il cielo, vivaci colori di bacche e steli che s"dano la velatura cinerea che avvolge il paesaggio urbano.

Il nostro tour inizia dalla stazione ferroviaria di Montparnasse, nel cuore dell’omonimo quartiere ricco di storia e di cultura, per addentrarsi nel 15° arrondissement, sulla Rive Gauche, che ha subìto profonde trasformazioni urbanistiche negli ultimi

A Parigi, attraverso i parchi urbani di ultima generazionedi Francesca CalamitaArchitetto Paesaggista

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decenni, diventando uno delle aree metropolitane parigine più densamente popolate. Proprio la stazione dei treni ad alta velocità che collegano Parigi alla costa atlantica, famosa per lo spettacolare incidente ferroviario del 1895, ristrutturata in più fasi e terminata nel 1995, è l’emblema di tale ricostruzione e rinnovamento urbano durato decenni, capace di tener conto delle mutate esigenze non solo in termini di funzionalità e servizi, ma anche di benessere e fruibilità.Al di sopra dei binari ferroviari, quasi sospeso sulla città, troviamo infatti il

Jardin Atlantique, che con una super"cie di circa tre ettari e mezzo, si snoda in una serie di percorsi e ambienti, quasi a formare delle stanze, che incuriosiscono e attraggono, ostacolando la percezione d’insieme dello spazio e facendo rimbalzare lo sguardo sui numerosi dettagli piuttosto che sulle armonie compositive. Forse per questo motivo Pascal Cribier lo attribuisce al “genere superdesign” in cui prevale la "ssità delle soluzioni arti"ciali sulla poesia delle variazioni stagionali della vegetazione. Sebbene siano presenti numerosi alberi che evocano luoghi al di

Jardin Atlantique

ULSSH�WHNPUH�H�ÄHUJV!Parc Brassens

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qua e aldilà dell’Atlantico, la presenza di vaste aree pavimentate o inerbite, la scelta di numerose specie sempreverdi (arboree ed arbustive) e l’abbondanza di elementi architettonici e scultorei conferiscono all’insieme una certa arti"ciosità dominata dalla geometria, dalla calma e dal silenzio. Nonostante questo, o forse proprio per questo motivo, il Jardin Atlantique si rivela ricco, suggestivo ed inaspettato facendo dimenticare di trovarsi in un giardino pensile al di sotto del quale si trova la città e tutta la sua frenesia.Si scende quindi e percorrendo il quartiere di Vaugirard, tra antichi palazzi signorili e recenti interventi in acciaio e vetro, in un costante dialogo tra storia e contemporaneità, si arriva al Parco Georges Brassens, realizzato a metà degli anni ’80 nell’area dei vecchi mattatoi, dei quali

mantiene alcune strutture interessanti che hanno un ruolo testimoniale ed evocativo. Con i suoi quasi otto ettari di estensione, si presenta con un impianto piuttosto tradizionale, quasi da giardino paesaggistico all’inglese, caratterizzato da sentieri sinuosi, morbidi movimenti di terra, numerose fabriques, uno specchio d’acqua centrale e l’imponente campanile, retaggio dell’edi"cio storico per la vendita all’asta, con funzione di eye-catcher per l’intero parco, ma la sua centralità, l’organizzazione spaziale funzionale a diverse attività, la vicinanza di una scuola materna e la presenza di un interessante giardino didattico, ne fanno un luogo molto frequentato durante tutto l’anno. Qui la

magia dell’inverno conferisce un’atmosfera sospesa, in cui la grande “arrampicata” di rocce, realizzata con le pietre recuperate dalle demolizioni, si addolcisce sotto la coltre nevosa, i maestosi pro"li dei platani nel loro impianto regolare appaiono come silenziosi soldati schierati, mentre i vivaci colori dei cavoli nelle aiuole ci regalano un anticipo di primavera.

