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1 - Il forum di bioetica vuole suscitare un interesse culturale sui principi fondanti della bioetica e aprire il dibattito sui dilemmi etici dell’epoca moderna INDICE: Principi e Dilemmi di bioetica L’infelicità umana. Paolo Rossi L’infelicità nascosta nel conformismo. L'Automa che è in noi. Euristica, l’euristica del conformismo. La decrescita non può mai essere felice. I mali dell’anima: cosa è l’anima? la vera salute, coscienza di sé stessi, lotta interiore Uno sguardo sul mondo, Gesù è la nostra pace, come essere luce e sale del mondo La vera gioia dell’anima è un bene cristiano Solo la riscoperta della rivoluzione cristiana potrà salvare l’occidente FORUM di BIOETICA NEWSLETTER n. 146 M ARZO – 2017

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Page 1: newsletter 146 marzo 2017 l'infelicità2017/02/08  · diventa un automa, identico a milioni di altri automi che la circondano, non deve più sentirsi sola e ansiosa. Ma il prezzo

 

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- Il forum di bioetica vuole suscitare un interesse culturale sui principi fondanti della bioetica e aprire il dibattito sui dilemmi etici dell’epoca moderna INDICE: Principi e Dilemmi di bioetica L’infelicità  umana.    Paolo  Rossi  L ’infelicità  nascosta  nel   conformismo.  L'Automa  che  è   in  noi.  Euristica,  l ’euristica  del  conformismo.  La  decrescita  non  può  mai  essere  felice.    

I  mali  dell ’anima:    cosa  è   l ’anima?  la  vera  salute,  coscienza  di  sé  stessi ,  lotta  interiore  

Uno  sguardo  sul  mondo,  Gesù  è   la  nostra  pace,  come  essere  luce  e  sale  del  mondo    La  vera  gioia  dell ’anima  è  un  bene  cristiano  Solo  la  riscoperta  della  rivoluzione  cristiana  potrà  salvare  l ’occidente    

 

                       

 

FORUM  di  BIOETICA  

   NEWSLETTER  n.  146  

MARZO  –  2017        

 

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L’infelicità  umana    

di  Paolo  Rossi  

Cosa è l’infelicità? I suoi numerosi sinonimi 1 in realtà portano accezioni differenziate con proprie caratteristiche. Nelle sue multiforme caratteristiche, l’infelicità è essenzialmente una malattia dell’anima.

L’infelicità  nascosta  nel  conformismo  

Il politicamente corretto è una forma di “conformismo linguistico”, una sorta di pensiero unico che limita la libertà d'espressione oltreché una forma di ipocrisia istituzionale, che si limita a cambiare la "forma", cioè le parole, senza intervenire sostanzialmente sul problema. Designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Secondo tale orientamento, le opinioni che si esprimono devono apparire esenti, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona. L’attenzione a tali tematiche ebbe origine negli Stati Uniti d’America, da dove si diffuse nel resto del mondo occidentale. Nata negli ambienti della sinistra negli anni Trenta del Novecento, amplificata dai moti sessantottini e adottata dagli orientamenti liberali e radicali, essa assunse dimensioni significative sul finire degli anni Ottanta, quando diventò una corrente d’opinione basata sul riconoscimento dei diritti delle culture e mirante a sradicare dalle consuetudini linguistiche usi ritenuti offensivi nei confronti di qualsiasi minoranza (fu allora, ad es., che Afro-american sostituì black, nigger e negro per designare i neri d’America). In Italia il politicamente corretto, pur non avendo raggiunto il livello della obbligatorietà regolamentare, ha nondimeno causato un generale mutamento di sensibilità linguistica e contribuito a codificare stili collettivi di comportamento linguistico, sfumando in alcuni casi anche nell’interdizione. A evitare moduli offensivi o sgradevoli si arriva infatti attraverso diverse strategie verbali, alcune tradizionali, come gli slittamenti attenuativi mediante varie figure retoriche (meccanismi a cui spesso ricorre appunto l’eufemismo); altre apparentemente più innovative, come l’abuso di linguaggio tecnico e l’impiego eufemistico dell’inglese. Nel campo medico-sanitario si tende ad attenuare la connotazione legata alla sofferenza utilizzando vocaboli come assistito piuttosto che paziente, e a bandire termini che alludono direttamente a menomazioni, mediante litoti (come non deambulante per para- o tetraplegico, non udente per sordo, non vedente per cieco) o locuzioni attenuative (come portatore di handicap, in luogo dei più connotati handicappato, minorato, invalido; o come l’anglicismo disabile, e recentemente diversabile, ottenuto dalla locuzione diversamente

                                                                                                                         1 infelicità o tristezza, malinconia, scontentezza, scontento, malcontento, sfortuna, dolore, dispiacere, abbattimento, sconforto, pena, disperazione, depressione, afflizione sventura, miseria, disgrazia, sciagura, calamità, handicap

 

