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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #14 Maggio/Giugno2013

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Magazine Bimestrale di Paesaggio, Città, Architettura e Creatività Urbana

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Page 1: Nip#14

Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #14 Maggio/Giugno2013

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Casa Editrice: ETS, P.za Carrara 16/19, PisaLegale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Network in ProgressIscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisan° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress”

ISSN 2281-1176

[email protected]

Editing and graphics:Valerio Massaro

Enrico Falqui_ [email protected]

Direttore Responsabile

Stella [email protected]

Direttore Editoriale

Valerio [email protected]

Direttore Creativo

Francesca Calamita_ [email protected]

Responsabile eventi, attività culturali e tirocini

Silvia Ruzziconi_ [email protected]

Responsabile marketing e pubblicità

Paola Pavoni_ [email protected]

Responsabile network culturale

Vanessa Lastrucci_ [email protected]

Responsabile Social Networks

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Editoriale

Oggi si parla tanto di valori persi, di gente

sempre più rassegnata, senza speranza; assuefatta da una vita senza sapore, senza futuro. Non abbia-mo cure né farmaci certi per questa “malaria urba-na” della nostra epoca.

Una delle conseguenze più preoccupanti di

questa condizione umana senza sogni e speranze per il futuro, è il diffondersi, con una velocità di propa-gazione impressionante, di un’acuta patologia so-ciale prodotta dalla stretta dipendenza dell’individuo dal consumo di Effimero.

Pubblicità ed esperti di marketing hanno cre-

ato e riprodotto attraverso tutti i mezzi di comunica-zione di massa oggi dispo-nibili, una vera e propria “pedagogia dell’effimero”, fondata sul principio atti-vo di dare valore a ciò che piace e che, all’apparenza, sembra bello.

Si tratta di un vero e pro-prio “modello cultura-

le di massa”, il cui unico obiettivo, è quello della massimizzazione del pro-fitto attraverso la creazio-ne di “bisogni effimeri”, modificando il sistema di apprendimento e la gerar-chia dei valori etici dell’in-

dividuo per educarlo ad una cultura della realtà virtuale che sostituisce progressivamente la real-tà del presente e la memo-ria del passato.

L’obiettivo centrale di questa incessante

campagna di comunica-zione, che può portare il genere umano a scelte irrazionali e pericolose perfino della propria esi-stenza, è quello di una “metamorfosi” radicale della capacità creativa e di immaginazione delle comunità urbane e me-tropolitane, laddove nel 2045 (secondo le previ-sioni dell’ONU) vivrà circa

Editing and graphics:Valerio Massaro

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il 75% della popolazione mondiale.

Attualmente siamo circondati da scena-

ri frastornanti, frenetici, eccessivi ed eccitanti che non aiutano a coltivare l’immaginazione e la fan-tasia, soprattutto tra i gio-vani.

Anche il gioco tra i bambini è sperimen-

tato, nell’educazione pri-maria attuale, a formare una fabbrica di “vincenti” che, con la loro “bravura” schiacciano tutti gli altri nel processo di competi-zione. L’immaginazione, per essere coltivata, ha bi-sogno di un’educazione al dialogo con la realtà e con i vari soggetti attori. Il ta-lento, di cui un giovane è dotato più di altri, (e che è legittimo valorizzare e col-tivare) ha bisogno di nu-trirsi costantemente del confronto con le moltepli-ci sfaccettature della real-

tà, ha bisogno di “immagi-nare”, come ci suggerisce il Prof.Keaton nel celebre film “L’attimo fuggente” (1989) che: “..dobbiamo sempre guardare alle cose da angolazioni diverse.”

L’immaginazione ha bisogno di verificare

costantemente che molte cose ci appaiono diverse (ad esempio, sulla rete in-ternet) da come esse sono nella realtà; ed anche che le persone e le loro rela-zioni possono avere una “percezione ingannevo-le”, come ci avvertiva, mol-to tempo fa, Luigi Piran-dello in “Così è, se vi pare.”

L’immaginazione è il substrato su cui si eser-

cita la creatività dell’es-sere umano, come ci ha ricordato alcuni giorni fa a Parigi, uno dei più grandi paesaggisti europei, Ber-nard Lassus, affermando che “luce, colore, visibilità sono gli elementi di una

percezione originale e nel contempo classica del pa-esaggio; esse sorreggono l’eterogeneità di un mon-do unitario, dove le cose appaiono ma possono es-sere altre da quelle che sono, grazie alla creatività progettuale.”

La Mente umana non può accogliere tutte le

informazioni e i modelli comunicativi propagati dalla Rete; ha bisogno di selezionare ciò che è rea-le da ciò che è solo “realtà virtuale”, la cui sistemati-ca riproduzione produce un annientamento della nostra immaginazione e, conseguentemente, nel medio-lungo periodo, la nostra capacità creativa di trasformare la realtà esi-stente per produrne una nuova, all’altezza dei biso-gni effettivi della Comuni-tà in cui viviamo.

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ContentsContents #14RUBRIChE

Architettura che non ci piaceChiesa del 2000 Tor Tre Teste, Roma

di Paola Pavoni

Frames Doppel

di Barbara Metselaar Berthold

FOCUS ONPaesaggi urbani in movimentodi Lorenzo Vallerini

INTERVISTALe visioni urbane di Ogino KnaussIntervista con Lorenzo Tripodia cura di Valerio Massaro

IL PROgETTOBenvenuti a Casal Di PrincipeRiqualificazione sociale ed urbana attraverso il recupero di beni confiscati alla camorradi Annalaura Ciampi

CREATIVITà URBANAAvventure creative al Festival del Verde e del Paesaggio a Romaa cura della redazione di NIP

LE RECENSIONI_il libro_ Urban Landscapes

Environmental Networks and Quality of Lifedi Gabriele Paolinelli

p7

p9

p13

p27

p41

p55

p65

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Architettura che ci piace/ non ci piace

Le vele di una nave che trasportano i fe-deli, la luce che indirettamente perva-

de gli spazi, un solo raggio di sole che entra direttamente e illumina un crocifisso del XVII secolo in un solo periodo dell’anno; il simbolismo estremamente minimal ma efficace che caratterizza ogni segno tra-sformato in materia. Un solo colore, bian-co, simbolo di purezza, firma riconoscibile del progettista, ma anche esaltazione della tecnologia che permette alla struttura in cemento di auto pulirsi e ridurre la pre-senza di agenti inquinanti, attraverso re-azioni chimiche attivate dalla luce solare. Queste alcune delle caratteristiche che hanno reso la Chiesa del 2000, progettata da Richard Meier, un’opera d’arte e di ar-chitettura realizzata per attivare il proces-so di riqualificazione nel quartiere di Tor Tre Teste, nella prima periferia romana.

Ciò che disturba è il modo in cui l’opera s’inserisce nell’area urbana e come si

rapporta all’esterno. Un muro, altrettanto bianco, che circonda l’edificio interrom-pe il cono visivo che dalla strada centrale del quartiere dirige verso l’entrata della chiesa; il piazzale intorno ad essa, immen-so spazio rivestito in travertino riporta un cartello con il divieto di giocare, di portare animali, di pattinare, che non si addicono ad uno spazio di accoglienza come il sagra-to. La stessa forma dell’edificio, nonostan-te il richiamo, forse casuale, all’andamento curvilineo degli edifici che la circondano, sembra calata dall’alto come un oggetto atto a riempire un vuoto a cui era neces-sario dare un significato. è un peccato che nel progettare un’opera così simbolica e tecnologica si sia pensato di proteggerla dal contesto socio culturale in cui si inse-riva piuttosto che renderla vivibile come spazio pubblico di quartiere a trecentoses-santa gradi.

foto di Paola Pavoni

di Paola Pavoni

Chiesa del 2000 Tor Tre Teste Roma

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Barbara Metselaar Berthold2010: Award for the photographic artwork from the Senate for Cultural Affai-rs of Berlin, 2000-2008: Realization of different documentary films supported by the German film promotion fund, 1998-1999: Lectures in Photography, Ho-chschule für Film und Fernsehen Babelsberg, from 1991: Camera work for se-veral TV stations, 1989-90: Work in a video studio, Documentaries and Video Essays, 1984: Departure from East Germany, moving to West-Berlin, 1976-84: Freelance photographer in East-Berlin,1976: Diploma for Photography, Ho-chschule für Grafik und Buchkunst Leipzig, 1969-71: Study of Social psychology, Friedrich-Schiller-Universität Jena, 1951: born in Saxony, East Germany

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Während des Studiums wurde ich ausge-bildet in der Tradition der sozialdoku-

menta-rischen Fotografie, wie die meisten Fotografen in Ostdeutschland. Später be-nutzten wir unsere Bilder, um eine Gegenöf-fentlichkeit zu der staatlichen Propaganda zu etablieren. Das konnte nicht offiziell gedruckt oder gezeigt werden, aber wir hatten eigene Netzwerke und Ausstellungen in Privaträu-men.

