notiziario novembre 2014
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La rivista trimestrale della Fondazione MeetingTRANSCRIPT
NOTIZIARIO
R IV IS TA DELL A FONDAZ IONE MEET ING PER L’AM IC I Z I A FR A I POPOL I ANNO XXXIVNOVEMBRE
2014
La speranzadel cuore
EDITORIALE
NOVEMBRE 2014 3
Per stupirsiancora
“Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”. Un verso del poeta
Mario Luzi darà il titolo alla prossima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli.
Come il poeta, il Meeting vuole interpellare il cuore dell’uomo, scoprendo in esso l’esperienza
di una mancanza che, con la sua forza travolgente, come l’acqua che fuoriesce da una diga che
si rompe, lo inonda. Ma qual è l’origine di questa mancanza? Da dove viene? È un difetto o
può essere una risorsa?
Non affrontare queste domande produce un impoverimento della persona: la riduzione
del desiderio, “l’incurante superficialità o la confusione senza speranza o la ripetizione
compiacente di «verità» diventate vuote e trite”, come dice Hannah Arendt, l’indifferenza
nei confronti degli altri, la paradossale solitudine dentro
ad un mondo iper-tecnologico e sempre connesso, la
sensazione di soffocare perché le circostanze e i fatti della
vita diventano una prigione, una sorta di bunker da cui
non si riesce ad uscire.
L’arte, la musica, la poesia, espressioni cui il Meeting di
quest’anno porrà particolare attenzione, rappresentano
da sempre la testimonianza di quella irriducibile mancanza che alberga nel cuore dell’uomo,
ma al tempo stesso esprimono quel grido e quella scintilla di nostalgia capaci di suscitare il
desiderio dell’eterno. Provocati e commossi di fronte alla mancanza che riconosciamo in noi
e in tutti gli uomini, proveremo ad osservare i diversi campi del vivere (scienza, e biologia in
particolare, diritto, filosofia, economia, politica), documentando come ogni riduzione dell’io,
anche se inconsapevole, influenza la vita concreta e reale di tutti i giorni.
Al tempo stesso ci metteremo sulle tracce di uomini che proprio a partire da qualcosa che
manca alla loro vita non si stancano di cercare, intraprendere ed incontrare. Ma è ancora
possibile per ciascuno di noi un imprevisto, un piccolo bagliore, in grado di fare riemergere un
cuore vivo, capace di affezione e di amore, finalmente presente a se stesso e libero di fronte alla
realtà? Dove incrociare lo sguardo di qualcuno che sappia ancora stupirsi e lasciarsi cambiare
da ciò che accade?
Solo accettando la sfida di questa possibilità vale ancora la pena realizzare il Meeting e
parteciparvi.
SULLE TRACCE DI UOMINI
CHE NON SI STANCANO DI
CERCARE, INTRAPRENDERE
ED INCONTRARE.
NOVEMBRE 2014
Anno XXXIV - N. 4, Novembre 2014Questo numero è stato chiuso il 27/11/2014
Proprietario/Editore:Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli
Autorizzazione del Tribunale di Riminin. 2008 del 2/11/82
DIRETTORE RESPONSABILE: Alver MetalliCOORDINAMENTO REDAZIONALE: Stefano Pichi SermolliREDAZIONE: Vanni Casadei, Erika Elleri, Piergiorgio Gattei, Walter Gatti, Rosanna Menghi, Daniela SchettiniFOTO: Roberto Masi, Angelo TosiPROGETTO GRAFICO: Davide Cestari, Lucia CrimiVIDEOIMPAGINAZIONE: R&S&C - ModenaSTAMPA: Pazzini - Villa Verucchio - RiminiREDAZIONE E AMMINISTRAZIONE:
Via Flaminia, 18-20 - C.P. 106 - 47923 RiminiTel 0541/78.31.00Telefax 0541/78.64.22email - [email protected]
PUBBLICITÀ: Evidentia Communication (società a direzione e coordinamento di Fondazione Meeting)Tel 0541/18.32.501Fax 0541/78.64.22
EDITORIALEPer stupirsi ancora
VERSO LE PERIFERIELa benedizione di Papa Francesco 6
IN - MOSTRA 2014Quel che ho visto in mostradi Erika Elleri
18
Un fascino per me di Luca Lodovico
22
LIBRO MEETINGLa potenza del desideriodi Emilia Guarnieri
28
VILLAGGIO RAGAZZIGuardando il volto di un santodi Erika Elleri
37
Community Meeting 45
Le periferie non sono lontane di Giorgio Napolitano
11
INCONTRINon arrenderti prima del miracolo di Maria Acqua Simi
12
SPETTACOLI 2014Grazie al cielo c’è il Meeting di Otello Cenci
24
APPROFONDIMENTIGiovane, forte e liberodi Rosanna Menghi
40
UN LUOGO D’INCONTRODalla fine del mondo di Erika Elleri
Un Meeting di svolta, di ripartenza di Stefano Pichi Sermolli
30
34
SOMMARIOw w w . m e e t i n g r i m i n i . o r g
3
È GIUNTO IL MOMENTO DI ABBANDONARE L’IDEA DI UN’EUROPA IMPAURITA E PIEGATA SU SE STESSA PER SUSCITARE E PROMUOVERE L’EUROPA PROTAGONISTA, PORTATRICE DI SCIENZA,
DI ARTE, DI MUSICA, DI VALORI UMANI E ANCHE DI FEDE. [PAPA FRANCESCO]
In copertina:
Un’immagine della mostra “Explorers”
NOTIZIARIO
VERSO LE PERIFERIE
NOVEMBRE 20146
In occasione della 35.ma edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, il Santo Padre Francesco ha inviato al Vescovo Mons. Lambiasi, tramite il Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, il Messaggio che riportiamo di seguito.
Eccellenza Reverendissima,
In occasione del XXXV Meeting per
l’amicizia tra i popoli, sono lieto di
far giungere a Lei, agli organizza-
tori, ai volontari e a quanti vi partecipe-
ranno il cordiale saluto e la benedizione
di Sua Santità Papa Francesco, insieme
col mio personale auspicio di ogni bene
per questa importante iniziativa.
Le periferie
Il tema scelto per quest’anno – Verso le
periferie del mondo e dell ’esistenza – rie-
cheggia una costante sollecitudine del
Santo Padre. Fin dal suo episcopato a
Buenos Aires, Egli si rese conto che le
“periferie” non sono soltanto luoghi, ma
anche e soprattutto persone, come disse
nel Suo intervento durante le Congre-
gazioni generali prima del Conclave:
«la Chiesa è chiamata ad uscire da se
stessa e ad andare verso le periferie,
non solo quelle geografiche, ma anche
quelle esistenziali: quelle del mistero
del peccato, del dolore, dell’ingiustizia,
quelle dell’ignoranza e dell’assenza di
fede, quelle del pensiero, quelle di ogni
forma di miseria» (9 marzo 2013).
Perciò Papa Francesco ringrazia i re-
sponsabili del Meeting di avere accol-
to e diffuso il Suo invito a camminare
in questa prospettiva. Una Chiesa “in
uscita” è l’unica possibile secondo il
Vangelo; lo dimostra la vita di Gesù,
che andava di villaggio in villaggio an-
nunciando il Regno di Dio e mandava
davanti a sé i suoi discepoli. Per questo
il Padre lo aveva mandato nel mondo.
Il destino non ci ha abbandonati
Il destino non ha lasciato solo l’uomo
è la seconda parte del tema del Mee-
ting: un’espressione del servo di Dio
Don Luigi Giussani che ci ricorda che
il Signore non ci ha abbandonati a noi
stessi, non si è dimenticato di noi. Nei
tempi antichi ha scelto un uomo, Abra-
mo, e lo ha messo in cammino verso la
terra che gli aveva promesso. E nella
pienezza dei tempi ha scelto una gio-
vane donna, la Vergine Maria, per farsi
carne e venire ad abitare in mezzo a noi.
La benedizionedi Papa Francesco
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VERSO LE PERIFERIE
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VERSO LE PERIFERIE
NOVEMBRE 20148
Nazareth era davvero un villaggio insignifi-
cante, una “periferia” sul piano sia politico
che religioso; ma proprio là Dio ha guardato,
per portare a compimento il suo disegno di
misericordia e di fedeltà.
Il suo centro in Gesù Cristo
Il cristiano non ha paura di decentrarsi, di
andare verso le periferie, perché ha il suo cen-
tro in Gesù Cristo. Egli ci libera dalla paura;
in sua compagnia possiamo avanzare sicuri
in qualunque luogo, anche attraverso i mo-
menti bui della vita, sapendo che, dovunque
andiamo, sempre il Signore ci precede con la
sua grazia, e la nostra gioia è condividere con
gli altri la buona notizia che Lui è con noi. I
discepoli di Gesù, dopo aver compiuto una
missione, ritornarono entusiasti per i successi
ottenuti. Ma Gesù disse loro: «Non rallegra-
tevi però perché i demoni si sottomettono
a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri
nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20-21).
Non siamo noi a salvare il mondo, è solo Dio
che lo salva.
La Chiesa cresce per attrazione
Gli uomini e le donne del nostro tempo cor-
rono il grande rischio di vivere una tristez-
za individualista, isolata anche in mezzo a
una quantità di beni di consumo, dai quali
comunque tanti restano esclusi. Spesso pre-
valgono stili di vita che inducono a porre la
propria speranza in sicurezze economiche o
nel potere o nel successo puramente terreno.
Anche i cristiani corrono questo rischio. «È
evidente – afferma il Santo Padre – che in al-
cuni luoghi si è prodotta una “desertificazio-
ne” spirituale, frutto del progetto di società
che vogliono costruirsi senza Dio» (Esort.
ap. Evangelii gaudium, 86). Ma questo non
ci deve scoraggiare, come ci ricordava Bene-
detto XVI inaugurando l’Anno della fede:
«Nel deserto si torna a scoprire il valore di ciò
che è essenziale per vivere; così nel mondo
contemporaneo sono innumerevoli i segni,
spesso manifestati in forma implicita o nega-
tiva, della sete di Dio, del senso ultimo della
vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di
persone di fede che, con la loro stessa vita,
indichino la via verso la Terra promessa e
così tengono viva la speranza» (Omelia nel-
la Santa Messa di apertura dell’Anno della
fede, 11 ottobre 2012).
Papa Francesco invita a collaborare, anche
con il Meeting per l’amicizia tra i popoli, a
questo ritorno all’essenziale, che è il Vangelo
di Gesù Cristo. «I cristiani hanno il dovere
di annunciarlo senza escludere nessuno, non
come chi impone un nuovo obbligo, bensì
come chi condivide una gioia, segnala un
orizzonte bello, offre un banchetto desidera-
bile. La Chiesa non cresce per proselitismo
ma “per attrazione”» (Evangelii gaudium,
14), cioè «attraverso una testimonianza per-
sonale, un racconto, un gesto, o la forma che
lo stesso Spirito Santo può suscitare in una
circostanza concreta» (ibid., 128).
Due attenzioni particolari
Il Santo Padre indica ai responsabili e ai
partecipanti al Meeting due attenzioni par-
ticolari.
Anzitutto, invita a non perdere mai il contat-
to con la realtà, anzi, ad essere amanti della
realtà. Anche questo è parte della testimo-
nianza cristiana: in presenza di una cultura
La benedizione di Papa Francesco durante l’Angelus.
VERSO LE PERIFERIE
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dominante che mette al primo posto l’ap-
parenza, ciò che è superficiale e provvisorio,
la sfida è scegliere e amare la realtà. Don
Giussani lo ha lasciato in eredità come pro-
gramma di vita, quando affermava: «L’unica
condizione per essere sempre e veramente
religiosi è vivere sempre intensamente il re-
ale. La formula dell’itinerario al significato
della realtà è quella di vivere il reale senza
preclusioni, cioè senza rinnegare e dimenti-
care nulla. Non sarebbe infatti umano, cioè
ragionevole, considerare l’esperienza limita-
tamente alla sua superficie, alla cresta della
sua onda, senza scendere nel profondo del
suo moto» (Il senso religioso, p. 150).
