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Branzini, orate e sogliole: un mare di delicatezze w w w . e d it .h r/ l a v o c e A n n o I I n. 6 V e n e r d ì, 3 0 g i u g n o 2 0 0 6 cucina DEL POPOLO DEL POPOLO Contro la sete scegliete l’acqua L’ attesa è stata lunga e ora che è arrivata l’estate è esplosa pre- potente, portandosi dietro una festa di colori, di forme e di suoni, ma soprattutto un sole che ha dato subito dimostra- zione della forza dei suoi rag- gi. Per la stragrande maggio- ranza delle persone è il periodo dell’anno più amato, la natura si offre generosa con tutte le sue bellezze e resistere a questo suadente richiamo è impresa ardua. L’estate porta con sé an- che le vacanze e con esse il pia- cevole soggiorno al mare o in montagna, per quei 15-20 gior- ni di totale relax durante i quali cerchiamo di ricaricare le bat- terie per affrontare ritemprati gli impegni nella seconda metà dell’anno. Succede spesso che durante questo periodo di rilas- samento generale trascuriamo un po’ la nostra alimentazione e ci lasciamo andare a qualche peccatuccio di gola. È inevita- bile che accada, trasgressio- ni trascurabili e “perdonabi- li”. Per fortuna che durante i mesi estivi la “materia prima” ci aiuta e anche i piatti che con- sumiamo sono più leggeri e di- geribili. Ma di questo abbiamo già trattato ampiamente e quin- di vorremmo approfondire un altro aspetto… estivo per una corretta alimentazione, aspetto spesso sottovalutato e talvolta ignorato del tutto. Ce lo sentiamo ripetere fin da quando eravamo bambini: “Se fa molto caldo devi bere tanto!”. Santo consiglio, mon- co, però, di una postilla e cioè “cosa bere”. Da ragazzini ci bastava sorseggiare un po’ di quella bibita bruna, fresca e frizzante, ancor più affasci- nante nel nostro immaginario da teenager perché si presen- tava in una bottiglia dalle for- me sinuose. Oggi quella bevan- da bruna, sempre presente sul mercato, sempre fresca e friz- zante, non è più sola. Ha tro- vato tante “amiche”, di colori diversi, dai gusti più disparati, dai nomi più inverosimili, dagli spot pubblicitari più fantasiosi (perfino un fatto drammatico come l’eruzione di un vulcano diventa l’occasione buona per una grigliata e per un sorso della bevanda di turno). Oggi, tornando al discorso di prima, quella bevanda bruna, non è più fra le nostre favorite per- ché col tempo abbiamo impara- to quanto possa essere dannosa se consumata troppo frequente- mente. Le bibite gassate, spes- so con molto zucchero, oltre a gonfiare lo stomaco e ad avere un alto contenuto calorico, non sono le più indicate per disse- tarci. Stando alla parola degli esperti, con questo tipo di be- vande assumiamo liquidi zuc- cherini troppo concentrati con il conseguente aumento della sete. È stato provato che l’ani- dride carbonica, ormai addizio- nata a tutte le bevande, svolge un effetto appagante, ma solo passeggero. Dopo qualche mi- nuto la sete torna nuovamen- te. Il loro consumo eccessivo a lungo andare può creare pro- blemi di calorie in più, con il conseguente aumento del peso corporeo, tanto che negli Stati Uniti due importanti corpora- zioni del settore si sono ritirate dalla distribuzione nelle scuole a causa dell’aumento di obesi tra i ragazzini, proprio a segui- to del reiterato consumo di que- ste bibite. Ovviamente d’estate si scon- siglia il consumo di alcolici, an- che se resistere ad un boccale di birra fredda è difficile (vale lo stesso discorso per le bibite gas- sate analcoliche), a patto che sia uno. Come è da eroi non consumare uno-due calici di fresca malvasia istriana DOC accompagnando del pesce di qualità (specie se si pensa an- che alle norme di legge in vigo- re per chi guida). Cosa ci resta allora? L’ideale per una buona reidratazione sarebbero dei suc- chi di frutta o verdura centrifu- gati, prodotti personalmente. Placano la sete più di ogni altra bevanda e contengono zucche- ri semplici, sali minerali, fibre e vitamine, si fornisce all’organi- smo il giusto apporto di acqua, sali minerali e zuccheri sempli- ci. Per quest’opzione, però, bi- sogna essere dotati di una cen- trifuga apposita, un attrezzo che non è tra i più convenienti. Sul mercato l’offerta dei succhi di frutta è molteplice: spesso, però, in alcuni prodotti non di qualità la percentuale di colo- rante o aromi artificiali è ecces- siva. Inoltre diversi contengono troppo zucchero. L’ANTIPASTO di Fabio Sfiligoi Pagina 3 Pagine 4 e 5 Seppia il cefalopode più amato Pagina 2 Basilico, sacro e profumato per un pesto straordinario Estate: bere tanto, bere giusto Pagina 8 Full immersion nel regno dello champagne «Dopolavoro» per chi ama la cucina di montagna Segue a pagina 3 Pagine 6 e 7

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Page 1: NNel regno dello champagneel regno dello champagne · blemi di calorie in più, con il conseguente aumento del peso corporeo, tanto che negli Stati ... francesi. Grazie a piatti straordinari

Branzini, orate e sogliole: un mare di delicatezze

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voce Anno II • n. 6 • Venerdì, 30 giugno 2006

cucina

DEL POPOLODEL POPOLO

Contro la sete scegliete l’acqua

L’attesa è stata lunga e ora che è arrivata l’estate è esplosa pre-

potente, portandosi dietro una festa di colori, di forme e di suoni, ma soprattutto un sole che ha dato subito dimostra-zione della forza dei suoi rag-gi. Per la stragrande maggio-ranza delle persone è il periodo dell’anno più amato, la natura si offre generosa con tutte le sue bellezze e resistere a questo suadente richiamo è impresa ardua. L’estate porta con sé an-che le vacanze e con esse il pia-cevole soggiorno al mare o in montagna, per quei 15-20 gior-ni di totale relax durante i quali cerchiamo di ricaricare le bat-terie per affrontare ritemprati gli impegni nella seconda metà dell’anno. Succede spesso che durante questo periodo di rilas-samento generale trascuriamo un po’ la nostra alimentazione e ci lasciamo andare a qualche peccatuccio di gola. È inevita-bile che accada, trasgressio-ni trascurabili e “perdonabi-li”. Per fortuna che durante i mesi estivi la “materia prima” ci aiuta e anche i piatti che con-sumiamo sono più leggeri e di-

geribili. Ma di questo abbiamo già trattato ampiamente e quin-di vorremmo approfondire un altro aspetto… estivo per una corretta alimentazione, aspetto spesso sottovalutato e talvolta ignorato del tutto.

Ce lo sentiamo ripetere fi n da quando eravamo bambini: “Se fa molto caldo devi bere tanto!”. Santo consiglio, mon-co, però, di una postilla e cioè “cosa bere”. Da ragazzini ci bastava sorseggiare un po’ di quella bibita bruna, fresca e frizzante, ancor più affasci-nante nel nostro immaginario da teenager perché si presen-tava in una bottiglia dalle for-me sinuose. Oggi quella bevan-da bruna, sempre presente sul mercato, sempre fresca e friz-zante, non è più sola. Ha tro-vato tante “amiche”, di colori diversi, dai gusti più disparati, dai nomi più inverosimili, dagli spot pubblicitari più fantasiosi (perfi no un fatto drammatico come l’eruzione di un vulcano diventa l’occasione buona per una grigliata e per un sorso della bevanda di turno). Oggi, tornando al discorso di prima, quella bevanda bruna, non è

più fra le nostre favorite per-ché col tempo abbiamo impara-to quanto possa essere dannosa se consumata troppo frequente-mente. Le bibite gassate, spes-so con molto zucchero, oltre a gonfi are lo stomaco e ad avere un alto contenuto calorico, non sono le più indicate per disse-tarci. Stando alla parola degli esperti, con questo tipo di be-vande assumiamo liquidi zuc-cherini troppo concentrati con il conseguente aumento della sete. È stato provato che l’ani-dride carbonica, ormai addizio-nata a tutte le bevande, svolge un effetto appagante, ma solo passeggero. Dopo qualche mi-nuto la sete torna nuovamen-te. Il loro consumo eccessivo a lungo andare può creare pro-blemi di calorie in più, con il conseguente aumento del peso corporeo, tanto che negli Stati Uniti due importanti corpora-zioni del settore si sono ritirate dalla distribuzione nelle scuole a causa dell’aumento di obesi tra i ragazzini, proprio a segui-to del reiterato consumo di que-ste bibite.

