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1 Non era un gioco

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Non era un gioco

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Non era un gioco

Il progetto è stato curato dal Comune di Ferrara (Uff. Sicurezza

Urbana, Centro di Mediazione Sociale, Uff. Diritti dei Minori) nel

triennio 2014-16.

Questo libretto è a cura di: Elena Buccoliero.

Contributi di: Giordano Barioni, Benedetta Bertolini, Elena

Buccoliero, Roberto Casella, Andrea Celeghini, Giovanna

Cascini, Valentina Dei Cas, Donato La Muscatella, Alberto Urro.

La notizia di reato e gli elementi d’indagine su cui si è basato il

processo, simulato a Ferrara nell’ottobre 2014, sono stati curati da

Flavio Lazzarini, in quel periodo Sostituto Procuratore alla

Procura per i Minorenni di Bologna, mentre la relazione

sull’imputato è stata elaborata da Elena Buccoliero.

Il copione teatrale La tavernetta, ideato e sperimentato dal

Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, è qui pubblicato per

gentile concessione del Presidente Luciano Trovato.

Il DVD allegato comprende “Non era un gioco”, video didattico

tratto dalla simulazione avvenuta a Ferrara nell’ottobre 2014, e un

ulteriore, breve video basato su una simulazione analoga che si è

svolta a Bologna nel maggio 2015.

In quel caso il progetto è stato coordinato dal Teatro del Pratello

(Bologna), che ha curato anche la regia dell’azione teatrale. Il

video è stato realizzato da studenti dell’Università di Bologna.

Hanno collaborato operatori e magistrati della Procura e del

Tribunale per i Minorenni di Bologna e membri dell’associazione

AIMMF (Ass. Italiana Magistrati per i Minorenni e la Famiglia),

sezione di Bologna.

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Non era un gioco

Indice

Il perché di una proposta didattica, di Chiara Sapigni e

Massimo Mezzetti………………………………………….....

p. 5 Dal tribunale alla scuola, di Giuseppe Spadaro…………….. p. 7

I parte – Un approccio alla giustizia penale minorile

1. Una giustizia diversa: le peculiarità del procedimento

penale minorile, di Elena Buccoliero…………………............

p. 10

2. Che cosa succede a un minorenne che commette un

reato, di Elena Buccoliero e Roberto Casella…………............

p. 16

3. Nostro figlio ha sbagliato? L’impatto sulla famiglia

Intervista ad Alberto Urro……………………………………..

p. 24

4. Come interviene il Servizio Sociale con i minori autori

di reato?, di Valentina Dei Cas……………………………….

p. 34

5. L’avvocato difensore e il suo rapporto con il ragazzo,

di Roberto Casella……………………………………………..

p. 38

6. Come si svolge il dibattimento penale minorile,

di Benedetta Bertolini…………………………………………

p. 41

7. Qual è il posto della vittima?, di Elena Buccoliero………. p. 46

8. Esiti possibili: irrilevanza del fatto, perdono giudiziale,

messa alla prova… e tutto il resto, di Benedetta Bertolini…

p. 49

9. In particolare, la messa alla prova, di Elena Buccoliero p. 53

10. La mediazione penale, di Benedetta Bertolini………….. p. 59

11. La comunità educativa per minori come luogo di

apertura di cammini fiduciari, di Giordano Barioni…..........

p. 64

12. Le responsabilità della scuola, di Andrea Celeghini…… p. 69

13. Alla legalità si educa nelle cose di ogni giorno,

di Giovanna Cascino e Donato La Muscatella…………...........

p. 72

Glossario: i personaggi del processo e alcune parole chiave p. 76 Gli autori……………………………………………………... p. 82

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II parte – Per continuare nella scuola

Gli atti del processo al d.j. Spada

Premessa…………………………………………………... p. 86

Richiesta del Pubblico Ministero di giudizio immediato…. p. 87

Illustrazione degli elementi di prova……………………… p. 91

Relazione sulla personalità dell’imputato………………… p. 97

Diventare protagonisti

Presentazione……………………………………………... p. 102

La cantinetta, copione teatrale per le scuole ideato e

sperimentato dal Tribunale per i Minorenni di Catanzaro..

p. 104

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Il perché di una proposta didattica

La proposta didattica Non era un gioco, comprendente un video

didattico e il presente libretto, nasce da un’esperienza: il processo

minorile simulato realizzato a Ferrara nell’ottobre 2014, durante

l’annuale Festa della Legalità e della Responsabilità, grazie alla

collaborazione della Procura e del Tribunale per i Minorenni di

Bologna.

All’incontro presero parte centinaia di studenti, prima suddivisi in

grandi gruppi per ricevere da avvocati, magistrati e operatori delle

forze dell’ordine i rudimenti sulla giustizia minorile, poi raccolti

alla Sala Estense dove il processo andava in scena.

Durante la simulazione magistrati, avvocati, Forze dell’Ordine e

tante altre realtà del territorio - servizi sociali e sanitari,

insegnanti, terzo settore - hanno messo le loro competenze e il

loro entusiasmo a disposizione del gioco teatrale, che in una

mattina ha permesso di avvicinarsi alla realtà un po’ misteriosa

del processo minorile.

Il fatto riguardava un giovane accusato di spacciare pastiglie di

ecstasy nella discoteca dove lavora come d.j.. A suo carico anche

l’accusa di lesioni personali aggravate per aver provocato, con la

cessione di una pastiglia, uno stato di coma non ancora risolto

proprio nella sua ragazza.

Su un canovaccio leggero ma molto preciso tutti i personaggi si

sono mossi liberamente attingendo in modo personale, ma molto

realistico, dalla loro esperienza umana e professionale.

Il processo penale simulato ha costituito una straordinaria

occasione di educazione alla legalità per gli adolescenti ferraresi.

Un momento difficilmente ripetibile, che proprio per questo

abbiamo voluto videoregistrare, tradurre in un video didattico e

arricchire con i contenuti raccolti in questo libretto così da

metterlo a disposizione di quanti vorranno farne uso in percorsi di

educazione alla legalità.

I primi destinatari del nostro lavoro sono insegnanti e allievi delle

scuole secondarie di I e II grado.

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Un approfondimento sui diversi passaggi del procedimento penale

minorile e su ciò che vi è sotteso, in termini di ascolto della

sofferenza di ragazzi e famiglie e di tensione verso l’acquisizione

di responsabilità, lo troviamo nell’altro video incluso in questo kit

e in questo libretto.

Il video è stato realizzato a Bologna su un analogo processo

simulato ma con modalità e intenti differenti e complementari a

quello ferrarese. Il materiale è stato curato dal Teatro del Pratello

e dall’Università di Bologna, sempre in collaborazione con la

Procura e il Tribunale per i Minorenni di Bologna.

Questo libretto, a cura dell’Ufficio Diritti dei Minori del Comune

di Ferrara, è ancora una volta un lavoro fortemente partecipato,

cui hanno contribuito diverse realtà che quotidianamente

incontrano gli adolescenti anche nei loro comportamenti più

estremi, o che trovano nello studio e nell’applicazione della legge

la loro ragion d’essere.

Ci auguriamo che questo incontro di professionalità ed esperienze

tanto diverse ma tra loro complementari sia fertile nel favorire

nuovi incontri e approfondimenti.

Va in questa direzione anche la pubblicazione della Tavernetta,

copione teatrale scritto e sperimentato dal Tribunale per i

Minorenni di Catanzaro con le scuole di quel territorio, da oggi

disponibile anche per docenti e allievi dell’Emilia Romagna.

Chiara Sapigni

Ass. Servizi alla persona

Comune di Ferrara

Massimo Mezzetti

Ass. Politiche per la legalità

Regione Emilia-Romagna

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Dal tribunale alla scuola

Il Tribunale per i Minorenni celebra i processi per gli adolescenti

che commettono reati tra i 14 e i 17 anni. Non è consueto

immaginare il Tribunale come attore in processi di prevenzione.

Eppure proprio le aule della giustizia minorile incontrano

quotidianamente il volto dei ragazzi, il loro bisogno di essere

ascoltati e compresi anche negli errori, la loro domanda di

giustizia magari come vittime o testimoni di un reato. E il giudice

minorile conosce continuamente le difficoltà presenti nei loro

percorsi di crescita, le molte mancanze degli adulti, spesso

l’inconsapevolezza con cui, d’impulso, vengono commesse azioni

che costituiscono reato.

Per tutte queste ragioni negli ultimi anni il Tribunale per i

Minorenni di Bologna ha voluto aprire le porte alle scuole in

un’azione di educazione alla legalità molto semplice ma,

crediamo, efficace: replicare, in forma teatrale ma verosimile, uno

dei propri processi di fronte ad un pubblico di studenti, accogliere

domande, provocare riflessioni. E farlo mettendosi in gioco con i

propri giudici, a partire da chi scrive, nei panni dell’imputato.

Rovesciare i ruoli del processo, mettersi nei panni dell’autore del

reato di fronte ad un pubblico che, anche solo implicitamente, si

sente chiamato a giudicare, ha significato per il nostro tribunale

uno sforzo di trasparenza e di radicamento nella tensione

educativa che sempre accompagna il lavoro del giudice minorile.

Per me, in prima persona, l’accogliere autenticamente le emozioni

di vergogna, ingiustizia, frustrazione, impotenza che pure possono

accompagnare un giovane autore di reato, tanto più quando è

legato affettivamente alla persona offesa, persona cui mai avrebbe

voluto provocare il male.

Il processo penale simulato è stato realizzato, con lo stesso

copione ma con attori diversi, per tre anni consecutivi, a Ferrara

(2014) e a Bologna (2013 e 2015). Dell’esperienza estense mi

piace sottolineare il forte impatto emotivo e il piacere di lavorare

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con operatori del territorio, che solo occasionalmente entrano in

contatto diretto con il mio Tribunale ma che ogni giorno, nella

scuola o nei servizi per gli adolescenti, prevengono, completano o

coadiuvano il nostro lavoro.

L’augurio anche mio è che la documentazione di questa

esperienza possa restare non soltanto come memoria ma come

materiale vivo, a disposizione di insegnanti e educatori, per

ulteriori percorsi di educazione alla legalità.

Giuseppe Spadaro

Presidente del Tribunale per i Minorenni di Bologna

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I parte

Un approccio alla giustizia penale minorile

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Non era un gioco

1. Una giustizia diversa: le peculiarità del procedimento

penale minorile

di Elena Buccoliero

Il 14esimo compleanno traccia un confine nella vita degli

adolescenti. Da quel giorno in poi, se commetteranno un reato,

potranno essere chiamati a risponderne di fronte alla legge. Il

problema è che spesso non lo sanno.

14 anni

Eh sì, a 14 anni ragazzi e ragazze fanno ingresso in quella che

viene definita “età imputabile”, ovvero le loro azioni possono

essere perseguite dalla legge.

Questo dato sfugge a tanti adolescenti convinti di poter fare

qualsiasi cosa senza mai confrontarsi con le conseguenze. È

importante sapere – e far sapere ai ragazzi - che non è vero.

L’informazione non mira a spaventare e basta perché la

responsabilità è un valore in due direzioni. Mette in guardia

dall’eccessiva leggerezza e dal senso di impunità ma al contempo

dice agli adolescenti che se subiscono da un coetaneo, o da un

gruppo, furti, aggressioni, minacce, violenze sessuali,

persecuzioni telematiche o altro, possono sporgere denuncia per

essere tutelati dalla legge.

Ma che cosa succede ad un minorenne autore di reato?

Tante volte si pensa che denunciare un adolescente significhi

rovinarlo. Sia le persone offese sia chi è a conoscenza di reati che

dovrebbero essere segnalati – insegnanti, genitori delle vittime… -

si fanno scrupolo, temono di “ingigantire una ragazzata” e di

ostacolare in modo decisivo il percorso di crescita di quel ragazzo.

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Certo, è importante che le risposte agli errori siano per quanto

possibile immediate e giocate nella relazione educativa, ma è

anche importante sapere che il passo della giustizia minorile non è

in contraddizione con questo e che per un giovane a rischio di

devianza è meglio venire denunciato prima dei 18 anni, proprio

perché la giustizia penale minorile non è la stessa che giudica gli

adulti. Sono altri i giudici e differenti i criteri con cui vengono

valutati i fatti, trattate le persone. Ed è costante la tensione e

l’impegno di tutti gli attori per trasformare il procedimento penale

in una occasione di crescita.

Per chiarirci le idee come adulti, e per essere in grado di

trasmettere informazioni corrette agli adolescenti, è bene saperne

un po’ di più sui criteri di fondo della giustizia minorile1.

Occuparsi delle persone, oltre che dei fatti

Quando il Tribunale Ordinario celebra un processo penale

l’obiettivo è accertare un reato, provare se l’imputato ne è

responsabile e, in caso positivo, condannarlo ad una pena giusta.

Anche il Tribunale per i Minorenni durante il processo penale

deve chiarire fatti e responsabilità, ma ha anche il compito molto

speciale di capire chi è l’imputato, in quale famiglia e contesto

sociale è cresciuto, perché si comporta in un certo modo e quale

può essere il percorso migliore per lui.

Intendiamoci, il processo non è un premio e per chi lo subisce

come imputato può essere un’esperienza dura. Vuol dire avere a

che fare con avvocati, giudici e assistenti sociali, essere oggetto di

indagine, venire interrogato, rispondere dei propri comportamenti

di fronte a persone sconosciute in un meccanismo che non

padroneggia.

Nel rapporto con i genitori, spesso la denuncia e poi il processo

sono anche lo svelamento di un segreto, o spingono la famiglia a

fare i conti con una situazione che per un certo tempo non ha

potuto o voluto vedere.

1 Il processo penale minorile è disciplinato dal DPR 448/88.

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Ma il procedimento penale minorile è anche una grande

occasione: per ripensare alle proprie azioni, per assumersene la

responsabilità e per cercare un cambiamento grazie alle peculiarità

del processo.

Meno carcere possibile

È molto raro che un minorenne vada in carcere. Succede solo per

reati particolarmente gravi, o con persone pericolose, recidive,

incapaci di stare nei progetti e contesti educativi proposti come

chance prima della detenzione.

In Emilia Romagna esiste un solo Istituto Penale Minorile2, a

Bologna in via del Pratello, accanto al Tribunale per i Minorenni.

Ha 22 posti e accoglie soltanto maschi. Le ragazze detenute per

reati commessi in Emilia Romagna sono poche e non c’è, in

regione, un carcere per loro, vengono perciò inserite in istituti di

pena di altre regioni.

Evitare la stigmatizzazione

La denuncia, il processo, e ancor più la pena, sono etichette che

incidono sull’identità dell’imputato e su come gli altri lo

percepiscono. Di questo la giustizia minorile tiene conto cercando

di ridurre al minimo il danno che un minorenne autore di reato

può ricevere dal fatto di essere coinvolto in un procedimento

penale.

Ad esempio il processo si svolge a porte chiuse (niente telecamere

né giornalisti), nega alla vittima la possibilità di chiedere in quella

sede un risarcimento per il danno subito (in modo che non siano in

2 L’IPM di Bologna realizza da anni progetti, teatrali e non solo, sia al

suo interno, sia prevedendo l’ingresso di persone esterne, scolaresche

incluse. Chi fosse interessato può richiedere informazioni al Centro di

Giustizia Minorile, e-mail [email protected]

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gioco interessi economici) e, in casi di particolare tenuità del fatto,

prevede un’uscita rapida dell’imputato dal percorso penale3.

Senza una pena, ma non a vuoto

Anche se il procedimento penale si chiude senza una condanna, o

con una pena sospesa4, non è detto che sia stato inutile.

L’imputato sarà stato coinvolto in interrogatori di polizia, colloqui

con assistenti sociali, educatori e psicologi, e poi nell’udienza di

fronte al giudice.

Se c’è stato un dibattimento, avrà forse ascoltato i testimoni

riferire i suoi comportamenti per come loro li hanno vissuti. E se il

reato è violento e uno dei testimoni è la persona offesa, l’imputato

avrà avuto l’occasione per nulla scontata di provare a guardare le

cose con gli occhi dell’altro.

Infine, nell’interrogatorio in udienza avrà dovuto prendere

posizione: negare i fatti o invece ammetterli, in parte o del tutto.

Ecco perché tutto il procedimento penale minorile, anche

l’udienza, può dare al giovane la possibilità di confrontarsi con il

senso delle proprie azioni.

Ascoltare i ragazzi, parlare con loro

La cifra del procedimento penale minorile è l’ascolto del ragazzo

in tutte le fasi. Questo avviene sia nella preparazione dell’udienza

sia nell’udienza stessa, dove l’imputato viene interrogato sui fatti

che gli vengono attribuiti e in un secondo momento gli vengono

poste domande sulla sua vita.

Esperienze familiari e scolastiche, difficoltà, disponibilità

all’impegno, sogni da realizzare entrano nelle aule giudiziarie e

3 v. in questo opuscolo il paragrafo Esiti possibili: irrilevanza del fatto,

perdono giudiziale, messa alla prova… e tutto il resto, di Benedetta

Bertolini. 4 che non è affatto la stessa cosa, perché se il ragazzo commetterà un

altro reato nei successivi cinque anni quella pena sospesa rientrerà nel

computo, ma spesso il giovane imputato vive nel qui ed ora e non valuta

il rischio, ha l’impressione di “avercela fatta”.

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vengono tenute in considerazione dai giudici al momento della

decisione.

È altrettanto importante che tutto l’apparato della giustizia

minorile sappia parlare con il ragazzo, fargli capire quello che sta

succedendo e dargli strumenti idonei per fare delle scelte. È il

compito del giudice ma anche dell’avvocato difensore o degli

operatori sociali.

Insieme all’imputato si valuta anche la possibilità di richiedere

una messa alla prova e si elabora un progetto da proporre al

Tribunale.

Non ostacolare gli itinerari educativi, aprire occasioni di

cambiamento

Ha scritto Alfredo Carlo Moro, uno dei padri della giustizia

minorile italiana come oggi la conosciamo: “Il processo penale

deve avere come suo obiettivo quello di realizzare una ripresa

dell'itinerario educativo del minore, che il compimento dell'atto

criminale dimostra essersi interrotto o avere deviato”5.

Tutto ciò si realizza per tutto l’arco del procedimento, perché il

giudice deve tenere conto del ragazzo come persona globale, con

responsabilità e risorse. Ad esempio, anche ai minorenni si

applicano le misure cautelari ma senza interrompere gli eventuali

percorsi educativi nei quali il giovane è positivamente inserito. E

se il giudice ha stabilito per il minore la permanenza in casa, che è

poi il corrispettivo degli arresti domiciliari, ma il ragazzo va a

scuola, l’autorità giudiziaria dovrà comunque consentirgli di

continuare a frequentarla per non danneggiare il suo itinerario

formativo.

Arriviamo all’udienza. Al momento della decisione vengono presi

in considerazione i fatti ma anche il comportamento che

l’imputato ha tenuto successivamente. E se dopo quel reato non ce

ne sono stati altri, se il ragazzo ha proseguito o ripreso il percorso

5 C.A. Moro, Manuale di diritto minorile, Bologna, Zanichelli, 2002, p.

483.

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scolastico e, in definitiva, si è comportato nel rispetto delle regole

di convivenza, il giudice ne terrà conto positivamente.

L’apertura al cambiamento si realizza al massimo grado

nell’istituto della messa alla prova, ispiratrice di quella

recentemente applicata nei procedimenti penali degli adulti ma

connotata da un’attenzione del tutto particolare all’educazione del

giovane e alla sua responsabilizzazione6.

Sottovoce, agli adulti. Il giudice non è un sostituto

Si è detto fin qui di come la giustizia penale minorile sia attenta

all’educazione dei minorenni che commettono reati e giochi in

questo senso un ruolo di prevenzione della devianza. Tutto questo

è vero e funziona, gli esiti delle messe alla prova sono positivi per

la maggioranza degli imputati, ma non può essere questo

l’intervento educativo decisivo.

La giustizia minorile è sempre più spesso invocata come argine

per giovani che i contesti educativi del quotidiano non riescono a

contenere. Quando insegnanti o genitori non sanno più che pesci

pigliare cominciano a sperare che quel ragazzo venga “fermato”

dalla giustizia. Ci sono casi in cui questa è davvero l’apertura di

una possibilità, ma è bene ricordarci che il cammino per diventare

persone responsabili dovrebbe iniziare molto presto, proprio in

famiglia e a scuola. Non c’è bisogno della legge per riconoscere di

essere stati scorretti, o di aver fatto male a qualcuno, e impegnarsi

poi a rimediare l’errore.

Chi ha un ruolo educativo ha il compito importantissimo di

stimolare nei ragazzi questa assunzione di responsabilità e lo

incarna con la parola, con l’esempio, con l’incoraggiamento e il

rinforzo, con la regola e la punizione educativa.

6 v. in questo opuscolo il paragrafo In particolare, la messa alla prova,

di Elena Buccoliero.

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2. Che cosa succede a un minorenne che commette un reato

di Elena Buccoliero e Roberto Casella

Numerose sono le disposizioni del codice penale che riguardano i

minori; l’art. 97, in particolare, esclude l’imputabilità per chi ha

meno di 14 anni. Ma cos’è l’imputabilità?

Il concerto di imputabilità

Tecnicamente la parola “imputabilità” indica la possibilità di

attribuire ad una persona la responsabilità per un reato commesso

e le relative conseguenze. Cioè la responsabilità per aver violato

un precetto penale.

L’art. 97 esclude che ad un minore di 14 anni possa essere

“imputato” un reato. Questo risponde a leggi naturali in quando il

nostro legislatore ha opportunamente escluso tali conseguenze per

l’immaturità connessa all’essere bambino. Per questo motivo gli

infraquattordicenni sono ritenuti incapaci di intendere e di volere,

e non possono esserci eccezioni.

Quanto appena affermato rientra tra le poche conoscenze di diritto

penale dei ragazzi e la giovane età diventa per alcuni motivo di

vanto e per altri erronea giustificazione; ciò che invece troppo

spesso molti ignorano è che possono esserci comunque delle

conseguenze alla violazione delle norme penali da parte di un

minorenne, che vanno ben al di là del profilo penale o meramente

risarcitorio e che riguardano direttamente e in prima persona lo

stesso minore.

I procedimenti amministrativi, prima e dopo i 14 anni

Tutti i comportamenti devianti, cioè gli illeciti penali ma anche

quei comportamenti che, pur non essendo contro la legge,

comportano rischi preoccupanti (uso di droghe, fughe da scuola,

allontanamenti da casa, tentativi di suicidio, autolesionismo… e

tutto ciò che può essere considerato pericoloso per sé e per la

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propria crescita, o dannoso per gli altri), rientra nella

classificazione di “condotte irregolari”.

Nel caso in cui un minore, anche prima dei 14 anni, venga

segnalato per una condotta irregolare, il Tribunale per i Minorenni

applicare un percorso specifico per gli adolescenti, detto

“procedimento amministrativo”. E ciò può avvenire non solo su

richiesta o su segnalazione del Procuratore della Repubblica o del

Servizio Sociale, ma anche su richiesta degli esercenti la potestà

(genitori, tutori) o della scuola. In questo caso, come si diceva, la

decisione del giudice prescinde sia dall’età del ragazzo, sia dal

fatto che il minore abbia commesso un reato.

Quando il Tribunale per i Minorenni apre un procedimento

amministrativo dà inizio ad una fase di conoscenza che prevede

un incarico al Servizio Sociale e all’AUsl, per un

approfondimento sulla situazione personale, familiare,

scolastica… e sulla personalità del ragazzo, e poi convoca dinanzi

ad un giudice l’adolescente insieme ai genitori e all’assistente

sociale.

All’esito della procedura amministrativa il Tribunale per i

minorenni decide con provvedimento motivato se archiviare

(perché i rischi inizialmente segnalati non c’erano o si sono

risolti) o applicare una “misura rieducativa” che può essere di due

tipi: affidamento del minore ai servizi sociali per lo sviluppo di un

progetto rimanendo in famiglia oppure il collocamento in una

comunità.

L’affidamento al servizio sociale non incide sulla possibilità dei

genitori di svolgere il loro ruolo educativo ma prevede un

progetto, coordinato dal servizio sociale, con cui il ragazzo e i

genitori dovranno collaborare. In esso potranno essere comprese

indicazioni sulla scuola, il tempo libero, attività di volontariato,

adesione a colloqui con uno psicologo o con un assistente sociale,

intervento di un educatore…

Il servizio sociale da quel momento trasmetterà periodicamente al

Tribunale una relazione sul comportamento del ragazzo e sullo

sviluppo del progetto. Se non si osservano miglioramenti nel

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comportamento del minore, o si verificano ulteriori trasgressioni,

il Tribunale può valutare che il progetto deve essere rinforzato con

il collocamento del giovane in una comunità educativa (o

terapeutica, per chi ne ha necessità), applicando quindi la misura

rieducativa più severa tra quelle indicate dalla legge.

Anche la comunità educativa dovrà trasmette al Tribunale una

relazione periodica sul comportamento del minore, ed anche in

questo caso riguarderà il rispetto delle regole relative allo studio,

al tempo libero, allo svolgimento delle attività comunitarie

previste dal progetto preventivamente stilato per il minorenne.

Le misure, è bene sottolinearlo, non hanno una durata specifica

ma sono a tempo indeterminato fino ai 18 anni. Possono, però,

interrompersi quando i problemi rilevati inizialmente risultano

risolti.

Inoltre, nei casi più gravi, il minore può essere dichiarato

“socialmente pericoloso”. A lui si applicano le misure di sicurezza

della libertà vigilata o del riformatorio giudiziario (eseguito ai

sensi dell’art. 36 DPR448/88 nelle forme del collocamento in

comunità).

A 14 anni compiuti

L’apertura delle indagini, la nomina dell’avvocato difensore

Torniamo al caso di un ragazzo (o una ragazza) che venga

denunciato dopo il compimento dei 14 anni.

Comportamenti che integrano fattispecie penali possono andare, a

titolo di esempio, dagli atti di bullismo o di cyberbullismo, a

ipotesi altrettanto frequenti di percosse, minacce, danneggiamenti,

offese della dignità e del decoro delle persone, a tante altre

violazioni ancora che, spesso, non vengono percepite dai minori

come reati ma che di fatto lo sono.

A seguito della notizia di reato, la Procura della Repubblica presso

il Tribunale per i Minorenni iscrive il minore nel registro degli

indagati e apre un procedimento penale nei suoi confronti.

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Dal punto di vista tecnico, il procedimento minorile è strutturato

seguendo le regole e i principi previsti dal codice di procedura

penale per gli adulti. La peculiarità sono date da una legge, la

448/88, che ne integra le norme con istituti specifici.

Tra i primi atti processuali vi è l’invito a nominare un avvocato

difensore, il quale svolge una funzione indispensabile anche

durante la fase delle indagini ed in particolare quando si deve

compiere un atto come l’interrogatorio, oppure una perquisizione

presso l’abitazione dell’indagato. Atti che necessitano, così come

per tutti i mezzi di ricerca delle prove e per l’intero processo, delle

garanzie difensive.

Occorre anche dire che in tutti i passaggi di questo percorso deve

sempre essere assicurata l’informazione e la presenza dei genitori

del ragazzo (o del tutore). Questo significa che l’adulto

responsabile dell’educazione del minorenne viene convocato in

tutte le fasi: presso le forze dell’ordine se c’è stato un fermo o un

arresto, durante l’interrogatorio e durante altri atti d’indagine

quali, appunto, la perquisizione presso la casa familiare (es. nel

caso di sospetto spaccio, o dopo un’azione di cyberbullismo che

integra il reato di diffamazione oppure sospetta detenzione di

materiale pedopornografico…).

L’arresto in flagranza e il fermo

Può accadere che, come nel caso del d.j. Spada di cui tratta il

processo simulato, un minorenne venga colto sul fatto e arrestato

in flagranza dalle forze dell’ordine.

Anche in assenza della flagranza di reato le forze dell’ordine

possono disporre il fermo del minore, se è sospettato di un reato

particolarmente grave e se sussiste il pericolo di fuga.

In questi casi gli agenti lo accompagnano in caserma/questura,

dove possono trattenerlo non più di 12 ore. Chiamano i genitori (o

comunque un adulto responsabile per lui), informano l’indagato e

i familiari su ciò che sta accadendo, provvedono alla nomina di un

avvocato difensore (se il ragazzo o i genitori non hanno un

avvocato di riferimento ne viene assegnato uno d’ufficio, che

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comunque la famiglia dovrà pagare salvo possa dimostrare un

reddito molto basso) e procedono ad un primo interrogatorio.

Se il reato per cui si procede è particolarmente grave le forze

dell’ordine possono collocare il minore in comunità o in un

carcere minorile, in alternativa si limiteranno a riconsegnarlo ai

genitori. Solo se la famiglia è assente o non è tutelante lo

accompagneranno in una comunità educativa.

La scelta su come procedere (accompagnamento, fermo, arresto)

dipende appunto dalla gravità del fatto, dalla personalità del

minore e dalle caratteristiche del nucleo familiare.

Quando un minore viene fermato o arrestato la polizia giudiziaria

ne dà immediata comunicazione al Pubblico Ministero il quale

può confermare quei provvedimenti o, invece, annullarli. Può

anche disporli, sulla base degli atti, benché le forze dell’ordine

non vi abbiano provveduto in modo autonomo.

Dopo la decisione del PM il nostro ordinamento prevede un

ulteriore momento di verifica. Quando richiede il fermo o l’arresto

di un minore, il PM deve chiedere al GIP (Giudice per le Indagini

Preliminari, un magistrato minorile che presta servizio presso il

Tribunale per i Minorenni) l’udienza di convalida. Questa udienza

si svolge in tempi brevissimi e può concludersi con la conferma

dei provvedimenti richiesti dal PM o con la loro esclusione.

Le misure cautelari

Anche al di fuori dalla flagranza di reato, su richiesta del PM, il

GIP può disporre per il minore, con tutte le garanzie previste

dall’ordinamento, una misura cautelare, quella che viene applicata

in attesa dell’udienza.

Come per gli adulti, anche nel caso di minori i requisiti per

richiedere l’applicazione di una misura cautelare sono: la presenza

di gravi indizi di colpevolezza; il rischio che l’indagato commetta

nuovi reati, o cerchi di cancellare le prove di quello per cui è

indagato; la prevedibile irrogazione di una pena.

Le misure cautelari per i minorenni autore di reato sono:

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- prescrizioni, sia positive (es. l’obbligo di svolgere attività di

studio o lavoro) sia negative (es. smettere di frequentare

determinati ambienti o una certa città, rientrare in casa entro

certo orario);

- la permanenza in casa, che corrisponde agli arresti domiciliari

e può prevedere delle eccezioni autorizzate dal giudice, ad es.

per andare a scuola. Nel processo simulato l’imputato aveva

subito proprio questo tipo di misura cautelare ed era stato

costretto a rimanere chiuso in casa, con suo padre e la

compagna di lui, fino al giorno dell’udienza;

- il collocamento in una comunità educativa, seguendone le

regole e partecipando alle attività predisposte dagli educatori,

in attesa dell’udienza;

- la detenzione, ovvero il giovane viene portato in un carcere

minorile e lì rimane fino all’udienza o fino a quando il giudice

non disporrà (anche prima del processo, su richiesta motivata

da parte del difensore) la sua liberazione.

Questi provvedimenti sono graduati, dal più lieve al più rigido, e

l’Autorità Giudiziaria li sceglie tenendo conto della gravità del

reato e delle caratteristiche del minore e della sua famiglia,

secondo un principio di proporzionalità e appropriatezza.

Quando un ragazzo infrange la misura cautelare che gli è stata

applicata va incontro ad un “aggravamento”, ovvero alla misura

successiva, in maniera temporanea o stabile. Ad es., un minore

che fugge dalla comunità educativa dove era stato collocato in

misura cautelare, viene ricercato dalle forze dell’ordine e poi

costretto a trascorrere alcuni giorni in un carcere minorile.

Possiamo garantire per esperienza diretta che sono molti i

minorenni che conoscono la detenzione, ma anche la permanenza

in casa o in comunità non sono lievi da affrontare per chi abbia

goduto fino a quel momento di molta autonomia.

I presupposti per l’applicazione di una misura cautelare così

restrittiva come quella carceraria sono previsti in maniera

tassativa dal codice di procedura penale e per la violazione di

gravi reati (es. furto aggravato dall’uso di armi, rapina, estorsione,

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spaccio, violenza sessuale…). In particolare l’art. 274 cpp prevede

solo tre presupposti: il pericolo di inquinamento probatorio, il

pericolo di fuga e il pericolo di reiterazione criminosa.

IPM, ovvero: Istituto Penale Minorile

Il carcere dei ragazzi si chiama IPM, appunto Istituto Penale

Minorile. In Emilia Romagna ne esiste soltanto uno, si trova a

Bologna in Via del Pratello, accanto al Tribunale per i Minorenni,

e accoglie soltanto maschi.

Quando una ragazza deve essere arrestata per un reato commesso

nella nostra regione, viene accompagnata in un carcere minorile

fuori territorio (Milano, Torino, ecc.).

