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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #15 Luglio/Agosto2013

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Rivista bimestrale di paesaggio, architettura e cultura contemporanea. http://www.nipmagazine.it/

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Periodico bimestrale, Registro Tribunale di Pisa n° 612/2012, 7/12 “Network in Progress” #15 Luglio/Agosto2013

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Casa Editrice: ETS, P.za Carrara 16/19, PisaLegale rappresentante Casa Editrice: Mirella Mannucci Borghini

Network in ProgressIscritta al Registro della stampa al Tribunale di Pisan° 612/2012, periodico bimestrale, 7/12 “Network in Progress”

ISSN 2281-1176

[email protected]

Copertina a cura di:Giuseppe di Carlo www.giuseppedicarlo.comEditing and graphics:Valerio MassaroVanessa LastrucciLuca Casarano

Con il patrocinio di:

Enrico Falqui_ [email protected]

Direttore Responsabile

Stella [email protected]

Direttore Editoriale

Valerio [email protected]

Direttore Creativo

Francesca Calamita_ [email protected]

Responsabile eventi, attività culturali e tirocini

Silvia Ruzziconi_ [email protected]

Responsabile marketing e pubblicità

Paola Pavoni_ [email protected]

Responsabile network culturale

Vanessa Lastrucci_ [email protected]

Responsabile Social Networks

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Editoriale

I mondo dei bambini è al-tro da quello degli adulti,

solitamente diverso non significa migliore, ma sen-za dubbio è un qualcosa che ci invita a pensare e ci fa capire punti di vista che non immaginiamo.

Recentemente era pos-sibile vedere un video

in internet che portava a riflettere sul concetto di generosità e condivisione. Una telecamera nascosta osservava le reazioni di due bambini al momento in cui veniva loro offer-ta la merenda, servita in un piatto coperto, uno dei due piatti una volta sco-perchiato era però vuoto.

Osservando una scena di questo tipo ci si aspetta che il bambino fortunato si butti sul suo ricco piat-to ignorando che quello del vicino sconosciuto sia completamente vuoto, perché tutti lo sappiamo: “i bambini sono egoisti!”. E invece no, quelli del vi-deo hanno tutti diviso, con allegria e soprattutto sen-za pensarci nemmeno un attimo, con semplicità, la merenda con il vicino!

Sarà sicuramente una creazione mediatica

questo piccolo video, ci saranno stati nelle riprese anche alcuni egoisti, ma non è questo il punto, que-

sto ha fatto riflettere. Non sappiamo quanti adulti avrebbero reagito con tan-ta naturalezza all’idea del-la condivisione. Quando è che gli adulti si dimentica-no degli altri e del piacere di condividere?

Condivisione significa prendersi cura delle

altre persone, ma anche delle cose che non sono strettamente tue ma co-muni; città, spazio pub-blico, spazi di passaggio e d’incontro che rientrano senza dubbio in quelle ca-tegorie che sono perce-pite dalla maggior parte delle persone non come proprie, ma ad uso di tut-

Copertina a cura di:Giuseppe di Carlo www.giuseppedicarlo.comEditing and graphics:Valerio MassaroVanessa LastrucciLuca Casarano

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ti. Ed ecco qua che l’adul-to medio italiano, si di-mentica completamente del comportamento che avrebbe tenuto se fosse stato un bambino e là dove la cosa non è sua la perce-pisce come estranea, trat-tandola senza cura.

Eppure i bambini di oggi sono sempre più co-

stretti a vivere in spazi ar-tificiali, costruiti, pensati apposta per loro, che de-vono rispondere a una mi-riade di norme tecniche e di sicurezza, lo scivolo di plastica, il terreno di tar-tan, la casetta di legno trat-tato, l’altalena di gomma, il tunnel di cemento e così

via. E’ sempre inferiore il contatto con la natura, è sempre minore la varietà degli spazi, è sempre mag-giore la standardizzazione, nelle dimensioni, nei ma-teriali. Eppure ancora si possono salvare da questa costrizione moderna.

Tanti, ma ancora trop-po pochi, i progetti

che considerano il bambi-no in prima persona.

In questo numero qual-che esempio di come

può essere il bambino a decidere e progettare il proprio spazio del gioco, del divertimento, vedre-mo lo spazio pubblico da

un punto di vista diverso dal solito. Abbiamo strut-turato un piccolo proget-to sviluppato attraverso la raccolta fotografica di Fra-mes, che cerca di vedere lo spazio pubblico attraverso gli occhi dei bambini, ca-pire che cosa è per loro, che cosa rappresenta. Il ri-sultato, pur se tratto da un campione molto ristretto, conferma quanto già detto sopra, e cioè che i bambini hanno uno sguardo parti-colare più attento di quel-lo di un adulto a quello che è uno spazio comune. Sopratutto la cosa che ci ha colpito maggiormen-te è il fatto che a tale con-cetto venga quasi sempre

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associato quello di relax, uno spazio creato ed uti-lizzato come migliorativo della vita dell’individuo, e soprattutto un luogo dove essere felici che viene da loro vissuto come un luogo speciale.

Dunque è così, i bambini sono consapevoli del

fatto che sia importante cercare di essere felici e associano a questo la con-divisione e la vita in uno spazio comune.

É anche vero però che i bambini non nascono

con questo concetto inna-to, ma piangendo ed esi-gendo quello di cui hanno bisogno dai loro genitori e solo con il tempo dopo al-cuni mesi imparano a ride-re coscientemente e a go-dere delle cose, una volta imparato cercano di met-terlo sempre in pratica.

Per gli adulti è uguale, è facile lamentarsi, stare

male e non prendersi cura di ciò che è altro, occorre impegnarsi per imparare

a rilassarsi, sorridere ed essere felici…chissà seduti su una panchina in un giar-dino di città….

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La copertina è un’illustrazione originale a cura di

[email protected]

www.giuseppedicarlo.tumblr.comsearch me on facebook

“Mi chiamo Giuseppe, in arte Mr.G. vivo e lavoro a Firenze, città dove vivo da ormai 10 anni.

Faccio l’ illustratore da 9 - 10 anni, tutti i lavori anche quelli in digitale nascono da schizzi su carta.

Ho iniziato disegnando collezioni per t shirt, locandine per corsi di teatro e loghi, negli ultimi anni ho portato i miei

lavori su vari muri di Firenze”

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RUBRICHEArchitettura che ci piace

La terra dei bambiniUn centro per l’infanzia per Um Al Nasser

di Paola Pavoni

Frames Un parco, una piazza, una strada:

Lo spazio pubblico visto dagli occhi dei bambinia cura della redazione

FOCUS ONProgetto dello spazio ludico e giardino:intersezioni fantastichedi Anna Lambertini

IL PROGETTOSolidarietà condivisa e senza marchiodi Luigi Castelli Gattinara

Giardini scolasticiAscoltiamo gli espertia cura di ABCittà

CREATIVITÀ URBANALe piazze dei bambini Un luogo di pace e felicitàdi Daniele Zavalloni

Clown in corsiadi Giulia Cavallini

LE RECENSIONI_il libro_ Camminare il paesaggio

di Gabriele Corsani

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ContentsContents #15

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supportaacquistando questo spazio pubblicitario!

per info: [email protected]

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Architettura che ci piace/ non ci piace

Il progetto di un Centro polifunzionale per l’infanzia, “Terra dei Bambini”, è il risul-

tato di una stretta cooperazione tra la On-lus Vento di Terra e due importanti studi di architettura e ricerca, Arcò – Architettura & Cooperazione e MCA - Mario Cucinella Architects, nel rispondere ad una richiesta di aiuto proveniente dalla comunità di Um al Nasser, a Nord della Striscia di Gaza, per garantire accessibilità a servizi educativi ai bambini della comunità e alle donne del villaggio.

Il progetto realizzato tra 2011 e 2012, ospi-ta circa 150 bambini in età pre-scolare e

reinterpreta il modello della tenda bedu-ina, valorizzando l’identità della “civiltà della tenda” di cui la comunità di Um al Nasser fa parte.

Il Centro per l’infanzia è un edificio ad un piano, parzialmente interrato, per una

superficie totale di 400 mq di patio giar-dino e 600 mq che comprendono 6 aule, libreria, direzione, aula docenti, area acco-glienza, laboratorio attività psicomotorie, spazio polifunzionale, sportello famiglie, infermeria e servizi igienici. Un’ampia co-pertura che ripiega su se stessa richiama la disposizione ondulata dei teli e favorisce il controllo climatico interno all’edificio, at-traverso l’innesco di moti convettivi dell’a-

ria, e la raccolta dell’acqua piovana che vie-ne convogliata in una cisterna interrata; un sistema di brise-soleil in legno, le cui li-nee orizzontali richiamano le tipiche deco-razioni dei tessuti autoctoni, controllano l’irraggiamento solare; i muri dell’edificio, costruiti con la tecnica dell’heart bag, sac-chi riempiti di terra disposti uno sull’altro, garantiscono l’isolamento termico e acu-stico, tenendo i bambini al riparo dal clima e dalla realtà esterna.

