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News 14/SSL/2017 Lunedì, 03 aprile 2017 Aflatossine: un rischio sottovalutato negli ambienti di lavoro. Un intervento si sofferma sulla presenza di aflatossine nei luoghi di lavoro. Le difficoltà per gli operatori della prevenzione, i motivi del disinteresse al rischio, i dati sugli effetti sui lavoratori esposti, le indicazioni per la tutela. Bologna, 31 Mar – Le aflatossine, micotossine sintetizzate da funghi che possono proliferare su alcuni alimenti, rappresentano un rischio sottovalutato negli ambienti di lavoro. Se infatti le procedure per il controllo delle aflatossine negli alimenti sono ormai piuttosto consolidate, non vi è ancora piena consapevolezza del rischio di esposizione negli ambienti di lavoro. Per parlare di aflatossine e dei rischi anche negli ambienti lavorativi si è tenuto il 15 novembre 2016 a Bologna il seminario Emergenza aflatossine: dal controllo alla prevenzione”: un incontro che ha permesso di condividere le conoscenze attuali sulle aflatossine , sui loro effetti sull’organismo e sulle misure di prevenzione e protezione da adottare durante il lavoro. Per soffermarci sul tema della sottovalutazione di questa emergenza nei luoghi di lavoro presentiamo l’intervento “Le aflatossine nei luoghi di lavoro: effetti e scenari di esposizione professionale”, a cura di Fulvio Ferri (Medico del Lavoro - Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro AUSL di Reggio Emilia). L’intervento indica che “per un operatore della prevenzione la situazione è sorprendente”. In determinate aziende può avere a che fare con aflatossine cancerogene” (l’intervento riporta le sigle di alcune aflatossine

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News 14/SSL/2017 Lunedì, 03 aprile 2017

Aflatossine: un rischio sottovalutato negli ambienti di lavoro.

Un intervento si sofferma sulla presenza di aflatossine nei luoghi di lavoro. Le difficoltà per gli operatori della prevenzione, i motivi del disinteresse al rischio, i dati sugli effetti sui lavoratori esposti, le indicazioni per la tutela.

Bologna, 31 Mar – Le aflatossine, micotossine sintetizzate da funghi che possono proliferare su alcuni alimenti, rappresentano un rischio sottovalutato negli ambienti di lavoro.Se infatti le procedure per il controllo delle aflatossine negli alimenti sono ormai piuttosto consolidate, non vi è ancora piena consapevolezza del rischio di esposizione negli ambienti di lavoro. Per parlare di aflatossine e dei rischi anche negli ambienti lavorativi si è tenuto il 15 novembre 2016 a Bologna il seminario “Emergenza aflatossine: dal controllo alla prevenzione”: un incontro che ha permesso di condividere le conoscenze attuali sulle aflatossine, sui loro effetti sull’organismo e sulle misure di prevenzione e protezione da adottare durante il lavoro. Per soffermarci sul tema della sottovalutazione di questa emergenza nei luoghi di lavoro presentiamo l’intervento “Le aflatossine nei luoghi di lavoro: effetti e scenari di esposizione professionale”, a cura di Fulvio Ferri (Medico del Lavoro - Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro AUSL di Reggio Emilia). L’intervento indica che “per un operatore della prevenzione la situazione è sorprendente”.In determinate aziende può avere a che fare con aflatossine cancerogene” (l’intervento riporta le sigle di alcune aflatossine cancerogene):- ad azione genotossica (interagiscono direttamente anche con il DNA cellulare);- i cui effetti nocivi, sulle popolazioni animali ed umane più esposte per ragioni