Si indaga anche sulla personalità dell’imputato

Il Pubblico Ministero, oltre a svolgere l’indagine sui fatti per

comprendere l’esatta evoluzione della vicenda e individuare chi è

responsabile di che cosa, indaga anche sulla personalità del

minore.

Il PM infatti, secondo l’indicazione della Corte Costituzionale

nella sentenza n. 49/1973, “non soltanto è l’organo titolare

dell’esercizio dell’azione penale in funzione della eventuale

realizzazione della pretesa punitiva da parte dello Stato, ma

anche, ed è questo un aspetto rilevante, l’organo che presiede e

coopera al conseguimento del peculiare interesse-dovere dello

Stato al recupero del minore: a questo interesse è addirittura

subordinata la realizzazione o meno della pretesa punitiva”.

Questa è una delle differenze maggiori tra il procedimento

minorile e quello ordinario: l’osservazione della personalità nella

fase delle indagini.

L’art. 9 del dpr 448/88 impone che l’osservazione della

personalità, delle condizioni psicologiche familiari ed ambientali,

avvenga fin dal primo atto processuale con la richiesta di

informazioni ai servizi sociali del territorio, che relazionano sul

minore e sulla famiglia dello stesso. Inoltre possono essere

richieste informazioni alle forze dell’ordine o alla scuola.

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Archiviazione o rinvio a giudizio

Raccolte sufficienti notizie sul fatto e le responsabilità, ricevute le

informazioni sul minore, il Pubblico Ministero, così come accade

per gli adulti, chiude le indagini disponendo l’archiviazione

(perché non ha raccolto prove sufficienti per imbastire un

processo, perché il fatto denunciato non è realmente accaduto, o

non costituisce reato…) oppure il rinvio a giudizio.

Il Tribunale in quest’ultimo caso fissa l’udienza, che può avere

diversi esiti come si vedrà in un paragrafo successivo.

Durante un iter processuale così impegnativo e delicato, è

richiesta la collaborazione del minore e della sua famiglia. Solo

così è possibile costruire una fuoriuscita dal circuito penale che

non vada ad inficiare il regolare sviluppo della personalità del

minore e che gli consenta l’opportunità di un nuovo progetto di

vita

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3. Nostro figlio ha sbagliato? L’impatto sulla famiglia

Intervista di Elena Buccoliero ad Alberto Urro

Da anni, in alcune scuole e a Promeco, offri consulenze educative

a genitori di adolescenti. Ti è successo di essere interpellato

all’indomani di una denuncia?

Solo una volta. Ricordo anche un’altra occasione ma sono stato

contattato tempo dopo la denuncia, era una questione che

riguardava i social network…

Perché questi genitori non arrivano in consulenza?

Credo per vergogna. Le persone limitano il più possibile il

racconto di questi accaduti e lo riservano all’avvocato, in termini

di difesa. È più una questione legale che di esperienza umana nel

vissuto genitoriale, difficilmente due genitori di un ragazzo

denunciato si recano in maniera autonoma da qualcuno a cui

consegnare un po’ questo problema. È come ammettere di essere

in difficoltà nella gestione emotiva di un problema così grave, così

importante.

Forse ti è successo, invece, di accogliere genitori preoccupati per

i rischi anche legali che il figlio o la figlia stavano correndo…?

Parecchie volte. Arrivano per un confronto su un comportamento

disfunzionale del figlio, difficile da gestire, poi capisco che la

reale preoccupazione è per le possibili conseguenze di quel

comportamento in un contesto esterno. Se un ragazzo spacca una

porta in casa, o è manesco con i genitori, loro spesso pensano che

in famiglia tutto si può are ma se le stesse cose le facesse con

degli estranei… Le ripercussioni legali preoccupano molto.

Qualche esempio di questi comportamenti?

Uso e spaccio di sostanze. Quando un figlio consuma sostanze,

molti genitori si chiedono come trovi i soldi, se è nel giro dello

spaccio. L’altro tema riguarda l’uso dei social network, il timore

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che il figlio faccia qualcosa di sbagliato… C’è anche tutto il

discorso delle sim card, che in caso di minori sono intestate ai

genitori, i quali hanno paura di andarci di mezzo. Poi i

comportamenti maldestri, violenti, che gli adolescenti a volte

tengono quando sono in gruppo. O in discoteca, o durante una

festa...

I genitori che percezione hanno di tutto il sistema che si occupa

dei reati minorili: forze dell’ordine, procura e tribunale per i

minorenni, servizio sociale…?

Quelli che io ho conosciuto erano assolutamente all’oscuro del

sistema e dei percorsi. Il servizio sociale è ancora visto come

quello che allontana i bambini maltrattati, non viene in mente

come strumento per un adolescente a rischio. Hanno presente le

forze dell’ordine e il tribunale per i minorenni ma in maniera

molto grossolana, come approccio punitivo. E molti genitori non

sanno che certi reati hanno degli automatismi, sono procedibili

d’ufficio per cui, anche senza denuncia, se succedono delle cose e

queste vengono a galla l’iter giudiziario è obbligatorio.

I genitori sono preoccupati, sì, ma per che cosa?

Per il futuro dei figli. Che vuol dire prospettive lavorative, magari

in particolari ambienti come l’esercito o le forze di polizia… In

generale, il timore che rimanga un marchio indelebile. Anche il

ricorso ai servizi sanitari trova lo stesso ostacolo, specialmente il

Sert.

Se proviamo noi, a entrare un po’ di più nel rapporto genitori-

figli, il primo tema mi sembra quello di educare alla

responsabilità.

Le famiglie tendono a stare molto in superficie nella relazione con

i figli, si accontentano o sono soddisfatte quando il figlio non dà

problemi a scuola: punto. Un’altra caratteristica frequente è

allontanarsi dalle situazioni di conflitto con i figli, senza capire

che nel conflitto si può stare, è possibile affrontarlo per cambiare

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magari dei parametri dentro la famiglia. Capire, e far capire ai

figli, che fa parte della normalità dei rapporti profondi.

Il risultato è che molti ragazzi non hanno il termometro per

valutare i diversi gradi di approccio alla trasgressione. Insultare un

compagno, o scriverlo su Internet, o diffamarlo con una fotografia

umiliante, per loro è la stessa cosa, non riescono a vedere che cosa

attivano con queste modalità, che sono diverse. Manca quella

funzione di io ausiliario che il genitore deve avere, per un certo

periodo della vita del figlio, e che gli dice: attento, quella è una

cosa grave. C’è un silenzio quasi collusivo con i comportamenti

del figlio, fino a quando non fa qualcosa di veramente grave. E

che magari è difficilmente recuperabile o comunque lascia dei

segni.

Bisogna anche ricordare che l’educazione alla responsabilità non

incomincia a 14 anni, quando i ragazzi diventano imputabili…

Trasmettiamo ai figli l’idea che la loro esistenza e il loro modo di

essere è straordinario sempre. Li incitiamo fin da piccoli a fare

cose che sono in realtà dei compiti evolutivi spontanei, fisiologici,

ma vengono sottolineati come fossero elementi di assoluta unicità.

E questo da un lato dà un approccio positivo al mondo in termini

di intraprendenza, creatività, ma il versante opposto è che non dà

loro la coscienza che esistono dei limiti, dei confini, e che la tua

libertà deve necessariamente confrontarsi con la libertà degli altri.

In eccesso, porta ad un senso di onnipotenza che diventa difficile

gestire. Se tutti sono straordinari nessuno è ordinario, e la lotta

diventa sempre più accesa.

Un altro errore di tanti genitori è anticipare la domanda. Genitori

che soddisfano le richieste dei figli prima che loro le facciano

presente, cancellare la fatica di ottenere delle cose. Anche questo

crea un danno. Ricordo uno studente che ha tirato una bottiglia di

plastica piena d’acqua contro l’insegnante, spaccandogli il

computer, e quando è stato rimproverato ha risposto “Beh, cosa

c’è?, mi aveva fatto innervosire”. Non aveva acquisito la capacità

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di comprendere che quella azione danneggia l’altro, prima di tutto.

Ma se nessuno gliel’ha mai fatto capire, se quando il bambino

piccolo, in braccio, mette le dita negli occhi dell’adulto e l’adulto

ride… I bambini, e poi i ragazzi, hanno bisogno di essere aiutati a

capire che con le loro azioni possono danneggiare l’altro, non è

sempre festa. Ci sono conseguenze alle azioni, nel bene e nel

male. Anche nel bene.

Un ragazzino mi racconta che nel suo gruppo hanno istituito un

gioco, quello di spegnersi le sigarette sulle braccia e sulle gambe,

e la prima volta che qualcuno lo ha fatto con lui ha reagito con

uno sberlone.

Gli dico: E dopo?

Mi sono abituato e ho cominciato a farlo anch’io sulle braccia e le

gambe delle persone.

Ti pare che sia un gioco intelligente?

No, però è un gioco che si fa, ci può stare.

Parliamo di ragazzi di 13-14. Dirgli che può capitare la persona

che lo mena o che lo denuncia, diventa difficile se per lui è tutto

normale. Quando i genitori lo hanno saputo, erano preoccupati per

il braccio e non per questo aspetto, che è molto più importante.

Questa storia mi mette in luce anche un altro aspetto. Fino a che

punto un ragazzo può accettare di sottomettersi alla regola del

gruppo?

Bisogna pensare che i processi di inclusione sono sempre molto

ostacolati, tendenzialmente dagli adulti che forniscono strumenti

per allontanano l’integrazione, la conoscenza diretta dell’altro. Per

i genitori l’importante è che i figli stiano in casa, in condizioni

igieniche particolarmente attente e lontani dai pericoli. Se con gli

altri hanno rapporti virtuali va bene, purché non disturbino. Nel

momento in cui per fortuna – perché questa è una spinta sana – i

ragazzi vogliono confrontarsi in maniera reale nei gruppi, poi però

non hanno i rudimenti per farlo con coerenza, con adeguatezza. E

piuttosto che rimanere soli, o essere stigmatizzati dagli altri,

accettano il rito iniziatico.

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Ma questi riti di iniziazione sono frequenti, secondo te?

No, non direi. Però mi capita spesso di avere a che fare con

ragazzi che hanno dentro molta rabbia non ascoltata, non

canalizzata, questo sì. E non è slegato dal discorso che facevamo.

Spesso è il motivo per cui ragazzi di questa fascia di età entrano in

contatto con i tutori della legge. Il reato, l’atteggiamento che può

essere sanzionato, è una rabbia che non è stata trattata con le

modalità più corrette, prima.

In questi giorni c’è stata una rapina a mano armata ad Argenta.

Hanno fermato un ragazzo di 13 anni.

L’età è sempre più anticipata.

Per questo c’è chi parla di anticipare anche l’età imputabile, cosa

che personalmente non ritengo utile.

Non serve a niente. Piuttosto bisogna alzare i livelli di confronto e

di crescita culturale nei contesti educativi incominciando dalla

scuola. Di queste cose si parla poco. E non credo funzioni, da

solo, l’ottimo lavoro, veramente ottimo, che le forze dell’ordine

stanno svolgendo in tanti istituti scolastici. Sono molto bravi ma

non basta. C’è bisogno di continuità, gli interventi degli esperti

devono essere ripresi da tutto il contenitore scolastico nel tempo,

nei mesi. Occorre lavorare a un concetto di legalità che è un

approccio culturale, cioè molto di più che osservare la legge.

La scuola come tratta le trasgressioni dei ragazzi?

In questi anni è cambiato il modello punitivo classico, della

sospensione. Adesso l’idea è trovare i mezzi educativi per tenere

le persone dentro all’istituzione scolastica, ed è un messaggio

molto importante: si può sbagliare.

Si può sbagliare e si può aggiustare quello che hai rotto, attraverso

un percorso.

L’ostacolo è sempre quello burocratico, la tempistica a volte è

molto lunga e si ripropone, in piccolo, un tema che riguarda anche

la giustizia penale minorile. A scuola bisogna riunire il consiglio

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di classe, fare la proposta, poi c’è il diritto di ricorso… L’iter è

lungo, magari la sospensione con obbligo di frequenza e lavori

socialmente utili arriva venti, venticinque giorni dopo il fatto,

giorni in cui il ragazzino è rimasto in giro per la scuola a

raccontare o a fare determinate cose.

E poi manca, a volte, il monitoraggio attraverso il dialogo. Va

bene il lavoro socialmente utile, però per un ragazzino è

importante che abbia un riferimento, qualcuno che lo aiuta a

ragionare su quello che ha fatto e sul perché lo ha fatto. Altrimenti

i ragazzi eseguono ad occhi chiusi, come si accetta una punizione,

“Non lo faccio più”… fino a quando non capita di nuovo. In

alcune scuole dove sono presenti gli operatori di Promeco

abbiamo lavorato su questo, e durante il percorso di sanzione lo

studente segue anche un percorso di counselling.

Nella giustizia degli adulti c’è lo stesso problema. La persona

viene magari sanzionata ma non spinta a riflettere su ciò che ha

commesso, la pena è il prezzo da pagare ma capire cosa è

successo è un’altra cosa.

Coi ragazzi a scuola è lo stesso. Il primo atteggiamento è

l’adesione alla cieca: devo farlo e lo faccio. Nel tempo hai ragazzi

che riesci ad agganciare davvero e fanno ragionamenti anche

profondi. A scuola certe cose - il vetro rotto o l’atto di teppismo

dentro un bagno - non nascono mai dal nulla, non sono raptus. A

volte c’è una forma di protesta per qualcosa che è accaduto, a

scuola o fuori, e l’ambiente scolastico diventa una cassa di

risonanza. “Così i miei imparano”, per esempio. Oppure “Così

impara la profe a darmi sempre 5”. Spesso gli adolescenti

spiegano che se hanno sbagliato è stato per reazione ad una

ingiustizia. Il ragazzo che mi dice: “Quell’insegnante mi provoca,

ha detto che fin quando non studio mi dà cinque”.

D’altra parte, se non studia…

Sì, ma dirlo in questi termini per un adolescente è una sfida.

Invece l’insegnante che avvicina il ragazzo e lo consiglia su come

studiare, “domani ti sento e capisco a che punto sei, poi la

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prossima settimana ti interrogo e ti do il voto”, trova altre

reazioni. Quando qualcuno si dedica ai ragazzi la spavalderia

viene meno.

Sì. Ma non sarà ricadere in quella specie di infinito maternage, di

troppa tutela, per cui i ragazzi non si accorgono mai di avere dei

limiti?

Penso sempre non ad un maternage ma ad un paternage.

Un’attenzione che viene data ma con un’autorevolezza molto

forte. Far capire che l’altro ti sta osservando, ti sta tutelando, ti

riesce a sostenere comunque, ma non te ne risparmia neanche una.

Un modello che è affettivo ma è anche punitivo, perché no? I

ragazzi questo lo accettano. L’insegnante o il genitore autorevole

può tranquillamente togliere delle libertà all’adolescente senza

ricevere rimostranze eccessive perché agisce con autorevolezza,

con coerenza. Quando è così, difficilmente gli adolescenti alzano

nuovamente la cresta, anzi ti cercano. L’adulto che ha il coraggio

di dire che “la famiglia non ha una struttura democratica”

(Minuchin), che è lui al timone, con tutto ciò che ne consegue,

compresa la responsabilità di sentire i suoi passeggeri lamentarsi

per il suo modo di guidare. “Però sono io che guido e non posso

far finta che non sia così. Posso fermarmi se ci sono delle

necessità ma sono io che guido, il mio stile è quello”.

Difatti ho spesso la sensazione che la giustizia minorile assolva

verso gli adolescenti una funzione paterna. Tu che padri vedi?

Vedo padri in difficoltà. Che a volte non hanno acquisito

autorevolezza nella relazione con i figli. Magari hanno speso di

più sul versante della professione, della realizzazione personale

piuttosto che della realizzazione come padri.

Vedo padri che hanno voglia di mettersi in discussione e lo fanno

però forse un po’ tardi, difficile cominciare a 50’anni, con i figli

già adolescenti. Esiste un tempo per ogni cosa, anche la messa in

discussione del proprio essere padri probabilmente deve avvenire

nel tempo, in una crescita parallela a quella dei figli.

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Vedo padri che hanno bisogno di capire la differenza tra

l’accompagnamento di un bambino di 5-6 anni in palestra o a

scuola e l’accompagnamento virtuale, non fisico, di un ragazzo di

16 quando ha le sue attività, e tu sei chiamato a dargli lo zainetto,

prima che esca di casa, con dentro gli strumenti giusti per stare nel

mondo. È un passaggio molto delicato e non lo si fa da un giorno

all’altro. Acquisire autorevolezza è un processo che si sviluppa

nel tempo, non si comincia ad essere padri quando i figli sono

adolescenti.

Il fatto è che anche i peggiori papà vengono richiesti dai figli. Dai

9-10 anni in poi il padre è un punto di riferimento affettivo

importantissimo, anche quando i padri se lo meritano poco. Al

figlio non arriva questo, arriva il padre ideale, quello immaginato.

E allora ci sono le mamme che suppliscono… Tutto un mondo

tenero, complicato.

Si possono pensare degli “esercizi di empatia”? Di fronte alla

violenza io penso sempre che sia mancato un po’ di allenamento a

capire che ci sono anche gli altri.

Prima di tutto bisognerebbe cercare formule burocratiche più

snelle in modo che tutti i ragazzi facciano un’esperienza, parallela

alla scuola, di volontariato o di lavoro, in contesti dove realmente

si sentono utili ma sentono anche la fatica di fare le cose. Le

cucine della Caritas per esempio… Non sempre il front office che

a volte è eccessivo, ci vuole anche una certa maturità per capirlo,

però possiamo chiedere ai ragazzi delle fatiche, che poi si

realizzano in attenzioni verso i tuoi simili. Dare il senso di

costruzione delle cose per potenziare la parte positiva e diminuire

i fattori di rischio di quegli aspetti un po’ narcisistici e un po’

leggeri che gli adolescenti hanno anche fisiologicamente.

L’altra condizione sta nell’approccio educativo della famiglia.

Creare con i figli una relazione profonda, non svilire quello che

loro ci portano e che a seconda delle età può assumere una

dimensione diversa. A volte a loro sembrano drammatiche cose

che noi reputiamo sciocchezze ma trattarle come sciocchezze non

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è corretto, e come non riconoscere ai ragazzi l’importanza che

hanno. Oggi passano dai riflettori puntati addosso per tutto quello

che fanno alla non esistenza. È un processo che crea danni.

Abituarli ad avere una giusta attenzione li fa crescere con una

certa autonomia, coraggio per le cose, e allo stesso modo capire

quanto è faticoso il percorso di crescita, e quanto è gratificante.

I ragazzi sono capaci di impegnarsi moltissimo quando hanno un

obiettivo che per loro conta, quando si riconoscono in un progetto.

La fatica sono capaci di farla, dipende dalla funzione che gli

attribuiscono, dalla visione del gruppo. Sta agli adulti sapergli fare

delle proposte di crescita impegnative e gratificanti, per dar loro la

giusta misura di quanto sono importanti nel contesto sociale. Un

contesto che invece, in questo momento, li tiene alla finestra, li fa

spettatori.

La simulazione dell’ottobre 2014 credo sia stata la tua prima

occasione per assistere ad un processo penale minorile. Che

impressione ti ha dato?

Sono rimasto colpito dalla attenzione con la quale sono state fatte

le cose. Avevo un’immagine un po’ superficiale del processo, non

avrei mai immaginato di trovare magistrati e operatori che si

occupano di legalità nella realtà, in un modo così attento. Ho

sentito un senso di autorevolezza istituzionale che da fuori non

percepivo. Credo che il problema drammatico per la giustizia sia

semmai la tempistica con cui vengono fatte le cose, non le

capacità delle persone.

E come è stato per te fare il padre dell’imputato?

Ho sentito forte il senso di inadeguatezza di un adulto tutto

concentrato su se stesso, quando in realtà, nel momento in cui hai

dei figli, i tuoi pensieri cambiano, per forza. Non nel senso che

non esisti più, ma che esisti in un sistema di relazione più

complicato. Di cui non puoi fare a meno, perché è un dato di fatto

e perché non vorresti starne fuori, se sei consapevolmente

genitore.

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Lo sforzo di entrare nel mio personaggio mi ha fatto proprio

pensare a quanta inadeguatezza c’è in tanti adulti. Senza per forza

toccare aspetti legali, pensavo a quanto nel quotidiano noi adulti

possiamo essere criminosi nelle nostre disattenzioni quotidiane

verso gli adolescenti. Abbiamo un pensiero per noi, prima di tutto.

Di fare bella figura, di far vedere agli altri che siamo stati capaci

di tirar su dei bravi figli, che rispondono a caratteristiche standard,

e in questo modo calpestiamo realmente la loro unicità… che

abbiamo tanto sbandierata negli anni in cui la potevamo

controllare, la loro unicità.

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4. Come interviene il Servizio Sociale con i minori autori di

reato?

di Valentina Dei Cas

Nei casi di coinvolgimento in dinamiche di tipo penale di

minorenni residenti nei Comuni di competenza, il Pubblico

Ministero ha bisogno di una indagine sulla personalità e sul

contesto di vita del minore. La delega al servizio sociale, che è in

prima istanza l’Ufficio Servizio Sociale Minori (USSM) afferente

al Dipartimento e al Centro di Giustizia Minorile (per tutta

l’Emilia Romagna il riferimento è l’USSM di Bologna), il quale

chiede la collaborazione del Servizio Sociale territoriale (quello di

Ferrara, Copparo, Cento… ecc.).

Quando la Procura lo richiede, può essere attivato anche il

servizio pubblico di psicologia che svolge una funzione peculiare,

non terapeutica ma di prima valutazione della personalità del

minore.

Il codice del processo penale minorile identifica chiaramente

l’USSM quale diretto responsabile della completezza e della

qualità dell’accompagnamento del minore in tutte le fasi del

percorso penale, anche qualora l’Ufficio si avvalga della

collaborazione dei servizi territoriali, tanto per la parte di

valutazione sociale quanto per quella di valutazione psicologica.

Tali servizi, per la loro vicinanza alle persone e per la conoscenza

delle dinamiche sociali dei contesti di provenienza e azione,

rappresentano tuttavia attori fondamentali del processo

d’intervento.

Conoscere il ragazzo e la sua famiglia

Il Servizio sociale assolve prioritariamente a una funzione di

conoscenza del minore e della sua famiglia. In questo senso,

attraverso colloqui, visite domiciliari e altre verifiche (p.e. a

scuola o con altri enti e agenzie che a vario titolo hanno

conoscenza del ragazzo), si acquisiscono elementi circa le

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condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del

minore per consentire all’Autorità giudiziaria di accertarne

l'imputabilità e il grado di responsabilità, di valutare la rilevanza

sociale del fatto nonché di disporre adeguate misure penali e

adottare eventuali provvedimenti civili (art. 9 DPR 448/88).

Qualora la situazione sia già nota o in carico, il Servizio invia

altresì un’informativa generale rispetto agli interventi già svolti o

in corso.

Con le informazioni raccolte, in un tempo dato (solitamente da 1 a

3 mesi), il Servizio Sociale invia all’USSM e alla Procura una

relazione che ripercorre la storia passata e la situazione presente

del ragazzo sul piano sanitario, psicologico, sociale, scolastico,

con l’evidenziazione di eventuali fattori di rischio attuali o in

prospettiva e significativi indici di malessere. Le aree solitamente

analizzate sono il contesto sociale, la storia personale del minore e

dei genitori, le relazioni familiari. Oltre alle ipotesi di correlazione

tra comportamenti a rilevanza penale e aree di fragilità, in

un’ottica proattiva e funzionale alla costruzione di un progetto

sensibile all’individualità del minore, si cerca altresì di riferire

informazioni anche in merito alle risorse personali, relazionali e ai

punti di forza e resilienza osservati o parzialmente osservabili.

Riflettere sul reato commesso

Sebbene il Servizio Sociale sia chiamato a concentrarsi sulla

conoscenza del minore, non bisogna dimenticare che l’intervento

non sarebbe mai iniziato se non ci fosse stata una condotta

riconosciuta e valutata in qualche senso offensiva di un diritto

individuale o collettivo, o comunque problematica. Il lavoro

d’indagine si accompagna allora a quello di costruzione di uno

spazio relazionale tra minore, famiglia e operatore che possa

fungere da primo luogo di rielaborazione, presa di coscienza delle

proprie responsabilità e opportunità educativa.

In questa prospettiva i nodi più significativi dell’intervento sono:

a) muoversi attraverso le narrazioni degli eventi da parte dei

soggetti in scena (il minore, i genitori, eventuali minori

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coimputati); b) avviare un processo d’identificazione e di

riconduzione degli agiti (p.e. un pugno, la sottrazione di un

cellulare) a categorie penali specifiche (p.e. lesione personale,

furto), che spesso è di difficile gestione per i minori che arrivano a

colloquio.

In questo senso, obiettivo importante è creare una sinergia tra i

diversi interlocutori adulti che a vario titolo affiancano il minore

autore di reato. Partendo dall’idea che il fine e al contempo il

mezzo che contraddistingue il percorso penale minorile è

l’educazione alla responsabilità – verso gli altri, verso la società,

verso se stessi – le figure che accompagnano e orientano questo

percorso (l’operatore del Servizio Sociale, l’assistente sociale

dell’USSM, il genitore, l’avvocato) contribuiscono, ognuno con la

propria specifica competenza, alla decodifica di avvenimenti,

circostanze e comportamenti e alla promozione di un

cambiamento positivo nel ragazzo.

Se un punto di vista tecnico-legale può aiutare a sostenere la

riflessione in merito al “Che cosa è successo? Come lo chiama la

legge?”, la specifica competenza del Servizio Sociale si sviluppa

nel trovare tra le pieghe della vita, delle esperienze, dei

funzionamenti osservati, elementi che possano aiutare a

comprendere e narrare il senso di quello che è accaduto (“Perché

è successo?”) per avviare un processo evolutivo, individuale e di

contesto, successivo.

Rilevando inoltre che i tempi processuali sono spesso diluiti e

difficilmente determinabili a priori, il Servizio Sociale può

operare in senso preventivo e anticipatorio – ma coordinato con il

referente USSM titolare del caso – sulla base della fiducia aperta

con il minore e la famiglia, instaurando un rapporto di

collaborazione e impostando un lavoro socio-educativo di

continuità a quello dell’indagine.

Ulteriori interventi del Servizio possono essere organizzati a

sostegno del minore in funzione delle misure disposte in fase di

giudizio, soprattutto qualora sia ordinata la sospensione del

processo e valutata l’idoneità della messa alla prova. Nello

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specifico, il Servizio Sociale co-opera, a fronte delle osservazioni

e delle valutazioni compiute, al fine di: a) impostare gli obiettivi

del progetto d’intervento creato ad hoc sulla situazione e sul

minore; b) reperire e mettere in rete contesti, risorse materiali e

umane utili allo svolgimento del progetto; c) monitorare

l’andamento del progetto attraverso momenti di verifica con i

riferimenti del territorio, con la famiglia e con il ragazzo

appurando che gli impegni assunti siano rispettati; d) valutare in

itinere la praticabilità del progetto, eventualmente proponendo

adattamenti utili alla conclusione positiva della prova.

I dati più recenti nel territorio di Ferrara

Volendo concludere con alcuni dati sulle prese in carico recenti,

nell’anno 2015 il Servizio Sociale Minori dell’ASP di Ferrara ha

ricevuto dall’USSM di Bologna 36 richieste di collaborazione –

circa il doppio rispetto all’anno precedente – per minori imputati

di reato. Tra di essi 19 italiani (16 maschi e 3 femmine) e 17

minori con cittadinanza non italiana, tutti maschi. In merito alla

tipologia di reato contestato, appare prevalente quello contro il

patrimonio (rapina), seguito dai reati contro la persona (lesioni

personali volontarie e ingiuria).

Nel primo semestre del 2016 si sono contate 17 nuove istanze di

indagine equamente suddivise tra minori italiani e stranieri. Sul

totale, 11 segnalazioni riguardano femmine, 6 quelle sui maschi. È

confermata la prevalenza di furti e lesioni personali, anche se

numericamente rilevanti emergono le violazioni delle disposizioni

in materia di stupefacenti.

Più difficile è invece offrire un panorama di sintesi sugli esiti

finali dei percorsi processuali, i quali spesso si prolungano negli

anni, ben oltre la minore età.

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5. L’avvocato difensore e il suo rapporto con il ragazzo di Roberto Casella

Il diritto di difesa

Il diritto di difesa rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo ed è

costituzionalmente garantito dall’art. 24.

Tale articolo è inserito nella I parte della nostra Costituzione, dove

rientrano e sono garantite le diverse forme di libertà; la tutela

giurisdizionale viene sancita con le parole “tutti possono agire in

giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.

La chiarezza della Carta costituzionale a riguardo è emblematica:

in questo caso infatti non si riferisce ai soli cittadini, come

avviene per altri diritti costituzionali, ma quel “tutti” sta proprio

ad indicare l’estensione del principio a qualsiasi soggetto che

necessiti di vedersi riconosciuta la tutela di un diritto garantito.

La Corte Costituzionale sottolinea, infatti, come il diritto alla

tutela giurisdizionale vada considerato tra “i principi supremi del

nostro ordinamento costituzionale, in cui è intrinsecamente

connesso – con lo stesso principio democratico – l’assicurare a

tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un

giudizio”.

Quando si tratta di un minore tale principio necessita di essere

particolarmente tutelato e in un quadro così delicato si inserisce la

funzione essenziale del difensore.

Quest’ultimo, infatti, deve assicurare la difesa tecnica, fornendo il

miglior contributo possibile in considerazione dell’estrema

delicatezza degli interessi da tutelare; inoltre deve dimostrare

massima attenzione e professionalità in quanto, a differenza del

processo ordinario che prevede solo alcune soluzioni processuali,

nel caso del processo minorile, le possibilità sono ben 14.

La relazione personale tra il ragazzo e il suo avvocato

Il rapporto col ragazzo è lasciato alla sensibilità personale

dell’avvocato.

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Come in tutte le professioni così come in tutti i rapporti sociali,

l’empatia, la delicatezza nell’ascolto, la correttezza e chiarezza dei

ruoli, risultano fondamentali per instaurare un rapporto proficuo.

Non a caso si parla di difensore di fiducia dove, al di là del fatto

che è incaricato direttamente dalla persona (mentre il difensore di

fiducia è assegnato dall’Autorità Giudiziaria), la locuzione “di

fiducia” assume un significato particolare.

Il ragazzo che entra nell’ingranaggio processuale solitamente è

molto smarrito, come disorientati e spaventati sono i suoi genitori,

soprattutto se il minore viene arrestato e condotto in carcere.

Lo smarrimento e la paura sono i sentimenti prevalenti con cui il

difensore deve confrontarsi entrando in quello spazio emozionale

fin ad allora inviolato. Il suo ruolo gli impone di chiarire da subito

le varie fasi del procedimento a carico del minore, per poi cercare

assieme alla famiglia, se collaborativa, la via d’uscita più

favorevole per il ragazzo.

Tengo a precisare che per “favorevole” non si intende l’impunità,

bensì la risoluzione che consente al minore di intraprendere un

reale e concreto processo di crescita.

Il coinvolgimento dei familiari

Nel rapporto con il minore è impossibile prescindere dalla sua

famiglia.

I genitori del ragazzo o le figure familiari a lui più vicine vivono

sicuramente forti disagi. Non si interrogano solo sui possibili esiti

del processo, spesso il trauma dato dalla notizia di reato innesca

emozioni negative quali rabbia, frustrazione e delusione, insieme

ad un senso di inadeguatezza e di fallimento della propria

funzione genitoriale.

Noi avvocati difensori non disponiamo di alcuno strumento per

fronteggiare queste dinamiche, per cui non dobbiamo mai

intervenire su questo fronte che professionalmente non ci

compete. Possiamo però cercare di ridimensionare e arginare,

quando è possibile, queste manifestazioni estreme di vulnerabilità,

rabbia e sconforto, apportando delucidazioni in ambito tecnico e

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legale sul percorso giudiziario al quale si sta andando incontro ed

invitando tutti, il minore in primis, alla massima collaborazione

durante l’iter processuale.

Non bisogna mai lasciarsi coinvolgere emotivamente, sebbene

risulti molto difficile e se ciò dovesse accadere, dobbiamo tener

presente che non dev’essere mai l’emozione a determinare le

scelte difensive ma l’oggettiva valutazione della responsabilità,

quando sussiste.

Il nostro “cliente” è il minore, non la sua famiglia e le sue

emozioni.

C’è sempre un motivo

La devianza ha sempre una ragione: a volte la si riscontra nel

passato, altre volte ancora nel presente del ragazzo.

Il processo deve essere visto e vissuto dal minore come

un’occasione di riscatto.

Il compito del difensore è garantire il diritto di difesa attraverso il

quale il ragazzo può tutelare anche la propria identità, la propria

crescita personale. Si attua pure così quel principio di protezione

dei minori previsto dalle Nazioni Unite nella Dichiarazione dei

diritti del fanciullo.

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6. Come si svolge il dibattimento penale minorile

di Benedetta Bertolini

Il dibattimento è la fase centrale del processo penale, quella

durante la quale si acquisiscono le prove sulla cui base il giudice

prenderà la sua decisione.