L’impiego di materiali a basso costo e reperibili sul luogo hanno permesso il

coinvolgimento di manodopera locale non specializzata nella realizzazione dell’edifi-cio ed ha contribuito alla sua formazione nella realizzazione di un impianto di fito-depurazione e di un impianto fotovoltaico che permette alla scuola di funzionare con l’energia solare. “La Terra dei Bambini” è un’architettura di pace.

Credits:Progetto Architettonico: Arcò – Architettura & Cooperazione; Mario Cucinella ArchitectsDonatori: Ministero Degli Affari Esteri - Cooperazione Italiana; Cei – Conferenza Episcopale Italiana; Comune Di Milano; Comune Di Sesto San Giovanni (MI); L.U.S.H. Italia; Rete Sostenitori Vento Di Terra OngImmagini fornite da Studio MCA- Mario Cucinella Architects

Info:http://www.mcarchitects.it/project/la-terra-dei-bambini http://www.ventoditerra.org/la-terra-dei-bambini-la-scuola-per-linfanzia-di-gaza/

di Paola Pavoni

“LA TERRA DEI BAMBINI”UN CENTRO PER L’INFANZIA

PER UM AL NASSER

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Un parco, una piazza, una strada: lo spazio pubblico visto dagli occhi dei bambinifoto e testi a cura della Redazione

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Lo spazio pubblico visto con occhi e scopi diversi, con gli occhi dei bambini. Anche

i più piccoli, come gli adulti, hanno bisogno di luoghi pubblici, di conoscerli, di viverli, di dare il loro punto di vista su spazi che fanno parte della loro vita quotidiana.

Per questo abbiamo chiesto a loro di es-sere fotografi per un giorno, portando

alla nostra attenzione quello che per loro rappresenta uno spazio pubblico, quello che non deve mancare nei luoghi dove trascor-rono il tempo libero. Giovani esploratori tra i sette e gli undici anni ci hanno raccontato la loro idea di luogo pubblico, l’hanno disegna-ta ognuno secondo le proprie sensibilità e in un “gioco di parole”, di confronto reciproco, hanno spiegato quali sono gli elementi che secondo loro caratterizzano un parco, una piazza, una strada. Una ricognizione d’idee a loro e a noi necessaria per lasciarli liberi, con solo uno strumento in mano, la macchi-na fotografica, di ritrarre tutti gli oggetti e i luoghi che per loro rappresentano lo spazio pubblico. Lasciamo che siano loro a raccon-tare…

Laura (11 anni): …abbiamo fatto un progetto sugli spazi pubblici… io ho disegnato un

parco con i dei grandi sassi per sdraiarsi, Sofia ha disegnato un parco con tanti giochi, e Federica ha disegnato la strada. Siamo an-date in giro per la città e abbiamo fotogra-fato le cose che abbiamo scritto e disegnato

Federica (7 anni): … siamo andati a fare le foto e i disegni agli spazi urbani. Io ho

disegnato la strada e il mare…

Ludovica: …Per me uno spazio pubblico è una strada, un parco, una piazza. Uno

spazio qualsiasi utilizzato da chiunque … Sarebbe molto bello secondo me se ci fosse più verde a disposizione, e che questi luo-ghi fossero pensati e studiati per far vivere meglio l’uomo.

Leonardo: … per me uno spazio pubblico è: uno spazio dove tutti, bambini, anziani,

possono giocare, passeggiare e riposarsi. Io vorrei che in questi luoghi ci fosse più natura e più piste ciclabili così le persone potrebbe-ro rilassarsi ed essere più felici…

Hanno collaborato con la redazione di NIP Silvia Lanfranchi, Ludovica Marinaro e i foto-grafi Federica, Laura, Leonardo, Ludovica e Sofia.

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Anna LambertiniArchitetto e paesaggista socia AIAPP/IFLA, specializzata in Architettura dei giardini e Progettazione del Paesaggio, con Phd in Progettazione Paesistica, dal 1995 lavora nel campo dell’architettura del paesaggio, come progettista e ricercatrice free lance. Ha fondato con Tessa Matteini lo studio Limes. Docen-te al Master in Paesaggistica di Firenze, è autrice di più di ottanta pubblica-zioni ed è coordinatrice di redazione della rivista Architettura del Paesaggio.

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Progetto dello spazio ludico e giardino: intersezioni fantastiche di Anna Lambertini

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Esiste una fitta trama di connessio-ni, reali e metaforiche, che ci per-mette di utilizzare con vantaggio,

e assoluta pertinenza, il riferimento all’arte del giardino come ambito cul-turale e disciplinare privilegiato per guardare alla produzione degli spa-zi ludici della città contemporanea.

Per cominciare, si può dire che rife-rirsi all’arte dei giardini permette di appuntare con immediatezza l’at-

tenzione su un luogo speciale, il giardino, storicamente riconosciuto come spazio del libero gioco dell’immaginazione. Un resistente legame tra giardino e spazio ludico è da subito introdotto: entrambi si configurano come ambiti destinati a

stimolare la fantasia e la libertà d’imma-ginazione dei loro fruitori. Una seconda suggestione connettiva è data dalla tra-dizionale identificazione di entrambi i dispositivi spaziali come di luoghi circo-scritti, protetti e definiti da limiti: giardi-ni e campi gioco nascono come speciali “recinti” creati per far vivere esperien-ze fisiche, percettive e sensoriali, reali.

Collocandoci in una prospettiva di lettura storica e interdisciplinare retrospettiva, troviamo poi altre

promettenti relazioni semantiche. Pen-siamo ad esempio alla introduzione del termine kindergarten (giardino d’infan-zia): nel 1837 il pedagogista tedesco Fri-ederich Fröbel lo usa per la prima volta

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per designare un nuovo tipo di scuola per l’infanzia, ideata in applicazione di specifici indirizzi educativi. Secondo le teorie fröbeliane, fortemente intrise dello spirito igienista positivista dell’e-poca, i bambini sono simili a fiori e de-vono crescere in un giardino. Grazie all’uso di particolari elementi-gioco, definiti doni fröbeliani (in tutto venti combinazioni tra figure solide, forme geometriche, oggetti vari come ciotto-li e perline), i bambini sono sollecitati all’uso dei loro sensi e delle loro ca-pacità adattive al reale. Per Fröbel, fa-cendo leva sulla consuetudine con la manipolazione di forme pure, i piccoli creativi sono stimolati a riconoscere una idea superiore di “armonia natu-rale” e a comprendere il principio di unità: tra materia, intelletto e spiri-to e tra natura, conoscenza e bellezza.

Oltre al giardino metaforico, il metodo fröbeliano contempla l’uso di un giardino reale, luogo

di partecipazione comunitaria, da re-alizzare come pertinenza dell’edificio scolastico e da organizzare secondo uno schema rigorosamente geometri-co. L’orto-giardino, dove i bambini pos-sono dedicarsi personalmente alla col-tivazione di fiori, piccoli alberi da frutto e ortaggi, diventa spazio educativo per eccellenza in cui si impara il valore dell’aver cura delle cose, a riconoscere lo scorrere delle stagioni e la dinamica evolutiva dei processi naturali. Il giardi-no fröbeliano costituisce senza dubbio l’antenato “Romantico” di un fertile e sempre più diffuso filone di orti-giar-dino scolastici e didattici che arriva ai nostri giorni. Inoltre, proprio come un campo-gioco per bambini ben proget-

nella pagina precedenteUn kinder garten fondato ai primi del Nove-cento in Australiahttp://www.ku.com.au/about/history.aspx

in altoEsempi di doni froebeliani: versioni primi del Novecento e (in basso) contemporaneehttp://www.letsgrow.ie/shopping_ad-min/product_details/product.cgi?product=L5072S1 17

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tato, l’orto-giardino fröbeliano è un luogo pensato per favorire lo sviluppo psico-fisico dei suoi piccoli fruitori, la socializzazione, l’uso delle capacità sen-soriali, la creatività e l’apprendimento.