Inoltre, invita a tenere sempre lo sguardo
fisso sull’essenziale. I problemi più gravi, in-
fatti, sorgono quando il messaggio cristiano
viene identificato con aspetti secondari che
non esprimono il cuore dell’annuncio. In un
mondo nel quale, dopo duemila anni, Gesù
è tornato ad essere uno sconosciuto in tanti
Paesi anche dell’Occidente, «conviene essere
realisti e non dare per scontato che i nostri
interlocutori conoscano lo sfondo completo
di ciò che diciamo o che possano collegare il
nostro discorso con il nucleo essenziale del
Vangelo che gli conferisce senso, bellezza e
attrattiva» (Evangelii gaudium, 34)
Comunicare la perenne novità del
Cristianesimo
Per questo, un mondo in così rapida trasfor-
mazione chiede ai cristiani di essere disponi-
bili a cercare forme o modi per comunicare
con un linguaggio comprensibile la perenne
novità del Cristianesimo. Anche in questo
occorre essere realisti. «Molte volte è meglio
rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà
per guardare negli occhi e ascoltare, o rinun-
ciare alle urgenze per accompagnare chi è
rimasto al bordo della strada» (ibid., 46).
Testimoniare che Dio non lascia soli i
suoi Figli
Sua Santità offre queste riflessioni come
contributo alla settimana del Meeting, a tutti
coloro che vi parteciperanno, in particolare
ai responsabili, agli organizzatori e ai relatori
che giungeranno dalle periferie del mondo e
dell’esistenza per testimoniare che Dio Padre
non lascia soli i suoi figli. Il Papa auspica che
tanti possano rivivere l’esperienza dei primi
discepoli di Gesù, i quali, incontrandolo sulla
riva del Giordano, si sentirono domandare:
«Che cosa cercate?». Possa questa domanda
di Gesù accompagnare sempre il cammino
di quanti visitano il Meeting per l’amicizia tra
i popoli. Mentre chiede di pregare per Lui e
per il Suo ministero, Papa Francesco invoca
la materna protezione della Vergine Madre e
di cuore invia a Vostra Eccellenza e all’intera
comunità del Meeting la Benedizione
Apostolica.
Nel pregare Vostra Eccellenza di assicurare
anche il mio personale augurio, profitto
della circostanza per confermarmi con
sensi di distinto ossequio dell’Eccellenza
Vostra Rev.ma.
dev.mo Pietro Card. Parolin
A Sua Eccellenza Reverendissima
Mons. FRANCESCO LAMBIASI
Vescovo di Rimini
VERSO LE PERIFERIE
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D esidero rivolgere i miei saluti
più cordiali a tutti i partecipanti
alla xxxv edizione del Meeting
per l’amicizia fra i popoli 2014.
Il tema scelto per questa edizione “Ver-
so le periferie del mondo e dell’esisten-
za. Il destino non ha lasciato solo l’uo-
mo” è di scottante attualità.
Le drammatiche vicende irachene e
siriane, le angosciose condizioni in cui
versa la Striscia di Gaza per effetto del
conflitto tra Hamas e Israele, la situa-
zione estremamente critica della Libia,
gli scontri armati in Ucraina e le tensio-
ni nei rapporti con la Russia, i focolai
di contrapposizione che si moltiplicano
ovunque nel mondo e la connessa tra-
gedia delle migrazioni di massa sono
le manifestazioni più dolorose e acute
Il messaggio che il presidente Giorgio Napolitano ha inviato al Meeting scorso.
Le periferienon sono lontane
Il presidente Giorgio Napolitano durante la sua visita al Meeting del 2011.
della complessità e della fragilità del
quadro internazionale.
E angoscioso è il dramma silenzioso di
chi ancora oggi vede calpestati i propri
diritti, di chi ha smarrito ogni speranza
e di quanti vivono ancora in condizioni
di indigenza e povertà e faticano a co-
struire un futuro di serenità per sé stessi
e per le proprie famiglie.
Le “periferie” non sono lontane, fanno
anzi parte del nostro mondo e del no-
stro vissuto, e le tragedie che si verifica-
no quotidianamente in molte parti del
pianeta ci riguardano da vicino.
Esse non possono e non devono con-
sumarsi senza risvegliare la nostra co-
scienza e la nostra attenzione, senza
suscitare il nostro coinvolgimento emo-
tivo e morale. devono anzi essere forte
monito e stimolo ad agire per una coe-
sione nuova della comunità internazio-
nale e, in primis, per il consolidamento
dell’Unione Europea intesa come ba-
luardo di democrazia, libertà e giustizia.
In questo contesto, dominante è la dimen-
sione umana dei drammi che affliggono il
mondo d’oggi.
L’uomo non è d’altronde solo. è parte di
una realtà in cui l’interazione con gli altri
e il confronto con la diversità devono es-
sere fonte di ispirazione e di ricchezza per
il superamento di fatali contrasti.
Con questo spirito, nella certezza che dai
lavori dei prossimi giorni emergeranno
indicazioni e riflessioni lungimiranti e
valide, formulo i più fervidi auguri di suc-
cesso per i lavori del Meeting, che seguirò
con sempre viva attenzione.
di Giorgio Napolitano
INCONTRI
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INCONTRI
NOVEMBRE 201412
INCONTRI
NOVEMBRE 2014 13
Non arrendertiprima del miracolodi Maria Acqua Simi
Come rispondere alla situazione attuale che vede l’emergere di nuovi gruppi estremisti in Nigeria, Somalia, Libia o Sahel, o l’avanzata dello Stato islamico in Siria e Iraq? Di cosa c’è bisogno oggi?
Dice un antico proverbio arabo, caro sia ai cristiani sia ai mu-sulmani: «Non arrenderti, ri-
schieresti di farlo un’ora prima del mira-colo». E mai come oggi, in tutto il nostro mondo martoriato dall’emergere di nuovi gruppi estremisti in Nigeria, Somalia, Libia o Sahel, dall’avanzata dello Stato islamico in Siria e Iraq (un fenomeno che interessa tristemente anche l’Europa, con centinaia di persone partite per combat-tere nell’ISIS) beh ecco… mai come oggi c’è bisogno di questo miracolo. Un mira-colo che non piova dal cielo, improvviso come un fulmine. Ma un miracolo chiesto al cielo, che sia reso possibile dalla buo-na volontà di molti, a diversi livelli. Una soluzione serve in fretta, soprattutto per
quei milioni di cristiani perseguitati in tutto il globo. Allo scorso Meeting di Ri-mini lo hanno testimoniato in molti. A partire dal Custode di Terrasanta, padre PierBattista Pizzaballa, che ha aperto l’edizione appena passata del Meeting. E lo ha fatto dicendo che non sono le mere analisi politiche o sociali ad accompagna-re un cammino di pacificazione. Piutto-sto, "il potere del cuore". «Credo che sia un errore limitarsi a una professionale analisi politica, sociale e storica di quanto sta avvenendo senza uno sguardo religio-so, redento, che aiuti a leggere e interpre-tare gli eventi senza tuttavia lasciarsene travolgere. I due ambiti sono necessari l’uno all’altro. Abbiamo bisogno di esper-ti che ci aiutino a comprendere i radicali
cambiamenti a cui stiamo assistendo dal punto di vista politico, economico e so-ciale. Ma abbiamo anche bisogno di uno sguardo alto, ampio, libero da paure e complessi».
La crisi in Medio OrienteUna delle aree più colpite dalle persecu-zioni è infatti quella mediorientale. Sono le storie raccontate nei bellissimi repor-tage proposti al Meeting dal giornalista e inviato di guerra Gian Micalessin. Il dramma di quelle terre lo ha evidenziato bene, ancora una volta, padre Pizzabal-la nel suo intervento, quando spiegava: «Egitto, Israele e Palestina, Libia, e so-prattutto Siria e Iraq sono al centro di un profondo cambiamento dalle ancora >
INCONTRI
NOVEMBRE 2014 13
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Fatti spingere dalla curiosità. Lasciati affascinare
dall’esperienza.Comunica la tua passione.
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Questo siamo noi.Grazie a tutti coloro che abbiamo incontrato durante il Meeting.
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Un pezzo di legno non è solo un pezzo di legno
INCONTRI
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Da sinistra: Domenico Quirico, S. Ecc. Mons. Shlemon Warduni, Monica Maggioni, S. Ecc. Mons. Ignatius Kaigama e Paul Bhatti.
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stabilità che per quarant’anni aveva ca-
ratterizzato i rapporti (o non-rapporti) in
questi Paesi è definitivamente conclusa, e
nuovi equilibri che ancora non riusciamo
a definire si stanno prospettando, fonte di
preoccupazione per molti, soprattutto per
la piccola comunità cristiana e le altre mi-
noranze. Il Medio Oriente che abbiamo
conosciuto nel ‘900, quello nato dalle ro-
vine del vecchio impero ottomano, dalla
fine dei diversi colonialismi e della nasci-
ta degli stati nazionali, è finito. Inizia un
nuovo periodo, la cui direzione però non
siamo ancora in grado di comprendere.
Inizialmente quella che è stata battezza-
ta “la primavera araba” ha suscitato tanto
entusiasmo: le piazze fanno cadere i dit-
tatori che da decenni dominano incontra-
stati; finalmente il popolo, e i giovani in
particolare, diventano protagonisti della
vita dei loro Paesi e fanno la storia. Tutti,
senza distinzioni di appartenenze, par-
tecipano a questo momento importante.
Questo processo, tuttavia, è stato in un
certo modo “sequestrato” da movimenti e
partiti religiosi che hanno stravolto la na-
tura di questa primavera trasformandola
in una vera e propria lotta di potere tra
diverse componenti religiose e sociali del
Medio Oriente, in particolare nella lotta
tra sciiti e sunniti». E, ancora: «Molto più
che in Europa, il Medio Oriente è sem-
pre stato il crogiolo di differenze religio-
se. Ebraismo, cristianesimo e islam han-
no il loro cuore e le loro radici in Medio
Oriente. Ciascuna di queste fedi ha poi
conosciuto divisioni e sviluppi interni vi-
vacissimi: sunniti, sciiti, cristiani ortodos-
si, copti, siriaci e tantissime altre comu-
nità sono sorte lungo i secoli, rendendo il
Medio Oriente - unico nel suo genere in
tutto il mondo - un luogo di convivenze.
Va detto che le convivenze non sono mai
state facili e le persecuzioni lungo i secoli
non sono mancate. Ma non si è mai assi-
stito a una “pulizia religiosa” del tipo a cui
assistiamo oggi».
Tre testimoni autorevoli di tutto questo,
presenti al Meeting, sono stati il giornali-
sta de La Stampa Domenico Quirico, S.
Ecc. Mons. Shlemon Warduni dall’Iraq e
Mons. Abou Khazen, vescovo di Aleppo in
Siria (in visita al Meeting). Tra Iraq e Siria,
la situazione è tragica: milioni di sfollati,
monasteri e chiese antichissime distrutte,
manoscritti di oltre 1500 anni andati per-
duti o venduti per finanziare i traffici illeciti
dell’ISIS (come ha testimoniato l’archeo-
logo Giorgio Buccellati). Ma soprattutto,
un’umanità dolorante, ferita, schiacciata.
«Ad Aleppo l’unica cosa rimasta in piedi è
l’università», ci ha raccontato camminando
per la Fiera di Rimini mons. Abou Khazen.
«Ma è un’università dove studiano sia cri-
stiani sia musulmani. E questi giovani un
giorno ricostruiranno la Siria, noi ne sia-
INCONTRI
NOVEMBRE 201416
mo certi». Di ben altro tenore l’intervento
di Quirico, rapito in Siria lo scorso anno
e rilasciato solo dopo mesi dopo. Il gior-
nalista ha inquadrato bene la sofferenza
delle centinaia di migliaia di persone che
hanno perso tutto. Lo ha fatto lanciando
un duro j’accuse, contro i silenzi colpevoli
di un Occidente troppo spesso impegnato
a guardare altrove. «Allora dov’è la chiave?
È nella straordinaria, orribile quotidianità
del dolore. Il dolore senza sangue, il dolore
come incontro quotidiano di 22 milioni di
persone che vivono in Siria da quattro anni,
4 milioni sono fuggiti o vivono ai margini
di questa tragedia. La quotidianità della
sofferenza, l’incontro ogni minuto, ogni
secondo della propria vita con il dolore,
con la morte, con il sangue, con la ferocia:
questa è la tragedia siriana. Allora ripren-
do una cosa che è scritta in fondo a que-
sto salone: “Verso le periferie del mondo,
il destino non ha lasciato solo l’uomo”. No!