Principi  e  Dilemmi  di  Bioetica  

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abile)2. Simili designazioni suscitano però spesso riserve e rifiuti da parte dei diretti interessati, che le percepiscono come segni di una ipocrisia linguistica dietro la quale si cela, piuttosto, il disinteresse degli enti di tutela. Tali espressioni vengono inoltre ritenute ancora più discriminanti perché di norma adottate senza che le categorie stesse siano interpellate Anche sul medico Silvana De Mari pende l’accusa di omofobia e gli strali, recapitati ora sulla scrivania del presidente dell’Ordine dei medici, provengono da “Gay Lex” una rete di “legali e attivisti per la tutela dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisex e trans”.3 Ma che cosa ne pensa la dottoressa-scrittrice? «Che facciano, ma sappiano che l’Ordine dei medici è un’istituzione seria. Voglio vederli a cercare di dimostrare ciò che è indimostrabile. Non ho fatto altro che dare delle spiegazioni medico-cliniche al fenomeno dell’omosessualità, anche se si dovrebbe parlare di omoerotismo. Perché la sessualità è un modo della biologia per creare la generazione successiva mediante l’incontro di maschile e femminile. Dove non c’è incontro, non c’è sessualità. Ma evidentemente ormai tutti vuotiamo il cervello all’ammasso. Però è bene che di certe cose parlino i medici, così tanto per delineare i contorni della questione. Allora, sul libro di anatomia che ho studiato (6000 pagine!) c’erano gli apparati riproduttivi. Ed erano due: quello maschile e quello femminile. La cavità anale non c’entra col sesso, infatti fa parte dell’apparato digerente. Vede, l’ano ha una mucosa sottilissima, Madre natura non l’ha pensato per tollerare la violenza della penetrazione, la vagina invece è fatta apposta: ha una mucosa strato-multiplo, delle ghiandole per la lubrificazione, una catena di vasi linfatici per proteggerla. La mucosa dell’ano invece è fragile, non è creata per proteggere dalle aggressioni esterne perché non sono previste. In più lo sfintere anale è fatto per divaricarsi poco e soprattutto per viaggi dall’interno all’esterno e non il contrario. Bisognerà pur spiegare da qualche parte perché l’omosessualità è contro natura. Ecco. Questa è la spiegazione medico-scientifica. Adesso, che vadano a dimostrare il contrario sul bancone dell’ordine se ne sono capaci. Queste persone hanno mai fatto una rettoscopia? Non considerano la tragedia delle malattie infettive? Scandisco: tragedia! Oggi pretendiamo di prescindere dal dato di natura. Ma la natura funziona così e non basta un preservativo, che si può rompere, che si può non mettere, che si può dimenticare, a risolvere il problema. L’ano si lesiona con la penetrazione, perché non è corazzato e così diventa una porta aperta a virus, batteri e funghi: per tutti gli agenti patogeni che colpiscono gli omoerotici. Lo sanno o no? Lo faccio per una questione di libertà e perché non sopporto l’idea che questi attivisti spargano menzogne sull’omoerotismo nelle scuole dove vengono invitati. A quale titolo lo fanno? Sono stati eletti? Io dico solo che si sbagliano di grosso. Se è vero che l’omosessualità vale come la sessualità allora vuol dire che lo sperma che cade in mezzo alle feci ha lo stesso valore di quello che cade dove genera vita. Signori, bando alle pruderie, vogliamo dirlo o no? Perché se quello che sostengono è vero allora le chiese vanno chiuse e Gesù, San Paolo e Mosè devono essere arrestati. Ma le cose non stanno così. La verità in tutta questa faccenda è che il movimento Lgbt ha deciso che il cristianesimo va annientato. E io non ci sto. E uso le mie competenze per impedirlo.» L'Automa  che  è  in  noi  Erich Fromm 4 ha descritto l'uomo moderno come un individuo con due volti: da un lato indipendente, autosufficiente e critico, dall'altro isolato e impaurito. Il sentimento di isolamento e impotenza è spaventoso e le persone normali lo stemperano nella routine

                                                                                                                         2 Aprile Marcello, Dalle parole ai dizionari, Bologna, il Mulino. (2005) 3 La De Mari Ha detto che l’omosessualità è una condizione contro natura, anche sotto il profilo fisiologico, che può comunque trovare un rimedio nella castità. Il concetto di “omofobia” non è giuridicamente definito né dal codice penale, né dal codice civile, né tantomeno da alcuna legge speciale. Oggi esso viene ideologicamente utilizzato come mordacchia alla libertà di pensiero e alla libertà religiosa. È per questo che iniziative come quella di “Gay Lex” contro la dottoressa De Mari rappresentano il sintomo della pericolosa deriva totalitaria che sta sempre più montando nel nostro Paese. La dittatura del pensiero unico utilizza i suoi aguzzini per imbavagliare la libertà di opinione”. di Andrea Zambrano La Nuova Bussola quotidiana, 12-01-2017. 4 Erich S. Fromm (Francoforte sul Meno, 1900 – Locarno, 1980) psicoanalista e sociologo tedesco. «Fuga dalla libertà», Milano, Edizioni di Comunità, 1963.

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quotidiana, nel successo economico, nelle distrazioni mondane mentre i cosiddetti nevrotici lo trascendono nell'arte, nella scrittura, nella musica. Dovendo affrontare da solo Dio (o il Mercato) l'uomo cerca la salvezza in una nuova sottomissione. Le principali vie di fuga sono due: o la sottomissione a un capo un "protettore  magico", (pag. 150-151) come è avvenuto nei fascismi (passati e presenti), o un conformismo  ossessivo, come avviene nelle democrazie (più o meno mature). I meccanismi di fuga dalla libertà possono essere patologici e allora provocano gravi stati schizofrenici o psicotici ma, nella maggior parte dei casi, si verificano in persone normali. «Questo meccanismo è la soluzione che la maggioranza degli individui normali trova nella società moderna. Per dirla in breve, l'individuo cessa di essere se stesso; adotta in tutto e per tutto il tipo di personalità che gli viene offerto dai modelli culturali; e perciò diventa esattamente come tutti gli altri, e come questi pretendono che egli sia. [...] La persona che rinuncia al suo io individuale, e che diventa un automa, identico a milioni di altri automi che la circondano, non deve più sentirsi sola e ansiosa. Ma il prezzo che paga è alto; è la perdita del suo io.» (p.160) Il filosofo Carlo Sini introduce una profonda riflessione: «L’azione dell'automa è duplice. Da un lato mostra l'angoscia   originaria   del   soggetto   umano, in quanto soggetto attivo "della" cultura e cioè "del lavoro". Angoscia perché il lavoro è la risposta, mai definitiva e sempre precaria, al sapere della morte: il sapere retroflesso dalle protesi della voce, della mano, ecc. Quel sapere di fantasmi che non può trovare soluzioni, sino a che continua a "credere" ai fantasmi e vi si modella come sapere. L'essere umano, sino ad oggi, è tale perché ha visto la morte e ciò lo induce a ogni possibile "macchinazione" per stornarla, combatterla, cancellarla (compresa la tentazione simbolica, come diceva Freud, di liberarsene dandola ad "altri"). Tutta la storia umana, tutta la "cultura", è così la storia di una successione di automi che mirano, in un modo o in un altro, alla produzione e riproduzione di "vita eterna", compresa l'ipotesi di una accettazione finale della morte e del nulla, come abito di saggezza e come uscita dall'angoscia». 5