Im Westen hatten Fotos kaum noch Beweis-Charakter, und ich suchte eine neue, eher fil-

mische Orientierung. Inzwischen vertraue ich nicht mehr dem Einzelbild, sondern versuche, durch die Zuordnung mehrerer Bilder einen erweiterten, ambivalenten Raum zu schaffen, der sich der individuellen Deutung öffnet.

Durante i miei studi sono stata educata alla tradizione della fotografia di documen-

tazione sociale, come la maggior parte dei fotografi della Germania orientale. Più tardi, abbiamo utilizzato le nostre foto per creare un contro-pubblico alla propaganda di sta-to; le foto non potevano essere ufficialmente stampate o mostrate, ma avevamo proprie reti e mostre in luoghi privati.

Le foto in occidente avevano più difficilmen-te un carattere documentaristico, perchè

con la presenza della pubblicità la fotografia aveva perso il suo carattere di evidenza, co-munque quando arrivai nella Germania Ovest mi misi alla ricerca di un nuovo orientamento più cinematografico nella fotografia. Dunque decisi di non riporre troppa fiducia nel foto-gramma stesso, cercando di creare tramite l’accostamento di più immagini un esteso, spazio ambivalente che si aprisse all’interpre-tazione individuale.

Doppelfoto e testi di Barbara Metselaar Berthold

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Barbara Metselaar Berthold ©

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Lorenzo Vallerini, Docente di Architettura del Paesaggio presso il Dipartimento di Architettura - DIDA dell’Università di Firenze dal 1990, insegna al Corso di Laurea Magistrale in Architettura del Paesaggio e al Dottorato di Ricerca in Progettazione Paesistica della stessa Facoltà. Ha svolto ricerche nazionali ed internazionali su tematiche inerenti la pianificazione e la progetta-zione dal paesaggio alle varie scale. I principali temi di ricerca che lo vedono impegnato riguardano la pianificazione e gestione delle aree protette, la sostenibilità urbana, la compatibilità paesaggisti-ca di infrastrutture, architetture e manufatti, la lotta alla desertificazione in Africa.Una intensa attività professionale per oltre un trentennio, lo vede impegnato in qualità di collabora-tore o di coordinatore per la redazione di piani e studi inerenti l’analisi, la pianificazione e la gestio-ne del paesaggio e come progettista di parchi urbani e spazi pubblici, di recupero di aree degradate, di aree verdi ad uso privato. È autore di oltre settanta pubblicazioni, tra cui otto libri, sulle tematiche dell’Architettura del Paesag-gio alle varie scale di intervento.

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Paesaggi urbani in movimento*

di Lorenzo vallerini

*Il presente testo pubblicato è la prima stesura dell’in-tervento tenuto da Lorenzo Vallerini alla International Conference “The Role of Open Spaces in the Transfor-mation of Urban Landscape” organizzata dal Laborato-rio di Ricerca sulle Città, Istituto Studi Superiori, Uni-versità di Bologna e dall’Istituto Italiano di Cultura di Berlino, con il contributo del MEDDE French Ministry of Ecology, Sustainable Development and Energy, e te-nutosi il 12-14 Marzo 2013 a Berlino. La versione defini-tiva verrà pubblicata sugli Atti della Conferenza a cura del Laboratorio di Ricerca sulle Città, Università di Bo-logna. 13

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1Trasformazione urbana e mobilità

La realizzazione di “infrastrutture di trasporto in ambito urbano”, in molti casi, non produce solo una “rottura” de-gli assetti urbani, ma può essere anche e soprattutto (e ovviamente non sempre) “occasione” di riqualificazione urbana e degli spazi aperti connessi a tali infra-strutture, di produzione di una nuova circolazione-movimento urbano.

In Europa (Barcellona, Parigi, Borde-aux, Strasburgo, ecc.) e anche in Italia (Torino, Milano, Mestre, Firenze, ecc.), molte trasformazioni urbane hanno se-guito, ed anche in positivo, lo sviluppo di infrastrutture coinvolgendo ampi strati di popolazione e il loro senso di identi-tà dei luoghi “attraversati”; ovviamen-te sempre con difficoltà e contrasti; ma quando mai non si sono alzate polemi-che accese a fronte di trasformazioni ur-bane “forti”?

Passare dalle parole ai fatti non è però facile, e soprattutto nella realizzazione di un’infrastruttura, perché per sua natura è sempre e comunque intrusiva, modifi-catrice profonda di assetti paesaggistici e territoriali precostituiti. è il tema della trasformazione portato alle sue estreme

conseguenze, perché, nel caso delle in-frastrutture di trasporto, è di carattere “lineare”, attraversa luoghi, immagini e sistemi tra loro spesso molto diversi e diversificati, con identità forti sia natu-rali che artificiali, con organizzazioni so-ciali spesso molto consolidate.

L’infrastruttura invade-occupa spazio e può “ucciderlo”, ma un progetto di pae-saggio dell’infrastruttura, ovvero di inte-grazione tra produzione di “ingegneria” e produzione di “architettura-paesag-gio”, libera altri spazi, riqualificandoli e, soprattutto, libera flussi di movimento, di contatto, di vita.

Una delle principali caratteristiche dei “sistemi di mobilità”, ovvero del rapporto tra mobilità e spazio urbano, è rappresentata dall’occupazione di spa-zio urbano da parte delle diverse infra-strutture; queste, infatti, in quanto forti motori della trasformazione urbana, in-dirizzano le modalità di sviluppo urbano, influiscono sulle capacità di movimen-to della gente accelerandone i flussi di spostamento (velocità alta) o ricondu-cendoli alla dimensione umana (veloci-tà lenta), determinano una maggiore o minore occupazione di spazio pubblico incidendo fortemente sulla qualità della vita degli abitanti.

Sistema infrastrutture area fiorentina (in verde-il sistema autostradale; in viola scuro- la tav; in viola chiaro- il sistema ferroviario; in rosso- il sistema delle tramvie)

Nella pagina successiva:L’area urbana di Casellina e il nuovo sistema del verde

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L’occupazione “fisica” di spazio di un’auto con una persona è di 60 mq di suolo contro 1 mq occupato da una persona a piedi e 3 mq da una biciclet-ta; mentre un autobus a pieno carico consuma 3,1 mq, una metropolitana o tramvia a pieno carico ne consuma 1,5 mq 1.

Questi semplici dati quantitativi già di per sé danno l’idea di come l’imma-gine urbana, dello spazio pubblico pos-sa radicalmente cambiare a fronte di scelte infrastrutturali diversificate e di come possa influire sulla qualità della vita dei cittadini, ma una scelta piut-tosto che un’altra, pur mantenendo la sua in-trinseca validità, oppure i suoi vantaggi, necessa-riamente non comporta una inversione di ten-denza sulla qualità dello spazio pubblico.