No, non è così, non è così, purtroppo! Il
destino non lo so, ma noi, noi, l’Occidente,
l’Europa, gli Stati Uniti, abbiamo lasciato
solo l’uomo! Abbiamo lasciato solo quel-
la vecchina, abbiamo lasciato soli gli altri
22 milioni di siriani, abbiamo lasciato soli
i cristiani dell’Iraq, abbiamo lasciato soli
i cristiani nel Nord della Nigeria, abbia-
mo lasciato soli esattamente vent’anni fa i
rwandesi del genocidio, i somali, abbiamo
lasciato soli gli uomini che vivono nelle
periferie del mondo. Questa è la nostra
colpa!». In questo drammatico contesto la
Chiesa continua ad operare per i civili, or-
mai allo stremo. Ne ha dato testimonianza
al Meeting anche il padre gesuita Zihad
Hilal, coordinatore dei centri per i bambini
del Jesuit Refugee Service ad Homs, che ha
denunciato anche il silenzio dei media sulla
Siria. Un grido uguale a quello di Mons.
Warduni, testimone della fuga e delle ucci-
sioni di migliaia di cristiani, costretti ad ab-
bandonare la piana di Ninive, in Iraq, “dove
vivono da duemila anni”. Alla fine del suo
intervento al Meeting, commosso, Wardu-
ni ha chiosato: «Tutti abbiate pietà di noi,
seminate la pace e la moralità, l’amore per
Dio e per il prossimo e questo salverà il
mondo. Gridiamo a Gesù sulla croce: Dio
nostro non ci lasciare! Gridiamo al Santo
Padre e lo ringraziamo tantissimo per i
suoi aiuti morali e materiali e diciamo in
nome di tutti: non lasciarci Santità! A tut-
ti i sinodi delle Chiese del mondo, a tutte
le nazioni chiediamo di cooperare insieme
per seminare la pace, l’amore all’umanità e
sradicare il male. Voi che ascoltate sostene-
teci e il Signore vi benedica.
Con questa fede viviamo e con essa semi-
niamo l’amicizia tra i popoli e saremo testi-
moni della libertà». Una situazione, quella
delle persecuzioni in Medio Oriente, che
chiede prese di posizioni chiare, come ave-
va ricordato padre Pizzaballa, solo pochi
giorni prima: «È necessario che tutte le
comunità religiose alzino la voce contro
questo abominio. Il mondo islamico ha
cominciato a reagire, finalmente, ma one-
stamente, dobbiamo dire che ci è sembrato
assai timido nella denuncia. (…) Il dialogo
interreligioso in questo momento non può
prescindere da una denuncia comune e for-
te di quanto sta accadendo. Lo richiede la
gravità del momento e la necessità di conti-
nuare a vivere e dialogare insieme».
E infine: «Abbiamo bisogno di tutto in
Medio Oriente: aiuti finanziari, militari,
politici, mediazioni, sostegno… ma soprat-
tutto di credere ancora che è possibile vo-
lersi bene. Le testimonianze ci dicono che,
nonostante tutto, grazie ai piccoli, questa
forza vive ancora».
Padre Pierbattista Pizzaballa durante l’incontro “Il potere del cuore. Ricercatori di verità”.
INCONTRI
NOVEMBRE 2014 17
Asia e Africa
Altri due testimoni coraggiosi dell’amore
alla libertà, nonostante le persecuzioni,
sono stati due grandi amici del Meeting
di Rimini, il politico e medico pakistano
Paul Bhatti e Mons. Ignatius Kaigama,
Arcivescovo di Jos e presidente della
Conferenza episcopale nigeriana. Bhatti
è fratello maggiore di Shahbaz, ucciso
quando era ministro per le minoranze re-
ligiose in Pakistan, mentre si batteva con-
tro un’ingiusta legge sulla blasfemia. La
stessa legge per la quale da ormai quattro
anni una giovane mamma cristiana, Asia
Bibi, si trova incarcerata senza giusto pro-
cesso ed ora è stata condannata alla pena
di morte. Bhatti ha ricordato in maniera
commovente il sacrificio di Shahbaz. «Io
volevo che lui venisse via dal Pakistan, ri-
schiava di essere ucciso.
Eppure mi diceva: “Se voi mi portate via,
mi viene bloccata quest’opportunità di di-
fendere i cristiani del Pakistan e di espri-
mere la mia Fede: questa è la mia morte”.
Questo mi ha commosso. Io sono stato
incapace di convincerlo, addirittura lui ha
cercato di convincermi a tornare in Pa-
kistan, perché avevano bisogno di me. Io
ridendo: “Guarda, io sto ben qua, come
puoi pensare di chiamare tuo fratello dal
Paradiso all’Inferno”. E lui: “La strada per
il Paradiso parte dal Pakistan”.
Questa è la sua convinzione, questa è la
sua fede, su questo lui non ha mai nego-
ziato. Sapeva che con questo suo percorso
rischiava la vita, ma lui, come le sue te-
stimonianze spirituali dichiarano aperta-
mente, era pronto per questo, era pronto
a morire, però non era pronto a rinunciare
a questa sua battaglia, a questa sua fede».
La stessa fede che regge i cristiani che in
Nigeria (e in Kenya, Somalia e nel Sahel)
vengono perseguitati dai miliziani islami-
sti di Al Shabaab, uno dei gruppi legati
dal Al Qaeda.
Lo stesso gruppo che mesi fa ha rapito
oltre 270 liceali obbligandole a convertir-
si e che saccheggia e uccide sistematica-
mente dal 2007 in tutta l’area. Ha raccon-
tato Mons. Kaigama: «Comunque non ci
sono solo cattive notizie.
Ci sono degli sviluppi che comunque ci
danno speranza. Per esempio i moderati
fra i cristiani e musulmani stanno cercan-
do di incontrarsi sempre più in modo tale
da mettere a punto delle strategie per evi-
tare che Boko Haram continui a distrug-
gere la Nigeria.
L’arcidiocesi di Jos, di cui io sono appun-
to responsabile, promuove iniziative di
diverso carattere.
C’è una scuola per esempio per giovani
cristiani e musulmani che forma questi
studenti alla cultura del dialogo e della
pacificazione ed eroga una formazione
di carattere professionale. Insegniamo a
questi studenti a convivere per due anni,
dopo di che, quando escono dalla scuola,
diventano ambasciatori di pace essi stes-
si». Si riparte da qui. Si riparte dal “potere
del cuore”.
Un potere che è alla portata di tutti. Di
ciascuno di noi.
Un’immagine di rifugiati siriani.
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IN-MOSTRA 2014
Quel che ho visto in mostra«Quest’anno mi sono sentita veramente un direttore d’orchestra», ha raccontato con un sorriso la responsabile delle mostre Alessandra Vitez. Un lavoro complesso che coinvolge curatori, professionisti e volontari e un luogo dove succedono fatti, incontri e si può fare un vero e proprio cammino umano di conoscenza.
di Erika Elleri
Un anno intenso di lavoro, una
condivisione continua con i
curatori e poi… l’allestimento
e il fiorire della mostra. Si può dire che
ogni mostra sia una piccola periferia da
andare a scoprire? Potresti raccontarci
qual è stata la tua esperienza di scoperta
di ogni mostra e che tipo di cammino ti
ha fatto fare?
Il lavoro sul contenuto di ogni mostra che
si fa annualmente con i curatori si rivela
sempre molto interessante, sia dal punto
di vista della conoscenza, sia per il para-
gone continuo del percorso della mostra
con il titolo del Meeting. Infatti, più volte
emerge questa domanda: «Che contributo
stiamo dando al Meeting quest’anno?». Al
Meeting accade che la novità parta dalla
provocazione di un tema, con cui ci vo-
gliamo paragonare. Questo aiuta parados-
salmente a fare un lavoro scientifico anco-
ra più approfondito e nuovo. Per esempio,
a fine Meeting Giorgio Buccellati e sua
moglie Marylin (curatori della mostra
archeologica) mi hanno confidato: «Mai
avremmo pensato di scoprire tali partico-
lari in quello che stiamo facendo da anni».
Allora colpisce come due archeologi di
fama mondiale scoprano qualcosa di nuo-
vo dentro questo lavoro insieme. Persino
l’allestimento viene coinvolto in questo
vortice di provocazione. Ad esempio, alla
mostra di Peguy c’era una zona buia ed è
successo che un fornitore ci abbia detto:
«Dobbiamo metterci una lampadina per-
ché la mostra è troppo bella, non ci può
essere questa citazione bellissima al buio».
In quel cantiere è come se fosse eviden-
te che tutto ha uno scopo e una strada e
quindi chiunque si metta a costruire si
sente provocato a fare questa strada. Pro-
prio come nella costruzione di tante pic-
cole cattedrali, perché è predominante lo
scopo. È stato dunque il mio cammino di
quest’anno. L’ho fatto insieme ad altri e
non da sola, con i curatori, con chi mi ha
aiutato in ufficio e con i ragazzi univer-
sitari. In nome della bellezza del lavoro
che facevamo insieme sono stata dispo-
sta fino all’ultimo minuto a cambiare la
virgola. Ecco, quest’anno mi sono sentita
veramente un direttore d’orchestra, quello
che deve far suonare tanti strumenti e fare
in modo che siano accordati, che suonino
nello stesso istante, perché possa venire
fuori una sinfonia.
Potresti farci un bilancio sulle mostre di
quest’anno? Quali sono state le più se-
guite?
Le mostre sono sempre molto seguite e il
sistema di prenotazione online ci ha aiuta-
to a renderle più fruibili. Come ogni anno
abbiamo una classifica delle mostre più visi-
tate e quest’anno sono state Explorers, Peguy,
la Siria e Tolstoj. In generale sono contenta
del percorso fatto quest’anno, perché man
mano che si visitava una mostra, si scopriva
il senso di tanti temi messi insieme contem-
poraneamente. Si poteva passare dall’esplo-
razione dello spazio alle figure di Jannacci e
Guareschi e non sentirli in contrapposizione,
essendo dentro un unico percorso fatto in-
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IN-MOSTRA 2014
sieme. Vedo che quando i visitatori scopro-
no questo filo comune che lega tutto, non si
vogliono perdere niente. Ad esempio il ma-
tematico Laurent Lafforgue ha affermato:
«Sto visitando mostre, una diversa dall’altra,
ma come fanno a stare insieme contem-
poraneamente? Ci dev’essere un filo che
le lega. Mi rendo conto che ciò che unisce
tutto sono questi volontari che danno le loro
energie, immedesimandosi con quello che
stanno facendo. Questo permette a chi viene
da fuori di percepire un’unità di contenuti ed
esperienza che colpisce».
Circa trecentocinquanta volontari danno
la loro disponibilità a coinvolgersi, du-
rante il preMeeting e poi durante il Mee-
ting, nell’avventura delle mostre e a pre-
pararsi approfonditamente su tematiche
specifiche. Com’è possibile questo e come
è stato il rapporto coi ragazzi?
Il rapporto coi ragazzi universitari è una
delle cose più belle del mio lavoro. Per fare
le guide alle mostre, i ragazzi si preparano
durante l’anno in uno stretto rapporto coi
curatori. Questo lavoro delle guide aiuta
tutti coloro che stanno lavorando al per-
corso a porsi delle domande, che spesso
rischiano di essere considerate scontate.
C’è chi è più avanti e chi è più indietro nel
percorso, ma anche questo diventa una
ricchezza imperdibile, l’uno per l’altro.
Ad esempio, una sera, una ragazza che
spiegava la mostra Explorers, in un dia-
logo tra le guide e i curatori, ha afferma-
to «Ripeto continuamente le stesse frasi
e anche se siamo solo al secondo giorno
di Meeting sono già stufa di fare la guida.
Mi colpisce invece l’entusiasmo di Ulis-
se. Come mai lui fa un’esperienza diversa
dalla mia?». In questo dialogo Ulisse le ha
risposto: «Il mio segreto? Ogni volta che
faccio la visita guidata guardo la faccia di
chi ho davanti, come si stupisce o si inter-
roga rispetto a ciò che sta guardando. La
domanda che il visitatore ha davanti a me
mi fa guardare a quello che sto facendo
in modo diverso. Quindi, dato che le per-
sone che ho davanti sono sempre diverse,
ogni visita è diversa». Lei ci ha provato
ed è fiorita.