Chiusura delle indagini preliminari

Alla fine delle indagini preliminari, durante le quali il Pubblico

Ministero, aiutato dalla polizia giudiziaria, raccoglie gli elementi

di prova a carico dell’indagato (non le prove vere e proprie ma il

materiale investigativo), si prospettano due strade.

Se il PM ritiene che la notizia di reato sia infondata, e che cioè

non vi siano sufficienti elementi d’accusa a carico del minore

indagato, oppure se sono presenti altre cause stabilite dalla legge

per cui il procedimento non deve andare avanti, richiede

l’archiviazione del caso. Se al contrario ritiene siano sussistenti i

presupposti per iniziare il processo e di aver raccolto elementi di

prova sufficientemente consistenti, esercita l’azione penale tramite

un provvedimento denominato “richiesta di rinvio a giudizio”.

L’udienza preliminare

A questo punto, di norma, viene celebrata un’udienza cosiddetta

“filtro”, ovvero l’udienza preliminare, durante la quale il tribunale

per i minorenni controlla, sulla base degli atti d’indagine

presentati dal pubblico ministero e delle eventuali indagini

difensive, che vi siano effettivamente i presupposti per intentare il

processo contro l’imputato minorenne.

All’udienza, che per tutti i ragazzi dell’Emilia Romagna si svolge

presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna, sono presenti tre

giudici minorili che in questo caso non indossano la toga.

Riconosciamo un magistrato che presiede l’udienza e due giudici

onorari, un uomo e una donna, esperti in materie umanistiche

quali la psicologia, la criminologia, la pedagogia e via dicendo. Il

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magistrato e i due onorari lavorano insieme per valutazione i fatti

e la personalità dell’imputato. Insieme a loro è pure presente

l’avvocato difensore, il Pubblico Ministero e il servizio sociale. Il

minore imputato è sempre convocato, e può scegliere se essere

presente o lasciare che la sua difesa sia affidata all’avvocato. Sono

sempre invitati anche i genitori o il tutore del ragazzo.

Per la verbalizzazione e la documentazione di quanto avviene

durante l’udienza sono infine presenti il cancelliere ed

eventualmente il tecnico addetto alla fonoregistrazione.

L’udienza preliminare può essere anche il luogo in cui il

procedimento trova la sua conclusione, in forza di uno degli esiti

anticipati previsti dal codice. Se invece il procedimento non si

chiude neppure in fase di udienza preliminare, si arriva alla fase

del dibattimento.

Il vero e proprio dibattimento

Si tratta, come detto, del momento centrale del processo penale. In

esso i soggetti coinvolti, pubblico ministero e imputato con il suo

difensore, ad armi pari possono dimostrare le proprie ragioni ai

giudici.

Gli attori del dibattimento sono all’incirca gli stessi dell’udienza

preliminare: tribunale, difensore, pubblico ministero, servizio

sociale, cancelliere. Ancora una volta l’imputato è convocato e

può scegliere se presenziare o meno, e insieme a lui sono invitati i

genitori o il tutore. In questo caso il tribunale è composto da

quattro giudici, due magistrati e due giudici onorari, e tutti

indossano la toga.

Il dibattimento minorile può articolarsi in diverse udienze, a

seconda della complessità del procedimento. L’imputato può

scegliere se essere presente o meno.

Oltre alle persone indicate nessun altro può assistere all’udienza,

trattandosi di udienze tendenzialmente (ma, anche qui, sono

possibili eccezioni) a porte chiuse.

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Il principio del contraddittorio

La particolarità del dibattimento sta nel fatto che i giudici non

conoscono e non hanno la disponibilità del materiale raccolto dal

Pubblico Ministero o dall’avvocato difensore durante le loro

indagini. I giudici sanno di che cosa è accusato l’imputato e poco

altro, mentre non possono sapere, salvo per alcune eccezioni,

quali elementi di prova sono stati raccolti (ad esempio quello che

l’imputato o altre persone hanno dichiarato agli inquirenti).

Questa stranezza ha una ragione ben precisa e discende dal

principio fondamentale che la nostra Costituzione prevede in

materia di processo penale. Il principio del contraddittorio (art.

111 Cost., comma 5) sancisce che le prove sulle quali il giudice

fonda la sua decisione si debbano formare davanti a lui stesso in

una sorta di dialogo tra accusa e difesa, le quali devono avere le

stesse possibilità di dimostrare come sono andate le cose dal loro

punto di vista.

Se il giudice potesse leggere tutto il materiale investigativo, il suo

pensiero ne risulterebbe fortemente influenzato. Per preservare

allora l’imparzialità dei giudici, la Costituzione ha stabilito che

tutte le prove, salvo casi eccezionali espressamente previsti,

devono materialmente formarsi davanti a loro ad opera delle parti.

L’ammissione delle prove, le testimonianze

Dopo una fase introduttiva, in cui si verifica la regolarità della

costituzione delle parti e si affrontano eventuali questioni

preliminari, si dà avvio alla fase istruttoria.

Accusa e difesa introducono ciascuna, secondo le regole stabilite,

le proprie prove, le quali possono essere precostituite, come quelle

documentali (referti medici della vittima, analisi chimiche dello

stupefacente sequestrato al giovane spacciatore, ecc.), e che quindi

vanno semplicemente presentate e consegnate ai giudici, o

costituende. Queste ultime si formano direttamente in udienza,

davanti ai giudici, ad opera delle parti. È ciò che avviene con tutte

le prove orali, come la testimonianza, prova principe del

dibattimento.

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Il testimone si presenta in udienza, gli vengono poste domande sia

dall’accusa che dalla difesa, e ad entrambi è tenuto a rispondere

secondo verità. È il metodo della “cross-examination”, che

permette la massima obiettività del giudice nel valutare.

Prima di rendere la propria testimonianza l’invitato presta

giuramento di dire la verità e non nascondere nulla di quanto a sua

conoscenza e viene avvisato che la falsa testimonianza costituisce

reato. È una posizione molto difficile, soprattutto per un

minorenne che abbia un legame di conoscenza personale con

l’accusato o con la vittima del reato. È importante comprendere

che in quel momento l’amicizia (o la soggezione) passa in

secondo piano rispetto al valore di prestare un servizio alla

giustizia nella ricostruzione dei fatti.

L’interrogatorio dell’imputato

L’apporto conoscitivo del minore accusato del reato si ottiene

tramite uno strumento diverso, l’esame dell’imputato. A

differenza del testimone, l’imputato può infatti decidere se

rispondere alle domande o meno, e anche quando accetta di

rispondere non è tenuto a farlo secondo verità, in forza del

principio per cui nessuno può essere costretto ad autoaccusarsi.

Le domande all’imputato, se minorenne, vengono poste dal

giudice che presiede il collegio, e non dalle parti, anche se queste

ultime, insieme agli altri giudici, possono proporre ulteriori

quesiti.

Altre prove

Numerose sono le altre prove che possono essere assunte in

dibattimento: le perizie, apporti conoscitivi ad alto contenuto

tecnico affidati dal giudice a soggetti esperti (è il caso, ad

esempio, di uno psichiatra che deve valutare la capacità di

intendere e di volere dell’imputato), i confronti (operati fra

dichiarazioni discordanti), le ricognizioni (ovvero i

riconoscimenti) di persone o di cose, e gli esperimenti giudiziali,

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che consistono nella riproduzione di una determinata situazione

per verificarne dal vivo gli effetti e le modalità di svolgimento.

La discussione finale, la sentenza

Terminata l’acquisizione delle prove vi è la discussione finale.

Ciascuna parte – Pubblico Ministero e avvocato difensore –

espone in modo ordinato e approfondito la propria visione dei

fatti, alla luce di quanto emerso durante l’istruzione probatoria e

delle deduzioni ricavate.

A seguito della discussione, il collegio lascia l’aula e si ritira in

camera di consiglio. Lì i giudici, togati e onorari, si confrontano

su quanto rilevato durante l’udienza, formano il proprio

convincimento e giungono alla sentenza. Tale decisione può

assumere vesti molto diverse, e gli strumenti che sono a

disposizione del giudice vanno ben oltre la classica, e ben nota,

alternativa tra sentenza di assoluzione e sentenza di condanna.

Di nuovo in aula dibattimentale, il presidente dell’udienza legge ai

presenti il dispositivo della sentenza, cui seguirà per esteso la

pubblicazione delle motivazioni, ovvero la narrazione di quanto è

emerso nel processo e di come i giudici sono arrivati alla loro

decisione.

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7. Qual è il posto della vittima?

di Elena Buccoliero

Il procedimento penale lascia poco spazio alle vittime del reato.

Questo è vero nei processi agli adulti ed anche in quelli ai minori.

Per sua natura tutta l’impostazione processuale è tesa ad accertare

dei fatti, la vittima vi compare al più come testimone e poco

importa se per lei è facile o difficile ricordare l’accaduto: deve

rispondere alle domande, farlo in modo completo, sincero,

dettagliato, credibile. Deve soddisfare esigenze che in quel

momento potrebbero non essere le sue.

Eppure nella gran parte dei reati – e certo nella maggioranza di

quelli commessi dagli adolescenti – il processo non si farebbe, se

non ci fosse una vittima. Qualcuno, cioè, che si è sentito leso dal

comportamento altrui e che ha voluto sporgere denuncia, chiedere

aiuto, rimettere nelle mani della giustizia il compito di appianare

quel conflitto, lenire quella ferita. Qualcuno che molto spesso è a

propria volta un minore.

Non è facile, per un adolescente, sporgere denuncia e lo è ancor

meno ritrovarsi a testimoniare di aver subito, magari dopo anni e

quando ha ripreso quel po’ di rispettabilità per cui non

ammetterebbe mai di averle prese. In dibattimento ho visto

giovani orgogliosi arrivare quasi a scagionare chi li aveva

pesantemente aggrediti solo per non ammettere di essere stati

soverchiati dall’altro.

Non è facile raccontare neppure quando sussiste un legame tra reo

e parte lesa, perché tra loro è in atto una relazione amicale, o

affettiva, o sessuale, o di vicinato. Perché nell’aria o sul web

corrono messaggi a metà, richieste di riconciliazione o, invece,

minacce, intimidazioni pesanti.

Un ragazzo in un processo ebbe il coraggio di dirlo, che dalla

finestra della piccola stanza dove era - si fa per dire - isolato, il

suo aggressore l’aveva visto passare e l’aveva fissato negli occhi

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passandosi il pollice sotto la gola, gesto molto eloquente per

pretendere silenzio. In quel caso l’intimidazione non ha

funzionato e il Pubblico Ministero, saputa la notizia, ha aperto

seduta stante un nuovo procedimento a carico dell’imputato,

proprio per aver cercato di intimidire un testimone. Altre volte

forse qualcosa è andato a segno e noi non ce ne siamo neppure

accorti, tranne picchiare ostinatamente contro un muro di “non mi

ricordo”.

Non è facile neppure dare parola alla vittima. Noi del Tribunale

per i Minorenni di Bologna, quando abbiamo immaginato il

processo simulato, non l’abbiamo fatto e nemmeno ce ne siamo

accorti, se non tardivamente e per l’osservazione di altri. La nostra

vittima è in coma, non può dire nulla di sé. I suoi genitori non

sono stati convocati. Il dolore che si respira è quella dell’imputato,

un giovane sfortunato visti i genitori che si ritrova. Della ragazza

in coma ci ricorda il Pubblico Ministero ma resta una figura di

sfondo.

Eppure, è bene ribadirlo nuovamente, buona parte dei processi che

si celebrano verso minori autori di reato non avrebbero neppure

un senso, se non ci fosse una vittima. E la giustizia non può

eludere la domanda di giustizia che è presente nell’atto stesso di

sporgere querela. Il Tribunale per i Minorenni - e con lui tutti gli

attori della giustizia minorile - se ne ricordano nei modi consentiti

dalla procedura: con modalità di ascolto attente nell’immediatezza

dei fatti come in udienza, e favorendo ogni volta che è possibile

percorsi di mediazione penale nei quali l’incontro reo-vittima ha,

per noi, la funzione di ridare parola là dove la violenza ha azzerato

ogni possibile comunicazione.

La realtà, poi, per come è possibile che affiori durante un

dibattimento, dice molto di più. Dice di come in tanti casi i

ragazzi – reo e vittima - in modo autonomo, e molto prima che si

celebri il processo, cerchino di riprendere un dialogo anche oltre

ogni nostra immaginazione, ad es. dopo una violenza sessuale, ma

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dice anche di come sia difficile chiedere scusa, e di come tanti

giovani imputati, sostenuti dai genitori e da avvocati compiacenti,

cerchino l’impunità ad ogni costo, calpestando bellamente ogni

diritto della vittima all’emersione della verità. E ciò nonostante la

procedura minorile consenta fuoriuscite dal percorso penale molto

più onorevoli – ad es. con l’ammissione dei fatti e una buona

messa alla prova - senza per questo macchiare la propria fedina

penale, per dirla con parole che i ragazzi imparano nei film e

ripetono volentieri.

Tra tanti casi, il più atroce che ricordo riguarda un gruppo di

ragazzi che abbiamo condannato per aver dato fuoco a tutti gli

averi di un barbone, certo pensando che in quel giaciglio ci fosse

anche lui. Era stato un gesto di emulazione (pochi giorni prima in

un’altra città loro coetanei erano riusciti nell’omicidio) concluso

fortunatamente senza ferite per nessuno, ma la condanna

l’abbiamo pronunciata lo stesso e non è piaciuta ai genitori, ai

nonni riuniti per l’occasione. Ci hanno insultato, sindacalisti

convinti, mentre uscivamo dall’aula e “tante storie per una

ragazzata”, solo la stanchezza e l’ora tarda ci hanno dissuaso dal

perseguirli per oltraggio.

Chiudo ricordando quante vittime ho incontrato tra gli imputati.

Le relazioni sociali che inquadrano la situazione personale e

familiare dei ragazzi restituiscono quadri quasi sempre

difficilissimi, densi di sofferenza, grevi di abbandoni, violenze,

abusi, incomprensioni, non ascolto, e in non pochi casi anche

povertà economica, degrado sociale. Ragazzi che hanno

commesso violenze, che altre ne hanno subite e per i quali diventa

molto importante trovare il modo di tessere un dialogo su che cosa

significhi fare giustizia. Importante per noi, per dare senso al

nostro lavoro, e – forse, spero – importante anche per loro, che

saranno maggiorenni tra un soffio ma hanno ancora tanto da

imparare.

Che poi se ci ripenso, agli incendiari, erano vittime anche loro.

Con genitori e nonni di quella risma, che altro possono essere?

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8. Esiti possibili del processo minorile: irrilevanza del fatto,

perdono giudiziale, messa alla prova… e tutto il resto.

di Benedetta Bertolini

Sono molti gli esiti possibili di un processo penale minorile

previsti dalla legge.

L’assoluzione

Il procedimento può innanzitutto concludersi con una sentenza

liberatoria per l’imputato; può cioè essere emessa una sentenza di

proscioglimento (artt. 529 ss. c.p.p.), che si differenzia a seconda

che si tratti di una sentenza di non doversi procedere (per tutti i

casi in cui l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita,

dunque per ragioni tendenzialmente di natura processuale), oppure

una sentenza di assoluzione (quando il fatto non sussiste,

l’imputato non lo ha commesso, non costituisce reato o non è

previsto dalla legge come reato, è stato commesso da persona non

imputabile o non punibile per altra ragione, quando manca, è

insufficiente o contraddittoria la prova della colpevolezza e

quando è presente una causa di giustificazione tra quelle normate

dalla legge).

Una sentenza dall’intento educativo

Se al contrario viene riconosciuta la penale responsabilità

dell’imputato, diversi sono gli esiti con cui può concludersi il

procedimento minorile. Essi traducono in concreto l’intento

educativo e l’attenzione a una personalità ancora in formazione,

tentando con diverse alternative di instradare il minore sulla via

della legalità, in modo costruttivo e quanto meno invasivo

possibile. Ciò non significa che il procedimento non possa

concludersi con una condanna alla pena detentiva. Si tratta però

dell’ultima soluzione a cui il giudice debba addivenire, dovendo

privilegiare qualsiasi altro esito fintanto che sia praticabile e utile

per il minore (regola del carcere come extrema ratio).

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Alcune delle modalità di definizione del procedimento sono

specificamente previste per il solo processo a carico di imputati

minorenni. Si tratta in particolare del perdono giudiziale, della

sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e della

sospensione del processo con messa alla prova (seppure di questi

ultimi due sono stati creati recentissimamente, nel 2014, istituti

analoghi anche per il rito ordinario). La sospensione del

procedimento con messa alla prova, che prima di portare a un

epilogo del processo ne devia il corso su di un binario parallelo, è

oggetto di analisi in un diverso contributo del presente libretto, e

ad esso si rimanda per un approfondimento.

L’irrilevanza del fatto

La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (art.

27 D.P.R. 448/88) viene emessa per minori che abbiano

commesso occasionalmente un reato, la cui offensività viene

ritenuta minima. I giudici arrivano a questa conclusione valutando

anche la generale regolarità del percorso di vita dell’imputato,

rispetto alla quale il reato rappresenta una momentanea

deviazione.

Presenti questi elementi - occasionalità e tenuità del fatto -

l’ordinamento ritiene che la persecuzione penale del reato, che

pure è stato commesso, possa creare nel percorso educativo del

minore più danni che benefici. Il giudice può allora emettere una

sentenza di non luogo a procedere, conclusiva del processo, per

irrilevanza del fatto, sentenza che peraltro può richiedere anche il

Pubblico Ministero in fase di indagini preliminari.

Il perdono giudiziale

Il perdono giudiziale costituisce un’altra delle conclusioni

possibili del procedimento penale minorile e tenta di comunicare

all’imputato, riconosciuto responsabile del fatto di cui è accusato,

un avvertimento di tipo educativo, senza che ad esso segua una

sanzione.

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In particolare, con il perdono giudiziale (art. 169 c.p.), lo Stato,

nella persona del giudice, dà uno stop al ragazzo o alla ragazza

coinvolti: il reato è accaduto, l’imputato ne è responsabile, ma si

tratta di un episodio isolato e non troppo grave e, conosciuta la

personalità del ragazzo, si ha la convinzione che non ci saranno

fatti simili in futuro.

Il perdono giudiziale può essere concesso all’imputato minorenne

solo per reati non troppo gravi (quelli per i quali il codice penale

prevede pena non superiore, nel massimo, ai due anni di

detenzione) e non può essere concesso più di una volta.

La condanna

Se infine l’imputato viene riconosciuto responsabile degli addebiti

che gli sono mossi, e non è possibile adire a una delle conclusioni

anticipate meno afflittive perché il reato commesso è grave o

perché espressivo non tanto di una “ragazzata” quanto di un

percorso di vita sistematicamente deviante, viene pronunciata

sentenza di condanna ad una pena.

Le pene principali previste dal nostro codice sono costituite dalle

sanzioni monetarie e della detenzione in carcere. Quest’ultima

viene eseguita presso gli istituti penali minorili, strutture

specificamente preposte all’accoglienza di detenuti minorenni o di

giovani adulti fino ai 25 anni che hanno commesso il reato da

minori. La Corte costituzionale ha peraltro escluso per i minori

l’applicabilità dell’ergastolo.

In alternativa alla pena principale può essere applicata dal giudice

una pena sostitutiva, la semidetenzione o la libertà controllata,

forme attenuate della restrizione della libertà personale, possibili a

determinate condizioni (art. 30 D.P.R. 448/88).

La sospensione della pena

Infine, la pena comminata non necessariamente viene eseguita: in

alcuni casi, qualora si tratti di una condanna a pena non superiore

ai due anni, il giudice può sospenderla. Si tratta di una

sospensione condizionale, condizionata cioè all’astensione dalla

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commissione di ulteriori reati per un determinato lasso di tempo.

Se durante quel periodo, invece, il condannato commette un

nuovo reato, la pena sospesa rivive nella sua interezza e si andrà a

sommare con quella comminata per il nuovo reato.

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9. In particolare, la messa alla prova

di Elena Buccoliero

Mettere alla prova qualcuno è sfidarlo. Saggiare la sua resistenza,

le sue capacità. Vedere fin dove arriva. E quando si processa un

adolescente che ha commesso al reato, che cosa vuol dire?

Che cos’è la messa alla prova

Mettere alla prova un minorenne autore di reato significa

sospendere il procedimento penale per un periodo, stabilito in

udienza e comunque non superiore ai 3 anni, affinché possa

prendere parte ad un progetto che lui stesso ha contribuito a

disegnare7. Se lo porterà a termine positivamente, dimostrando nei

fatti di avere capito l’errore commesso e di essere su una strada

diversa, il reato sarà estinto per esito positivo della messa alla

prova8.

L’estinzione del reato è di più dell’assoluzione. Vuol dire che è

come se quel reato non fosse mai stato commesso e non comparirà

mai sul certificato penale.

Per questo la messa alla prova è davvero una grande opportunità,

ma è anche una strada impegnativa e occorre veramente darsi da

fare.

A quali reati può essere applicata?

La risposta è semplice: tutti.

7 Così inizia l’art. 28 c. 1 del DPR 448/88: “Il giudice, sentite le parti,

può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene

di dover valutare la personalità del minorenne (…)”. 8 All’art. 29 c. 1 del DPR 448/88 leggiamo che, “Decorso il periodo di

sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con

sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento del

minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova

abbia dato esito positivo”.

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Un imputato può essere messo alla prova per qualsiasi tipo di

reato, anche il più efferato. Anche l’omicidio, se lui la richiede e il

Tribunale reputa possibile concederla.

Le decisioni vengono prese caso per caso e mai alla leggera,

tenendo conto dei fatti, del progetto delineato, delle condizioni

personali e familiari del ragazzo, dei motivi per i quali è arrivato a

delinquere…

Ricordiamoci sempre che l’obiettivo del processo penale minorile

è rieducativo. Ci sono minori per i quali tutto ciò che è accaduto

nella loro vita sembra essere stato scritto apposta per portali a

infrangere la legge. In casi del genere, più che il carcere serve un

intervento forte improntato alla rieducazione.

In quali casi si concede una messa alla prova

Si è discusso molto su quali siano i presupposti per mettere alla

prova un adolescente e tuttora nella giustizia penale minorile non

esiste un solo orientamento.

Di sicuro occorre avere accertato la sussistenza del reato e la

responsabilità penale dell’imputato che, in caso contrario, ha il

diritto di essere assolto, e non sottoposto ad una prova. Perciò

parliamo davvero di una misura penale, non semplicemente di un

percorso educativo o di assistenza, sebbene queste componenti

possano essere molto presenti all’interno del progetto.

Nell’esperienza di chi scrive, alla base della messa alla prova c’è

anche un’ammissione almeno parziale da parte dell’imputato. Il

già citato Alfredo Carlo Moro non la riteneva indispensabile solo

in condizioni molto particolari, quali i reati commessi in concorso

con familiari nell’alveo della criminalità organizzata. In quei casi

parlare può costituire un tradimento non sostenibile e l’assunzione

di responsabilità diventa un obiettivo della messa alla prova

piuttosto che un punto di partenza. Negli altri casi riteneva

trattarsi di un requisito essenziale.

Il ragazzo chiede di essere messo alla prova proprio perché sa di

avere sbagliato e vuole dimostrare di poter essere diverso. Per far

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questo è disponibile ad intraprendere un percorso di cambiamento

– oltre al fatto che, spesso, ne ha bisogno.

Di che cosa è fatta una messa alla prova

Il progetto si articola in azioni che orientano la crescita del minore

e lo sostengono. La Legge penale minorile parla di “osservazione,

trattamento e sostegno”9, ovvero: vogliamo capire chi sei,

stimolarti a cambiare e darti una mano nel farlo.

Generalmente i progetti prevedono: l’avvio o il proseguimento

dell’impegno scolastico e/o lavorativo; la riparazione del danno

alla società attraverso un’attività di volontariato; un percorso

individuale di consapevolezza degli errori commessi attraverso

colloqui psicologici o con educatori/assistenti sociali e, ove

possibile, la mediazione penale con la persona offesa.

Se il reato è connesso a problematiche particolari, ad es. di

dipendenza, viene richiesto al minore di seguire un programma di

emancipazione dalle droghe presso il Servizio per le

Tossicodipendenze.

A casa, in comunità

Dove si svolge la messa alla prova? Dipende.

L’importante è che il ragazzo sia inserito in un contesto capace di

sostenerlo nel percorso, di rinforzarlo nel portare a termine gli

impegni e di controllarlo perché non commetta ulteriori reati.

Tocca ai giudici valutare se il suo ambiente di vita – generalmente

la famiglia – sia in grado di fare questo oppure no. Quando i

genitori paiono solidi, disponibili, non compromessi con la

giustizia, insomma sufficientemente adeguati il ragazzo rimane a

9 2. Art. 28, c. 2, DPR 448/88: “Con l'ordinanza di sospensione il

giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della

giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali,

delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il

medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a

riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del

minorenne con la persona offesa dal reato”.

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casa, diversamente viene inserito in una comunità educativa o – se

necessario – terapeutica.

Anche le messe alla prova in comunità prevedono generalmente

dei rientri periodici in famiglia.

Alla prova non c’è solo l’imputato

L’autore di reato è il vero protagonista della messa alla prova ma

non è solo nel suo percorso.

I genitori possono svolgere un ruolo fondamentale, nel bene e nel

male. Difatti gli operatori sociali che sostengono i ragazzi

lavorano anche insieme alla famiglia, perché il progetto vada a

buon fine e perché il ragazzo, stando a casa o quando vi tornerà,

non si ritrovi nella stessa difficile situazione nella quale ha

commesso il reato.

E poi, ormai è chiaro, intorno alla MAP di un minore si muovono

tante persone e ognuna deve fare la propria parte: avvocati,

assistenti sociali, educatori, psicologi, giudici, medici, insegnanti,

datori di lavoro… devono, insieme, tessere la rete, farsi rete essi

stessi per permettere al ragazzo di non cadere.

Pericolo di crollo

A volte il progetto s’inceppa: l’imputato non mantiene gl’impegni,

non si presenta a scuola o sul lavoro, non si dà da fare nel

volontariato. A volte non sta alle regole, scappa dalla comunità,

commette nuovi reati, continua ad usare sostanze…

Non dimentichiamoci che abbiamo a che fare con degli

adolescenti, e quasi sempre con ragazzi che fino a quel momento

hanno conosciuto un vissuto familiare o scolastico accidentato.

Spesso hanno una bassa autostima, o si identificano solo in un

modello deviante. Possono essere arrabbiati o feriti, possono avere

subito violenze o essere rimasti soli troppo presto. Non è facile

diventare improvvisamente puntuali, costanti e affidabili. L’idea

di non farcela può risultare persino affascinante, una liberazione

dallo sforzo non soltanto di accettare la fatica, ma di sperimentarsi

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come persona diversa da quella che si è sempre pensato di essere,

o che tutti si aspettano lui sia.

Quando il progetto registra mancanze significative, o in presenza

di fughe o nuovi reati, il servizio sociale informa l’Autorità

Giudiziaria che gradua i suoi interventi.

Nei casi più lievi c’è solo bisogno di un’udienza con un giudice

delegato dal Tribunale che incontra separatamente gli operatori, il

ragazzo e se possibile i familiari per fare il punto della situazione

e dare nuova linfa al progetto. Si fa leva sulla motivazione,

sull’autostima, sul rinforzo degli aspetti positivi che, pure, ci sono.

È anche possibile modificare il progetto, ad esempio portando in

comunità il ragazzo che era rimasto in famiglia o viceversa,

iniziando con il SerT, cambiando attività di volontariato…

Nei casi gravi, e se il Pubblico Ministero lo richiede, il Tribunale

fissa un’udienza di verifica dove se ne discute in aula – giudici,

imputato, difensore, PM, servizio sociale – per decidere se

mantenere la messa alla prova o revocarla.

Una revoca implica la ripresa del processo penale che era stato

sospeso: si completa l’istruttoria e si va a sentenza. Poiché

l’imputato ha ammesso, anche solo parzialmente, la sua

responsabilità, è improbabile che ci sia un’assoluzione mentre tutti

gli altri esiti processuali sono in gioco.

Quando si può dire che il progetto è andato bene?

Ci sono almeno due modi per valutare una messa alla prova.

Il primo è verificare gli adempimenti: il ragazzo è andato a scuola

regolarmente?, ha fatto volontariato?, si è presentato agli incontri

con il servizio sociale?

Il secondo è chiedersi se insieme a tutto questo è cresciuta nel

giovane la consapevolezza del reato e la capacità di fare scelte

diverse.

La verifica degli adempimenti è oggettiva, facilissima. Come un

test a crocette. Se abbiamo messo crocette dappertutto è difficile

dire che sia andata male e il Tribunale pronuncia l’assoluzione per

esito positivo della messa alla prova. Ma se non c’è stato quel

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passo in più, interiore, di maturità personale e il ragazzo ha retto il

gioco in modo del tutto strumentale, tanto per ripulirsi la fedina

penale, le prospettive non sono rosee e il rischio di recidiva è più

alto.

Intendiamoci, fa parte della libertà individuale fare sul serio

oppure no, e nessuno può imporre un cambiamento profondo a chi

non lo sente vero dentro di sé. L’impegno di chi è a fianco a

questo adolescenti è però quello di provocarlo, con gli strumenti,

legittimi, che fanno parte del gioco. Colloqui, esperienze di

volontariato mirate e connesse al reato per cui si procede, una

mediazione penale ben fatta e tutte le occasioni di cittadinanza

attiva sono stimoli che vanno in questa direzione.

Infine…

Qualche volta i giudici riconoscono che la giustizia penale

minorile, se è meno afflittiva di quella degli adulti, in compenso

chiede di più.

Forse è vero. Ma ha a che fare con cittadini in crescita e condivide

la responsabilità di aprire delle strade nelle quali quegli

adolescenti costruiranno la loro vita.

È una responsabilità che gli adulti esercitano sempre, nei fatti,

anche quando non lo sanno. Tanto vale, allora, assumerla e

giocarla in modo consapevole.

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10. La mediazione penale

di Benedetta Bertolini

L’esperienza del reato è un’esperienza sempre traumatica. Ciò è

vero per chi lo subisce, ma anche per chi lo commette. Fare

esperienza del male, agito o vissuto sulla propria pelle, genera un

grido di sofferenza, più o meno visibile, apre una serie di

domande (perché proprio a me, forse è stata colpa mia, cosa ha

pensato quella persona in quel momento, perché l’ha fatto, cosa

sarebbe successo se solo…), crea conseguenze emotive,

psicologiche e materiali che richiedono di essere ascoltate, prima

ancora che risolte.

A molte di tali questioni la risposta classica della giustizia formale

non fornisce alcuno spazio, essendo il processo penale incentrato

esclusivamente sull’accertamento dei fatti. Che la persona offesa

abbia da quel giorno paura a uscire di casa è questione che non

interessa. Che il reo voglia in qualche modo scusarsi con la

persona offesa è rilevante ai soli fini di una attenuazione delle

responsabilità, o poco più. La giustizia classica non si occupa, non

è questo il suo compito, di come stanno le persone dopo un reato.

A molte domande poi, spesso angosciose, a molte paure, a molte

questioni irrisolte che seguono i fatti – cosa succede se ci

incontriamo di nuovo, cosa è successo veramente, che cosa gli ho

fatto, perché mi guardava in quel modo, come posso far capire che

mi dispiace, mi crederà se glielo dico – non vi è nessuno che

possa dare risposta. Nessuno tranne, forse, quella persona. Quella

persona che a seguito del male subìto e compiuto non è neanche

più tale: è solo carnefice da un lato, causa di guai giudiziari

dall’altro, volto senza nome, deumanizzato e identificato

esclusivamente nel suo ruolo di reo o vittima.

Si è sperimentato che né il processo né la pena forniscono risposte

esaurienti a questo tipo di esigenze, né restituiscono un volto

umano alle persone coinvolte in un reato, che rimangono così

incastrate, ferme a quel fotogramma della loro storia, inchiodate a

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quel ruolo. E la vita non va avanti, né la domanda di giustizia è

soddisfatta. La mediazione penale è allora uno strumento, nella

cornice più ampia della cosiddetta giustizia riparativa, la cui

implementazione è auspicata fortemente dalle Nazioni Unite e

dalle istituzioni europee, che tenta di dare risposta a tali necessità,

tentando di riparare il riparabile.

Nella giustizia italiana la mediazione penale è ancora poco

sperimentata ma trova uno spazio più ampio nell’ambito minorile

dove, in tutti i momenti del procedimento e in particolare nella

messa alla prova, è costante l’attenzione ad offrire all’imputato

occasioni di maturazione e consapevolezza rispetto al danno

causato. E, se il volontariato a favore di persone particolarmente

fragili (anziani, disabili, bambini…) o di beni collettivi (es.

l’ambiente) costituisce una forma di restituzione alla collettività

cui, con infrangendo la legge, si è sottratto qualcosa, l’incontro

con la propria vittima permette di prendere contatto con le

conseguenze della violenza esercitata. Il presupposto è che proprio

riconoscendo dentro di sé la sofferenza della propria vittima

l’autore di un reato possa comprendere le reali conseguenze delle

proprie azioni, commesse magari per gioco, e impostare il proprio

futuro in modo diverso.