Infatti, se la stessa op-zione strategica di mobi-lità non è accompagnata da specifici progetti dello spazio aperto che rimo-dellano la trasformazio-ne indotta dalla nuova infrastruttura per la mo-

bilità, quest’ultima può diventare un “corpo estraneo” al contesto che attra-versa e che, comunque, cambia con la sua presenza; e questo vale non solo per la “velocità alta” (strade e superstrade, metropolitane veloci), ma anche per la “velocità lenta” (aree pedonalizzate, pi-ste ciclabili, tramvie, busvie, ecc.).

Di casi di “buone pratiche” in molti paesi europei e non solo, sono comun-que piene le riviste specialistiche e i li-bri, molte realizzate, moltissime ancora sulla carta.

Il caso dell’area fiorentina rientra ancora e al momento e per buona par-

te in quest’ultima ca-tegoria; le premesse ci sono tutte per allentare la morsa del traffico vei-colare che soffoca la cit-tà, per cambiare la città migliorandola attraverso non solo la riduzione del traffico e un sistema a rete efficiente, ma anche attraverso il ridisegno degli spazi aperti urbani e periurbani che dovrà accompagnare la sua tra-sformazione.

La realizzazione di “infrastrutture di trasporto in ambito urbano

può essere anche e soprattutto “occasione” di

riqualificazione urbana e degli

spazi aperti connessi a tali infrastrutture

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2Il caso dell’area fiorentina: velocità alta e velocità lenta

Il nuovo sistema della mobilità per l’area metropolitana fiorentina si basa sostanzialmente su quattro importanti pilastri:

-la realizzazione della Terza Corsia dell’auto-strada A1 che circonda da sud a nord la città, anche con importanti funzioni di tangenziale urbana e di connessione con altre autostrade;

- la realizzazione della TAV - Treni ad Alta Velo-cità, che, sotto attraver-sando Firenze con una nuova grande stazione progettata da Norman Foster, libererà parte delle esistenti li-nee ferroviarie di superficie che saran-no disponibili per il trasporto metropo-litano di superficie;

- la realizzazione del sistema della Tramvia che dalle aree insediativo-produttive della conurbazione fiorenti-na porta verso il centro e lo attraversa (ad esclusione del nucleo storico più antico) come una grande X con quattro linee;

- la Pedonalizzazione del centro sto-rico di Firenze, un intervento oramai

realizzato che ha obbligato a spostare e rivedere il sistema di trasporto pub-blico e, soprattutto a ridimensionare il traffico veicolare privato.

La principale caratteristica di que-sto sistema è l’interconnessione tra i quattro livelli di mobilità tramite nuo-

vi poli di aggregazione, parcheggi scambiatori, stazioni di interscambio, collegamenti stradali e ferroviari, ecc. e, di fatto, tutta la rete è “affogata” all’interno della conur-bazione fiorentina arti-colata in aree densamen-te abitate, aree di frangia urbana e aree rurali con insediamenti sparsi.

Una volta completato il sistema permetterà di passare dai trac-ciati a “velocità alta” a zone e percorsi a “velocità lenta”, entrambi indispensa-bili per garantire facilità di spostamen-to all’interno dell’area metropolitana e, si spera, una migliore qualità della vita in una città più a misura d’uomo.

Il tema della “velocità alta” come occasione di riqualificazione urbana riguarda l’Autostrada A1 con la Terza Corsia, mentre quello della “veloci-tà lenta” come interconnessione dei sistemi infrastrutturali e spazi aper-ti urbani riguarda la Tramvia e come

L’immagine urbana,

dello spazio pubblico può radicalmente cambiare a

fronte di scelte infrastrutturali

diversificate

Il nuovo centro di Scandicci

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Page 17: Nip#14

riappropriazione degli spazi pubblici tramite modalità di riprogettazione urbana e di nuove funzioni riguarda il nuovo centro di Scandicci e la pedona-lizzazione del Centro Storico di Firenze.

3Terza corsia A1 - Velocità alta in-terconnessa con quella lenta,

nuovi spazi aperti e verdi urbani

L’abitato di Casellina costituisce continuazione e parte integrante del centro urbano di Scandicci che, a sua volta, si salda al più vasto sistema me-tropolitano dell’area fiorentina.

Uno degli elementi che caratterizza il centro di Casellina è l’Autostrada A1 che taglia il sistema urbano attraver-sandolo e che, tramite il tessuto urba-no, si connette alla Superstrada Firen-ze-Pisa-Livorno.

Le opere per la Terza Corsia dell’A1 sbloccano una situazione da tempo “compromessa” sia dal carico di traffi-co che da una serie di strutture incon-grue, innestando interventi di ripensa-mento e riprogettazione dello stesso

corpo autostradale e delle altre infra-strutture connesse che si sono interre-late ad altri interventi infrastrutturali come la nuova Tramvia Linea 1 Scan-dicci-Stazione Centrale S.M.Novella di Firenze ( è previsto anche un prolunga-mento sino a Casellina) o le nuove stra-de di collegamento locale tra Scandicci e Firenze e a nuove previsioni di svilup-po come un nuovo centro commercia-le.

La Proposta di Assetto Urbano dell’a-rea di Casellina e i relativi progetti del-le singole parti riguardano non solo le sistemazioni e gli arredi a verde a cor-redo della nuova viabilità stradale ed autostradale, ma anche e soprattutto la “ricucitura” del sistema degli spa-zi aperti esistenti, quelli previsti dagli strumenti urbanistici e quelli risultanti dalle dismissioni di alcune parti dell’at-tuale spazio autostradale e dal nuovo assetto autostradale.

I lavori sono iniziati nel 2005 e at-tualmente, mentre le opere connesse al nastro stradale sono quasi completa-

La tramvia a Firenze vista da Folon

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Page 18: Nip#14

te, i cantieri delle opere paesaggistiche procedono con difficoltà2 .

4 Nuovo centro di Scandicci e Tramvia – Linea T1 –Velocità len-

ta, ridisegno, riconfigurazione, ri-nascita del centro urbano, occasione per il nuovo centro urbano e tramvia

L’idea della realizzazione di un nuo-vo centro per la città di Scandicci (cir-ca 15.000 mq) ha origine nel Program-ma Direttore elaborato per il Comune dall’Architetto londinese Richard Ro-gers nel 2003. In questo ampio studio urbanistico sono individuate le debo-lezze e le opportunità che la trama del territorio comunale può offrire alla città ed ai suoi abitanti. Tra queste, la Tramvia con la sua prima linea già re-alizzata, la T1, assume un grande valo-re: la localizzazione del Nuovo Centro Civico venne quindi individuata nella vasta area oggi non urbanizzata di fron-te al Palazzo Comunale in Piazzale del-la Resistenza, in corrispondenza della fermata principale, prevedendo il mix delle funzioni di cultura, commercio, ristoro, attrezzature collettive, residen-za e direzionale.

Il Progetto per il Nuovo Centro Civi-co sempre redatto da Rogers, definisce l’assetto urbanistico di dettaglio dell’a-rea.

Una nuova Piazza (4.000 mq) avrà il compito fondamentale di aggregazio-ne: lo spazio pubblico si arricchisce di edifici di buon valore architettonico, con l’elemento distintivo e caratte-rizzante della stazione della Tramvia. Sarà un luogo adatto per concerti, fie-re, mercati, spettacoli o manifestazioni pubbliche in genere, completamente pedonale ed arricchito con il verde del-le nuove alberature, immediatamente raggiungibile dalla tramvia e dunque in diretta connessione con Firenze.

I lavori sono iniziati a settembre del 2010 e attualmente il cantiere è in fase avanzata e procede regolarmente5 .

5Tramvia- Firenze Linee 2 e 3 - Ve-locità lenta, liberazione di nuovi

spazi aperti pubblici e progetto dei nuovi spazi urbani

La tramvia è uno dei grandi proget-ti destinati a contribuire alla soluzio-18

Layout funzionale della linea 3 alla Fortezza da Basso

Page 19: Nip#14

ne dei problemi legati alla mobilità e all’inquinamento atmosferico dell’a-rea fiorentina, ad oggi letteralmente soffocata da un traffico veicolare pri-vato molto pesante su un territorio di ridotte dimensioni.