La metafora di Fröbel che associava il bambino ad una giovane pian-ta da curare, l’educatore ad un

giardiniere e la scuola ad un giardino e l’impostazione didattica che privile-giava l’osservazione della forma pura, ebbero grande fortuna nell’Ottocento: alla fine del secolo XIX trovarono am-pia diffusione in tutta Europa manua-li e trattati pedagogici derivati dagli scritti dello studioso tedesco1, e i doni

fröbeliani furono presto commercia-lizzati anche negli Stati Uniti. La forza delle suggestioni ludiche fröbeliane e dei metodi educativi del pedagogista tedesco, pare essere stata dirompente. In Inventing Kindergarten, un volume pubblicato nel 1997, l’autore Norman Brosterman indaga ad esempio le rela-zioni tra il sistema educativo proposto da Fröbel, la sua influenza sulla nascita e l’affermazione dell’arte astratta, e la produzione teorica e pratica del Mo-vimento Moderno. Per Brosterman, l’uso dei doni fröbeliani da bambini ha funzionato come basilare orienta-mento estetico per molti di coloro che, divenuti adulti, si affermarono quali

in altoUn ritratto di Isamu Noguchi con il plastico del Contoured Playgroundtratto da Isamu Noguchi. A Study of Space, di Ana Maria Torres, The Monacelli Press, New York 2000 (p. 24).

1. In Italia per esempio ebbe diffusione quel-lo di Pitagora Conti, pubblicato per la Hoepli nel 1892.18

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figure chiave delle avanguardie arti-stiche e culturali del XX secolo, contri-buendo a rivoluzionare i codici esteti-ci delle arti visive e dell’architettura: Klee, Kandinsky, Wright, per esempio.

La ricerca di una nuova estetica del Moderno nella cultura del pro-getto di spazio aperto, costituisce

un tratto costitutivo della produzione di due noti progettisti del Novecento, a cui la più raffinata produzione contem-poranea di architettura del paesaggio in generale e in particolare quella ap-plicata ai campi gioco e ai giardini ur-bani, deve molto.

Nel 1941, l’artista nippo-america-no Isamu Noguchi immagina un innovativo “Contoured Play-

ground” da realizzare nel Central Park

di New York. Il progetto, mai costruito e documentato da un lucente plastico di bronzo, prevedeva di modellare un’am-pia area come una grande scultura ambientale, attraverso manipolazioni plastiche della morfologia del terreno (earth modulations) che le avrebbero conferito l’aspetto fluido e avvolgente di uno spazio proteiforme, misterioso e attrattivo. Una topografia ludico-poe-tica a misura di bambino, un paesaggio astratto di sintesi dove coltivare l’im-maginario, lanciandosi in esplorazione di collinette, lievi depressioni, cavità mi-nime e dove i piccoli fruitori avrebbero potuto giocare liberamente attivando le loro capacità inventive. Noguchi, che credeva nel ruolo sociale dell’artista e al fatto che a questi spettasse di rende-re la vita delle persone comuni ricca e piacevole, si applicò in tutto il suo lavo-

In basso Campo gioco provvisorio in Dijkstraat, ad Amsterdam, prima e dopo l’intervento rea-lizzato su progetto di Aldo van Eick, nel 1948.http://teorieetecniche.blogspot.it/2012/11/oltre-il-playground_16.html

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Bibliografia -Brosterman Norman, Inventing Kindergar-ten, Abrams, 1997.-Lambertini Anna, Fare parchi urbani. Eti-che ed estetiche del progetto contemporaneo in Europa, Firenze University Press, Firenze, 2006.-Lambertini Anna, Urban Beauty! Luoghi prossimi e pratiche di resistenza estetica, Editrice Compositori, Bologna, 2013 (in corso di stampa).-Munari Bruno, Codice Ovvio, Einaudi, Tori-no, 1971.-Rodari Gianni, Grammatica della Fantasia, Einaudi, Torino, 1973. -Romitti Ines, Petrella Florinda, a cura di, Gli spazi verdi per il gioco dei bambini, Alinea, Firenze, 1998. -Torres Ana Maria, Isamu Noguchi. A Study of Space, The Monacelli Press, New York, 2000.-Kreyder Laura, Laitue et violettes: le jardin et l’enfant, de la comtesse de Ségur à Zola, pagg. 378 – 394 in Balmas Enea ed altri, a cura di, La letteratura e i giardini, Leo S. Olschki, Firenze, 1987.-Walker Peter, Simo Melanie, Invisible Gar-dens, MIT Press, Cambridge 1994. -Weilacher Udo, Between Landscape Ar-chitecture and Land Art, Birkäuser, Basel, Berlin, Boston 1999.

ro a un formidabile esercizio di sintesi multipla, finalizzato a combinare in-sieme idea di luogo e opera scultorea, forme del giardino contemplativo giap-ponese e nuove configurazioni dello spazio pubblico “moderno”.

Un altro straordinario esercizio di sintesi inventiva, questa volta tra teorie funzionaliste e concetto

di spazio pubblico plasmabile libera-mente dall’immaginazione dell’utente, si riconosce nel lavoro dell’architetto olandese Aldo van Eyck, che dal 1947 fino al 1978 si applicò alla costruzione di più 700 spazi gioco distribuiti ne-gli interstizi e nei vuoti urbani di Am-sterdam, con soluzioni mai banali che operavano anche in forma temporanea sulla trasformazione di spazi minimi degradati. Si trattò di coraggiosi e in-novativi esperimenti spaziali, avviati nello stato di necessità connesso agli scenari postbellici della ricostruzione delle città europee, che hanno influito positivamente sulla vita quotidiana di più di una generazione di abitanti della capitale olandese.

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Luigi Castelli Gattinara è nato a Roma nel 1988. Si è laureato nel 2010 in Ar-chitettura presso l’Università di Roma Tre, dove a ottobre conseguirà la laurea magistrale. Ha studiato nel 2011 alla Oxford Brookes University e partecipato a workshop a Istanbul e Buenos Aires. Ha lavorato con lo studio C.F. Møller a Copenhagen e partecipato con il Team Rome al Solar Decathlon 2012. Si inte-ressa particolarmente di sostenibilità e sviluppo sociale, collaborando con la ONG Hisani in Tanzania, dove si occupa della progettazione, raccolta fondi e direzione dei lavori dell’orfanotrofio.

BrochureOrfanotrofio: http://www.youblisher.com/p/646222-Brochure-progetti-per-l-orfanotrofio-Hisani-Mwanza-2013/Portfolio: http://www.youblisher.com/p/475509-Portfolio-Luigi-Castelli-Gattinara/Video Orfanotrofio:http://www.youtube.com/watch?v=8ns58Bymhtw Video differita webinar: http://www.youtube.com/watch?v=5-5vymaldG8&feature=youtu.beFacebook Filippo Astori Onlus: https://www.facebook.com/pages/Filippo-forever/91402063594Sito Filippo Astori: http://www.filippoforever.it/

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di Luigi Castelli Gattinarahanno contribuito al disegno del progetto Francesco Cusani e Simone Cammilletti

Solidarietà condivisa e senza marchio

“La sola cosa necessaria per la tranquillità del mondo è che ogni bambino possa crescere felice.”

Chief Dan George

Il pensiero di un famoso nativo americano è alla base del progetto che l’ONG Hisani porta avanti nel villag-gio di Buswelo, nella regione di Mwanza, Tanzania. In questo luogo bellissimo e poverissimo, pieno di sole e

di bambini, è stato realizzato un piccolo orfanotrofio, la casa di accoglienza Hisani (in swahili “prendersi cura”) per offri-re alloggio, cibo, cure e un po’ d’istruzione a una moltitudi-ne di bambini di strada e orfani di tutte le età. La struttura è gestita da Luigi Lo Pinto, un medico siciliano che vive in Tan-zania da oltre 10 anni. I bambini oggi sono 93, ma ogni giorno arrivano nuove richieste di aiuto, a cui è difficile dire di no. Circa un anno fa uno dei dormitori ha cominciato a cedere e i bambini sono stati sistemati nel refettorio, dove tutto-ra dormono anche in tre per letto. Insieme a un mio com-pagno, anche lui studente di architettura a Roma, ci siamo offerti di realizzare un progetto che permettesse di risolve-re l’emergenza, tenendo conto della particolarità del con-testo. Volevamo che i punti di forza del nuovo dormitorio fossero la sostenibilità per la comunità locale, la possibilità di realizzazione in più fasi, e la coniugazione tra massima economicità e migliore qualità della vita: una vera casa per i bambini, accogliente, vivace e colorata.