L’incontro, però, non dovrebbe e non vuole essere ad esclusivo

vantaggio dell’imputato e non può svolgersi senza l’adesione

libera e volontaria di reo e vittima. Quello spazio è una occasione

anche per la persona offesa che, peraltro, nell’ambito minorile è

spesso a propria volta molto giovane.

La mediazione offre a chi intenda usufruirne uno spazio protetto,

confidenziale, libero dal giudizio, gratuito, in cui sia possibile un

momento di ascolto e di parola, prima individuale poi,

eventualmente, nel dialogo fra le persone coinvolte nel reato.

Chi ha subìto può narrare la propria esperienza ai mediatori e, se

vi consente, anche al proprio malfattore. Può esprimere la propria

sofferenza, spiegarla a chi l’ha causata, forse liberarsene nel

vederla da lui compresa, ovvero presa con sé.

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Il reo, a sua volta, può esporre ai mediatori in uno spazio a lui

riservato i fatti avvenuti, la loro origine, le proprie riflessioni e il

proprio vissuto emotivo. Solo da un ascolto sincero, empatico,

attento, può nascere nel reo il desiderio di comprendere ciò che ha

commesso, di riconoscere il dolore della vittima, di riparare il

male causato. Se manca un’accoglienza della persona libera dal

giudizio e dalla minaccia dell’ulteriore male della pena,

condizione che si sperimenta invece nei tribunali, cambiare

sguardo e riconoscere il proprio errore è impossibile.

Ciascuno a modo proprio, ma entrambi, vittima e reo, chiedono di

essere guardati come persone, di essere riconosciuti nella propria

dignità e nella propria umanità, da chi è esterno al reato, ma anche

da chi ha incontrato nel reato. Tale riconoscimento reciproco è ciò

cui punta la mediazione penale e può dirsi riuscita non se si

conclude con solenni dichiarazioni di perdono, bensì quando

opera una trasformazione nel modo di guardare ciò che è

successo, permette una riappropriazione e ridefinizione delle

regole violate, fa nascere un autentico desiderio di riparazione.

Dal momento che tornare indietro, a prima del reato, non è

possibile, la mediazione vuole essere uno strumento che aiuti a

vivere meglio possibile il dopo, nella convinzione che solo la

dimensione dialogica, relazionale, di confronto, possa restituire

alle parti qualcosa di quello che il reato ha loro tolto.

La struttura e le regole della mediazione sono molto semplici ma

essenziali. Essa si sostanzia in un percorso, interamente libero e

volontario in ogni suo momento, che inizia dal primo contatto con

il centro di mediazione, per via telefonica o talvolta epistolare. Ad

esso seguono, sempre che le persone contattate lo vogliano, i

colloqui preliminari, momento di ascolto e di parola individuale,

oltre che di informazione sul senso e sul funzionamento della

mediazione. In questa fase i mediatori valutano anche la fattibilità

dell’incontro vero e proprio fra reo e vittima, assolvendo al loro

ruolo di garanzia nei confronti della parte più debole, e raccolgono

l’eventuale consenso alla prosecuzione del percorso.

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L’incontro faccia a faccia avviene alla presenza di due o tre

mediatori esperti. Essi hanno in primo luogo, anche in questa

sede, un ruolo di garanzia, vegliando sulla correttezza degli

scambi e sull’equilibrio del dialogo. Compito principale dei

mediatori è poi quello di facilitare la comunicazione fra le parti,

senza tuttavia interferire in alcun modo sui suoi contenuti: i

mediatori non indicano cioè il percorso da fare, non forniscono

soluzioni, né danno interpretazioni della vicenda; aiutano

piuttosto, rispettando i confini che le persone pongono nella

propria narrazione, l’emergere del racconto e delle emozioni ad

esso correlate, in questo modo aprendo nuovi spazi di parola e di

confronto.

Con l’aiuto dei mediatori, i partecipanti possono passare

dall’iniziale consentire all’incontro a un progressivo “sentire

con” nell’incontro. Far emergere le proprie emozioni, la propria

narrazione e visione del fatto, sentirsi ascoltati e accolti, in un

primo momento dai mediatori, e progressivamente anche dal

proprio “nemico”, apre gli spazi necessari a comprendere anche

ciò che l’altro sente, le sue di emozioni, la sua narrazione, fino a

riconoscere la legittimità del suo grido di sofferenza e il suo diritto

di esistere. Dunque riconoscere e sentirsi riconosciuti, in questo

sta la prima funzione della mediazione.

Mediare significa però anche ridefinire le regole di un rapporto:

attraverso un accordo di riparazione, gli impegni sul

comportamento da tenere in futuro, una rilettura comune di quanto

accaduto, che si proietta su quanto non deve accadere più. In

questo senso la mediazione ha una funzione riparativa del reato.

La mediazione ha infine un impatto sulla comunità, sulla società

nel suo complesso. La costruzione di regole di condotta condivise,

nate dall’incontro fra due soggettività che accettano di mostrarsi

all’altro in modo autentico, costituisce infatti la più solida forma

di costruzione o ri-costruzione di quel patto sociale di cui la

norma penale costituisce l’espressione istituzionale, oggetto in

questa sede di riappropriazione da parte dei singoli cittadini a

beneficio della collettività. Scegliere di aderire al contenuto di una

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norma avendone compreso la portata e avendo conosciuto, sulla

propria pelle o sulla pelle di chi si è incontrato, le conseguenze

della sua violazione, permette al cittadino di scegliere

volontariamente, aderire interiormente, e non per imposizione

esterna, all’osservazione di quella regola, con garanzie di tenuta

ben maggiori.

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11. La comunità educativa per minori come luogo di apertura

di cammini fiduciari

di Giordano Barioni

Il patto educativo e la co-progettazione

Prima ancora di entrare in comunità insieme all’assistente sociale

si mettono per iscritto i punti fondamentali del progetto che

riguarda il ragazzo. Il progetto Quadro delinea la cornice

all’interno della quale ci si muoverà in attesa del processo. Nel

caso in cui il processo sia già stato celebrato le decisioni dei

giudici fanno da sfondo al pensiero progettuale. In genere si

spiega al ragazzo perché viene in comunità (perché proprio in

questa), a fare cosa e con che obiettivi. Un primo abbozzo di

quello che poi dovrà diventare il suo Progetto Educativo

Individualizzato.

Punto di partenza

Si prova a far capire da subito che l’ingresso in comunità coincide

con l’inizio della preparazione dell’uscita. Pur sapendo che tutte le

prime comunicazioni sono destinate a cadere nel vuoto si

comincia a condividere le regole del vivere insieme, quelle che la

comunità ha deciso di darsi, distinguendole bene da quelle che

invece vengono da fuori che sono le regole imposte dalla

situazione giudiziaria che il ragazzo sta vivendo. Delle prime

volendo si può anche ragionare, le seconde vanno invece seguite;

non solo da parte del ragazzo ma anche da parte degli educatori.

Questo fatto che le regole sono imposte anche agli educatori

spesso confligge con l’idea di adulto di cui i ragazzi sono

portatori. Ovvero di un adulto che “fa quello che vuole” e non di

una persona inserita in un sistema organico. Entrano in comunità

perché hanno storie difficili dove praticamente sempre gli adulti ,

ben che vada, fanno figure meschine. Quando non sono addirittura

protagonisti attivi in senso negativo. Da qui deriva una radicale e

radicata mancanza di fiducia nell’adulto. La prima affermazione, a

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volte implicita a volte esplicita, che gli educatori fanno: noi non

siamo così, noi siamo adulti “buoni”; suona alle orecchie dei

ragazzi come la solita tiritera. Sembra di veder passare sul display

della fronte la scritta tanto anche questi sono come tutti gli altri.

Insomma ogni cosa che si dice è tutta da dimostrare.

Il suono della regolarità del giorno che si fa ritmo interiore

La prima azione riguarda l’organizzazione della giornata: stabilire

(ristabilire) il ritmo e la scansione. Ci si alza, si fa colazione, si va

scuola, si torna, si pranza, si fanno i compiti, si fa sport, ci si

diverte, si cena, si gioca o si guarda la televisione, si va letto e si

dorme e soprattutto si parla. Non è facile tenere il ritmo giusto e

costa fatica, una fatica che va sempre spiegata, narrata. Un

ragazzo rimase sorpreso quando tornando da scuola trovò il suo

pranzo pronto. Qualcuno lo aveva preparato per lui. Era stato

pensato, accudito, accolto.

Lo sviluppo delle passioni

Il contesto “punitivo” in cui il ragazzo viene non deve frenare lo

sviluppo positivo delle passioni. Calcio, musica, scacchi,

paracadutismo, boxe … le passioni vanno cercate, evidenziate e

favorite. Ci deve essere anche uno sviluppo delle gratificazioni

personali che non provenga solamente dallo stare correttamente

alle regole imposte. Occorre che il ragazzo senta qualcosa di

proprio del quale lui è protagonista positivo assoluto. Far

riconoscere la presenza di una parte “buona” di sé. Favorirne la

crescita anche in maniera “sporca”, non pienamente lineare E’ un

buon momento per fare eccezioni alle regole, stando sempre

attenti a non pedagogizzare per non togliere la bellezza spontanea.

Inizia la messa alla prova

La prima messa alla prova che inizia è quella dei ragazzi verso

l’equipe educativa e verso ogni singolo educatore. Bisogna quindi

essere attentissimi a tenere una perfetta corrispondenza tra parole

ed azioni. Ogni regola deve essere spiegata minuziosamente.

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Prima di dare la benché minima sanzione bisogna essere certi che

la regola sia stata compresa e che la conseguenza (punizione?) sia

ragionata e ben commisurata. Gli scontri ci sono comunque ed

uno degli attacchi più diretti davanti alla discussione è il grido: chi

sei tu per me? Tu non sei niente!

Nella continua mediazione che si attua per non rompere la

relazione va posta una estrema attenzione al fatto che ogni

eccezione rischia di trasformarsi in nuova regola se non viene

chiaramente motivata in quanto eccezione. La rottura della

relazione equivale al fallimento educativo, per cui anche nel

conflitto e nel dare punizioni bisogna far si che non sia mai del

tutto interrotta. La compresenza di situazioni legali differenziate

fa porre in atto la massima (altrimenti dimenticata) di Don Milani

“fare parti eguali tra diseguali è una ingiustizia”, essa però è

praticamente incomprensibile ai ragazzi. Loro guardano con

occhio micrometrico che le fette siano identiche: che sia una torta,

il costo di una maglietta o il tempo dedicato dall’educatore. Non

sopportano le differenze. Forse ne hanno già subite troppe.

La certezza degli adulti disponibili

C’è sempre un adulto presente con cui parlare che deve essere

disponibile a spiegare il perché delle scelte, a raccogliere uno

scatto d’ira senza cadere nella trappola della simmetria. Davanti ai

problemi disposto a riprendere il senso del progetto. Un adulto

capace di essere solidale e di relazionarsi in maniera empatica.

Che abbia la pazienza di mettere al centro il ragazzo e cercare

assieme a lui il luogo in cui sfogare la rabbia. Che sappia restituire

le emozioni in forma di narrazione consapevole per dare ai ragazzi

le parole che loro non possiedono.

Il cammino dell’educatore: il ragazzo non si muove, andiamo noi

da lui

Bisogna tenere presente che dobbiamo recuperare gli errori che

altri adulti hanno fatto, oltre che naturalmente i nostri, per cui

occorrono identità solide capaci di ammettere l’errore e di tornare

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sui propri passi senza sentirsi sminuiti, senza perdere la loro

adultità. Se non riusciamo a vedere e accogliere le giuste ragioni

che i ragazzi hanno per non fidarsi non riusciremo ad andare nella

loro terra. Un’azione veramente empatica chiede di saltare

veramente dall’altra parte: se noi accogliamo la storia del ragazzo

potremo condurlo sul cammino della rivisitazione consapevole e

critica, in un tentativo di pacificazione. Sul piano delle relazioni

sono gli educatori che devono mantenere l’iniziativa, sono loro

che grazie alle loro competenze, alla loro esperienza, al lavoro di

equipe e di riflessione personale possono e devono portare

elementi di cambiamento nelle situazioni di stallo relazionale, per

condurre i ragazzi fuori dalle buche in cui si vanno testardamente

a cacciare. Spesso i ragazzi applicano testardamente la stessa

risposta ad un problema incapaci di leggerne l’inefficacia. E’

l’educatore che con pazienza può suggerire nuove strategie, nuovi

significati, nuove motivazioni che il ragazzo possa fare proprie

giungendo così ad un uso proficuo. Educare significa anche

ascoltare e narrare, ogni tanto lasciarsi ferire.

Ribaltare i pregiudizi e linguaggi

Pregiudizio positivo – ciascuno è problema e risorsa, occorre

cercare.

Pregiudizio pedagogico – un cammino educativo è possibile,

occorre dare tempo e pazienza

Pregiudizio fiduciario – onestà degli investimenti relazionali,

stare nella propria verità per accedere alla verità dell’altro

Il ragazzo deve sentire non solo enunciati questi atteggiamenti,

bisogna trovare i tempi giusti, gli spazi fisici, le complicità

positive e propositive. L’educatore in servizio deve tenere sempre

in tensione l’apparato ricettivo, pronto a cogliere i segnali. Ma

bisogna anche stare attenti a non pedagogizzare le relazioni e le

azioni. I ragazzi fanno anche naturalmente cose giuste, quando lo

fanno lasciamoli stare. Non si deve entrare subito su tutto, ho visto

spesso l’intervento pedagogico spegnere sul nascere gli slanci. I

ragazzi sono e devono essere liberi di crescere, attenzione che se

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sentono violata la loro libertà non si fanno più trovare. Per poter

dialogare bisogna anche migrare da un linguaggio tecnico verso

un linguaggio capace di rinnovarsi e di condividere parole nuove,

molto spesso occorre imparare ad usare solo le poche parole che

sono a disposizione dei ragazzi.

Una possibilità comunicativa da usare con attenzione ma che può

aiutare molto è il linguaggio del corpo. Senza pensare al contatto

fisico che va gestito con particolarissima attenzione bisogna

mettere in campo tutta la gamma di espressioni che il volto e i toni

di voce consentono. Alcune recenti esperienze di contatto

interculturale confermano la grandissima forze del non verbale.

Avere fiducia, non avere paura

La trasmissione relazionale educativa passa attraverso alcuni

elementi che la comunità deve conoscere e, per quanto possibile,

mettere in pratica affinché l’accoglienza del ragazzo possa

svilupparsi in un itinerario di reciproco riconoscimento. Più

l’equipe si dimostra capace di stare nella relazione più le sue

richieste nei confronti del ragazzo acquistano valore e possono

essere ascoltate. Lentamente le ondate emotive potranno essere

contenute e riorganizzate in maniera socialmente accettabile. La

rabbia non va negata, negare il problema significa non risolverlo

mai, avere il coraggio di vederlo apre cammini di risposta e di

consapevolezza. In questo senso il lavoro educativo prepara il

ragazzo a lavorare sulla sua storia e quindi costruisce i presupposti

per un rapporto terapeutico. Ancora di più così sia aiuta a

sviluppare il rapporto con le regole, con la legge. Con gli errori e

con l’assunzione di responsabilità che significa farsi carico delle

conseguenze. Ci vuole forza per subire la punizione, diventa

insopportabile subirla nella solitudine. L’educatore è un adulto

che sa esserci, si assume la responsabilità, conosce la strada e

orienta al bene.

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12. Le responsabilità della scuola

di Andrea Celeghini

La scuola ha l’arduo compito di contribuire a formare i cittadini di

domani.

La responsabilità e la partecipazione civile si costruiscono

primariamente attraverso la formazione di docenti in grado di

essere modello di serietà, competenza, democraticità, trasparenza,

dialogo e coerenza. È lo stile educativo, più che le conoscenze

specifiche, la base su cui si fonda la trasmissione di una

cittadinanza democratica.

Il rispetto della legge non può che passare attraverso la

comprensione e l’acquisizione dei valori insiti nella norma stessa.

Il valore di partenza è l’aspetto fondamentale di con-vivenza che

appartiene all’esistenza umana, lo stare con-gli-altri, infatti, ci

definisce e diventa misura del nostro vivere, del nostro stare bene,

del nostro autoregolarci e autonormarci.

A scuola ci si sperimenta con gli altri

Nella scuola si vivono quotidianamente gli aspetti più significati

dell’esistenza umana:

- l’esperienza necessaria di fidarsi negli altri;

- l’esercizio quotidiano dei propri diritti;

- la faticosa e costruttiva convivenza nella diversità di stili e

abitudini personali;

- il saper accettare le differenze sociali, culturali, religiose e

linguistiche;

- l’operosa pratica del senso del dovere, con un impegno

misurato non solo rispetto al banco di scuola ma di fronte alle

grandi sfide del mondo;

- la passione per il sempre nuovo e la creatività che si fa ricerca;

- l’acquisizione progressiva di una propria opinione critica;

- la scoperta del concetto di rispetto reciproco e di libertà di

pensiero, di bene comune e di pace sociale.

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Il ruolo dell’insegnante

I docenti, attraverso l’attenta e minuziosa attività didattica,

dovranno puntare verso un’applicazione effettiva dei diritti umani,

verso un sapere che si fa concreto, vitale, che diventa

atteggiamento spontaneo che costruisce relazioni e si insinua nel

tessuto sociale.

La didattica inclusiva, di cui tanto si parla, deve sicuramente

contribuire a migliorare la vita delle persone all’interno della

comunità scolastica ma anche uscire dalle mura della scuola per

trasformare le relazione tra le persone da utili-per-me a

costruttive-per-gli-altri. Processo che richiede necessariamente il

coinvolgimento dei genitori e di tutte le persone che giocano un

ruolo educativo nella vita dell’alunno.

L’orizzonte di riferimento è quello di una scuola partecipata

all’interno della quale si dà grande valore al confronto e

all’ascolto dell’altro, nella quale si riesce a dare spazio al senso di

collettività, senza perdere di vista il contributo delle specifiche

identità di ciascuno. Una scuola intesa come comunità di vita e di

dialogo in grado di orientare e di proporre un modello di società

nella quale le differenze non vengano mai percepite come

ostacoli, ma restino perennemente risorsa e occasione di crescita.

Gli alunni e la legalità

I ragazzi sono interessati e rispondono con grande partecipazione

a tutte le iniziative che propongono tematiche collegate alla

legalità.

I risultati migliori si ottengono quando le attività fanno parte di un

progetto comune e vedono coinvolti in qualche misura tutti i

docenti del consiglio di classe. Sovente vengono svolti progetti di

approfondimento storico-letterario che permettono ad alunni e

docenti di indagare meglio la nostra storia recente e le

implicazioni legislative che hanno influenzato quell’epoca o

quegli avvenimenti.

Utili anche gli incontri con personaggi che operano o hanno

operato nel campo della giustizia, in grado di raccontare e

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testimoniare momenti difficili del nostro paese o di rileggere

criticamente fatti e avvenimenti significativi del quotidiano.

Si sono dimostrati di grande valore le attività che hanno goduto di

una certa continuità e che sono riuscite a coinvolgere per un certo

numero di anni tutti gli alunni di una determinata fascia di età,

come per esempio la consegna della Costituzione agli alunni

maggiorenni, o “Il protocollo contro il bullismo e per la

prevenzione delle dipendenze” che vede impegnate da molti anni

tutte le istituzioni che operano sul territorio per la sicurezza e la

legalità.

Efficace anche far vivere agli studenti situazioni reali di pratica

della giustizia, come la simulazione del processo minorile.

Altri progetti che continuano ad avere un forte ascendente sui

ragazzi risultano essere il MEP (Model European Parliament:

progetto di simulazione del parlamento europeo) e la

partecipazione alle iniziative di “Libera, Associazioni, nomi e

numeri contro le mafie”.

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13. Alla Legalità si educa nelle cose di ogni giorno di Giovanna Cascino e Donato La Muscatella

«La legalità non si identifica con le singole norme cui pure rinvia,

ma è un sistema strutturato che esprime una cultura: quella del

primato del governo delle regole, rispetto al governo degli

uomini. È un metodo, un approccio alla realtà che – proprio in

quanto metodo e strumento – non è (non può essere) indifferente

ai valori»

Livio Pepino10

«Un’educazione alla legalità che non sia, prima di tutto,

un’educazione alla responsabilità, difficilmente saprà infondere

in un giovane l’amore per l’impegno e il desiderio di conoscenza,

desiderio di iscrivere la propria vita dentro un cammino di

giustizia e di libertà collettive»

Don Luigi Ciotti

Il processo penale si incentra sull’accertamento della violazione di

una norma e costituisce – o dovrebbe costituire – un caso

eccezionale: eccezionale perché non tutte le violazioni delle

regole integrano reati e perché non tutti i reati vengono scoperti.

La scelta tra conformarsi ad un precetto o violarlo, però, è

tutt’altro che straordinaria.

Tutti noi, ogni giorno, siamo chiamati a scegliere il modo in cui

comportarci, le regole che intendiamo seguire e quelle che

preferiamo ignorare.

Questi due profili, peraltro, hanno un chiaro rapporto: da un lato,

perché quasi mai la prima violazione di una regola si sostanzia

nella commissione di un reato; dall’altro, perché il contesto

10

PEPINO L., A quale legalità educare? Analisi di un concetto

troppo spesso in conflitto con le idee di giustizia, Animazione Sociale,

279, 2014, p. 19.

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sociale nel quale i reati si verificano può contribuire ad alimentare

l’illegalità o, invece, a contrastarne la proliferazione.

E le mafie hanno già dimostrato più volte – si pensi a Don Pino

Puglisi o a Don Peppe Diana – di comprendere questo legame –

forse meglio di noi – e di temerlo.

L’antimafia non può essere, infatti, solo una dimensione militare,

ma un cambiamento culturale che parte, anche sulla base

dell’esempio di chi si è sacrificato in questa battaglia, dalle

giovani generazioni.

È proprio per questa ragione che, da sempre, Libera è convinta

che la fase di repressione dell’illegalità – e, a maggior ragione,

della criminalità organizzata – debba essere accompagnata (e

preceduta) da una seria e permanente azione di promozione della

consapevolezza individuale e, conseguentemente, della

responsabilità condivisa, premesse indispensabili dell’essere

cittadini.

Cittadini non in quanto semplici abitanti di una Nazione, ma come

componenti attivi dello Stato, in grado di interpretare la

quotidianità con senso critico, esercitando così responsabilmente

la propria libertà.

La simulazione di un processo penale minorile, dunque, non deve

diventare, per gli studenti, l’occasione per sminuire le proprie

responsabilità nel confronto con quelle dell’imputato, ma

un’opportunità per interrogarsi sui propri comportamenti che, al di

là del fatto che non siano reati (casi eccezionali, appunto),

producono conseguenze per la società che abitiamo.

Si tratta di un percorso complesso, dove nulla può essere dato per

scontato, ma che, proprio perché relativo all’ordinario, di certo va

costruito con la costanza dei comportamenti e la sinergia di tutti

gli attori che ne fanno parte.

In questo senso, non può bastare la testimonianza qualificata, che

deve essere preceduta, sostenuta e seguita dagli interventi di tutto

il sistema formativo (familiare e scolastico), traducendosi

altrimenti in un mero adempimento ministeriale, pesante per i

docenti e noioso per i ragazzi.

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A questo proposito, fermo restando il (doveroso) rispetto per gli

argomenti da trattare, va detto che è sempre presente il pericolo di

affrontare questi temi in modo allarmistico, pur in perfetta buona

fede, basando il richiamo all’attenzione sulla paura e

sull’impotenza.

Impotenza che spesso implica, come diretta conseguenza,

l’indifferenza (se non sono in grado di far nulla per cambiare le

cose, perché impegnarmi?).

Indifferenza che va disinnescata con un’interazione efficace con i

ragazzi, che ne metta a frutto la creatività e, perché no, con la

giusta dose di ironia: si pensi alla narrazione filmica di Cosa

Nostra resa nel recente “La mafia uccide solo d’estate” da Pif, che

dimostra come la leggerezza non sia nemica dell’impegno.

Ed allora, quali obiettivi deve perseguire un’azione come quella

che abbiamo descritto prima?

In estrema sintesi, un percorso di approfondimento di questa

natura dovrà comprendere:

1. l’individuazione del significato più forte della legge, ancorato

ai valori costituzionali ed all’aspirazione di giustizia; legge che è

un mezzo e non un fine, in quanto il fine è la giustizia sociale;

2. la promozione della consapevolezza di sé, dell’autodisciplina

e della responsabilità, come premessa necessaria alla socialità e

all’esercizio della cittadinanza attiva;

3. l’apprendimento di una nozione profonda dei diritti e dei

doveri e della cultura dei valori civili: democrazia, fiducia verso le

istituzioni, rispetto verso l’altro, accettazione della diversità;

4. l’esercizio del pensiero critico per resistere alle pressioni del

gruppo, per denunciare e combattere le prevaricazioni e la cultura

dell’omertà;

5. la capacità di tradurre la memoria di chi si è speso contro

l’ingiustizia in impegno quotidiano;

6. l’approfondimento di temi specifici, evitando il rischio di

ampliare troppo il campo di riflessione e sperimentando

concretamente forme di cittadinanza attiva.

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Solo così si potrà porre in relazione con la vita concreta di

ciascuno studente la dinamica regola/sanzione insita nel processo

penale, rapportandola alla quotidianità dei ragazzi.

Promuovere la Legalità democratica, infatti, significa sceglierla

tutti i giorni nelle piccole cose e non ricordarla solo nelle

commemorazioni collettive.

I giovani hanno da offrire molto di più di quanto si creda e,

opportunamente stimolati, sapranno cogliere questo tipo di

sollecitazioni.

Lo dimostra – e non c’è conclusione migliore per noi – Fabrizio

D’Agata, che, al termine di un percorso portato avanti con la sua

classe, scrive:

«Ritengo che le giovani generazioni abbiano ereditato il

patrimonio di indignazione nato con la conoscenza delle stragi

del ’92. Anche chi allora non era ancora nato si sente

portatore di questa cultura e deve nutrirsi degli insegnamenti

di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, imparando ad

essere cittadini responsabili e liberi. Spetta dunque alla scuola

ed alle istituzioni il dovere di trasmettere i loro ideali, il loro

vissuto e di farli conoscere alle nuove generazioni affinché si

crei una “staffetta comportamentale” con i più giovani, un

passaggio di consegne di quei valori in grado di generare una

nuova cultura» 11

.

11

D’Agata F., Temi III B Istituto Tecnico per Geometri “Ferraris” di

Acireale in Fontana M.P., Come a scuola educare alla legalità,

Animazione Sociale, Settembre-Ottobre, 2015, p. 89.

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Glossario: i personaggi del processo e alcune parole chiave,

in rigoroso ordine alfabetico

Assistente sociale

Rappresenta l'Ufficio del Servizio Sociale Ministeriale (USSM)

che assiste i minori accusati di avere commesso reato, prima e

dopo l’udienza in tribunale, e li sostiene in un percorso educativo.

In aula è seduto accanto all’imputato.

Avvocato difensore

È l’avvocato che assiste l’imputato, prima durante e dopo

l’udienza in tribunale. Può essere scelto dall’imputato o dalla

famiglia (avvocato di fiducia) o assegnato (d’ufficio).

Durante l’udienza, dopo che tutte le parti sono state ascoltate e

prima della decisione, interviene dopo la requisitoria del PM

pronunciando una arringa difensiva nella quale riassume il punto

di vista dell’imputato sui fatti e pone richieste al collegio

giudicante. Nel processo penale minorile può anche chiedere che

il processo venga sospeso per concessione della messa alla prova.

L’avvocato difensore non può non esserci. La nostra Costituzione

stabilisce il diritto ad essere difesi.

Camera di consiglio

La camera di consiglio è contemporaneamente il luogo e il

momento in cui i quattro giudici che svolgono il processo si

consultano e decidono. Ove ci siano differenze di opinione, i

giudici, diretti dal Presidente voteranno. In caso di parità (il voto

del Presidente è espresso per ultimo ma non pesa più degli altri)

prevale la soluzione più favorevole all’imputato. La camera di

consiglio è segreta ma nella simulazione della Tavernetta è

visibile a tutti per consentire la più ampia partecipazione.

Cancelliere

Una specie di notaio del giudice che cura il verbale d'udienza

perché resti traccia scritta di quanto accaduto.

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Collegio giudicante / Giudici

Nel processo penale minorile è previsto un Collegio composto da

quattro giudici: un giudice togato che svolge la funzione di

Presidente, un altro giudice togato che siede al suo fianco e

pertanto detto a latere, che (più giovane di carriera ma non

necessariamente d’età) siede alla destra del Presidente, un giudice

onorario di genere femminile ed un altro giudice di genere

maschile. Questi ultimi siedono uno alla destra e uno alla sinistra

dei due togati.

I giudici, fino al momento del processo, nulla sanno di quanto è

avvenuto nelle indagini e, - molto importante -, possono giudicare

solo sulla base di quanto in aula è prodotto (cioè solo quello che è

effettivamente valido ed esibito in aula).

Esame e controesame

I testimoni introdotti dall’accusa vengono interrogati per primo

dal PM (esame) e poi dall’avvocato difensore (controesame).

Viceversa, i testimoni richiesti dalla difesa saranno interrogati per

primo dall’avvocato difensore (esame) e poi dal PM

(controesame).

L’interrogatorio di testimoni o imputati minorenni viene condotto

dal Presidente del Collegio, che può essere coadiuvato dagli altri

giudici. Il Presidente può affidare l’interrogatorio al PM o al

difensore se ritiene che questo non turberà l’equilibrio del minore.

Imputato

È la persona processata con l’accusa di avere infranto la legge.

Può essere una sola persona, come nel caso di Giuseppe Spadaro,

o più di una, come nel copione “La tavernetta”. In quel caso si

dice che il reato è stato commesso “in concorso”.

Per i reati commessi tra i 14 e i 17 anni si viene processati dal

Tribunale per i Minorenni e trattati come minori, anche qualora

l’udienza si svolgesse dopo che il ragazzo (o la ragazza) ha già

compiuto 18 anni. Se il fatto accaduto chiama in causa la

responsabilità di più persone, alcune minorenni e altre no, ci

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saranno processi distinti, per le prime presso il Tribunale per i

Minorenni e per le altre presso il Tribunale Ordinario.

Messa Alla Prova (MAP)

La messa alla prova è la sospensione del processo per un periodo

determinato nel quale l’imputato seguirà un percorso che, se

svolto positivamente, porterà a una sentenza di non luogo a

procedere in quanto il reato è estinto per esito positivo della MAP.

L’estinzione del reato è di più dell’assoluzione: è come se il reato

non ci fosse mai stato.

La MAP può avere una durata fino ad un anno e per i reati più

gravi fino a tre anni. Consente al ragazzo di far emergere la parte

migliore di sé in un percorso di serio impegno (nella scuola, in

attività lavorative, nel volontariato, nella riconciliazione con la

persona offesa, nell’elaborazione di eventuali disagi attraverso un

sostegno psicologico, ecc.) che favorisca una reale evoluzione

della sua personalità in senso positivo.

Processo penale minorile

Oltre allo scopo di accertare la verità dei fatti accaduti, il processo

ha il compito di valutare la situazione personale, familiare e

ambientale del minore e riattivare i percorsi educativi interrotti dai

comportamenti devianti e delinquenziali agiti dallo stesso.

La ragazza o il ragazzo che delinque deve, ove possibile, poter

uscire, in tempi brevi, dal circuito giudiziario e intraprendere

attività di studio, formazione o lavorativa consone alle proprie

capacità e attitudini, quindi, allontanarsi dai contesti che ne hanno

favorito i comportamenti delinquenziali. Dunque: un processo non

nato principalmente per punire ma per rieducare.

Pubblico Ministero (PM)

Il PM è un magistrato incaricato di svolgere le indagini per

accertare se un reato denunciato è effettivamente accaduto e per

risalire a chi lo ha commesso. Quando ritiene di avere raccolto

prove sufficienti, le presenta al Tribunale affinché si svolga il

processo, nel quale il PM riveste il ruolo della pubblica accusa.

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Nel processo, dopo che tutte le prove sono state esaminate e i

testimoni ascoltati, il PM pronuncia una requisitoria nella quale

riassume dal proprio punto di vista ciò che è accaduto e quali

responsabilità devono essere attribuite all’imputato, e pone delle

richieste al Collegio giudicante.

Nel processo penale minorile può anche chiedere che il processo

venga sospeso per concessione della messa alla prova.

Sentenza

Il processo simulato ripreso nel video si ferma alla sospensione

del processo e non mostra la sentenza che deve comunque esserci,

ed è la decisione assunta dal Collegio al termine del processo. Nel

caso del giovane Giuseppe Spadaro, quindi, al termine del periodo

di MAP le parti ritorneranno in aula per valutare l’esito del

percorso. Su questa base il Collegio prenderà la decisione finale.

La sentenza è costituita da due parti: motivazione e dispositivo. Il

dispositivo (assoluzione, condanna, ecc.) viene letto subito, la

motivazione può essere depositata successivamente entro un

tempo stabilito.

Sospensione condizionale della pena.