Il Sistema Tramviario Fiorentino at-tualmente è costituito da 3 Linee:

•Linea 1 - Firenze S.M.N. – Scandicci (in esercizio dal 2010)

•Linea 2 - Peretola – Piazza dell’Unità d’Italia (lavori avviati nel 2011)

•Linea 3.1- Careggi – Firenze S.M.N. (progetto esecutivo approvato nel 2011, i lavori partiranno nel 2013)

Inoltre è in via di definizione la pro-gettazione relativa alle estensioni del sistema tramviario verso la zona Sud-Est della città rappresentata dalla Li-nea 3.2 che con due diramazioni arrive-rà sino a due centri limitrofi a Firenze. Infine il Piano Strutturale contiene ul-teriori previsioni sullo sviluppo futuro del Sistema Tramviario.

Il progetto nel suo complesso si col-loca all’interno di una scelta strategica dell’Amministrazione fiorentina che prevede una sostanziale riduzione del-

la mobilità privata fornendo in alterna-tiva un sistema integrato di qualità.

Il successo “di pubblico” della prima linea operativa la T1 (il numero dei pas-seggeri quotidiani è cresciuto di oltre il 50% e si è passati da meno di 25.000 passeggeri giornalieri nel 2010 ad oltre 38.000 nel 2012, con una media mensi-le stabile di 1.100.000 passeggeri), con-ferma la bontà della scelta strategica, ma alla realizzazione dei binari e del-le fermate non è seguita di pari passo la sistemazione delle aree contermini con un risultato ad oggi di sgradevole “non finito”.

Per le Linee 2 e 3, invece, la proget-tazione della parte di ingegneria è stata collegata in modo più accentuato alla progettazione degli spazi aperti limi-trofi, della scelta dei materiali e degli arredi; e questo anche perché le due linee attraversano parti storicamente consolidate e più “abitate”.

In particolare nell’area dei Viali che delimitano il centro storico, progettati da giuseppe Poggi nell’Ottocento, sono state realizzate progettazioni di quali-tà degli spazi aperti che in alcuni casi sono stati “liberati” dal passaggio della

Planivolumetrico delle sistemazioni

alla Fortezza da Basso conseguenti la linea

3 della tramvia e l’interramento dei viali

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Page 20: Nip#14

Vista a volo d’uccello dell’area della Fortezza (linea 3) ed interventi previsti

Tramvia, come quello di un’ampia area nei pressi dell’antica Fortezza Medicea sede di mostre internazionali di moda.

Il sistema dei viali e dei parterre alla Fortezza costituivano per l’originario progetto del Poggi un unicum senza soluzione di continuità e su questo si-stema si è inserito, rispettandolo e va-lorizzandolo, il progetto del nuovo pa-esaggio. Il progetto della Linea 3 e la realizzazione dei sottopassi per le auto di Viale Milton e di Viale Strozzi, di fat-to, asseconda il forte assetto paesag-gistico dato dai grandi filari, libera dal traffico veicolare ampi spazi di super-ficie e, con ridotte modifiche, permette di mantenere e rafforzare il sistema dei filari collegandolo al sistema del ver-de dei giardini della Fortezza, ad oggi

circondati dal traffico, e di creare una più ampia circolazione e collegamento pedonale-ciclabile, di cui la tramvia e la fermata ne sono parte integrante.

Il progetto di sistemazione paesag-gistica prevede, da una parte, il mante-nimento quasi completo dell’esistente impianto arboreo con ulteriori integra-zioni in varie parti del sistema, dall’al-tra, il disegno dell’ampia area resa li-bera dalla realizzazione dei sottopassi (4.000 mq) con una serie di siepi arbu-stive che seguono la curvatura del viale, spazi a prato e spazi pavimentati dotati di sedute: di fatto un giardino pensile a copertura dei tre sottopassi veicolari che ricuce le vecchie e le nuove funzio-ni dell’area4.

se la stessa opzione strategica di mobilità non è accompagnata da specifici progetti

dello spazio aperto che rimodellano la trasformazione indotta dalla nuova

infrastruttura per la mobilità, quest’ultima può diventare un corpo estraneo.

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Page 21: Nip#14

Piazza del Duomo a Firenze nel XVIII secolo

Pedonalizzazione del centro storico: Piazza del Duomo (in basso) e interventi sulle pavimentazioni e gli arredi nelle nuove aree pedonali (pagine successive). Fonte: M.Barabesi, Public space forever, in Professione Architetto Overview, 11/02/2013, Firenze

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Page 22: Nip#14

6Pedonalizzazione del centro sto-rico di Firenze - Velocità lenta,

“infrastruttura senza infrastruttu-re”, liberazione di spazi aperti pub-blici, ridisegno urbano e nuovi arre-di urbani

Patrimonio dell’Umanità ricono-sciuto dall’UNESCO nel 1982, il centro storico di Firenze, conchiuso all’inter-no della cerchia dei viali tracciati sul-le vecchie mura medievali, costituisce oggi una delle aree pedonali più grandi al mondo, recentemente ampliata con l’area di Piazza del Duomo, Via Torna-buoni e Piazza Pitti.

Risalgono a quasi trent’anni fa le ultime fotografie di piazza del Duomo e dell’attigua piazza San giovanni, col Battistero, utilizzate come parcheggi. Da allora è iniziata la progressiva gran-de opera di pedonalizzazione del centro di Firenze, che nel 2011 ha trovato il suo completamento con 12 ettari di nuove

aree pedonali a corona della cosiddetta Zona a Traffico Limitato corrisponden-te all’antico castrum romano, ovvero un rettangolo con i vertici a Piazza San-ta Maria Novella e Piazza del Duomo fino all’Arno. In questa zona il transito è consentito, laddove non vi siano aree pedonali, ai soli residenti.

La pedonalizzazione del centro stori-co non solo ha restituito alla socialità, direi alla comunità fiorentina, spazi di grande valore ed ha arrestato fenome-ni di degrado urbano, ma ha anche in-nestato numerosi interventi di riquali-ficazione urbana che hanno dato nuova dignità e valore a zone ad alta concen-trazione di bellezza e di arte.

Le pedonalizzazioni di Piazza Duomo, via Martelli, via Tornabuoni, Piazza Pit-ti e delle zone circostanti hanno con-sentito di restaurare le pavimentazioni esistenti in pietra e di riportare la pie-tra negli spazi dove era stata sostituita

Progetto di pedonalizzazione di via Martelli

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Page 23: Nip#14

dall’asfalto, funzionale al traffico veico-lare oramai rimosso, nonché di riquali-ficare le nuove aree pedonali con arre-di di alta qualità.

La spinta impressa all’intera città dalla nuova grande area pedonale tra-scende dimensionalmente il centro stesso con i suoi benefici effetti a cate-na che hanno indotto ad accelerare la

costruzione delle nuove linee tramvia-rie e a modificare le abitudini di “pigri-zia” dei cittadini, ma soprattutto hanno indotto i fiorentini a sentire più vicina la loro grande città d’arte per troppo tempo lasciata in mano solo al “turi-smo”: e le piazze e le strade si sono ri-empite di eventi, di scambi di socialità, di maggior vita.