Ci racconteresti quello che hai visto
quest’anno in mostra: aneddoti, incontri
particolari, oppure racconti di guide, di
curatori o di personaggi?
Le mostre di per sé sono un punto di la-
voro al Meeting. Ai visitatori chiediamo di
immedesimarsi e di osservare, allargando
la misura della propria ragione. Quando
c’è questa disponibilità è un fiorire di rac-
conti di esperienze. Ognuno, nel pezzo
di strada in cui si trovava, era chiamato a
fare un’esperienza. In particolare l’ho visto
fra i ragazzi e soprattutto fra gli stranieri.
Ad esempio una ragazza siriana, una gui-
da alla mostra “Dal profondo del Tempo:
all’origine della comunicazione e della co-
munità nell’antica Siria”, ad un certo pun-
to ha sentito l’esigenza di andare a fondo
della propria fede. In un dialogo telefoni-
co con sua madre le ha detto: «Non cono-
sco bene il Meeting, ma per quello che sto
vedendo mi è nato il desiderio di appro-
fondire la mia fede». Lo stesso è accadu-
Il curatore John Waters mentre spiega la mostra "Generare bellezza. Nuovi inizi alle periferie del mondo".
>
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IN-MOSTRA 2014
to ai ragazzi del gruppo SWAP, guide
alla mostra “EGITTO. Quando i valori
prendono vita”. Tra loro c’è chi è catto-
lico e chi è musulmano, ma nessuno si è
sentito a disagio per la propria diversità,
anzi tutti hanno fatto esperienza che la
loro diversità è un bene. Hanno intuito
che il primo punto di verità anche per il
loro Paese è quello di guardarsi tra loro
come una ricchezza.
Tornando a casa mi hanno confida-
to: «Ancor di più abbiamo il desiderio
di conoscere meglio quello che siamo
chiamati a vivere». È un punto di veri-
tà d’esperienza che mi dà conferma del
bene del lavoro che facciamo insieme.
Altri incontri particolari? Tra i perso-
naggi che ho accompagnato in visita alle
mostre non dimenticherò mai lo sguar-
do di padre Pierbattista Pizzaballa. Ha
visitato alcune mostre prima dell’aper-
tura del Meeting, il primo giorno. Aveva
un’attenzione particolare, come se ogni
parola che gli veniva detta avesse a che
fare con lui. Capivi che aveva il deside-
rio di arrivare fino alla fine del percorso
di ogni mostra, non solo per un proble-
ma di conoscenza, ma per una certezza
di coscienza. Mi sono detta: «Se non
guardo così come sta guardando lui mi
perdo il meglio».
Questo mi ha permesso di iniziare il
Meeting in un modo più vero. Oppure
il prelato dell’Opus Dei Echevarría Ro-
dríguez Javier. Abbiamo visitato assie-
me ben sei mostre, ma il tempo era poco
e quindi molto velocemente. Tuttavia,
ha guardato tutto con molta attenzione
e ogni volta che usciva da una mostra
diceva: «Continuate così perché que-
Un'immagine della mostra "Mondo Piccolo Roba Minima. Le periferie esistenziali in Giovannino Guareschi e Enzo Jannacci".
sto è un bene per tutti». Ho incrociato
anche Corrado Passera mentre visitava
la mostra su Peguy e ad un certo punto
ha detto al curatore «Mi raccomando si
ricordi di mandarmi i testi, perché mi
servono per fare economia». Pensa che
lavoro interessante, se un uomo per fare
economia ha bisogno di Peguy!
Alcuni sono rimasti colpiti da come le
guide all’interno delle mostre si sentis-
sero veramente a casa.
Ad esempio nella mostra di Peguy, dal
momento che la visita guidata durava
tanto, le guide ogni tanto si inventa-
vano degli sketch per i visitatori. E alla
fine questi uscivano commossi e con la
domanda: «Ma è già finita?».
Per me dunque lo scopo più grande è
che l’io di queste persone possa venire a
galla, che possa rinascere, commuoversi.
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IN-MOSTRA 2014
Un'immagine della mostra "Storia di un'anima carnale. A cent'anni dalla morte di Charles Péguy".
Da alcuni anni insieme alle esposizioni del
Meeting ci sono realtà come quelle degli “Uo-
mini all’opera” e da quest’anno anche “Espe-
rienze e percorsi”, con la presenza ad esempio
degli Swap, il Majdan o Mondo Piccolo e
Roba Minima… Che contributo danno al
Meeting e com’è il rapporto con loro?
Gli Uomini all’opera e le Esperienze e Percor-
si sono una grande ricchezza. Anche se in
una forma diversa da una mostra, danno lo
stesso contributo, ma soprattutto diventano
esperienze di vita. Diventano dei luoghi, in
cui è più immediato il raccontarsi dell’espe-
rienza. Il rapporto con queste realtà è molto
interessante. La cosa più bella è che incontri
il cuore dell’uomo. Anche nell’esposizione su
Jannacci e Guareschi i ragazzi incontravano
questi personaggi con una potenza di do-
manda che è diventata la domanda di tutti.
Quindi da Mondo piccolo e Roba Minima, al
Majdan, alla mostra sull’Egitto è stato tutto
un mettere a tema il cuore dell’uomo.
Ad esempio entravi al Majdan e avevi l’im-
pressione di entrare in un luogo periferico,
poi improvvisamente ti ritrovavi al centro
insieme a loro. Ma al centro di cosa? A cen-
tro del cuore dell’uomo.
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IN-MOSTRA 2014
Un fascino per meLuca, studente di fisica a Bologna, è stato una delle guide della mostra scientifica più visitata al Meeting 2014, “Explorers”. Ma com’è nato il suo coinvolgimento, come è proseguito il lavoro e qual è stata la sua esperienza? Ce lo racconta in prima persona.
di Luca Lodovico
Mi chiamo Luca Lodovico,
ho 25 anni e studio fisica
applicata all’Università di
Bologna. Vi racconto la mia esperienza
legata alla mostra del Meeting 2014
intitolata “Explorers”, riguardante il
tema dell’esplorazione e in particolare
l’esplorazione dello spazio.
La scelta di fare la guida alla mostra
“Explorers” è nata quando un mio amico,
studente di astrofisica, che aveva spiegato
la mostra scientifica del Meeting 2012,
ha proposto a me e ad altri ragazzi di
ripetere quell’esperienza, collaborando
con l’associazione Euresis per la scelta dei
contenuti della mostra di quest’anno.
Un lavoro intenso
Ne è nato un gruppo di cinque persone e un
lavoro di circa tre mesi che ha contribuito
alla realizzazione di due pannelli,
riguardanti le missioni su Giove e Saturno.
Questo lavoro ha saputo innanzitutto
affascinare me, che di solito trovo gli
argomenti astronomici poco interessanti,
grazie al confronto con gli altri quattro
ragazzi di Bologna e col gruppo di Milano,
di cui seguivamo le riunioni tenendoci in
contatto via skype. Per farvi capire il clima
e il desiderio che animavano in quei mesi
il nostro piccolo gruppetto di Bologna,
vi dico che, stanchi di conoscere quelli
del gruppo di Milano, attraverso le foto
profilo e i collegamenti (che ogni tanto
saltavano!), abbiamo deciso di prendere
parte di persona ad uno dei loro incontri,
recandoci in giornata a Milano e tornando
alle due di notte, nonostante il giorno
dopo avessimo lezione al mattino.
Grande curiosità
La mia adesione era legata alla curiosità
di una simile esperienza; in primis
un desiderio mio di confronto con
l’argomento trattato e, poi, una curiosità
legata al cercare di trasmettere agli altri il
fascino e l’entusiasmo che generalmente mi
animano quando parlo di fisica e materie
affini. Le fatiche dei mesi di lavoro hanno
messo un po’ in crisi le motivazioni sopra,
ma la settimana al Meeting ha ripagato
appieno gli sforzi fatti.
L’episodio più bello
L’episodio più bello di tutta questa
esperienza è successo il 28 agosto sera.
Erano ormai le dieci e mezza, avevo già
spiegato tre volte la mostra: una, come
da programma, da 130 persone, più due
occasionali, da una decina di persone
ciascuna. Ad un certo punto mi si fa
incontro una famiglia composta da madre,
padre, figlia e nonni materni. La madre mi
chiede se possono entrare cinque minuti
per visitare la mostra, dando una rapida
occhiata ai pannelli, anche perché suo
padre non è mai stato al Meeting e lei ci
teneva a fargli vedere quanto più possibile.
Io acconsento, li lascio andare, ma dopo un
istante mi volto, li inseguo e, nonostante la
stanchezza, gli propongo di fare una visita
guidata rapidissima.
I pannelli, infatti, non raccontavano la
mostra, ma erano piuttosto un aiuto alla
guida per tenere il filo del discorso e un
piccolo approfondimento per i visitatori.
Senza una guida avrebbero visto solo delle
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IN-MOSTRA 2014
belle foto e qualche citazione interessante,
ma non si sarebbero portati a casa niente.
Gli racconto il cuore della mostra e, in dieci
minuti, siamo fuori, tutti contentissimi, col
volto raggiante.
Ci salutiamo e quello che ho pensato
immediatamente è stato cosa potesse
averli cambiati così nel giro di dieci minuti.
Mi sono detto tre cose: la bellezza della
mostra, la possibilità di avere un rapporto
più confidenziale, di dialogare faccia a
faccia, e il semplice non averli lasciati soli,
come recita il titolo del Meeting: “Verso
le periferie del mondo e dell’esistenza. Il
destino non ha lasciato solo l’uomo”.
Perché non li ho lasciati soli?
E lì ho capito che il mio non lasciarli
soli, così come l’aver fatto due precedenti
guide “extra” e l’attenzione che col passare
dei giorni stavo avendo per quel luogo,
nel senso proprio di tenerlo pulito, non
nasceva dal mio carattere, che soprattutto
a quell’ora della sera facilmente risulta
scontroso e tendente al minimo sforzo,
ma dal fatto che innanzitutto il destino
non aveva lasciato solo me in quei giorni.
Mi stava facendo compagnia attraverso i
personaggi e i contenuti della mostra che
stavo spiegando e poi attraverso gli altri
ragazzi della mostra, soprattutto i quattro
di Bologna, con cui mi confrontavo
quotidianamente, anche solo osservando
come loro vivevano quelle ore di servizio
al Meeting.
La mia frase preferita in mostra
In effetti, la mia frase preferita della mostra
è una citazione di Erwin Schrödinger che
dice: «La domanda che ci assilla è di dove
proveniamo e dove andiamo, tutto quello
che possiamo osservare da noi stessi è
ciò che ci circonda attualmente. È per
questo che abbiamo l’ansia di scoprire su
di esso tutto quanto possiamo. Questa
è scienza, l’apprendere, il conoscere,
questa è la vera sorgente di ogni impresa
spirituale umana». La raccontavo sempre
ai visitatori perché effettivamente per
rispondere alle domande che ognuno ha,
non occorre pensare a chissà cosa, occorre
semplicemente guardare ciò che si ha
davanti, cercare lì. Perché è lì quello che
innanzitutto può ridestare il cuore: come
è successo ai tre astronauti dell’Apollo
8, che nello svolgere la propria missione
assistono ad un fatto così sorprendente,
inatteso e inimmaginabile, che ritornano
bambini, come si può sentire nel video
proiettato in mostra e visibile su youtube.
Proprio loro che erano addestrati per
essere dei robot.
“Mi hai fregato”
Tornando all’episodio che vi ho descritto,
il mattino dopo ne ho parlato con un paio
di guide della mostra.
Uno di questi lo rincontro qualche
ora dopo e mi dice: “Mi hai fregato!”,
“Perché?”, “Perché poco dopo quello
che mi hai detto è venuto un gruppetto
di persone e mi sono offerto di fargli da
guida”. “E quindi?”, “È stato molto bello.
Grazie!”