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alimentari” sono “ampiamente noti da anni;- che possono giocare un ruolo causale diretto nel 4,6 – 28,2% di tutti i casi di epatocarcinoma;- la cui pericolosità è storicamente collegata alla possibile assunzione per via alimentare attraverso cibi contaminati, ma il cui assorbimento nell’organismo, può avvenire anche attraverso la via respiratoria o, addirittura, per via cutanea (almeno sperimentalmente)”.   Tuttavia lo stesso operatore deve constatare una “carente attenzione/conoscenza e scarsa regolamentazione sulla possibile esposizione professionale” ad aflatossine e sulle “modalità di prevenzione dei loro effetti nocivi”. E tale “scarsa attenzione” è dimostrata:- dal “limitato numero di studi epidemiologici o approfondimenti sperimentali su effetti sanitari e livelli di esposizione professionale, nelle pur numerose aziende che trattano, direttamente o indirettamente, prodotti alimentari o mangimi contaminati”;- dall’assenza di “qualsiasi normativa specifica di prevenzione a tutela dei lavoratori esposti” e “paradossalmente”, le aflatossine “non sono comprese nella lista UE dei cancerogeni professionali”. Un unico aggancio normativo specifico in tema di esposizione professionale – continua la relazione – è rappresentato dall’inserimento dal giugno del 2014 dell’epatocarcinoma nella lista delle Malattie Professionali, con obbligo di denuncia, in caso di precedente esposizione professionale ad Aflatossina B1. Perché c’è questo “disinteresse” sul rischio aflatossine? Secondo il relatore forse perché queste micotossine “sono cancerogeni ‘naturali’, ubiquitari, prodotti da muffe, a cui non è semplice sottrarsi e quindi la loro nocività ‘spaventa meno’. Inoltre la loro presenza suscita minori conflitti/allarmi sociali o discussioni rispetto a quelle indotte da cancerogeni ‘di sintesi’”.Forse anche perché il problema dell’esposizione alimentare è “particolarmente evidente nei paesi ‘in via di sviluppo’ (Asia, Africa, ..) dove si osservano:- incidenze di epatocarcinoma (HCC) indotte dall’elevata contaminazione” dei cibi da aflatossine e “dall’effetto additivo di contemporanea infezione da HBV e HCV (Li-Yu Wang, 2006; Hui-Chen Wu, 2009);- ampie fasce di popolazione che non possono permettersi di scartare, o destinare ad altro impiego, i semi e i prodotti della terra più contaminati” da

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aflatossine.E d’altronde, continua la relazione, per buona parte di queste popolazioni “la maggiore probabilità, nel medio termine, di morire per epatocarcinoma”, mangiando i prodotti contaminati, “rappresenta l’alternativa possibile alla sicurezza della morte per fame”, se rinunciano a cibarsene.  Invece in “occidente”, dove i “limiti di contaminazione sono tenuti in considerazione”, “l’evidenza epidemiologica di danni da aflatossine è più difficile da documentare”.  In ogni caso l’attenzione alle aflatossine, come fattore di rischio professionale, “è scarsa anche nelle aziende in cui l’esposizione per via inalatoria è consistente”.Infatti in molte aziende “l’esposizione professionale (per via inalatoria) non è assolutamente trascurabile”. La possibilità che, “una volta inalata, l’aflatossina B1, trasformatasi localmente in epossido, agisca direttamente sul tessuto polmonare, è stata già ampiamente dimostrata”. In realtà sono pochi i dati certi sugli effetti dannosi sui lavoratori esposti:- “nei Paesi Bassi (lavorazioni di Arachidi): aumento mortalità per ca. vie respiratorie in gruppi di lavoratori esposti ad aflatossine vs. gruppo di non esposti (Hayes RB, 1984);- in mangimifici di Danimarca, in addetti con più anzianità (> 10 aa.): eccesso di tumori a fegato, vie biliari, ghiandole salivari e mediastino, rispetto a popolazione generale (Olsen J.H. 1988)”.  Quante sono le aziende potenzialmente interessate? Quanti sono i lavoratori potenzialmente esposti? Quali sono i livelli di esposizione? Per provare a dare una risposta si indica che è interessato soprattutto il comparto agroalimentare, ma non solo. Questi alcuni ambiti lavorativi a rischio: raccolta (mais, …), carico e scarico (porti, autotrasportatori, …), deposito/insilamento, trattamenti meccanici, essiccazione, produzione mangimi, distribuzione agli animali da allevamento, laboratori analisi, produzione di biogas, incenerimento, ...  L’intervento che ha presentato poi diverse immagini esplicative e i risultati e le

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indicazioni relative ad alcune indagini svolte da AUSL Reggio Emilia, dall’I.Z.S di Bologna e dall’ISS, riporta, infine, alcune informazioni su cosa fare per tutelare la salute dei lavoratori, con particolare riferimento a:- informazione dei lavoratori obbligatoria;- applicazione delle buone prassi di prevenzione per evitare/limitare la contaminazione di prodotti, risanare i prodotti contaminati, limitare la dispersione/inquinamento da polveri contaminate, proteggere al meglio ogni individuo esposto; - misurare per valutare il rischio residuo e/o l’efficacia delle misure adottate;- sorveglianza sanitaria;- obbligo di denuncia in caso di epatocarcinoma, in esposto (attuale o ex esposto).  “ Le aflatossine nei luoghi di lavoro: effetti e scenari di esposizione professionale”, a cura di Fulvio Ferri (Medico del Lavoro - Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro AUSL di Reggio Emilia), intervento al seminario “Emergenza aflatossine: dal controllo alla prevenzione” (formato PDF, 3.59 MB).