Euristica  

Il metodo o procedimento euristico è un approccio alla soluzione dei problemi che non segue un chiaro percorso logico, ma che si affida all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze, al fine di generare rapidamente nuova conoscenza. La sopravvivenza dell'Homo Sapiens fu dovuta alle decisioni euristiche e alle conseguenti azioni immediate. In situazioni critiche, se l'uomo si fosse fermato a calcolare in quanto tempo con un balzo il leone l'avrebbe raggiunto, si sarebbe già estinto da millenni. Le euristiche sono state utili per la sopravvivenza dell'uomo; infatti, negli ambienti pericolosi dove l'homo sapiens ha maturato la trasformazione da preda in predatore, e dove il cervello si è evoluto, le decisioni dovevano essere rapide ed efficaci. In molte situazioni non ci si poteva permettere il lusso di fermarsi a pensare alle strategie migliori per raggiungere un certo scopo, bisognava agire, prendendo decisioni euristiche. Anche se le euristiche non servono più a sopravvivere nel mondo odierno, tuttavia esse continuano ad agire, visceralmente, nei comportamenti umani con una funzione che chiamiamo “intuizione”. Come ognuno di noi sa, le decisioni importanti nella vita di una persona non vengono prese con la logica ma con l'intuizione, e si rivelano corrette la maggior parte delle volte (ma non sempre, e più sotto descriviamo gli errori sistematici più frequenti). L’euristica   del   conformismo  si può riassumere nella formula "non rompere le righe". Questa euristica è diffusissima nel comportamento umano e può avere gravi conseguenze.6 Un esempio storico ricorda il Battaglione 101 dei riservisti della polizia tedesca che parteciparono allo sterminio degli ebrei in Polonia nel 1942. Il battaglione aveva ricevuto l'ordine di rastrellare gli ebrei. I maschi abili al lavoro dovevano essere separati dagli altri e portati in un campo apposito. Gli ebrei restanti – donne, bambini e vecchi – dovevano essere fucilati sul posto. Dopo aver spiegato che cosa li aspettava, il comandante Trapp fece agli uomini un'insolita proposta: se qualcuno fra i

                                                                                                                         5 Carlo Sini, "L'uomo, la macchina e l'automa", Bollati Boringhieri, Bologna, 1933, filosofo e docente di Filosofia teoretica 6 Christopher Browning, Uomini comuni. Polizia tedesca e «soluzione finale» in Polonia. 1992 Einaudi.

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poliziotti più anziani non si sentiva all'altezza del compito affidatogli, poteva fare un “passo avanti". Su cinquecento persone che componevano il battaglione solo una dozzina fece un passo avanti, deponendo i fucili e mettendosi a disposizione per un altro incarico. Come mai solo dodici persone su cinquecento fecero un passo avanti? L'ipotesi che ha trovato maggiori consensi tra gli psicologi è quella che Browning descrive così: «Uscire dai ranghi e fare un passo avanti, cioè adottare apertamente un comportamento non conformista, era al di là della portata di molti uomini. Per loro era più facile uccidere. Perché? Fare un passo avanti significava lasciare il «lavoro sporco» ai compagni.» Ci troviamo dunque di fronte a una conclusione inaspettata: la maggior parte degli esseri umani non riesce a sottrarsi al conformismo del gruppo cui appartiene, anche se questo lo porta a commettere degli atti mostruosi. Quando il singolo individuo percepisce una certa opinione nella maggioranza del gruppo al quale in quel momento appartiene, si conforma ad essa rinunciando alla propria responsabilità. Questa conclusione naturalmente è valida anche per circostanze meno drammatiche. Ad esempio, molte persone tendono ad accettare, senza effettuare verifiche, informazioni propagandistiche di nessun valore o addirittura palesemente contraddittorie, se percepiscono che la maggioranza le condivide.

La  decrescita  non  può  mai  essere  felice    

Il tema della decrescita felice,7 ennesimo sproloquio da salotto sulla povertà, è spuntato a sinistra (ambito ecologista rossoverde) ed è passato nei circoli grillini. Una civiltà che ha 2500 anni di storia avrebbe nella crescita del Pil la sua identità? In realtà lo stesso concetto di Prodotto interno lordo andrebbe totalmente rivisto. Fu Robert Kennedy in un celebre discorso tenuto il 18 marzo 1968 - tre mesi prima di essere ucciso - a demolire l’idea di misurare un Paese con il PIL 8, che di per sé cresce pure col terremoto o costruendo bombe atomiche: «Il PIL - disse Kennedy - non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori famigliari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani». Insomma la crescita del PIL non significa crescita della felicità. Del resto nemmeno la sua decrescita fa diventare felici: «I soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria».9 C’è stato un tempo in cui il nostro popolo era più povero, ma aveva più gusto della vita, era più umano. E aveva ragione Pasolini ricordando con nostalgia un popolo contadino e cattolico che cantava e sorrideva alla vita. Del resto anche oggi le cronache ci parlano di miliardari infelici che muoiono da disperati e di persone che vivono modestamente (e perfino nella malattia), ma si sentono felici. La felicità dunque non dipende dalla crescita o dalla decrescita del PIL, ma dal senso che si dà alla vita, dalla forza morale, dalla spiritualità che si vive. Se oggi siamo meno felici di quando eravamo più poveri è perché la valanga del nichilismo, negli ultimi 50 anni, ha