Proseguendo poi lungo Boulevard Lefebvre e Boulevard Victor, passando nella recente Esplanade du 9 novembre 1989, piazza antistante il nuovo polo "eristico parigino dedicata alla caduta del muro di Berlino, del quale ne espone una porzione, ci si dirige verso quello che è generalmente considerato uno degli esempi meglio riusciti di parco urbano contemporaneo, il Parc André Citroën. Con i suoi quasi quattordici ettari di estensione, costituisce il cuore dell’intero quartiere e il simbolo evidente della sua riquali"cazione urbana,

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attenta all’integrazione con gli elementi fondanti dell’identità dei luoghi e capace di ricostituire un privilegiato rapporto con la Senna. Le note vicende legate al concorso di progettazione e al primo premio ex-aequo non sono su$cienti per avvertire dissonanze nella composizione d’insieme, perché, pur cogliendo alcune di#erenze di approccio e di sensibilità, il parco si svela, come a#erma Isotta Cortesi, come un “percorso, solo parzialmente "sico, ma che appare principalmente come la rappresentazione di un processo narrativo”. Una delle cose che maggiormente colpisce

dopo aver visitato gli altri parchi, è come il clima e i colori dell’inverno non siano qui percepibili come una limitazione alla bellezza dei luoghi, ma come un aspetto complementare della natura, che è capace, nella sua ciclicità, di regalare suggestioni ed emozioni ogni volta diverse. Il sapiente accostamento tra piante sempreverdi e caducifoglie, la presenza di siepi di Prunus Cerasus cariche di frutti rossi, l’uso di erbacee e arbusti con steli dai colori vivaci, i morbidi toni e il portamento scomposto

delle graminacee ci accompagnano nel cammino lungo i giardini seriali, "no al giardino in movimento, che costituiscono senza dubbio il cuore pulsante dell’intero parco, in cui la natura rivela tutto il suo potenziale evocativo.Questa stessa capacità emotiva, la ritroviamo, con ancora maggiore forza a carica espressiva, nel giardino del Museo Quai Branly, lungo la Senna e vicino alla Torre Ei#el, in cui Gilles Clément riesce, attraverso l’uso di sentieri sinuosi, di collinette, di dislivelli, di specchi d’acqua, grazie all’impianto di numerosi alberi e

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soprattutto alla scelta delle specie erbacee, a conferire un senso di vastità, di abbondanza e di estrema naturalezza ad un giardino di poco più di due ettari. In costante dialogo con l’edi"cio museale di Jean Nouvel e con il muro vegetale di Patrick Blanc che caratterizza il fronte stradale, il giardino non si limita ad accogliere i visitatori del Museo, ma si apre alla città, diventando un punto nevralgico del quartiere, riuscendo a coniugare la poetica della natura con le esigenze e le aspettative dei fruitori. Appare chiaro, a questo punto, che attraverso una promenade tra i parchi del 15° arrondissement parigino, abbiamo compiuto un ideale viaggio tra i diversi approcci alla progettazione dei parchi urbani contemporanei, che indipendentemente dalla loro estensione, dal loro impianto compositivo, dalla calibrazione degli elementi naturali ed arti"ciali, devono riuscire a coinvolgere

ed emozionare, coniugando capacità espressive, potenzialità della natura ed esigenze sociali, perché, come a#erma Bernard Lassus, “non esiste una soluzione generale, il parco urbano è da reinventare, (…) non esistono modelli, ogni luogo ha la sua storia e richiede un approccio unico e singolare”.

9PMLYPTLU[P�IPISPVNYHÄJP!L. Deschamps, Paris des jardins, Éditions Ouest-France, Rennes 2005D. Jarrassé, Grammaire des jardins parisiens, Parigramme, Paris 2007H. Demeude, Musée du Quai Branly, l’esprit du lieu, Éditions Scala, Paris 2006I. Cortesi, Il Parco Pubblico, paesaggi 1985-2000, Federico Motta Editore, 2000D. Pennisi, Il Jardin Atlantique e il dibattito sul parco pubblico in Francia. A colloquio con Pascal Cribier e Bernard Lassus, in: Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio, Firenze University press, n°3/2005

Quai Branly

nella pagina precedente:

Parc Citroen

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PhotoStory

Casale di Malborghetto lungo la Flaminia Lauretana, non lontano da Roma.

Foto: Chiara Serenelli

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Il comune di Campiglia Marittima sor-ge in una Valle situata nella parte sud della Toscana, tra le province di Livor-

no e Grosseto: la Val di Cornia, territorio ricco da un punto di vista storico-culturale e paesaggistico e anche di tradizioni dove la cultura del lavoro, del mare, della terra e del bosco danno vita ad un eccezionale patrimonio. Il comune di Campiglia a#onda le sue ra-dici nella popolazione etrusca, grandi la-voratori ma anche grandi cultori del be-nessere; il momento di massimo splendore è il Medioevo che l’ha resa un centro im-portante per la sua posizione strategica ri-spetto alla zona paludosa dell’attuale Ven-turina. A seguito delle boni"che lorenesi la piana inizia ad assumere un aspetto sem-pre più favorevole all’insediamento "no a che non diventa il centro più importante dell’intero comune diventando una fusion tra distese di terreni fertili, boschi, colline terrazzate e spazi verdi pubblici.

