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Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale Centro competenze tributarie Novità fiscali L’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale www.novitafiscali.supsi.ch N° 5 – maggio 2020 Diritto tributario svizzero L’esenzione dal bollo cantonale per le ex società a statuto speciale e i possibili sviluppi interpretativi 236 Paolo Pamini LSAI: il Consiglio federale licenzia il messaggio di modifica 246 Sebastiano Garufi Giuliani Diritto tributario italiano La relazione tra il regime degli impatriati e l’art. 24-bis TUIR, alla luce delle modifiche introdotte nel corso del 2019 255 Francesco Telch I criteri di territorialità nella fiscalità delle gestioni patrimoniali dei neo-residenti 263 Francesco Baccaglini Aggiornamenti sulla tassazione delle rendite AVS e LPP in Italia 271 Guido Beltrame Imposte sui redditi degli intermediari finanziari non residenti operanti in Italia 275 Alessio Spitaleri e Amedeo Rizzo La confisca per sproporzione fa il suo ingresso nel diritto penal-tributario italiano 281 Diego Zucal Diritto societario La tokenizzazione di azioni, tra sviluppi dottrinari e novità normative 286 Massimiliano Maestretti e Lorenza Ferro Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero L’assistenza amministrativa in caso di dati rubati 299 Samuele Vorpe Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE Profili IVA del distacco di personale 304 Paolo Polastri

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Page 1: Novità fiscali · Diritto societario La tokenizzazione di azioni, tra sviluppi dottrinari e novità normative 286 Massimiliano Maestretti e Lorenza Ferro Rassegna di giurisprudenza

Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento economia aziendale, sanità e socialeCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.novitafiscali.supsi.ch

N° 5 – maggio 2020

Diritto tributario svizzeroL’esenzione dal bollo cantonale per le ex società a statuto speciale e i possibili sviluppi interpretativi 236Paolo Pamini

LSAI: il Consiglio federale licenzia il messaggio di modifica 246Sebastiano Garufi Giuliani

Diritto tributario italianoLa relazione tra il regime degli impatriati e l’art. 24-bis TUIR, alla luce delle modifiche introdotte nel corso del 2019 255Francesco Telch

I criteri di territorialità nella fiscalità delle gestioni patrimonialidei neo-residenti 263Francesco Baccaglini

Aggiornamenti sulla tassazione delle rendite AVS e LPP in Italia 271Guido Beltrame

Imposte sui redditi degli intermediari finanziari non residenti operanti in Italia 275Alessio Spitaleri e Amedeo Rizzo

La confisca per sproporzione fa il suo ingresso nel diritto penal-tributario italiano 281Diego Zucal

Diritto societarioLa tokenizzazione di azioni, tra sviluppi dottrinari e novità normative 286Massimiliano Maestretti e Lorenza Ferro

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroL’assistenza amministrativa in caso di dati rubati 299 Samuele Vorpe

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UEProfili IVA del distacco di personale 304 Paolo Polastri

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235 maggio 2020

Questo numero primaverile di Novità fiscali apre la sezione di diritto tributario svizzero con una rifles-sione sull’esenzione dal bollo cantonale per le ex società a statuto speciale di Paolo Pamini, seguito dall’analisi condotta da Sebastiano Garufi Giuliani sul Messaggio adottato dal Consiglio federale di modifica alla Legge federale sullo scambio di infor-mazioni (LSAI). Per il diritto tributario italiano, Francesco Telch ci espone alcune riflessioni sulla relazione tra il regime degli impatriati e quello cd. dei Paperoni, dedicata ai neo-residenti. Sempre a questa categoria di contribuenti è mirata l'analisi di Francesco Baccaglini che ci illustra i criteri di terri-torialità applicati alla fiscalità della gestione dei loro patrimoni, mentre Guido Beltrame si sofferma sull’esame della tassazione in Italia delle rendite AVS ed LPP. Ancora, Alessio Spitaleri e Amedeo Rizzo ci regalano un’analisi relativa all’imposizione sui redditi degli intermediari finanziari non resi-denti. Diego Zucal fa, invece, luce sulla misura della confisca per sproporzione introdotta nell’ambito del diritto penal-tributario della Penisola. Seguono, per la rubrica di diritto societario, Massimiliano Maestretti e Lorenza Ferro con un’interessante disamina degli sviluppi (dottrinari e normativi) in ambito di tokenizzazione di azioni. Per le rassegne giurisprudenziali, Samuele Vorpe ci illustra la posi-zione del Tribunale federale sulla delicata relazione tra assistenza amministrativa e dati rubati. Chiude Paolo Polastri che analizza la recente sentenza CGUE resa in ambito IVA sul distacco del personale.Buona lettura in queste tiepide giornate di sole,

Francesca Amaddeo

RedazioneSUPSI

Centro di competenzetributarieStabile SuglioVia Cantonale 186928 MannoT +41 58 666 61 75F +41 58 666 61 [email protected]

ISSN 2235-4565 (Print)ISSN 2235-4573 (Online)

Direttore scientificoSamuele Vorpe

Comitato scientifico dei revisoriFrancesca AmaddeoFlavio AmadòPaolo ArginelliSacha CattelanThierry De MitriRocco FilippiniSimona GeniniMarco GreggiPatrizia LangGiordano MacchiGiovanni MoloAndrea PedroliPaolo PiantavignaAndrea PurpuraNicola SartoriCurzio ToffoliSamuele Vorpe

Impaginazione e layoutLaboratorio cultura visiva

IntroduzioneNovità fiscali05/2020

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236 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

Paolo PaminiDr. oec., Esperto fiscale dipl.,Deputato al Gran Consiglio ticinese,membro della Commissione della gestione e finanzeDocente di fiscalità al Politecnico federaledi Zurigo e all’Università di Lucerna,Manager, Tax & Legal Services,PricewaterhouseCoopers SA, Lugano

Gli ultimi emendamenti alla Legge sull’imposta di bollo tesi a mantenere buona parte dell’esenzione soggettiva, più qualche particolarità e riflessione sugli sviluppi futuri

L’esenzione dal bollo cantonale per le ex società astatuto speciale e i possibili sviluppi interpretativi

Il 19 maggio 2019 le cittadine e i cittadini svizzeri hanno approvato, nel quadro della RFFA, l’abrogazione degli statuti fiscali speciali cantonali. Chiamato ad implementare la riforma nel proprio diritto cantonale, nel Messaggio n. 7684, del 10 luglio 2019, il Consiglio di Stato ticinese proponeva inter alia di abrogare l’esenzione soggettiva di cui le società a statuto speciale godevano ai fini dell’imposta cantonale di bollo sulle scritture private. Malgrado chiari indizi nei materiali per cui non fosse intenzione dell’Esecutivo e dell’Amministrazione cantonale aumentare in tal modo il prelievo, il rischio di un’in-terpretazione letterale della Legge cantonale sul bollo avrebbe potuto spingere molte ex società ticinesi a statuto speciale – segnatamente le cd. trading companies – a spostarsi verso altri Cantoni. In determinate situazioni infatti, il costo fiscale ai fini del bollo cantonale avrebbe potuto superare di una volta e mezzo quello causato dall’imposta sull’utile. Riconosciuto il problema, la concertazione tra la Divisione delle contribu-zioni, le forze politiche borghesi e chi scrive, ha condotto al sostanziale mantenimento della suddetta esenzione sogget-tiva, seppur con qualche specifica modifica, come descritto nel presente contributo. I. Introduzione

Quali effetti avrebbe potuto avere e di fatto ha avuto ai fini dell’imposta cantonale di bollo ticinese la Riforma fiscale e finanziamento dell’AVS (RFFA), approvata dalle cittadine e dai cittadini svizzeri il 19 maggio 2019? Nella stragrande maggioranza dei casi verosimilmente nessuno, tuttavia, è utile conoscere le dinamiche che hanno portato ad alcuni affi-namenti durante i lavori parlamentari di ratifica del finishing ticinese durante l’estate e l’autunno 2019 e che potrebbero nel caso concreto portare qualche inaspettato cambiamento.