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Un dormitorio per i bambini di Buswelo

Per prima cosa abbiamo scelto di coinvolgere la comu-nità di Buswelo nella costruzione del dormitorio, inte-

grando il più possibile metodi e materiali costruttivi tradi-zionali con soluzioni semplici ma migliorative, cercando di capire quali fossero i materiali a disposizione e le capacità delle maestranze locali. Nell’area rurale di Mwanza piccole ditte composte da giovani operai poco specializzati costrui-scono per lo più con utensili manuali. Le costruzioni tradi-zionali sono quasi scomparse, sostituite da piccoli edifici in muratura a un piano. Blocchi di terra o cemento, capriate in legno e lamiere per il tetto a falde sono i materiali utiliz-zati per costruire le case dei villaggi suburbani.

Quando abbiamo iniziato a disegnare il nostro intento era di realizzare un edificio che si allontanasse dal tra-

dizionale dormitorio-camerata, recuperandone l’identità persa: una “casa” per i bambini dell’Hisani, che garantisse a ciascuno uno spazio più intimo e personale, da persona-lizzare all’esterno con un colore e all’interno con disegni e oggetti personali. Avevamo bisogno tuttavia di ospitare il maggior numero di letti possibile, per accogliere ogni nuo-

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va richiesta di asilo, e dovevamo confrontarci con le poche risorse a disposizione. Abbiamo pensato quindi a una strut-tura che sfruttasse tutto lo spazio a disposizione garanten-do anche aree comuni per la socialità e lo studio.

Il lotto dove andavamo ad inserirci comportava delle scel-te molto vincolanti: avremmo dovuto sostituire un tas-

sello alla corte rettangolare dell’orfanotrofio, composta dai tradizionali edifici mono-piano a due falde. Mantenendo la continuità formale con il complesso, un tetto più pendente ci ha permesso di creare uno spazio per una zona soppalca-ta centrale: siamo così riusciti ad ottenere il maggior nu-mero di posti letto senza dover ricorrere a costosi permes-si necessari per costruire su due piani. L’idea del soppalco è piaciuta immediatamente ai ragazzi più grandi, che non avendone mai visto uno prima si sono subito prenotati i let-ti in alto. Capendo quanto fosse importante per loro avere un luogo più privato rispetto alle grandi camerate, abbiamo suddiviso la superficie in stanzette più piccole, di 2 o 3 posti letto ciascuna. Ogni cameretta ha un piccolo spazio perso-nale e uno scaffale dove riporre i pochi oggetti .

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La pianta consiste in due spazi speculari (divisi per età) con stanzette e letti a castello tripli. Il soppalco corre

sopra il corridoio centrale, ospitando altri letti e zone stu-dio. Tra le due camere sono state ricavate due aree comuni dove trascorrere il tempo libero, una all’aperto ed una al chiuso soppalcata.

Nella scelta dei materiali abbiamo cercato di coniuga-re la massima economicità con il miglioramento del

comfort, posizionando sotto il tetto in lamiera un contro-soffitto in cartongesso con un’intercapedine di 20 cm che termina in un “cappello-camino”, per garantire la venti-lazione e l’abbattimento del calore. Per le capriate è stato scelto un legno dolce molto economico e facilmente repe-ribile nel luogo, reso resistente dalla disposizione reticola-re della capriata.

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Grazie ai primi fondi, a luglio 2012 mi sono recato sul posto per avviare il cantiere. Dopo un mese di lavoro

e non poche resistenze dei costruttori locali, le maestranze cominciavano a interessarsi al nuovo modo di costruire, e chiedevano di portare i committenti a visitare il cantiere.

Per raccogliere i fondi necessari a completare la costru-zione ho studiato un metodo che si è rivelato di gran-

de successo: suddividere le due grandi camere in moduli-stanzetta ben definiti e con un costo variabile, che i donatori possono scegliere e personalizzare con un colore o con una dedica. Questo sistema permette il coinvolgimento concreto di chi contribuisce, che non solo riconosce ma-terialmente il frutto della propria donazione, ma partecipa al progetto e instaura un legame diretto con i bambini che andranno a dormire nei letti da loro donati. Si può sceglie-re di donare un singolo letto, i tre letti a castello, la stanzetta completa con pannello divisorio e scaffalatura, o il modulo soppalco con letto e zona studio, con un costo che varia dai 100 ai 400 dollari.

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Un nuovo progetto: il cortile

Grazie al clima temperato del luogo, i bambini dell’Hisa-ni potrebbero passare l’intera giornata all’aperto, nel

cortile. Con i suoi ruderi e gli spazi arrangiati, le cataste di legna e i rottami di macchine, il cortile non viene sfruttato come dovuto. Nella stagione delle piogge violente inoltre il fango lo rende inagibile per lungo tempo, costringendo i bambini a rintanarsi sotto lo stretto porticato.

Ho proposto di occuparmi di questa secon-da necessità con un progetto di risistemazio-

ne del cortile, che abbiamo iniziato lo scorso febbraio.

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Attraverso pavimentazioni, tettoie e canali di scolo lo spa-zio sarà agibile anche nella stagione delle piogge. Il proget-to include la realizzazione di una tettoia continua e curva, che preserva gli alberi da frutto e copre diverse funzioni: aule didattiche all’aperto, un’area per la cucina, zone gioco a vasca per i bambini piccoli e spazi più riservati per i ragaz-zi. Le parti non incluse dalla tettoia saranno coperte da pra-ti, piante e aiuole, con livellamenti del terreno che creano opportunità per giocare, sedersi e riposare all’aperto.

I bambini seguono i lavori con curiosità e interesse, occu-pando i nuovi spazi appena realizzati. Gli operai acqui-

siscono via via competenze nuove e sono orgogliosi dei risultati. Mentre i lavori proseguono, sto sviluppando un progetto per la tesi di laurea che spero di realizzare: un Centro di accoglienza per persone vulnerabili a Lukobe, a pochi chilometri da Buswelo. Una comunità completamen-te autosufficiente, anche dal punto di vista energetico, dove alcuni ragazzi dell’Hisani riceveranno una formazione pro-fessionale, i bambini con disabilità verranno accolti e se-guiti, mentre le loro mamme cureranno insieme ai ragazzi più grandi l’orto, la stalla, la mensa e la lavanderia per tutti.

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ABCittà società cooperativa sociale onlus

ABCittà è una società cooperativa sociale costituita da un gruppo di professionisti con espe-rienze diverse in progettazione partecipata. Le competenze riguardano le scienze umane e sociali, lo sviluppo sostenibile, l’organizzazione e la gestione di sistemi complessi, la pianifi-cazione e la progettazione urbana, la psicopedagogia dello sviluppo e la cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Si rivolge a istituzioni, enti, agenzie pubbliche e del privato non-profit e profit. Opera dal 1999 a livello locale, nazionale e internazionale.http://www.abcitta.org/

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GIARDINI SCOLASTICI:Ascoltiamo gli esperti

a cura di ABCittà società cooperativa sociale onlus

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“Cosa ti piace di più del giardino della scuola?”

Giocare a calcio contro il muro o andare sullo scivolo, rispondono i

bambini, qualche bambina preferisce la casetta, correre, salire sul castello; al-tri ancora giocano a nascondino dietro alberi o panchine; poi c’è Matteo a cui piace rapire le femmine e Lorenzo che ama l’astronave – che in realtà piace a molti. Nei disegni si riconoscono i gio-chi classici ma anche le amiche del cuo-re, prevale il verde e il cielo è sempre azzurro, e i fiori, spesso sproporzionati, sono dei colori dell’arcobaleno. Siamo nella scuola dell’infanzia di Via Branca a Milano, i bambini hanno cinque anni e inizia così, dai loro ricordi e dai loro vissuti, il laboratorio di progettazione partecipata: dopo sette incontri con un architetto facilitatore e il paziente rac-cordo delle educatrici, diventeranno i progettisti di un nuovo giardino.

Nel metodo che ABCittà propone (IVAC, investigazione – visione –

azione – cambiamento) anche i più pic-coli sono messi in grado di partecipare alla progettazione del giardino: la sua percezione avviene con l’esplorazione dei sensi o il “misurabimbo”, la rico-struzione degli elementi nello spazio è un gioco che dà voce alle sensazioni e alla preferenze di tutti, e la fantasia non ha limiti nella visione del giardino dei desideri: scivolo a spirale, anelli-dondolo, fiore-toppa per nascondino, laghetto... Racchiusi in palloncini, tut-ti questi sogni volano in cielo in attesa che un architetto li raccolga per poi confrontarsi con loro e redigere il pro-getto tecnico.

Una preoccupazione da sfatare negli adulti è che la partecipazione porti

a qualcosa di impossibile, che i bambini vengano delusi o, al contrario, canaliz-zati in direzioni prestabilite. È compito

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dei facilitatori del processo decodifica-re i desideri per tradurli in indicatori alla portata di ogni progetto. La selezio-ne successiva è fatta insieme ai tecnici (architetto, agronomo, referente comu-nale del verde) che incontrano i bambi-ni proprio per capire le richieste e dove necessario spiegare i limiti di fattibilità o di costo e le alternative possibili.