DALLA STORIA

AL PROGETTO:

RIQUALIFICAZIONE DI

TRE AREE VERDI NEL

COMUNE DI

CAMPIGLIA MARITTIMAdi Silvia Ruzziconi, Elena Lo ReArchitetti Paesaggisti

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Tre di queste aree sono state oggetto di riquali"cazione da parte del Comune di Campiglia: tre parchi diversi l’uno dall’al-tro sia per collocazione, per funzione e per aspetti botanici e che ad oggi risulta-no essere tre “isole” semi abbandonate, in evidente stato di degrado, che dialogo ben poco col paese e i suoi abitanti. Il primo intento dei progettisti è stato quello di ri-creare un disegno unitario di connessione e connettività tra il sistema costiero, il si-stema rurale della piana e quello della parte collinare nonchè tra i parchi stessi dando loro il ruolo di strumento per la coesione sociale e la quali"cazione culturale dell’in-tero sistema. E’ stato studiato, applicando il metodo percettivo di Lynch, un sistema di reti e nodi (percorsi e poli sociali) che ri-escano a connettere le antiche identità dei luoghi con le nuove centralità progettate.

Il parco della Fonte di Sotto si trova su-bito fuori il centro storico di Campiglia, punto di inizio dell’intero sistema collinare e pedecollinare che si spinge sino al mare. L’area è contraddistinta da una densa pi-neta (percettivamente divisa in due parti) di circa 30 anni che, a causa di un sesto di impianto troppo "tto, crea un grosso pro-blema di sicurezza per i fruitori del parco. Precedentemente alla pineta, l’area pre-sentava tutte le caratteristiche tipiche del paesaggio identitario di Campiglia: campi coltivati e olivi erano circondati da boschi di roverella. Il progetto consiste, pertanto, in un dira-damento graduale negli anni della parte inferiore della pineta che sarà adibita ad uno spazio per manifestazioni e dove ver-ranno realizzate terrazze destinate ad area pic nic;

I Pinus pinea saranno sostituiti da specie autoctone, in particolare farnie e lecci che non richiedono terreni particolarmente fertili, dato che la presenza dei pini ha reso il terreno piuttosto acido.

Nella parte superiore la pineta, invece, sarà estirpata completamente e sostituita da un giardino botanico-didattico costituito da specie della macchia mediterranea e del bosco di roverella. Così potranno anche essere riportati alla luce i ruderi del vec-chio acquedotto lorenese, che caratterizza a tratti una parte del versante di quella col-

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lina, andando a collegare l’area di progetto all’antica Via delle Fonti che dalla Fonte di sotto (all’interno della pineta) arriva all’antica Fonte di Capattoli tramite un iti-nerario storico-naturalistico di eccezionale bellezza.

I giardini di Tufaia di Venturina si trova-no nell’omonimo rione, così chiamato per la presenza del tufo, e sono caratterizzati da due aree ben distinte dalla Fossa Cal-da, breve corso d’acqua calda proveniente dalle sorgenti termali della collina sovra-stante. La prima delle due parti è contrad-distinta da un piccolo laghetto arti"ciale e da un consistente bacino di raccolta, adi-bito ad area faunistica che da progetto avrà punti di osservazione esterni ma allo stesso tempo sarà protetta da specie vegetali a tu-

tela degli uccelli migratori; qui il proget-to prevede un grande an"teatro verde per manifestazioni culturali e spazi destinati al benessere psico-"sico sia per persone che per i loro amici a quattro zampe; inoltre si prevede un’area giochi denominata “Free-dom” con installazioni per spiriti più in-traprendenti. Nella seconda parte, invece, le associazioni vegetali rimangono quelle attuali integrate da altre specie autocto-ne, e contraddistinta da una piazza per la socializzazione e un’area basket il tutto corredato da giochi tradizionali in legno e da giochi creativi circondati da alberi da frutto. I progettisti volutamente dando ai tre poli (l’an"teatro, la piazza e il basket) una for-ma circolare e prevedendo l’installazione di tre strutture lignee, caratterizzate dalla ruota del molino, hanno voluto riportare alla luce la forte identità storica dell’area che lega Venturina alla tradizione molito-ria. Il giardino di Piazza Firenze a Venturina, attualmente anonimo nonostante l’impor-tante presenza della sede della Filarmonica Mascagni, viene sottoposto ad un proces-so di metamorfosi in quanto si prevede la creazione di un Giardino Bioenergetico. La Bioenergetic Landscapes è una nuova tecnica di realizzazione di parchi e giardi-ni che sfrutta alcune proprietà bene"che di alberi ed arbusti messi a dimora in spe-ci"che posizioni e scelti in base alle loro capacità di in!uire positivamente sull’or-