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Grazie al cielo c’è il MeetingCosa succede durante la preparazione di uno spettacolo e in particolare cos’è accaduto durante l’edizione del Meeting appena passata? Lo abbiamo chiesto al direttore artistico degli spettacoli.
di Otello Cenci
Grazie a Dio c’è ancora un posto
dove ci si incontra, ci si confronta
e si costruisce insieme mettendo
a tema la vita e il suo significato. Che il
Meeting non sia solo un festival è noto a
tutti, che il Meeting non sia un convegno
politico, chi ancora non l’aveva capito, l’ha
afferrato con chiarezza quest’anno. Che il
Meeting sia un evento che offre l’oppor-
tunità a persone di ogni provenienza, che
spesso non si conoscono, con storie asso-
lutamente differenti, di religione diversa,
di razza diversa, di conoscersi e lavorare
insieme a progetti che sono lo spunto per
intendere qualcosa in più di se stessi e del
mondo che ci circonda, lo scoprono le per-
sone che lo visitano e ancor più quelle che
hanno l’opportunità di collaborare alla co-
struzione dell’iniziativa.
Un’eccezionale familiarità
Dal mio punto di vista, che da sedici anni
curo la direzione del programma artistico,
posso testimoniare che durante la prepa-
razione di uno spettacolo si crea un’ecce-
zionale familiarità con il gruppo di lavoro;
intensità e verità di rapporto sicuramente
provocata anche dai temi della manifesta-
zione, così profondi e universali.
Un esempio di questa immediatezza di
rapporti è uno splendido pranzo fatto
quest’estate con Frankie Gavin, storico
leader del ‘Irlandesissimo’ gruppo Frankie
and the Dannan. Ci eravamo conosciuti
a Dublino, grazie al comune amico John
Waters e ci siamo lasciati con l’intenzione
di collaborare al più presto. Dopo una fitta
corrispondenza per approfondire, definire,
dettagliare, ci siamo incontrati la mattina
del concerto per andare a pranzo insieme
nel tourbillons della fiera. Il pranzo è stato
breve, ma la conversazione, una di quelle
che si riesce difficilmente ad avere anche
con uno dei più cari amici di vecchia data.
La libertà con cui si è stati in grado di par-
lare delle cose che stanno più a cuore, pre-
occupazioni, dubbi o desideri, è qualcosa
di non abituale, ma nello stesso tempo di
necessario, di indispensabile. Non si tratta
ovviamente di avere uno spazio dove teo-
rizzare sui massimi sistemi, ma di un luogo
seriamente umano dove potersi raccontare
esperienze, e scoperte utili per vivere.
Come disse un’amica coreografa israeliana,
venendo per la prima volta al Meeting e
partecipando a un incontro: «è bello per-
ché qui la fede è qualcosa di pubblico e non
solamente privato ed è trattata non in ma-
niera astratta, ma documentata e confron-
tata con le proprie esperienze, in ambito
artistico, professionale e privato. Io ho ab-
bandonato la mia fede da piccola, ma vorrei
riavvicinarla con questa modalità».
Una possibilità d’incontro
Questa possibilità d’incontro nasce da uo-
mini che partendo da un’ipotesi di lettura
della vita, sono interessati a verificarle nei
fatti e confrontarla con altre persone.
In questo modo spesso, quello che si pensa-
va di dover spiegare, lo capiamo dagli altri.
Mi è successo quest’anno in particolare in
due casi: con lo spettacolo inaugurale “La
Strada” e con lo spettacolo di teatro acro-
batico “Una fame che ci vedo”. Le parole >
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Grande Festa - Band Frankie Gavin & De Dannan.
Una scena dello spettacolo "Una fame che ci vedo".
con cui Francesca Fabbri Fellini ci ha in-
trodotto al pluripremiato film, capolavoro
di suo zio, e reso partecipi degli aneddoti
personali ad esso legati, sono state per me
una scoperta affascinante e l’opportunità di
approfondire il significato di un’opera che
ha poi illuminato il lavoro di tutta la setti-
mana dell’evento. Lo stesso è avvenuto nella
grande avventura vissuta con i ragazzi del
Kenya e con Beppe Chirico, Francesco Ca-
valli, Marco Baldazzi e Padre Kizito. L’alle-
stimento di questo spettacolo acrobatico è
stato per tutte le persone coinvolte un’espe-
rienza eccezionale, di quelle dove percepisci
chiaramente che qualcosa in te è cambiato,
hai fatto un passo, hai imparato qualcosa e
ne sei grato. Pur lavorando per diverse set-
timane in stretta convivenza con tutto il
gruppo, mi sono sorpreso ad ascoltare nelle
interviste realizzate per il documentario di
TV2000, dei giudizi molto meditati e luci-
di sia sul percorso fatto insieme sia sull’ap-
porto del nostro lavoro al tema centrale
del Meeting. Tutti hanno ringraziato per
l’opportunità ricevuta di collaborare al pro-
getto e hanno spiegato il termine periferia,
facilmente comprensibile a livello geogra-
fico, per il coinvolgimento di Nairobi e di
ragazzi provenienti dalle baraccopoli, anche
a livello esistenziale. La lettura è stata molto
interessante: «La periferia esistenziale è là
dove manca il senso per cui impegnarsi tutti
i giorni, l’anima che ti permette di ricono-
scere il valore delle cose, fare delle scelte,
affrontare delle difficoltà, muoverti».
Il cuore pulsante del Meeting
Tutto ciò è il cuore pulsante della manife-
stazione e come si vede, nonostante i tempi
siano molto cambiati dalla prima edizione
di 35 anni fa, il Meeting conserva lo slancio
ideale che lo ha fatto nascere. È sorpren-
dente, in questo senso, andare a rileggere
oggi il testo con cui si presentava il primo
Meeting di Rimini nel 1980: «In troppe par-
ti del mondo la dignità e la vita di milioni
di uomini sono quotidianamente offese e
calpestate. Questo dolore vogliamo assu-
mere e condividere, prendendo su di noi la
responsabilità di essere costruttori di pace.
Occorre coraggio per riaffermare la speran-
za di fronte all’umiliazione e alla violenza,
di fronte al dilagare della menzogna e della
guerra. Il dolore di chi ha sofferto e conti-
nua a soffrire, non è appagato dalle parole
di chi promette di individuare i colpevoli,
né di chi chiede la vendetta di un popolo
contro un altro popolo. Questo dolore trova
consolazione nella presenza di uomini che
operano e vivono per costruire la pace nel-
la verità. Perché “la verità”, come ha detto
Giovanni Paolo II nell’omelia della Messa
del 1° gennaio, è “forza della pace”: questa è
la speranza che, anche col Meeting, voglia-
mo riproporre». Parole oggi più che mai at-
tuali! La situazione di bisogno e di violenza
in cui ci troviamo infatti, ci impone quoti-
dianamente la scelta da dove ricominciare,
su quale ipotesi costruire la nostra giorna-
ta e, di riflesso, che cosa può cambiare il
mondo intero. A chi affidarsi per affrontare
la realtà da uomini e non fuggirne? Que-
sta personale sfida che coinvolge tutti gli
uomini della terra, può essere condivisa al
Meeting di Rimini. L’arte si pone all’interno
del dialogo come linguaggio universale pri-
vilegiato in grado di comunicare con chiun-
que e di risvegliare la nostra vera natura, i
nostri desideri più profondi. La bellezza è
la traccia certa della presenza del vero che ci
risveglia con la sua presenza e ci fa sospira-
re per la sua lontananza. Su queste orme ci
mettiamo in cammino e al lavoro per pre-
parare la prossima edizione del Meeting per
l’amicizia fra i popoli.
La potenza del desiderioUn Meeting all’insegna dell’universalità che ha documentato come “il potere del cuore”, il desiderio di felicità e di verità che tutti gli uomini hanno in comune, può veramente mettere insieme e rende-re amici uomini e popoli. L’introduzione al libro del Meeting 2014.
di Emilia Guarnieri
Rileggendo gli interven-
ti del Meeting 2014,
che il libro necessaria-
mente propone solo in parte e
talora in forma ridotta, se ne
coglie la drammatica attualità
e la grande ricchezza culturale.
Questo documenta come il
Meeting di Rimini, proprio
in quanto gesto di popolo, sia
capace di ospitare e provocare
riflessioni e contenuti utili per
tutti e possa essere, anche al di
là della settimana in cui si svol-
ge, una risorsa.
Le periferie non sono lontane
Abbiamo toccato con mano quanto «le
periferie non sono lontane, fanno parte
del nostro mondo e del nostro vissuto, ci
riguardano da vicino», come affermava il
saluto inaugurale del presidente Napoli-
tano. È emerso, pur se in forme e letture
diverse, che periferia è tutto ciò che è ol-
tre l’angustia di un proprio centro, così
come è stato evidente che per “decentrar-
si” occorre vivere l’esperienza di un cen-
tro. «Il cristiano non ha paura di decen-
trarsi, di andare verso le periferie», ci ha
ricordato il Messaggio di Papa Francesco
«perché ha il suo centro in Gesù Cristo».
E la reciprocità tra periferia e centro è
stata indicata in un’inter-
vista da don Carrón, pre-
sidente della Fraternità di
Comunione e Liberazione,
«Noi pensiamo che le pe-
riferie siano un’aggiunta,
qualcosa che ci distrae.
E invece questa è l’unica
modalità con cui affrontan-
do la vita, le circostanze,
possiamo capire che cosa è
Cristo. Senza questa verifi-
ca di Cristo in ogni perife-
ria non possiamo capire che
cosa è Lui».
Il libro Meeting 2014
Il libro propone il contributo di alcuni
dei protagonisti del Meeting 2014 (acca-
demici, personalità religiose, imprendito-
ri, filosofi, medici, archeologi, scienziati
e educatori), che dall’interno del loro
lavoro hanno mostrato che la cultura na-
sce dall’incontro e dalla condivisione con
l’altro, che ogni scoperta è l’avvenimento
di una novità che si impone, che la ricer-
ca pluridisciplinare accade in un rappor-
to tra persone.
Questa esistenzialità dell’esperienza
culturale ha reso possibile il dialogo tra
testimonianza e riflessione rendendo
evidente l’affermazione di don Giussani,
che «la cultura è coscienza critica e siste-
matica dell’esperienza».
Il potere del cuore
È stato un Meeting all’insegna dell’uni-
versalità, per la vastità di orizzonti geo-
grafici, religiosi, culturali ed esistenziali
che ha abbracciato, che ha documentato
come “il potere del cuore”, il desiderio
di felicità e di verità che tutti gli uomini
Con interventi di BASSETTI, BORGHESI, BUCCELLATI, CARRIQUIRY COPPENS, ECHEVARRÍA, EPIDENDIO, FILONENKO KAIGAMA, MAGATTI, MARCHIONNE, PIZZABALLA SPADARO, TOMASI, VIOLANTE, WARDUNI
LE PERIFERIE DELL’UMANOa cura di Emanuela Belloni e Alberto Savorana
saggi
LIBRO MEETING
NOVEMBRE 201428
a cura di
Emanuela Belloni e
Alberto Savorana
“Le periferie dell'umano”
BUR Rizzoli Saggipp. 408 - € 11,00
hanno in comune, può veramente met-
tere insieme e rendere amici uomini e
popoli.
Di fronte alla tragedia dei massacri e
delle guerre, di fronte ai drammi del do-
lore e della povertà, ma ancor di più in
un mondo in cui ogni certezza relativa
alla persona umana e ai suoi diritti non
emerge più come un’evidenza cogente,
cosa può ancora convincere, attrarre, se
non l’esperienza di un desiderio condivi-
so con gli altri uomini?
Nelle pagine di questo libro, così come
è accaduto al Meeting, riecheggia la po-
tenza di questo desiderio, che traluce
dall’interno di analisi, giudizi, ricerche,
esperienze e riflessioni.
Il tema del prossimo anno
È anche la ricchezza di questi contributi
che ci hanno spinto a mettere a tema per
il prossimo anno “il cuore”, domandan-
doci, con il grande poeta Luzi, «di che è
mancanza questa mancanza, cuore, che a
un tratto ne sei pieno?»
Termino ringraziando, come è d’obbligo,
i curatori di questo libro, consapevole che
la vastità dei contenuti proposti nel corso
della settimana del Meeting rende il rin-
graziamento ancor più motivato.
LIBRO MEETING
NOVEMBRE 2014 29
UN LUOGO D’INCONTRO
NOVEMBRE 201430
Dalla fine del mondoSi chiama Enrica, ha 27, è di Urbino ed ora abita in Argentina. Cosa l’ha spinta a venire a lavorare al Meeting e cosa le è rimasto nel cuore di quella settimana? Ce lo racconta in prima persona.
di Erika Elleri
Cosa ti ha spinto a venire a lavo-rare al Meeting e ad affrontare un viaggio così lungo?