Ovviamente d’estate si scon-siglia il consumo di alcolici, an-

che se resistere ad un boccale di birra fredda è diffi cile (vale lo stesso discorso per le bibite gas-sate analcoliche), a patto che sia uno. Come è da eroi non consumare uno-due calici di fresca malvasia istriana DOC accompagnando del pesce di qualità (specie se si pensa an-che alle norme di legge in vigo-re per chi guida). Cosa ci resta allora? L’ideale per una buona reidratazione sarebbero dei suc-chi di frutta o verdura centrifu-gati, prodotti personalmente. Placano la sete più di ogni altra bevanda e contengono zucche-ri semplici, sali minerali, fi bre e vitamine, si fornisce all’organi-smo il giusto apporto di acqua, sali minerali e zuccheri sempli-ci. Per quest’opzione, però, bi-sogna essere dotati di una cen-trifuga apposita, un attrezzo che non è tra i più convenienti. Sul mercato l’offerta dei succhi di frutta è molteplice: spesso, però, in alcuni prodotti non di qualità la percentuale di colo-rante o aromi artifi ciali è ecces-siva. Inoltre diversi contengono troppo zucchero.

L’ANTIPASTOdi Fabio Sfi ligoi

Pagina 3

Pagine 4 e 5

Seppia il cefalopode più amato

Pagina 2

Basilico, sacro e profumato per un pesto straordinario

Estate: bere tanto, bere giusto

Pagina 8

Full immersion nel regno dello champagne

«Dopolavoro» per chi ama la cucina di montagna

Segue a pagina 3

Pagine 6 e 7

Page 2: NNel regno dello champagneel regno dello champagne · blemi di calorie in più, con il conseguente aumento del peso corporeo, tanto che negli Stati ... francesi. Grazie a piatti straordinari

Venerdì, 30 giugno 20062 cucina

VIAGGI

Nel regno dello champagneNel regno dello champagne

A fi ne maggio l’azienda vinico-la Louis Roederer ha invitato un grup-po di otto persone a visitare le loro pro-

prietà in Francia, fra le quali anche il sotto-scritto. Il viaggio è stato organizzato alla per-fezione con la collaborazione dei loro partner nel Regno Unito Maison de Marquis. Appe-na arrivati all’Eurodisney di Parigi ci han-no accolto i taxi che si sono subito diret-ti verso la regione di Champagne, esatta-mente a Reims. Nella sede dell’azienda sia-mo stati accolti subito dalla nostra guida, la gentilissima cittadina americana Mary Ro-che, sotto le dipendenze di Louis Roede-rer da oltre vent’anni. Non potevamo ambi-re ad una guida migliore. Il primo giorno ab-biamo fatto un tour dei vigneti, nella campa-gna adiacente a Reims.

Lo champagne è composto da tre uve di-verse, il pinot noir, lo chardonnay e il pinot munier. Nella regione di Champagne queste sono le tre uve primarie, anche se, se ne pos-sono trovano di altre. Louis Roederer pos-siede abbastanza vigneti da poter produrre lo champagne senza acquistare uve da altri contadini, come sta purtroppo succedendo fra i maggiori esportatori di champagne. Il terreno ottimale per coltivare l’uva da cham-pagne deve essere ricco di minerali, si tratta dunque di un terreno a base di gesso, dal qua-le la pianta può estrarre i minerali del gesso e della terra dal profondo delle radici.

Dopo aver visitato alcuni degli appez-zamenti terrieri dell’azienda (ammirando sopprattutto i frutti del pinot noir), è stata la volta degli stabilimenti dove la magia ha inizio: le presse. Si tratta tutt’ora di case ru-rali, con presse enormi nei cortili adiacenti. La politica di Louis Roederer infatti è “qua-lità e non quantità”. In una vendemmia de-cente la casa produce un totale di circa due milioni e mezzo di bottiglie (inclusi i rosé, il Cristal e il Vintage). Per fare un esempio, la Moet & Chandon produce un totale di tren-ta milioni di bottiglie, e oltre tre milioni del loro prodotto premium, il “Dom Perignon”. La Louis Roederer non ha sentito la necessi-tà di espandere la propria attività e continua a produrre ogni anno più o meno lo stesso numero di bottiglie mantenendo alta la qua-lità. Dopo aver visitato le presse, abbiamo fatto ritorno al nostro albergo nel centro di

Reims. Dopo mezz’ora di sosta e un veloce drink nella hall dell’hotel (manco a dirlo a base di champagne) c’era la prima delle due tappe di alta cucina francese. La cena al risto-rante “la Vignerie” è stata un successo vista la ottima qualità del cibo offerto dagli chef francesi. Grazie a piatti straordinari le carat-teristiche dei prodotti Louis Roederer hanno potuto esaltarsi al massimo con una varietà di sapori deliziosa.

Oltre a vigneti nella regione di Champa-gne, infatti, l’azienda ha acquistato appez-zamenti terrieri anche nella regione di Bor-

deaux (Saint’Estephe) e in Portogallo. Dopo un altro paio di magnum di Louis Roederer Brut Premiere la giornata si è conclusa in al-legria, in attesa della seconda parte.

La mattina seguente la comitiva si è av-viata verso la sede dell’azienda per visitare le cantine, ma soprattuto per conoscere il pro-dotto premium dell’azienda Louis Roederer: il Cristal. Si tratta senza dubbio dello cham-pagne più pregiato e conosciuto al mondo. Assieme a Dom Perignon e Krug forma il terzetto che ogni bar di prestigio vanta nel-la propria lista.

Il Cristal è stato prodotto esclusivamente per lo zar di Russia. Nel 1876 Alessandro II elesse lo champagne come vino uffi ciale del-la sua corte e in particolare quello di Louis Roederer. Lo zar, addirittura, pretese che la sua cuvée personale gli fosse presentata in

bottiglie di cristallo e da quel giorno nacque lo champagne più pregiato del mondo, il Cri-stal appunto. All’esposizione Universale di Parigi del 1876, insieme al fi glio Alessan-dro II, lo zar invitò il Kaiser Guglielmo I di Hohenzollern al Café Anglais di Parigi, per una serata riservata, a base di Cristal ovvia-mente. Quell’incontro passò alla storia come

“la cena dei tre imperatori”. Un’altra curiosità è legata al Cristal. Sic-

come lo zar aveva temeva di essere assassi-nato, l’azienda ha dovuto cambiare la bot-tiglia in cui lo champagne veniva imbotti-gliato. Ancora oggi questo dettaglio la ren-de unica al mondo; a differenza degli altri champagne la bottiglia di Cristal è trasparen-te e piatta alla base (per paura che una bom-ba potesse venir posizionata sul fondo della bottiglia).

Oggi c’è una guerra sul mercato mon-diale per aggiudicarsi le bottiglie di Cristal, ma Louis Roederer ha imparato dagli erro-ri commessi nel passato e oggi non intende cedere alle pressioni del business a tutti i co-sti. Prima la caduta dell’impero russo e poi il proibizionismo negli Stati Uniti hanno quasi mandato in fallimento l’azienda visto che si trattava di due importatori maggiori (oserei dire quasi esclusivi) di Cristal. Oggi il Cri-stal viene distribuito secondo percentuale in ogni Paese con cui la casa fa affari. Trattan-dosi di un prodotto premium, non si sa mai se e quante bottiglie verranno prodotte al-l’anno. Nelle vendemmie mediocri il Cri-stal non viene prodotto mentre da una ven-demmia decente si producono circa 450mila bottiglie da distribuire globalmente. Nelle annate eccezionali, poi, viene prodotto il Cri-stal Rosé. Il maggior numero di bottiglie per

annata è stato 19.000, sempre da distribuire globalmente, il che rende il prodotto un mito enologico, visto che pochi hanno avuto il pri-vilegio solo di vederlo, mentre rari sono co-loro che lo hanno gustato. Dopo aver assag-giato il Cristal, il Vintage e il Vintage Rosé ci siamo avviati verso la casa privata del gesto-re dell’azienda dove siamo stati ospitati da Cristophe Jacquemin-Sablon, l’export ma-nager dell’azienda. Per l’occasione l’azienda ha ingaggiato “a gettone” uno chef da stella Michelin per cucinare piatti squisiti da abbi-nare con i prodotti Louis Roederer. Dopo la cena del giorno prima questo pranzo è sta-to un’esperienza di livello superiore, al top della eno-gastronomia. Per iniziare una ma-gnum di Louis Roederer Brut Premier e tar-tine. Poi ci siamo trasferiti in sala da pranzo, dove ci aspettava una Magnum di Cristal del 1993 che lo chef ha voluto abbinare a un an-tipasto cremoso, una fricassea di asparagi e funghi di bosco. Come piatto forte ci è stata offerta della sella d’agnello marinata in timo con carciofi , cucinata ovviamente alla perfe-zione, abbinata a una bottiglia di Brut Rosé del 1997. Lo Chateau de Pez (Saint Estephe, Bordeaux) è stato abbinato ad un ricco piat-to di formaggi francesi mentre con il dessert (fragole e gelato ai biscotti) abbiamo avuto il piacere di gustare un porto eccezionale; Ra-mos Pinto del 1991. Dopo una breve chiac-chierata con il signor Sablon abbiamo lascia-to la regione di Champagne per dirigerci ad Eurodisney dove ci aspettava l’Eurostar di-retto a Londra.

La comitiva era composta da rappresenta-ti dei locali più noti di Londra nell’industria della ristorazione come il Metropolitan Bar, il Claridges, il Dorchester, il Soho Hotel e la Home House e tutti hanno goduto ogni istan-te dell’esperienza.