Fonte: puntosicuro.it

Movimentazione manuale: la norma UNI ISO 11228-2.

Valutare e caratterizzare i rischi connessi ad attività di traino e spinta svolte da un lavoratore adulto in posizione eretta, che applica la forza con entrambe le mani per muovere un oggetto.Pubblichiamo un approfondimento sulla norma “UNI ISO 11228-2 Ergonomia - Movimentazione manuale - Parte 2: Spinta e traino”, a cura dia cura di Contarp, autori: Francesco Nappi, Diego Rughi.

LA NORMA UNI ISO 11228-2PremessaLa norma UNI ISO 11228-2 consente di valutare e caratterizzare i rischi connessi ad attività di traino e spinta svolte da un lavoratore adulto in posizione eretta, che applica la forza con entrambe le mani per muovere (o arrestare) un oggetto (generalmente un carrello). Il protocollo prevede la valutazione del rischio secondo gradi di approfondimento successivi, attraverso i quali si procede:

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1. all’identificazione dei pericoli (forza, postura, distanza percorsa, caratteristiche dell’oggetto, caratteristiche individuali dell’operatore, organizzazione del lavoro);2. alla stima del rischio;3. alla valutazione e alla quantificazione del rischio. Per quanto riguarda la fase di valutazione, la norma prevede la possibilità di utilizzare due metodi di analisi, caratterizzati da diverso grado di approfondimento. Metodo 1Viene utilizzato per valutare in modo relativamente rapido i rischi connessi alle operazioni di spinta e traino di un oggetto. Sulla base dell’analisi condotta con una check list, si procede alla valutazione generale dei rischi connessi alle operazioni di traino e spinta, per le quali occorre conoscere l’altezza delle maniglie o del punto di applicazione della forza, la distanza da percorrere, l’entità della forza impiegata, la sua frequenza di applicazione e la composizione (maschile/femminile) della popolazione lavorativa. Il confronto tra i valori di forza (iniziale e di mantenimento) misurati con un dinamometro e quelli ricavati dalle “tabelle psicofisiche” di Snook e Ciriello determina l’indice di rischio (IR), che permette di classificare come “accettabile” o “inaccettabile” un compito di spinta o traino di un carico. Metodo 2Viene impiegato nei casi in cui il metodo 1 rilevi una condizione operativa “inaccettabile” dal punto di vista del sovraccarico biomeccanico; permette di calcolare i limiti di accettabilità basati sulla forza muscolare (FBr) e sulla forza compressiva nella zona lombare (FLs). A partire da questi valori, si può calcolare il limite di sicurezza (FL), determinato dal rapporto tra i valori di forza esercitata dall’operatore durante la spinta o il traino, effettivamente misurati con il dinamometro e quelli individuati nelle tabelle appropriate. Il metodo in questione, estremamente complesso, necessita di una notevole esperienza per la sua applicazione. 1. Il metodo di SNOOK & CIRIELLOLa norma UNI ISO 11228-2 si basa in parte sul protocollo ideato da Snook e Ciriello (1991), che si è dimostrato particolarmente valido nella valutazione dei rischi.