                                                                                                                         7La decrescita felice è una corrente di pensiero politico, economico e sociale favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l'obiettivo di stabilire relazioni di equilibrio ecologico fra l'uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi. La decrescita l’abbiamo avuta davvero in questi anni e gli italiani hanno verificato che non è per nulla felice. 8 Il PIL (o prodotto interno lordo) misura il valore di mercato di tutte le merci finite e di tutti i servizi prodotti nei confini di una nazione in un dato periodo di tempo. La nozione di prodotto è riferita quindi ai beni e servizi che hanno una valorizzazione in un processo di scambio. 9 In una delle sue Lettere inglesi, quella dedicata ai presbiteriani, Voltaire il grande illuminista invitava i lettori a entrare in un luogo che molti considerano oggi la madre di tutte le nequizie: “Entrate nella Borsa di Londra, questo luogo più rispettabile di tante corti: vi vedrete riuniti i deputati di tutte le nazioni per l’utilità degli uomini. Là il giudeo, il maomettano e il cristiano trattano l’uno con l’altro come se fossero della medesima religione, e non danno l’appellativo di infedeli se non a coloro che fanno bancarotta; là il presbiteriano si fida dell’anabattista e l’anglicano accetta la cambiale del quacquero. Uscendo da queste pacifiche e libere assemblee, gli uni si recano in sinagoga, gli altri vanno a bere; l’uno va a farsi battezzare in una grande tinozza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, l’altro fa tagliare il prepuzio a suo figlio e borbottare sul bambino parole ebraiche che non capisce; altri vanno nella loro chiesa, col cappello in testa, ad aspettare l’ispirazione divina; e tutti sono contenti”

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fatto il deserto. È «la dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» (Benedetto XVI). È questo il disastro (prodotto dalle ideologie. Ed è ciò che non si vuol vedere.

I  mali  dell’anima  

«Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.»10 L’indagine anamnestica 11 approfondita di tante persone che sono venute alla mia osservazione in genere per disturbi riferiti al cuore, rivelava, durante la visita, la presenza di turbamenti ed apprensioni, come stati di ansia, panico e paure più o meno giustificate oltre a malattie pregresse o in corso che turbavano e impedivano il sereno trascorrere della loro vita. 12 Per avere un quadro il più completo possibile cercavo la causa primaria, ovvero da dove fosse iniziata la malattia con tutta quella sequela di disturbi che affliggono e fanno soffrire, minando la salute fisica, psichica, e a volte (direi quasi sempre) anche spirituale della persona malata. Le  malattie   del   corpo. Le sofferenze che colpiscono il corpo, riguardano sempre la persona nella sua interezza, di corpo, spirito, e anima. Non è possibile trattarne una senza interferire sulle altre, nemmeno trattarle separatamente. Come neppure trattare solo le malattie fisiche perché le malattie fisiche sono spesso la manifestazione di disfunzioni o patologie dell’anima. Le malattie colpiscono la persona nella sua totalità di corpo, spirito ed anima e, della persona umana, l’anima è l’essenza più importante. È l’anima che caratterizza una persona umana, che la rende un essere vivente: «allora DIO plasmò con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.» (Gen. 2,7) e l’espressione dell’anima è il suo spirito. Una consapevolezza che si ritrova in tutte le tradizioni culturali dell’umanità, anche se espressa con modalità diverse. La salute del corpo dipende in buona parte dalla salute dell’anima e dello spirito «se vuoi la salute del corpo, cura l’anima.» 13 Tutte le malattie del corpo riguardano sempre l’anima di una persona, mentre le malattie dell’anima possono esistere senza malattie del corpo.

Cosa  è  l’Anima?  

                                                                                                                         10 Speranza della gloria futura: «Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.» (Rom. 8, 18-25) 11 L'anamnesi, in medicina, è la raccolta dalla voce diretta del paziente di tutte quelle informazioni, notizie e sensazioni che possono aiutare il medico a indirizzarsi verso una diagnosi di una certa patologia 12 L'anamnesi nella filosofia platonica è quel processo di reminiscenza che, stimolato dalla percezione degli oggetti sensibili, conduce l'uomo a riscoprire gradualmente nel proprio intelletto (attraverso la conoscenza intellettiva) quelle idee eterne che sono causa e origine del mondo fenomenico. La conoscenza sensibile, distinta dalla conoscenza intellettiva, può dunque offrire a quest'ultima lo spunto per avviare un tale processo. La reminiscenza o anamnesi è dunque un risveglio della memoria, il ridestarsi di un sapere già presente nella nostra anima, ma che era stato dimenticato al momento della nascita ed era perciò inconscio. Per Platone e i neoplatonici, conoscere significa dunque ricordare. La conoscenza non deriva dall'esperienza, sebbene questa svolga un ruolo importante e ineliminabile nel farsi "nunzio" dell'intelligibile: il ricordo avviene in forma immediata e intuitiva, per lampi improvvisi. Platone descrive il concetto di anamnesi soprattutto nel Menone, nel Fedro ed in altri dialoghi 13 Ippocrate di Coo 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C.) è stato un medico, geografo e aforista greco antico, considerato il padre della medicina. Egli rivoluzionò il concetto di medicina, tradizionalmente associata con la teurgia e la filosofia, stabilendo la medicina come professione. In particolare, ebbe il merito di far avanzare lo studio sistematico della medicina clinica, riassumendo le conoscenze mediche delle scuole precedenti, e di descrivere le pratiche per i medici attraverso il Corpus Hippocraticum e altre opere.

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L’anima è il mistero per il quale un essere è vivente: «allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente.» (Gen 2, 7) Dottrina  cristiana  riguardante  l’anima  umana  in  un  contesto  escatologico: «La Chiesa afferma la sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, di un elemento spirituale, il quale è dotato di coscienza e di volontà, in modo tale che l’io umano sussista, pur mancando nel frattempo del complemento del proprio corpo. Per designare un tale elemento, la Chiesa adopera la parola “anima”, consacrata dall’uso della Sacra Scrittura e della Tradizione. Senza ignorare che questo termine assume nella Bibbia diversi significati, essa ritiene tuttavia che non esista alcuna ragione per respingerlo, e considera, inoltre, che è assolutamente indispensabile uno strumento verbale per sostenere la fede dei cristiani» (CDF, Alcune questioni di escatologia, 17.5.1979, EV 6, 1539).