Con l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2020 della RFFA, sono inter alia stati abrogati i cpvv. 2, 3 e 4 dell’art. 28 della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (LAID; RS 642.14) che reggevano i regimi fiscali cantonali (società holding, di amministrazione e ausiliarie). Di conseguenza e coerentemente con quanto precede, sempre con effetto dal 1° gennaio 2020, anche gli artt. 91, 92, 93 e 94 della Legge tributaria ticinese (LT; RL 640.100) sono stati abrogati.

I. Introduzione ......................................................................236II. L’imposta di bollo cantonale per le ex società a statuto fiscale prima e dopo la riforma fiscale cantonale .............................................................................. 237A. Gli oggetti dell’imposta di bollo sulle scritture private ... 237B. I regimi in vigore fino al 2019 ................................................. 237C. Le nuove disposizioni in essere a partire dal 1° gennaio 2020 ................................................................................ 2371. L’esenzione dall’imposta di bollo per le società holding .. 2382. L’esenzione dall’imposta di bollo per le società cheesercitano un’attività commerciale principalmente rivolta all’estero ................................................................................. 238III. La volontà del legislatore e i lavori di emendamentodella Legge sul bollo ............................................................238A. La proposta iniziale formulata dal Consiglio di Stato nel Messaggio n. 7684 .................................................................... 238

B. Il concreto rischio in relazione alle trading companies e la decisione di proporre un emendamento in aula .......... 240C. I lavori preparatori all’emendamento ..................................241D. L’emendamento sottoposto a votazione plenaria ..........241IV. Commento ...................................................................... 242A. Quali società hanno un’attività principalmente rivolta all’estero? ................................................................................242B. Cosa rientra tra gli immobilizzi? .............................................243C. Fondazioni ad ex statuto speciale .........................................243D. Mutui infragruppo di lungo vs. di corto termine .............243E. Compravendita di altri particolari attivi a lungo termine ..................................................................................................243F. Mediazioni immobiliari .............................................................. 244G. Possibilità di ruling ...................................................................... 244H. Sulla via dell’abolizione dell’imposta cantonale di bollo? ................................................................................................. 244V. Conclusioni ....................................................................... 245

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237 maggio 2020

Sul piano prettamente cantonale ticinese, la proposta di riforma cantonale formulata dal Consiglio di Stato nel Messaggio n. 7684, del 10 luglio 2019, prevedeva pure l’abrogazione, nella Legge cantonale del 20 ottobre 1986 sull’imposta di bollo e sugli spettacoli cinematografici (LBol; RL 653.100), dell’art. 7 cpv. 2 lett. h su cui poggiava fino al 2019 l’esenzione soggettiva ai fini del bollo cantonale per le suddette società a statuto speciale. Quale motivazione, il Consiglio di Stato menzionava che l’abrogazione di tale arti-colo si rendeva necessaria a seguito della soppressione degli statuti fiscali.

Sebbene, come spiegato sotto in maggiore dettaglio, ci fos-sero buone ragioni per credere che la prassi della Divisione delle contribuzioni e le intenzioni del Consiglio di Stato non prevedessero un improvviso aumento della tassazione delle ex società a statuto speciale, queste (in particolare le cd. tra-ding companies) si sarebbero trovate esposte ad un potenziale rischio fiscale che, in applicazione del testo di legge e a deter-minate condizioni, avrebbero potuto condurre ad un “costo imposte” ai fini del bollo cantonale, pari o addirittura superiore a quello ai fini delle imposte sull’utile. Un tale rischio avrebbe concretamente minacciato la migrazione dei maggiori con-tribuenti ticinesi verso altri Cantoni che non prevedono una tale tassa sui negozi giuridici (praticamente tutti) rendendo di fatto vano l’esercizio della riforma fiscale.

I lavori parlamentari, di concerto con la Divisione delle con-tribuzioni e il Dipartimento delle finanze e dell’economia del Canton Ticino (DFE), hanno condotto in breve tempo ad un compromesso sfociato nell’emendamento del testo di legge della LBol affinché le società holding possano ininterrotta-mente continuare a godere dell’esenzione ai fini del bollo cantonale anche dal 1° gennaio 2020 e le società con un’atti-vità principalmente rivolta all’estero, quali le trading companies, possano continuare ad esentare dal bollo le forti movimenta-zioni connesse a tali attività di negoziazione internazionale.

Il contributo presenta la situazione legale fino al 2019 com-preso e dal 2020 in avanti, in merito al trattamento ai fini del bollo cantonale delle ex società a statuto speciale. Prosegue dettagliando i materiali di lavoro che hanno condotto dall’in-ziale proposta del Consiglio di Stato al testo di legge entrato in vigore. Infine, conclude commentando alcuni casi particolari e possibili ambiti in cui potrà evolvere la prassi amministrativa nel corso dei prossimi anni.

II. L’imposta di bollo cantonale per le ex società a statuto fiscale prima e dopo la riforma fiscale cantonaleA. Gli oggetti dell’imposta di bollo sulle scritture privateSi ricordi in primo luogo che giusta l’art. 1 cpvv. 1 e 2 LBol il Cantone preleva un’imposta di bollo alla quale sono inter alia sottoposti i seguenti contratti per scrittura privata stipulati nel Cantone Ticino in forma scritta o parificata a quella scritta, enumerati dall’art. 2 LBol. Si tratta specificatamente di:

a) contratti che hanno come oggetto il trasferimento della proprietà di cose mobili secondo l’art. 713 del Codice civile (CC; RS 210), compresa l’energia; in particolare la

compravendita, i contratti di forniture successive, la ces-sione, la permuta di ogni cosa materiale o immateriale;

b) mutui di denaro o di altre cose fungibili;c) appalti (art. 363 del Codice delle obbligazioni [CO; RS 220])

di qualsiasi natura per cui il committente paga una mercede a chi compie prestazioni d’opera, al di fuori di un rapporto costante di servizio ad eccezione di quelli stipulati da archi-tetti, ingegneri o nell’ambito di professioni analoghe;

d) mediazione immobiliare.

Anche contratti misti che partecipano alle caratteristiche dei tipi precedentemente indicati soggiacciono all’imposta di bollo (art. 2 cpv. 2 LBol).