Tre giorni indimenticabili nell’azienda Louis Roederer

Il nostro collaboratore Mauro Scomerza, impiegato all’”One Ald-wych Hotel” di Londra, uno dei più lussuosi e apprezzati, fra l’altro, dai VIP del Regno Unito e non, è stato recentemente ospite in Francia del-l’azienda Louis Roederer, ossia il re-gno dello champagne. In questo arti-colo ci racconta le impressioni della tre giorni vissuta a Reims e dintorni.

Testo e foto di Mauro Scomerza

La bottiglia di Cristal, prodotta dalla Roederer, è unica al mondo per quanto riguarda

gli champagne: è trasparente ed ha il fondo piatto

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«Un buon contadino della mia area è do-tato di fi ocina e del

lume a carburo, rispolverati in maggio per recarsi a pesca di seppie peregrinando a piedi per la costa nelle notti di gran secca. Le seppie fritte o soffocate chia-mano la prima insalatina condi-ta anche di cipolla, o meglio an-cora dello scalogno, non il radic-chio che comunque preferirebbe l’aglio”. Fulvio Tomizza ricor-da così la sua e la nostra Istria, quello straordinario microcosmo dove la terra rossa impreziosita da vigne e uliveti, s’immerge nel verde azzurro del mare. Oltre che le preziose parole di Fulvio la pe-sca delle seppie per me è anche il ricordo di alcune giornate passate in barca, con il grande poeta rovi-gnese Ligio Zanini. Come quan-do in una giornata di primavera, verso il tramonto nello splendido mare di Rovigno, oltre l’Isola di Santa Caterina, insieme a Marti-na, Eva, Liliana e Maria, in quel cantun de Paradeiso, eravamo incantati dalle parole del dolce/burbero Ligio. E tutt’intorno ci tenevano compagnia, centinaia e centinaia di “pescatori” de sepe, che indifferenti gli uni agli altri, sembrava quasi volersi nascon-dere. Armeggiavano silenziosi con togne e volighe su barche che erano a poche decine di metri l’una dall’altra.

Poi il ricordo di una mitica Seicento/Ficio, parcheggiata di notte fonda sul molo di Sistiana: dove, dai morsetti della batteria situata nel cofano anteriore del-l’auto, partivano due lunghi cavi che terminavano in una gran-de lampada, alimentandola. Una lampada che azionata dalle abi-li mani di Dario fendeva il buio della notte e proiettava un inten-so fascio di luce verso il fondo del mare, mentre Gianni, Lucio, Adriano e il povero Mario, che purtroppo ha abbandonato già da tanto tempo la vita terrena, con le fi ocine in mano erano pronti e attenti a colpire e poi a traghetta-

re le seppie nei grandi secchi già tutti neri.

Primavera, periodo miglioreSeppia, sepa in dialetti vene-

to, sipa in croato, navadna sipa in sloveno, cuttlefi sh in inglese,

gemeiner tintenfi sch o kuttel fi -sch in tedesco, un cefalopode a forma di sacco ovale allungato, dotato di una conchiglia inter-na appiattita e allungata, posta nella regione dorsale, notissima come l’osso di seppia, famoso anche nella nostra letteratura. Per quanto riguarda la sua biolo-gia, l’osso risulta poroso e leg-

gero grazie a numerosissime e microscopiche camere presenti al suo interno; questo permette all’animale di avere un asset-to idrostatico equilibrato. Più o meno lo stesso principio che è stato adottato da noi “umani” nella progettazione dei sommer-gibili. La seppia da viva, grazie

alla presenza di numerosissimi cromatofori, che le permettono una migliore mimetizzazione e quindi di variare colorazioni, sfumature, ornamenti e disegni, ha una colorazione estremamen-te variegata e variabile.

Come quasi tutti gli anima-li, la seppia è sostanzialmente abitudinaria, in primavera, per deporre le uova, si avvicina in grossi sciami alla zona costie-ra. Questo è il periodo miglio-re per la sua cattura. Poi le sep-pioline, che nascono a partire da giugno, si portano lentamente in tarda estate verso il mare aperto, e questo è un altro buon perio-do per la loro cattura. Cattura che può essere effettuata con il rampone, che le fa però rotolare a lungo sul fondale e quasi sem-pre le danneggia, spesso quindi le carni contengono frammenti di conchiglia e sabbia, meglio le seppie pescate con le nasse, ri-mangono più integre e non han-no soprattutto la fastidiosa sab-bia all’interno. Il grande pesca-tore di Isola d’Istria-Marano La-gunare Albino Troian, ricorda come nel Golfo di Trieste, agli inizi del 1900 e in primavera, la pesca era effettuata con le seppa-role. E cioè con dei rudimentali “modelli” di seppie, che si assi-curavano alle togne, servivano ad attirare i maschi verso terra o verso le barche dei pescatori, qui gli ignari cefalopodi si attac-

cavano alla bancarella, una sorta di asta armata con più ami uniti assieme.

Dedica a Franz Joseph

La pesca delle seppie in Alto Adriatico è stata a lungo considera-ta poco redditizia, perché il prodot-to era destinato per lo più alla parte povera della popolazione. Un‘abitu-dine che cambiò nel 1911, quando ci fu un rincaro vertiginoso dei beni alimentare, quindi anche dei pesci e delle seppie. Le seppie in quel mo-mento trovarono un mercato e la loro pesca divenne quindi un’im-portante fonte di guadagno: questo anche perché gli attrezzi per la pe-sca delle seppie, nasse fatte di bac-chette, di vimini o cannucce intrec-ciate a giunco palustre, erano poco costosi.

Fritte, roste, lesse da sole o in insalata con altri pesci e molluschi, in umido o sofi gade, in brodetto o in tecia col nero, con il pomodoro, crude o anche... secche, è possibi-

le preparare le seppie veramente in tanti modi. Spesso la scelta dipende dalla loro taglia, se piccole, tagliate a listarelle, meglio fritte, se di media o grande dimensione in brodetto o ro-ste. Le sepe in tecia col pomodoro – per la loro preparazione è importan-te conservare e utilizzare il fegato (el maron), per cinque seppie di medie dimensioni uno o due fegati – ac-compagnate dalla polenta è un piatto che, nella tradizione di queste terre, legate all’Impero Asburgico, è dedi-cato al mitico e da alcuni rimpianto Franz Joseph, perché difatti ricorda i colori della bandiera austriaca, un piatto della nostalgia quindi.

Oggi a questo prezioso, sapo-rito, gustoso e popolarissimo mol-lusco la Comunità degli Italiani di Umago, intitolata proprio a Fulvio Tomizza, ha voluto dedicare una serata/degustazione. E quindi, oltre che ammirare l’Istria di Tomizza, un’Istria davvero straordinaria quan-do la primavera e l’estate sanno es-sere generose di “acqua”, si sono as-saporati piatti dell’antica tradizione, della cultura e della civiltà istriana del mare. Così con un buon bicchie-re di malvasia in mano, nel ricordo di Fulvio, eravamo attorno alla tavola per gustare insieme una grande va-rietà di preparazioni a base di seppie in insalata, sepe coi bisi, seppie con le patate e seppie con gli asparagi (i nostri, quelli selvatici), per conclu-dere infi ne con uno straordinario brodeto de sepe accompagnato da un eccellente Merlot di Coronica.

Venerdì, 30 giugno 2006 cucina 3ISTRIA Ricordi e ricette in nome dell’amato cefalopode

Fritte, in insalatain umido: viva le seppie!

di Marino Vocci

Dalla prima pagina

Brodetto de sepe de LilianaIngredienti: 1 chilogrammo di seppie 300 grammi di polpa di pomodoro Due spicchi d’aglio Due piccoli scalogni Un decilitro di olio extravergine di oliva Sale e pepe q.b.

Pulire accuratamente le seppie, togliendo il bec-co, l’osso, la pelle esterna ed il sacchettino dell’ in-chiostro. Mettere da parte il fegato (almeno due o tre su un chilogrammo, dipende dalla grandezza delle seppie). Sciacquarle bene senza slavarle. Se le seppie sono piccole, lasciatele intere, altrimenti tagliatele a listarelle piuttosto larghe. Far imbiondire in mezzo bicchiere d’olio extravergine d’oliva i due spicchi d’aglio e i due scalogni tritati sottilmente. Quando prendono colore togliere sia gli spicchi che gli scalo-gni tritati. Togliere la pentola dal fuoco e mettere le seppie e i due o tre fegati, mescolare tutto, mettere il pepe e rimetterle sul fuoco vivo. Farle andare fi nchè cambiano di colore, poi abbassare il fuoco e aggiun-gere la polpa tritata dei pomodori. Cuocere il tutto ancora per 45 minuti circa aggiustando il sale.

Seppie con i piselli dolci Ingredienti: Un chilogrammo di seppie 400 grammi di pisellini 300 grammi di polpa di pomodoro Un bicchiere di vino bianco Due spicchi d’aglio Prezzemolo Un dcl di extravergine d’oliva Sale e pepe q.b.