Giochi inventati, natura, percorsi e salti, altalene diventano le aree

di interesse. Più spesso nella primaria chiedono orto, alberi da frutto, prati erbosi, ma ai più piccoli non mancano mai i fiori. Le “strutture-gioco” fanno parte inevitabilmente dell’immagina-

rio dei bambini, specialmente se sono alte o permettono di nascondersi, ma si trovano facilmente soluzioni anche nell’ambiente naturale – labirinti vege-tali, percorsi sensoriali, colori e farfalle, piccoli animali, meglio se sugli alberi.

Negli ultimi incontri, dopo il voto che concentra le preferenze, i pro-

getti prendono la forma del “plastico”: con materiali di recupero i particolari si precisano e il confronto tra i risultati dei diversi gruppi e con i genitori in un workshop comune porta alla proposta finale, sulla quale l’architetto elabora il progetto preliminare.

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Alla scuola Branca c’è Gardenio il giardiniere, un personaggio che

guida il lavoro dei bambini tramite let-tere recapitate alla facilitatrice: dopo la realizzazione del plastico, li invita a co-struire anche il prototipo del treno, uno dei quattro desideri prioritari. “Il bello del treno è quello di muoversi e vedere il paesaggio fuori”: così, se non si può realizzare un treno mobile per motivi di sicurezza… ecco che a cambiare saran-no gli scenari. In un nuovo laboratorio di realizzazione che occupa la seconda parte dell’anno, i bambini provano a crearli e a posizionarli sul muro della scuola, mentre si inizia a piantare i fiori e si attende la nuova pavimentazione in calcestre per il gioco dei birilli animati autoprodotti.

Il giardino di Via Branca è uno dei 9 giardini scolastici (dell’infanzia o

primaria, uno in ogni Zona di decen-

tramento) che il Comune di Milano sta riqualificando, grazie ai fondi del-la L.285/97, con il coinvolgimento di “esperti” particolari: i bambini che quotidianamente ci vivono. Si risponde così a una richiesta fondamentale dei bambini e delle famiglie di un conte-sto urbano: rafforzare il legame con lo spazio naturale valorizzando il verde esistente, spesso scarso o sottoutiliz-zato. Partner del progetto sono la Co-operativa Sociale ABCittà, nella fase di progettazione partecipata e nell’ac-compagnamento alla realizzazione; e Legambiente Lombardia, che ha curato le opere di giardinaggio e orticultura.

Destinatari sono innanzitutto i bam-bini che frequentano le scuole dei

giardini individuati, insieme ai docenti che possono migliorare l’offerta didat-tica; in secondo luogo le famiglie, coin-volte nella trasformazione e nella pos-

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sibile apertura del giardino anche fuori dall’orario scolastico, costruendone in-sieme occasioni e modalità attraverso eventi di sperimentazione, animazione e costruzione di regolamenti condivi-si. Indirettamente, però, esso è desti-nato anche alle Istituzioni competenti – una rete trasversale di competenze che dall’infanzia coinvolge il verde, il decentramento, l’edilizia scolastica – come strumento replicabile in altri contesti per la dotazione di verde per l’infanzia, e alle realtà formali o infor-mali del territorio che possono benefi-ciare dei nuovi spazi e collaborare alla loro cura e gestione nel tempo.

Il progetto offre allora un metodo per favorire il senso di appartenenza ai

giardini scolastici da parte dei bambini, sensibilizzare alla cura del bene comu-ne e incentivare la fruizione degli spazi verdi. Sono i bambini stessi che diven-

tano catalizzatori di questo nuovo sen-so civico verso gli adulti e la comunità: “guardate come crescono le piante!” cita un cartello colorato accanto alle vasche orto e alla fontana selvaggia del-la materna Narcisi; i tavolini all’aperto della primaria Gabbro sono uno diver-so dall’altro, invito al gioco di gruppo; il percorso della Arcadia è un doppio anello per grandi e piccoli e il labirinto della Clericetti sarà coperto da rampi-canti grazie ai genitori che continue-ranno ad annaffiarli.

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Daniele ZavalloniHo cinquantanove anni, due figli, i baffi bianchi e vado a lavorare in bicicletta con qual-siasi condizione meteo, anche con la neve. Ho lavorato per 17 anni presso l’Azienda Re-gionale delle Foreste dell’Emilia Romagna, da 18 anni lavoro al Servizio Tecnico di Ba-cino Romagna, sede di Cesena, mi occupo di acqua e di fiumi. Ho una lunga esperienza di educatore nel mondo dello scoutismo, e come volontario in diverse associazioni. Sono vicepresidente del G.R.T.A.-Cin (Ecoistituto - Cesena); organizzo attività e corsi di for-mazione, interventi educativi, sono direttore della Biblioteca dell’Ecoistituto. Sono stato consigliere del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, monte Falterona Campigna. Tutte le informazioni sull’associazione si trovano nel sito: www.tecnologieappropriate.it

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Le piazze dei bambiniun luogo di pace e felicità

di Daniele Zavalloni43

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La biblioteca dell’Ecoistituto, un’istituzione privata aperta al pubblico

Non è facile parlare delle persone che non sono più tra noi perché sono

morte, senza cadere nella facile reto-rica; purtroppo, in molti casi, il ricordo di queste persone si limita a uno sterile elenco delle cose che hanno fatto in vita.

Gianfranco è morto un anno fa. Gianfranco è mio fratello. Vor-

rei mantenere viva la sua memoria anche per dare concretezza alla fa-mosa frase di Baden Powell “Cercate di lasciare questo mondo un po’ mi-gliore di quanto non l’avete trovato”1.

Avevamo iniziato a lavorare insie-me, Gianfranco ed io, nel 1978; fa-

cevamo parte di una squadra di quattro persone, (che coordinavo), ci occupava-mo di rilievi cartografici che servirono per elaborare la carta dei boschi pub-blici della regione Emilia Romagna.

Dopo un anno di lavoro insieme, Gianfranco ci lascia per diven-

tare, l’anno successivo, maestro di scuola materna, il mondo della scuo-la diventerà il suo luogo di lavoro.

Gli ambiti d’intervento dell’E-coistituto sono stati diversi: il

primo che viene in mente e che ca-ratterizza tuttora l’associazione è la costituzione del Centro di documen-tazione non-violento, inizialmente il materiale raccolto fu catalogato con il sistema SATIS in uso presso l’Unesco. Col tempo il centro di documentazio-ne è diventato la “Biblioteca dell’E-coistituto” e fa parte della Rete Bi-bliotecaria di Romagna e San Marino; ora cataloghiamo con il sistema SBN. Abbiamo organizzato cantieri di lavoro per costruire abitazioni con le balle di paglia e terra cruda, forni in terra cru-da, staccionate in legno, muri a secco, spirali delle piante odorose e l’orto si-nergico e poi costruzioni con materiale vegetale vivo, utilizzando in particolare salice; sono nate così capanne viventi dalle molteplici forme in alcune scuo-le sparse per l’Italia, oppure sono di-venuti arredi per le rotonde stradali.

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1 L’ultimo messaggio di B. P. agli Esploratori

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Grande impegno è stato dedicato al mondo della didattica con la rea-

lizzazione degli orti scolastici. L’idea si è diffusa in molte scuole d’Italia sia autonomamente sia per effetto imi-tazione, ne abbiamo avuta conferma durante i sei convegni nazionali che l’Ecoistituto ha dedicato agli “Orti di pace”. I convegni hanno avuto gran-dissima adesione, le persone pro-venivano da tutte le parti del Paese.

Il luogo giusto per incontrare le persone

Nell’anno 2001 il GRTA - Cin elabo-rò per conto del Comune di Cesena

il progetto che aveva come titolo “Le piazze dei giochi e dei diritti naturali di bambini e bambine”; il sottotitolo sintetizza ancora meglio e in manie-ra puntuale il contenuto “Progetto di rappresentazione della città da par-te dei più piccoli attraverso la realiz-zazione di luoghi di gioco e di vita”. Era, e tuttora rimane, un progetto am-bizioso perché attuarlo significa sov-vertire il concetto che normalmente si attribuisce alla piazza.