Si tratta di una delle cause di estinzione del reato. L’ordinamento,

tentando di evitare un eccessivo ricorso alla carcerazione dei

condannati, ha previsto un istituto dissuasivo della reiterazione dei

reati. Il beneficio funziona così: il minore condannato a pena

detentiva non superiore a 3 anni (ma si tiene conto anche della

pena pecuniaria con un ragguaglio che prevede 250 euro = 1

giorno) può evitare l’esecuzione della pena se il giudice può

presumere che si asterrà dal commettere ulteriori reati. Ove, in

effetti, egli non subisca ulteriori condanne nei 5 anni successivi

alla sentenza, il reato si estingue. In caso contrario si eseguono

entrambe le condanne.

Testimoni e impegno a dire la verità

I testimoni sono persone che, in quanto informate su fatti rilevanti

per il processo, hanno l'obbligo di presentarsi e di rispondere alle

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domande dopo avere recitato una formula che una volta prevedeva

anche il giuramento ed oggi, più laicamente, prevede un impegno.

La persona chiamata a testimoniare inizia così la fase in cui

assume la funzione di Pubblico Ufficiale con tutti i doveri ed i

diritti che questa funzione comporta. Se i cittadini non

collaborassero con la Giustizia, prestando la propria testimonianza

e, pertanto, restando omertosi, difficilmente si potrebbe arrivare

alla ricostruzione dei fatti e quindi ad una sentenza corretta. E, in

ogni caso, la falsa testimonianza è un reato grave e pronunciare il

falso dinanzi al giudice può trasformare il testimone in un

accusato.

Udienza protetta e incidente probatorio

In alcune circostanze è opportuno che l’esame di un testimone (o,

più spesso, della vittima) non si svolga in udienza, di fronte alle

parti, ma in modo riservato.

Questo non accade nel processo simulato ma lo si ritrova, ad es.,

nel copione “La tavernetta” elaborato dal TM di Catanzaro dove i

reati per cui si procede riguardano la sfera sessuale della vittima,

una ragazza di nome Gaia.

Nell’incidente probatorio il Collegio delega un solo giudice che,

ove opportuno, sarà assistito da uno psicologo al fine di consentire

alla ragazza vittima del reato una più serena deposizione.

La deposizione avviene in uno spazio chiuso e protetto, arredato

in modo da apparire quasi un luogo familiare. Il difensore, il PM e

l’assistente sociale rimangono in disparte e in silenzio, in una

stanza attigua dietro un vetro a specchio unidirezionale, ovvero

preferibilmente collegati in video in una stanza vicina. Di norma,

dopo una prima fase, il giudice delegato all’esame e lo psicologo

raggiungono gli altri nella stanza accanto, raccolgono eventuali

domande aggiuntive, tornano dalla persona offesa e pongono le

ultime domande.

Nella maggior parte dei processi, per la verità, questa deposizione

sarà già stata raccolta in una data precedente il dibattimento con la

tecnica dell'incidente probatorio attraverso una registrazione

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audiovisiva cui fare riferimento. La deposizione di Gaia avviene,

dunque, con modalità analoghe a un incidente probatorio: sono

state soprattutto le esigenze di copione a spingerci a raccogliere la

testimonianza in dibattimento.

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Gli autori

Giordano Barioni - pedagogista e formatore, attualmente

responsabile dell’Area Accoglienza Sociale e Migranti della Città

del Ragazzo - Istituto don Calabria di Ferrara, per molti anni è

stato il coordinatore della comunità educativa della Città del

Ragazzo, che accoglie anche minori provenienti dal circuito

penale. Collabora con la Fondazione Paideia di Torino per

l’implementazione dell’Affiancamento Familiare.

Benedetta Bertolini – laureata in Giurisprudenza, sta concludendo

il dottorato di ricerca in Diritto processuale penale all’Università

degli Studi di Ferrara con tesi sulle alternative al processo penale,

ha svolto un tirocinio presso il Tribunale per i Minorenni di

Bologna e un corso di formazione per mediatori penali e sociali e

operatori di giustizia riparativa presso l’associazione O.n.l.u.s.

Spondè.

Elena Buccoliero – sociologa e counsellor, è referente dell’Ufficio

Diritti dei Minori del Comune di Ferrara e giudice onorario presso

il Tribunale per i Minorenni di Bologna. È inoltre direttrice della

Fondazione emiliano-romagnola per le vittime dei reati.

Giovanna Cascino – è responsabile del Settore Formazione del

Coordinamento di Ferrara di Libera Associazioni, nomi e numeri

contro le mafie.

Roberto Casella – avvocato, è membro della Camera Minorile di

Ferrara e co-responsabile del settore penale dell’Unione Nazionale

Camere Minorili.

Andrea Celeghini – insegnante presso il Liceo Scientifico “A.

Roiti” di Ferrara, referente per i progetti di educazione alla

legalità.

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Valentina Dei Cas – educatrice presso il Servizio Sociale Minori

di ASP Ferrara, tra i suoi compiti ha anche la collaborazione con

l’Autorità Giudiziaria per quanto riguarda i minorenni ferraresi

autori di reato.

Donato La Muscatella – avvocato, è referente per il

Coordinamento di Ferrara di Libera Associazioni, nomi e numeri

contro le mafie.

Alberto Urro – educatore professionale e counsellor, coordinatore

per AUSL Ferrara delle attività di Promeco, referente “Essere

Genitori” servizio di counseling di Promeco.

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II parte

Per continuare nella scuola

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86

GLI ATTI DEL PROCESSO AL D.J. SPADA I materiali della simulazione

Premessa

In un percorso di educazione alla legalità basato sul video può

essere utile avere a disposizione gli atti su cui si è basata la

simulazione, e ciò sia per avere un riscontro su documenti molto

simili a quelli realmente presenti nei processi penali e incontrare il

linguaggio giuridico, sia per svolgere riflessioni sui testi o

proporre altri tipi di attività.

A questo scopo riportiamo il capo d’imputazione, ovvero

l’enunciazione sintetica reati che costituiscono l’accusa del

Pubblico Ministero contro il giovane imputato, completato – come

non avverrebbe nella realtà, ma in modo funzionale dapprima allo

sviluppo della simulazione e ora, in seconda battuta, alla sua

comprensione – dalla descrizione dei fatti secondo la ricostruzione

operata dal PM.

Segue quindi una relazione sulla personalità e il contesto socio

familiare dell’imputato, redatta tenendo a mente le relazioni che

davvero l’USSM (il Servizio Sociale del Ministero della

Giustizia) predispone per l’udienza e prendendosi qualche licenza

giocosa, con il pensiero agli amici operatori/attori che a Ferrara

avrebbero interpretato i diversi ruoli.

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N. 3665/14 R.G. notizie di reato/Mod.21

N. Reg.int.P.M.

Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna

RICHIESTA DEL PUBBLICO MINISTERO

DI GIUDIZIO IMMEDIATO

E RELAZIONE SUI FATTI

E SULLE INDAGINI PRELIMINARI

- art. 453 c.p.p. -

Al Giudice per le indagini preliminari

presso il Tribunale per i Minorenni

di Bologna

Il Pubblico Ministero dott. Flavio Lazzarini, Sost. Procuratore

della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna,

Visti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, iscritto

nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. in data 7.7.2014 nei confronti

di:

SPADARO Giuseppe, nato a Copparo (FE) il 13.11.1997, res.te a

Ferrara Corso della Giovecca n° 180;

domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia, presso lo

studio in Ferrara Corso Isonzo n° 33;

Difeso di Fiducia dall’Avv. Roberto Casella del Foro di Ferrara;

Esercenti la potestà: SPADARO Alberto, nato a Ferrara (FE) il

13.04.1967, res.te a Ferrara Corso della Giovecca n° 180, padre

convivente; SOLMI Francesca, nata a Ferrara il 21.01.1965, res.te

a Ferrara via Boccacanale S.to Stefano 25;

FAC-SIMILE

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A) per il delitto p. e p. dagli artt. 81 2°co. c.p. - 73 1°co. bis –

80 1°co. lett. a) D.P.R. 309/90; perchè, con una pluralità di

condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso,

illecitamente deteneva e cedeva a terzi a terzi, in assenza

dell’autorizzazione di cui all’art. 17, sostanza stupefacente del

tipo “ecstasy” MDMA, precisamente deteneva, al fine di farne

cessione, un quantitativo della predetta sostanza stupefacente pari

a complessivi grammi 5,648 - contenenti grammi 1,289 di

principio attivo MDMA idonei a realizzare n° 33 dosi medie

singole-, quantitativo suddiviso in n° 17 pasticche che portava

seco all’interno della discoteca “Phobia” di Ferrara, nella quale

svolgeva le mansioni di DJ; parte del predetto quantitativo di

sostanza stupefacente, precisamente n° 3 pasticche, veniva ceduto

a Cuoghi Francesca, minorenne, che a seguito della loro

assunzione riportava le lesioni specificamente indicate nel capo

sub B); fattispecie aggravata per essere stata la cessione di

sostanza stupefacente destinata a persona minorenne.

Fatto commesso in data 6.7.2014 in Ferrara loc. Ferrara.

B) per il delitto p. e p. dagli artt. – 586 – 583 1°co. n° 1 c.p.; perché, dopo la condotta delittuosa aggravata del delitto di cui al

capo A), quale conseguenza della cessione a Cuoghi Francesca di

n° 3 pasticche di ecstasy, contenenti la sostanza stupefacente

MDMA, cagionava alla predetta minore, che le assumeva

all’interno della discoteca “Phobia” di Ferrara, nell’arco

temporale di un’ora e con contestuale ingestione di abbandonati

quantità di bevande alcoliche, conseguenze lesive specificamente

consistite “segni di tachicardia, difficoltà a respirare, che

evolvevano in perdita di coscienza, fino all’instaurarsi di stato di

coma; con quadro stazionario dei parametri vitali e con

respirazione autonoma”, con prognosi che permane, allo stato,

riservata; Fatto commesso in data 6.7.2014 in Ferrara.

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Persone offese:

CUOGHI Francesca, nata a Ferrara il 14.8.1997, res.te a

Ferrara (FE) in via Ercole degli Uberti 21;

Elementi che dimostrano l’evidenza della prova:

Comunicazione di notizia di reato della Questura di Ferrara datata

7.7.2014;

Verbale di perquisizione e di sequestro di sostanza stupefacente a

carico di Spadaro Giuseppe (personale, del veicolo e

dell’abitazione);

Verbale di arresto in flagranza di reato a carico di Spadaro

Giuseppe;

Relazione di Servizio degli Uff.li di P.G. della Questura di

Ferrara;

Analisi chimico-tossicologica sulla sostanza stupefacente in

sequestro;

Certificazione medica relativa alle lesioni patite da Cuoghi

Francesca (Certificato del P.S. Ospedale S. Anna di Cona, Ferrara,

del 6.7.2014 e seguenti);

Sommarie informazione rese da Righetti Manola (amica della p.o.

anch’essa presente nel locale);

Sommarie informazioni rese da Vicini Alessia (amica della p.o.

anch’essa presente nel locale);

Dichiarazioni spontanee dell’indagato nell’immediatezza dei fatti;

Verbale di interrogatorio rese dall’indagato in sede di udienza di

convalida dell’arresto in flagranza di reato;

Visto l'art. 454 c.p.p.,

CHIEDE L'emissione del decreto di giudizio immediato nei confronti

dell’imputato e per il reato sopraindicato.

ALLEGA la lista dei testimoni di cui all'art. 468 c.p.p., con preghiera, in

caso di emissione del decreto che dispone il giudizio immediato,

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di deposito della stessa presso la competente cancelleria del

Tribunale entro il termine di legge.

MANDA alla Segreteria per gli adempimenti di competenza e in particolare

per la trasmissione, unitamente alla presente richiesta, del

fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa

alle indagini espletate e i verbali degli atti eventualmente compiuti

davanti al giudice per le indagini preliminari.

Bologna, lì 16.9.2014

IL SOST. PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

(dott. Flavio Lazzarini )

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Illustrazione degli elementi di prova

Il 6.7.2014 alle ore 4.20 la centrale operativa della Questura di

Ferrara inviava l’equipaggio composto dall’Isp. Sup. Alessandro

Chiarelli, dall’Isp. Maurizio Colonna e dall’Isp. Torchia

Sebastiano presso la discoteca “Phobia” di Ferrara, ove veniva

segnalato il malore, con perdita di coscenza, di una giovane

all’esterno del locale, da verosimile abuso di sostanze

stupefacenti. Contestualmente veniva contattato il 118 con invio

sul posto di automedica.

All’arrivo degli operanti presso la discoteca “Phobia” era

presente, all’esterno del locale, subito in corrispondenza di

un’uscita di sicurezza sul retro, una giovane adagiata a terra, in

posizione supina, ed erano in corso le manovre rianimatorie da

parte del personale del 118. La giovane, che appariva priva di

coscienza, veniva trasportata presso il policlinico di Ferrara.

Sul posto venivano identificati alcuni giovani e personale in

servizio presso il locale. Erano presenti Righetti Manola e Vicini

Alessia, che riferivano di essere amiche della giovane appena

trasportata all’ospedale, la quale, sulla base delle loro

dichiarazioni, veniva identificata in CUOGHI Francesca, nata a

Ferrara il 14.8.1997, res.te a Ferrara (FE) in via Ercole degli

Uberti 21.

Le due giovani, nell’immediatezza dell’intervento e sul posto,

riferivano agli operanti di avere raggiunto il locale unitamente

all’amica alle ore 00.30 circa, con l’auto condotta da Righetti

Manola. All’ingresso del locale si erano poi separate, le prime due

rimanendo insieme per l’intera serata, mentre Francesca aveva

raggiunto il proprio fidanzato che era il DJ della discoteca, che

entrambe conoscevano solo con il nome di Giuseppe, oppure “DJ

Spada”. Avevano peraltro avuto modo di rivedersi di tanto in tanto

nel corso della serata, notando l’amica, sempre meno lucida, bere

bevande alcoliche alle quali aggiungeva, a loro giudizio, anche

pasticche di ecstasy. Entrambe le giovani precisavano che quanto

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avevano appena riferito era una loro deduzione che scaturiva non

solo dallo stato psico-fisico dell’amica, sempre più assente,

stordita ed incurante del loro ripetuto invito a lasciare il locale per

fare ritorno a casa, sia perché già prima dell’arrivo al locale aveva

confidato che era sua intenzione assumere ecstasy insieme al

fidanzato Giuseppe, esperienza che riferiva avere già vissuto due

settimane prima, sempre presso questa discoteca.

Il sopraindicato “Giuseppe” veniva identificato in SPADARO

Giuseppe, nato a Copparo (FE) il 13.11.1997, res.te a Ferrara

Corso della Giovecca n° 2.

L’attenzione dei poliziotti, mentre erano intenti nell’ascolto delle

giovani sopraindicate, nonché nell’identificazione del personale in

servizio presso il locale, coaudiavati dai componenti di una

seconda volante della quale avevano sollecitato la presenza,

veniva attratta dall’atteggiamento particolarmente agitato di un

giovane che faceva più volte la spola tra un veicolo minicar

parcheggiato nei pressi e l’uscita di sicurezza del locale, non

rivolgendo mai lo sguardo in direzione degli operanti e avviandosi

con brusca accelerazione all’uscita del parcheggio. Intimatogli

l’alt ed invitato a scendere dal veicolo per poterlo identificare,

indugiava all’interno senza aprire la portiera e senza dare alcun

cenno di adesione. Una volta che gli operanti aprivano la portiera

scendeva e, invitato a declinare le proprie generalità, dichiarava di

chiamarsi Spadaro Giuseppe, nato a Copparo (FE) il 13.11.1997,

res.te a Ferrara Corso della Giovecca n° 2. Riferiva

spontaneamente di essere il DJ e che era sua intenzione

abbandonare il locale poiché aveva appena terminato la sua

prestazione lavorativa presso il locale, attività che svolge ogni

venerdì e sabato.

Il predetto non faceva spontaneamente alcun riferimento

all’episodio del malore della giovane e neppure ad un suo

rapporto di conoscenza con la medesima.

Sulla base delle prime informazioni che gli agenti avevano

raccolto dalle giovani sopraindicate in relazione al legame

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sentimentale tra il DJ e la giovane appena trasportata all’ospedale

in stato di incoscienza, ma anche dell’atteggiamento agitato,

evasivo e visibilmente preoccupato dello Spadaro, si dava corso,

sul posto, alla perquisizione personale del predetto e a quello del

veicolo minicar in suo possesso.

La perquisizione personale non rivelava alcunché di utile e di

rilevante rispetto ai fatti, se non il possesso di due apparati

cellulari – un Apple I-phone 5 e un Samsung Galaxi 4 S -,

meritevoli di maggiore approfondimento investigativo, poiché il

telefono Samsung consentiva la visualizzazione di un messaggio

“Whatsapp” del seguente tenore: “non calare più, ci vediamo

dopo nel parcheggio”, messaggio che risultava inviato a certa

“Franci” alle ore 3.56 del 6.7.2014. Nel portafoglio aveva una

somma in denaro contante pari ad euro 280,00.

Nella perquisizione dell’abitacolo dell’automobile, proprio sotto il

sedile di guida, si rinveniva un involucro in cellophane contenente

n° 17 pasticche di colore bianco.

L’esame speditivo narcotest con l’apparato in dotazione

all’equipaggio dava immediata reazione positiva alla MDMA

(sostanza stupefacente notoriamente conosciuta come ecstasy). La

sostanza stupefacente in oggetto veniva sottoposta a sequestro

poiché trattasi di corpo del reato relativo al delitto per il quale si

procede. Venivano sottoposti a sequestro anche i due telefoni

cellulari e la somma di denaro contante, poiché tutti i predetti beni

venivano ritenuti pertinenti al delitto per il quale si procede.

Al rinvenimento dell’involucro contenente le pasticche lo Spadaro

ne ammetteva il possesso, affermando trattarsi di ecstasy.

Gli veniva espressamente chiesto di spiegare il significato del

messaggio “Whatsapp” sopra riportato e di riferire a quale persona

lo avesse inviato, anche in considerazione dell’evidente

riferimento, con il termine “calare”, all’espressione tipicamente

utilizzata per indicare l’assunzione delle pasticche di ecstasy e/o

sostanze stupefacenti similari.

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Il minore, a questo punto, spontaneamente dichiarava che la

giovane appena trasportata all’ospedale, Cuoghi Francesca, era la

propria ragazza da circa 8 mesi, che nel corso della serata, la

ragazza, ripetutamente e con insistenza, gli aveva chiesto delle

pasticche di ecstasy, e che lui aveva fornito alla ragazza, in tre

momenti diversi altrettante pasticche, che la ragazza aveva

ingerito in sua presenza. Ricordava di avere visto Francesca

“esagerare anche con gli alcolici”, precisamente ricordava di

averle visto bere “un cocktail di ruhm e coca cola, poi un altro”,

che indicava con il nome di “Paradise”. Affermava che si era

trattato della prima cessione di sostanza stupefacente alla ragazza,

essendosi limitati in altre precedenti occasioni a fumare insieme

cannabis. Sulla provenienza della sostanza stupefacente in suo

possesso, il minore dava indicazioni particolarmente generiche ed

evasive che non consentivano un immediato sviluppo delle

indagini. Venivano estese le perquisizioni anche al suo domicilio

in Ferrara, ove abita presso il padre e la compagna del padre,

entrambi presenti all’atto, con esito peraltro negativo.

Personale della Questura di Ferrara si recava poi all’Arcispedale

S. Anna in Cona di Ferrara ove, nel frattempo, la minore Cuoghi

Francesca era stata presa in cura dapprima al pronto soccorso, con

prima diagnosi di “stato di coma, per verosimile overdose relativa

di sostanze stupefacenti MDMA in azione sinergica con

ingestione di rilevanti quantitativi di sostanze alcoliche”. La

minore veniva immediatamente ricoverata nel reparto di

rianimazione; i medici si riservavano la prognosi.

Sulla base di questi elementi, Spadaro Giuseppe veniva tratto in

arresto in flagranza per il delitto di detenzione e spaccio di

sostanze stupefacenti aggravato per avere destinato la sostanza

stupefacente anche a persona di minore età (artt. 73 1°co. bis – 80

1°co. lett. a) D.P.R. 309/90), nonché per il delitto di lesioni

gravissime a seguito di altro delitto doloso (artt. 586 – 583 1°co.

n° 1 c.p.).

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Venivano avvisati entrambi i genitori del minore arrestato,

entrambi esercenti la potestà genitoriale sullo stesso.

Veniva nominato un difendore di fiducia nella persona dell’Avv.

Roberto Casella del foro di Ferrara, con studio in Corso Isonzo n°

33.

Il P.M. presso la Procura per i Minorenni di Bologna, in data

8.7.2014, richiedeva al Gip presso il Tribunale per i Minorenni di

Bologna la convalida dell’arresto in flagranza di reato, avanzando

anche richiesta di applicazione della misura cautelare della

permanenza in casa ai sensi dell’art. 21 D.P.R. 448/88.

In data 9.7.2014 veniva tenuta l’udienza di convalida dell’arresto

in flagranza di reato. Nel corso della stessa, il Giudice

sottoponeva ad interrogatorio il minore.

In questa sede, con specifico riguardo ai capi d’imputazione per i

quali era stato arrestato, il minore, avuta lettura del verbale di

arresto redatto dalla Questura di Ferrara, provato e visibilmente

addolorato, dopo essersi dichiarato profondamente dispiaciuto di

quanto accaduto presso il locale la notte di sabato, riconosceva

senza esitazione che tutto ciò che era stato riportato nel verbale

corrispondeva a verità. Ammetteva altresì di avere acquistato a

Ferrara il pomeriggio precedente un quantitativo di ecstasy

corrispondente a circa 30 pasticche, parte delle quali consumava

personalmente nel corso della serata, in numero di almeno due,

altre tre venivano cedute ad un giovane del quale non conosceva il

nome, presente all’interno del locale, e tre erano le pasticche

cedute alla propria ragazza Francesca Cuoghi. Ribadiva più volte

che la cessione ad entrambi era avvenuta gratuitamente, senza

ricevere in cambio alcunché.

Il minore dichiarava che quella era la prima occasione nella quale

aveva ceduto ecstasy alla ragazza, che non aveva mai visto né

altrimenti saputo essere assuntrice della sostanza stupefacente

ecstasy. Riconosceva di essersi reso conto che Francesca quella

serata aveva fatto anche consumo di bevande alcoliche, ma che

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mai avrebbe pensato che potesse spingersi ad esagerare e che si

potesse giungere a tali drammatiche conseguenze.

Il minore proseguiva raccontando il proprio avvicinamento e

rapporto con le sostanze stupefacenti, le complesse relazioni

familiari con i genitori separati, le difficoltà e gli insuccessi

sperimentati negli ultimi anni in sede scolastica. Chiudeva l’atto

con una chiara manifestazione di volontà di chiedere e ricevere

aiuto e sostegno per la definitiva uscita dal rapporto con le

sostanze stupefacenti per il recupero di un percorso di vita

completamente diverso per recuperare tutte le proprie risorse

personali.

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U.S.S.M. di Bologna Relazione per l’udienza del 7 ottobre 2014

Imputato Giuseppe Spadaro (n. Copparo il 13.11.1997)

Situazione familiare

I genitori di Giuseppe sono separati dal 2002, quando il ragazzo

aveva 5 anni, ed entrambi hanno un nuovo partner. Il rapporto tra i

due continua ad essere fortemente conflittuale, come si è

evidenziato anche in occasione del reato e come di seguito si dirà.

La situazione familiare è agiata. Il padre Alberto, 47 anni,

ingegnere elettronico, lavora in una multinazionale che spesso lo

impegna fuori dall’Italia. Si è risposato nel 2003 con una

antropologa, docente universitaria, e dalla nuova unione ha avuto

un figlio, Jacopo, che ha attualmente 3 anni.

La madre Francesca Solmi, 49 anni, ha lavorato come insegnante

di scuola primaria per lasciare l’insegnamento nel 2010 e partire

per l’India, dove per un anno ha vissuto in una comunità

abbracciando l’alimentazione vegana e la pratica quotidiana della

meditazione. In quel contesto ha conosciuto l’attuale compagno,

Luigi Van der Grotten, di nazionalità italo-olandese. Rientrata con

lui in Italia, a Ferrara, conduce un bazar di abbigliamento e

gioielli etnici. Il compagno la affianca recandosi in India due volte

l’anno per acquistare nuovi prodotti ma in Italia sembra non

svolgere alcuna attività lavorativa e fare uso di cannabis anche tra

le mura domestiche. La coppia non ha figli.

Il ragazzo ha trascorso tutta l’infanzia (fino alla I media) a

Copparo con la mamma. Parlando di quegli anni la madre lamenta

il sostanziale disinteresse del padre, troppo preso dal lavoro per

ricordarsi di Giuseppe. Il papà, d’altro canto, attribuisce alla

madre la responsabilità di avergli tenuto lontano il ragazzo per

anni proponendo al piccolo Giuseppe esperienze cd. “alternative”,

e di averlo improvvisamente abbandonato quattro anni or sono.

FAC-SIMILE

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I genitori riportano che il ragazzo è intelligentissimo ma non si è

mai applicato allo studio, interessato piuttosto all’informatica e a

tutto ciò che è tecnologico, forse sulle orme del padre.

In I media Giuseppe ha riportato la prima bocciatura. Il ragazzo

racconta che nello stesso anno ha cominciato a fumare sigarette

piuttosto regolarmente e ha provato la prima “canna”, smentendo

così il padre che tende ad imputare l’uso di cannabis ad un

periodo successivo (frequentazione con il compagno della madre,

il signor Van der Grotten).

All’età di 12 anni Giuseppe ha cominciato ad essere sempre più

irrequieto: non studiava, non portava a scuola il materiale

scolastico, rispondeva male agli insegnanti. Non è mai stato

violento con i compagni, per i quali è sempre stato un “jolly”, una

sorta di animatore e di leader naturale.

Nel 2010 la madre ha deciso di partire per l’India e ha affidato il

ragazzo al padre il quale ha preso Giuseppe con sé incolpando,

sostanzialmente, la mamma di avere abbandonato il figlio e di non

aver mai saputo dargli la serenità e la fermezza necessarie.

Rientrata nel 2011 in Italia la mamma ha investito molto sul

nuovo rapporto affettivo e sull’avvio di un gruppo di meditazione,

“Il potere spirituale dell’anima”, mentre, sempre nel 2011, nel

nucleo paterno nasce il fratellino Jacopo. Per Giuseppe tutto

questo ha il significato di un duplice abbandono (“ognuno aveva

le sue cose a cui pensare”). Inoltre il rapporto con Laura, moglie

del padre, dopo un iniziale periodo di idillio, in seguito alla

nascita di Jacopo si è rivelato molto conflittuale, mentre il padre

proseguiva i suoi impegni di lavoro.

Nella famiglia paterna Giuseppe ha cominciato a riprodurre gli

stessi comportamenti che aveva sperimentato con la madre,

riuscendo a limitarsi, a quanto pare, solo in presenza del papà.

In questi ultimi anni Giuseppe ha alternato fughe improvvise da

un genitore all’altro, mostrando di non riuscire a riconoscere la

propria casa in nessuna delle sue dimore e non trovando un

equilibrio tra due modelli educativi e aspettative tanto

contrastanti. Sembra avere un rapporto sostanzialmente

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strumentale verso il genitore che di volta in volta lo ospita, a

seconda che abbia bisogno di soldi (dal padre) o di libertà (dalla

madre).

Il minore racconta di avere sperato a lungo che il papà e la

mamma si occupassero veramente di lui e di non aspettarsi più

niente da loro. Il suo rapporto più stretto è con gli amici. Il

ragazzo frequenta una scuola privata di recupero anni (“i miei si

aspettavano almeno un liceo”, commenta) lavora come p.r. e d.j.

per diversi locali a Ferrara (dove risiede il padre), e ha a Copparo

(dove ha vissuto con la madre fino al 2010) gli amici d’infanzia a

cui è tutt’ora molto legato. Nel suo racconto, la compagnia di

Ferrara è quella della passione per la musica e per la discoteca,

quella di Copparo è il luogo della trasgressione ma anche delle

confidenze più intime.

Del gruppo di Copparo fa parte anche Francesca, la ragazza di

Giuseppe, ancora in coma dopo l’evento per cui si procede. I

genitori di Francesca conoscono da anni i genitori del ragazzo e

anche in questa occasione mantengono un costante contatto con

loro. Sono molto delusi da Giuseppe, che consideravano quasi

parte della famiglia, e lo accusano di avere rovinato la loro

ragazza iniziandola al consumo di droghe e portandola poi ad

esagerare.

Rapporto con le droghe e atteggiamento del minore di fronte

al reato contestato

Giuseppe va in discoteca venerdì, sabato e domenica, sia per

divertirsi sia per lavorare, e ammette di usare abbastanza

regolarmente alcolici ed ecstasy durante le serate aggiungendo,

solo nelle occasioni importanti, cocaina o chetamina.

Dichiara di non assumere sostanze negli altri giorni della

settimana, se non la cannabis per rilassarsi (che però lui non

considera una “vera” droga). L’episodicità del consumo lo

rinforza nella convinzione di non avere mai sviluppato un

rapporto di dipendenza e di poter governare a suo piacimento le

sostanze.

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Per il papà e la mamma di Giuseppe il reato è stato la prima

occasione per sapere “ufficialmente” che il figlio fa uso di droghe,

cosa che entrambi dichiarano di non avere mai sospettato prima e

verso la quale hanno un atteggiamento contraddittorio: possibilista

sulla cannabis la madre, ma molto severa sulle droghe chimiche;

nettamente contrario all’uso di stupefacenti il padre, soprattutto

perché il figlio “non deve reggere prestazioni particolari”,

lasciando intendere da parte sua un utilizzo occasionale di cocaina

per sostenere i ritmi particolarmente intensi del suo lavoro.

Alla convocazione del Ser.T. per entrambi i genitori la madre non

si è presentata e ha cercato, senza successo, di avvicinare il figlio

allo yoga e alla meditazione, mentre il padre si è rifiutato di

presentarsi al servizio pubblico e si è rivolto privatamente ad uno

psichiatra molto noto, che Giuseppe non ha mai voluto incontrare.

Il ragazzo considera che le sostanze siano “un problema suo”, o

meglio “un suo modo di divertirsi”. Non riconosce il consumo

come problematico e non riesce a capire perché “offrire qualcosa”

alla sua ragazza debba essere considerato un reato. È però

estremamente dispiaciuto per le conseguenze patite da Francesca,

la sua “prima storia importante”.

La permanenza in casa, trascorsa presso l’abitazione del padre con

il permesso di uscire solo per recarsi a scuola, è stata molto dura

per lui perché gli ha imposto di interrompere il lavoro nei locali

notturni e di rinunciare, per un periodo significativo, ad esercitare

il suo “personaggio” nel rapporto con i coetanei. Al tempo stesso

è stata per lui un’esperienza nuova e positiva perché il padre ha

annullato un viaggio di lavoro per potergli stare vicino, cosa che, a

detta di Giuseppe, non era mai successa prima di allora. Il ragazzo

racconta di aver capito molte cose durante questo periodo di

misura cautelare, ad es. che la vita del d.j./p.r. lo gratifica molto

ma richiede un ritmo non compatibile con un lavoro regolare e

una famiglia, che lui vorrebbe un giorno costruire. Tutto questo,

insieme alla prospettiva della condanna, lo ha portato a prendere

in considerazione la possibilità di una messa alla prova.

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Progetto di messa alla prova

Dopo diversi colloqui con il ragazzo, separatamente e insieme ai

genitori, si è condivisa la possibilità di sottoporre al Tribunale un

progetto di messa alla prova che potrebbe essere così articolato:

- inserimento nella comunità educativa Città del Ragazzo,

che ha una collaborazione con il Ser.T. per un modulo

specifico rivolto ad adolescenti sperimentatori di sostanze;

- proseguimento del percorso scolastico presso la scuola di

recupero anni attualmente frequentata, con l’impegno di

presentarsi assiduamente e ottenere buoni risultati;

- durante il periodo estivo, svolgimento di una borsa lavoro

in accordo con il Comune di Ferrara (si sta individuando il

datore di lavoro più indicato);

- volontariato per due pomeriggi alla settimana,

indicativamente martedì e sabato dalle 15 alle 19, presso la

scuola di musica “Musi Jam”, con il compito di aprire il

sito web della scuola di musica e coadiuvare le funzioni di

segreteria (raccolta iscrizioni, sistemazione sale, cura degli

strumenti…), e con la possibilità di essere eventualmente

coinvolto nelle attività didattiche;

- controlli delle urine, anche a sorpresa, percorso

psicologico individuale e di gruppo presso il Ser.T.;

- incontri di verifica a cadenza periodica con questo

Servizio Sociale.

Con l’aiuto della comunità educativa, il Servizio Sociale si

impegnerà per il coinvolgimento della famiglia nel percorso di

messa alla prova.

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DIVENTARE PROTAGONISTI

Un copione teatrale per insegnanti e studenti

Presentazione

Sono state molteplici in Italia, negli ultimi anni, le messe in scena

di processi minorili promosse dall’Autorità Giudiziaria o

dall’avvocatura a scopo educativo e di prevenzione. Come

sappiamo, “Non era un gioco” nasce dalla simulazione realizzata

dal Tribunale e dalla Procura per i Minorenni di Bologna, a

Ferrara nell’ottobre 2014 e a Bologna per due volte, nel 2013 e nel

2015.

