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Nicoletta Jacobone Genitori a scuola

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Nicoletta Jacobone Genitori a scuola

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Quali sono i rapporti abituali dei genitori di figli che frequentano la media inferiore e il biennio delle superiori con la scuola? Inizierò riprendendo una necessaria premessa, che in questi giorni avete certamente già ascoltato. I ragazzi nella pubertà cominciano a modificare il rapporto con sé, con il proprio corpo, con i genitori, con gli altri. Cominciano ad allontanarsi fisicamente e psichicamente, instaurando nuove modalità di relazione. Avranno per alcuni anni una incostante oscillazione tra bisogni di dipendenza e volontà di autonomia. I genitori non di rado pensano che i loro figli difficilmente ce la faranno da soli nei meandri di questo allontamento. Ma, a livello più profondo, la loro é la difficoltà di accettare la perdita dell'essere il riferimento per i figli. Essere il riferimento, benché faticoso, offre aspetti gratificanti per l'idealizzazione che contiene. Un'ulteriore difficoltà é la delusione: i figli che si trasformano, fisicamente e psichicamente, suscitano sentimenti contrastanti, di stupore e di soddisfazione e, comunque, benché le trasformazioni siano graduali nella continuità quotidiana, in molti momenti i genitori vivono la difficoltà di ri-conoscerli. A questo proposito, una ragazza liceale, nel corso di un colloquio con me, ricordava l'asprezza della madre nel dirle: "Guarda come sei diventata! Da piccola non eri così!" A scuola, poi, i figli sono in un rapporto più autonomo con gli altri ragazzi e con le loro famiglie. Tra loro si apre un confronto di potenza sociale e culturale, a cui sono sensibili i ragazzi, ma anche i genitori, che, pur reagendo in svariati modi, spesso sono più preoccupati dell'immagine sociale che dello sviluppo personale. Ne può essere esempio la scelta tra accettare la pressione dei figli per l'acquisto di capi di moda, come "quelli dei loro compagni" per non sentirsi diversi e inferiori, o affrontare, invece, lo sviluppo di un gusto individuale. (E questo senza nulla togliere all'importanza dell'appartenza per i ragazzi, anche attraverso il possesso dei medesimi oggetti.) Gli insegnanti, rispetto al bisogno di rispecchiamento narcisistico dei genitori, hanno, se così si può dire, una visione più realistica sui ragazzi: non li vedono così belli, intelligenti e cari, ma, a propria volta, considerano la loro prestazione scolastica più che le persone intere e reali. Figli, insegnanti e genitori sono dunque i protagonisti della scuola. Per gli aspetti delineati, le difficoltà possono apparire immediate: anziché costruire un incontro in cui ciascuno porta il suo lato positivo, i genitori quello più affettivo, gli insegnanti quello più realistico, ognuno esagera il proprio punto di vista. La situazione ideale sarebbe che l'incontro tra i genitori e gli insegnanti, al di là della partenza conflittuale, potesse offrire maggiori significati per chi si occupa dei ragazzi, eliminando le posizioni estreme. Cosa succede nei colloqui 'medi, normali' che si svolgono tra genitori e professori? Quando i ragazzi vanno 'abbastanza bene a scuola', niente di particolare, ma se appena ci sono difficoltà di comportamento o di apprendimento, il genitore di fronte al professore si sente, la maggior parte delle volte, egli stesso piccolo e infantilizzato, colpevole di gravi mancanze, oppure, sentendosi invitato ad allearsi con il punto di vista dell'insegnante, tornerà a casa e rimprovererà il figlio. Si trova comunque in difficoltà di fronte a versioni contrastanti o parziali, quella del professore e quella del figlio stesso. Quando i genitori si ritrovano tra loro dopo questo tipo di colloqui, o si rinforzano a vicenda nella reazione di protesta contro gli insegnanti o stentano a raccontare dell'incontro appena avuto. E ciò per un senso di vergogna, quasi di umiliazione, sia per l'identificazione eccessiva con il figlio sia per una colpevolizzazione quasi automatica. Gli insegnanti, dal canto loro, ritengono la famiglia del tutto responsabile dell'educazione e, quindi, del comportamento dei ragazzi. Essi indicano nei genitori la vera causa di ciò che non va: non li seguono abbastanza, sono distratti o troppo permissivi, se sono separati é del tutto inevitabile che i figli debbano avere dei problemi. Si tratta di una relazione di contrapposizione, rispetto alla quale il figlio non é davvero presente né concretamente né nella sua complessità psichica. I ragazzi, dal canto loro sono inquieti e irrequieti. Nel loro frasario, nei loro comportamenti ci sono elementi che vanno oltre 'l'educazione' e, d'altronde, non è affatto detto che l'eventuale tranquillità significhi che 'tutto é a posto perché non desta problemi.' Come si inserisce lo psicologo in questa situazione? Spesso funge da mediatore in comunicazioni che sembrano impossibili. Per la mia esperienza di lavoro con genitori e figli, credo che non si