Dal punto di vista urbanistico la piazza è un luogo racchiu-

so all’interno di un abitato, normal-mente è un tratto più largo delle normali strade che vi convergono. Allo stato attuale la piazza svolge ruoli diversi come parcheggio di auto e mo-tociclette, mercato per venditori am-bulanti e in molti casi è l’affaccio degli edifici pubblici e/o religiosi. Come pos-siamo costatare ogni giorno, le nostre piazze non sono certo il luogo dell’in-contro delle persone e tanto meno può essere il luogo d’incontro di bambini e bambine bensì sono il luogo del perico-

Le attività manuali: con piccoli attrezzi si può costruire un arco

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lo, dove i frequentatori possono essere investiti in qualsiasi momento perché i ritmi della quotidianità sono freneti-ci e ci impongono l’utilizzo sempre più massiccio di mezzi veicolari a motore; ciò impedisce di spostarsi a piedi. Pur essendo la piazza continuamente piena è il luogo del “non incontro”.

La proposta del progetto delle nove piazze è anche un modo di-

verso di concepirne la realizzazio-ne e l’utilizzo; il progetto si rifà al concetto dell’Agorà cioè il luogo dove raccogliere, adunare persone. Nella Grecia antica l’agorà indica-va la piazza principale della Polis, dove gli abitanti potevano, adotta-re la forma di un governo basato su: -Uguaglianza di tutti i cittadini; -Diritto di riunirsi in assemblea; -Luogo del dibattito pubblico dove il rapporto tra i cittadini assume la forma di una relazione d’identi-tà di equilibrio e di reciprocità che sono alla base della “democrazia”. Nell’Agorà si creavano e si potevano

mantenere relazioni interpersonali e di gruppo, si prendevano decisioni in-sieme.

Questa premessa è necessaria per capire come impostare la realizza-

zione delle nove piazze. Decisivo sarà il coinvolgimento e la partecipazione diretta dei bambini (e se questo modo va bene per i bambini, ancora migliore si adatta per gli adulti) che con il loro lavoro manuale potranno contribuire fattivamente al progetto.

Ora proviamo a vedere quali sono le piazze che intendiamo proporre:

-la piazza delle biglie; -la piazza delle trottole; -la piazza del selvaggio -la piazza delle capanne viventi; -la piazza del silenzio e dell’ascolto della natura; -la piazza dei profumi; -la piazza delle albe; -la piazza dei tramonti; -la piazza dei racconti.

In alto:La costruzione delle capanne viventi con i bambini delle scuole

materne

Nella pagina seguente:Sono stati organizzati 6 convegni “Orti di pace”46

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Il progetto è stato composto in modo tale da richiedere per la realizzazione,

la partecipazione diretta, per quanto possibile, delle persone che vivono in prossimità dei luoghi dove s’intende costruire le piazze stesse. Ancora più interessante e utile è la presenza e la partecipazione dei bambini e bambine, partecipare significa rendere evidente il concetto dell’appartenenza, parteci-pare ai lavori con la propria manualità rende più immediato il conseguimen-to di questo obiettivo che è anche un obiettivo culturale . Per l’esecuzione dei lavori non sono necessari grandi stru-menti, sono attrezzature semplici che rappresentano in modo concreto le tec-nologie appropriate, sono fondamentali per il compimento del nostro progetto. La vanga; il badile; la zappa; il rastrello; la sega per il legno; la cazzuola; la cor-da; la livella; l’accetta; il coltellino a ser-ra manico, le pinze e le tenaglie.

La piazza delle biglie

Può sembrare strano proporre la re-alizzazione della piazza delle biglie,

eppure avere un luogo dove poter gio-care con le biglie permette di assolvere diversi intenti, per quanto apparente-mente banali; infatti, i giochi svolgono

un ruolo importante nella formazione della socialità di una persona, ma an-che nella formazione della propria fi-sicità che va vista nella sua interezza e che è inscindibilmente collegata con la mente.

Giocando insieme con altre per-sone s’impara il significato

delle regole e a gestirle; esse sono alla base dei rapporti interperso-nali impostati sulla collaborazione. È l’occasione giusta per ritornare a giocare con le mani e con tutte le dita e non solo con il pollice e l’indice! Le biglie, per forma, colore e materia-li sono tante e di diverse dimensioni, perciò le piste possono essere realiz-zate in modo diverso e con materiali diversi. La pista dentro una sabbie-ra può assumere forme in continua evoluzione, il tracciato della pista sarà definito all’inizio di ogni gioco! La pista realizzata in mattoni (fatti a mano), è lo strumento ideale per le bi-glie di vetro, avrà un percorso prede-finito che potrà essere reso maggior-mente difficoltoso, di volta in volta, aggiungendo ostacoli lungo il percorso.

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La piazza delle trottole

Parlare di trottola, nell’era del digitale significa parlare di preistoria eppure è stato un giocattolo che ha fatto diverti-re intere generazioni. La trottola è un gioco per bambini conosciuto in tutto il mondo fin dai tempi antichi, risale a più di 6000 anni fa. Alcune trottole perfettamente conservate, con le fru-ste utilizzate per metterle in moto, sono state ritrovate durante gli scavi di Ur in Mesopotamia. Esemplari della trottola sono stati rinvenuti inoltre negli scavi dell’antica Troia, a Pompei, in alcune tombe etrusche, e in Cina, in Giappone e in Corea. Il gioco della trottola era fa-mosissimo nell’antica Grecia e a Roma: Platone, Aristotele, Plinio, Virgilio e Ovidio tutti subivano il fascino e il con-tagio della trottola, in latino chiamata “turbo”. Catone il Censore consigliava ai genitori il gioco della trottola, perché lo riteneva molto più adatto ai bambi-

ni di quanto lo fossero i dadi. Anche in questo caso vi è la necessità di grande manualità e abilità che non si appren-de di certo in un giorno come capita per l’uso di un video gioco. In questo caso potrebbe essere utilizzata la parte centrale della piazza delle biglie, quella costruita in mattoni.

La piazza del selvaggio

E’ la piazza che, nell’accezione co-mune del nome, ne modifica la com-posizione in virtù dei materiali con i quali si realizzerà. Sarà caratterizza-ta come il luogo delle piante selva-tiche, dei cespugli, del canneto, cioè un luogo dalle parvenze di naturalità. Le nostre città sono prive di qualsi-asi elemento di naturalità, anche se sono presenti alcuni giardini, dove al loro interno troviamo piante coltiva-te e modellate in modo innaturale. E’ importante avere un luogo dove poter

A sinistra:Le attività manuali: la cesteria

La realizzazione di una spirale (didatti-ca) delle piante odorose

Nella pagiana successiva:La spirale delle piante odorose finita48

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piantare arbusti selvatici, lasciare cre-scere un prato con fiori non domestici ma che appartengono alla flora sponta-nea locale, ne avremo sicuramente un grande beneficio, perché sono il pre-supposto per avere di seguito anche una moltitudine di piccoli animali.

La piazza delle capanne viventi e degli oggetti naturali

La piazza delle capanne viventi e dei materiali naturali è un’alternativa

ai soliti parchi gioco che, in molti casi, sono attrezzati con giochi di materiale plastico, tappeti sintetici (per garan-tire la sicurezza!). In questa piazza co-struiremo capanne viventi utilizzando piante di salice e nell’intorno trovere-mo materiali naturali come tronchi, massi ciclopici. Le capanne potranno avere forme, le più diverse: a igloo, a te-pee, a tunnel lineare oppure circolare. E’ un luogo che entusiasma i bambini soprattutto per i modi di frequentazio-ne, permette il gioco non strutturato, è possibile trovare rifugio nelle giornate di sole. L’Ecoistituto ha un’esperienza consolidata nella realizzazione di que-ste strutture, soprattutto nelle scuole oppure come arredo urbano, ornando le rotonde stradali.

La piazza del silenzio e dell’ascolto

E’ quasi un controsenso parlare di piazza del silenzio e dell’ascolto,

quando per definizione la piazza è il luogo dell’incontro per parlare, del sa-lutarsi, del commerciare. Siamo più che mai convinti che in questo mo-mento storico, che è vissuto all’insegna dell’urlare (imporre) le proprie ragioni, i propri pensieri, i propri torti, sia ne-cessario fare silenzio per imparare ad ascoltare.

Anche in questo caso la piazza sarà caratterizzata dalla presenza di

piante il più possibile disetanee e per-ché no! Anche con piante morte. E poi uno stagno naturale, tutto questo per dare ospitalità alla fauna che in molti casi si manifesterà proprio attraver-so i suoni che abitualmente emette. E’ un esercizio che molti di noi, da troppo tempo hanno dimenticato. Praticare questo esercizio, il silenzio, ogni tanto fa bene al cuore e alla mente.