Note1 Parolotto Federico, The future of transport and cities, published on the magazine l’Arca on February 2012, www.arcadata.com

2Fonti:-Sito Comune Scandicci: http://www.comu-ne.scandicci.fi.it/index.php/a1-terza-corsia.html-Vallerini Lorenzo, Il paesaggio attraversato Inserimento paesaggistico di grandi infra-strutture lineari, (a cura di), Edifir Edizioni, Firenze, 2009-Vallerini Lorenzo, Paesaggio e infrastrut-ture, in Rivista “Architettura del Paesaggio”, n°23 luglio-dicembre 2010, Paysage Ed., Milano, 2010

3Fonte: Sito Comune Scandicci: http://www.scandiccicentro.it/site/home.asp

4Fonti: Sito Comune di Firenze: http://www.comune.fi.it/opencms/opencms/comune_firenze/mobilita/tramvia/Tramvia.html#4

Comune di Firenze, Soc. Tramvia di Firenze S.p.A., Progetto delle sistemazioni paesaggi-stiche-Viale Milton, Viale Strozzi, Archlan-dstudio, 2012

Progetto di pedonalizzazione di Piazza del Duomo

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Ogino Knauss is a collective active since 1995. Born as mutant cinema la-boratory, acts during the years as a constant drift through audio visual lan-guages and communication practices. The group experiments with VJing techniques as a peculiar form of open narrative, in contrast to the dominant tendency to create video tapestries as an ornament to musician and DJs pro-duction. Developing its action at the crossing point between the exploration of etherotopic spaces and the exhibition of disclosing practices of the audio-visual device, Ogino knauss led a steady exploration of new spatial and crea-tive contexts to confront, such as cultural centers, public spaces, temporary occupied zones, art galleries, festivals, dancefloors.

Valerio Massaro,architetto, direttore artistico di NIPmagazine

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intervista

Le visiOni UrBane Di OGinO KnaUssintervista a LOrenzO tripODia cUra Di vaLeriO massarO 27

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Cos’è il progetto Ogino Knauss e come nasce?

Il progetto Ogino Knauss nasce all’inizio degli anni no-vanta a Firenze da un gruppo di studenti fuori sede che ha iniziato a frequentarsi ed a collaborare durante quella che è poi diventata nota come la “pantera”. Nonostante parte del gruppo provenisse dalla facoltà di architettura il vero focus ed interesse comune che ha consolidato il gruppo è stato il cinema: nel mio caso la passione personale e i pri-mi laboriosi esperimenti in super 8 sono stati una palestra che poi diventerà uno degli embrioni del progetto Ogino Knauss.

La voglia di un salto di qualità e di nuove sperimentazio-ni, come il passaggio dall’8 al 16 mm, ci portò ad insediar-ci al Centro Popolare Autogestito, che esisteva da cinque anni, trasformando il vecchio capannone dei concerti in un teatro di posa.

Il film progettato originariamente prese in realtà un’al-tra strada e quello che chiamammo il “laboratorio di cine-ma mutante” diventò in sè il fine del progetto. Questa fase fu contemporanea ad una fase di forte migrazione di artisti e creativi verso quegli spazi fino a creare una sorta di “oc-cupazione nell’occupazione”, importando temi politici e visioni di stampo piu situazionista ed anarchico.

Firenze in quegli anni subì una forte fase di fermento artistico che in parte confluiva in quegli spazi. Ma furono anche gli anni delle prime minacce di sgombero: Ogino Knauss si delineò proprio in questo periodo; dove il fer-mento e la collaborazione di queste tante entità artistiche si fuse con la lotta per la difesa dell’uso di quegli spazi: que-sto influenzò direttamente lo sviluppo dei singoli progetti artistici e l’uso che facevamo di quei luoghi.

Quel periodo storico vide l’esplosione dell’uso del vjing, della musica elettronica e della cultura del vi-deoclip, quindi eravate in un certo senso circondati da questo “nuovo modo di comunicare”

Sì, fu proprio cosí, iniziarono in quegli spazi i primi espe-rimenti di vjing e le serate dedicate alla musica elettroni-ca, che però non riflettevano solo un modello estetico ma diventarono un manifesto: uno strumento politico che ri-specchiava il nostro lavoro creativo collettivo. Mettevamo insieme “cut up” fatti di filmati, immagini ed elementi so-nori provenienti da molti artisti ed esperienze diverse.

In questo periodo Ogino Knauss costruisce un linguag-gio proprio ma paradossalmente lo fa assimilando tutto 28

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triplicity2000-2005 29

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quel materiale eterogeneo che si muoveva intorno a quegli spazi, ricercando contemporaneamente una nuova forma di comunicazione e un nuovo tipo di attivismo politico.

Negli ultimi progetti il lavoro maturato dal VJing e videoarte (con collaborazioni di tutto rispetto nel pa-norama della musica elettronica internazionale) vira sempre di più verso un interesse molto definito nei con-fronti delle città e dell’architettura; più precisamen-te un certo tipo di città e un certo tipo di architettura, penso ai riferimenti modernisti e costruttivisti. Il pro-getto ha una forte coerenza intrinseca oltre ad essere molto attuale; mi riferisco a concetti come quelli di “città generica”, “architettura informale”. Da quello che mi racconti questa focalizzazione non è stata un cambio di rotta, ma una vera e propria maturazione di un progetto fin dal principio molto ben delineato.

Sì, il nostro interesse per i conflitti urbani maturerà pro-gressivamente e dopo l’esperienza del CPA io personal-mente entrai a far parte di un progetto di ricerca nel dipar-timento di urbanistica dell’università degli studi di Firenze, chiamato “insurgent city”, sotto la direzione di giancarlo Paba. Ogino Knauss di fatto si occupò della grafica e del materiale fotografico per la pubblicazione. Il progetto edi-toriale voleva essere un atlante dei conflitti urbani che la cittá affrontava, ma non risultò come una vera e propria pubblicazione accademica ma più come “attivista”, dati i

urban skin2006-2008

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metodi usati dai ricercatori, facendolo rimanere un testo piuttosto “underground” rispetto al mondo accademico, una sorta di oggetto di culto.

Oggi a Firenze cosa rimane del progetto Ogino Knauss? Visto che tu vivi a Berlino e gli altri compo-nenti del gruppo sono altrettanto dislocati in giro per l’Europa e il mondo?

Poco, purtroppo, ma forse questo rispecchia la naturale evoluzione delle cose. Durante l’ultima nostra proiezione a Prato (dove l’arte contemporanea sembra meno indige-sta che a Firenze ultimamente ndr) abbiamo rincontrato un nutrito gruppo di quegli amici e colleghi con cui aveva-mo collaborato rendendoci conto che oggi quella rete si è allargata, da New York a Barcellona, da Londra a Berlino.

Purtroppo quello che vedo è un avanzamento di quelle problematiche che la ricerca di insurgent city cercava di evidenziare. La città ha ancora un disperato bisogno di spazi pubblici e di usi corretti di questi spazi, ma la sua progressi-va trasformazione verso una disenyland del rinascimento sembra ormai inarrestabile, salvo poche mirabili eccezio-ni (Biblioteca delle oblate e Complesso delle murate), basti pensare che dopo anni la struttura dell’area del meccano tessile (area destinata all’arte contemporanea) sia ancora del tutto in stato di abbandono.

Nel tuo racconto scorgo una progressiva maturazio-ne di un metodo, se da una parte avete perso il contatto con Firenze, dall’altra avete maturato questo network globale che si palesa ancora di più con i vostri ultimi progetti (Re:centering periphery), in cui affrontate tematiche molto diverse, parlare oggi di città come Avana, Mosca o in futuro Detroit, Belgrado e Tel Aviv, comporta delle difficoltà e delle differenze di approc-cio notevoli.

In realtà quello che abbiamo sviluppato è un metodo. L’espansione del progetto era in un certo senso inevitabile, abbiamo una propensione naturale all’esplorazione degli spazi altri. Facciamo la scelta programmatica di perderci verso spazi che non ci appartengono e che non conoscia-mo, ricerchiamo un territorio con cui dover ristabilire una relazione.

Questo in realtà fa parte del contesto in cui siamo nati: da “immigrati” ci siamo scontrati a Firenze con una città che ha nella sua identità una forte alteritá. Credo che fin dall’inizio il tema dello scontrarsi con l’alteritá dock k kode

2005

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della città faccia parte del DNA del gruppo.

La dinamica che ci spingeva all’esplorazione è poi anda-ta di pari passo con la marginalizzione di alcune funzioni dal centro storico della città.

In fondo questa tendenza all’esplorazione di spazi altri è stata quella che fin dalle nostre prime produzioni ci ha por-tato da Firenze a Bologna e Milano per esempio.