La  vera  salute. La guarigione è spirituale prima che fisica. Riguarda la guarigione della propria anima. Non perde importanza la salute del corpo, ma la fonte della salute è in una dimensione diversa, quella spirituale, dell’anima. Perché la guarigione non riguarda solo i “malati” nel corpo; Gesù ha detto:«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori». (Mc 2, 17) La salute non è solo limitata al benessere fisico, del corpo. Si tratta di conoscere e tener conto della persona nella sua interezza. Coscienza  di  sé  stessi. C’è una conoscenza che è della nostra finitudine e relatività. Non siamo autosufficienti, non ci siamo auto-creati. Una conoscenza cioè coscienza di sé che rende “sapiente una persona”. Senza la Sapienza 14 che vede, che legge nella realtà il senso della vita, che ciascuno di noi ha, e nella Creazione un messaggio che è manifestazione della Gloria di Colui che ha fatto tutte le cose, perdiamo la capacità di vivere la vita come dono meraviglioso di cui ringraziare sempre. Altrimenti la vita resta senza significato. «Nel libro della Sapienza, l’Autore rivolgendosi ai re, insegna che l'empietà è estranea alla Sapienza e porta a punizione e morte. Lo stato d'animo degli empi è contrario al destino immortale dell'uomo; la loro vita presente è solo in apparenza più felice di quella dei giusti; e il loro destino finale è una prova indiscutibile della follia del loro corso. In concordanza con il Libro di Giobbe, l'Autore nega l'idea che la morte prematura e la sofferenza terrena siano causate da una colpa personale o una maledizione divina, ma afferma piuttosto che il vero destino del giusto è conosciuto solo a Dio. Quindi l'autore tratta la Sapienza nella storia. Egli loda la sapienza di Dio per i suoi rapporti con i patriarchi da Adamo a Mosè; il comportamento giusto e misericordioso di Dio verso le civiltà idolatriche d'Egitto e Canaan; la stupidità assoluta e conseguente immoralità dell'idolatria sotto le sue varie forme; infine loda Dio per la protezione di Israele durante le piaghe d'Egitto, e la traversata del Mar Rosso; una protezione che è stata estesa a tutti i tempi e luoghi.» Nessuno nasce già cresciuto, come nessuno è sano cioè giusto e santo di per sé stesso. «se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono.» (Mt 7,11) È importante sapere se la persona ha un orientamento per la sua vita, e quale: verso le cose materiali o spirituali? Quanto verso le une o le altre? Quindi io devo tener conto sia della volontà di guarigione cosciente ma anche e soprattutto di quella inconscia. (e non è detto che una persona voglia sempre guarire) 15. Lotta  interiore  Quanta è la capacità di perdono (verso sé stessa e verso le altre persone)?

                                                                                                                         14 Il Libro della Sapienza o Sapienza di Salomone è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata) ma non accolto nella Bibbia ebraica (Tanakh). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, 15 Ricordo di un uomo, molto buono e fedele cristiano, gli avevo ordinato di eseguire una TAC del torace per una tosse molto fastidiosa. Non si fece vivo per un anno pur avendo ricevuto un referto di cancro polmonare iniziale. Dopo un anno il chirurgo aprì il torace, ma era troppo tardi per ogni terapia. Aveva scelto di morire con grandissime sofferenze sopportate santamente per sottrarsi ad una vita coniugale fallimentare. Possiamo vederla come la morte cristiana che si contrappone alla eutanasia che è la morte ricercata senza Dio.

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Quanto è capace di riconoscere e di pentirsi di inevitabili errori commessi e quindi di correggersi. (o pensa sempre che la ragione e il giusto giudizio stanno dalla sua parte oppure all’opposto, che lui è sempre e comunque l’unico colpevole per tutto) In qualsiasi uomo — scrive san Tommaso d'Aquino — esiste qualche aspetto per il quale gli altri possono considerarlo come superiore a loro, come dice l'Apostolo: «Mossi dall'umiltà, considerate gli altri superiori a voi» (Fil 2, 3). D'accordo con questo, tutti gli uomini devono rendersi reciprocamente onore (S. Th., II-II, q. 103, a. 2-3).

Con la virtù dell'umiltà scopriamo che le manifestazioni di rispetto alla persona — al suo onore, alla sua buona fede, alla sua intimità — non sono formalità convenzionali, ma le prime manifestazioni della carità e della giustizia. La carità cristiana non si limita a dare un soccorso economico ai bisognosi, ma si impegna anzitutto a rispettare e a comprendere ogni persona come tale, nella sua intrinseca dignità di uomo e di figlio del Creatore. Pertanto gli attentati alla dignità della persona, alla sua reputazione, al suo onore, stanno a dimostrare che chi li commette non conosce o non pratica alcune verità della nostra fede cristiana. E soprattutto, che non ha un vero amore di Dio. La carità con cui amiamo Dio e quella con cui amiamo il prossimo sono una sola virtù, perché la ragione di amare il prossimo è appunto Dio, e quando amiamo il prossimo con carità amiamo Dio (san Tommaso D’Aquino, S. Th., II-II, q. 103, a. 2-3). Conseguenze precise che possiamo trarne alla presenza del Signore. Anzitutto, il proposito di non giudicare gli altri, di non offendere nemmeno con il dubbio, di annegare il male nella sovrabbondanza del bene, diffondendo intorno a noi la convivenza leale, la giustizia e la pace. E poi la decisione di: «non rattristarci mai se la nostra condotta retta è capita male da altri; se il bene che cerchiamo di realizzare con l'aiuto continuo del Signore è interpretato in modo distorto; se qualcuno, con un ingiusto processo alle intenzioni, ci attribuisce propositi malvagi, procedimenti dolosi e simulazione. Perdoniamo sempre, col sorriso sulle labbra. Parliamo chiaramente e senza rancore, se in coscienza riteniamo di dover parlare. E lasciamo tutto nelle mani di Dio nostro Padre, con un silenzio divino — Iesus autem tacebat (Mt 26, 63), Gesù rimaneva in silenzio — se si tratta di offese personali, per brutali e indecorose che siano. Preoccupiamoci solo di fare opere buone: sarà Lui a farle risplendere davanti agli uomini (Mt 5, 16) ».16