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La piazza dei profumi e della spirale delle piante odorose

A differenza delle precedenti piazze, questa si caratterizza per lo spazio

aperto dedicato alla vista; è la piazza dei cespugli e delle erbe, dove circo-la l’aria liberamente che porta con sé gli odori soprattutto delle piante della macchia mediterranea. E’ una piazza esposta al sole, come lo è la macchia mediterranea, dove cresce una vege-tazione dall’odore forte, marcato, ben definito che ha assorbito per intero i raggi solari. Questi odori si trovano nei cespugli come il rosmarino anzi i rosmarini, le salvie, le lavande, l’al-loro, il timo, ma vanno bene anche il basilico, la melissa. Sono piante dai fiori piccoli ma ben definiti nei colori. Un nuovo abbellimento alla piazza può essere aggiunto con la realizzazione della spirale delle piante odorose, dove su di una superficie di pochi metri qua-drati possiamo collocare fino a 40 spe-cie di piante odorose. Il contenitore sarà costruito con muretto a secco.

La piazza delle albe

Non sarà facile trovare le condi-zioni per questo spazio per rea-

lizzare questo luogo di osservazione, dove, se vogliamo, alzandoci presto il mattino possiamo andare ad osser-vare un fenomeno che si ripete tut-ti i giorni da milioni di anni ma che molti di noi non hanno mai visto. Forse, in questo caso, è impropria la definizione di piazza, è più una sug-gestione che non sempre ci accorgia-mo che avviene e che si ripete tutti i giorni da secoli, è una suggestione che possiamo vivere senza difficoltà. Sono sufficienti un buon sedile como-do e uno spazio aperto davanti a noi, se poi l’orizzonte non è disturbato da inu-tili orpelli creati dall’uomo ancora mi-gliore. La piazza, in questo caso ha un orientamento ben preciso e cioè a est.

La realizzxaazione di case con balle di paglia e terra cruda

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La piazza dei tramonti

E’ la sequenza diametralmente op-posta della piazza delle albe. Il tra-

monto è un fenomeno naturale che è presente nella nostra vita quotidiana, ma purtroppo anche in questo caso è un fenomeno del tutto casuale che difficilmente riusciamo a cogliere nella sua manifestazione estetica ed emotiva per tante ragioni esogene ed endogene. Anche in questo caso è im-propria la definizione di piazza, è più una suggestione e quindi è sufficien-te un buon sedile e uno spazio aperto davanti a noi, se poi anche in questo caso l’orizzonte non è disturbato da inutili costruzioni volute dall’uomo è ancora meglio. Mettiamo tutto il no-stro impegno per cercare questo luogo. La piazza, in questo caso ha un orienta-mento ben preciso e cioè a ovest.

La piazza dei racconti

Infine ritorniamo alla proposta di una piazza dal significato proprio della

piazza cioè il luogo dell’incontro. La piazza sarà dotata di una pedana e di un fondale, di fronte avrà, a forma di anfi-teatro, una serie di sedili per gli ascol-tatori. Sarà il luogo dove potranno esi-birsi burattinai di professione oppure dilettanti, giocolieri, classi di studen-ti, associazioni culturali e poi il luogo per chi vorrà esprimersi in vernacolo con racconti, poesie canzoni, favole. Se necessario potranno tenersi incontri pubblici, perché non è sempre neces-sario incontrarsi in luoghi al chiuso per parlare dei problemi della comunità.(finito di scrivere nel giorno di San Gio-vanni patrono di Cesena)

Cesena, 24 giugno 2013

L’accesso a tunnel di una capanna

vivente

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Due idee progettuali per le piazze per i bambini e le bambine.

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In alto:Una costruzione in balle di pa-glia e terre cruda a Vaiano (Po)In basso::L’arredo di una rotonda stradale a Vaiano (Po)

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Giulia Cavallini Attrice e insegnante teatrale, attualmente presso il Teatro della Pergola di Firenze, ha seguito presso l’Ecole National du Theatre a Parigi il Laboratorio biennale fondato da Jacques Lecoq.Interessata alla Teatroterapia ha tenuto corsi di Mimo presso L’Ospedale Psichiatrico Sant’Anna di Parigi occupandosi di pazienti psicotici gravi internati, ha tenuto corsi di Teatro per ragazzi diversamente abili delle scuole medie inferiori grazie al progetto “Le chiavi della città” a Firenze e presso “I ragazzi di Sipario” Cooperativa Sociale di tipo B insieme a Riccardo Massai, Michele Redaelli e Valentina Berti. Laureata nel 2011 in Psicologia Clinica, ha intrapreso dal 2013 il percorso di Specializ-zazione in Psicoterapia presso Istituto Gestalt Firenze tenuto da Paolo Quattrini e Anna Ravenna.

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CLOWN IN CORSIAdi Giulia Cavallini

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ll Clown di corsia nasce in Ameri-ca sull’esempio del medico Hunter “Patch” Adams sostenitore della teo-

ria che in una persona malata (e in par-ticolare ospedalizzata), esiste, accanto ad una sofferenza di tipo fisico, una sof-ferenza più profonda, psicologica, che si manifesta in forma di tristezza, paura, solitudine. Questa sofferenza non impe-disce di per sé la guarigione, ma tende a renderla più lunga e difficoltosa, e am-plifica la percezione del dolore fisico.

Il sorriso ha molteplici risultati sul pa-ziente; accanto al più noto effetto psi-cologico di distrarre la persona dalle

proprie sofferenze, il sorriso ha un’azio-ne positiva anche da un punto di vista strettamente biologico: infatti il ridere è considerato un esercizio muscolare e respiratorio e, in secondo luogo, è un efficace metodo per stimolare la pro-duzione di endorfine che servono ad abbassare la percezione del dolore e ad aumentare le difese immunitarie.

Ho iniziato questa attività, dopo aver partecipato ad un labora-torio di due anni a Parigi nella

Scuola internazionale del Teatro fondata nel 1956 da Jacques Lecoq.

Essere mimo è in principio un inces-sante lavoro su sé stessi, percor-so formativo di una mente e di un

corpo, a partire dalla costruzione e dalla valorizzazione del silenzio, componente fondamentale e imprescindibile di tale dimensione lavorativa; edificare, anzi-ché palazzi o grattacieli, impalcature gi-gantesche e solide, tolte le quali ci si tro-va di fronte ad un immenso spazio vuoto, silenzio costruito al posto delle rumoro-se città, predisposto alla perfezione per un pubblico attento.

Alla fine di questo lungo percorso formativo, ho imparato a cono-scere ogni dettaglio espressivo

attraverso l’esclusiva comunicazione del mio corpo.

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Sperimentando queste mie acqui-site capacità espressive con i figli di una mia amica, ho capito che il

Mimo è un grande amico dei bambini: li trascina in quel “gioco” che Lecoq considerava l’essenza formativa del Mimo. Da questa esperienza, al salto in ospedale insieme a due mimi-attori co-nosciuti durante le mie performances teatrali, il percorso è stato breve.

Nelle stanze di ospedale non met-tiamo in scena uno spettacolo, non facciamo intrattenimento,

ma improvvisiamo e giochiamo “con” le persone; non utilizziamo strumen-ti professionali di sicuro impatto, ma spesso giochiamo con le cose di tutti i giorni… aggiungendoci la fantasia. Così un imbuto diventa un megafono, una paletta da spiaggia si trasforma in una racchetta per spostare le bolle di sapo-ne (mai provato?), un piccolo rastrello diventa un gratta-schiena fenomenale e ovviamente… uno scopettino del wc diventa microfono per divertenti inter-

viste. Una chiave di lettura che utilizzia-mo per affrontare la corsia di ospedale e gli incontri nelle diverse stanze è que-sta: lui, o lei, non è un “paziente”, ma una “persona” con la quale possiamo entrare in contatto, cercando di far leva sulla sua vitalità; perché più che “far ri-dere”, cerchiamo di “ridere con”. Spes-so il clown di corsia suscita emozioni, le fa emergere; anche la commozione, lo sciogliersi di tensioni che l’ospeda-lizzazione può dare. Le emozioni che si manifestano, una risata o anche un pianto liberatorio, sono sempre positi-ve perché sono le emozioni trattenute ad appesantirci.

L’attività del clown di corsia, all’in-terno dell’ospedale, può essere suddivisa in tre momenti princi-

pali, ognuno importante per la buona riuscita degli interventi e della loro so-stenibilità nel tempo.

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Preparazione – vestizione: vestirsi e prepararsi non è un’azione super-ficiale, non è mettersi una divisa,

ma è un momento di concentrazione, di separazione dagli eventi giornalieri e dai sentimenti disturbatori come la stanchezza, la noia e la tristezza, è un momento di felicitazione del proprio personaggio durante il quale, in con-vivialità, si cerca di scaldare la propria comicità interiore. Una vestizione di-venta di valore quando si spoglia del suo carattere puramente materiale e si pregna del senso dell’attesa e dell’ini-ziazione.