Quindi è su questa alterità che avete costruito un vero e proprio metodo?

Noi l’abbiamo chiamato ironicamente la “dermatolo-gia urbana”; abbiamo sempre avuto un interesse morboso per i “segni” della città, dal graffitismo ai piccoli volantini: piccoli segni che si accumulano sulla pelle della città che però ne raccontano delle dinamiche precise. Come un der-matologo dalle macchie sulla tua pelle capisce che tipo di problema hai, la nostra missione un po’ ironica è quella di riuscire ad analizzare una città guardando le sue manife-stazioni più epidermiche e superficiali. Questi segni super-ficiali manifestano però una grande quantità di contenuti, anche dove essi vengono a mancare, per esempio è stato per noi molto significativo trovare pochissimi segni di que-sto tipo in una città come Mosca.

EUR extreme urban

ratio2001

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Non esistono delle contraddizioni tra il vostro lin-guaggio “postmoderno”, politico e critico e il mondo delle periferie in cui vi addentrate che sono invece per-meate dal modernismo e dalle ideologie?

Siamo tutti immersi nelle contraddizioni, una delle con-sapevolezze iniziali è stata quella della globalizzazione; quella di vivere in una società svincolata da sistemi di con-trollo e governo del territorio legati a scale conosciute, ma che diventa una società “networker” continuamente attra-versata da movimenti ed idee. Pensiamo alla cultura del re-mix, dei traveller.

Trattiamo il tema della globalizzazione consci del suo dualismo: da una una parte bisogna aprirsi alla connes-sione di comunità ed idee che non sono necessariamente intorno, dall’altro lato la necessità di frenare questo supe-ramento indiscriminato di ogni tipo di legame con la loca-lità ed il territorio che non necessariamente rappresenta qualcosa di positivo. Abbiamo sempre esplorato queste due polarità: da un lato la costruzione di solidarietà e comunità su più livelli utilizzando media e strumenti di comunicazio-ne nuovi, dall’altro lato la difesa di quei diaframmi che con-sentono alle comunità di mantenere una loro identità.

Questi temi sono molto ampi ed abbiamo cercato nel tempo di trattarli sotto punti di vista diversi.

take me to the river

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A proposto di questo, mi parli del vostro ultimo pro-getto?

Re:centering periphery, è stato in un certo senso una summa di tutti i ragionamenti fatti nel corso degli ultimi anni; abbiamo voluto focalizzare il pensiero modernista; un pensiero che ha caratterizzato di fatto tutti i pensieri ar-chitettonici ed urbanistici del novecento. Abbiamo guarda-to a questa ideologia modernista come al primo tentativo di costituire l’hardware della globalizzazione. Una tecnolo-gia e delle procedure di produzione e concezione spaziale unificate dal movimento del Ciam che in qualche modo hanno pervaso il pianeta producendo delle idee di standar-dizzazione e prefabbricazione. Il rifiuto degli ornamenti e dei regionalismi è stato applicato in tutto il pianeta produ-cendo città o parti di città del tutto nuove che rispondono tutte ai medesimi principi.

Re:centering periphery è nato dall’idea di esplorare que-sta città “standard” che vuole essere “La Città”. Come di-ceva Lefebvre l’urbanistica non è più un discorso di città ma di urbanizzazione, quindi questo processo investe tutto il mondo. La nostra idea è stata quella di esplorare questa stessa città in diversi luoghi per cercare paradossalmente di vederne le declinazioni locali.

Ovviamente noi abbiamo dei seri dubbi su questa volon-tà di standardizzazione, ogni luogo ha delle sue energie e spinte ed i suoi processi di appropriazione.

berlin, the power of emptyness

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Una curiosità per concludere: perché Ogino Knauss?

Siamo sempre stati affascinati dall’errore generativo. Ogino Knauss è il nome di un metodo anticoncezionale che fondamentalmente non funziona; ha riempito il mondo di figli non voluti. è il concetto di errore generativo appunto, pensiamo al glitch nell’elettronica, nella video arte, ma an-che al rumore di fondo della città.

Questo concetto in fondo non ha solo influenzato il no-stro modo di lavorare ma anche il percorso artistico che il gruppo ha preso: spesso non siamo stati noi a scegliere i la-vori ma i lavori a scegliere noi. Solo dopo questo incontro/scontro casuale Ogino Knauss, che nel tempo è diventato un’entità a se stante di cui nessuno del gruppo sembra ave-re pieno controllo, applica il suo metodo, la sua personalità, il suo modo di cercare di decifrare nuovi flussi e nuovi spa-zi urbani. è accaduto così per l’Avana, dove fummo invitati, come per Mosca.

è significativo che rimanga questa ambiguità anche nell’output delle nostre ricerche, dove vengono miscelati elementi visivi, documentari e contenuti accademici più strutturati.

dom novogo trailer, 2013

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Annalaura CiampiArchitetto, laureata a Firenze nel luglio 2012 con una tesi sulla riqualificazione dei beni confiscati alla camorra, attualmente lavora a Bologna nell’Associa-zione Architetti di Strada; in questa sede sviluppa progetti in cui l’architettura è vista come uno strumento per risolvere i problemi della città con un approc-cio integrato, studiandone il contesto sia sociale che culturale, usando meto-dologie socialmente ed ecologicamente sostenibili, favorendo il riuso e la ri-qualificazione.

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Benvenuti a Casal di PrinCiPe:

riqualificazione sociale ed urbana attraverso il recupero di beni confiscati alla camorra*

se vuoi un anno di prosperità fai crescere il granose vuoi dieci anni di prosperità fai crescere gli alberise vuoi cento anni di prosperità fai crescere le persone Guan ZhonG (filosofo e politico)

* tesi vincitrice del primo premio sulla legalità intitolato a caterina e nadia nencioni, giovani vittime della strage dei georgofili.

di annalaura CiamPi

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Benvenuti a Casal di Principe è un progetto che nasce da una tesi

di laurea: alla fine del mio percorso di studi stavo cercando un tema che mi potesse appassionare e coinvolgere; ho trovato un concorso bandito da Agrori-nasce s.c.r.l.– Agenzia per l’innovazione, lo sviluppo e la sicurezza del territorio - sul tema del recupero dei beni confi-scati alla camorra ed ho iniziato questo percorso.

Il lavoro propone un intervento di riqualificazione sociale e urbana di Casal di Principe, attraverso il recupero di questi beni.

Il piccolo comune del casertano, nell’immaginario collettivo, è associato al clan dei casalesi, alla camorra e all’o-mertà o, eventualmente, alla spazzatu-ra, a Napoli e agli omicidi. Non si tratta solo di un luogo comune, ma anche di una lettura possibile della realtà. Ma non l’unica.

Dal punto di vista architettonico e urbanistico, è un territorio di cementi-ficazione selvaggia e abuso edilizio, che si è sviluppato, in gran parte, in assenza di un piano regolatore.

Viaggiando per la prima volta per le strade di Casal di Principe, ri-

gorosamente accompagnata da qualcu-no del posto, mi sono sentita disorien-tata: le strade che percorrevo erano più simili al set di un film che a quelle di una città reale: muri alti e inviolabili, strade strette senza marciapiedi, senza illuminazione pubblica, senza piazze o luoghi di aggregazione.

Si percepiva un contrasto tra am-biente naturale e ambiente antro-pizzato, costruito dall’uomo: era una splendida giornata di sole, in un clima quasi primaverile e dalle cancellate spuntavano spesso dei rami di aran-ci che, nonostante il recinto imposto, continuavano a crescere e superavano i muri; un segno di ribellione!

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Parlando con la persona che mi sta-va accompagnando, inoltre, ho visto

attraverso i suoi occhi e le sue parole un mondo poco visibile, che sta crescen-do sempre più e sempre più si rafforza: alcune delle persone che vivono in quel territorio stanno rompendo gli schemi, oltrepassando i confini (un po’ come gli alberi di arancio). Queste persone stanno lì e vogliono continuare a farlo, allevando-vi i propri figli, cambiando la realtà in cui sono cresciuti, tenendo il buono e buttan-do il cattivo. Questa forte propulsione al cambiamento si concretizza nelle molte-plici realtà di associazionismo sociale che popolano il territorio.