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Fin dal 1970 sono stati condotti studi sull'analisi e sulla valutazione del sovraccarico biomeccanico in azioni di sollevamento, abbassamento, traino, spinta e trasporto. I principali studi, basati su metodologie psicofisiche e sulla misura di alcuni parametri (consumo di ossigeno, frequenza cardiaca, caratteristiche antropometriche, ecc.), furono condotti da Stover Snook e Vincent Ciriello al Liberty Mutual Research Institute for Safety: negli esperimenti condotti, i soggetti esaminati potevano scegliere liberamente i carichi da movimentare, mentre tutte le altre variabili dei compiti da svolgere (spinta e traino), quali l'altezza dell’impugnatura o delle maniglie, la distanza da percorrere, la frequenza delle operazioni, ecc., erano decise dagli sperimentatori. I soggetti monitoravano le loro sensazioni di fatica e sforzo e aggiustavano il carico da trainare (o da spingere) o la forza impiegata.I risultati di questi studi sono riassunti nelle cosiddette "Tabelle Psicofisiche", che forniscono importanti informazioni sulle capacità e sul carico limite che consentono di eseguire in sicurezza le operazioni di movimentazione manuale dei carichi (in senso generale, comprese le azioni di traino, spinta e trasporto). Tali tabelle furono successivamente utilizzate dal NIOSH per mettere a punto il metodo di analisi per le azioni di sollevamento ed abbassamento. A tale proposito, occorre ricordare che lo Step 5 previsto dalla Norma UNI ISO 11228-1, utile nella valutazione del trasporto manuale di un carico sollevato tra i punti di origine e di destinazione dello stesso, si basa proprio sulle suddette tabelle. Per la sua complessità, quest’ultimo l’argomento non viene affrontato in questa sede e si rimanda ai contenuti della suddetta norma tecnica. 2. La Norma UNI ISO 11228-2In linea di principio, la movimentazione manuale dei carichi, rappresentando un potenziale pericolo per i lavoratori, dovrebbe essere sempre evitata. La Norma UNI ISO 11228-2 entra in gioco nel momento in cui, non essendo possibile eliminare le fasi più gravose, sia necessario esaminare in modo approfondito i fattori che rendono rischiosa le attività di traino e spinta; per mezzo del protocollo descritto nella norma è possibile qualificare e quantificare gli elementi che determinano il rischio per migliorare le condizioni operative legate alle attività di traino e spinta. L’analisi prevede due fasi (metodi) di approfondimento successivo attraverso le quali si procede dapprima all’identificazione dei pericoli, alla stima del rischio e infine alla sua valutazione, come rappresentato nella figura 1. 

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Figura 1 - Valutazione dei rischi secondo la Norma UNI ISO 11228-2.  Di seguito verranno analizzati i vari fattori di rischio che possono presentarsi nello svolgimento delle operazioni di spinta o di traino di un oggetto. FORZANelle operazioni di traino e spinta occorre considerare in modo distinto la forza iniziale, che si applica per superare l’inerzia del carrello all’inizio del movimento (o ogni volta in cui è richiesto un cambio di direzione dello stesso) e la forza di mantenimento, necessaria per sostenere il movimento dell’oggetto. In linea generale, la forza necessaria per spostare un oggetto cresce con l'aumentare:- della distanza percorsa;- delle caratteristiche dell’oggetto;- del numero di cicli di trasporto eseguiti nel turno di lavoro;- della durata del tempo dedicato alla movimentazione;- dell’angolo di applicazione della forza. Poiché la forza iniziale è generalmente maggiore di quella di mantenimento, dovrebbero essere ridotte al minimo tutte le condizioni in cui la forza deve essere applicata in modo impulsivo, come nel caso delle fasi di avvio o di arresto dell’oggetto o quando risulti necessario cambiare la direzione dello spostamento.

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L’applicazione prolungata della forza di mantenimento dovrebbe inoltre essere evitata, in quanto causa di affaticamento muscolare. POSTURADa un punto di vista biomeccanico, una postura corretta non si discosta molto da quella fisiologica. Assumendo una postura adeguata, l’operatore è in grado di reclutare in modo sinergico i gruppi muscolari per muovere adeguatamente le leve articolari, incrementando l’efficacia dello sforzo prodotto. In tali condizioni diminuisce la probabilità di insorgenza di traumi a carico del sistema muscolo-scheletrico.In linea di principio, durante la fase di movimentazione dell’oggetto, l’operatore deve adottare una postura confortevole e stabile e ridurre al minimo le azioni di rotazione e flessione del busto sui piani sagittale e laterale. In queste condizioni diminuiscono il valore della compressione intervertebrale, lo sforzo di taglio generato a livello dei vari segmenti articolari del rachide e l’impegno muscolare.Se si tiene presente che l’efficacia massima si ottiene quando la componente della forza viene esercitata in direzione orizzontale, è facile comprendere quanto la posizione della maniglia influenzi la postura dell’operatore e, in ultima analisi, la sua capacità di dosare la forza durante la fase di spinta. Una corretta postura prevede una posizione delle mani non troppo alta né troppo bassa e tale che queste, in fase di spinta o di traino, non siano troppo vicine tra loro. In particolare, nelle operazioni di spinta, la maniglia va collocata ad una altezza compresa tra quella dell’anca e quella del gomito; durante la trazione, l’altezza ottimale della maniglia è compresa tra quella dell’anca e quella del ginocchio. FREQUENZA, DURATA E DISTANZAPoiché la forza esercitata nella fase iniziale o al termine della movimentazione è maggiore della forza di mantenimento, è opportuno ridurre le occasioni di attivazione (o arresto) del movimento del carrello, diminuendo la frequenza delle azioni di traino e spinta; alla stessa maniera vanno evitati i percorsi curvi, che costringono l’operatore a continue applicazioni della forza iniziale atte a cambiare la direzione del sistema di trasporto.Dato che anche l’applicazione prolungata di forza può provocare affaticamento, dolore e traumi muscolo-scheletrici, dovrebbero essere ridotte quanto più possibile le distanze tra il punto di carico e il luogo di destinazione del trasporto. Nel caso in cui non sia possibile diminuire la distanza del tragitto, è necessario introdurre ausili meccanici.