La sovranità fiscale cantonale e, pertanto, l’imposizione dell’imposta di bollo è soddisfatta qualora la stipulazione sia data ai sensi dell’art. 6 LBol nel Cantone Ticino. A tale fine è in particolare sufficiente che sia avvenuta nel Cantone almeno l’apposizione dell’ultima firma che ha concluso la negozia-zione contrattuale, secondo la forma scritta definita dall’art. 4 LBol o riconosciuta ai sensi dell’art. 5 lett. b LBol; oppure che sia stata apposta nel Cantone la firma di ordinazione o di accettazione di offerta, su moduli non destinati ad essere firmati dalla controparte (art. 5 lett. a LBol).

B. I regimi in vigore fino al 2019Come si è già accennato in entrata, fino al 2019 compreso le società a statuto speciale godevano dell’esenzione ai fini dell’imposta di bollo. L’art. 7 cpv. 2 lett. h vLBol (ossia la LBol in vigore fino al 31 dicembre 2019) era, infatti, del seguente tenore: “[s]ono esenti dall’imposta di bollo […] i contratti per scrittura privata quando una delle parti contraenti è una società assoggettata per l’imposta ordinaria nel Cantone e che adempie ai requisiti delle società a tassazione speciale di cui agli articoli 91-93 della legge tributaria”.

La Legge tributaria in vigore fino al 31 dicembre 2019 (vLT) contemplava all’art. 91 le società holding, ossia “le società di capitali e le società cooperative il cui scopo statutario consiste essenzialmente nell’amministrazione durevole di partecipazioni, che non esercitano alcuna attività commerciale in Svizzera [e per le quali] a lunga scadenza le partecipazioni o il reddito delle stesse rappre-sentano almeno due terzi degli attivi o ricavi complessivi”.

Vi erano, inoltre, le cd. società di amministrazione (art. 92 vLT), ossia “le società di capitali, le società cooperative e le fondazioni che esercitano un’attività amministrativa nel Cantone senza esercitare un’attività commerciale in Svizzera”.

Infine, la precedente LT elencava tra le società a statuto fiscale le cd. società ausiliarie (art. 93 vLT), ossia “le società di capitali e le cooperative che esercitano un’attività commerciale principalmente rivolta all’estero e solo marginalmente in Svizzera”.

C. Le nuove disposizioni in essere a partire dal 1° gennaio 2020Con effetto dal 1° gennaio 2020, e a seguito dei dibattimenti del 4 novembre 2019 nel Gran Consiglio ticinese che hanno accettato la riforma fiscale unitamente all’emendamento

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238 maggio 2020

della LBol oggetto del presente articolo, l’art. 7 cpv. 2 LBol è stato adattato in modo da garantire nel testo di legge l’esen-zione ai fini dell’imposta di bollo per due categorie di società: le società holding e quelle con attività commerciale prevalen-temente rivolta all’estero. È stata in particolare modificata la preesistente lett. h, nonché introdotta la lett. i, tramite la Legge del 4 novembre 2019, in vigore dal 1° gennaio 2020[1].

1. L’esenzione dall’imposta di bollo per le società holdingL’attuale tenore dell’art. 7 cpv. 2 lett. h LBol è il seguente: “[s]ono esenti dall’imposta di bollo […] i contratti per scrittura privata quando una delle parti contraenti è una società di capitali o coopera-tiva assoggettata per l’imposta ordinaria nel Cantone che adempie i requisiti dell’articolo 87a della Legge tributaria”.

Il riferimento all’art. 87a LT permette di rimandare alla definizione di società holding, introdotta con effetto dal 1° gennaio 2018, ai fini del nuovo strumento della riduzione per partecipazioni ai fini dell’imposta sul capitale e non oggetto di abrogazione a fine 2019, al contrario della definizione di società holding espressa all’art. 91 vLT. L’art. 87a LT fu introdotto con il voto granconsigliare e la relativa Legge del 12 dicembre 2017[2]. Esso recita quanto segue: “[l]’imposta sul capitale imponibile di una società di capitali o di una società cooperativa, il cui scopo statutario consiste essenzialmente nell’am-ministrazione durevole di partecipazioni e che non esercita alcuna attività commerciale in Svizzera, è ridotta nella proporzione esistente fra gli attivi qualificati e gli attivi complessivi, valutati ai valori fino a quel momento determinanti ai fini dell’imposta sull’utile se, a lunga scadenza, gli attivi qualificati o il reddito dagli stessi rappresentano almeno due terzi degli attivi o dei ricavi complessivi. Sono considerati attivi qualificati: (a) le partecipazioni in ragione di almeno il 10 per cento al capitale azionario o sociale di un’altra società; (b) le parte-cipazioni in ragione di almeno il 10 per cento agli utili e alle riserve di un’altra società; o (c) la detenzione di diritti di partecipazione pari ad un valore venale di almeno un milione di franchi”.

Poiché il tenore dell’art. 87a LT rispecchia quello dell’art. 91 vLT, la qui descritta modifica dell’art. 7 cpv. 2 lett. h LBol ha come effetto il pieno mantenimento della precedente esen-zione fiscale ai fini dell’imposta di bollo per le società holding.

2. L’esenzione dall’imposta di bollo per le società che esercitano un’attività commerciale principalmente rivolta all’esteroVenendo a cadere a conclusione del 2019 gli artt. 92 e 93 vLT, i rimandi dalla LBol alla LT a sostegno dell’esenzione fiscale ai fini dell’imposta di bollo per le società di amministrazione e le società ausiliarie sono venuti a cadere.

Il nuovo art. 7 cpv. 2 lett. i LBol, pure in vigore dal 1° gen-naio 2020[3], sopperisce in gran parte a tali rimandi ed è del

[1] Come pubblicato a p. 13 del BU 2020.[2] Sottoposta a voto su referendum facoltativo cantonale il 29 aprile 2018 e accettata di misura dalle cittadine e dai cittadini ticinesi, così come pubblicato a p. 213 del BU 2018.[3] In virtù del voto granconsigliare del 4 novembre 2019 della relativa legge e della pubblicazione a p. 13 del BU 2020.

seguente tenore: “[s]ono esenti dall’imposta di bollo […] i contratti per scrittura privata, ad eccezione di quelli afferenti agli immobi-lizzi, quando una delle parti contraenti è una società di capitali o cooperativa assoggettata per l’imposta ordinaria nel Cantone, che esercita un’attività commerciale principalmente rivolta all’estero e solo marginalmente in Svizzera”.

I capitoli seguenti esplicitano la portata di tale disposto.

III. La volontà del legislatore e i lavori di emendamento della Legge sul bolloIl presente capitolo descrive in maggiore dettaglio i lavori che hanno condotto alla formulazione dell’art. 7 cpv. 2 lett. h LBol e dell’art. 7 cpv. 2 lett. i LBol così come esposti sopra.

A. La proposta iniziale formulata dal Consiglio di Stato nel Messaggio n. 7684Il Messaggio n. 7684, del 10 luglio 2019, dedicava alla suddetta questione dell’esenzione ai fini del bollo cantonale in relazione alle società a statuto speciale il capitolo 4.3.4. (p. 40). Essendo questo estremamente succinto, a completezza della presente visione d’insieme vale qui la pena riportarlo integralmente.