Le persone sono la principale fon-te di cambiamento: attraverso di esse si può cambiare l’immagine della città e la realtà in cui si vive.

Se la realtà in cui si opera è fuori dagli schemi convenzionali, anche la soluzione dovrà esserlo.

Il progetto si basa su due tipi di inter-vento: una rete di micro azioni a livello urbano in cui ci si riappropria della città attraverso piccoli cambiamenti economi-ci e veloci, ed un altro pensato sui singoli edifici confiscati dove gli spazi che pri-ma erano inaccessibili e fonte di paura, diventano pubblici e trasparenti.

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Il processo urbano dovrebbe essere una contaminazione virale: con-

quista un ambiente, moltiplicandosi in tempi più o meno rapidi, in un mecca-nismo virtuoso fatto di interventi sem-plici, poco costosi, ma efficaci e capaci di qualità, come il posizionamento di un canestro da basket o il disegno a ter-ra di ‘salottini’ come spazi di aggrega-zione…

La prima azione di questo progetto, infatti, è comunicare che il cam-

biamento è possibile e alla portata di tutti, grazie a concetti di autocostruzio-ne, recupero e riuso.

gli edifici confiscati vengono utiliz-zati come sedi delle varie associazioni che lavorano sul territorio; il piano terra viene svuotato e diventa parte integrante della città, creando quegli spazi pubblici, di aggregazione, che

mancano nel tessuto cittadino: piazza, spazio verde, spazio giochi per bambini e ragazzi…

La parte centrale viene mantenu-ta esternamente uguale a memoria di quello che l’edificio stesso rappresen-ta. Ci dobbiamo ricordare che in luoghi come questi, in cui la camorra ha un controllo capillare del territorio, anche solo entrare in un edificio confisca-to è un atto di coraggio perché in quel momento ti schieri contro l’organizza-zione.

Ricordare cosa è stato, è impor-tante quanto far vedere che qualcosa sta cambiando.

Inoltre ogni edificio in copertura avrà un volume aggiunto, accessibi-le dal cortile esterno, tipico delle case bunker: il tetto diventa quindi un’altra città, quella virtuosa, quella del futuro,

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quella possibile; ricca di colore e di verde, con al centro uno spazio ‘lanterna’, visibile dagli altri tetti. Quando ar-rivi in copertura, vedi tutte le lanterne degli altri edifici confiscati, ti senti parte di un tutto e scopri di essere forte.

Ogni edificio rappresenta in qualche modo il proces-so progettuale complessivo: il piano terra è il presente, da cui si parte; i piani superiori sono il passato, la realtà su cui si costruisce, e la copertura è il futuro, la città pos-sibile grazie all’impegno di tutti.

Questo progetto infatti coinvolge in prima istanza le persone che abitano i luoghi su cui intervie-

ne: sono loro ad avere la percezione della realtà in cui vivono, che la conoscono profondamente e che sanno se funziona. Un occhio esterno può aiutare a rompere gli argini, a variare gli schemi, a credere nel cambiamen-to; ma senza le persone che vivono quello spazio il cam-biamento non è possibile. Il processo è architettonico, ma principalmente sociale: ogni persona è dotata di un talento, che condiviso con altre persone porta un ar-ricchimento per tutti; attraverso laboratori, progetti di autocostruzione ed attività organizzate, ci si impara a co-noscere e rispettare. Si crea una comunità. Inoltre, se ti metti in gioco in prima persona per fare un lavoro, per creare un qualcosa, alla fine sentirai tuo quel qualcosa e ne sarai custode.

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In questo modo la realtà può cambia-re e la città con lei.

Questo progetto è pensato per i citta-dini di Casal di Principe e deve essere sviluppato con loro.

Senza aspettarsi grandi risultati.Senza voler cambiare il mondo tut-to insieme. Un passo alla volta, una persona alla volta.

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AVVENTURE CREATIVE AL FESTIVAL DEL PAESAGGIO A ROMA di Collectif_Etc

a cura della redazione di NIP

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Tre giornate dense di avveni-menti nella splendida cornice

esterna dell’Auditorium della Musica a Roma, hanno caratterizzato la terza edizione del Festival del Verde e del Pa-esaggio, dedicata alle sfumature scien-tifiche, artistiche e culturali del verde, tra produttori di piante e paesaggisti, designer di esterni, amanti del fai da te, creativi decorativi del giardino d’avan-guardia e di quello dei bambini.

In questa rassegna ricca di idee e di novità, il Paesaggio è soltanto evocato e declinato nell’ambiguo spazio del giar-dino pensile o di balcone o in alcune piattaforme, denominate “Follie d’au-tore”, realizzati da sei studi professio-nali del verde urbano sulla terrazza pa-noramica dell’Auditorium.

Franco Zagari ne è stato il curatore e incontrandolo al momento dell’inau-gurazione della rassegna ha osservato che: “Il giardino nella storia umana ha sempre rappresentato una soglia criti-ca particolarmente espressiva dei valo-ri simbolici e rappresentativi dell’idea che ogni società ha dell’abitare. Questi piccoli giardini, di 30 mq ciascuno, se affidati in buone mani, possono rappre-sentare un’occasione ambiziosa per ri-flettere sulla necessità di una maggio-

"La sedia che scotta" di Claudio Bertorelli/Asprostudio

"Bancali per Roma" di Elena Donnini, Loriana

Alessia Bellia56

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re qualità dell’habitat con un pubblico che è pronto ad aprire un dialogo.”

Tra queste “Follie”, particolare in-teresse ha suscitato il “giardino del vento” di Daniela Colafranceschi, un giardino verticale di Tillandsie, pensa-to come un tessuto, una filigrana, una trama vegetale che separa, che marca uno spazio e filtra la sua percezione; una sequenza di pareti verdi, che scan-discono un ritmo di ambiti aperti tra loro in relazione.

Un approccio fortemente simbo-lico e creativo è stato mostrato

ai visitatori nella “Follia” denominata “La sedia che scotta” dell’Aprostudio di Claudio Bertorelli, che ha trascinato

molte persone ad attraversare lo spa-zio acquatico del mini-giardino con ap-positi stivali e a lasciarsi dondolare su

in alto“Giardino al femminile”di Maria Elena Marani

"Verde a colori" di Laura Orazi 57

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un’altalena, ubicata nel punto più alto dell’anfiteatro davanti all’Auditorium, in modo da percepire con lo sguardo il punto focale geometrico della cavea e immaginare di liberarsi in volo verso l’infinito (per chi fosse dotato di mag-giore capacità di suggestione e di im-maginazione).

All’estremità opposta della gran-de terrazza che circonda la ca-

vea esterna dell’Auditorium di Renzo Piano, si trovavano le piattaforme più creative del Festival, affidate all’estro creativo di giovani architetti o giardi-nieri paesaggisti.

Lo spazio più ampio ha permesso l’esposizione dei progetti vincitori di un concorso creativo tra giovani archi-tetti del paesaggio e designers, quali il “giardino seduto” (di Sergio Capoccia e Margherita Brusca), un allestimento di seduta “conviviale” in mezzo a piante e fiori dal semplice ed essenziale design;

oppure l’allestimento denominato “Siamo sulle spine” (di A. Stampanato, F. Qualizza e R. Repuzza) una piattafor-ma rialzata che costituisce un assetto radiale dal triplice accesso di scale in legno tropicale di Okan che attraversa-no un denso e spinoso roseto,che dà il senso della precarietà della vita quoti-diana dell’individuo, al quale viene of-ferta una duplice opportunità: quella dell’incontro al centro della piattafor-ma e quella dell’osservazione contem-plativa verso l’esterno, dall’alto della piattaforma.