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possa non accettare che ci sono profonde interconnessioni tra difficoltà scolastiche e personali. Questo concetto verrebbe immediatamente sottoscritto da tutti i protagonisti della vicenda, ma negli incontri reali raggiungere questa posizione, farla davvero propria, richiede un attento lavoro. Dopo queste considerazioni, vorrei parlare dell'esperienza con gruppi di genitori a scuola. L'idea del gruppo a scuola é nata probabilmente per motivi funzionali, legati ai grandi numeri e anche perché la tradizione scolastica stessa prevede pratiche collettive. Tuttavia il gruppo si é rivelato uno strumento prezioso, proprio perché é il miglior contenitore per affrontare quelle difficoltà "affettive" che impediscono di far proprio ciò che intellettualmente é subito evidente. La richiesta dei genitori di dialogare con uno psicologo partiva generalmente dal desiderio e dal bisogno di comprendere meglio alcuni comportamenti e caratteristiche dei figli. In particolare, volevano chiarimenti sul modo di capire e di capirsi tra genitori e figli. L'esperto psicologo doveva indicare modalità "tecniche" di comportamento. Un’altra spinta alla richiesta in qualche caso é venuta da professori che, avendo partecipato a nostri corsi di formazione e avendone ricavato qualche utilità, li avevano poi proposti anche ai genitori. In altri casi ancora, gli insegnanti avevano rilevato problemi dei ragazzi, scolastici o di comportamento, che come professori non ritenevano di dover né di poter affrontare e che venivano rilanciati sulla famiglia come responsabile educativa, sollecitando nei genitori un senso di frustrazione e in adeguatezza. In un gruppo si possono discutere insieme soluzioni, pensieri e sentimenti, andando oltre lo sfogo e il racconto dei fatti concreti: avviene quello che si chiama 'apprendimento orizzontale'. Attraverso identificazioni tra i membri del gruppo, si può parlare di ciò che, sullo stesso argomento, diverse persone provano. Il fatto di rendersi conto di non essere "i soli" a sentire e a capire le cose in un certo modo permette il superamento della vergogna che spesso blocca l'elaborazione. Attraverso le sfaccettature dei punti di vista sul medesimo tema si facilita lo spostamento e quindi la possibilità di riflettere. Quando il gruppo si trova d'accordo nell'accogliere le sofferenze e i conflitti che ciascuno porta dentro di sé, non c'é più bisogno di spostare all'esterno il senso di colpa, né di denigrare i figli o gli insegnanti. Quando i veri temi diventano i propri sentimenti, le proprie aspettative, le illusioni e le delusioni, i ricordi, tutti nel gruppo diventano più presenti come persone. Naturalmente questa esperienza, quando funziona bene, può solamente essere una ripresa della riflessione su di sé, superando la reazione contro i figli o gli insegnanti. All'interno di questo limite, il confronto con gli altri pone i genitori in una posizione meno passiva, anche rispetto al conduttore, e riduce i sentimenti di inadeguatezza e di colpa. Tutto ciò può ridurre la paura di sbagliare come genitori e consente di aver fiducia nello sviluppo dei figli. Il gruppo, rispetto alle situazioni di cambiamento e di perdita, offre quindi più possibilità di difesa da un lato e di spontaneità dall'altro. In un gruppo entrano, con pari dignità, diversi punti di vista: alcuni si scartano perché inadeguati, ma molti possono essere considerati validi, confermando il relativismo. Quello del 'relativismo' é il criterio fondamentale della soluzione edipica è la scoperta dell’ "altro”, la fine dell’”assoluto”, l’arrivo del “relativo”. La molteplicità dei punti di vista è funzione genitoriale per i figli che devono finire con 'l’assoluto' per entrare nel 'relativo', proprio perché é in adolescenza che nasce il dubbio sulle certezze assolute. Quindi, poter vivere in prima persona un'esperienza di allargamento del proprio punto di vista può costituire per i genitori un modello assai efficace proprio per questo aspetto della funzione genitoriale che devono svolgere. Da qui la possibilità di riprendere una relazione. Allo psicologo che conduce il gruppo