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ganismo umano. Vengono così sfruttati i principi dell’interazione di campi bioelet-trici delle piante e campi elettromagnetici dell’ambiente in cui verranno collocati. Il giardino bioenergetico si articola tra aree di sosta bene"che, giochi per bambini e l’attuale area da pattinaggio sarà attrezzata con un palco permanente dove si svolgono numerose manifestazioni paesane.L’intento dei progettisti è stato quello di migliorare la qualità dell’ambiente di vita dei cittadini e il valore ecologico e paesag-gistico in cui gli stessi si incontrano e svol-gono alcune attività mantenendo integri, o riportando alla luce, i tratti identitari e caratterizzanti di un territorio riproponen-doli in maniera innovativa e interessante per le molteplici opportunità sociali, cul-turali ed economiche che il progetto con-tiene e trascina con sè.

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PhotoStory

La via Romea in Val d’Arda

Foto: Enrico Falqui

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Paesaggio e BenessereEnrico ANGUILLARI, Viviana FERRARIO, Elena GISSI, Emanuel LANCERINI (a cura di)

RECENSIONE

di Silvia MinichinoPhd Student, DUPT, Università degli Studi di Firenze

«[…]è necessario che il paesaggio, assieme alla città e al territorio, smettano di essere considerati nell’agenda delle politiche pub-bliche semplicemente come una collezione d’inutili spese, ma al contrario inizino ad essere pensati come laboratori d’ invenzio-ne di progetti e politiche per il loro rilancio –anche in termini di attivazione di proces-si economici e sociali – come opportunità e possibilità di innovazione e formazione di diritti di cittadinanza, tra cui anche il dirit-to a trascorrere la propria vita in una città, un territorio e un paesaggio salubri, sicuri e confortevoli.»(Tosi:18)

Paesaggio e Benessere, è un libro in si ritrovano gran parte delle più recen-

ti ri!essioni sul ruolo del paesaggio nella piani"cazione territoriale, in quella setto-riale e più genericamente, nella costru-zione della qualità dello spazio di vita. E’ quest’ultimo modo di interpretare il pae-saggio come portatore di qualità nel pro-getto, che sembra presentarne le maggiori potenzialità operative e che viene declina-

Paesaggio e Benessere, (a cura di),Enrico

Anguillari,Viviana Ferrario, Elena Gissi, Emanuel Lancerini,

prefazione di Matelda Rheo, Franco Angeli, Milano 2011

21,00 euro

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to dagli Autori, tutti membri dell’Unità di Ricerca “Governo e governance delle trasformazioni del paesaggio”(IUAV). Il tema proposto ed indagato nel libro riesce a tenere insieme le molteplici componenti che costituiscono l’articolato discorso sul paesaggio, riconducendolo ad una dimen-sione pratica del progettare e del fare quo-tidiano. La problematica era stata sollevata nel 2003 da Yves LUGINBÜHL all’inter-no del Workshop per l’implementazione della Convenzione Europea del Paesag-gio che si era tenuto a Strasburgo1 nella sessione LANDSCAPES AND INDIVI-DUAL AND SOCIAL WELL-BEING. La domanda che era emersa e che sembra essere stata indagata attraverso le ricerche ed esperienze presentate nel libro nelle quattro parti coordinate, ciascuna da uno degli Autori, e articolata negli interven-ti di ricercatori italiani, è «se e come sia possibile che il paesaggio contemporaneo produca ben-essere per gli individui e la società?» La tematica sottointesa in questo ragionamento e che assume una partico-lare rilevanza nel momento in cui si parla di paesaggio, è il rapporto tra individuo e società ed in ultima analisi tra diritti e pra-tiche individuali e collettivi.Le ri!essioni degli Autori propongono al-cuni concetti su cui ri!ettere parlando di paesaggio e benessere e implicitamente propongono anche un modo di interpre-tare il concetto stesso di paesaggio in una visione costantemente costruttiva che mira a trovarne una valenza progettuale. FER-RARIO argomenta intorno alla percezio-ne e alla partecipazione proponendo il paesaggio come un «prodotto collettivo». LUCERINI tira fuori il tema delle «prati-che di cura» e ipotizza «il paesaggio come abitare».GISSI fa emergere con chiarezza la convergenza tra i discorsi sul paesaggio e le politiche per la sicurezza del territorio e quindi paesaggio assume il signi"cato di «progetto collettivo rispetto al contesto di vita». E’ ANGUILLARI che in chiusura, analizzando tracce e comunità attraverso il concetto di paesaggio, esplicita la tesi che si ritrova costantemente all’interno del