Un percorso vicino ma differente, con tratti di grande

coinvolgimento, viene portato avanti da alcuni anni dal Tribunale

per i Minorenni di Catanzaro dove gli allievi diventano attori del

processo incarnando tutti i ruoli: pubblico ministero, testimone,

imputato, giudice, e via discorrendo. E, data la complessità di

trasmettere ai ragazzi il linguaggio giuridico e una conoscenza

completa della procedura penale minorile, un gruppo di giudici di

quel Tribunale, guidati dal Presidente Luciano Trovato, ha messo

a punto alcuni copioni, vere e proprie sceneggiature teatrali che

descrivono battuta dopo battuta gli interventi dei diversi

personaggi.

A Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia e Cosenza decine di scuole,

ovvero molte centinaia di ragazzi insieme ai loro professori,

hanno provato in classe le recite e le hanno riportate in aula,

insieme ai “giudici veri”, realizzando una eccezionale esperienza

di avvicinamento degli adolescenti alla giustizia minorile.

“Il processo si svolge in una vera aula di Tribunale, come fosse

una rappresentazione teatrale, alla presenza di tutor, veri giudici

e avvocati”, scrive al riguardo Luciano Trovato. “Questo per

avvicinare i ragazzi allo svolgimento di un vero e proprio

processo, utilizzando la propensione del processo a trasformarsi

in un gioco in cui i giovani giocatori, divertendosi con la

recitazione, che in alcuni casi può raggiungere anche momenti di

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poesia, imparano ad apprezzare le regole della democrazia e

della giustizia (il rispetto reciproco, il contraddittorio, il fair play,

la coltivazione del dubbio), vestono i panni autorevoli dei

responsabili della giustizia, e toccano con mano che cosa

significa commettere un reato e quali conseguenze ne possono

derivare”.

Tutti i copioni e la documentazione del progetto verranno

pubblicati a breve con il titolo “Ciak… si va in scena. Un processo

simulato per evitare un processo vero”.

Alla generosità del Presidente Trovato dobbiamo la possibilità di

presentare qui “La tavernetta”, il primo e il più rodato dei copioni,

per tutte le scuole emiliano-romagnole che vorranno dare

continuità al percorso.

“La tavernetta” racconta una storia di cyberbullismo dove una

festa troppo alcolica diventa occasione per ritrarre una ragazzina

in atteggiamenti sessualizzati e poi demolire la sua reputazione

con lo scambio di immagini dei giorni seguenti. L’intreccio

distingue la posizione dei diversi imputati e della ragazza, i

sentimenti e le motivazioni di ciascuno, e può essere utilizzato sia

per proseguire nell’educazione alla legalità, sia per avvicinarsi ai

temi del rispetto e della violenza tra i sessi.

I copioni sono adatti e rodati con ragazzi delle scuole secondarie

di I e II grado.

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LA TAVERNETTA

Copione teatrale per le scuole ideato e sperimentato

dal Tribunale per i Minorenni di Catanzaro

La storia di finzione riportata di seguito rappresenta la base del

processo simulato.

La vicenda e i personaggi

I protagonisti: un gruppo di ragazzi di 14 anni

Antonio e Federico sono due ragazzi provenienti da famiglie non

agiate e, da poco tempo, sono diventati molto amici di Luca, che,

invece, proviene da una famiglia molto benestante. Si frequentano

spesso a casa di Luca.

Con loro, il più delle volte, c'è un cugino di Luca, Mirko, che lo

accompagna e vive, quasi, nella sua ombra.

I quattro hanno formato un gruppo coeso e stanno sempre insieme.

Luca, Antonio e Mirko sono molto amici anche perché, da poco,

sono diventati compagni di classe al primo anno delle superiori.

Federico, invece, li frequenta molto ma non è loro compagno di

classe. Mirko è sempre accanto a Luca.

I divertimenti del gruppo sono tutti maschili ed accomunati da un

atteggiamento piuttosto negativo nei confronti delle ragazze.

Conosciamoli un po' più da vicino …

Luca è un ragazzino taciturno e fissato col calcio. Non ha

interesse per le ragazze della scuola che frequenta ma ha un

carisma oscuro che proviene, per una parte, dalla ricchezza ed

influenza della sua famiglia e, dall'altra, da una certa attitudine

alla leadership. Suo padre è un imprenditore facoltoso ma non è

mai in casa mentre la madre è un'insegnante molto, forse troppo,

protettiva nei suoi confronti. Suoi sono di norma i giochi che

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coinvolgono gli altri e possiede addirittura una costosa minicar

(automobile che può essere guidata dai quattordicenni). Ma

soprattutto ha a disposizione una tavernetta tutta per sé dove c'è

un potente computer per i videogames e una fantastica Play

Station completa di tutti gli accessori. Caratterialmente non

esterna i comportamenti del ragazzino viziato ma, è certo un

ragazzo che dispone di molto e non si vergogna a farlo vedere. In

realtà, figlio unico, è spesso solo, poco comunicativo e piuttosto

problematico.

Suo cugino Mirko subisce continuamente l'influenza di Luca e,

pur essendogli sempre vicino, prova per lui sentimenti

contrastanti. È figlio di semplici impiegati e, se da un lato invidia

il cugino per gli oggetti che possiede e per l'atteggiamento da

capobanda, dall'altro continua a stargli sempre vicino. Quando

litigano, arrivano spesso ad insulti pesanti ma mai ad una rottura

definitiva. In fondo, Mirko vede con chiarezza nel cugino quello

che lui stesso vorrebbe essere ma si rende conto di non esercitare

lo stesso magnetismo sugli altri. Mirko è bravissimo a scuola ed

ha un atteggiamento quasi sempre remissivo: in realtà, lo fa per

difesa. Cerca sempre di fare il superiore ed evita di omologarsi

troppo agli altri. A differenza di Luca però, è dotato di sensibilità,

ed è in un momento della sua vita in cui è un po' confuso

sessualmente. Ha fatto abbastanza amicizia con Antonio ma non

con Federico.

Antonio, invece, è un ragazzo pieno di rabbia e voglia di riscatto.

Figlio di un operaio e di una casalinga è in un momento in cui

desidererebbe una fidanzata (soprattutto bella) ma ha un gran

timore nei rapporti con l'altro sesso. Crede di non piacere perché è

sovrappeso ed ha un aspetto fisico tozzo e poco elegante. È

sempre insieme a Luca e gli fa, quasi, da guardaspalle. Ha poca

voglia di studiare ma a scuola si barcamena bene ed è fisicamente

forte, pericoloso addirittura, al punto da essere guardato da tutti

con rispetto, se non con paura. Viene da un ambiente non facile,

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dove sgomitare è la regola e dove le botte non sono mancate.

Dagli altri viene considerato un duro ed ha lavorato molto per

costruirsi questa fama. In realtà ha le sue fragilità, come tutti, e

reagisce così solo perché crede che sia questo il modo migliore

per non soffrire.

Federico, infine, viene da una famiglia di piccoli commercianti. È

legato ad Antonio dalla comune scuola media ed ha conosciuto

Luca attraverso di lui. Questa conoscenza non può non piacergli,

soprattutto perché non gli è mai capitato di fare cose così

divertenti con qualcuno. Gioca come portiere in una squadra di

calcio ed è un ragazzo vanitoso e sicuro di sé. Federico ha

decisamente l'aspetto del bravo ragazzo ma frequenta il gruppo

d'amici sempre un po' da esterno e sempre per interesse. Infatti,

furbo com'è, da un lato, è molto interessato alle ragazze e quindi

l'atteggiamento del gruppo (su questo argomento) non gli va a

genio, e dall'altro, ha un modo di fare troppo indipendente per

andare sempre d'accordo con Luca, che tante volte diventa

dispotico.

Il luogo di ritrovo

Le feste tra compagni di classe e le riunioni si iniziano a fare nella

tavernetta di Luca che è diventata una specie di covo dei ragazzi:

nella villa di Luca, infatti, c'è questo locale tutto per loro dove si

possono fare tante esperienze senza avere genitori per i piedi!

Ed è proprio questo lo scenario in cui si apre la nostra storia.

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I fatti

Alla fine di una festa organizzata nella tavernetta di Luca, sono

poche le ragazze rimaste ed in particolare ce n’è una sola nel

gruppo dei maschi che si passano una bottiglia di vodka.

Si chiama Gaia, ed è la vittima di questa storia. È una ragazza che

viene da un passato di bambina poco attraente che solo da poco

riceve i primi apprezzamenti da parte dei maschi. Si è fatta carina

e sogna di fare la modella. La sua famiglia però non ha retto bene

alla separazione dei genitori e ciò si è verificato proprio nel

momento in cui la sua femminilità, pur ancora immatura, si

trovava in piena esplosione. Questa fioritura, ora, si mostra in quel

giardino irreale che è rappresentato dalla tavernetta frequentata

dal gruppo dei ragazzi.

Quella sera, le amiche di Gaia si sono allontanate con i rispettivi

partner e lei è rimasta da sola con i maschi.

Gaia va in giro da un po' di tempo con una macchina fotografica

reflex (nuova di zecca) che le ha regalato il padre e, quella sera,

per l’occasione della festa è vestita in modo provocante. Ha anche

bevuto qualche bicchierino di troppo e inizia a fare la scema.

Se per tutta la serata ha fatto la fotografa, ora inizia a fare la

modella. Scatto dopo scatto gli atteggiamenti sono via via più

provocanti e non ci vuole molto per passare alle vie di fatto: Luca

le propone di fare uno spogliarello per il gruppo.

La serata si surriscalda come gli animi dei ragazzi: nessuno ha

voglia più di fermarsi e tutti approfittano della situazione che si

sta creando. Gaia ha forse la scusa di essere brilla, Antonio non

vede l'ora di assistere a uno spogliarello, mentre Luca si diverte a

fare il maestro di cerimonia e a comandare alla ragazza di fare

cose sempre più osé. Anche Mirko è molto coinvolto

emotivamente da ciò che sta accadendo.

Tutto viene fotografato quasi ossessivamente, Gaia capisce di

essersi spinta troppo avanti e comincia ad essere riluttante.

Tutta la serata viene raccontata proprio con la macchina

fotografica di Gaia...

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Ma, in definitiva, di cosa si tratta? Sicuramente, degli atteggiamenti di una

ragazza, che arriva ad essere nuda e ubriaca, in mezzo a dei ragazzi

sessualmente eccitati. Fortunatamente il provvidenziale ritorno dell'amica di Gaia, Beatrice, e

dell’altra coppia appartata fa finire la festa e nulla di veramente violento

sembrerebbe essersi verificato. Ma il vero problema si pone in seguito

all'evento di quella notte.

Nei giorni successivi, poiché a Gaia è stata sottratta la scheda di

memoria con le foto della sua macchina fotografica, a Federico

viene in mente di sfruttare la situazione e vuole scambiare il suo

aiuto (per ritrovare la scheda) con una prestazione sessuale di

Gaia; le assicura che sistemerà tutto lui e comincia a farle

pressioni sempre più pesanti.

Gaia, in un primo momento, non vorrebbe cedere ma, il sabato

successivo, ad un compleanno, si apparta con Federico, così per

parlare un po' , dopo i molti contatti via WhatsApp.

Federico, quella sera, si bacia con Gaia, la quale, però, gli

confessa che è innamorata di Luca ed è stata con lui solo per

liberarsi della storia della tavernetta e per riavere la scheda.

Federico si vanta della cosa raccontando tutto ad Antonio.

Purtroppo questo atteggiamento innesca la furiosa gelosia di

quest'ultimo. Infatti, Antonio è molto innamorato di Gaia e non

riesce a gestire il dolore che questo sentimento non

contraccambiato gli provoca.

A questo punto, Antonio e Federico vanno da Luca e gli

raccontano tutto.

Passa poco tempo ed alcune foto osé iniziano a circolare

velocemente. La reputazione di Gaia subisce un colpo mortale ed

il danno è ormai irreparabile.

Inquietante rimane l'atteggiamento di Luca. Infatti, il capobanda si

dimostra nei confronti della ragazza innamorata di lui,

incredibilmente crudele e distaccato. Sembra trarre piacere solo

dal vederla più umiliata e sottomessa.

È dalla terribile alleanza che si rinsalda con Antonio che

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scaturiscono le conseguenze peggiori.

È pazzesco pensare come ormai tutto giochi a ferire la vittima.

Vengono pubblicate false foto della ragazza in atteggiamenti

pornografici. In sostanza foto pornografiche cui viene sostituita la

sua faccia con dei fotomontaggi.

Gli scherzi si moltiplicano in un gioco al massacro che solo

apparentemente è allegro.

Antonio, Federico e Luca usano un gruppo WhatsApp che ha il

solo scopo di demolire la rispettabilità di Gaia. Insomma, gli

scherzi non sono più tali e la vita di relazione della ragazza non è

nemmeno l'ombra di quello che era prima.

Ormai anche su Google appaiono le foto di Gaia che vengono

condivise migliaia di volte.

Luca, non avendo sentimenti nei confronti di Gaia per la quale

nutre solo disprezzo, guida una vera e propria guerra nei confronti

della ragazza mentre gli altri, in modo più o meno esplicito, la

desiderano. Questa confusa e bizzarra mescolanza di sentimenti

porta la situazione alle estreme conseguenze.

La ragazza, col passare del tempo, viene sempre più allontanata

dagli amici e braccata dai suoi cyberbulli.

Le amiche, Beatrice compresa, iniziano a non volerla più vedere e

a non difenderla, la isolano, e la trattano ormai come una poco di

buono mentre la famiglia non ha le capacità e gli strumenti per

poter intervenire. La storia è già tristemente nota e in poco tempo,

sempre più angosciata, la ragazza pensa disperatamente che

l’unica strada per uscire da questa situazione sia il suicidio.

Gaia non parla quasi più e non ha più nessuna vita sociale; così

una sua insegnante propone alla madre l'attivazione di un sostegno

da parte di una psicologa. Gaia va, in effetti, ad un solo incontro

ma non ad altri appuntamenti perché il padre è fortemente

contrario a questa soluzione, temendo ripercussioni sulla sua

causa di divorzio. Nella testa di Gaia balena ormai la prospettiva

estrema. Sempre più sola e isolata, Gaia, un giorno qualsiasi, non

va a scuola. Viene portata in fin di vita in ospedale dopo che ha

tentato di impiccarsi nella sua stanza.

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COPIONE I

Personaggi:

I personaggi di questa simulazione del processo penale minorile

sono i seguenti:

Componenti del Collegio del Tribunale:

Il Presidente (giudice togato) [allievo/a n°1]

Il giudice “a latere” (giudice togato) [allievo/a n°2]

I° giudice onorario Giorgia Sestito (magistrato c.d. esperto

proveniente da altre professioni) [allieva n°3]

II° giudice onorario (magistrato c.d. esperto proveniente da

altre professioni) [allievo n°4]

Le Parti:

Il Pubblico Ministero, da ora in poi PM [allievo/a n° 5]

Avvocato Gallo, difensore dell'imputato Luca Camera

[allievo/a n° 6]

Avvocato Scorza, difensore dell'imputato Mirko Morelli

[allievo/a n° 7]

Avvocato Miliè, difensore dell'imputato Antonio Casale

[allievo/a n° 8]

Avvocato Pallini, difensore della Persona Offesa (Gaia)

[allievo/a n° 9]

Testimoni del PM:

Ispettore della Polizia Postale Paolo/a Acheri [allievo/a n° 10]

Psicologa Maria Galimberti [allieva n° 11]

Beatrice Sorbillo [allieva n° 12] (amica di Gaia)

Gaia Procopio [allieva n° 13] (Persona Offesa)

Testimoni della Difesa:

Altiero Spadanuda [allievo n° 14] (allenatore degli imputati)

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Federico Foglia [allievo n° 15] (amico degli imputati)

Giulio Barra [allievo/a n° 16] (fidanzato di Beatrice)

Altri:

Un ufficiale giudiziario [allievo/a n° 17]

Un cancelliere [allievo/a n° 18]

Un tecnico della registrazione [allievo/a n° 19]

Un carabiniere [allievo/a n° 20]

Un Assistente Sociale [allievo/a n° 21]

Imputati:

Luca Camera

Antonio Casale

Mirko Morelli

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PROLOGO

Sono presenti in Aula

Collegio

PM

Assistente sociale

Ufficiale giudiziario

Cancelliere

Tecnico

Carabiniere

Entrano gli imputati ed i rispettivi difensori;

Nella simulazione alcuni ruoli possono essere accorpati

(come nel caso degli avvocati)

Alcuni completamente eliminati: il tutto rispettando il senso della

rappresentazione

I Giudici, il PM ed il cancelliere indossano la toga.

PRESIDENTE (all'ufficiale giudiziario): Ufficiale, chiami il

processo.

L'UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta

voce):

Procedimento penale contro gli imputati:

Luca Camera, di Massimo, nato a Catanzaro il 12.06.2000, e

residente in Catanzaro, al corso Roma n. 18;

Mirko Morelli, di Carmelo, nato a Catanzaro il 28.07.2000 e

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residente Catanzaro, alla via Gramsci, 1;

Antonio Casale, di Giacomo, nato a Praia a Mare (CS) il

05.05.2000 e residente in Catanzaro, alla via Battistini n. 11;

PRESIDENTE (si rivolge alle parti): Ci sono questioni

preliminari?

PM: Presidente, condivido con l’avv. Pallini la richiesta di sentire

la Persona Offesa con forme protette, per intenderci, come se

dovessimo sentirla in “incidente probatorio”. Le restanti parti mi

autorizzano a dirle che sono d'accordo... Congiuntamente

chiediamo che, per ragioni di celerità dibattimentale e per una

migliore organizzazione nell’escussione dei testi, Gaia venga

sentita subito prima degli imputati.

PRESIDENTE: Se non ci sono altre questioni, non vedo motivo

di rifiutare la richiesta e acconsento a posporre la deposizione

della Persona Offesa che avrebbe dovuto essere sentita come teste

dell'Accusa prima dei testimoni della Difesa.

Non essendo proposte altre questioni preliminari, dichiaro aperto

il dibattimento e diamo lettura dei capi d'imputazione:

I ragazzi imputati sono pregati di alzarsi in piedi.

Si alzano

Vi ricordo che siete qui per rispondere dei seguenti reati e

quindi…

Cancelliere, dia lettura dei capi d’imputazione.

CANCELLIERE:

IMPUTATI

Del delitto di cui agli artt. 81 cpv. (capoverso), 600 ter comma

terzo e 600 quater cp (codice penale) perché, in concorso tra

loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno

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criminoso e con azioni commesse anche in tempi e luoghi

diversi, realizzavano e divulgavano tramite applicazione

“WhatsApp” sul gruppo “Tavernauti” materiale

pedopornografico ritraente la minore Gaia Procopio. In

Catanzaro dal 26 settembre e sino al 15.12.2014.

Del delitto di cui agli artt. 110, 600 ter e 600 quater cp perché,

in concorso tra loro, in esecuzione di una medesima

risoluzione criminosa e con azioni commesse anche in tempi e

luoghi diversi, utilizzando effigie del volto della minore Gaia

Procopio ed abbinandola ad immagini di nudi femminili di

diverse persone, realizzavano materiale pedopornografico che

poi divulgavano tramite WhatsApp. In Catanzaro sino al

15.12.2014.

Del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv., 595 cp perché, in

concorso tra loro ed in esecuzione di una medesima

risoluzione criminosa, con azioni commesse anche in tempi

diversi, comunicando con più persone attraverso il social

network “WhatsApp” ed ivi diffondendo le immagini descritte

ai capi che precedono, offendevano la reputazione della

minore Gaia Procopio. In Catanzaro sino al 15.12.2014.

Del reato di cui agli artt. 110, 660 cp perché, in concorso tra

loro, indirizzandole ripetuti messaggi di contenuto derisorio

tramite l’applicativo “WhatsApp” del tenore “sei la sagra della

cellulite, hai un corpo orribile” e simili, nonché inviandole

ripetutamente messaggi in chat proferendo nei suoi confronti

pesanti ingiurie con espressioni del tipo “troia” “zoccola”,

molestavano la minore Gaia Procopio. In Catanzaro sino al

15.12.2014.

Del delitto di cui agli artt. 110, 580 comma primo e secondo in

relazione all’art 579 comma terzo nr. 1 cp perché, in concorso

tra loro, con le condotte reiterate indicate ai capi che

precedono, determinavano la minore Gaia Procopio a tentare il

suicidio, azione cui conseguiva una malattia che ne poneva in

pericolo la vita. In Catanzaro il 15.12.2014.

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PRESIDENTE: Invito il PM e la Difesa ad indicare le fonti di

prova.

PM: chiedo che siano ascoltati i testi isp. Paolo Acheri, la dott.ssa

Maria Galimberti, Beatrice Sorbillo (minore) amica della persona

offesa e la persona offesa Gaia Procopio che non ho potuto sentire

prima per il suo stato di salute. Chiedo infine l’esame degli

imputati.

I difensori, avv. Gallo per tutti: oltre al controesame dei testi del

PM, chiediamo che siano ascoltati l’allenatore dei ragazzi Altiero

Spadanuda, Federico Foglia amico degli imputati e della stessa

persona offesa, e Giulio Barra fidanzato di Beatrice Sorbillo;

infine chiediamo anche noi l’esame degli imputati.

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ATTO I (I TESTIMONI DELL'ACCUSA)

PRESIDENTE: Sig. PM, qual è il primo teste dell'Accusa?

PM: L'isp. della Polizia di Stato Paolo/a Acheri, sig. Presidente.

UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): L'isp. Paolo/a Acheri entri in aula.

Entra Acheri, viene accompagnato al banco

PRESIDENTE: Prego ispettore, legga la formula d'impegno.

ISP. ACHERI: Consapevole della responsabilità morale e

giuridica che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta

la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.

Siede

PRESIDENTE: Prego ispettore, fornisca le sue generalità.

ISP. ACHERI: Sono Paola/o Acheri nata/o a Soveria Mannelli il

24/09/1973 e sono ispettore della Polizia di Stato, nella II sezione

della Polizia Postale e delle Comunicazioni di Catanzaro.

PRESIDENTE: Grazie ispettore, la prego di rispondere alle

domande del PM e del Difensore. Prego PM.

Esame diretto da parte del PM dell'Isp. Acheri

PM: Grazie Presidente. Ispettore Acheri, ci può dire come avete

avuto notizia per le indagini?

ISP. ACHERI: Sig. Presidente, data la complessità della vicenda

chiedo di essere autorizzato a poter consultare gli atti alla cui

redazione ho collaborato.

PRESIDENTE: Lei è autorizzato, prego, continui pure.

Prende il fascicolo

ISP. ACHERI: Gli atti sono stati trasmessi dalla Questura di

Catanzaro alla Polizia Postale e, in particolare, alla sezione da me

diretta, a seguito del tentato suicidio della minore di cui ha avuto

notizia l'ufficio di Polizia presso l'Ospedale di Catanzaro. C'è poi

stata una querela contro gli accusati che è stata sporta dal padre

della minore poiché ritiene che il gesto della ragazza sia da

imputare all'istigazione subita attraverso mezzi informatici in un

quadro di Cyber-bullismo.

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PM: Qual è esattamente il motivo che il padre della vittima

adduceva, nella sua querela, come causa del tentativo di suicidio

della figlia minore?

ISP. ACHERI: Sosteneva che nel telefono di Gaia erano presenti

foto di pornografia minorile postate da un gruppo di WhatsApp

che ritraevano la stessa minore nuda e in atteggiamenti provocanti

insieme ad alcuni compagni di classe. Inoltre, asseriva che queste

foto stessero circolando tra i ragazzi e nel loro ambiente sempre

tramite WhatsApp. Questo, in definitiva, aveva determinato la

scelta suicida della figlia.

PM: Ora, a seguito delle indagini da voi condotte, siete riusciti a

risalire a chi ha messo in circolazione su Internet le foto che

ritraggono la vittima nella notte del 26/9/2014 negli atteggiamenti

che vediamo agli atti e nelle fotografie assunte come prove in

giudizio?

ISP. ACHERI: Sul gruppo WhatsApp denominato “Tavernauti”,

di cui è amministratore l'imputato Mirko Morelli, la prima foto è

stata postata dal telefono dell'imputato Luca Camera il 04/10/2014

e, dal gruppo, poi, l'immagine è stata condivisa un numero elevato

di volte tra i telefoni degli appartenenti alla loro scuola e non.

PM: Tutti e tre gli imputati hanno postato e condiviso le foto di

Gaia negli atteggiamenti che conosciamo per averli tra le prove a

disposizione del Tribunale?

ISP. ACHERI: Sì.

PM: Come lo avete stabilito?

ISP. ACHERI: Innanzitutto, a seguito del sequestro del

telefonino della vittima, Gaia Procopio, sono stati individuati i

ragazzi effigiati nelle fotografie e abbiamo proseguito le indagini

ponendo sotto sequestro i devices portatili a disposizione dei

minori che oggi risultano imputati. Su tutti gli smartphone sono

state individuate le foto di riferimento, sebbene fossero state

successivamente eliminate dagli utenti.

PM: Avevano dunque tentato di nasconderle?

ISP. ACHERI: Erano state di certo cancellate, ma i nostri

programmi investigativi permettono facilmente di risalire anche ai

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files cancellati.

PM: Quindi non ci sono dubbi che le foto siano transitate e

divulgate da quei telefoni?

ISP. ACHERI: Su questo, nessun dubbio!

PM: Bene. Passiamo adesso al dopo.... Cioè, a seguito della

pubblicazione di quelle foto. Sbaglio o nei messaggi gli imputati

prendevano pesantemente in giro la ragazza?

AVV. MILIE': Obiezione! La domanda è suggestiva perché così

si suggerisce una risposta affermativa.

PRESIDENTE: Accolta. (al PM) La prego di riformulare la

domanda.

PM: Qual era il tenore dei messaggi inviati dagli imputati nei

confronti della vittima?

ISP. ACHERI: Le foto che spedivano, dopo quelle iniziali, e che

condividevano, erano spesso fotomontaggi in cui si giustapponeva

la faccia della ragazza sui corpi di attrici porno coinvolte in atti

sessuali. Nei messaggi si rivolgevano a lei chiamandola “troia”,

“zoccola” e simili volgarità e mettendola sempre alla berlina. Mi

pare di poter dire che erano piuttosto pesanti.

PM: Grazie ispettore. Ho finito, signor Presidente.

PRESIDENTE: La parola alla Difesa. Avvocati, chi di voi vuole

iniziare?

Controesame da parte della Difesa dell'Isp. Acheri

AVV. GALLO: Io sig. Presidente... Allora ispettore, su quanti

casi, simili a quello oggi all'esame, ha già indagato?

ISP. ACHERI: Questo è il quinto.

AVV. GALLO: Possiamo, quindi, dire che lei ha un po' di

esperienza di resoconti delle conversazioni e delle chat, via social

network, che coinvolgono minori...

ISP. ACHERI: Sì.

AVV. GALLO: E… senta un po', in un ambiente dove non si

sentono sorvegliati, come su un social network, ha notato se i

ragazzi talvolta eccedono in battute e comportamenti che altrove

chiameremmo ... sopra le righe?

PM: Mi oppongo, la domanda è generica e si riferisce a fatti

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estranei al processo.

PRESIDENTE: Avv., la prego di attenersi ai fatti del processo.

AVV. GALLO: Mi spiego meglio... Pensiamo che attraversano

l'età ribelle ed anticonformista per antonomasia, l'adolescenza...

Ora… la media dei ragazzi che lei ha messo sotto la lente di

ingrandimento nelle indagini di polizia… usa parole volgari, un

linguaggio scurrile e fa continui riferimenti al sesso?

ISP. ACHERI: Sicuramente, non sapendo di essere controllati

sono molto presenti sia le parolacce che gli atteggiamenti volgari

e... anche i riferimenti al sesso... Ma questo non vuol dire che sia

normale trovare foto di pornografia minorile su tutte le chat dei

minori.

AVV. GALLO: E questo è chiaro! Ma venendo ora al nostro

caso...

Già nei verbali degli interrogatori degli imputati alla Polizia

Postale vi erano le dichiarazioni in cui non si negava di avere

scambiato le foto di Gaia di quella famosa sera e quindi, se

vogliamo, era anche inutile andare a controllare i telefonini. I

ragazzi hanno sempre dichiarato di avere scambiato le foto ma

dietro una chiara richiesta di Gaia, la quale teneva a far circolare

le fotografie che la ritraevano in atteggiamenti provocanti poiché

era in cerca di notorietà. Invece, circa la presenza dei

fotomontaggi, che è l'argomento che più mi preme adesso... lei

può di certo asserire che fossero stati confezionati dagli imputati

per il gruppo su WhatsApp?

ISP. ACHERI: Sono stati, di certo, postati da loro sul gruppo

WhatsApp.

AVV. GALLO: Postarli però non significa che a farli siano stati

loro. Non è forse vero che nei post dei fotomontaggi i ragazzi

spesso chiarivano di averli trovati su Internet, essendo diventata la

storia di Gaia di dominio pubblico ed essendo la ragazza ormai

oggetto di ludibrio e di sberleffo da parte di tutta la scuola e non

solo?

ISP. ACHERI: Sì, effettivamente è così.

AVV. GALLO: È un dato di fatto che dopo la pubblicazione

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delle foto, tutti coloro che la riconoscevano ne facevano oggetto di

sfottò. Allora, lei mi conferma che non avete trovato prova piena

dell'attribuibilità agli imputati della creazione dei fotomontaggi e

dei conseguenti sfottò contro la povera Gaia?

ISP. ACHERI: L'indagine non si è spinta fino a quel punto.

Anche perché non si è ritenuto opportuno procedere anche con il

sequestro dei pc e della loro analisi per ragioni di celerità e

complessità.

AVV. GALLO: Bene, un'ultima domanda ispettore, ha trovato

per caso altre foto pornografiche sui telefonini dei ragazzi?

ISP. ACHERI: No, non ce n'erano.

AVV. GALLO: Grazie Presidente, ho finito con il controesame.

PRESIDENTE: Gli altri avvocati vogliono contro-esaminare?

AVV. PALLINI: No sig. Presidente.

AVV. SCORZA: No sig. Presidente.

AVV. MILIE': No sig. Presidente.

Esce Acheri

PRESIDENTE: PM, qual è il secondo teste dell'Accusa?

PM: La dottoressa Maria Galimberti

UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): La dott.ssa Maria Galimberti entri in aula.

Entra Galimberti e viene accompagnata al banco

PRESIDENTE: Prego dottoressa, legga la formula d'impegno.

DOTT.SSA GALIMBERTI: Consapevole della responsabilità

morale e giuridica che assumo con la deposizione, mi impegno a

dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia

conoscenza.

Siede

PRESIDENTE: Prego dottoressa, fornisca le sue generalità.

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DOTT.SSA GALIMBERTI: Sono Maria Galimberti, nata a

Montevecchio il 25 Agosto del 1968 Psicologa e Psicoterapeuta.

PRESIDENTE: Grazie dottoressa, la prego di rispondere alle

domande del PM e dei difensori. Prego PM.

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Esame da parte del Pubblico Ministero della

dott.ssa Galimberti

PM: Buongiorno dott.ssa, in che modo è entrata in contatto con

Gaia Procopio?

DOTT.SSA GALIMBERTI: Sono stata contattata dalla madre

della ragazza che mi chiedeva un appuntamento per una

valutazione della figlia che, a suo dire, in quel momento viveva

una situazione di disagio.

PM: E cosa ci può dire di questo incontro?

DOTT.SSA GALIMBERTI: La mia conoscenza con la ragazza

si è risolta in quell'unico incontro poiché, sin da subito, è emerso

il mancato ed indispensabile consenso del padre.

PM: Come si svolse l'incontro?

DOTT.SSA GALIMBERTI: Ho incontrato la ragazza

accompagnata dalla madre; sin da subito mi è sembrata una

ragazza ritirata, abulica e distaccata. Ho osservato innanzitutto,

mentre era in sala d'attesa, che manifestava una certa distanza

relazionale con la madre.

PM: Cosa intende?

DOTT.SSA GALIMBERTI: Che era seduta dal lato opposto

della stanza ed ha mantenuto per tutto l'incontro lo sguardo verso

il basso, nonostante la mia presenza. Inoltre riferisco che ha

mantenuto le mani abbandonate sulle gambe per tutto il tempo e

mi ha incuriosito anche il fatto che fosse vestita con abiti scuri ed

informi, poco consoni per le ragazze della sua età. A quel punto

ho cercato di creare un contatto attivo, chiedendole se voleva

entrare in studio da sola o in compagnia della madre ma la madre

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è intervenuta dichiarando di voler entrare anche lei in studio e la

ragazza ha aderito passivamente.

PM: Vorrei che mi riferisse i contenuti del colloquio.