“4.3.4. Modifica della Legge sull’imposta di bollo e sugli spettacoli cinematografici

Modifica legislativa: l’attuale Legge sull’imposta di bollo e sugli spettacoli cinematografici del 20 ottobre 1986 (LBol) prevede, all’art. 7 cpv. 2 lett. h, l’esenzione dall’imposta di bollo sui contratti per scrittura privata quando una delle parti contraenti è una società che adempie, per l’imposta ordinaria nel Cantone, ai requisiti delle tassazioni speciali previste agli artt. 91-93 LT. A seguito della soppressione di questi articoli, si rende pertanto necessario abrogare anche il suddetto art. 7 cpv. 2 lett. h LBol.

Ricordiamo che, per mitigare l’aggravio fiscale conseguente al nuovo assoggettamento all’imposta di bollo, le società ex statuto speciale avranno comunque la possibilità – come qualsiasi altro contribuente iscritto a registro di commercio – di beneficiare della tassazione sostitutiva ai sensi dell’art. 14 e segg. LBol, la quale permette l’assoggettamento sulla base di un accertamento induttivo delle proprie posizioni contabili come indicato all’art. 15 cpv. 1 LBol. Anche alle società che fino ad oggi hanno beneficiato di un regime di tassazione speciale non sarà così precluso un assoggettamento con un ammontare d’imposta ridotto dello 0,75‰ (art. 15 cpv. 2 LBol). La Divisione delle contribuzioni si riserva di emanare ulteriori norme d’attuazione allo scopo di favorire la percezione dell’imposta.

Entrata in vigore: si propone l’abrogazione della disposizione legale per il 1° gennaio 2020”.

In altre parole, data l’abrogazione degli statuti speciali cau-sata dal contenzioso fiscale internazionale tra la Svizzera e la Comunità internazionale (in particolare l’Unione europea [UE] e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo econo-mico [OCSE]), sfociata nella RFFA che obbligava i Cantoni ad adattare le proprie leggi tributarie con effetto dal 1° gennaio 2020, nell’estate 2019 il Consiglio di Stato ticinese proponeva semplicemente l’abrogazione dell’art. 7 cpv. 2 lett. h LBol che

Diritto tributario svizzero

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239 maggio 2020

reggeva l’esenzione ai fini dell’imposta di bollo per le società a statuto speciale.

L’art. 14 LBol relativo all’accertamento induttivo dell’imposta di bollo, meglio conosciuta come imposta sostitutiva, prevede quanto segue:

“Art. 14 – Esonero e tassazione sostitutiva

1 Contribuenti iscritti a Registro di commercio possono essere eso-nerati dall’imposizione dei diritti di bollo sui contratti, imponibili ai sensi della presente legge, per scrittura privata (art. 4) o in forme parificate (art. 5), stipulati in relazione all’attività aziendale, purché paghino un’imposta sostitutiva annua calcolata su di un imponibile globale.2 L’assoggettamento all’imposta sostitutiva è accordato solo se siano date sufficienti garanzie per un accertamento induttivo del valore globale dei contratti normalmente imponibili e segnatamente se le posizioni contabili destinate a calcolare l’imponibile (art. 15) sono facilmente accertabili.3 La tassazione sostitutiva potrà in ogni momento essere revocata, se venissero meno quelle garanzie”.

L’imposta sostitutiva è pari allo 0,75‰ dell’imponibile globale accertato (art. 15 cpv. 2 LBol), il quale è “composto della somma delle posizioni contabili, segnatamente degli acquisti e delle vendite

di merci, degli investimenti, ecc. nella misura che quelle posizioni contabili hanno origine in negozi tra il contribuente e terzi stipu-lati verosimilmente tramite contratti per scrittura privata (art. 4) o in forme parificate (art. 5), compresi tuttavia i valori e le forme altrimenti dichiarati esenti ai sensi dell’art. 7 lett. c (art. 15 cpv. 1 LBol)”.

Orbene, alla luce di tale testo di legge sarebbe di principio stato possibile assoggettare le ex società a statuto speciale all’imposta di bollo (aliquota dell’1‰ giusta l’art. 8 cpv. 1 LBol), quantomeno all’imposta sostitutiva. Una tale modifica avrebbe in particolare potuto di principio colpire le società di trading domiciliate in Ticino, che tradizionalmente concludono contratti in forma scritta circa la negoziazione di beni mobili per controvalori di miliardi di franchi, sia in acquisto sia in vendita.

Tuttavia, le misure federali previste dalla RFFA e le misure cantonali d’accompagnamento, esposte al capitolo 5 (pp. 41-42) del Messaggio n. 7684, del 10 luglio 2019, e qui sotto riprese, non prevedevano alcun aumento del gettito fiscale proveniente dall’imposta di bollo.

Tabella 1: Stima dell’impatto finanziario delle misure federali previste dalla

RFFA e delle misure cantonali d’accompagnamento (in mio. di fr.)

* Ipotesi 2025: ulteriore riduzione di competenza del Parlamento del coeffi-ciente d’imposta cantonale di 2 punti percentuali, dal 98% al 96%.

Diritto tributario svizzero

Impatto 2020 – 2024 Ulteriore impatto dal 2025

Impatto complessivo

Cantone Comuni Cantone Comuni Cantone Comuni

Abolizione statuti speciali e imposi-zione separata delle riserve occulte

6,2 4,9 8,4 5,8 14,6 10,7

Patent box, deduzione maggiorata spese R&S, sgravi imposta sul capitale

-6,7 -5,3 - - -6,7 -5,3

Aumento quota cantonale IFD 27,0 0,0 - - 27,0 0,0

Adeguamento perequa-zione intercantonale

- - n.v. - n.v. -

Riduzione aliquota imposta cantonale sull’utile

-22,9 -18,8 -50,2 -41,8 -73,1 -60,6

Riduzione coefficiente cantonale -29,4 - -29,4* - -58,7 -

Contributo cantonale a favore dei Comuni

-9,0 9,0 - - -9,0 9,0

Totale -34,8 -10,2 -71,2 -36,0 -105,9 -46,2

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240 maggio 2020

Escludendo che si trattasse di un palese errore, vista l’im-portanza delle eventuali conseguenze, il Messaggio lasciava pertanto intendere, tra le righe, che il DFE e, in particolare, la Divisione delle contribuzioni avessero in previsione di modificare in qualche modo la prassi fiscale attinente all’im-posta di bollo delle ex società a statuto. Un tale approccio, per quanto benvenuto, non sarebbe tuttavia stato sostenuto dal testo letterale della legge, che avrebbe fatto stato per una corte chiamata a giudicare una futura fattispecie. Al fine di aumentare la certezza del diritto e per evitare i rischi descritti sotto, nel corso dell’estate 2019 si è pertanto proceduto ad emendare il testo di legge portando così alla formulazione oggi in vigore.