Sono due le ragioni principali. La prima è che era un anno che non vedevo i miei genitori e che non tornavo in Italia, per-ciò all’inizio dell’anno ho programmato quando tornare. Il criterio che ho usato per decidere il periodo di licenza da chiedere al lavoro (perché comunque ho avuto la fortuna che al lavoro mi abbiamo permesso di
assentarmi ad agosto, cosa non ovvia in Argentina, perché si è in pieno inverno, in pieno periodo lavorativo) sono state le date del Meeting.Non solo perché era un’occasione per ve-dere tanti amici in un solo posto (e non dover correre su e giù per l’Italia per ve-dere tutti), ma perché sono cresciuta con il Meeting. Ci vado da quando sono nata e in ventisette anni me lo sono persa una sola volta, perché ero in Argentina in scambio universitario e non potevo per-
dermi le lezioni. Ho fatto la volontaria da quando avevo sedici anni, così per me andare al Meeting significa andarci a la-vorare, perché mi sento molto più parte-cipe e me lo godo molto di più.Il secondo motivo è che avevo i giorni contati per fare tutto quello che volevo fare una volta arrivata in Italia. Volevo sfruttare a pieno ogni singolo giorno e soprattutto volevo stare tutto il tempo possibile con una mia amica, testimone di nozze.
Le volontarie del settore Interviste all’Ufficio stampa. Enrica è la seconda a partire da destra.
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Quando ho iniziato a programmare il
viaggio, le ho chiesto come avremmo
potuto fare per vederci e stare insieme
più di un giorno (perché vivendo all’este-
ro tutte e due, negli ultimi anni i nostri
incontri si sono limitati sempre a poco
meno di 24 ore ogni sei mesi) e lei mi ha
detto: “Io lavoro al Meeting, se vuoi vieni
a lavorare con me!”. E così è stato.
Come ti ha interpellato il titolo dell’e-
dizione di quest’anno, incentrato sulle
periferie?
Mi sono sentita provocata prima di tut-
to perché vivo proprio alle periferie del
mondo! È proprio vero che l’Argentina
si trova alla fine del mondo, cosiccome
ha detto il Papa. Siamo veramente lon-
tani dai “grandi centri di potere”, come
gli USA e l’Europa. Questa lontanza
la si nota spesso dal fatto che tante cose
di qua non escono sulla stampa interna-
zionale e sento che in fondo, in fondo
all’Occidente non interessa molto quello
che succede qui e a volte mi dà sconforto
questo essere lontani da tutti.
La realtà economica in cui ci troviamo,
poi, non è delle più propizie. Però, no-
nostante questa situazione – che per
qualsiasi occidentale è inconcepibile
(inflazione al 40%, cinque tipi diversi di
cambio per una sola moneta, criminalità
etc) – posso dire che è vero che il “De-
stino non ha lasciato solo l’uomo”, così
come recita la seconda parte del titolo del
Meeting 2014.
Lo dico per la compagnia di amici che
mi sono trovata qua e per la speranza
che si respira. Speranza che mi è stata
riconfermata da Padre Charly e dai suoi
compagni e di cui il Papa è un costante
testimone.
Inoltre al Meeting ho avuto la possibilità
di ascoltare ed incontrare persone che vi-
vono in realtà ben più difficili – come per
esempio i cristiani perseguitati in Me-
dio Oriente – e mi hanno aiutato a ri-
dimensionare le difficoltà dell’Argentina
e a rendermi conto della fortuna di avere
compagni di cammino.
Cos’hai visto e cos’è accaduto durante
questo Meeting? Ci racconteresti degli
aneddoti, degli incontri particolari, dei
dialoghi?
Sono successe varie cose al Meeting, è
veramente difficile farne un riassunto.
Lavoravo all’Ufficio Interviste della Sala
Stampa e con altre tre ragazze ci occupa-
vamo di mettere in contatto i giornalisti
delle diverse testate con le personalità di-
staccate che tenevano gli incontri.
Il più delle volte il nostro lavoro consi-
Enrica e alcuni volontari alla Sala Stampa Meeting.
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UN LUOGO D’INCONTRO
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steva in parlare con le hostess/steward di
queste personalità e aiutarli a trovare uno
spazio nelle loro agende per poter rila-
sciare interviste ai giornalisti.
La prima cosa – in ordine temporale –
che mi ha colpito è che di fronte alla più
volte sottolineata assenza di Renzi i gior-
nalisti si siano come divisi in due grandi
gruppi: chi ha deciso di basare il proprio
lavoro di tutta la settimana sulla presun-
ta “perdita di potere politico di CL” e
chi invece ne ha approfittato per capire
davvero che cosa fosse il Meeting. Alcu-
ni giornalisti, che vengono al Meeting da
anni, ci hanno rivelato che non erano mai
andati in giro per mostre o per i padiglio-
ni, ma che ciò che avevano sempre fatto
era andare ai grandi incontri, intervistare
la personalità di spicco, montare il ser-
vizio, mandarlo al giornale e ricomincia-
re il giorno dopo con la stessa routine.
Quest’anno, invece, si sono lasciati sfida-
re da ciò che gli dicevamo noi e cioè che
il Meeting è molto di più del politico che
viene a tenere un incontro, e per esempio
alcuni hanno accettato il nostro invito ad
andare a vedere delle mostre assieme.
Ne sono rimasti molto contenti e con
molti di loro si è creata, durante la setti-
mana, quella simpatia per cui era venerdì
sera, bisognava salutarsi e darsi appunta-
mento all’anno prossimo, avevamo finito
di cenare insieme, ma nessuno se ne vo-
leva andare e si voleva rimanere lì a bere
Moscato e a parlare della vita.
Un’altra cosa che mi è successa è stata
conoscere Padre Charly Olivero, uno dei
curas villeros delle villas di Buenos Aires.
Sentire il suo incontro e vedere il video
che aveva preparato, mi ha fatto pensa-
re: “Ma viviamo davvero nella stessa cit-
tà?! Ma cosa mi sto perdendo!”. Mi ha
colpito molto la testimonianza di questi
giovani preti che lasciano tutto per vivere
nelle villas (e che allegria che trasmette-
vano gli occhi di Padre Charly!) e mi ha
spalancato gli occhi su una realtà che ho
a pochi km da casa mia, ma che faccio di
tutto per evitare.
L’ultima cosa che vorrei sottolineare è
che nuovamente – così come tutti gli
anni – sono rimasta stupita dagli altri
volontari. Uno dei ragazzi con cui siamo
diventati piu amici è stato uno steward
che dovevamo chiamare in continuazio-
ne perché era lo steward di una persona
che volevano intervistare tutti. L’abbia-
mo veramente fatto impazzire perché
lo chiamavamo anche cinque volte al
giorno! Nonostante la nostra “pesantez-
za”, siamo diventate sue amiche, perché
ormai, invece di aspettare la nostra te-
lefonata, veniva direttamente a trovarci
tutti i giorni per sapere di cosa avevamo
bisogno e così, tra un’intervista e un’altra,
è nata un’amicizia.
Alla fine della settimana ci ha raccontato
che è ingegniere aerospaziale, che anche
lui vive e lavora all’estero, e che aveva
chiesto una settimana di ferie per lavo-
rare come volontario al Meeting. Ecco, di
storie così è pieno il Meeting e secondo
me è una delle sue ricchezze.
La Sala Conferenze Stampa del Meeting.
UN LUOGO D’INCONTRO
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Come sei tornata in Argentina?
Ero partita con vari desideri, uno dei
quali era poter offrire il mio lavoro vo-
lontario al Meeting per la ricostruzione
del mio Paese, l’Italia.
Stando all’estero e leggendo i giornali
italiani, mi viene spesso una grande tri-
stezza per il momento storico che si trova
ad affrontare l’Italia e mi chiedo sempre
che cosa possa fare io, da così lontano,
per migliorare la situazione.
Una volta al Meeting mi sono accorta che
lavorare una settimana gratis nel mio Pa-
ese è stata un’opportunità di contribuire,
in qualche modo, alla sua “ricostruzio-
ne”, attraverso la testimonianza che si
può stare al mondo in un modo diverso
e questo contribuisce alla costruzione di
una nuova società.
Inoltre, di ritorno in Argentina ho notato
in me un doppio cambiamento. Il primo
l’ho notato nel lavoro.
Durante il Meeting avevo chiaro che
lavoravo gratuitamente, nel senso che
non mi aspettavo un riconoscimento
da nessuno, ma che lavoravo per aiutare
a costruire la gloria di Cristo in questo
mondo. Ritornando in ufficio, mi sono
accorta che – nonostante io sia pagata –
posso avere la stessa coscienza facendo
quello che devo fare.
La seconda novità è che voglio mantene-
re la stessa apertura che si viveva al Mee-
ting, soprattutto nei confronti di persone
che possono pensarla in modo diverso.
Ho sperimentato nuovamente che l’al-
tro è un bene e non un ostacolo ai miei
progetti personali ed è una cosa che mi
voglio portare dietro tutto l’anno.
UN LUOGO D’INCONTRO
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Un Meeting di svolta, di ripartenzaEugenio Andreatta, giornalista e responsabile dal 2008 del settore Comunicati Stampa al Meeting ci racconta quello che ha vissuto quest’anno. Un luogo, per lui, che «ha saputo guardare realmente fuori dal proprio orizzonte e che ha messo in gioco la sua identità con simpatia e dialogo autentico».
di Stefano Pichi Sermolli
Qual è stato il motivo per cui ti
sei coinvolto inizialmente come
volontario ai comunicati?
Di comunicati stampa mi occupo tutto
l’anno perché di mestiere faccio il giorna-
lista. Nel 2006 mi è venuto in mente di
inserire l’e-mail del Meeting nella mia mai-
ling list, pensando che alcune cose che scri-
vevo potessero interessare. Dopo qualche
settimana mi chiama Emma Neri, allora
responsabile dell’ufficio stampa, chieden-
domi: «Visto che scrivi comunicati da mat-
tina a sera, perché non vieni a farli anche al
Meeting?» Ne ho parlato con alcuni amici e
ho pensato che avrebbe potuto essere un’e-
sperienza interessante.
Cosa ti ha fatto tornare negli anni se-
guenti?
A Rimini ho incontrato Francesco Bosi,
responsabile dei Comunicati Stampa fin dal
1980, un tipo schivo, di poche parole, che
non si metteva mai al centro della scena,
in compenso però attentissimo alle perso-
ne che lavoravano con lui. Il rapporto con
Francesco durante il Meeting 2007 per me
fu molto importante. Mi faceva seguire
incontri di carattere economico - materia
a me completamente estranea - dandomi
fiducia, che io ricambiavo con comunicati
dal sapore vagamente goliardico. Lui ridac-
chiava, ma correggeva il minimo necessa-
rio. All’inizio del 2008 fece sapere agli ami-
ci del Meeting che per motivi di salute non
sarebbe stato presente all’edizione successi-
va. Morì poche settimane dopo, in segui-
to a una malattia dal decorso rapidissimo.
Penso che la cosa che mi ha fatto tornare
al Meeting è avere incontrato Francesco e
altre persone come lui, che vivono la fede
con un’umanità così grande.
Cos’hai visto e cos’è accaduto durante
questo Meeting?
Oltre a coordinare i comunicati devo cor-
reggerli, per cui durante il giorno non pos-
so allontanarmi molto dall’ufficio e non mi
è possibile partecipare a incontri o vedere
mostre. Quindi da un lato vedo ben poco,
dall’altro non mi perdo nulla, perché non
c’è incontro di cui non abbia notizia. L’in-
tensità dei vari incontri mi giunge arric-
chita, come valore aggiunto, dalla serietà
e dall’immedesimazione dei miei “inviati”.
E quindi da questo particolare punto di
osservazione cos’hai percepito?
Un Meeting di svolta, di ripartenza. Tut-
ti i Meeting sono ricchissimi di incontri,
spunti e suggerimenti. Io però quest’anno
ho percepito un Meeting secondo il cuore
di don Carrón, un Meeting che ha saputo
guardare realmente fuori dal proprio oriz-
zonte, non ha veicolato “valori” nobili ma
tendenzialmente un po’ ingessati, ma ha
messo in gioco la sua identità con simpa-
tia e dialogo autentico, come invita a fare
don Julián indicandoci l’esempio di papa
Francesco. Le periferie in questo senso non
I volontari dei Comunicati Stampa del Meeting.