Le due principali aree espositive del festival erano connesse tra di

loro da un vero proprio “Suk del verde ornamentale”, da diverse tipologie di

in alto"Guardalla'" Progetto dell'Istituto Quasar

"Siamo sulle spine"di Antonio Stampanato, Francesco Qualizza, Rocco Repezza

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balconi fioriti che esaltavano un gusto un po’ retrò del verde urbano e da pic-coli stands di artigiani che proponeva-no materiali inconsueti per l’arredo del giardino. Il filo conduttore dell’intero Festival è apparso essere quello di una riflessione, in tempi di crisi economica e sociale, sul progetto del giardino effi-mero, come Laboratorio del paesaggio della crisi che ogni cittadino vive.

Una riflessione, a nostro avviso, solo parzialmente riuscita, poiché la creati-vità di alcuni Progetti di giardino effi-mero non riuscivano ad oltrepassare la dimensione commerciale della vendita di fiori e di verde ornamentale per usi e interessi individuali.

Lo scenario suggestivo dei due gi-ganteschi “involucri” realizzati da Renzo Piano per il parco della Musica, suggeriva una maggiore audacia verso un allestimento paesaggistico di alto livello, sfruttando tutta la gamma del-le diverse specie arboree di medio ed alto fusto del mercato vivaistico italia-

no, completamente assenti dal Festival, che avrebbero potuto comporre quella relazione tra giardino e paesaggio, di cui molti hanno sottolineato la man-canza.

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il lib

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Massimo Sargolini,

Springer-Verlag Italia 2013

Gabriele Paolinelli – [email protected] (1965), architetto, è ricercatore in Architettura del paesaggio presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato alla Facoltà di Agraria di Bologna ed alle Facoltà di Architettura e di Economia di Firenze. È revisore per le riviste scientifiche Land use policy, European planning studies, Agricultural engineering international, Ter-ritorio, Archivio di studi urbani e regionali e per il Ministero italiano dell’università e della ricerca.Si occupa di alcuni temi dell’architettura del paesaggio, in relazione ai problemi di analisi e diagnosi ed alle opzioni di pianificazione e progettazione: sviluppo di scenari paesaggi-stici per la definizione di master plan e la valutazione di piani territoriali o urbani, semiotica del paesaggio, consumo di suolo, frammentazione dei paesaggi.

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Le recensioni di

il libroQuello delle relazioni tra i paesaggi e la qualità

della vita delle persone è un profilo di studio complesso che può mutare anche notevolmente per significati e loro rilevanza in ragione delle concezioni dei due termini in questione.

Massimo Sargolini affronta questa tematica con due chiavi principali, definendo una struttura inter-pretativa delle realtà contemporanee entro la quale debbono essere letti in coerenza anche i contributi specifici dedicati al caso studio della Città Adriati-ca. Il rapporto tra tali chiavi paradigmatiche, solo in apparenza paradossale, costituisce il focus attraverso il quale è possibile seguire l’autore nel pensiero che propone ed avviarsi su strade che da questo muovono o divergono.

La prima chiave di lettura designa i paesaggi ur-bani come manifestazioni cruciali per la qualità della vita. Lungi dal costituire una netta parzializzazione, pe-raltro lecita e spesso necessaria in ambito scientifico, l’accento urban landscapes propone una visione es-senziale nella interpretazione della contemporaneità,

URBAN LANDSCAPESEnvironmental Networks and Quality of Life

di Gabriele Paolinelli

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che poco ha a che vedere con gli studi paesaggistici della città tradizionalmente intesa. Ben più complessa e pervasiva è la fenomenologia che può essere inda-gata mediante i punti di vista e le questioni che il volu-me offre. Di detto accento occorre infatti considerare le motivazioni che stanno oltre quella per lo più nota e scontata della crescente rilevanza della quota della popolazione del Pianeta che vive e lavora nelle città. Sono in atto infatti da alcuni anni dinamiche socio-culturali di urbanizzazione delle popolazioni che inte-ressano quantità di individui e gruppi sociali assai più cospicue. La diffusione di massa dei modelli urbani oltre ogni limite delle città e delle loro evoluzioni no-vecentesche meno consolidate e compiute può essere fatta risalire al primo periodo postindustriale, mentre quella elitaria risale molto più a lungo la storia, dalla quale si traggono esempi come le campagne toscane e venete nel rinascimento. è evidente però come tale diffusione di massa abbia avuto un impulso non tra-scurabile a partire dalla metà degli scorsi anni ’90 con la progressiva colonizzazione digitale delle comunica-zioni, del lavoro e sempre più in genere della vita degli individui. Si ritiene pertanto significativo considerare sotto l’ombrello comprensivo degli urban landsca-pes quelle realtà nelle quali i suddetti modelli cul-turali, sociali ed economici si sono diffusi e si stanno diffondendo, generando effetti materiali nei paesaggi, oltre che effetti immateriali nelle loro percezioni.

La seconda chiave di lettura identifica le reti am-bientali come riferimento cruciale per la compren-sione della realtà, ma anche per l’accesso a dimensio-ni progettuali avanzate, di natura sistemica, che, per quanto detto sopra, non sono in alcun modo un’opzio-

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il librone, bensì una necessità per migliorare l’adeguatezza e l’efficacia delle politiche territoriali e degli interven-ti definiti nei piani e nei progetti. Il ruolo complesso delle environmental networks di cui si discute non ha dunque profilo settoriale, specializzante, bensì pro-filo comprensivo, integrante, come evidenzia Roberto gambino nella prefazione. Le reti sono un paradig-ma per l’interpretazione della complessità della vita a fronte dell’obiettivo generale di pensarne la quali-tà attraverso i paesaggi. giorgio Osti, nella postfazio-ne, tracciando un sommario dei tre punti principali del volume, scrive infatti che la rete agisce come una potente metafora dello sviluppo urbano e come uno strumento per la strutturazione della pianificazione. Per la stretta connessione, è significativo citare gli altri due punti che Osti antepone. Il paesaggio è uno stru-mento di mediazione fra natura e cultura, fra physics e techne. gli autori marcano l’importanza della colla-borazione di più discipline per evolvere una migliore capacità di pianificazione.

Massimo Sargolini conduce il lettore in un percor-so denso di stimoli, nel quale i singoli capitoli possono costituire utili supporti di approfondimento dei vari argomenti, ma è indubbio che il libro abbia una rile-vanza non trascurabile nella visione che emerge dalla globalità delle relazioni tematiche che propone. I pri-mi due capitoli, ricchi di riferimenti pregnanti quanto concisi nel loro sviluppo introduttivo, rintracciano le basi su cui il ragionamento contemporaneo può fon-

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il lib

rodare una evoluzione. Dalle relazioni fra le categorie primarie Bios, Techne e Logos, la riflessione sui rap-porti tra ecologia ed estetica conduce alla identifica-zione nelle dimensioni paesaggistiche della realtà di nuovi possibili termini di relazione. L’autore dal terzo capitolo avvia uno scandaglio profondo di una serie di temi e punti di vista che vanno progressivamente a costruire quel senso complessivo dell’opera che con tratti diversi e complementari è stato posto in eviden-za da gambino ed Osti. Dalle relazioni tra qualità degli ambienti e qualità dei paesaggi, si passa a considera-re le dinamiche di evoluzione dei sistemi insediativi urbani, per poi delineare una sorta di primo bilancio critico in relazione ad una domanda che sottintende una riflessione sul senso stesso dei paesaggi: le comu-nità umane possono ancora produrne? Questo è pro-babilmente un punto di snodo, se l’autore propone poi alcuni temi nei quali rintraccia potenziali utili a gene-rare cambiamenti di visione e punta la sua attenzione sulle reti delle relazioni ambientali come fondamento per l’evoluzione di Smart Communities abitanti di Smart Territories.

è evidente come Massimo Sargolini, con i molti au-tori che lo hanno coadiuvato, proponga un profilo di riflessione incisivo, alla cui rilevanza scientifica deb-bono essere associate anche le proprietà di significa-tivo indirizzo tecnico e di chiara utilità didattica.

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