Pulire accuratamente le seppie e mettere da par-te due o tre fegati. Far dorare in un tegame, a calo-re vivo, aglio e olio, Togliere la pentola dal fuoco e aggiungere le seppie e due o tre fegati mescolare il tutto, mettere il pepe e rimetterle sul fuoco vivo. Bagnare con vino bianco, farlo evaporare e poi ab-bassare la fi amma, aggiungere la polpa di pomodo-ro tritata e acqua calda quanto basta per ricoprire le seppie. Continuare la cottura per 30 minuti. Poi aggiungere i pisellini e continuare la cottura anco-ra per 15 minuti circa. Mettere le seppie nel piatto di portata e cospargere con del prezzemolo tritato a piacere.

cucina 3

«Un buon contadino della mia area è dotato di fi ocinae del lume a carburo, rispolverati in maggio per recarsi a pesca di sep-pie peregrinando a piedi per la costa nelle notti di gran secca», diceva Fulvio Tomizza

Lo si capisce gustandoli, si ha la sensazione di bere qualco-sa di non naturale anche se viene pubblicizzato come il più natura-le dei prodotti. Lo stesso vale per i té freddi prodotti industrialmente. È meglio scegliere delle bustine di tè alla frutta come frutti di bosco, pesca, agrumi (magari da acqui-stare in erboristeria) e metterne qualcuno in infusione in due-tre litri d’acqua. Versate in diverse bottiglie, mettetele in frigo e avre-te un tè freddo naturale fatto in casa.

Abbiamo lasciato apposta per l’ultima l’acqua e il motivo è sem-plice. Essendo il nostro corpo for-mato per il 60 p.c. del peso da ac-qua, questo ne fa una componente essenziale del nostro organismo, fondamentale per le funzioni con-siderando che è presente in tutte le cellule e in tutti i tessuti, scheletro compreso (costituisce circa il 55 p.c. del sangue circolante). A detta degli esperti perderne anche solo il 10 per cento porta all’incapacità di qualsiasi attività fi sica. La quantità di acqua da assumere quotidiana-mente varia molto a seconda delle condizioni costituzionali, del clima e dello stato di salute o malattia, è una variabile da valutare caso per caso. Per dire: chi fa sport rego-larmente deve bere molta acqua e anche integratori per reidratarsi correttamente. Gli anziani, d’esta-te, devono bere altrettanto molta acqua. Se questa non è di qualità, chiaramente la scelta ricadrà sul-l’acqua minerale. Quella gassata rispetto alla naturale presenta la sola differenza di contenere in più dell’anidride carbonica, la cui pre-senza, a lungo andare, può creare dei fastidi. Il consumo di acqua minerale, se si eccettuano alcune categorie a rischio come i malati di calcoli (che possono usufruire delle acque oligominerali), è con-sigliabile a tutti anche per i grandi vantaggi che garanstice, reidrata-zione compresa.

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4 cucina 5Venerdì, 30 giugno 2006 Venerdì, 30 giugno 2006

Sminuzzatelo sempre con le ditaCONSIGLI

Il basilico è diffi cile da abbi-nare ad altre erbe aromatiche, tra cui il prezzemolo, il timo e il ro-smarino. In frigorifero si può con-servare al massimo per due gior-ni, bene avvolto in un canovaccio da cucina. Secco perde completa-mente il suo profumo, conviene piuttosto congelarlo, dopo averlo lavato ed asciugato. Si ottiene un buon risultato conservandolo in olio d’oliva: pulite delicatamen-te le foglie, senza lavarle e di-sponetele a strati in un recipiente a chiusura ermetica coprendo via via con olio extravergine d’oliva; il basilico si conserverà a lungo ed aromatizzerà l’olio che potrà essere così utilizzato. Ecco un’altra ricetta per otte-nere un ottimo olio extravergine d’oliva aromatizza-to al basilico: mettete diverse foglioline di basilico in una bottiglia da un quarto di litro o mezzo litro, a seconda delle necessità. Scaldate l’olio in una pen-tola portandolo alla temperatura di 70-80°, spegnete il fuoco e versatelo nella bottiglia. Lasciate riposare

per due-tre giorni, quindi fi ltrate. Avrete ottenuto un olio al basilico eccellente per condire una fresca insalata.

È consigliabile aggiungere il basilico alle pietanze all’ultimo momento, prima di servirle poi-ché il basilico tende a perdere il suo prezioso sapore. È questo il motivo per cui non si dovrebbe mai tagliuzzare il basilico con il coltello…molto meglio sminuz-zarlo con le dita.

Lo si può pestare in un mor-taio per rompere le cellule che contengono l’olio essenziale e per liberare meglio l’aroma. Il basi-lico si trova commercializzato in

mazzetti, che all’acquisto devono essere turgidi e verdi; può essere anche acquistato in vaso, cosa che ne permette l’utilizzo fi no all’autunno.

Il suo olio essenziale è utilizzato per la prepara-zione di profumi e liquori; dalla distillazione della pianta fresca si ottiene un’essenza contenente euca-liptolo ed eugenolo.

Sacro e profumato: il re delle piante aromaticheBASILICO

Pesto genovese: così semplicecosì straordinario

Il basilico viene usato come erba aromatica, ma esiste una salsa universalmente conosciuta che ha questa pianta come ingrediente di base. Stiamo par-lando del pesto genovese, “invenzione” straordina-ria per sapori, profumi e praticità: una volta pre-parato si conserva nel freezer e quando serve, per esempio per condire un piatto di trenette, basta il tempo della cottura della pasta, due-tre cucchiai di pesto e il pranzo, magari con una bella insalata, è servito. È per questo, ma anche per la sua facile pre-parazione in sé, che le casalinghe lo amano tanto. E poi il pesto genovese non va bene solo con la pasta: ha uguale successo con gli gnocchi, oppure come condimento ad un minestrone di verdure o sempli-cemente spalmato su una fetta di pane casereccio.

Sulla ricetta del pesto alla genovese fra i gour-met esistono due “correnti”: quelli che lo preferi-scono con l’aglio (come del resto prevede la ricet-ta autentica) e quelli che lo prediligono senza questo a volte fastidioso ingrediente. Chi scrive è per la seconda variante, più leggera e ugual-mente saporita. Perfi no alcuni genovesi DOC preparano il pesto esclu-dendo l’aglio e conseguenti problemi di digestione. I “tradizionalisti”, invece, ritengono che, se la riduzione della presenza di spicchi d’aglio nella preparazione risulta eccessiva, questa faccia perdere vigore alla ricetta.

Sul pesto, poi, è da sempre presente un’altra discussione e riguar-da le modalità nella preparazione. La tradizione prevede un mortaio in marmo e un pestello di legno, ma la maggior parte delle casalinghe ne è priva e quindi va bene anche un frullatore o uno di quei mixer di ul-tima generazione (un sacrilegio per i “puristi” del pesto genovese) che consentono di abbreviare i tempi di preparazione e comunque ottenere una salsa di ottima qualità e omogenea di consistenza.

Uno degli ingredienti base del pesto sono i pinoli. Da noi è molto diffi cile trovarli. Chi di solito ha l’abitudine di preparare in casa il pesto e poi lo conserva nel freezer, si arrangia acquistandolo nei supermercati più forniti della vicina Italia. C’è, però, un modo per ovviare alla man-canza di questo ingrediente. Si possono, infatti, usare delle noci, grazie alla quali il pesto risulterà ancor più saporito.

Il pesto deriva con ogni probabilità dalle agliate medievali, le quali, a loro volta, avevano sostituito il garum degli antichi romani, un onni-presente condimento a base di pesci macerati nel sale insieme ad erbe aromatiche. Tutte queste salse erano sempre accompagnate da agresto (succo di uva acerbo), da aceto, da succo d’arancia oppure da vino, era-no cioè salse non unte, amalgamate senza ricorrere all’utilizzo di con-dimenti grassi, sia di origine animale (burro) che vegetale (olio d’oli-va). Il pesto, quindi, può essere considerato la prima salsa unta, a base di olio di oliva, della gastronomia.

La prima volta che troviamo citata in un testo una salsa che potreb-be essere l’antenata del pesto genovese è nelle Bucoliche di Virgilio: il contadino Similo pranza con una focaccia spalmata di moretum, una salsa a base di coriandolo, ruta, prezzemolo e cacio pestati nel mortaio e legati dall’olio di oliva. Le origini sono sicuramente orientali, dove non mancano salse con pinoli uniti ad un formaggio acidulo, impiega-to come legante per i vari ingredienti. Quando questo fu sostituito dal-l’olio, che ne assunse la funzione amalgamante, si usarono altri tipi di formaggio a pasta dura: pecorino e grana.