UN LUOGO D’INCONTRO
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sono state solo il tema ma un metodo: pen-
so a incontri come quelli con Pizzaballa e
Spadaro o alla presentazione della “Vita di
don Giussani”.
E nel vostro ufficio cosa hai visto?
Ho visto le facce degli amici che hanno la-
vorato con me. L’anno scorso abbiamo cre-
ato un gruppo su Facebook, qualche volta ci
troviamo anche durante l’anno, andiamo a
vedere delle mostre, a visitare città d’arte. Su-
bito dopo il Meeting di quest’anno Antonio
scriveva: «È sempre un piacere lavorare ai
comunicati e ogni anno c’è un’ulteriore stret-
ta ai bulloni della nostra amicizia». E Ma-
ria Grazia aggiungeva: «Mi mancherete nei
prossimi giorni… mi state già mancando ora,
che sono ancora qui. Ma questa mancanza
dice che c’è un bene. Bene che in questi gior-
ni abbiamo avuto tutti sotto gli occhi. Per
questo sono contenta di sentire questa man-
canza. Ha i vostri occhi. Le nostre battute tra
un comunicato e l’altro, la vostra intelligenza
e il nostro stupore». >
UN LUOGO D’INCONTRO
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Hai fatto incontri particolari che ti han-
no colpito quest’anno?
Ci sarebbero tante cose da dire. Ci sono
persone che ti colpiscono sempre. Citan-
done una sola per tutte, sono sempre col-
pito dall’umanità e dalla capacità di valo-
rizzare di Rosanna, che lavora in ufficio
stampa da quando è nato il Meeting. Un’al-
tra cosa che mi colpisce sempre è che nel
nostro ufficio ci sono persone di molte età
e professioni - pochi i giornalisti - ma tutti
si mettono ugualmente in gioco. Da una
parte i giovani, che con la loro freschezza
e stupore ci aiutano a guardare con occhi
nuovi quello che accade, penso a Concetta
che ha raccontato l’anno scorso la sua espe-
rienza al Notiziario Meeting. D’altra parte
mi stupisce ancora di più vedere che i vec-
chi del mestiere, gente con un curriculum
professionale di riguardo, lasciano spazio
ad altri meno esperti di loro, riservando a se
stessi gli incontri più marginali o sulla car-
ta meno accattivanti. Oppure vedere con
quale delicatezza affiancano come “tutor” i
ragazzi più giovani.
Ci racconteresti alcuni dialoghi o mo-
menti privilegiati?
Un momento privilegiato è la riunione del
mattino, dove ci si dividono i compiti della
giornata. A me ha fatto capire molte cose,
è sempre un momento fondamentale per
“allargare la mente”. Chiedere alle persone
com’è andata il giorno prima, cos’è succes-
so di significativo, favorire un giudizio su
quello che è capitato, leggere qualche riga
dei comunicati del giorno precedente, ri-
chiamare servizi del Quotidiano o del Tg-
Meeting aiuta a capire il contesto del Mee-
ting, cosa fondamentale.
Ad esempio accorgerti che di quel singo-
lo incontro non ti occupi solo tu ma altri
prima o assieme e a te (ad esempio il Sus-
sidiario, il sito internet del Meeting, i social
media) serve a recuperare maggiore respiro
su quello che si scrive. Mi piace poi pen-
sare al lavoro dei Comunicati Stampa come
a una scuola. Per questo negli ultimi due
anni alle riunioni del mattino abbiamo in-
vitato amici come Giuseppe Frangi, Enri-
co Castelli, Marco Bardazzi e Luca Gino
Castellin, chiedendo cosa significa per loro
raccontare il Meeting.
E con i ragazzi dei comunicati?
Per dire degli altri incontri e momenti pri-
vilegiati bisognerebbe fare i nomi di tutti,
da Giovanna e Maria Grazia che il primo
giorno hanno portato dei vasi di fiori per
abbellire l’ufficio, a Marcello, persona di
competenza straordinaria che racconta il
Meeting fin dalla prima edizione con una
discrezione impareggiabile, o il “non cre-
dente” - dice lui - Carlo, che però è un pun-
to di riferimento per tutti noi, o Alfredo,
il bancario più creativo d’Italia, o Daniela,
la nostra inviata di guerra (gli incontri di
Micalessin sono riservati a lei) che ci vizia
ogni giorno con le specialità di Forlì.
Ma davvero bisognerebbe parlare di
ciascuno.
Un bel gruppo di lavoro…
Noi a volte come responsabili di un settore
ragioniamo in modo astratto pensando che
dobbiamo aiutare le persone che lavorano
con noi a “motivarsi” rispetto al lavoro, in-
vece si tratta solo di dare spazio a ciò che
già vivono. Insomma dobbiamo applicare
anche noi il principio di sussidiarietà!
C’è un episodio che ricordi in particolare
in questi anni?
Ricordo un momento del Meeting 2011 in
cui eravamo in 7-8 contemporaneamente
ai pc, tutti assorti a digitare nella nostra
stanza, mi è venuto in mente che in quel
momento il nostro ufficio non era poi così
diverso dall’aula di un monastero altome-
dievale in cui gli amanuensi copiano in
silenzio i testi della Sacra Scrittura, dei
Padri o degli autori pagani... in fondo il
Meeting è questo, un posto in cui si co-
struisce e si tramanda una civiltà, come ci
disse papa Wojtyla.
Eugenio Andreatta ai Comunicati Stampa
VILLAGGIO RAGAZZI
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Qual è stato il motivo per cui ti sei
coinvolta inizialmente?
Ci racconteresti qual è stato il
percorso che ha portato alla
sua realizzazione? Tutto è partito da una proposta. Di Giovan-ni Bosco io sapevo ben poco, conoscevo certo la sua fama di santo ed educatore, ma della sua persona quasi nulla. Questo fino a qual-che mese fa. Poi, un amico mi ha proposto di approfondire la vita di Giovanni Bosco. Così, insieme ad alcuni amici, abbiamo iniziato a conoscere il Santo, non solo leggendo le sue parole e quanto scritto su di lui, ma anche recandoci nei luoghi che hanno segnato la sua vita: a casa sua, ai Becchi, tra le colline astigiane, e poi a Valdocco, in quella che è di-
ventata la sua casa, il primo oratorio stabile, in cui per anni vivrà circondato da centinaia e centinaia di bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia. Approfondendo la vita di quest’uomo, un’e-videnza ci ha sorpresi tutti: la sua attualità con il tema del Meeting di Rimini 2014, “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il
destino non ha lasciato solo l’uomo”. In occasio-ne del bicentenario dalla nascita del Santo, abbiamo scoperto in Giovanni Bosco un testimone innamorato di Gesù che ha speso tutta la sua vita abitando le periferie, non solo quelle geografiche (torinesi) ma soprattutto quelle esistenziali, stando con i carcerati, gli orfani, coinvolgendosi con i ragazzi che in-contrava per le strade. E da qui l’idea: perché non proporlo al Meeting?
Cos’è accaduto in mostra e cosa ha colpi-to maggiormente te e i visitatori?Sono passate a vedere la mostra su don Bosco più di 6000 persone in sei giorni. Molti bambini, ragazzi, genitori, sacer-doti, suore, salesiani, educatori, politici e personalità di diverse professioni. E poi, la cosa più sorprendente: anche un gruppo di carcerati. Gli incontri e i fatti accaduti nella settimana sono davvero tanti e ci te-stimoniano l’attualità del carisma e dell’e-sperienza di Giovanni Bosco. Abbiamo fatto esperienza di quello che ha affermato Papa Francesco nel messaggio rivolto al Meeting, cioè di come «chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile», in grado di “at-trarre” e affascinare tutti.
di Erika Elleri
Guardando il volto di un santoLa mostra su san Giovanni Bosco al Villaggio Ragazzi del Meeting è stata sorprendente e ha attirato un grande pubblico di bambini, ragazzi e adulti. Per saperne di più abbiamo intervistato una delle curatrici della mostra, Miriam Grandi.
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VILLAGGIO RAGAZZI
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Tra i fatti che ci hanno più colpito ci sono sicuramente lo stupore e la commozio-ne dei visitatori di fronte al racconto dei semplici episodi della vita del Santo. A tutti noi volontari che facevamo da gui-da ai gruppi, raccontando i fatti, come ci avevano colpito e che cosa ci hanno fatto intravvedere per la nostra vita, è capitato di vedere gente con gli occhi sgranati, stupiti e contenti. Chi ci stava di fronte si sentiva compreso dentro quel “sentirsi amati”. In molti ci siamo sorpresi a chiederci, magari di fron-te ai bambini più vivaci, come si sarebbe comportato don Bosco con loro e subito ci si trovava a guardarli in modo diverso, come “un dono più grande”. Un’insegnante che aveva messo uno dei più scalmanati nelle prime file ci ha rin-graziato per come abbiamo “preferito” quel bambino, coinvolgendolo nella spiegazio-ne. Una suora salesiana, dopo aver visto la mostra, ha saputo dalla guida che i pan-nelli erano solo una parte e che c’era anche “la vita dell’Oratorio”, come all’oratorio di Valdocco, con giochi, canti, balli. Allora si è voluta fermare per vedere cosa facevamo. Alla fine mi ha detto: «Ho visto la vita di san Giovanni raccontata dai pannelli prendere vita tra di voi. Ho “respirato” don Bosco». Un sacerdote salesiano ha detto: «Sembra di essere agli inizi, come a Val-docco».Carmen, maestra a Madrid, dopo aver spiegato la mostra ai carcerati, ha com-mentato: «Facendo il giro per il gruppo dei carcerati ho capito di più come da sempre la Chiesa li ha avuti nel cuore. Don Bosco fino alla fine è andato a confessare in car-cere perché quello che gli stava a cuore “è la salvezza di tutte le anime, non importa chi sono e cosa hanno fatto. Tutti possono sperimentare il perdono che Gesù ha por-tato nel mondo”». Attraverso l’esperienza che abbiamo fatto, abbiamo potuto “guar-dare il volto di un santo” scoprendo che “il Destino non ha lasciato solo l’uomo”, non ha lasciato soli noi.
Hai fatto incontri particolari, ci raccon-teresti alcuni dialoghi e momenti con personaggi o persone del pubblico?Ciò che mi ha colpito è stato lo sguar-do delle persone che avevo davanti. Man mano che raccontavo gli episodi della vita
di Giovanni, gli occhi di chi mi guardava iniziavano a commuoversi, c’è chi è scop-piato letteralmente in lacrime. Questo è avvenuto tutte le volte che ho spiegato la mostra, con adulti, con ragaz-zi, con l’ospite del Meeting, con lo steward, con la suora salesiana, o con il prete. Mi è nata subito questa domanda: Che cosa sta succedendo? Chi sta smuovendo così le corde del cuore tanto da commuoverlo? Uno degli incontri che mi ha stupito di più
è stato quello con due ospiti del Meeting: un medico chirurgo venuto per interveni-re in un dibattito in fiera e sua moglie. Si sono avvicinati alla mostra, la moglie vole-va vederla, da sempre affascinata da Gio-vanni Bosco, per i racconti che ne faceva il papà salesiano, così si è fatta accompagna-re dal marito che si è presentato con l’Ipad in mano. Ho iniziato a raccontare della vita di Giovanni Bosco, del suo fascino, di come, facendo la mostra, abbia scoperto un
Una guida spiega la mostra su don Bosco a bambini e ragazzi.
VILLAGGIO RAGAZZI
NOVEMBRE 2014 39
amico per la mia vita, perché traccia una strada alla felicità possibile per tutti noi. L’Ipad è sparito subito, i due si sono sempre più avvicinati a me e così il loro steward. Io dovevo gridare per farmi sen-tire perché più avanti c’era un’altra guida con il microfono e poco lontano la banda dei ragazzi suonava. Farsi sentire è stata un’impresa, ma la loro disponibilità cresce-va sempre più, il medico ad un certo punto mi si è messo proprio a fianco, perché non
voleva perdersi neanche una parola di quel che raccontavo. Data la situazione, pensavo di riassumere un po’, invece mi hanno chiesto di raccon-tare proprio tutto. Lo steward, che inizialmente aveva una faccia impassibile, è scoppiato a piangere. Alla fine della mostra mi hanno abbraccia-to, dicendomi: «Pensavamo di venire qua e scoprire un po’ di più della vita di questo grande Santo e invece torniamo a casa con
in mente e nel cuore i tuoi occhi, sono la cosa più preziosa di questa ora passata in-sieme». Questi giorni sono stati una possibilità per me e per chi avevo di fronte di conversione del cuore, perché ciò che può smuoverlo è solo una vita, non un ricordo per quanto bello, ma la possibilità oggi di vivere la stessa esperienza di pienezza che ha vissu-to Giovanni Bosco. Questo è quello che è accaduto al Meeting.