spetta la scelta del 'filo rosso' da seguire tra le varie comunicazioni dei partecipanti, come sintetizzare, coniugare o vedere le contrapposizioni che emergono tra le opinioni espresse e fornire una rilettura articolata delle emozioni e dei comportamenti dei partecipanti. L’obiettivo di un’esperienza di gruppo con i genitori a scuola non può essere quello di fare terapia, a meno di averne in mente una particolare accezione: quella di curare, nel senso di prendersi cura della funzione parentale in un momento peculiare della vita. Il setting che si va a proporre deve essere perciò adeguato allo scopo che ci si prefigge. Il conduttore ha il compito di segnare e mantenere la rotta stabilita, di dare valore e limiti (come gli stessi

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genitori devono fare con i figli) e deve favorire un clima solidale, senza "giudizio". Spesso, la richiesta esplicita non corrisponde appieno alla situazione emotiva più vera. Negli incontri, genitori che dichiarano di voler capire e aiutare i figli per molto tempo li svalutano e denigrano, sottolineandone difetti e inadeguatezze, perché completamente condizionati dalla delusioni narcisistica. Altri, che avevano dichiarato di vivere pesanti difficoltà quotidiane, inaspettatamento, si presentano come pladini di certe "bravate" dei figli. Tutto questo solo raramente sembra reattivamente connesso agli atteggiamenti degli altri genitori, cioè di contrapposizione rispetto a coloro che appaiono troppo permissivi con i figli o, al contrario, troppo rigidi e responsabilizzanti. Più spesso, invece, nel racconto da parte dei genitori del rapporto attuale con il figlio, si possono cogliere aspetti conflittuali, nodali del loro rapporto passato con i propri genitori. La possibilità di rivivere emotivamente alcuni ricordi, di poter vedere delle connessioni psichiche, collegando Sé come figli e Sé come genitori, poter rivedere vicende analoghe in altri genitori ha spesso un forte potere decolpevolizzante. Sentire di essere il prodotto di una storia antica e personale che può averli resi ottenebrati o automatici nei comportamenti, nelle reazioni emotive, può offrire lo sbocco a possibilità di rinnovamento. Ciò che, nelle esperienze più fruttuose, si raggiunge è una progressiva maggiore consapevolezza delle proprie aspettative ed ansie. Ho ripensato, per questa occasione, ad uno dei gruppi che ho condotto più di recente. (...) Nel corso degli anni abbiamo visto che è opportuno che il conduttore abbia una traccia interna del percorso o un testo stimolo. Utilizziamo strumenti diversi, che vanno dalla discussione libera, alla discussione su un materiale-stimolo, tratto da interviste a genitori, o l'uso di giochi di ruolo, secondo le caratteristiche del gruppo e il numero degli incontri a disposizione (mediamente da quattro a sei). Comunque, in ogni gruppo, nei pur pochi incontri previsti, emergono spontaneamente tematiche molto simili: - quella della separazione dai figli, cioè la necessità di modulare la distanza tra essere loro vicini quando è davvero necessario e saper accettare di stare anche fuori dalla loro vita. Rispetto alla vita scolastica, è anche la ricerca di trovare il giusto posto nel rapporto con gli insegnanti; - l'identificazione "narcisistica" con i figli, ovvero i figli come oggetto-Sé con la eccessiva centralità del proprio ruolo genitoriale. I figli come reralizzazione del proprio narcisismo rispetto a Sé come persone intere; - la proiezione di parti adolescenziali di Sé e, quindi, il rischio di confondere automaticamente il Sé di "allora" con il figlio reale di "ora" e - la conseguente difficoltà di identificazione empatica. Se non c'è "differenza" è difficile distinguere tra il proprio investimento affettivo e le proprie aspettative e il figlio come persona reale attuale; - la proiezione di propri aspetti depressivi, legati sia al lutto per gli aspetti giovanili di sé in questa epoca della loro vita sia, come dicevo all'inizio, alla perdita del rispecchiamento idealizzante e alla fine di un ideale grandioso posto sul figlio. E' un figlio che diventa "altro" rispetto alle proprie aspettative; - la complessa relazione triangolare tra genitori, professori e ragazzi a scuola. Il beneficio fondamentale del lavoro in gruppo con i genitori è che si riesca a pensare insieme sui sentimenti che si provano e a poter così distinguere ciò che è proprio da ciò che nella relazione attuale risale a proprie posizioni arcaiche ristimolate o immesse e dai figli stessi. (...) (*) il testo é tratto dall’intervento al Convegno del 6-7 maggio "Più o meno 16 anni"