B. Il concreto rischio in relazione alle trading companies e la decisione di proporre un emendamento in aulaCon la riorganizzazione delle commissioni parlamentari entrata in forza in maggio 2019 con l’inizio della nuova legi-slatura, la Commissione speciale tributaria non è più stata composta e le tematiche di natura fiscale sono passate sotto la competenza della Commissione gestione e finanze. Nel corso dell’estate e dell’autunno del 2019 questa, o meglio una sua sottocommissione costituita ad hoc e composta da sei membri in rappresentanza dei sei gruppi parlamentari (PLRT, Lega, PPD, PS, UDC e Verdi), si è occupata dei lavori di approfondimento della riforma fiscale cantonale formalmente iniziata dal Consiglio di Stato con il suddetto Messaggio n. 7684, del 10 luglio 2019.

Durante i lavori commissionali, il commissario UDC Piero Marchesi condivise con i colleghi un timore segnalato nel tessuto economico da più parti vicino alle società a statuto speciale, in particolare quelle attive nella negoziazione internazionale (cd. trading companies) generalmente imposte come società ausiliarie ai sensi dell’art. 93 vLT. Tale timore fu subito compreso e con-diviso dalla maggioranza borghese della commissione, mentre restava aperta la scelta della migliore sanatoria.

Per la precisione, era facile immaginare casi particolari di società di trading esentate dal bollo cantonale fino al 2019 che, a causa della concatenazione di modifiche entrate vigore con la riforma fiscale, a partire dal 2020 potessero trovarsi a pagare tanto il bollo cantonale quanto le imposte sull’utile, se non addirittura di più in presenza di basse marginalità sul fatturato, come è generalmente il caso in questo settore.

Il seguente esempio numerico dovrebbe visualizzare una possibile fattispecie colpita dal problema (importi in fr.):

Cifra d’affari 1’000’000’000

Costo merce - 988’000’000

Margine lordo 12’000’000

Margine lordo/cifr. aff. 1,2%

Altri costi - 4’962’000

Utile ante imposte 7’038’000

Imposte sull’utile - 1’038’000

Utile dopo imposte 6’000’000

Utile/Margine lordo 50%

L’esempio numerico considera una società di negoziazione di materie prime acquistate e rivendute all’estero con una cifra d’affari di 1 mia. di fr. l’anno. Essendo la società attiva in Ticino, considerati gli importi delle transazioni, nonché la necessità di regolare i rischi connessi ad ogni transazione, si può ragione-volmente immaginare che tale cifra d’affari derivi da transazioni di acquisto e di vendita fissate contrattualmente in forma scritta. Trattandosi della compravendita di valori mobiliari e di scritture private concluse o perlomeno prepa-rate in Ticino, tali contratti rientrano di principio nel perimetro di applicazione dell’imposta di bollo. Pertanto, senza l’esen-zione soggettiva di cui godeva fino al 2019, l’ipotetica società di trading sarebbe chiamata a pagare annualmente 1 mio. di fr. (= 1‰ di 1 mia. di fr.) di bollo cantonale in relazione alle pro-prie vendite.

Oltre a ciò, anche i contratti di acquisto sottostarebbero verosimilmente al bollo cantonale, portando il carico fiscale com-plessivo ai fini dell’imposta indiretta a quasi 2 mio. di fr. l’anno,

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IFD 8,5%

IC 5,5%

Molt. cantonale 100%

Molt. comunale 60%

Aliquota effettiva 14,75%

Aliquota bollo 1‰

Aliquota bollo sost. 0,75‰

Bollo ordinario 1’988’000

→ maggiori imposte 192%

Bollo sostitutivo 1’491’000

→ maggiori imposte 144%

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se si considera che generalmente la marginalità di tali società in rapporto ai costi della merce è estremamente modesta.

Orbene, in applicazione dell’aliquota cantonale sull’utile in vigore dal 2025 (pari al 5,5%), ipotizzando che il coefficiente cantonale d’imposta tornerà al 100% perché nel frattempo conclusa la terza tappa di riforma tributaria cantonale e con-siderando un Comune con un moltiplicatore per le persone giuridiche pari al 60%, tale società potrebbe pagare circa 1 mio. di fr. in imposte sull’utile (quota federale, cantonale e comunale). Si nota pertanto che la mancata esenzione ai fini dell’imposta di bollo cantonale triplicherebbe (+ 192%) quasi il carico fiscale (in applicazione del bollo ordinario), rispetti-vamente causerebbe un aumento del 144% se si scegliesse l’applicazione letterale dell’imposta sostitutiva.

Uno scenario del genere non sarebbe naturalmente soste-nibile per la trading company, che con pochi sforzi potrebbe spostare la propria infrastruttura verso altri Cantoni senza imposta di bollo, addirittura risparmiando anche nel caso in cui il Cantone di destinazione avesse aliquote sull’utile superiori al Cantone Ticino, come ad es. nel caso di Zurigo. All’interno di tale scenario, i pochi grandi contribuenti ticinesi ad ex statuto speciale potrebbero rapidamente lasciare il territorio, di fatto rendendo vano l’intero esercizio di riforma fiscale e riduzione delle aliquote teso a mantenere tale substrato.

Inoltre, poiché le modifiche di applicazione dell’imposta di bollo toccherebbero unicamente il piano della prassi ammi-nistrativa, i grandi contribuenti ticinesi sarebbero sottoposti ad un rischio di incertezza nell’applicazione della legge senza possibilità nemmeno di ricorrere davanti ad una corte. Anche questa semplice incertezza potrebbe in taluni casi bastare a motivare la migrazione della società verso altri Cantoni.

Le suddette considerazioni hanno subito trovato la compren-sione e l’appoggio interpartitico teso alla soluzione attraverso l’emendamento del testo di legge, così da offrire la necessaria certezza del diritto a questi importanti contribuenti. Tuttavia, poiché la riforma aveva già conseguito un prezioso equilibrio e sostegno di tutte le maggiori forze politiche e considerati i tempi di lavoro molto stretti, risultò preferibile scegliere di andare in aula con un testo di legge (ai fini dell’imposta di bollo) immutato rispetto al Messaggio e di votare separata-mente in aula una proposta di emendamento che chi scrive avrebbe dovuto sviluppare di concerto con la Divisione delle contribuzioni, la quale non si era dichiarata di principio con-traria ad una modifica della legge.

C. I lavori preparatori all’emendamentoIl Vicedirettore della Divisione delle contribuzioni Costante Ghielmetti e chi scrive si sono occupati di mettere a punto un testo di legge che soddisfacesse le esigenze di cui sopra. Era palese sin dal principio l’intenzione della Divisione delle contribuzioni di evitare improvvisi aumenti del carico fiscale indiretto dei contribuenti che avrebbero perso lo statuto spe-ciale e ai quali si rivolgeva in primis la riforma tributaria. Ciò si rifletteva per la precisione nell’assenza di qualsiasi accenno di un aumento del gettito fiscale dall’imposta di bollo, così come

esposto al capitolo 5 del Messaggio n. 7684. Vi era altresì la volontà di procedere in tempi brevi a degli adattamenti di prassi per creare la necessaria trasparenza alla base principio della buona fede che tradizionalmente regge in Svizzera il rapporto tra i contribuenti e l’Amministrazione.

D’altra parte, veniva riconosciuta l’esigenza di fissare addirit-tura nel testo di legge l’esenzione soggettiva di determinate società ai fini dell’imposta di bollo così da creare una ancor maggior certezza giuridica e scongiurare possibili future modifiche di prassi, anche a distanza di anni.