Giovane, forte e liberoMa chi era beato Alberto Marvelli, così caro alla città di Rimini, a cui è stata intitolata una scuola e una piazza e qual è la sua ere-dità oggi? Di questo ed altro ci racconta la professoressa Rosanna Menghi, grande conoscitrice di agiografia.
di Rosanna Menghi
“Giovane forte e libero”. Così
Giovanni Paolo II a Loreto, il 5 set-
tembre 2004, presentò Alberto Mar-
velli nel proclamarlo beato davanti ai nu-
merosissimi fedeli raccolti nella spianata
di Montorso; nell’agosto immediatamente
precedente, il Meeting gli aveva dedicato
una mostra dal titolo: “Vivere salendo” a
cura del prof. Bruno Biotti e di Mons. Fau-
sto Lanfranchi, autore di diverse pubblica-
zioni ed articoli sull’amico che, nell’estate
del ’44, gli aveva salvato la vita, rischiando
la propria, nascondendolo perché non fos-
se fucilato dai tedeschi come renitente alla
leva. “Vivere salendo” è un’espressione che
Alberto scrive nel Diario in data 1936, alla
vigilia del suo diciottesimo compleanno, e
la eredita, se così si può dire, da Piergiorgio
Frassati, morto nel 1925 in fama di santità,
che dichiara di voler seguire e imitare.
Tante iniziative in diocesi e la mostra del
Meeting
Nel decennale della beatificazione, la chie-
sa riminese ricorda Marvelli con una serie
di iniziative che si susseguiranno nell’arco
di un intero anno, fino al 5 ottobre 2015;
fra di esse proprio la mostra del Meeting,
itinerante per l’occasione e già molto vi-
sitata sia durante il Festival Francescano
che dagli studenti, nell’esposizione presso
la sala dell’Arengo, nonché dai turisti ne-
gli stabilimenti balneari e dai fedeli nelle
diverse parrocchie che l’hanno ospitata
fino ad ora; e ancora manifestazioni spor-
tive, corsi d’aggiornamento per insegnanti,
spettacoli, un docufilm realizzato per l’oc-
casione, conferenze, un’esposizione a cura
di un gruppo di pittori riminesi, numerose
nuove pubblicazioni, celebrazioni religiose
e, addirittura l’indulgenza plenaria.
Il programma, imbastito dalla dott. ssa Eli-
sabetta Casadei e dal suo staff di volontari,
è consultabile al sito www.diocesi.rimini.it
Ma chi è “questo” Alberto Marvelli a cui è
stata intitolata una scuola media di Rimi-
ni e, addirittura, la famosissima ex Piazza
Tripoli?
La vita
Nasce a Ferrara il 21 marzo 1918 e nel ’30,
con la famiglia, si trasferisce a Rimini dove
comincia a frequentare l’oratorio dei Sale-
siani prima e l’Azione Cattolica poi.
È fra le mura domestiche che il dna della
sua vocazione cristiana trova fondamento;
in particolare la mamma lo educa alla cari-
tà: quando la cena nel piatto è scarsa, dice
ai bambini: “È passato Gesù”, perché quel
che manca è andato a chi ha bussato alla
porta per mendicare qualcosa da mangia-
re. Compagno di Federico Fellini al Liceo
Classico Giulio Cesare (definito dal mae-
stro “dolce, biondo, esemplare” in un’inter-
vista del 1970), nel ’41 si laurea a Bologna
in Ingegneria Meccanica dopo aver aderito
con entusiasmo alla FUCI.
Lavora per diversi mesi alla FIAT di Torino
prima di essere chiamato al servizio milita-
re che svolge a Trieste e successivamente a
APPROFONDIMENTI
NOVEMBRE 201440
Treviso. Dopo la guerra e dopo essere stato
per due anni assessore alla ricostruzione,
su invito di Benigno Zaccagnini, nel ’46
scende apertamente in politica ed è candi-
dato a sindaco dalla Democrazia Cristiana
per l’elezione della prima amministrazione
comunale post bellica. Alla vigilia delle
elezioni, il 5 ottobre 1946, viene investito
da un camion militare alleato mentre si
reca, con l’immancabile bicicletta, a tenere
l’ultimo comizio a San Giuliano a Mare.
L’incidente avviene proprio in prossimità
della chiesa di Maria Ausiliatrice, retta dai
Salesiani, dove Alberto era stato catechista,
animatore della liturgia, compagno di gio-
chi e di studi di tanti ragazzi che avevano
imparato ad andare a Messa solo perché
dopo, con lui, avrebbero fatto colazione
tutti insieme, avrebbero scherzato e avreb-
bero giocato a pallone.
Muore fra le braccia della madre Maria,
affranta e incredula: aveva già perduto un
figlio di tre anni, Giorgio, sempre in un in-
cidente stradale, sempre sul lungomare.
Il giorno del funerale viene dichiarato il
lutto cittadino; la città si ferma, le saracine-
sche dei negozi restano abbassate. Anche
gli avversari politici, quelli che non vanno
mai in chiesa, sono lì, a trasportare la bara
in spalla fino al cimitero.
Il corpo del beato, incorrotto, è oggi custo-
dito nella chiesa di Sant’Agostino, in Via
Cairoli, dove, nel giugno del ’90, si recò a
pregare il prof. Tito Malfatti, affetto da
spondilosi, con un dolore all’anca e alla
schiena talmente forte da dover interrom-
pere la professione di medico specialista in
otorinolaringoiatria; tornò a casa guarito:
fu il miracolo che i postulatori attendevano.
Una persona fuori dal comune
In realtà Alberto era ritenuto già una per-
sona fuori dal comune quando era in vita:
lo additavano ammirati coloro che lo vede-
vano quasi immobile alla Messa, in ginoc-
chio davanti al crocifisso e al Santissimo:
“Io lo guardo e Lui mi parla”; lo stimavano
gli amici di scuola e gli stessi professori.
In particolare la sua insegnante di Lette-
ratura e Storia dell’Arte, Maria Massani,
personaggio di spicco dell’ambiente cat-
tolico di quegli anni, che fondò, fra l’altro,
il Movimento dei Laureati cattolici di cui
Alberto era presidente, scriverà la prima
biografia, raccoglierà una miriade di testi-
monianze per il processo canonico e met-
terà ordine nel Diario, un’opera fondamen-
tale per avvicinarsi alla spiritualità di un
ragazzo che, fin da giovanissimo, si rivol- >
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ge a Dio dichiarandogli il proprio amore
e ringraziandolo per il cielo, la montagna
che tanto amava (“Se non amassi Dio, cre-
do che arriverei ad amarlo in montagna”),
per ogni singola persona incontrata anche
solo di sfuggita. “La vita è movimento”,
era solito affermare Alberto, ed in effetti si
può davvero dire che i suoi ventott’anni li
ha vissuti alla grande, senza misura, con un
entusiasmo instancabile e la rara capacità
di cercare sempre il senso ultimo, oltre le
apparenze. Come quando, innamorato di
Marilena Aldè, figlia di amici di famiglia,
conosciuta da bambina, non smette di at-
tendere una risposta, un sì che non arriverà
mai: quell’assenza, anziché fermarlo, lo in-
chioda all’essenziale, lo pungola a una do-
manda continua sulla strada da percorrere.
Nell’ultima lettera si legge: “Scrivimi pure
quando credi, quello che senti, con tutta
sincerità e lealtà; sono forte abbastanza per
non scoraggiarmi, ho pazienza sufficiente
in caso per attendere ancora! Amo troppo il
Signore per ribellarmi o piangere su quella
che evidentemente sarebbe la sua volontà,
ed infine amo te tanto, che desidero solo la
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tua felicità, a costo anche di miei sacrifici e
rinunce. Tuo Alberto”.
Un binomio amore-felicità che va ben oltre
l’ambito affettivo e si estende come crite-
rio di giudizio, ad ogni brandello di realtà.
Troppo lunga è la lista del bene compiuto,
dell’amore donato, della dedizione fin nel-
le più piccole scelte quotidiane. Già come
studente e capofamiglia, dopo la morte del
padre, poi come responsabile di gruppi gio-
vanili, il suo stile è inconfondibile e il desi-
derio è chiaro e sintetizzabile in un’espres-
sione che lui stesso dichiara: “Una meta mi
sono prefisso di raggiungere, oggi, ad ogni
costo, con l’aiuto di Dio. Meta alta, subli-
me, radiosa, preziosa, desiderata da tempo,
ma finora mai attuata. Essere santo”.
È soprattutto nel terribile tempo della guerra
e della ricostruzione, dopo gli interminabili
10 mesi di bombardamenti, che questa uma-
nità potentemente si manifesta, quando un
pezzo di pane o un materasso, trovati chissà
come e consegnati a chi neppure si conosce,
valgono più dell’oro e portano speranza a
chi ha perduto tutto. Alberto, servo inutile,
fra gli sfollati di Vergiano e di San Marino,
accanto ai cadaveri e ai sopravvissuti estratti
dalle macerie, non smette di incoraggiare e
sostenere, non si arrende al disastro, cerca,
inventa, scopre mille modi per essere d’aiuto.
Attento ai bisogni concreti, dona quel che
urgentemente serve, anche le scarpe che por-
ta ai piedi tornando a casa, un giorno, con un
paio di vecchi zoccoli di legno, ma offrendo
al contempo, e soprattutto, se stesso. Disde-
gna l’assistenzialismo moralistico che si cro-
giola nel compiacimento; apre un varco fra
il presente e l’eterno, perché quell’eterno, per
lui, ha il nome più caro: Gesù.
Un’immagine della mostra “Vivere salendo” allestita al Meeting del 2004.
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La Community MeetingCresce la “comunità” dei sostenitori del Meeting. Fai anche tu la tua donazione e aiutaci a costruire la XXXVI edizione. Il tuo contributo sosterrà in particolare la realizzazione delle mostre, degli spetta-coli, dei convegni e degli altri spazi, ma soprattutto le spese degli oltre 3000 volontari.
Una comunità che cresce, una
generosità che commuove,
perché dimostra una grande,
grandissima, affezione per il Meeting. Sono
infatti molte le persone che hanno deciso
di donare durante il Meeting e che ancora
oggi donano.
Sono piccole o più grandi donazioni,
ma tutte importantissime, per permette
a questo posto unico al mondo di poter
continuare ad esistere. Un luogo che, come
ha indicato il Santo Papa Giovanni Paolo
II nella sua storica visita al Meeting nel
1982, da oltre 30 anni vuole «Generare una
civiltà che nasca dalla verità e dall’amore».
Continuiamo a lavorare per questo,
interessati a documentare, testimoniare
e raccontare questa civiltà, impegnati
a costruire, come ha richiamato tante
volte anche Papa Francesco, «una cultura
dell’incontro, una cultura dell’amicizia,
dove possiamo parlare con quelli che non
la pensano come noi, anche con quelli che
hanno un’altra fede, che non hanno la stessa
fede». Sin dalla sua origine il Meeting ha
scommesso sul desiderio e la passione
che ogni uomo ha nel proprio cuore, quel
desiderio di bellezza, verità e giustizia che
diventa terreno comune per l’incontro e
il dialogo. Sostenere il Meeting significa
partecipare alla COSTRUZIONE di un
LUOGO dove è possibile la valorizzazione
reciproca, dove la differenza dell’altro è una
provocazione positiva, un aiuto a scoprire
la verità corrispondente alle esigenze
dell’uomo. Il tuo contributo sosterrà la
realizzazione delle mostre, la preparazione
degli spettacoli e dei convegni, ma
soprattutto aiuterà gli oltre 3000 volontari
a venire a Rimini. Entrare a far parte della
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