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 CARATTERISTICHE DEL SISTEMA DI TRASPORTOLa manovrabilità del carrello costituisce un fattore di notevole importanza. In condizioni di scarsa manovrabilità, l’operatore è infatti costretto ad attivare uno sforzo muscolare maggiore per adempiere al compito che, in assenza di adeguati tempi di recupero fisiologici, potrebbe evolvere in una sintomatologia dolorosa o in una patologia da sovraccarico biomeccanico.   Nella procedura di ottimizzazione va considerata l’opportunità di dotare il carrello di ruote di dimensioni e materiali idonei alle caratteristiche dell’ambiente. Ciascuna ruota dovrebbe essere capace di supportare almeno 1/3 del peso del carico totale.La forma e le dimensioni del carrello devono essere tali da non ostacolare la visibilità dell’operatore, che andrebbe altrimenti incontro a rischi di infortunio. I freni possono essere necessari nel caso di carichi particolarmente pesanti, in particolar modo se trasportati su superfici inclinate.È necessario adottare un programma di manutenzione periodico, che preveda la pulizia e la lubrificazione delle ruote, in modo da mantenerne inalterato lo stato di efficienza. CONDIZIONI AMBIENTALIÈ importante che la pavimentazione sia priva di irregolarità, che le superfici non siano rese sdrucciolevoli dalla presenza di acqua o detriti e, infine, che i percorsi siano studiati per evitare la presenza di rampe e scalini. Dovranno poi essere garantite condizioni microclimatiche e di illuminazione idonee. CARATTERISTICHE INDIVIDUALILa valutazione dei rischi non può prescindere dalla conoscenza delle caratteristiche individuali dei lavoratori coinvolti nelle operazioni di traino e spinta. Fattori quali l’età, il sesso e lo stato di salute dell’operatore rivestono notevole importanza ai fini della quantificazione del rischio. Informazione, formazione e addestramento dovranno inoltre essere parte integrante dell’organizzazione delle attività; per mezzo di esse si rendono i lavoratori consapevoli circa le corrette modalità di esecuzione della movimentazione e sull’individuazione e segnalazione di eventuali situazioni di rischio. Sarà opportuno che vengano fornite informazioni sui seguenti aspetti:- modalità di carico delle merci sul carrello;

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- modalità di movimentazione del carrello;- tipologia e caratteristiche del sistema di trasporto e sua corretta manutenzione;- sviluppo del percorso da compiere (il più possibile breve e rettilineo, privo di rampe, gradini e altri ostacoli);- riduzione al minimo delle operazioni complementari comportanti ulteriore impegno biomeccanico. VALUTAZIONE DEL RISCHIOSeguendo un approccio multidisciplinare che tenga conto degli aspetti biomeccanici, fisiologici e psicofisici, la valutazione del rischio legato alle operazioni di traino e spinta deve considerare:1. l’impiego di forza in relazione alle caratteristiche e alle capacità del singolo lavoratore;2. il rischio legato alla compressione discale in relazione alla differente resistenza del rachide di lavoratori di età diversa;3. il dispendio energetico e l’affaticamento del lavoratore;4. la percezione del lavoratore relativamente al discomfort e all’impegno richiesto dallo svolgimento del compito. Come già detto, la Norma UNI ISO 11228-2 prevede due momenti di valutazione. Nel primo è previsto l’impiego di una check list e delle “tabelle psicofisiche”, con le quali si può valutare il livello di rischio del compito. La check list consente di individuare gli elementi del layout che più degli altri contribuiscono a elevare il livello del sovraccarico biomeccanico: su questi dovrà essere calibrato il processo di riprogettazione delle attività. La check list consta di tre parti: nelle prime due si descrive l’attività svolta, mentre con la terza si analizzano gli aspetti propri dell’attività (caratteristiche del compito lavorativo, caratteristiche del carico, ambiente di lavoro, capacità individuali, organizzazione del lavoro e altri fattori) per evidenziare le criticità e la necessità di proseguire ulteriormente nel processo di analisi. Sulla base dell’analisi condotta con la check list, si procede quindi alla valutazione generale dei rischi imputabili alle operazioni di traino e spinta svolte, secondo l’iter qui descritto:1. determinazione dell’altezza delle maniglie;2. misura della distanza da compiere nello svolgimento delle azioni di traino o di spinta;