Il basilico venne introdotto assai più tardi nella ricetta, poi ne diven-ne il protagonista. Per secoli sono state attribuite al basilico, oltre che proprietà che lo rendono pregevole in cucina, anche virtù magiche: per questo era raccolto secondo ritualità codifi cate e sacre. Ancora oggi, a livello di tradizione estrema, possono esserne riconosciuti i rifl essi nel-la scelta degli attrezzi (mortaio di marmo e pestello di legno) e nella pa-zienza manuale della sua preparazione. Secondo i cultori del pesto ge-novese versione DOC non bisogna infatti pestare gravemente le foglio-line (sono loro a trattenere in organuli gli olii essenziali che conferisco-no il gusto) ma ruotare leggermente il pestello in modo da stracciarle senza tranciarle. La lavorazione deve svolgersi a temperatura ambiente e non dilungarsi troppo, per evitare problemi di ossidazione.

La ricetta originale del pesto, così come la conosciamo oggi, è stata codifi cata verso la metà del XIX secolo: compare infatti trascritta per la prima volta nella “Cuciniera genovese” dei fratelli Ratto del 1865, dove viene defi nito “battuto d’aglio e di basilico” ed è una salsa con cui “si condiscono tutte le paste”. Vi viene indicato anche il modo di con-servare le foglie, ingrediente principale e non sempre disponibile: in un vaso, coperto di olio d’oliva, “chiuso con tappo di pergamena, legata con uno spago intorno”.

Per ottenere il pesto migliore occorrono foglie giovani di piante che non abbiano superato i due mesi di vita, da frantumare con l’aglio stracciandole nel mortaio. A questi due ingredienti vanno aggiunti olio di extravergine di oliva, pinoli e formaggio grattugiato (preferibilmente grana e pecorino in giuste proporzioni). (fas)

Insostituibile «amico» della nostra cucina estiva, da coltivare in terrazzo o in giardino

cessita di un clima caldo e soleggia-to con almeno cinque ore d’insola-zione quotidiana; luglio-agosto è il periodo migliore per la raccolta. Il

basilico soffre il freddo e non resiste se la temperatura scende al di sotto dei 10° e preferisce un suolo fresco e ben drenato e un’esposizione ripa-

Gnocchetti di patate al basilico

Ingredienti: Un chilogrammo di patate 600 grammi di pomodorini 300 grammi di farina 40 grammi di mandorle a lamelle Basilico Un uovo Olio extravergine d’oliva Sale q.b.Pepe bianco in grani q.b.

Sbollentate i pomodorini, pelateli, taglia-teli a metà, svuotateli dei semi e raccogliete-li in una ciotola. Tostate in un dito d’olio le mandorle, quindi versatele con il condimen-to sui pomodorini, aggiungendo un mazzetto di basilico sminuzzato; lasciate marinare per un’ora (o per un giorno), coperto in frigo-rifero. Raccogliete le patate in una pentola con acqua fredda, incoperchiate e lessatele, a fuoco medio, scolandole piuttosto al dente, quindi pelatele e passatele allo schiacciapa-tate, raccogliendole in un mucchietto, sulla spianatoia, sopra uno strato di farina. Frul-late l’uovo con sale, pepe, abbondante ba-silico, poi versate il tutto sulle patate e im-pastate con la farina. Preparate un impasto omogeneo da tagliare in quattro pezzi che vengono rollati sulla spianatoia, per ottenere altrettanti fi loncini, spessi circa un dito, da tagliare a pezzettini (gnocchetti). Lessateli in acqua bollente salata, scolateli con il me-stolo forato appena verranno a galla e condi-teli, in una capace ciotola, con la marinata di pomodoro e, a piacere, grana grattugiato.

Vellutata di scampi al basilico

Ingredienti800 grammi di brodo di pesce (fumetto) 400 grammi di code di scampi

100 grammi di latte 35 grammi di farina bianca35 grammi di burro Scalogno Timo Alcune foglie di basilico Olio extravergine d’oliva Sale pepe q.b.

Tritate uno scalogno e ponetelo ad ap-passire in tre cucchiaiate d’olio insieme con un rametto di timo fresco. Unite le code de-gli scampi, sgusciate a crudo e tagliate a tocchetti, e un pizzico di sale. Fate rosolare dolcemente quindi scartate il timo e tenete da parte l’intingolo. In un’altra casseruola impastate il burro con la farina; stemperate il roux con il brodo caldo versandolo a fi lo, quindi portate su fuoco moderato facendo sobbollire per 5-6 minuti; salate e pepa-te poi versate il composto sull’intingolo di scampi e fate cuocere il tutto ancora per 5’ unendo anche il latte e alcune foglie di ba-silico spezzettate a mano. Infi ne frullate il tutto. Servite la vellutata calda, guarnita con foglioline di basilico freschissimo; volendo accompagnatela con crostini di pane case-reccio, tostati in forno, oppure fritti nel bur-ro per renderli più saporiti.

Branzino farcito con salsa al basilico

Ingredienti: Un branzino di circa un chilogrammo 300 grammi di pomodori 200 grammi di cipolla 150 grammi di erbette Zucchero Origano fresco Timo Aceto Olio extravergine d’oliva Sale e pepe q.b.

Per la salsa al basilico: 60 grammi di olio extravergine d’oliva30 grammi di foglie di basilico 10 grammi di pinoli Aglio Sale e pepe q.b.

Eviscerate il branzino, dopo averlo aperto con un taglio dalla cavità anale alle branchie; squamatelo leggermente, lavatelo, asciu-gatelo poi incidetelo lungo la spina dorsale passando il coltello tra la lisca e la polpa, da un lato e dall’altro della lisca stessa che, su-bito dopo, potrete estrarre con relativa faci-lità. Riducete le cipolle a velo, fatele appas-sire in un fi lo d’olio, unitevi un cucchiaio di zucchero, due di aceto, i pomodori già spel-lati, privati dei semi, le erbette, sale, pepe e un trito di timo e origano. Incoperchiate, la-sciate stufare il tutto per 5 minuti, quindi far-cite il branzino, inserendo il composto al po-sto della lisca. Salate, pepate il pesce, lega-telo con alcuni giri di spago bianco per farlo stare in forma, accomodatelo su una placca unta d’olio e infornatelo a 180° per 30’ circa. Nel frattempo preparate la salsa frullando, a bassa velocità, il basilico l’olio, i pinoli, sale, pepe e mezzo spicchio d’aglio privato del-l’eventuale germoglio. Liberate il branzino cotto dallo spago, trasferitelo nel piatto da portata, su un velo di salsa e servitelo subito, con il resto della salsa a parte.

Sorbetto al basilico Ingredienti: Sedici foglie di basilico Mezzo litro di spumante secco Quattro albumi d’uovo 100 grammi di zucchero Un limone

Frullate per un minuto alla massima ve-locità lo spumante, il basilico, lo zucchero e il succo di limone. Montate a neve gli al-bumi e incorporateli agli ingredienti frullati.

Perché gli albumi si montino senza diffi col-tà, sia la ciotola che le fruste dello sbattitore (o la forchetta, se procedete manualmente) devono essere puliti e asciutti. Per incorpo-rare gli albumi senza smontarli, aggiungeteli al composto a cucchiaiate e poi copriteli con gli altri ingredienti, così da inglobarli senza mescolare. Mettete il tutto in freezer per cir-ca 45 minuti e versate in bicchiere, facendo guarnizioni con foglie intere di basilico.

Liquore al basilico Cinquanta foglie di basilicoMezzo chilo di zuccheroUn litro di grappa

Versare la grappa in un contenitore di ve-tro, unire le foglie di basilico ben lavate e lo zucchero. Chiudere il recipiente e lasciare a macerare le foglie per un mese. Poi fi ltrare e imbottigliare.

Il nome di questa pianta deriva dal greco basilicòn che vuol dire regale. Ma nel Medioevo era considerato anche il simbolo dell’odio. Elisabetta da Messina seppellì la testa del suo amante in un vaso di basilico annaffi andolo con le sue lacrime

La ricetta veloce…IngredientiAlmeno quattro mazzetti di foglie di basilico frescoOlio extravergine d’oliva (un bicchiere)Parnigiano reggiano grattugiato q.b.Una manciata di pinoliSale q.b.

Versate tutti gli ingredienti nel reci-piente del frullatore, fatelo partire fi no a che la salsa non avrà una consistenza media, né troppo liquida, né troppo den-sa. Se si verifi ca il primo caso, aggiun-gete un po’ di formaggio e qualche pino-lo. Nel secondo caso, invece, regolare la consistenza aggiungendo un po’ d’olio. Nella ricetta non ci sono misure esat-te, bisogna andare un po’ ad… occhio, fi no ad ottenere la consistenza giusta. Col tempo, vedrete, prenderete la mano.

Una volta frullati gli ingredienti, met-tete il pesto in uno o più contenitori di plastica o vetro e riponeteli nel freezer. Quando userete il pesto toglietelo prima dal frigorifero, fatelo ammorbidire un po’ e con un cucchiaio prendetene la quanti-tà necessaria; poi potete riporre il pesto nuovamente nel freezer. Per “allungare” il pesto genovese potete usare un po’ di olio extravergine d’oliva.