Uno  sguardo  sul  mondo  

C'è forse pace sulla terra? No, non c'è. Vi è una pace apparente, l'equilibrio della paura, dei compromessi precari. Non c'è pace nemmeno nella Chiesa, così scossa da tensioni che lacerano la bianca tunica della Sposa di Cristo. Non c'è pace in tanti cuori che tentano invano di compensare l'inquietudine dell'anima con un'attività incessante, con la minuscola soddisfazione di beni che non saziano, perché lasciano dietro di sé il   sapore   amaro   della  tristezza.  Ognuno ha esperienza di giornate tristi, nella quali non riesco a superare una certa pesantezza interiore che inquina ogni stato d’animo e intralcia le relazioni.17

                                                                                                                         16  Josemarìa  Escrivà:  È  Gesù  che  passa:  «Il  rispetto  cristiano  per  la  persona  e  per  la  sua  libertà»  Punto  72  17 San Tommaso d’Aquino propone cinque efficaci rimedi contro la tristezza. Il primo rimedio è un qualsiasi piacere (cioccolato, una birra; sappiamo che il Signore ha partecipato con piacere a pranzi e banchetti, prima e dopo la risurrezione e ha apprezzato tante cose belle della vita.) Il secondo rimedio è il pianto, un linguaggio, un modo di esprimere e di sciogliere il nodo di un dolore che a volte risulta soffocante. Anche Gesù ha pianto. Il terzo rimedio è la compassione degli amici. quando ci si sente un po’ giù e si tende a vedere tutto grigio, è molto efficace fare un gesto di apertura nei confronti di qualche amico o conoscente. A volte basta un messaggio, una breve telefonata anche solo per raccontare o ascoltare un amico e il panorama si rischiara. Il quarto rimedio contro la tristezza è la contemplazione della verità, del fulgor veritatis di cui parla sant’Agostino. Contemplare lo splendore delle cose, la natura, un’opera d’arte, ascoltare musica, sorprendersi per la bellezza di un paesaggio può essere un efficacissimo balsamo contro la tristezza. Il quinto rimedio proposto da san Tommaso è quello che forse meno ci si aspetterebbe da un maestro medioevale. Il teologo afferma infatti che un ottimo rimedio contro  la tristezza è dormire e fare un bagno. Ma l’efficacia del consiglio è evidente. È profondamente cristiano intendere che per rimediare un male spirituale sia utile un sollievo corporale. Da quando Dio si è fatto Uomo, e ha assunto cioè un corpo, in tutto il mondo materiale è stata superata la separazione tra materia e spirito.

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Le palme — scrive Sant'Agostino — sono segno di trionfo, perché indicano la vittoria. Il Signore avrebbe vinto morendo sulla Croce. «Nel segno della Croce avrebbe trionfato sul diavolo, principe della morte» (In Ioannis Evangelium tractatus, 51, 2 [PL 35, 1764]). Gesù  è  la  nostra  pace    perché Egli ha vinto. Ha vinto perché ha combattuto la dura battaglia contro tutto il cumulo di malizia dei cuori umani. Cristo, nostra pace, è anche Via (Gv 14, 6). Se vogliamo la pace, dobbiamo seguire i suoi passi. La pace è la conseguenza della guerra, della lotta. Lotta   ascetica, intima, che ogni cristiano è tenuto a sostenere contro tutto ciò che nella sua vita non viene da Dio: «la superbia, la sensualità, l'egoismo, la superficialità, la meschinità del cuore.» È inutile reclamare la serenità esteriore quando manca la tranquillità nella coscienza, nell'intimo   dell'anima, perché dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie (Mt 15, 19).18 Come  essere  luce  e  sale  del  mondo  Ma questo linguaggio non suonerà antiquato? Non è stato forse sostituito da parole d'occasione, da cedimenti personali rivestiti di orpelli falsamente scientifici? Non vige ormai un tacito accordo secondo cui i veri beni sono il denaro che compra tutto, il potere temporale, la furbizia di rimanere sempre sulla cresta dell'onda, la sapienza umana che si autodefinisce adulta e ritiene di aver superato il sacro? La fede mi dice che la vittoria di Cristo è definitiva e che Egli ci ha dato, a garanzia della sua conquista, un comando che per noi è un impegno: “lottare”. Noi cristiani siamo vincolati da un impegno  d'amore  liberamente  accettato quando abbiamo accolto la chiamata della grazia divina; siamo vincolati da un obbligo che ci spinge a lottare tenacemente, perché sappiamo bene di essere fragili, al pari degli altri uomini. Ma sappiamo anche che, adoperando i mezzi, saremo il sale 19, la luce 20 , il lievito del mondo 21: saremo la consolazione di Dio. La nostra volontà di perseverare con fermezza in questo proposito d'amore è inoltre un dovere di giustizia. Il modo pratico di corrispondere a questa esigenza, comune a tutti i fedeli, è una battaglia incessante. La tradizione della Chiesa ha sempre considerato i cristiani come milites Christi, soldati di Cristo. Soldati che portano agli altri la serenità mentre combattono costantemente le proprie cattive inclinazioni. Sovente, per scarso senso soprannaturale, per mancanza di fede pratica, non si vuol capire nulla della vita presente concepita come milizia. Si insinua maliziosamente che, considerandoci milites Christi, corriamo il pericolo di servirci della fede per fini temporali di sopraffazione e di