La soluzione più semplice, dato il previsto stralcio degli artt. 91-93 vLT, sarebbe stata la ripresa letterale delle definizioni di società di amministrazione e ausiliaria nella LBol. Poiché già dal 1° gennaio 2018 la LT menziona la definizione di società holding ai fini della riduzione per partecipazioni dell’imposta sul capitale, per quest’ultimo genere di società sarebbe bastato un riferimento a tale disposto. La semplice ripresa della definizione di società ausiliaria e di amministrazione andava, tuttavia, contro la volontà di promuovere determi-nate fattispecie a vocazione internazionale che finora non avevano potuto (o voluto) beneficiare degli statuti speciali benché di particolare interesse ai fini della promozione del tessuto economico ed industriale ticinese.

I lavori preparatori all’emendamento sono giunti pertanto all’idea di esentare dall’imposta di bollo cantonale le scrit-ture private delle società ticinesi a vocazione internazionale limitatamente alla sostanza circolante. In tal modo si garan-tisce l’esenzione per i grandi negoziatori internazionali, scongiurando lo scenario mostrato sopra, e vi dovrebbe essere sufficiente margine di manovra per estendere l’esenzione a soggetti finora non esenti. Nel complesso della totalità dei contribuenti, i finanziatori netti di un tale approccio sono le fattispecie che riguardano, seppur in relazione a società a vocazione internazionale, la sostanza fissa. Si pensi ad es. ad investimenti in infrastruttura da parte di società a vocazione internazionale, i cui contratti di fornitura sono dal 2020 gra-vati dall’imposta cantonale di bollo.

Inoltre, anziché definire ad hoc nella LBol la sostanza circolante si è pensato e contrario di riferirsi agli immobilizzi, un concetto questo già presente nel diritto fiscale svizzero, segnatamente all’art. 61 cpv. 1 lett. d della Legge federale sull’imposta fede-rale diretta (LIFD; RS 642.11), rispettivamente all’art. 70 cpv. 1 lett. d LT in materia di smembramento di immobilizzi aziendali in neutralità fiscale.

D. L’emendamento sottoposto a votazione plenariaIl 4 novembre 2019 fu sottoposto al plenum granconsigliare l’emendamento dell’art. 7 cpv. 2 LBol, sottoscritto dai capi-gruppo di UDC, Lega, PPD e PLRT, riguardante la modifica della lett. h (relativa alle società holding) e l’introduzione della nuova lett. i (relativa alle società a vocazione internazionale) secondo il tenore già esposto sopra e in vigore dal 1° gennaio 2020. Le motivazioni sottoposte alle deputate e ai deputati erano le seguenti: “[p]er garantire la certezza del diritto nei confronti delle attuali società a statuto speciale, correntemente esentate ai fini

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del bollo cantonale ai sensi dell’art. 7 cpv. 2 lett. h Legge sul bollo, nonché facilitare per tutti gli altri contribuenti le attività commerciali svolte nel Cantone e prevalentemente rivolte all’estero, si propone di emendare la Legge sul bollo sostituendo gli attuali riferimenti agli abrogandi articoli della Legge tributaria con formulazioni esplicite di simile tenore. In tal modo, le precedenti società a statuto speciale continueranno in grande misura a godere dell’esenzione soggettiva ai fini del bollo cantonale. Senza tali correttivi, nel caso per esempio di società miste (segnatamente i commercianti di materie prime) la contribuente ticinese potrebbe facilmente vedersi raddoppiare il carico fiscale complessivo a causa del nuovo assoggettamento al bollo cantonale sui contratti. Ciò determinerebbe con alta pro-babilità lo spostamento verso altri Cantoni di tali società finora a statuto fiscale, rendendo pertanto vani i presenti sforzi di riforma. I commenti contenuti al capitolo 4.3.4 del Messaggio 7684 sono troppo vaghi in considerazione della materialità del possibile prelievo. Tuttavia, considerato che le stime dell’impatto finanziario della riforma esposte al capitolo 5 del Messaggio 7684 non menzionano alcun maggior gettito proveniente dal bollo cantonale, se ne deduce che la problematica sia nota al Governo e all’Amministrazione e che si prevedano misure correttive. Il disegno di legge qui proposto fissa tali intenzioni nel testo di legge. L’art. 7 cpv. 2 lett. h Legge sul bollo mantiene l’esenzione soggettiva per le società holding, coerentemente con il meccanismo della riduzione per partecipazioni ai fini dell’imposta sul capitale introdotto il 1° gennaio 2018 con l’art. 87a Legge tributaria. L’art. 7 cpv. 2 lett. i Legge sul bollo mantiene l’esenzione ai fini del bollo delle scritture private di società ticinesi con attività commerciali principalmente rivolte all’estero, pur assoggettando al bollo le scritture private connesse agli immobilizzi”.

La proposta di emendamento venne approvata con 50 voti favorevoli (da parte delle deputate e dei deputati dei 4 suddetti partiti borghesi), 16 contrari (da parte di tutti gli esponenti presenti in aula del Partito socialista, del Movimento per il socialismo, del Partito comunista e del Partito Più donne) e 8 astensioni (da parte di tutta la deputazione dei Verdi, della popolare democratica Maddalena Ermotti Lepori e della libe-rale radicale Giovanna Viscardi), per un totale di 74 presenze in aula su 90.

IV. CommentoIl presente capitolo si pone alcune domande e riflessioni, che non sono state oggetto dei suddetti lavori commissionali e di allestimento dell’emendamento e che approfondiscono la portata della nuova norma.

A. Quali società hanno un’attività principalmente rivolta all’estero?Se la definizione di società holding è chiara, si pone di principio la questione su quali società abbiano un’attività principal-mente rivolta all’estero. L’art. 7 cpv. 2 lett. i LBol recita che è esentata ai fini del bollo una “società di capitali o cooperativa assoggettata per l’imposta ordinaria nel Cantone, che esercita un’attività commerciale principalmente rivolta all’estero e solo mar-ginalmente in Svizzera”.

Il termine “attività commerciale principalmente rivolta all’estero” va interpretato e sarà un concreto ambito in cui la prassi canton-ale avrà un certo margine di apprezzamento. Verosimilmente

vi sono due estremi all’interno dei quali questa si dovrà muo-vere:

1) da una parte un’interpretazione conservativa del testo di legge implicherebbe, in analogia con la decennale prassi in materia di società ausiliarie dalle quali la formulazione è stata inizialmente ispirata, che almeno l’80% della cifra d’affari e dei costi siano rivolti all’estero;

2) d’altra parte, ci si potrebbe di principio spingere verso un’interpretazione più aperta orientandosi nel caso estremo al principio di preponderanza (artt. 18 cpv. 2 LIFD e 17 cpv. 2 LT) secondo cui è sufficiente che più del 50% della cifra d’affari e dei costi siano rivolti all’estero. Qui si apre da una parte una tensione argomentativa su chi tra “principalmente” e “preponderantemente” indichi una mag-giore intensità, d’altra parte la LBol specifica al contempo che l’attività debba essere solo marginalmente rivolta in Svizzera.