DOTT.SSA GALIMBERTI: Rispetto a ciò, posso dire che

l'assenza del consenso da parte del padre ha reso impraticabile la

costituzione di un qualsiasi tipo di relazione con Gaia. Posso

riferire che nonostante il mio invito ad interloquire è sempre stata

la madre a rispondere e che le manifestazioni ansiose

aumentavano durante il racconto fino al punto in cui la ragazza si

è alzata di scatto urlando “adesso basta!” ed è uscita dallo studio

sbattendo la porta.

PM: Rispetto a quello che ha osservato, e soprattutto in relazione

a quanto da lei riferito sui comportamenti non verbali (vestiti

scuri, il silenzio, ecc.), può dirci se hanno un valore clinico?

DOTT.SSA GALIMBERTI: Posso dire che i segni di ritiro

sociale di evitamento e l'atteggiamento passivo-aggressivo

mostrato, nonché le manifestazioni ansiose e quanto raccontato

dalla madre circa la perdita del sonno, di peso e lo scarso

rendimento scolastico sono suggestivi di un disturbo

dell'adattamento. In tal senso ho raccomandato alla madre,

nell'impossibilità di continuare negli incontri, di far comprendere

al padre che i segni di disagio erano più che evidenti e che

necessitavano di un approfondimento e di una risoluzione.

PM: Ci può dire cosa sia un disturbo dell'adattamento?

DOTT.SSA GALIMBERTI: Il disturbo dell'adattamento è

definibile come un insieme di sintomi emozionali e

comportamentali clinicamente significativi in risposta ad uno o

più eventi stressanti. Nella sostanza, significa che una persona può

essere soggetta a una situazione stressante acuta (una sola volta)

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oppure a tante situazioni stressanti in un quadro cronico (cioè che

dura nel tempo). In conseguenza di questi eventi, si possono

sviluppare sintomi di ansia (paura, ritiro, ecc.), sintomi depressivi

oppure sintomi misti. Nel concreto significa che lo stile di vita e la

quotidianità del soggetto cambiano significativamente.

PM: In base alla sua esperienza quali sono le situazioni che

possono causare una condizione clinica quale quella da lei

descritta come disturbo dell’adattamento?

DOTT.SSA GALIMBERITI: Tutti gli eventi o situazioni di

stress psicosociali che si possono identificare oggettivamente.

Vorrei aggiungere che mi è spesso capitato di rapportarmi a

ragazzi che manifestavano tali sintomi in quanto vittime di

bullismo.

Penso che sia un modo più generale di definire quelle condotte

oggi imputate ai ragazzi e che si concretizzano in particolar modo

in ambienti scolastici. Il bullismo, infatti, è una forma di

comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura

sia fisica che psicologica, oppressivo e prepotente, ripetuto nel

corso del tempo e attuato nei confronti di persone considerate dal

bullo come bersagli facili e incapaci di difendersi.

PM: Grazie Presidente, ho finito.

PRESIDENTE: La parola alla Difesa.

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Controesame da parte dell'avvocato della Difesa

della dott.ssa Galimberti

AVV. MILIE': Stante la pochezza dei contenuti su cui lavorare e

l'impossibilità in cui si è trovata rispetto al diniego del padre di

Gaia, può dirci, invece, cosa ha scatenato quella violenta reazione

della ragazza? Cioè, qual era l'argomento di cui parlava con la

madre in quel preciso momento?

DOTT.SSA GALIMBERTI: Gaia ha reagito in quel modo

proprio mentre la madre affermava che il padre era contrariato per

quanto accaduto perché, in fondo, “se l'era cercata” e non riteneva

di dover far nulla, oltre che far passare del tempo e darle “una

bella punizione”, testuali parole.

AVV. MILIE': Se ho capito bene abbiamo di fronte una ragazza

con evidente disagio psicologico che, come lei ha riferito, ha un

distacco relazionale dalla madre e un padre che la ritiene

responsabile di una condotta negativa alla quale la famiglia, o quel

che ne resta, ha risposto con la minaccia di una punizione

esemplare... A questo punto, lei può affermare che i sintomi da lei

rilevati (ritiro, distacco, ecc.) siano ascrivibili alla condotta dei

ragazzi qui imputati?

DOTT.SSA GALIMBERTI: Anzitutto devo ribadire che non mi

è possibile fare una diagnosi rispetto alla minore; posso affermare

che una condizione clinica quale quella del Disturbo

dell’Adattamento (DA) compare in seguito ad uno o più eventi o

situazioni di stress psicosociali oggettivamente identificabili.

L’interazione tra evento e reazione del soggetto è molto stretta. È

da precisare che vi sono differenze individuali rispetto alla

possibilità che si sviluppi un DA considerato che l’elemento

chiave per tutti i DA è l’incapacità del soggetto, rispetto a una

serie di variabili personali, di affrontare e superare l’evento.

Pertanto io posso solo affermare che la ragazza che ho incontrato

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quel giorno aveva chiare manifestazioni di sofferenza psicologica.

Quali ne fossero le cause dirette mi è impossibile da stabilire.

AVV. MILIE': Grazie Sig. Presidente, ho finito con il teste.

Esce Galimberti

PRESIDENTE: PM, qual è il terzo teste dell'Accusa?

PM: Si tratta di Beatrice Sorbillo, studentessa ed amica della

vittima.

UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): La sig.na Beatrice Sorbillo entri in aula.

Entra Beatrice e viene accompagnata al banco

PRESIDENTE: Prego Beatrice, non essere nervosa, in quest'aula

non hai nulla da temere quando rispetti le regole... Io sono apposta

qui per garantirti. Adesso, per favore, leggi e assumi l'impegno,

seguendo quanto scritto sul foglio che hai lì davanti.

BEATRICE: Consapevole della responsabilità morale e giuridica

che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e

a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.

PRESIDENTE: Hai capito cosa hai letto e soprattutto hai

compreso a cosa ti stai impegnando?

BEATRICE: Sì.

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PRESIDENTE: Prego, allora siedi e dicci il tuo nome, cognome,

età e occupazione.

BEATRICE: Mi chiamo Beatrice Sorbillo ed ho 15 anni, sono

nata a Milano il 3/3/2000 e abito con la mia famiglia a Catanzaro

Lido. Frequento il secondo anno del liceo “Parini” a Catanzaro.

PRESIDENTE: Grazie Beatrice, ora risponderai alle domande

del PM e del Difensore. Data la tua giovane età e come vedo, data

anche la tua emozione, farò in modo di fare da filtro... così ti

porgerò io le domande preparate dalle parti. Va bene?

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Esame del Presidente su domande del Pubblico Ministero a Beatrice

PRESIDENTE: Allora, ho precedentemente parlato con il PM ed

abbiamo stabilito le domande. Dunque, cominciamo: in che

relazione sei con Gaia?

BEATRICE: Ci conosciamo dalle elementari e siamo compagne

di banco. Eravamo amiche del cuore.

PRESIDENTE: Dici eravamo... perché? Cos' è successo; perché

non lo siete più?

BEATRICE: Non è che non lo siamo più... è che dopo che sono

state pubblicate le foto... starle vicino è diventato difficile... lei era

isterica e poi, tutti mi dicevano che a stare con lei ci avrei rimesso

… anche come immagine.

PRESIDENTE: Ma chi sono questi tutti?

BEATRICE: Ehm... Le persone a me vicine

.

PRESIDENTE: Non avere paura, ti ho detto che ci sono io a

garantirti. Di’ pure tutto, senza timore. Allora, sii più specifica,

per favore... chi ti chiede di non frequentare Gaia?

BEATRICE: Mah, la mia famiglia non sa proprio tutto... Ecco...

è il mio fidanzato, Giulio... Lui dice che Gaia è… una leggera… e

che non la devo assolutamente frequentare, altrimenti tutti

pensano che sono come lei.

PRESIDENTE: Ma, invece, a te Gaia piace e le vuoi bene?

BEATRICE: Siamo sempre state come sorelle ma, in questo

periodo, non le sono stata tanto vicino e mi sento in colpa.

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PRESIDENTE: Ma dimmi una cosa, tu pure credi che Gaia sia

una ragazza leggera come dice il tuo fidanzato?

BEATRICE: No, non lo credo per niente! Lui non la conosce

come me. Gaia è sempre stata una brava ragazza e penso che

quello che è successo quella sera è uno sbaglio che poteva capitare

a tutti.

PRESIDENTE: Bene, Beatrice, adesso passiamo alle domande

che ho concordato con la Difesa ovvero con tutti gli avvocati degli

imputati. Beatrice, diresti che Gaia era cambiata nell'ultimo

periodo... diciamo nel periodo che ha portato al fatto delle foto

che conosciamo?

BEATRICE: Come cambiamo tutti, alla nostra età, ecco.

PRESIDENTE: Sì, ma non è forse vero che Gaia ha avuto un

notevole cambiamento, soprattutto fisico negli ultimi tempi?

BEATRICE: Sì. Prima dell'estate scorsa, è molto dimagrita e, al

mare, tutti la guardavano perché era diventata magra magra ma

con il seno grande e forse, un po', per questo si era montata la

testa.

PRESIDENTE: E invece... ci racconti, per favore, come ha

affrontato la separazione dei suoi genitori?

BEATRICE: È stato un anno e mezzo fa... mi ricordo solo

l'immagine di lei che si metteva seduta sul letto con il cuscino

intorno alle orecchie e stava zitta, con gli occhi chiusi e stretti

stretti, così per ore. Per lei è stato molto difficile!

PRESIDENTE: Grazie Beatrice, abbiamo finito, ti puoi

accomodare fuori.

Esce Beatrice

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ATTO II (TESTIMONI DELLA DIFESA)

PRESIDENTE: Poiché è, dunque, terminata l'escussione dei testi

dell'accusa, passiamo a sentire, adesso, i testimoni della Difesa.

Avvocati, qual è il primo teste a discarico?

AVV. SCORZA: Chiamo a deporre Altiero Spadanuda,

allenatore della squadra di calcio in cui giocano gli imputati.

UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): Il sig. Altiero Spadanuda entri in aula.

Entra Spadanuda e viene accompagnato al banco

PRESIDENTE: Prego Sig. Spadanuda, legga la formula

d'impegno.

SPADANUDA: Consapevole della responsabilità morale e

giuridica che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta

la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.

Siede

PRESIDENTE: Prego, fornisca, adesso, le sue generalità.

SPADANUDA: Mi chiamo Altiero Spadanuda, nato a Chiaravalle

Centrale il 5/10/1948, sono residente a Catanzaro dal 1980. Sono

in pensione ma mi occupo attivamente e da moltissimi anni della

Società di Calcio Giovanile S. Leonardo Football Club.

PRESIDENTE: Grazie Sig. Spadanuda, la prego di rispondere

alle domande dei difensori e del PM. Prego avvocati.

Esame diretto da parte della Difesa del Sig. Spadanuda

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AVV. SCORZA: Buongiorno allenatore.

SPADANUDA: Buongiorno.

AVV. SCORZA: Lei è l’allenatore di calcio dei ragazzi. Ci parla

un po' di loro?

SPADANUDA: Certamente. Si tratta di un bel gruppo di ragazzi,

devo dire. Da quando li conosco (e sono tanti anni) ho avuto modo

di sondare le ottime capacità di lavoro di questi soggetti. E, in

particolare, sono stato sempre molto colpito dalla vivida

intelligenza di Mirko Morelli che è risultato, fin da quando l'ho

conosciuto, uno ragazzo brillante ed appassionato. Mi risulta

anche che a scuola sia sempre stato bravissimo.

AVV. SCORZA: E cosa ci dice degli altri?

SPADANUDA: Del cugino di Mirko, Luca, non posso dire che

bene. Proviene da un’ottima famiglia e questo si vede chiaramente

dai modi. Comunque sono tutti e tre ragazzi educatissimi.

AVV. SCORZA: Ha la possibilità di incontrare i ragazzi spesso?

SPADANUDA: Certamente, da molti anni, come dicevo, sono

dirigente di un'importante squadra giovanile di calcio, il San

Leonardo Football Club e tutti e tre i ragazzi, in un modo o

nell'altro, sono passati, diciamo, sotto le mie mani. Anche Mirko

che non gioca più a calcio, mi segue per un progetto in cui

formiamo giovani arbitri.

AVV. SCORZA: Grazie Sig. Spadanuda e grazie signor

Presidente, ho terminato con questo teste.

PRESIDENTE: Grazie avvocato, la parola al PM.

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Controesame da parte del Pubblico Ministero del Sig.

Spadanuda

PM: Mi dica un po', Sig. Spadanuda, oltre a Mirko, che, come lei

ha chiarito, ha un passo, anche a scuola, che lei definisce

brillante... cosa ci può dire, per esempio, di specifico di Luca

Camera?

SPADANUDA: Beh, non so che aggiungere oltre a ciò che ho già

detto: è un bravissimo ragazzo, educatissimo e di ottima famiglia.

PM: Ci vuole fare qualche esempio?

SPADANUDA: Per esempio è un leader nello spogliatoio ed è un

animatore dello spirito della squadra… tutti i suoi compagni

guardano a lui con ammirazione.

PM: E… da quando è cominciato il campionato, quante partite ha

disputato da titolare?

SPADANUDA: Mah, in verità Luca non gioca da titolare.

PM: Ah, dunque è molto importante nello spogliatoio ma non

gioca da titolare?

SPADANUDA: Senta, ho detto che conosco bene i ragazzi... e

poi, ritengo di avere sufficiente esperienza per formulare dei

giudizi in ambito calcistico.

PM: Peccato però che, proprio in ambito calcistico, ci sia poco su

cui ragionare!... E senta, perché non ci dice, invece, chi è lo

sponsor unico, quello presente sulle casacche dei giocatori per

intenderci, della squadra giovanile di calcio da lei diretta?

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SPADANUDA: Certamente, non ho problemi, si tratta

dell'azienda del padre di Luca Camera, Massimo Camera, che ci

sponsorizza.

PM: Grazie Presidente, col teste ha finito anche l'Accusa.

Esce Spadanuda

PRESIDENTE: Avvocati della Difesa qual è il secondo teste?

AVV. SCORZA: Chiamo a deporre Giulio Barra, amico e

compagno di scuola degli imputati.

Entra Giulio e viene accompagnato al banco

PRESIDENTE: Prego, in quest'aula non hai nulla da temere. Io

sono apposta qui per farti da garante. Adesso, per favore, leggi e

prendi l'impegno, seguendo quanto scritto sul foglio.

GIULIO: Consapevole della responsabilità morale e giuridica che

assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a

non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.

Siede

PRESIDENTE: Prego allora, dicci il tuo nome, cognome ed

occupazione ecc.

GIULIO: Mi chiamo Giulio Barra ed ho 17 anni, sono nato a

Catanzaro il 12/01/1998 e abito con la mia famiglia a Siano.

Frequento il quarto liceo scientifico a Catanzaro.

PRESIDENTE: Grazie Giulio, ti vedo particolarmente sereno…

(rivolto alle parti). Avvocati e PM affiderei direttamente a voi

l’esame del teste, salvo che, nel corso dell’esame, non rilevi

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motivi contrari.

AVVOCATI E PM (insieme): Nessuna obiezione Presidente,

concordiamo per l’esame diretto.

PRESIDENTE: Grazie (a Giulio) Adesso ti spiego... Il tuo esame

consisterà nel rispondere alle domande poste dagli avvocati e dal

PM. Ti è tutto chiaro?

GIULIO: Sì.

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Esame da parte della Difesa di Giulio Barra

AVV. SCORZA: Dunque, Giulio... partiamo: conosci Gaia?

GIULIO: E' molto amica della mia fidanzata Beatrice... ma a me

questa amicizia non piace.

AVV. SCORZA: E, dicci, come mai non ti piace?

GIULIO: Non mi piace soprattutto perché stavano troppo

attaccate e si dicevano cose… troppo intime. Poi quando ho visto

di che pasta è fatta Gaia... ho detto a Beatrice che non mi andava

che stessero sempre così attaccate.

AVV. SCORZA: E di che pasta, come dici tu, credi sia fatta

Gaia?

GIULIO: A me dispiace per quello che è successo... ma se l'è

cercata: già si diceva in giro che era una leggera e insomma... una

ragazza facile. E la risposta l'ho avuta quella sera, quando, con

Bea, siamo ritornati nella tavernetta di Luca... l'abbiamo trovata in

quel modo, ubriaca e in mezzo a tre maschi!

AVV. SCORZA: Grazie Presidente, ho finito.

Controesame da parte del PM a Giulio

PRESIDENTE: Va bene, va bene... passiamo adesso all'accusa,

prego PM.

PM: Ciao Giulio... Beatrice ha dichiarato che sei stato molto

fermo nel chiederle di non frequentare Gaia. Perché?

GIULIO: Doveva scegliere, ad un certo punto, o me o Gaia. Non

poteva continuare con quello "stare sempre attaccate"! Adesso lei

sta con me.

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PM: Ma se sono così amiche... a te, perché dispiace?

GIULIO: Sì, sì sono amiche... ma io non permetto che la mia

fidanzata dica cose come “mi manchi, ti adoro”... si dicevano pure

“io ti amo”!.. non sono mica un pupazzo, io. O è tutta mia oppure

non stiamo più insieme! E Bea ha capito.

PM: E quella sera a casa di Luca, quando siete tornati con

Beatrice, come avete trovato Gaia?

GIULIO: Era di cattivo umore e non ha detto una parola ma gli

altri scherzavano e hanno scherzato su quello che avevano fatto.

PM: Ma voi siete arrivati quando era tutto finito, non è vero?

GIULIO: Si, ma poi mi è bastato vedere le foto... me le hanno

spedite Antonio e Mirko.

PM: Va bene. Basta così Giulio, abbiamo finito, accomodati.

Esce Giulio

PRESIDENTE: Allora, avvocati qual è il terzo teste della

Difesa?

AVV. GALLO: Chiamo a deporre Federico Foglia, compagno di

istituto degli imputati.

UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): Federico Foglia entri in aula.

Entra Federico Foglia e viene accompagnato al Banco

PRESIDENTE: Ciao Federico, senza problemi, ti accomodi e

leggi la formula d'impegno e poi... tienila sempre presente perché

la tua testimonianza ha un peso notevole nel processo.

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FEDERICO: Consapevole della responsabilità morale e giuridica

che assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e

a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.

Siede

PRESIDENTE: Prego allora Federico, fornisci adesso le tue

generalità.

FEDERICO: Mi chiamo Federico Foglia, nato a Catanzaro il

07/05/2000, sono residente a Catanzaro e frequento il secondo

Liceo Scientifico.

Esame da parte della Difesa di Federico Foglia

PRESIDENTE: Grazie Federico, ti vedo in forma e tranquillo!

(rivolto alle parti) Avvocati e PM anche in questo caso, affiderei

direttamente a voi l’esame del teste:

AVVOCATI E PM (insieme): nessuna obiezione Presidente.

PRESIDENTE: Bene, signori, ritengo pertanto possibile ed

opportuno che Federico risponda direttamente alle domande che

saranno da voi poste, procediamo avvocato;

AVV. MILIE': Dunque Federico, tu non hai partecipato al gioco

che definiremmo un po' spinto, nella notte del 26/09/2014 nella

Tavernetta di Luca, ma quella sera, eri alla festa nella villa dei

sigg. Camera, in compagnia dei tuoi amici. Raccontaci di quella

sera.

FEDERICO: Sono arrivato con il motorino a casa di Luca alle 20

e dopo cena, mi sono appartato con Marta, una mia compagna di

scuola con la quale siamo stati in una stanza, al piano di sopra,

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poiché i genitori di Luca erano a cena fuori ed avevamo a

disposizione tutta la villa.

AVV. MILIE': E cosa hai visto al tuo ritorno nella tavernetta?

FEDERICO: Siamo rimasti scioccati quando siamo tornati e

abbiamo trovato una specie di set fotografico con tante lampade

accese... Ve l'ho detto, sembrava un set fotografico!

AVV. MILIE': E i tuoi compagni e Gaia? Dov'erano?

FEDERICO: Erano sul divano tutti insieme e Gaia era mezza

nuda.

AVV. MILIE': Cosa significa mezza nuda, aveva il seno nudo?

FEDERICO: Quando siamo entrati io e Marta si è come

spaventata e si è nascosta dietro alla libreria... ma poi ho visto che

era in reggiseno e mutande.

AVV. MILIE': E qual è stata la reazione tua e di Marta?

FEDERICO: Abbiamo chiesto cosa stessero combinando e loro

si sono messi a scherzare dicendo che era stata una serata molto

divertente.

AVV. MILIE': E secondo te, avevano bevuto molto?

FEDERICO: Abbastanza ecco, ma non da stare male.

AVV. MILIE': E ti è sembrato di vedere Gaia in imbarazzo o in

difficoltà?

FEDERICO: Mi è sembrata imbarazzata ma credo più per il

nostro ritorno e per quello, poi, di Beatrice e Giulio che sono

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arrivati dopo un poco.

AVV. MILIE': E cosa è avvenuto tra te e Gaia nei giorni

successivi?

FEDERICO: Ci siamo scritti via WhatsApp perché lei mi ha

raccontato che, quella sera, avevano scattato delle foto con una

macchina fotografica professionale... è quella che le ha regalato il

padre, che è fotografo ma... è successo che la scheda di memoria

della macchina doveva essere rimasta a casa di Luca. Così mi

chiedeva di aiutarla a riprendergliela. Io sono andato a casa di

Luca, ho preso la scheda che era vicino alla Playstation e gliel'ho

fatta riavere. E lei è stata molto contenta del favore che le avevo

fatto.

AVV. MILIE': E gliel'hai restituita?

FEDERICO: Sì, quando ci siamo poi visti al compleanno di

Mario Danetti, il sabato successivo... e... e … siamo stati insieme.

AVV. MILIE': Cioè avete avuto un incontro intimo?

FEDERICO: Non abbiamo fatto sesso perché lei ha detto che le

piaceva un altro.

AVV. MILIE': Hai poi ricevuto le foto che ritraevano Gaia nuda?

FEDERICO: Sì, le ho ricevute sul gruppo “Tavernauti”, su

WhatsApp, come poi le hanno avute tutti, ma io le ho cancellate e

non le ho mai condivise.

AVV. MILIE': Attenzione, adesso, a questa domanda Federico...

Puoi dirci qual era l’atteggiamento di Gaia rispetto a queste foto?

FEDERICO: Ho pensato volesse che fossero divulgate perché

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altrimenti non avrebbe lasciato la scheda di memoria a casa di

Luca, quella sera. Allora, ho pensato che avesse lasciato le foto a

Luca perché venissero postate.

AVV. MILIE': Grazie sig. Presidente, ho finito.

Controesame da parte del Pubblico Ministero di Federico

Foglia

PRESIDENTE: Adesso passiamo a lei sig. PM ... Prego.

PM: Non è vero che nei giorni successivi a quella sera, dai vostri

messaggi su WhatsApp, risulta che Gaia era molto preoccupata

perché la scheda SD di memoria della macchina fotografica era

sparita?

FEDERICO: Sì.

PM: E ritieni che una persona che voglia che le foto vengano

pubblicate, poi si preoccupi di riaverle?

FEDERICO: Sì, lei era preoccupata... ma io ho pensato che si

fosse pentita di quello che aveva fatto …

PM: Mentre tu la rassicuravi sul fatto che l'avresti trovata e gliela

avresti restituita presto...

FEDERICO: Sì.

PM: E ... come mai eri così sicuro di trovarla, questa scheda?

FEDERICO: Ehm … perché poteva trovarsi solo a casa di Luca!

PM: E come mai proprio dopo che le hai restituito la scheda,

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avete passato una serata, diciamo intima, insieme?

FEDERICO: Ci siamo trovati ecco ... io sono maschio!

PM: Sì, questo lo vediamo, ma non è forse vero, come risulta dai

tabulati di WhatsApp, che sei stato molto insistente nel cercare di

convincerla a quello che pure tu hai definito, in uno dei messaggi,

uno scambio?

FEDERICO: Io pure se ho insistito... diciamo che, comunque, mi

faceva piacere fare una cosa che le faceva piacere... sapendo che

questo l'avrebbe fatta un poco sciogliere verso di me.

PM: E come mai, all'una di notte di quel sabato 26/09 già scrivevi

ad Antonio che la scheda ce l'avevi tu?

FEDERICO: Ehm, forse non ricordo bene, forse la scheda... sono

tornato a prenderla quella sera stessa.

PRESIDENTE: Federico, non ricordi bene?... Ma io ti ricordo

che sei sotto giuramento ed è una cosa molto seria quella che

stiamo facendo... Prego PM.

PM: Quindi forse sei tornato a prenderla quella sera stessa... Va

bene anche perché, comunque, non risulta dai messaggi

WhatsApp che Gaia te l'avesse già chiesta, questa scheda...

FEDERICO: Non l'aveva fatto per messaggio, me lo aveva

chiesto a voce.

PM: Ok, ok e... senti Federico, oggi, non provi rimorso per aver

un po' approfittato di una situazione in cui Gaia era un po' fragile,

diciamo per trascorrere una serata in sua compagnia?

FEDERICO: In effetti, mi sono un po' pentito che siamo stati

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insieme... ma io non è che l'ho costretta, e poi... io sono uomo,

doveva essere lei a dirmi di no e non farsi acchiappare!

PM: Grazie Presidente, ho finito ma chiedo che l'imputato non si

allontani e rimanga a disposizione fino alla fine del processo.

PRESIDENTE: Certo PM, la richiesta è accolta... Grazie

Federico, puoi andare ma non puoi allontanarti.

Esce Federico

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INTERMEZZO (L'incidente probatorio)

PRESIDENTE: Grazie sig. PM. Passiamo ora a sentire come

testimone la persona offesa. Nelle questioni preliminari abbiamo

stabilito questa variazione, procederemo ora con modalità

analoghe all'Incidente Probatorio, come abbiamo già detto. Il

Collegio ha deciso di delegare la dott.ssa Giorgia Sestito, giudice

onorario e psicologa per l'audizione di Gaia, con modalità

protette.

L’audizione di Gaia prevede un sia pur minimo cambio di scena.

Si suggerisce di spegnere le luci e illuminare solo le due attrici

che prenderanno posto una di fronte all'altra.

GIUDICE ONORARIO: Ciao Gaia, io sono Giorgia Sestito, sai

dove ti trovi?

GAIA: So di essere in un'aula protetta del Tribunale per i minori.

GIUDICE ONORARIO: Ti sono chiari i motivi per cui ti trovi

qui?

GAIA: Perché mio padre ha denunciato i miei compagni… hanno

divulgato delle foto di me nuda e si sono accaniti su di me…

GIUDICE ONORARIO: Bene Gaia sai cosa faremo qui oggi?

GAIA: So che mi dovete ascoltare, però non mi è chiaro cosa

succederà.

GIUDICE ONORARIO: Ok, oggi ci dedicheremo al tuo ascolto

e questo consentirà ai giudici che seguono il tuo caso di portare

avanti il processo...

Io sono una dei giudici e sono anche una psicologa, sai cos'è una

psicologa?

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GAIA: Sì

GIUDICE ONORARIO: Devi sapere che poi la tua deposizione

sarà ascoltata dal Presidente, dal PM, dal tuo avvocato e dagli

avvocati di parte. Sai chi sono queste persone e qual è la loro

funzione?

GAIA: Sì

GIUDICE ONORARIO: Ora che ti è tutto chiaro rimane una

cosa importante da dire. In questo ascolto ci sono delle regole da

seguire...

GIUDICE ONORARIO: Cominciamo Gaia, come ti ho spiegato,

adesso reciti la formula di impegno e poi dici le tue generalità.

GAIA: Consapevole della responsabilità morale e giuridica che

assumo con la deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a

non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza. Sono Gaia

Procopio, nata a Catanzaro il 29/8/2000 e sono residente in via

Santa Maria, 12, Catanzaro.

GIUDICE ONORARIO: Ci racconti della festa a casa di Luca

del 26/9/2014?

GAIA: Ero molto felice quel giorno! Era la prima volta che Luca

mi invitava a casa sua. Io, Luca, lo conoscevo già dalle scuole

medie, ma solo di vista. Quando c'è lui non capisco più niente, il

cuore mi va a duemila; perciò quando mi ha chiesto di andare da

lui per la festa mi sono sentita al settimo cielo. Per me quel giorno

doveva essere speciale…

GIUDICE ONORARIO: Ti va di raccontarmi quello che è

successo?

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GAIA: Luca mi ha chiesto di fare uno spogliarello per lui e i suoi

amici...

GIUDICE ONORARIO: Cosa stavate facendo prima che Luca ti

chiedesse di fare questa cosa?

GAIA: Dopo aver mangiato, una coppietta di amici si è appartata

in una camera, mentre io, Luca, Antonio e Mirko siamo rimasti

nella tavernetta a chiacchierare e scattare qualche foto con la

macchina fotografica che mi aveva regalato mio padre. Ad un

certo punto, ci è venuta l'idea di accendere tutte le lampade e

anche un ventilatore, che era nell'angolo della stanza, per fare

finta di essere su un set fotografico, continuando a fare scatti.

GIUDICE ONORARIO: Cosa provavi mentre facevi quelle

foto?

GAIA: Era divertente… e poi mi sentivo una diva, gli occhi di

Luca erano fissi su di me, e questo non poteva che rendermi

felice.

GIUDICE ONORARIO: Quindi se ho capito bene, eravate a

questa festa, avete deciso di realizzare una sorta di set fotografico

ed avete fatto delle foto in cui tu facevi da modella e questa cosa ti

faceva sentire una diva? È corretto?

GAIA: Sì, è così.

GIUDICE ONORARIO: Prima hai detto che Luca ti avrebbe

chiesto di spogliarti?

GAIA: Sì

GIUDICE ONORARIO: Potresti specificare in quale modo e in

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che momento te lo ha chiesto?

GAIA: dopo le prime foto, tra una risata e l'altra, ho iniziato ad

assumere delle pose un po’ sexy… ripeto, eravamo tutti molto

divertiti… ad un certo punto Luca, che con i suoi modi non solo

sa comandare, ma sa anche come ottenere le cose e farti fare ciò

che vuole, mi ha chiesto di levarmi la gonna... mi chiamava

Bambolina mia... ed io come una scema l'ho fatto felice … almeno

così pensavo.

GIUDICE ONORARIO: Come ti sei sentita in quel momento,

mentre Luca ti chiedeva di spogliarti?

GAIA: Mi sono sentita molto in imbarazzo… non mi faceva certo

piacere spogliarmi, ma me lo aveva chiesto Luca… ed io mai e

poi mai avrei voluto deluderlo. In quel momento pensavo che se

non l'avessi fatto Luca se la sarebbe presa e non mi avrebbe più

invitata. Non potevo fare la figura della bambina impaurita e non

mi sono fermata… e poi, a dirla tutta, avevamo anche bevuto della

vodka… insomma, io… io… non pensavo potesse finire in quel

modo.

GIUDICE ONORARIO: Ok abbiamo stabilito che, lo stesso, hai

deciso di spogliarti. Dalle prove sappiamo che le foto sono

diventate pubbliche. Volevi che le foto che avete scattato quella

sera, nella Tavernetta, fossero divulgate?

GAIA: No, no, no! Non ho mai voluto... è una bugia! È una

bugia. Mai avrei potuto pubblicare quelle foto. Non so perché mi

vogliono così male! È vero che le foto le abbiamo fatte con la mia

macchina fotografica... ma qualcuno si è rubato la scheda di

memoria e ha copiato le foto per... ammazzarmi! Mi hanno

ammazzata, capite... sono morta, sono morta!

GIUDICE ONORARIO: (con dolcezza) Capisco Gaia che tu ti

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possa sentire così... ti chiedo però, lo sforzo di rimanere

concentrata.

GAIA: (Annuisce)

GIUDICE ONORARIO: E come ti sei sentita, quando i ragazzi

del gruppo hanno pubblicato le foto?

GAIA: Non potevo credere ai miei occhi, mi sono sentita morire.

Volevo sparire dalla faccia della terra.

GIUDICE ONORARIO: Ci puoi dire cosa è successo nei giorni

successivi alla pubblicazione delle foto?

GAIA: Per me è stato terribile. Avrei voluto tenere tutto nascosto,

ma a scuola tutti hanno iniziato a guardarmi male, anche quelle

che reputavo mie amiche mi tenevano a distanza... ma la cosa che

mi ha ammazzato, che mi ha fatto a pezzi, sono stati i messaggi su

WhatsApp. Soprattutto quelli mandati da Luca, Mirko e Antonio.

Loro dicevano di riportarmi solo quello che sentivano in giro... su

di me... delle parole molto offensive… anche se a questo punto

non so più se era vero.

GIUDICE ONORARIO: Come ti senti, oggi, a parlare di questa

storia?

GAIA: E’ stato difficile, tutti mi avevano allontanata… mi

sentivo molto sola. Non mi sono potuta fidare di nessuno. Ho

capito che la gente è vigliacca... e la cosa peggiore è che la più

vigliacca di tutti sono stata io, perché ad un certo punto ho

cominciato a non rispondere più a quei messaggi... leggevo e

rileggevo lo stesso messaggio 100 volte per capire fin dove si

sarebbero spinti. Non avevo la forza di reagire, di chiedere di

smetterla con tutte quelle cattiverie. Mi hanno detto e scritto di

tutto, ed io lì, ad ascoltare, muta... che ero la sagra della cellulite,

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che il mio corpo era orrendo... poi mi davano della mongoloide...

ricordo ogni singola parola. Io… io non me la sento di raccontare

tutto, perché alcuni messaggi sono troppo volgari. Ancora oggi mi

capita, qualche volta, di svegliarmi di notte e di pensarci… senza

riuscire più a dormire. Ma grazie al cielo, oggi ne parlo come di

un brutto sogno, di una cosa passata completamente.