                                                                                                                         18 Josemarìa Escrivà: È Gesù che passa: «Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà» Punto n. 73 Edizione Ares, Milano 19 Dicendo: “siete il sale della terra”, Gesù ci spiega che tutta la natura umana corrotta dal peccato è diventata insipida, ma per mezzo del nostro ministero di testimonianza, la grazia dello Spirito Santo rigenererà e conserverà il mondo. Per questo il Redentore ci insegna le virtù delle Beatitudini, quelle che sono le più necessarie, le più efficaci per noi che vogliamo assomigliare a Lui. Chi è mite, umile, misericordioso, giusto, non rinchiude in se stesso le buone opere che ha compiute, ma ha cura che queste sorgenti zampillino anche per il bene degli altri. Chi ha il cuore puro, chi è operatore di pace, chi soffre la persecuzione per la verità, ecco la persona che consacra la vita al bene di tutti. Se ci sciogliamo come il sale diamo sapore alla vita del mondo, costruiamo una cultura della vita ed una civiltà dell’amore. 20 Dicendo: “siete luce del mondo”, Cristo ci insegna che, uniti a Lui, noi possiamo diffondere in mezzo alle tenebre dell’indifferenza e dell’egoismo la luce dell’amore di Dio, vera sapienza che dona significato all’esistenza e all’agire degli uomini, A questo insegnamento sul fatto che siamo luce Gesù aggiunge subito queste parole: “Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 15 – 16). 21 Nell'Antico Testamento il lievito di solito simboleggia il peccato che "fermentando" contamina la massa umana; qui, nella parabola del lievito, invece, esso simboleggia l'annuncio evangelico e lo stesso Verbo che fanno fermentare la massa umana. Evidentemente il lievito nel linguaggio biblico simboleggia ambivalentemente: anche nello stesso Nuovo Testamento. Gesù stesso, infatti, invita i suoi discepoli ad evitare il lievito dei farisei e sadducei ("Guardatevi dal lievito dei Farisei e Sadducei" (Matteo 16,11; Marco 8,15); e in 1Cor. 5,6-8) San Paolo usa la stessa parola per lo stesso concetto. Il Lievito della parabola simboleggia anche altro: che la forza attraente viene dall'esterno dell'impasto, come qualcosa che vien dall'alto, da Dio direttamente, e che la diffusione del Regno è opera di Dio. Al discepolo spetta solo il compito di collaboratore nell'annuncio: il lievito è Dio stesso.

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parte. Questo modo di pensare è una deprecabile e irragionevole semplificazione che va di pari passo con la comodità e la viltà. Non c'è niente di più estraneo alla fede cristiana del fanatismo con cui vengono proposti strani connubi tra il profano e lo spirituale, qualunque ne sia il colore. Tale pericolo non esiste se per lotta si intende quello che Cristo ci ha insegnato, e cioè la guerra che ognuno  deve  combattere  contro  se  stesso,  lo  sforzo  sempre  rinnovato  di  amare  di  più  Dio,  di  respingere  l'egoismo,  di  servire   tutti   gli   uomini. 22Rinunciare a questa impresa, sotto qualunque pretesto, significa darsi per vinti anzitempo, restare annientati e senza fede, con l'anima abbattuta e dispersa in compiacenze meschine. Per il cristiano, combattere la propria battaglia al cospetto di Dio e di tutti i fratelli nella fede, è la necessaria conseguenza della sua condizione. Se pertanto qualcuno non lotta, tradisce Gesù Cristo e il suo Corpo Mistico, che è la Chiesa.23 Bisogna tener conto poi anche delle influenze negative (demoni) che attaccano le anime e le opprimono con disturbi che si manifestano nel corpo e nello spirito, generando stati d’anima di afflizione e di dolore spirituale e di deterioramento della salute fisica. Con gli occhi della fede sappiamo, per le esperienze evangeliche e dei mistici che siamo colpiti da vessazioni che vengono dai regni delle tenebre e per le quali dobbiamo chiedere aiuto sia al Signore che agli angeli ed arcangeli con preghiere di intercessione. «La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i principati e le potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.» (Efes.6,12)

La  vera  gioia  dell’anima  è  un  bene  cristiano.    

La gioia si eclissa soltanto con l'offesa a Dio, perché il peccato nasce dall'egoismo, e l'egoismo è la causa della tristezza. Ma anche allora la gioia è là, nascosta sotto le ceneri dell'anima, perché il Signore e sua Madre non dimenticano mai gli uomini. Quando ci pentiamo, quando sgorga dal nostro cuore un atto di dolore, quando ci purifichiamo nel santo Sacramento della Penitenza, Dio ci viene incontro e ci perdona; e la tristezza se ne va: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15, 32). Queste parole sono la conclusione meravigliosa della parabola del figliuol prodigo che non ci stancheremo mai di meditare: Ecco, il Padre ti viene incontro; si piegherà sul tuo collo, ti darà un bacio che è pegno di tenerezza e d'amore; darà ordine che ti portino una veste, un anello, dei calzari. Mentre tu temi ancora un rimprovero, egli ti restituisce la tua dignità; temi il castigo, ed egli ti bacia; temi la parola adirata, ed egli prepara per te un banchetto (SANT'AMBROGIO, Expositio Evangelii secundum Lucam, 7 [PL 15, 1540]). Del mondo si parla o si scrive talora paragonandolo al mare. C'è verità in questo paragone. Nella vita umana, come nel mare, ci sono periodi di calma e di burrasca, di tranquillità e di venti forti. Frequentemente le creature si trovano a nuotare in acque amare, in mezzo a grandi ondate; camminano tra le tormente, in una corsa triste, anche quando sembra che non manchi loro l'allegria, ma “un'allegria molto rumorosa”: sono le risate con cui cercano di nascondere la sfiducia, il disgusto di una vita senza carità e senza comprensione. Gli uomini, come i pesci, si divorano l'un l'altro.