A seconda della futura prassi, potrebbero essere dati aumenti o diminuzioni del gettito del bollo cantonale. Questi non sono quantificabili perché dipendono da caso in caso e non sono disponibili dati più precisi sulla stratificazione fiscale. Una prassi restrittiva concederebbe, infatti, l’esenzione solo alle società che, fino al 2019 compreso, avrebbero potuto richiedere lo statuto speciale, e queste rispetto al passato pagherebbero il bollo sugli immobilizzi (ad es. investimenti locali). Una prassi più morbida permetterebbe, invece, di accedere all’esenzione del bollo anche ad altre società con vocazione internazionale che in precedenza non rientravano nel perimetro degli statuti, si pensi a società di trasporto, farmaceutiche, di servizi informatici, ecc.

In tale contesto, e a futura memoria, va sottolineato che la volontà originale del Governo e dell’Amministrazione di allar-gare in qualche modo il perimetro dei beneficiari dell’esenzione dall’imposta di bollo (nella forma finale limitatamente alle società holding e ai contratti connessi alla sostanza circolante di quelle a vocazione internazionale) emerge dal fatto che non è mai stata documentata l’intenzione di aumentare il gettito dell’imposta proveniente da tale imposta. Anche i materiali del legislatore non lasciano intendere in alcun modo l’ipo-tesi che si siano voluti esentare solo i contratti afferenti alla sostanza circolante col fine di aumentare il gettito d’imposta. Come spiegato sopra, il legislatore voleva scongiurare l’esodo delle ex società a statuto speciale a causa di un improvviso assoggettamento all’imposta.

Verosimilmente, la Divisione delle contribuzioni avrà spazio per allentare le maglie e lo farà progressivamente nel corso dei prossimi anni sulla base dell’evoluzione del gettito fiscale. L’idea alla base dell’assoggettamento dei contratti afferenti agli immobilizzi è, d’altra parte, sempre stata l’allargamento della sfera di soggetti esenti sul piano dei contratti afferenti alla sostanza circolante. Un possibile concreto allentamento della prassi potrebbe consistere in un’interpretazione dell’e-spressione “attività commerciale principalmente rivolta all’estero”, ereditata dalla definizione di società ausiliaria, unicamente orientata alla composizione della cifra d’affari anziché della

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cifra d’affari e dei costi. In altre parole, anziché pretendere che almeno l’80% della cifra d’affari e dei costi si relazionino all’estero, si potrebbe mantenere solo la prima condizione. In tal modo verrebbero esentati i contratti delle società ticinesi tese all’esportazione, benché con acquisto di semilavorati e materie grezze in Svizzera; un provvedimento sicuramente interessante ad es. per il settore industriale del Cantone. Il fatto che l’imposta di bollo potrebbe esentare le società tese principalmente all’esportazione sarebbe peraltro coerente con la sistematica dell’imposta sul valore aggiunto, con la quale l’imposta di bollo, quale imposta transazionale, condivide una certa parentela rischiando spesso di entrare in conflitto. A tendere, la prassi della Divisione delle contribuzioni potrebbe poi fare maggiori concessioni in merito alla soglia dell’80%, muovendosi progressivamente verso la coerenza con il principio di preponderanza e lasciandosi definitivamente alle spalle le specificità del vecchio mondo degli statuti speciali, in particolare delle società ausiliarie.

B. Cosa rientra tra gli immobilizzi?Si potrebbe porre la domanda circa l’interpretazione del concetto di immobilizzi. Come già accennato, questo è già presente nel diritto fiscale svizzero, segnatamente all’art. 61 cpv. 1 lett. d LIFD, rispettivamente all’art. 70 cpv. 1 lett. d LT. Per la precisione, tali disposizioni parlano di immobilizzi azien-dali, cosa che la prassi federale pubblicata esplicita alla cifra 4.4.1.2.6 della Circolare n. 5 dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), del 1° giugno 2004, secondo il quale “[g]li immobilizzi aziendali sono quelli che servono direttamente o indirettamente all’impresa. Gli attivi circolanti e gli immobilizzi finanziari non fanno parte degli immobilizzi aziendali”. Gli immo-bilizzi equivalgono pertanto alla sostanza fissa della società, ossia a quei cespiti che non dovrebbero, di principio, essere ceduti entro un anno.

Anche il Promemoria A/1995 dell’AFC circa gli “ammortamenti sugli attivi immobilizzati nelle aziende commerciali” si riferisce alla cd. sostanza fissa. D’altronde, ovunque nelle precitate fonti la versione tedesca del testo parla di "Anlagevermögen" per indicare gli immobilizzi o gli attivi immobilizzati. Il termine "Anlagevermögen" è pure generalmente utilizzato nel linguaggio contabile svizzero per indicare la sostanza fissa (contrapposta alla sostanza circolante, in tedesco "Umlaufvermögen").

Si osservi che, al contrario delle precitate fonti, il testo della LBol non distingue tra immobilizzi aziendali e non. Ciò era pure nelle intenzioni della formulazione dell’emendamento, giacché si intendeva in particolare proteggere gli attivi circolanti delle ex società a statuto speciale da una possibile imposizione ai fini dell’imposta di bollo.

C. Fondazioni ad ex statuto specialeFino al 2019 compreso, potevano richiedere l’applicazione dello statuto speciale per attività di amministrazione non solo le società di capitali e le società cooperative, ma pure le fondazioni. Poiché queste non sono né delle società né delle cooperative, dal 2020 esse non potranno più pretendere alcuna esenzione ai fini dell’imposta di bollo.

D. Mutui infragruppo di lungo vs. di corto terminePer quanto in materia di imposta di bollo cantonale sulle scritture private si sia soliti pensare alla compravendita di beni mobili, si ricordi che anche i contratti di mutuo ricadono tra le fattispecie imponibili. Ciò può essere particolarmente insidioso nei contesti infragruppo.

Ne consegue che contratti di prestito di lungo termine, i quali rientrano nella sostanza fissa della società, sono di principio soggetti all’imposta di bollo cantonale. Contratti di prestito a corto termine possono, invece, godere dell’esenzione ai fini dell’imposta di bollo cantonale qualora una delle controparti sia una società con un’attività commerciale principalmente rivolta all’estero. Nel caso concreto, risultano pertanto in par-ticolare esentati dall’imposta di bollo i prestiti attivi a corto termine che le società di trading potrebbero concedere a parti terze, incluse quelle vicine.

Poiché il testo letterale dell’art. 7 cpv. 2 lett. i LBol esenta tutti i contratti per scrittura privata di società con vocazione internazionale “ad eccezione di quelli afferenti agli immobilizzi”, ne consegue e contrario che per questo genere di contribuenti restano assoggettate al bollo unicamente le scritture private connesse ai loro attivi fissi. Questa osservazione è importante per qualificare l’assoggettamento di mutui passivi assunti dalla società a vocazione internazionale, segnatamente per far fronte ai propri bisogni di finanziamento. A titolo di esempio, si considerino i mutui che le società di trading devono regolarmente assumere con società del gruppo o soggetti terzi (fanno eccezione le banche, i cui mutui sottostanno ad una tassa di bollo fissa di fr. 10 in virtù dell'art. 31 ss. LBol) per finanziare momentaneamente le proprie posizioni attive. A giudizio di chi scrive, tali prestiti passivi, anche se di lungo termine, restano esenti dall’imposta cantonale di bollo in virtù dell’interpretazione letterale della legge.