Intervento stanza per stanza: l’inter-vento si struttura sempre in coppia per diversi motivi: nell’interazione

tra i due clown emerge la comicità più efficace (come vedremo nel prossimo capitolo); è ottimale per condividere con il compagno le possibili situazioni d’imbarazzo o le difficoltà di approccio con persone in un particolare stato di sofferenza; per avere un diverso punto

di vista necessario per gestire nei mi-gliore dei modi l’intervento-relazione. Spesso capita che un eccessivo coin-volgimento nella situazione determini degli errori e nel confronto con l’al-tro è più facile che questi emergano e vengano risolti. Il partner-clown è feedback, sostegno e calibro dell’inter-vento. Di norma le uscite avvengono stanza per stanza, fatta eccezione per la sala d’attesa del pronto soccorso dove è più semplice e funzionale un approccio collettivo.

Prima di far visita nelle varie stanze è fondamentale chiedere al per-sonale medico-infermieristico il

permesso di entrare, in modo da poter evitare quelle in cui la nostra presen-za potrebbe essere motivo di disturbo (bambini appena usciti dall’operazio-ne, bambini addormentati) o addirittu-ra di complicanze mediche (bambini allergici al lattice, bambini immuno-depressi).

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Scambiarsi le emozioni della serata, condividere i propri disagi relativi ai pazienti ma anche quelli relativi

alla propria performance, individuale e di coppia (clown), raccontare ciò che è stato vissuto, diventa una prassi per me e i miei colleghi Mimi fondamentale, una necessità. Il proprio punto di vista viene messo al centro della discussio-ne ed elaborato in un contesto di ascol-to e di condivisione. Questo è il Diario di sbordo: un contenitore di emozioni che dura nel tempo (essendo in forma scritta), uno strumento per esorcizzare le proprie paure, le emozioni negative e, perché no, un modo per condividere i sorrisi profondi e viscerali che la no-stra attività ci regala.

L’ospedale è un luogo di sofferen-za, ma se proviamo a guardarlo da un’altra prospettiva è soprattutto

un luogo dove entri sofferente e la mag-gior parte delle volte torni a casa sano. E i Clown in corsia fanno proprio que-sto: aiutano i pazienti a cambiare pro-

spettiva. I Clown non guariscono le persone, ma, cambiando loro la pro-spettiva, le aiutano ad un più ampio processo di guarigione.

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il lib

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Enrico Falqui, con D. Galeotti, M.T. Idone, S. Minichino, C. Serenelli, Camminare il paesaggio, Pisa ,ETS, 2012

Gabriele Corsani è professore ordinario di Urbanistica presso il Diparti-mento di Architettura (DIDA) dell’Università di Firenze, ove insegna Storia dell’Urbanistica moderna. Fa parte della redazione di “Contesti”. È da giugno 2009 Coordinatore del Dottorato in Progettazione paesistica. È membro del Consiglio Direttivo e della redazione di Storia dell’urbanisti-ca dell’Associazione di Storia della Città (ASC); è anche membro dell’Advi-sory Board di “Medicina e Storia – Rivista di storia della medicina e della sanità” (Firenze).

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Le recensioni di

il libroSi usa oggi forzare gli statuti dei verbi, con esiti di

originalità curiosa e feconda. È il caso del titolo Camminare il paesaggio, che mette l’accento sul per-correre a piedi il paesaggio per esperirlo da vicino e, più in generale, sul camminare come pratica eccel-lente di conoscenza.

L’epigrafe nell’occhietto del volume – «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove Terre, ma nell’avere nuovi occhi. Marcel Proust» – integra l’as-sunto del camminare con le dimensioni del viaggio e della scoperta, legate da un motivo antico, caro alla sensibilità occidentale: per i «nuovi occhi», nel nostro caso resi vigili anche dalla lieve eccitazione sensoria-le, le scoperte non necessitano di mete esotiche ma presuppongono sedimentazione, conoscenze e consa-pevoli seppur trepide attese.

Le coordinate del libro sono completate dall’apparte-nenza alla Collana Terre e Paesaggi di Confine diretta dallo stesso Falqui e dal sottotitolo L’itinerario cultu-rale come strumento di progetto lungo la via Laure-tana.

L’ampia raccolta di saggi è inquadrata e orientata dal-la Prefazione di Franco Zagari e dalla Introduzione di Falqui.

Nella prima cogliamo all’inizio il parallelo fra il pro-getto di paesaggio e il viaggio liberato dall’ansia di

arrivare rapidamente alla meta, da raggiungere inve-ce con un percorso obbediente alle leggi dell’elemen-to e del mezzo di trasposto scelti, da quello guidato dall’«arte del marinaio» (p.13) a quello umile del lento andare per terra, guidato dalla forma dei luoghi. Che si fa cifra, quest’ultimo, della ricerca da cui è scaturito il volume. Seguono l’apprezzamento per la scuola di paesaggio di Firenze, «ormai da molti anni un costan-te riferimento in Europa» (ibd.), per il valore paesag-gistico dei percorsi di pellegrinaggio «come sistema

Camminare il paesaggiodi Gabriele Corsani

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il lib

rofra percezione e comunicazione» (p. 14), per la figura del pellegrino (p. 15), per la valorizzazione del Cammi-no Lauretano come «una straordinaria risorsa» (p. 16) fatta dal gruppo di ricerca.

Nella seconda si dispiegano le premesse della ri-cerca: data la perdita della «percezione emotiva e

sonora del mondo della natura» e della «catalogazio-ne visiva e culturale delle forme e dei segni distintivi della città e del territorio» (p. 18), è rivendicata la ne-cessità di una pedagogia ermeneutica del paesaggio (pp. 18-19). L’educazione al paesaggio è il passaggio ineludibile per recuperare la distinzione fra «questo passato senso del luogo» (p. 19) e l’epidermico apprez-zamento della sua bellezza, per avviare un nuovo ra-dicamento degli abitanti o dei visitatori, condizionati dalla frammentazione dei riferimenti e afflitti da una «patologia della mente» (p. 20) indotta dal mito della velocità degli spostamenti sempre e comunque. Se il lento incedere non può tornare ad essere regola gene-rale, non possiamo annullare la riserva di immagina-rio che da sempre si è accompagnata alla pratica del viaggio e alle sue premesse, che comprendono anche la sfida a ciò che non era stato previsto, in senso mate-riale e spirituale.

Il volume si divide in due parti, Delineare, interpreta-re e comprendere gli itinerari culturali e I cammini

lauretani fra Assisi e Loreto: elementi progettuali per un itinerario culturale europeo. L’articolazione in ca-pitoli offre una intelligente panoramica della ricerca: 1.1. Itinerari europei e contesti di riferimento; 1.2. Chia-vi di lettura per il progetto; 1.3. Linguaggi e approcci disciplinari; 2.1 Approcci teorici e metodo di ricerca; 2.2. Applicazioni e risultati del Laboratorio di ricerca.

Le finalità progettuali sono esplicitate in Chiavi di lettura per il progetto, composto da cinque saggi.

Zagari rileva la pregnanza dei contributi di Massimo Sargolini, Percorsi veloci e percorsi lenti (ovvero elo-gio della lentezza), e di Gabriele Paolinelli, Frammen-tazione paesistica: una chiave interpretativa per il progetto; non minori spunti vengono da Adele G. Caucci, Riconoscere le matrici del paesaggio agra-rio (attraverso i percorsi), da Bernardino Romano, Rete ecologica: strumento per wildlife and human connectivity, da Almo Farina, Paesaggi e cammini sacri: aspetti biosemiotici.

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il libroLa dimensione sacrale del paesaggio, per riprende-

re il titolo del bel libro di Iolanda Lima (1984), è ri-chiamata in più contributi, non soltanto per la diretta valenza religiosa di Assisi e di Loreto, ma per la più ampia religio che è anzitutto unione con la terra degli abitanti e dei viandanti.

In questo senso spicca la dignità dei luoghi e dei loro nomi, come ovunque nei nostri territori ma con

maggiore intensità in una via come la Lauretana. Pos-siamo richiamare la nota forzatura linguistica dell’eti-mologia di territorio-teritorium proposta da Varrone: «quod maxime teritur» (De Lingua Latina, V, 4), perché si sfrega, o si solca, al massimo. Nella via Lauretana più che altrove il ‘consumo’ prodotto dall’andare è stato apportatore di arricchimento, dispensatore di appar-tenenza, di partecipazione: caratteri salienti di un iti-nerario che unisce la bellezza dei paesaggi alla spicca-ta preminenza dello spirituale.

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