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3. determinazione della frequenza di applicazione della forza (iniziale e di mantenimento);4. verifica della composizione della popolazione lavorativa (maschile/femminile). Se mista, verranno presi a riferimento i valori relativi alla popolazione femminile;5. misura della forza applicata (iniziale e di mantenimento) con un dinamometro. Con gli elementi raccolti ai punti da 1 a 4 si ricavano, dalle “tabelle psicofisiche”, i valori della forza iniziale e di mantenimento, per i quali il fattore di protezione riguarda il 90% della popolazione lavorativa considerata. Il confronto tra i valori di forza (sia iniziale che di mantenimento) misurati con un dinamometro e quelli estratti dalle “tabelle psicofisiche” permette di determinare l’indice di rischio (IR). Si possono presentare tre casi:- IR > 1: l’attività sarà classificata come rischiosa (zona rossa) e si dovrà procedere immediatamente a una sua riprogettazione;- IR<1 e nessuna evidenza di particolari situazioni di rischio rilevata con la check list: l’attività può essere classificata nella zona verde (rischio trascurabile);- i valori della forza misurata non superano quelli calcolati ma la check list evidenzia la presenza di particolari fattori di rischio: si dovrà procedere a un approfondimento dell’analisi attraverso l’impiego del Metodo 2. La riprogettazione del compito dovrà quindi avvenire privilegiando gli interventi correttivi relativi alle fasi a rischio evidenziate dal metodo (tanto dal calcolo quanto dalla check list); si procederà quindi a una nuova analisi per verificare l’efficacia degli interventi, approfondendo l’indagine, se necessario, con il Metodo 2 descritto nella norma UNI ISO 11228-2, la cui applicazione è riservata a valutatori esperti. Data l’estrema complessità di questo metodo, per la sua trattazione di rimanda ai contenuti della suddetta norma. Bibliografia- UNI ISO 11228-2:2009 “Ergonomia – Movimentazione manuale – Spinta e traino”.- Snook S.H. and Ciriello V.M. “The design of manual handling tasks: revised tables of maximum acceptable weights and forces”,Ergonomics 1991, vol. 34, no. 9, 1197-1213. INAIL - La norma UNI ISO 11228-2 - a cura di Contarp | Autori: Francesco Nappi, Diego Rughi (pdf)Fonte: puntosicuro.it

Reach, la Guida alla registrazione, versione 3.0.

ROMA – Registrazione sostanze chimiche. Pubblicata sul portale Reach Gov la

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Guida alla registrazione –versione 3.0 rilasciata da Echa. Totalmente in italiano, riporta le informazioni necessarie per la registrazione ai sensi del Regolamento Reach, descrizioni degli obblighi, consigli, esempi.

Info: Reach Gov, Guida alla registrazione – versione 3.0 Fonte: quotidianosicurezza.it

Online procedura per comunicazione delocalizzazione call center, la guida.

ROMA – Delocalizzazione call center in Paesi extra UE. Con nota del 28 marzo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro comunica che è online la procedura telematica prevista dall’obbligo di comunicazione introdotto dalla Legge n.232/2016 (Legge di Bilancio 2017).Come indicato dalla nota operativa diffusa dall’Inl lo scorso 1 marzo, a partire dal 28 marzo quella online sarà l’unica procedura utilizzabile e non sarà quindi possibile utilizzare l’indirizzo [email protected] procedura è disponibile a questo indirizzo e potrà essere avviata soltanto dopo registrazione al portale istituzionale   ClicLavoro .A supporto degli utenti è stata rilasciata la guida: Comunicazione Preventiva Delocalizzazione Call Center in uno Stato Extra-UE Guida alla compilazione modello UNI_Deloc_Call_Center. Chiarimenti possono essere richiesti all’indirizzo [email protected].

Info: Call center, online la procedura telematica   Fonte: quotidianosicurezza.it