… e quella originaleIngredientiBasilico Olio extravergine di oliva Formaggio grattugiato (metà di parmigiano e metà di pecorino)Due spicchi d’aglio Un cucchiaio di pinoli Noci (facoltative)Sale grosso (qualche grano)

Per fare il vero pesto alla genovese occorrono un mortaio di marmo e un pestello in legno, tanta dili-genza e pazienza. Per prima cosa bisogna lavare in ac-qua fredda quattro mazzi di basilico e poi metterli ad asciugare su un canovaccio: nel frattempo nel mortaio si deve pestare uno spicchio d’aglio ogni trenta foglie di basilico (la ritualità sta anche nelle dosi).

L’aglio deve essere dolce, non deve prevalere pur facendosi sentire nel sottofondo. Non deve mancare il sale grosso, aggiungetene qualche grano. A questo punto, ma non tutte insie-me, vanno aggiunte le foglioline e si inizia con un dolce movimen-to rotatorio e prolungato a pestar-le nel mortaio.

Ricordatevi che gli oli essen-ziali del basilico sono conserva-ti nelle venuzze delle sue foglie e che per ottenere il miglior gusto, bisogna non pestare gravemen-te ma ruotare leggermente il pe-stello in modo da stracciare, non tranciare, le profumate foglio-line. Quando il basilico stilerà un liquido verde brillante sarà il momento di aggiungere i pinoli,

una manciata. I pinoli che ammorbidiranno e amalga-meranno la salsa, le regaleranno quel bouquet gentile che fa da contraltare all’aglio, sono un di più, il tocco d’artista.

È giunto il momento dei formaggi: parmigiano reg-giano e pecorino, adeguatamente stagionati. Ed infi ne l’olio extravergine d’oliva, versato a goccia, dal sapo-re non particolarmente aggressivo, non particolarmen-te intenso, ideale per sposare tutti gli ingredienti senza sopraffarli.

Un’ultima raccomandazione: la lavorazione deve avvenire a temperatura ambiente e deve terminare nel minor tempo possibile per evitare problemi di ossida-zione. A questo punto il pesto è pronto.

Tempi moderni e tradizione a confronto

I due modi di vedere il pestoE per fi nire sorbetto e liquore al basilico

Sorbetto al basilico

A cura di Fabio Sfi ligoi

Le foglie più profuma-te sono quelle che si raccolgono prima

della fi oritura, hanno una maggiore quantità di sostanza oleosa che ne determina l’aroma

Per noi che abbiamo fatto del-la cucina italiana e mediter-ranea il punto fermo del no-

stro “mangiar quotidiano”, il basili-co, meravigliosa pianta aromatica di ogni estate, è da considerare prezio-so e insostituibile. Ha un gusto dol-ce, fragrante, ancor più forte quando il sole ne aumenta l’intensità. Le fo-glie più profumate sono quelle che si raccolgono poco prima della fi o-ritura, poiché contengono una mag-giore quantità di sostanza oleosa che ne determina l’aroma; le foglie più vecchie tendono ad avere un sapo-re più piccante. A questo proposito è bene sapere che per far mantenere il profumo al basilico è bene pulirlo con della carta da cucina inumidita, evitando di lavarlo sotto il getto di acqua. Questa pianta,che appartie-ne alla famiglia delle Labiate e che in India è considerate sacra e non si può utilizzare nell’alimentazione, si acompagna perfettamente con un al-tro grande protagonista dell’estate, ossia il pomodoro. Ma va bene an-che per insaporire passati e mine-stre, paste asciutte, zucchine ed è ec-cellente mescolato ed insalate crude e succhi di verdura.

Essendo quella del basilico una coltivazione facile, possiamo pian-tarlo facilmente in appositi vasi che poi metteremo sul balcone, in terraz-zo o in cortile. Ovviamente chi ha la possibilità può piantarlo in piena terra, nel proprio giardino. È, però, necessario sapere che il basilico ne-

rata. La semina va fatta in primave-ra, verso marzo-aprile. Se il clima è temperato, meglio optare per la serra o vasi mantenuti ad una temperatura di circa 20°. Il trapianto in piena ter-ra si può fare quando la temperatura si è suffi cientemente alzata e non c’è più pericolo di gelate notturne, quin-di tra aprile e maggio a seconda del clima. A seconda della specie il ba-silico può raggiungere un’altezza di 30-60 centimetri. I fi ori sono picco-li, di color bianco, le foglie giovani sono le più profumate e dovrebbe-ro essere usate quando la piantina è alta circa 20 centimetri.

Varietà C’è basilico e basilico. Esistono

circa 40 tipi di basilico. A quelli più comuni come il “fi ne verde com-patto” di taglia ridotta o il “mam-mouth” con foglie larghissime, banno menzionati il basilico “geno-vese”, conosciuto per il suo profu-mo acuto e ovviamente indicato per la preparazione del pesto. Parlando di specie più… esotiche la varie-tà “Cinnamon” presenta fi ori rosa-malva ed è caratteristica per il suo sapore molto speziato, simile alla cannella. La varietà “Minimum” è detta anche basilico greco, è un ce-spuglio compatto con foglie picco-le, verdi, ovali e appuntite. L’aroma è di media intensità. Tollera climi più freddi rispetto al basilico usua-le. Il “Purple Ruffl es” presenta ste-li rosso-viola scuro, come le foglie (meno comune da noi). Può essere usato come il basilico normale in particolare per contorni colorati e

aromatici. La specie “Crispum” presenta grandi foglie dalla super-fi cie increspata e dal profumo in-tenso. L’“Anise” invece ha un pro-fumo che ricorda appunto l’anice.

Un po’ di storia Un’erba regale di origine orien-

tale. Sì, perché basilico deriva dal greco basilicòn che vuol dire rega-le. Il basilico è originario dell’Asia tropicale: probabilmente fu coltiva-to inizialmente in Iran o in India e giunse attraverso il Medio Oriente in Europa, particolarmente in Ita-lia e nel sud della Francia attorno al XV secolo; successivamente, nel XVII secolo iniziò ad essere colti-

vato anche in Inghilterra e, con le prime spedizioni migratorie, nelle Americhe.

I Galli coltivavano il basilico a luglio/agosto fi nché è in fi ore. I rac-coglitori di questa pianta sacra do-vevano sottoporsi a rigidi rituali di purifi cazione: lavarsi la mano con cui si doveva raccogliere nell’ac-qua di tre sorgenti diverse, rivestir-si di abiti puliti, tenersi a distanza dalle persone impure (ad esempio, le donne durante il periodo delle mestruazioni) e non utilizzare at-trezzi in metallo per tagliare i fu-sti (oggi si consiglia alle casalinghe di non sminuzzarlo col coltello, ma di farlo a pezzettini con le mani op-

pure tagliarlo sì, ma con un coltello di ceramica). Il basilico era consi-derato una pianta sacra in quanto lo si riteneva capace di guarire le fe-rite, soprattutto quelle di archibu-gio; era quindi un ingrediente del-l’acqua rossa vulneraria. Elisabetta da Messina, eroina del Decamerone di Boccaccio, seppellì la testa del suo amante in un vaso di basilico annaffi andolo con le sue lacrime. Nelle miniature dei manoscritti del Medioevo, il basilico è il simbolo dell’odio. In Dalmazia, in passato, i giovanotti usavano recarsi all’ap-puntamento con le ragazze con un rametto di basilico infi lato dietro all’orecchio.

La salsa più conosciuta

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6 cucina Venerdì, 30 giugno 2006

PESCE BIANCO Caratteristiche e suggerimenti

Delicatezze del mare

Filetti di sogliola alla mugnaia

Ingredienti: Quattro sogliole Farina Burro Prezzemolo Sale, due limoni

Togliete la pelle alle sogliole da entrambe le parti e fi lettatele, lavatele e infarinatele.

Ponete sul fuoco un largo tegame per fritti con una noce di burro, adagiatevi i fi letti di sogliola, fateli dorare da entrambe le parti, salate e cospar-getele con abbondante prezzemolo tritato e il suc-co di un limone.

Ponetele sul piatto da portata ben caldo, unite al burro delle frittura ancora 30 grammi di burro fresco, fatelo fondere fi no a vederlo di color noc-ciola scuro, quindi versatelo sui fi letti e servite subito. Decorate il piatto con rondelle di limone pelato al vivo.

Con l’estate, quando caldo e afa si fanno op-primenti, il modo migliore per restare legge-ri a tavola è consumare del pesce bianco ab-

binato a della verdura di stagione. Nonostante i prez-zi proibitivi nelle pescherie, il pesce bianco, ricco di vitamine e minerali, è fondamentale per la no-stra alimentazione. Le sue carni sono di colo-re chiaro, è più magro ma contiene la stes-sa quantità di proteine e minera-li dei pesci più grassi. Ecco al-cuni dettagli.

Sogliola alle erbeIngredienti: Quattro grossi fi letti di sogliola Due carote Un cucchiaio di prezzemolo tritato Quattro foglie di spinaci 100 grammi di panna da cucina 30 grammi di burro Sale, pepe

Raschiate le carote, lavatele e tagliatele a ba-stoncini molto sottili. Lavate le foglie di spinaci, e riducetele a listarelle.