libro e che cioè il paesaggio è «un mo-dello di percezione del territorio e maniera di scendere a patti con esso. E’ pervasivo nella misura in cui risponde con una tale larghezza di modi alla richiesta di inter-pretare il presente e pre"gurare il futuro, da apparire esaustivo e di tutti. […]Il pa-esaggio ci obbliga dunque a considerare il mondo nella sua totalità e dal momento che dentro la città e il territorio declinati in paesaggio c’è tutto, il piano e il progetto diventano innanzitutto uno sforzo diacro-nico per osservarlo, ascoltarlo, saggiarlo ».(Anguillari:135)

1 Vedi T-FLOOR(2004)3, http://www.coe.int

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(ZZVJPHaPVUL�KP�WYVTVaPVUL�ZVJPHSL�ZLUaH�ÄUP�KP� S\JYV�JOL�diffonde una cultura della sostenibilità dello sviluppo urbano e territoriale, della conservazione e gestione del paesaggio e del patrimonio naturale e culturale, secondo i principi della Convenzione Europea sul Paesaggio (Firenze, ottobre 2000) L�PS�TVKLSSV�KP�JP[[n�JYLH[P]H�KLÄUP[V�KHSSV�:JOLTH�KP�:]PS\WWV�dello Spazio Europeo (SSSE, Potsdam, maggio 1999). Verdiana Network svolge progetti di ricerca, formazione e sensibilizzazione sui parchi, le aree protette e le reti ecolo-giche, gli itinerari culturali, gli ecomusei, i distretti culturali, la YPX\HSPÄJHaPVUL�KLP�X\HY[PLYP�\YIHUP�L�WLYP\YIHUP��SH�=HS\[HaPV-UL�(TIPLU[HSL�:[H[LNPJH��=(:��L� SH�WPHUPÄJHaPVUL�\YIHUH�L�territoriale a partecipazione pubblica, anche in collaborazio-ne con Università, Istituti di ricerca ed Enti pubblici, con la possibilità di coinvolgere studenti e giovani laureati attraver-so tirocini e stage formativi. Verdiana Network offre al pubblico interessato la possibili-[n�KP�YPÅL[[LYL�L�JYLHYL�KPIH[[P[P�Z\NSP�HYNVTLU[P�VNNL[[V�KLSSH�propria attività tramite la pubblicazione periodica di articoli ZJPLU[PÄJP� L� KP]\SNH[P]P� ULSSH� YP]PZ[H� VU�SPUL� 5L[^VYR� PU� 7YV-gress.

Nel territorio di Marche e Umbria, in collaborazione con le Fondazioni Cassa di Risparmio di Loreto, Macerata, Foligno e Perugia, Verdiana Network ha svolto un progetto di ricer-ca per il recupero dei cammini di pellegrinaggio al Santuario di Loreto e la sua menzione a Itinerario Culturale Europeo, \ULUKV�HSS»PUKHNPUL�Z[VYPVNYHÄJH�L�JHY[VNYHÄJH�\U�HWWYVJ-cio paesaggistico alla progettazione.In Lunigiana (Toscana), con la collaborazione dei Comuni di Fivizzano, Aulla, Bagnone, Fosdinovo, Licciana Nardi e Vil-lafranca, il patrocinio della Regione Toscana, Verdiana Net-work ha promosso e coordinato il Corso di Formazione e Aggiornamento professionale Parchi naturali, aree protette e reti ecologiche per lo sviluppo del territorio, che ha porta-to all’elaborazione e all’esposizione di interessanti proposte progettuali per il territorio.Per la città di Firenze Verdiana Network è impegnata in un’i-niziativa, denominata Progetto Cartoline, di sensibilizzazio-ne al tema del degrado, dell’abbandono e della necessità del recupero degli spazi della città contemporanea, nata all’interno della ricerca per un Urban Center nell’area me-[YVWVSP[HUH�ÄVYLU[PUH��VNNL[[V�KP�W\IISPJHaPVUP�JVU]LNUP�LK�esposizioni.

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