GIUDICE ONORARIO: Hai detto che rimanevi a rileggere

cento volte i messaggi e che raccontando oggi queste cose ti senti

sola. Come ti sentivi in quel periodo?

GAIA: Stavo peggio. Avevo smesso di mangiare e dormire,

avevo iniziato a non volere più uscire, né curarmi … un giorno,

disperata, ho aperto il mio armadio e con le forbici ho tagliato tutti

i miei vestiti... pensavo che quell'incubo non sarebbe mai finito…

GIUDICE ONORARIO: Gaia, se ho capito bene, mi stai

dicendo che a seguito di tutti questi episodi hai cambiato il tuo

modo di vivere e che questa cosa ti ha fatto a pezzi.

GAIA: Assolutamente sì.

GIUDICE ONORARIO: Ne hai parlato con qualcuno?

GAIA: No, ero terrorizzata all'idea che i miei genitori prima o poi

avrebbero scoperto tutto. Come avrei potuto spiegare quelle

foto… mi vergognavo troppo e tutti i messaggi che ricevevo, tipo

"ammazzati", "impiccati"… mi mettevano paura.

GIUDICE ONORARIO: Cos'è successo poi?

GAIA: Immagino lo sappiate … continuare in quel modo era

insopportabile … dovevo farla finita... (Gaia sta un po' in silenzio)

... e ho tentato di impiccarmi.

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GIUDICE ONORARIO: Come mai hai pensato di farlo?

GAIA: Quando non sei nessuno per gli altri, non vale la pena

vivere.

GIUDICE ONORARIO: Quando hai pensato di farlo

concretamente?

GAIA: Quando ho visto le foto mi sono sentita morire, ma ero

talmente innamorata di Luca che pensavo che prima o poi sarebbe

finito tutto. Avevo perso la voglia di fare tutto, me ne stavo chiusa

in casa, ma la cosa che mi faceva un po' sperare erano i messaggi

che continuavo a scambiarmi con Luca, anche se solo per parlare

di quelle maledette foto e di cosa diceva la gente. Poi tutto è

peggiorato. Una mattina gli ho chiesto di andare insieme a

scuola… pensavo che magari così gli altri non mi avrebbero presa

in giro... e lui invece mi ha risposto che... mai e poi mai sarebbe

andato a scuola con me perché io ero una poco di buono e lui non

voleva di certo perdere la faccia a causa mia… io sono morta… e

ho fatto quel che ho fatto.

GIUDICE ONORARIO: (con dolcezza) Mi dispiace Gaia…

Vuoi che facciamo una pausa?

GAIA: No, voglio arrivare fino in fondo.

GIUDICE ONORARIO: Sei a conoscenza di come sono state

divulgate le foto?

GAIA: So solo che quando non ho trovato la scheda nella

macchina fotografica, ho chiesto aiuto a Federico e lui mi ha

aiutato a ritrovarla… Ci siamo incontrati a casa di Mario. Ci

siamo pure baciati, non so nemmeno io perché l'ho fatto… non ci

capivo più nulla…

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GIUDICE ONORARIO: Ti sei fatta un’idea di come sia sparita

la scheda dalla macchina fotografica?

GAIA: Quando sono tornata a casa, la scheda non c’era più e

quindi doveva essere per forza stata presa a casa di Luca. Da chi,

non lo so proprio. Poi ho scritto a Federico per sapere dove fosse

la scheda per paura che le foto fossero divulgate.

GIUDICE ONORARIO: Tu hai già affermato che non volevi

che le foto fossero pubblicate. C’era qualcun altro che era a

conoscenza del fatto che non volevi che le foto fossero

pubblicate?

GAIA: Nei messaggi che gli spedivo dicevo a Federico che non

volevo assolutamente, gliel’ho detto quanto ci tenevo che le foto

non fossero pubblicate… per cui lui lo sapeva proprio bene! Ma è

molto furbo e protegge i suoi amichetti! A lui interessava solo

stare con me e… a me solo riavere quella maledetta scheda! Gli

ho detto pure quanto ero innamorata di Luca... e invece loro mi

hanno rovinata lo stesso!

GIUDICE ONORARIO: E come ha fatto a recuperare questa

scheda?

GAIA: Federico mi ha detto che era rimasta nella Tavernetta e

che lui l'ha recuperata ma non mi ha detto chi l'ha rubata dalla

macchina fotografica.

GIUDICE ONORARIO: Va bene Gaia, va bene: abbiamo finito.

Capisco che per te sia stato molto difficile riaffrontare tutto

questo… Ti ringrazio… E dimmi, oggi come stai?

GAIA: Oggi sto molto meglio, perché dopo aver tentato il

suicidio, ho capito che avevo bisogno di aiuto e sono stata seguita

da una psicologa che mamma e papà hanno trovato per me. La

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cosa più importante per me oggi è che ho capito che non sono una

povera scema e non meritavo tutto questo: nessuno merita di

subire cose del genere.

Fine dell’Ascolto

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ATTO III (Interrogatorio degli Imputati)

PRESIDENTE: PM con quale imputato iniziamo

l'interrogatorio?

PM: Con Luca Camera.

Luca si avvia al banco

PRESIDENTE: Prego,... non essere nervoso... Ti faccio presente,

come ti avrà spiegato il tuo avvocato, che è stato chiesto il tuo

esame e che hai diritto di non rispondere alle domande, anche se il

processo andrebbe avanti ugualmente. Vuoi rispondere?

LUCA: Io non sono per niente nervoso! Rispondo... certamente.

Siede

PRESIDENTE: Bene Luca, ora risponderai alle domande che ho

preparato con il PM e con il tuo difensore.

Tu interloquirai solo con me, così ti porgerò io le domande, anche

quelle preparate dalle parti. Va bene?

LUCA: Sì, sì, come volete.

PRESIDENTE: Dunque, ci racconti di quella sera a casa tua, in

cui vennero scattate le foto con la macchina di Gaia?

LUCA (scostante): Ho già detto tutto quando ho parlato con la

Polizia... che devo aggiungere?

PRESIDENTE: Diciamo, perché ti sia chiaro, che questo è il

momento più importante. Pensa che non conosciamo quanto hai

detto finora. E’ qui che devi cercare di dimostrare la tua

innocenza.

LUCA (infastidito): Ho già detto che le foto sono stato io a

postarle sul gruppo, questo sì, ma anche che me lo ha chiesto Gaia

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perché voleva farsi bella con tutti e perché voleva essere famosa.

PRESIDENTE: Però Gaia sostiene il contrario... dice che vi ha

pregato di non pubblicare le foto e che la scheda di memoria della

macchina le è stata sottratta.

LUCA: E che mi importa della parola di una pagliaccia! È la sua

parola contro la mia.

PRESIDENTE: Senti Luca, forse tu non hai realizzato cosa sta

succedendo qui! Questo non è un videogame e qui non arriva la

protezione a cui sei abituato! Non c'è il joystick e, soprattutto, non

si può ricominciare la partita... Devi cercare di capire che il

Tribunale deciderà della tua vita futura e ti potrebbe anche

condannare.

LUCA (arrogantemente): Se è per la multa, la possiamo pagare!

AVV. GALLO: Chiedo un' interruzione, Presidente!

PRESIDENTE: Ecco, forse è il caso, avvocato, cerchi di parlare

lei col ragazzo...

L'avv. Gallo si avvicina al banco dov'è Luca,

confabula con lui che dà segni di grande nervosismo.

Poi si allontana.

PRESIDENTE: Spero che muterai atteggiamento perché quello

di prima non portava a niente di buono per te... Ora mi corre

l'obbligo di proseguire con l'interrogatorio. Andiamo avanti.

LUCA: E se io non voglio?

PRESIDENTE: Cioè mi stai dicendo che ti rifiuti di continuare...

In teoria, ti ho detto che lo potresti anche fare ma, senti, facciamo

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che interrompiamo un'altra volta... Forse è il caso che tu ti consulti

bene con il tuo avvocato e con i tuoi genitori...

AVV. GALLO: Se le altre parti sono d'accordo, Presidente,

vorrei chiedere che l'esame di Luca Camera venga interrotto e

posposto, dopo quello degli altri due imputati.

Inoltre vorrei che fosse chiaro che quanto testé avvenuto è di certo

frutto del nervosismo del ragazzo.

PRESIDENTE: Va bene Avv. Gallo, risentiremo Luca più tardi e

speriamo arrivi a più miti consigli... Allora PM, passiamo a sentire

un altro imputato?

PM: Mirko Morelli.

Si alza Mirko e si porta al banco

PRESIDENTE: Prego, nessuna paura...

MIRKO: Sì, sì.

PRESIDENTE: Lo dico anche a te, come già ti avrà spiegato il

difensore... hai diritto a non rispondere alle domande ma devo

anche dirti che se non rispondi il processo andrà avanti

ugualmente. Vuoi rispondere?

Siede

MIRKO: Sì, va bene.

PRESIDENTE: Ora risponderai alle domande sia del PM che del

tuo difensore. Le domande mi sono state già proposte da loro e tu

parlerai solo con me come è previsto dalla legge. Va bene?

MIRKO: Sì.

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PRESIDENTE: Allora, ci racconti di quella sera a casa di Luca

in cui vennero scattate le foto con la macchina di Gaia?

MIRKO: Sì, c'era una festa a casa di Luca e, come al solito,

siamo finiti in tavernetta a giocare con la Play-Station. Poi

abbiamo mangiato e dopo mangiato le coppie che erano lì sono

sparite nelle stanze della villa di Luca.

Siamo rimasti io, Antonio e Luca, in compagnia di una nostra

compagna di classe, Gaia. Lei aveva una macchina fotografica

buona e nuova nuova; con quella scattava foto in continuazione,

soprattutto a Luca. Poi Antonio ha preso la macchina ed ha

iniziato a scattare foto a lei. In fondo alla stanza c'è un divano

nero di pelle e lì intorno abbiamo portato tutte le piantane e le

lampade che c'erano al piano di sotto della villa. Sembrava un set

di moda. La musica era a palla e Luca ha recuperato pure un

ventilatore e tutti abbiamo fatto i fotografi, mentre la modella era

Gaia. Ad ogni giro di foto brindavamo con la vodka al limone e

visto che Gaia era già ubriaca, ha cominciato a mettersi in pose

provocanti. Aveva la maglietta e si è tolta il reggiseno che aveva

sotto e a quel punto Antonio non ci vedeva più dagli occhi, era

completamente andato e diceva che se non riusciva a stare con lei

rompeva il muro con la testa! Luca era molto divertito ed ha

scattato solo le foto di particolari: occhi, bocca ed i piedi di Gaia.

A quel punto, Gaia non aveva più molti vestiti addosso e Luca le

ha ordinato di togliersi la gonna perché nessuna coniglietta di

Playboy rimane vestita! Poi le ha detto di spogliarsi

completamente per il pubblico. E lì Gaia non voleva farlo più ed

hanno cominciato a beccarsi... ma ho visto che Luca se la girava

come voleva. Avevo già qualche sospetto che Luca piacesse a

Gaia e lì l'ho capito benissimo. Chi non capiva niente invece era

Antonio che era ubriaco perso e cercava di palpare e toccare Gaia

dappertutto. Ad un certo punto Gaia ha acconsentito e si è fatta

fotografare nuda. Luca voleva continuare e le chiedeva ancora

altre cose, ma Gaia ad un certo punto ha detto che voleva fermarsi

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e si è rimessa reggiseno e slip. E proprio allora sono tornati Marta

e Federico e ci hanno interrotto.

PRESIDENTE: Bene Mirko, sono contento che tutto sia stato

così chiaro... ma adesso cerca di rispondere a questa domanda cui

solo tu puoi rispondere... Se Gaia aveva chiesto che le foto fossero

diffuse, deve esserci stato per forza un momento in cui lei ha

messo a vostra disposizione la scheda di memoria... Ora, ricordi

quando l'ha tolta dalla macchina fotografica e soprattutto a chi l'ha

data? La scheda non si muove da sola... Quindi, ripeto, chi ha tolto

la scheda di memoria dalla macchina fotografica e quando?

MIRKO: Io, io, io... ehm... non lo so, non ricordo...

PRESIDENTE: Mirko, attento, “non lo so” e “non ricordo” sono

molto lontane come risposte. Fino ad adesso non hai perduto un

colpo... perché adesso ti fermi? Sei un ragazzo intelligente, devi

aver capito quali sono state le conseguenze del fatto che quella

scheda è rimasta a casa di Luca. Si può affermare che se non

capiamo questo punto non andiamo avanti... Allora, ti ripeto, con

la massima serietà: chi ha tolto la scheda di memoria dalla

macchina fotografica?

MIRKO: (titubante) Io, io, non lo so, non ricordo!

PRESIDENTE: Mirko, adesso ti faccio vedere una cosa...

Cancelliere, mi porga il fascicolo delle prove documentali, per

cortesia...

Prende una foto e la sottopone a Mirko

Ecco quali sono state le conseguenze causate da quella scheda!...

Hai visto come è ridotta Gaia in questa foto, ti sembra la stessa

ragazza che fotografavate quella sera?

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MIRKO: Madonna mia no! No! (scoppia in lacrime) Che

abbiamo fatto! Che abbiamo fatto!

PRESIDENTE: Mirko, chi ha tolto la scheda di memoria dalla

macchina fotografica?

MIRKO: È stato Federico, è stato Federico!

PRESIDENTE: Federico? ... Federico Foglia?

MIRKO: Sì, perché voleva scambiarla con una pomiciata con

Gaia solo che poi, quando l'ha fatto... tutto è scoppiato!

PRESIDENTE: Va bene, ci fermiamo un attimo, così potrai

calmarti ma anche perché a questo punto vedo necessario mettervi

a confronto... è evidente che le vostre deposizioni sono in aperto

contrasto.

UFFICIALE GIUDIZIARIO (in fondo all'aula e ad alta voce): Il sig. Federico Foglia entri in aula.

Entra Federico e viene accompagnato al banco di fronte a Mirko

PRESIDENTE: PM e avvocati, prepariamoci per il confronto.

Federico, ti ricordo che tu ti sei già impegnato a dire la verità in

questo processo come testimone e questo impegno perdura.

Abbiamo deciso di metterti a confronto con Mirko. Credo che sia

opportuno, per memoria di tutti, dare lettura della norma che

punisce la testimonianza falsa o reticente: Prego il Cancelliere di

dare lettura dell’art. 372 cp.

Si alza il Cancelliere

CANCELLIERE: Art. 372 del cp. Chiunque, deponendo come

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testimone innanzi all'Autorità giudiziaria afferma il falso o nega il

vero ovvero tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui

quali è interrogato, è punito con la reclusione da 2 a 6 anni.

PRESIDENTE: Tu, Mirko, hai detto che la scheda di memoria

della macchina fotografica di Gaia l'ha presa Federico. Ti ricordo,

invece, Federico, che hai dichiarato come testimone, e lo sei

ancora, di essere tornato alla tavernetta e di aver preso la scheda

che era vicino alla Playstation.

FEDERICO: (confuso) Ma non capisco, che vuol dire? Può

ripetere..., non ho capito bene…

PRESIDENTE: Mi spiego meglio... Mirko, correggimi se

sbaglio, hai detto che a sottrarre la scheda dalla macchina

fotografica di Gaia è stato lui?

MIRKO: Sì

FEDERICO: Ma che dici Mirko, ma che cavolo! Ma che? Ma

che?...

MIRKO: Adesso basta Federico, io non gioco più, è una

schifezza quello che abbiamo fatto a Gaia!

Dal banco degli imputati

ANTONIO (agitato e ad alta voce): Basta! Basta! Adesso basta,

è finita, non ne voglio più sentire parlare: siamo stati noi, siamo

colpevoli ed abbiamo fatto una carognata, una carognata… tutti...

tutti per i nostri bravi motivi... Federico! Sei stato tu a prendere

quella maledetta scheda, e tutto è iniziato da lì.

Non gioco più nemmeno io... mi tiro fuori e quello che viene è

sempre meglio di questa messinscena!

Presidente, ci eravamo messi d'accordo per recitare le nostre parti

e salvarci a vicenda... Pure Federico ci aiutava nei messaggi

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contro Gaia…

Io l'ho fatto, invece, perché a Gaia volevo bene… ma era la

ragazza sbagliata, e non mi ha voluto... e per stupida gelosia… ho

cercato di odiarla, di distruggerla, ma non potevo immaginare che

saremmo arrivati a questo punto!...

Piange anche Federico

FEDERICO: (con le mani sul viso) Sì, è tutto vero sig.

Presidente, sono stato uno stupido a prendere quella scheda. Ma io

ho solo fatto qualche fotomontaggio!

Dal banco degli imputati

LUCA: La verità è solo che siete tutti dei cacasotto… dei buffoni!

PRESIDENTE: Silenzio in aula! ... Altrimenti sarò costretto a

fare allontanare chi disturba l’udienza.

Una breve pausa

PRESIDENTE: Signori, abbiamo concluso l’acquisizione delle

testimonianze ed abbiamo raccolto le dichiarazioni degli imputati.

A questo punto, dichiaro chiusa l’istruttoria dibattimentale ed

invito le parti a concludere.

Prego PM, a Lei la parola per la sua requisitoria.

In aula i difensori di Mirko e Antonio confabulano con il PM

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Requisitoria del PM:

PM: Signor Presidente, se potevano residuare dei dubbi, a parere

di questo ufficio comunque ingiustificati, circa la piena

responsabilità degli imputati, l’evoluzione del dibattimento e le

sincere confessioni che abbiamo ascoltato non giustificano

ulteriori perplessità. Peraltro essendo stato informato dai difensori

di Antonio e Mirko della loro intenzione di richiedere la

sospensione per messa alla prova pur attendendo la richiesta

formale in tal senso, mi riservo di esprimere il parere dell’ufficio

circa un rinvio del processo al fine di verificare la possibilità di

applicazione del suddetto istituto. Avanzo pertanto le mie richieste

finali unicamente su uno dei tre imputati. Nei confronti di Luca

Camera richiedo che venga dichiarata la responsabilità per tutti

reati contestati, unificati sotto il vincolo della continuazione e che

sia condannato alla pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione e 15.000

euro di multa, con esclusione dei benefici di legge.

Chiedo inoltre nei confronti di Luca, in attesa che la sentenza

diventi definitiva, che venga immediatamente applicata la misura

rieducativa del collocamento in comunità.

In ordine, invece al teste Federico Foglia chiedo la trasmissione

degli atti al mio ufficio perché si proceda separatamente,

ravvisandosi a suo carico il concorso negli stessi reati contestati

agli imputati.

PRESIDENTE: Grazie PM. Invito a questo punto i difensori a

svolgere le proprie arringhe. La parola all’avv. Scorza.

Arringhe degli avv. difensori

Avv. SCORZA: Presidente … Onorevole Tribunale,

quale difensore di Mirko Morelli formulo richiesta di sospensione

del processo ai sensi dell’art. 28 del DPR 448/1988.

Insieme abbiamo potuto constatare che, in verità, vi è concreta

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possibilità di recupero del minore che rappresento.

La messa alla prova, attraverso il progetto educativo in essa

contenuto, sarà utile a far emergere ogni aspetto positivo del

carattere di Mirko, eviterà ulteriore commissione di reati e

condurrà, senza dubbio alcuno, ad una corretta condotta di vita.

La consapevolezza di avere agito in maniera sbagliata nei

confronti della giovane Gaia e la rivisitazione accorata dei propri

agiti, fanno ben sperare in un esito positivo del percorso di messa

alla prova; il ravvedimento, sincero, del minore… Presidente… è

di per sé un segnale di buona riuscita.

PRESIDENTE: Grazie Avvocato. La parola all’avv. Miliè.

AVV. MILIE’: La difesa di Antonio Casale si associa alla

richiesta appena formulata dal collega.

Presidente, la messa alla prova è un’opportunità alla quale il mio

assistito vuole rivolgere tutte le sue energie, anche per dimostrare

– a Gaia, a se stesso e alla famiglia – di avere compreso i propri

errori e di avere preso parte a qualcosa di molto pericoloso. Questi

errori, sig. Presidente, non si ripeteranno più; quanto è accaduto

ha cambiato molto Antonio … il suo modo di pensare e di vivere.

Si dice disponibile, anche da subito, a dialogare con Gaia, si

presta ad un confronto per porgere le sue sentite scuse e per dirle

che vorrebbe rimediare al male che le ha procurato. Questo basta,

Presidente, a farci comprendere che il ragazzo è pronto ad

affrontare un percorso di messa alla prova e che questo potrà

avere esiti positivi.

PRESIDENTE: Grazie avvocato. Ascoltiamo ora le conclusioni

dell’avv. Gallo.

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AVV. GALLO: Signor Presidente, signori giudici, ho il difficile

compito di svolgere le difese nell'interesse di Luca. Per lo stesso

difensore è stato in parte fonte di sorpresa.

D'altra parte io rivendico la nobiltà della funzione del difensore

tecnico che apprende dal suo assistito esclusivamente quello che

egli vuole dirgli senza forzature e non ritengo che questa sia

ingenuità. In questi mesi io ho conosciuto un Luca ben diverso da

quello che può essere apparso a voi e, forse, solo ora capisco dei

momenti di grave depressione del ragazzo che a me non aveva

voluto chiarire.

Luca in realtà, è il frutto di modelli educativi che gli stessi genitori

oggi ammettono di avere frainteso. Per loro è stato più facile

colmare il figlio di quelle opportunità materiali che loro stessi non

avevano potuto avere, assorbiti come sono dagli impegni

professionali di successo.

Io stesso sono stato portato fuori strada dalla parziale conoscenza

della verità dei fatti; ripeto che non avevo preteso che mi

raccontasse la verità.

È difficile a questo punto sostenere l’estraneità di Luca, piuttosto

vorrei richiamare la vostra attenzione sulla immaturità del ragazzo

che si atteggia a bulletto per difesa ma che in realtà è lungi

dall’essere consapevole delle conseguenze delle sue azioni.

Chiedo pertanto che Luca sia dichiarato non punibile perché

ancora non capace di fare una distinzione tra il bene e il male e

pertanto non imputabile.

In ogni caso, ove non fosse accolta la mia richiesta principale,

sollecito il riconoscimento della diminuente della minore età e,

per i motivi che ho già esposto, delle attenuanti generiche con

irrogazione del minimo della pena.

Posso inoltre assicurare che, oltre alle apparenze, ho visto Luca

veramente provato, e ancor di più i suoi genitori, tanto che può

escludersi che possa commettere altre violazioni della legge

penale e pertanto chiedo con convinzione che, in caso di

condanna, sia applicato il perdono giudiziale.

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PRESIDENTE: Grazie avv. Gallo. PM le do nuovamente parola

per esprimere il suo parere circa le richieste di messa alla prova

per Antonio e Mirko.

PM: Presidente, da quanto avvenuto poco fa in aula, prendo atto

che Mirko Morelli e Antonio Casale sembra che abbiano

finalmente preso coscienza della gravità dei loro comportamenti.

Tale consapevolezza è elemento indispensabile per l’avvio della

messa alla prova che richiede una fattiva partecipazione e

consenso di chi vi è sottoposto. Posso pertanto ammettere che

esistono i presupposti per ipotizzare un percorso di messa alla

prova che condurrà ad esiti positivi ed esprimo parere favorevole

circa un rinvio del processo al fine di verificare la possibilità di

predisporre un percorso di messa alla prova per Antonio Casale e

Mirko Morelli.

PRESIDENTE: Esaurita la discussione, dichiaro chiuso il

dibattimento ed il Collegio si ritira in Camera di Consiglio per

deliberare.

Il Collegio esce

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Entra il Collegio come fosse passato il tempo per elaborare la

sentenza…

SENTENZA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI CATANZARO

Visti gli art. 533 e ss codice di procedura penale,

dichiara la penale responsabilità di Luca Camera per tutti reati

contestati, unificati sotto il vincolo della continuazione e,

riconosciuta la diminuente della minore età, concesse le attenuanti

generiche, equivalenti all’aggravante del reato più grave (capo E),

lo condanna alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione e 11.600

euro di multa aumentati per la continuazione a anni 2 e mesi 10 di

reclusione e 12.325 euro di multa;

visti gli artt. 163 e ss codice penale dispone che l’esecuzione

della pena rimanga sospesa per anni 5.

visto l’art. 32 DPR 448/88 affida Luca Camera al Servizio

Sociale di Catanzaro perché lo collochi in Gruppo

Appartamento; con provvedimento immediatamente efficace.

Dispone procedersi separatamente nei confronti di Mirko Morelli

ed Antonio Casale e, a tal fine, dispone la formazione di separato

fascicolo processuale in cui sarà inserita copia degli atti del

presente processo.

Dà incarico all’USSM di verificare la possibilità, insieme ai

Servizi operanti nel territorio di residenza dei ragazzi, di

predisporre un adeguato progetto di messa alla prova per Mirko ed

Antonio. Il progetto sarà adattato alla personalità dei minori ed al

tipo di reato commesso.

Rinvia all’udienza del 25 Maggio 2016 per l’elaborazione del

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progetto a cura dei servizi incaricati.

Motivazione in giorni 30.

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EPILOGO

UDIENZA DEL 25 MAGGIO 2016 PROCESSO A CARICO DI

MIRKO MORELLI E ANTONIO CASALE

PRESIDENTE: Prego Assistente Sociale, ha potuto predisporre

un progetto per Mirko ed Antonio?

ASSISTENTE SOCIALE: Sì Presidente. Il compito dell’ufficio,

per un verso, ha riguardato la collocazione di Luca Camera nel

Gruppo Appartamento ed il conseguente progetto di rieducazione

del ragazzo e, per un altro, la stesura di un doppio progetto di

messa alla prova per Mirko ed Antonio.

Per quel che riguarda Luca ho incontrato più volte i genitori ed ho

trovato, presso di loro, grande collaborazione. Si sono proposti

come promotori di un gruppo multifamiliare per degli incontri,

gestiti da un facilitatore, che riuniscono famiglie dei ragazzi autori

di reato, per fornire loro opportunità di discussione, supporto e

sostegno nel corso dell'iter processuale.

Abbiamo così formato il gruppo cui far partecipare i ragazzi e le

loro famiglie, come avrete modo di vedere nei rispettivi progetti.

Il trasferimento di Luca in Gruppo Appartamento non è stato

facile, ma posso dire che, ad oggi, il ragazzo ha dimostrato una

predisposizione diversa e più positiva verso le azioni che stiamo

compiendo nei suoi riguardi.

Per LUCA:

Il suo progetto rieducativo lo coinvolgerà nei lavori

dell’Associazione “Iris” che si occupa di giardinaggio, recupero di

aree rurali e rimboschimenti di aree bruciate per espletare lavori

manuali e concreti, strettamente connessi alla gratificazione di

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vedere crescere le piante e gli alberi. Seguirà normalmente il corso

di studi e, oltre a svolgere le attività del Gruppo Appartamento,

parteciperà alle attività dell’associazione “Il Bradipo” che

organizza attività sportive cestistiche tra disabili e normo-abili.

Per quel che riguarda i Progetti di MAP dei due restanti imputati

preciso che, come di consueto, ho avuto modo di incontrare i

ragazzi e le loro famiglie.

Ho dunque, formulato un progetto educativo individualizzato in

grado di tenere conto delle peculiarità dei minori, delle loro

risorse e delle opportunità disponibili sul territorio giungendo alla

formulazione di due progetti personalizzati sulle esigenze

educative di entrambi.

Per MIRKO:

Sin dalla prima anamnesi socio familiare è emerso che Mirko è

particolarmente portato per lo studio e tale sua risorsa potrà

rappresentare il punto focale del progetto educativo arricchito con

le altre attività che di seguito si riportano:

• Attività di studio: prosecuzione della frequenza al secondo

anno dell'Istituto superiore dal lunedì al sabato e studio a casa

nelle ore pomeridiane.

• Attività di volontariato: da svolgersi nei pomeriggi di

lunedì, mercoledì e venerdì dalle 15.30 alle 17.30 presso il centro

di aggregazione per minori gestito dall'associazione “La

Margherita Rossa” all'interno del quale, il ragazzo affiancherà i

volontari nel supportare i bambini nello svolgimento dei compiti e

delle attività ludiche all'interno del centro;

• Partecipazione agli incontri settimanali del gruppo dei

ragazzi segnalati dall'USSM al progetto “Unioni” gestito

dall'Associazione “Odisseo”, che mira a informare e far operare

un'attenta riflessione sulle nuove dipendenze (gioco d'azzardo,

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internet, shopping, lavoro, sesso) mirando a informare e/o

prevenire i rischi e le implicazioni emotive connesse anche all'uso

non corretto degli strumenti informatici puntando ad un uso più

responsabile di tali strumenti;

• Partecipazione del ragazzo e dei suoi genitori agli incontri

quindicinali del gruppo multifamiliare;

• Attività sportiva finalizzata al controllo degli impulsi ed

alla introiezione delle regole, da svolgersi nei pomeriggi di

martedì e giovedì dalle 18.00 alle 19.00 presso la scuola di Arti

Marziali “Armonia Interiore”.

• Riconciliazione con la persona offesa attraverso il

coinvolgimento dell'Ufficio di mediazione penale che si occuperà

di valutare la fattibilità di una riconciliazione tra la vittima e

l'autore del reato, nell'ottica di una giustizia riparativa che

prospetta un coinvolgimento attivo della vittima, dell'agente e

della stessa comunità civile nella ricerca di soluzioni atte a far

fronte all'insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato;

• Incontri periodici di verifica e sostegno con l'Assistente

Sociale USSM incaricata del caso che si riserva di monitorare

costantemente l'andamento della misura e di comunicare eventuali

variazioni o deroghe al programma.

Per ANTONIO:

Antonio non è particolarmente interessato allo studio, ma ciò

nonostante essendo ancora lo stesso in età ricadente nell'obbligo

scolastico, dovrà impegnarsi nella frequenza della scuola. La sua

corporeità e i suoi modi, richiedono un percorso diverso da quello

delineato per il suo coimputato:

1. Attività di studio: prosecuzione della frequenza al primo

anno dell'Istituto superiore dal lunedì al sabato e studio a casa

nelle ore pomeridiane, se opportuno il ragazzo potrà essere

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supportato nello studio da operatori dell'associazione “Il Sole” con

la quale l'Ufficio scrivente collabora.

2. Attività di volontariato: da svolgersi nei pomeriggi di

lunedì mercoledì e venerdì dalle 15.30 alle 17.30 presso la “Croce

Verde”, affiancando i volontari nel trasporto ed assistenza di

dializzati; tale attività ha lo scopo di mettere a contatto il ragazzo

con situazioni di disagio grave che possono contribuire ad una

maggiore capacità di riflessione e maturazione;

Partecipazione agli incontri settimanali del gruppo

dell’associazione “Odisseo”, come nel progetto di Mirko.

3. Partecipazione del ragazzo agli incontri organizzati presso

il Consultorio familiare finalizzati alla realizzazione di un

percorso individualizzato di sostegno e chiarificazione sui temi

inerenti l'accettazione di sé, della propria corporeità, del controllo

della propria forza, nonché il rapporto con l'altro sesso,

4 Attività sportiva finalizzata al controllo degli impulsi ed

alla introiezione delle regole, da svolgersi nei pomeriggi di

martedì e giovedì dalle 18.00 alle 19.00 presso la squadra di

Rugby “Le Aquile Nere”. La scelta di tale disciplina è legata alla

possibilità di dare libertà di sfogo alla sua forza fisica,

mantenendo il rispetto di regole condivise.

5 Riconciliazione con la persona offesa ed incontri periodici

anche per lui, come per il progetto precedente.

Il Presidente: Il Tribunale, su richiesta dei difensori e parere

conforme del PM, ammette Mirko e Antonio all’istituto della

messa alla prova e provvede con separata ordinanza.

Fissa in anni uno la durata della prova.

Incarica il giudice onorario dott.ssa Giorgia Sestito di seguire

l’andamento della prova dei giovani Mirko e Antonio con udienze

di verifica, in modo da valutare il progresso educativo dei minori,

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le attività svolte, l'evoluzione del caso nonché i risultati raggiunti

dagli stessi in relazione al progetto previsto.

Rinvia all’udienza di valutazione finale del 25 Maggio 2017.

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UDIENZA DEL 25 MAGGIO 2017

PM: Presidente, dalle relazioni e dal percorso seguito in maniera

rigorosa e partecipativa dei ragazzi, la procura osserva che la

messa alla prova ha avuto un esito decisamente positivo. Per tale

motivo si domanda sentenza di non doversi procedere perché

estinto il reato.

I difensori: Ci associamo alla richiesta del PM.

SENTENZA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI CATANZARO

Visti gli artt. 531 e ss c.p.p.

Dichiara non doversi procedere nei confronti di Mirko Morelli e

Antonio Casale in ordine al reato contestato per essersi lo stesso

estinto per esito positivo della messa alla prova.