Prendete quattro fogli di carta da forno, im-burrateli, salateli, pepateli e al centro di ogni fo-glio mettete due mezzi fi letti di sogliola, arrotola-teli su se stessi, un quarto delle carote, spinaci e prezzemolo. Salate, pepate, irrorate ogni prepara-zione con 25 grammi di panna e chiudete i cartoc-ci tutto intorno. Metteteli sulla placca e passateli nel forno caldo a 200 gradi per 10 minuti circa.

Eliminate la carta e servite subito.

Branzino È un pesce che vive nell’Adriatico, nel Mediterraneo e nell’Atlantico Orientale a limitata profondità. Ha dorso bianco e fi anchi grigi, il ventre è argenteo; è facilmente distinguibile grazie alle sue pinne dorsali e può raggiungere la lunghezza di un metro. Ha carne bianca magra, soda e profumata che resiste molto bene alla cottura, per questo motivo risulta essere uno dei pesci più apprezzati. La cottura più idonea è la lessatura, ma anche arrosto dà risultati eccezionali.

Sogliola La sogliola è uno dei pesci più ricercati ed apprezzati per la bontà della sua carne. È un pesce di mare che vive in fondali profondi, è di forma appiattita ed ha gli occhi sul lato in cui la pelle è di colore bruno-verdastro. La parte inferiore del corpo è di colore bianco e solitamente è la parte che la sogliola adagia sui fondali.

Varietà La più apprezzata è la sogliola comune, che può raggiungere i 45 centimetri di lunghezza.

Come acquistarla Controllate l’aderenza della pelle al corpo: quando la sogliola è fresca la pelle risulta essere molto aderente alla carne. Fate attenzione che la sogliola non presenti colorazione giallognola, soprattutto lungo i bordi del corpo.

Conservazione Solitamente va consumata freschissima, si può conservare in frigorifero al massimo per due giorni, chiusa fra due piatti o avvolta in un foglio di carta d’alluminio, dopo averla accuratamente pulita.

Come si pulisce Si deve prima di tutto praticare un’incisione sotto la testa, dalla parte dell’occhio e privarla delle viscere. Quindi occorre praticare un taglio alla base della coda, tenere la sogliola con una mano e con l’altra, alzando la pelle tagliata, strapparla tutta fi no alla testa. Per fi nire vanno eliminate le lische intorno al pesce e poi lavata sotto il getto dell’acqua fredda.

ProprietàLa carne di sogliola è magra e ricca di proteine. E molto digeribile ed adatta ai bambini. Essendo molto magra è consigliata in caso di cure dimagranti. È invece consigliato un uso moderato a chi soffre di insuffi cienza renale.

Varietà C’è quello selvaggio e quello di allevamento, che si distingue dal primo per il colore grigio scuro del dorso, oltre naturalmente al sapore meno deciso.

Come acquistarlo Controllate che il colore delle branchie sia di un argento vivo; le squame lucide e ben attaccate: se si tolgono facilmente il pesce non è fresco. La carne deve essere soda ed elastica; l’occhio deve essere brillante. Inoltre non deve emanare cattivo odore, segno inequivocabile che il pesce non è fresco.

Conservazione Una volta pulito, copritelo con della pellicola; se il pesce è molto fresco può essere conservato in frigorifero fi no a 48 ore.

Come si pulisce Iniziate la pulitura tagliando le pinne con delle robuste forbici da cucina, poi squamatelo, facendo attenzione a che la pelle non si rovini lacerandosi, dal momento che è molto delicata. Poi evisceratelo attraverso le branchie o praticando un’incisione all’altezza della pancia, in senso verticale, lavatelo accuratamente fuori e dentro e asciugatelo.

Proprietà Il branzino di allevamento non è particolarmente magro, infatti contiene il 7 per cento di grassi, i quali però sono salutari perché ricchi di omega 3, che protegge cuore e arterie.

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cucina 7

Orata L’orata vive sui fondali arenosi isola-ta o in branchi. È comune nell’Adria-tico, nel Mediterraneo e nell’Atlanti-co Orientale. A volte è presente pure in lagune salmastre. La sua colorazio-ne è azzurognola sul dorso, dorata sui fi anchi con linee più scure, argteneo sul ventre. La lunghezza va dai 50 ai 70 centimetri. Il corpo è ovale allunga-to, molto compresso ricoperto di grosse squame non presenti sul muso.

Particolarità È fra i pesci più pregiati, di costo elevato; allo stato brado se ne trovano purtroppo, pochi esemplari; esistono specie d’allevamento.

Come acquistarlo L’orata risulta fresca quando si presenta con colore vivo, con carne compatta e soda; le squame devono essere ben attaccate al corpo.

Come si pulisce Si procede al eliminare le squame partendo dalla coda utilizzando un coltello o lo squamatore; si devono togliere le interiora incidendo il ventre partendo dalla coda verso la testa; si tolgono le branchie e la pelle con un coltello affi lato.

Preparazioni tipiche Si presta a diverse preparazioni, come secondo piatto molto prelibato, eccellente soprattutto alla griglia, è pure ottima al forno o al cartoccio.

Orata al vino biancoIngredienti: Un’orata di un chilo circa Un bicchiere di vino bianco 250 grammi di funghi Uno scalogno 50 grammi di burro Sale

Per guarnire: Un mazzetto di prezzemolo Alcune fettine di limone

In una teglia mettete alcuni pezzi di burro e lo scalogno tritato fi nemente, posatevi sopra l’orata, che avrete precedentemente tagliato su due lati; aggiungete il sale e il vino.

Cuocete per 15 minuti in forno e a metà cottura aggiungete i funghi, puliti e tagliati e un po’ d’olio.

Servite il pesce guarnendo con prezzemolo e fettine di limone.

Ingredienti: 800 grammi di nasello in tranci Due cucchiai di prezzemolo tritati Una cipolla Uno spicchio d’aglio Farina Latte Olio d’oliva Sale, pepe

Pulite bene il nasello e passatelo nella farina. Sbucciate e tritate aglio e cipolla; quindi fate-

li soffriggere con il prezzemolo in un tegame con un fi lo d’olio.

Unite il pesce e fatelo dorare su entrambi i lati; salate leggermente, pepateli e copriteli con circa un quarto di latte.

Coprite e cuocete su fi amma dolce per 30 mi-nuti circa. Durante la cottura, smuovete il tegame di tanto in tanto.

Servite.

Nasello aromatico

Branzino al cartoccioIngredienti: Un branzino di un chilo circa 500 grammi di cozze (pedoci)Un cucchiaio di pasta d’acciuga Il succo di un limone Un mazzetto di prezzemolo Olio, sale, pepe

Preparate il pesce per la cottura e praticatevi delle incisioni regolari da ambo i lati per facilitar-ne la cottura. Lavate e fate aprire a fuoco vivo le cozze, poi estraetele dai gusci.

Stemperate la pasta d’acciuga con il limone e unitevi qualche cucchiaio di olio, il prezzemolo tritato, sale e pepe. Mescolate il composto otte-nuto con parte delle cozze su un foglio di carta di alluminio, appoggiatevi il pesce, copritelo con le rimanenti cozze e il miscuglio, poi richiudete per-fettamente il cartoccio.

Mettetelo sulla lastra unta del forno e fatelo cuocere a forno caldo a 200 gradi per mezz’ora circa.

Aprite il cartoccio in tavola perché solo così il profumo e la temperatura di servizio saranno quelle ottimali. Potete servire il branzino al car-toccio con un contorno di patate cotte al vapore.

Branzino al saleIngredienti: Due branzini Due chili di sale grosso Due spicchi d’aglio Prezzemolo Timo Pepe

Tagliate la parte inferiore dei pesci, estraete le interiora e sciaquate il ventre.

Riampite i branzini con il timo, il pepe, il prez-zemolo e l’aglio tritati.

In una teglia da forno, mettete sul fondo un chilo di sale grosso, adagiatevi sopra i pesci e co-priteli con il resto del sale.

Mettete nel forno, preriscaldato alla tempera-tura di 180 gradi e cuocete per circa 50 minuti.

Per controllare la cottura del branzino, evita-te di coprire l’occhio del pesce con il sale, infatti, non appena l’occhio diventerà bianco, la cottura sarà ultimata.

Una volta tolta le teglia dal forno, rompete la crosta di sale e togliete la pelle ai pesci.

Condite con un fi lo d’olio d’oliva e servire a piacimento con salse dal sapore delicato.

Venerdì, 30 giugno 2006

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“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol SuperinaIN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: CUCINARedattore esecutivo: Fabio Sfi ligoi / Impaginazione: Tiziana Raspor Collaboratori: Sostene Schena, Mauro Scomerza e Marino Vocci. Foto: Graziella Tatalović e archivio.

Anno II / n. 6 30 giugno 2006

IL RISTORANTE DEL MESE

di Sostene Schena

«Dopolavoro», per chi ama la cucina di montagna

Indirizzo: Učka, 9 - 51414 IciciTelefono: +38551/299641-649.Apertura: dalle 12 alle 23. Chiuso: lunedì.Coperti: 110 all’interno; 40 in terrazzaGestione: Petar Zorica Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco.Pagamento: anche carte di credito.Prenotazione: consigliabileDistanze: km 13 da Mattuglie; 16 da Abbazia; 21 da Fiume.Come arrivarci: da Mattuglie seguire la strada per la vetta del Monte Maggiore. Arrivati in cima al passo, sulla sinistra vedete il ristorante. Impossibile sbagliare. Si può salire anche da Abbazia di-rettamente o da Icici per la strada di Poljane; il parcheggio di fronte al locale sulla destra è suffi ciente e comodo.