                                                                                                                         22 Per buone opere non si deve pensare solamente alle opere di misericordia le quali non devono mai mancare, ma anche tutte le singole virtù. Per essere concreti, ricordo ora brevemente quelle che sono le virtù e quelli che sono i vizi capitali. Prima di tutte elenco le virtù teologali: fede, speranza e carità, e quelle cardinali: giustizia, prudenza, fortezza e temperanza. Ma non vanno trascurate le virtù che si trovano nelle Beatitudini: pazienza, purezza, umiltà, mitezza, semplicità o povertà di spirito. Vale la pena ricordare anche i vizi capitali, che sono sette: superbia, accidia, lussuria, ira, gola, invidia e avarizia. Ogni volta che ci facciamo prendere da questi vizi, diamo una contro-testimonianza e allontaniamo il nostro prossimo dalla Verità. Se, al contrario, eserciteremo le virtù e faremo le buone opere, saremo luce che illumina, sale che dà sapore. 23Josemarìa Escrivà: È Gesù che passa: «Il rispetto cristiano per la persona e per la sua libertà» Punto n. 74 Edizione Ares, Milano

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«È compito dei figli di Dio far sì che tutti gli uomini entrino — liberamente — nella rete divina, e così giungano ad amarsi. Se siamo cristiani, dobbiamo trasformarci in pescatori, come quelli descritti dal profeta Geremia, con la metafora che anche Gesù ha impiegato spesso: «Seguitemi — dice a Pietro e ad Andrea —, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4, 19). Se non ci irrobustiamo, con l'aiuto divino, per mezzo del sacrificio, non potremo divenire strumenti del Signore. Se invece, per amor di Dio, ci decidiamo a trarre profitto con allegria dalle contrarietà, non ci costerà fatica, nelle situazioni difficili e sgradevoli, nelle occasioni dure e disagevoli, esclamare, come gli Apostoli Giacomo e Giovanni: Possiamo! (Mc 10, 38). Qui, alla presenza di Dio che ci presiede dal Tabernacolo — come fortifica la vicinanza reale di Gesù! —, mediteremo su questo dono soave di Dio, la   speranza,   che   colma   le   nostre  anime   di   allegria: «spe gaudentes» (Rm 12, 12), gioiosi, perché — se siamo fedeli — ci aspetta l'Amore infinito. Non dimentichiamo mai che per tutti — quindi per ciascuno di noi — ci sono solo due modi di stare sulla terra: o si vive vita divina, lottando per piacere a Dio; o si vive vita animale, più o meno umanamente illuminata, quando si prescinde da Lui. Un cristiano sincero, coerente con la sua fede, agisce faccia a faccia con Dio, con visione soprannaturale; lavora in questo mondo che ama appassionatamente, impegnandosi nelle vicende della terra, con lo sguardo al Cielo. Ce lo dice san Paolo: «Quae sursum sunt quaerite; cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti — a quanto è mondano, per mezzo del Battesimo — e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 1-3). Impiegando queste risorse con buona volontà e chiedendo al Signore di concederci una speranza di giorno in giorno maggiore, possederemo la contagiosa allegria di chi sa di essere figlio di Dio: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31). Ottimismo, dunque: mossi dalla forza della speranza, lotteremo per cancellare la macchia viscida lasciata dai seminatori dell'odio e riscopriremo il mondo da una prospettiva di gioia, perché esso è uscito bello e limpido dalle mani di Dio. Altrettanto bello potremo restituirlo a Lui, se impariamo a pentirci.»24

Solo  la  riscoperta  della  rivoluzione  cristiana  potrà  salvare  l’occidente  

Nel suo famoso saggio «Perché non possiamo non dirci cristiani» scritto in uno dei momenti più oscuri della storia europea (1942), Benedetto Croce 25 affermò che il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: «Così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non fa meraviglia che sia apparsa o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni non sostengono il suo confronto, apparendo, rispetto a lei, particolari e limitate. E la ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all’umanità. Qual era questa nuova virtù, questa nuova qualità spirituale? Era l’amore: Amore verso tutti gli uomini, verso tutte le creature, verso il mondo che è opera di Dio e Dio che è Dio d’amore, e non sta distaccato dall’uomo, e verso l’uomo discende, e nel quale tutti siamo, viviamo e ci moviamo. Era naturale, quindi, che la rivoluzione cristiana continuasse ad agire potentemente nei secoli successivi, e che fossero suoi continuatori tutti quelli che, partendo dai suoi concetti e integrandoli con la critica e con l’ulteriore indagine, produssero sostanziali avanzamenti nel pensiero e nella vita: gli uomini dell’Umanesimo e del Rinascimento (nonostante talune parvenze anticristiane), gli uomini della Riforma, gli assertori della religione naturale, del diritto naturale e della tolleranza; e via enumerando.» 26

                                                                                                                         24 Josemarìa Escrivà: Amici di Dio, n 259, 206, 219. Edizioni Ares, Milano 25 Benedetto Croce (Pescasseroli, 1866 – Napoli, 1952) è stato un filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore 26 L’idea di fissare in forma di legge i diritti innati, inalienabili e sacri dell’individuo, non è di origine politica, bensì di origine religiosa A queste fondamentali considerazioni di Croce si deve aggiungere che tutto il pensiero liberal democratico occidentale ha la sua stella polare nella rivoluzione cristiana

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La Parola ai lettori

Tutti coloro che ricevono questa newsletter sono invitati ad utilizzare la opportunità offerta dal forum per far conoscere il proprio pensiero su quanto letto o sollecitare ulteriori riflessioni ed ampliare la riflessione. La corrispondenza potrà essere inviata all’indirizzo qui specificato: [email protected] Tutte le newsletter precedenti sono archiviate con l’indice analitico degli argomenti nel sito: http://www.nuovainformazionecardiologica.it La newsletter è inviata automaticamente secondo la mailing list predisposta, chi non desidera riceverla può chiedere di essere cancellato dalla lista. Chi volesse segnalare altri nominativi di posta elettronica è pregato di fare riferimento all’indirizzo qui sopra riportato per la corrispondenza

Comitato di redazione

Dott. Cleto Antonini, (C.A.), Aiuto anestesista del Dipartimento di Rianimazione Ospedale Maggiore di Novara;

Don Pier Davide Guenzi, (P.D.G.), docente di teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Sezione parallela di Torino; e di Introduzione alla teologia presso l’Università Cattolica del S. Cuore di

Milano e vice-presidente del Comitato Etico dell’Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” di Novara.

Don Michele Valsesia, parroco dell'Ospedale di Novara, docente di Bioetica alla Facoltà Teologica dell'Italia Sett. sez. di Torino

Prof. Paolo Rossi, (P.R.) Primario cardiologo di Novara Master di Bioetica Università Cattolica di Roma