La scheda

Se chiedete in giro per il golfo del Quarnero, ma anche al di là del Monte

Maggiore non c’è persona che non sappia o, perlomeno, non abbia sentito parlare del risto-rante “Dopolavoro”, ex “Tratto-ria Peruzzi”. È una fama che ri-sale alla storia della prima stra-da che unì il golfo del Quarnero con l’interno dell’Istria. La via più breve; almeno finché non venne realizzato il tunnel che perfora il Monte Maggiore.

L’osteria del passo era l’ul-tima possibilità di ristoro per il viandante e… come era buono tutto ciò che veniva offerto!

E non era soltanto questione di appetito. Ieri, più di oggi, era

Buon Ricordo inno all’ospitalità

Si è conclusa a Milano negli spazi del Touring Club Italiano una mostra dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo, associazione che garantisce da 42 anni un viaggio tra i sapori e i colori della cucina italiana. Le oltre cento insegne racchiuse sotto il suo marchio rappre-sentano la migliore espressione della cucina regionale e disegnano la mappa della gastronomia e dell’ospitalità Made in Italy. L’esposizio-ne ha riunito testimonianze, cimeli e i rari piatti decorati dei dodici ristoranti fondatori, creati dagli artigiani della Ceramica Artistica So-limene di Vietri, oggetto di appassionato collezionismo, con quota-zioni di svariate migliaia di euro.

Il percorso della mostra è stato suddiviso in sezioni decennali, dagli Anni ’60 a oggi, con le immagini emblematiche della “tavo-la italiana” e dei protagonisti della cultura e dello spettacolo eletti a testimonial volontari del Buon Ricordo, le corrispondenze svelate, il bozzetto del logo originale, le copie fotostatiche dei quotidiani che annunciano la nascita dell’associazione. E ancora: menu di ieri e di oggi, i piatti del Buon Ricordo America decorati da Arman, Louise Bourgeois, Cattelan e altri grandi artisti, il racconto della produzione artigianale di Solimene.

La storia dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo inizia grazie a Orio Vergani, Dino Villani e agli altri fondatori dell’Accademia Ita-liana della Cucina. Il gruppo di amici milanesi ebbe l’idea, intorno alla metà degli Anni ‘50, di riunire ristoranti, con cucina a preminente carattere italiano, impegnati a tenere costantemente in lista una pie-tanza particolare, regionale o locale, da servire al cliente su un piatto di ceramica, decorato a illustrare la pietanza stessa e che ricordasse il locale; il piatto era poi da offrire in dono al cliente. Il primo aprile del 1964 si tiene la presentazione dei primi dodici piatti. I fondatori sono La Taverna degli Artisti di Revere, I dodici Apostoli di Verona, La Giarrettiera di Milano, Il Tartufo di Salsomaggiore, Lo Jagus di Bologna, Il Laurin di Salò, Il Manarini di Bergamo, Carletto di Tre-viso, Isola di Caprera di Padova, La Madonna di Venezia, Il Roma di Trento e Il Borsa di Novara.

Si diventa soci effettivi su proposta, domanda o segnalazione e dopo che il consiglio direttivo, accertata l’esistenza dei requisiti ri-chiesti, avrà deliberato l’accettazione. Il socio si impegna a tenere quotidianamente in carta e servire la specialità per la quale è stato am-messo e a consegnare a chi la consuma il relativo piatto di ceramica e il pieghevole informativo. Vistro il successo dell’idea, qualcosa di simile andrebbe proposto ai ristoratori della regione istro-quarnerina, anche per un discorso legato al turismo

La nostra pagella

Ambiente 89 Atmosfera 89 Servizio 90 Qualità 90 Vino 80 Prezzo 79 Rapporto qualità/prezzo 79Giudizio fi nale 89

Venerdì, 30 giugno 2006

In crisi il primato francese

Primo Paese consumatore di vino in Asia, davanti al Giappo-ne, la Cina in dieci anni sta di-ventando un cliente sempre più serio. È quanto emerge dal Vi-nexpo, il salone internazionale del vino che si tiene alternativa-mente un anno a Bordeaux e gli anni pari all’estero, quest’anno è stata la volta di Hong Kong. Negli ultimi quattro anni - se-condo i dati Vinexpo - il con-sumo di vino in Cina è aumen-tato del 20 p.c. e nei prossimi tre anni dovrebbe salire ancora del 48 p.c.. Per ora la Francia è ancora leader del mercato, ma sta perdendo quote anno dopo anno. Vent’anni fa - ricorda “Le Figaro” - la Francia deteneva il 60 p.c. del mercato ora è scesa al 32 p.c.. ‘’I nostri concorren-ti - racconta Sylvie Courselle che con la sorella a rilanciato un vigneto di famiglia, Chateau Thieuley - sono i vini del Nuo-vo Mondo ma anche i vini cine-si non sono male”.

In effetti il gusto dei cinesi è più vicini ai vini del Nuovo e Nuovissimo Mondo, in par-ticolare quelli australiani, cali-forniani e cileni. Ora i france-si stanno cercando di studia-re nuove strategie di attacco o quanto meno di resistenza. Se-condo Francois Labet, proprie-tario e venditore all’ingrosso del suo Chateau de La Tour au Clos de Vougeot (Bourgogne), una delle soluzioni sarebbe quella di “creare un gruppo di commercio forte” che riunisca sotto la stessa etichetta dei mez-zi suffi cienti a contrastare l’of-fensiva straniera. In Australia, ad esempio, il 90 p.c. dei volu-mi sono venduti da quattro im-prese industriali.

VINO

facile trovare “soltanto” i cibi della zona, vale a dire la cac-ciagione, i funghi, i tartufi, gli asparagi selvatici e ogni bendid-dio che la natura offre.

Di acqua ne è piovuta dal cielo (e qui anche neve – sia-mo a quota 1.000!) e le cose non sono mai cambiate, nemmeno sei anni fa quando è subentra-to alla vecchia gestione, Petar Zorica. Per la verità alcune cose sono cambiate… in meglio. Il locale è stato notevolmente am-

Bimbi troppo obesiCoca Cola e Pepsi al bando nelle scuole USA

Vostro fi glio non può fare a meno della Coca Cola? Attenzio-ne perché un consumo eccessivo potrebbe causargli qualche pro-blema. La pensano così negli Stati Uniti dove, di fronte al dilagare dell’obesità tra le nuove generazioni, Coca Cola e Pepsi sono state messe al bando. Di fronte al problema i giganti delle bollicine han-no deciso di dare una mano accettando volontariamente di battere in ritirata. Complice la fondazione dell’ex presidente Bill Clinton e la American Heart Association, i maggiori distributori americani di bevande gassose hanno accettato di smettere di vendere le loro bi-bite nelle scuole. “È un vero passo avanti nella battaglia per aiutare oltre 35 milioni di bambini americani a vivere una vita più sana”, ha detto Clinton (un ex bambino obeso) la cui “William J. Clinton Foundation” ha contribuito a far arrivare in porto l’intesa. “Ma non è solo una questione di quantità. È anche una questione di educazio-ne alimentare che dalla scuola auspicabilmente si rifl etterà in strada e in famiglia”, hanno spiegato i promotori dell’accordo. “L’impatto sarà enorme”, ha dichiarato Susan Neely, presidente e amministra-tore delegato della associazione dei distributori di bibite.

In America un terzo dei bambini si possono oggi considerare grassi ma aumenteranno al 50 per cento del totale entro la fi ne del decennio. L’industria delle bollicine ha un giro d’affari di 63 mi-liardi di dollari e secondo gli analisti del mercato l’impatto dell’ac-cordo sarà minimo.

CURIOSITÀ modernato, ma senza per que-sto togliergli quella atmosfera di rifugio, di vecchia osteria di montagna.

Nuovo ambiente, una calda atmosfera (d’inverno) o un fre-sco ristoro (d’estate), un ser-vizio al passo con i tempi ma soprattutto i vecchi piatti della nonna, le vecchie cose che si ri-chiamano alla tradizione istria-na con la propensione natural-mente per i prodotti della mon-tagna.

I prezzi non sono più alti che in qualsiasi altro ristorante, anzi. Insomma, anche se non siete co-stretti a raggiungere l’Istria at-traverso il passo, vi consigliamo di salire fino in cima al Monte Maggiore (risparmierete anche le 28 kune di pedaggio) per go-dervi una natura così diversa da quella del golfo e magari per as-saggiare le specialità montanare del “Dopolavoro “ che restano - come sempre – i salumi di sel-vaggina e i prelibati secondi di cinghiale, cervo e le altre spe-cialità del Monte Maggiore (cu-cinate sotto in campana sotto la brace).