A titolo abbondanziale, si osservi per la precisione che la LBol parla dell’assoggettamento del mutuo e non del prestito. Nella terminologia legale svizzera, come esposto negli artt. 312 ss. CO, il mutuo rappresenta un sottocaso del prestito laddove il bene mutuato è fungibile. Sebbene il bene mutuato consiste generalmente in denaro, anche il contratto di mutuo di altri beni fungibili quali un conto metalli preziosi rientra nel perimetro dell’imposta. Al contrario, non sono assoggettati all’imposta i contratti di comodato (art. 305 ss. CO), l’altra fat-tispecie che costituisce un prestito secondo il diritto privato svizzero.

Da ultimo si presti particolare attenzione al caso in cui il mutuo si qualifichi fiscalmente come obbligazione, potenzial-mente oggetto della tassa federale di bollo di negoziazione. In tal caso, indistintamente dal genere di società l’imposta cantonale di bollo non è prelevabile per incompatibilità con il diritto superiore giusta l’art. 3 cpv. 1 Legge federale sulle tasse di bollo (LTB; RS 641.10).

E. Compravendita di altri particolari attivi a lungo termineCome già esposto nel precedente capitolo, giusta l’art. 2 cpv. 1 LBol il perimetro di applicabilità dell’imposta cantonale di

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bollo si estende ben oltre le scritture private connesse al trasferimento della proprietà di cose mobili. Secondo la lett. a di tale capoverso, anche la cessione o la permuta (ossia lo scambio) di ogni cosa materiale o immateriale è oggetto del bollo. Pertanto, ad es. i contratti di cessione di brevetti sono assoggettabili all’imposta di bollo, se le ulteriori condizioni oggettive e soggettive; sono date. Poiché non vi è trasferi-mento della proprietà, i contratti di licenza non sono, invece, di principio assoggettati.

Per quanto attiene le società holding, essendo l’esenzione ai sensi dell’imposta di bollo generale, anche contratti di com-pravendita di qualsiasi bene mobile (brevetti o in generale beni immateriali inclusi) risultano esentati. In presenza di una società o di una cooperativa con vocazione internazionale, come si è avuto modo di precisare sopra solo le compraven-dite di beni mobili propri degli attivi fissi concluse in forma scritta sono di principio assoggettabili.

F. Mediazioni immobiliariL’art. 2 cpv. 1 lett. d LBol assoggetta all’imposta cantonale di bollo anche le scritture private connesse all’attività di media-zione immobiliare.

Un’ipotetica fattispecie che potrebbe, tuttavia, godere dell’e-senzione qui descritta, toccherebbe eventuali società attive principalmente nella mediazione immobiliare estera (oppure qualsiasi altra attività commerciale all’estero) e solo margi-nalmente nella mediazione immobiliare in Svizzera, sempre che i contratti di mediazione vengano conclusi in Ticino.

G. Possibilità di rulingIn Svizzera è generalmente possibile e costituisce una prassi concludere in materia fiscale dei ruling con l’autorità compe-tente. Come è noto, tali ruling non rappresentano degli accordi fiscali tra l’autorità e il contribuente, i quali lederebbero il prin-cipio della parità ed equità di trattamento secondo l’art. 29 cpv. 1 della Costituzione federale (Cost.; RS 101), bensì rendono possibile l’applicazione nel tempo del principio della buona fede che regge i rapporti tra i privati e l’autorità secondo l’art. 5 cpv. 3 Cost.

Per quanto attiene l’imposta cantonale di bollo, l’art. 7 cpv. 3 LBol stabilisce che “[q]ualora potessero esservi dubbi sull’assogget-tamento all’imposta di bollo o all’esenzione di un tipo di contratto, il contribuente può, nel termine di 60 giorni di cui all’art. 11, sottoporlo preventivamente alla Divisione delle contribuzioni che emanerà una decisione soggetta a reclamo ed eventualmente a ricorso. Il termine per l’applicazione di eventuali penalità decorre solo dopo 60 giorni da quando la decisione relativa all’assoggettamento è cresciuta in giudicato. Un eventuale ricorso di diritto pubblico all’Alto Tribunale federale ha a questo riguardo effetto sospensivo”.

Sulla base di tale disposto, e in combinazione con la volontà del legislatore documentata negli atti e riassunta nelle pagine che precedono, anche in futuro vi è da attendersi che le società che lo desiderino potranno concludere con la Divisione delle contribuzioni un ruling circa la corretta applicazione dell’im-posta cantonale di bollo ad una concreta fattispecie.

H. Sulla via dell’abolizione dell’imposta cantonale di bollo?Un’ultima riflessione concerne l’eventuale abolizione dell’im-posta cantonale di bollo. Il discorso si presenterà, infatti, prossimamente in occasione dei dibattimenti sull’iniziativa parlamentare elaborata n. 572[4] “Abrogazione della Legge sull’imposta di bollo e sugli spettacoli cinematografici del Canton Ticino e l’adozione di una nuova Legge sugli spettacoli cinemato-grafici (Basta tasse medievali! Aboliamo l’imposta di bollo)” che i colleghi deputati Andrea Censi ed Enea Petrini hanno deposi-tato il 9 marzo 2020.

Per quanto chi scrive non abbia mai nascosto le proprie sim-patie e motivazioni verso una generale defiscalizzazione della società, a maggior ragione verso l’abolizione di un’imposta sui negozi giuridici che sa notevolmente di altri tempi, vi è da temere che purtroppo l’imposta cantonale di bollo goda ancora di ottima salute. L’ultimo tentativo di parziale abo-lizione non andato a segno risale al 2 giugno 2014, quanto il Gran Consiglio bocciò l’iniziativa parlamentare generica n. 490[5], del 13 dicembre 2011, dell’ex collega deputato Giancarlo Seitz “Tassa di bollo – bollo cantonale sui primi estratti annuali di conti bancari tenuti all’attivo e passivo”, la quale propo-neva l’abolizione dell’imposta cantonale di bollo sui documenti bancari. Il motivo è che questa imposta, poco percepita dalla popolazione, è capace di sottrarre ai contribuenti ben più di 40 mio. di fr. all’anno.

Chi scorre con attenzione la legge noterà il curioso art. 55a LBol, secondo il quale “l’ imposta di bollo sui contratti per scrittura privata è abolita limitatamente alle imposte dovute per l’anno 2004”. Perché mai l’imposta alla quale è dedicato il presente contri-buto non è esistita nel 2004? Il 6 luglio 2001 il Consiglio di Stato pubblicò il Messaggio n. 5138[6] “Progetto di modifica della Legge tributaria e della Legge sull’imposta di bollo e sugli spettacoli cinematografici per l’introduzione di nuovi sgravi fiscali finalizzati al sostegno dei redditi e al rilancio competitivo dell’economia e per il passaggio al sistema di tassazione annuale postnumerando delle persone fisiche”. Tale Messaggio rappresentava il quarto pac-chetto fiscale dopo quelli proposti con i Messaggi n. 4503, del 20 marzo 1996, n. 4802, del 23 ottobre 1998, e n. 5016, del 27 giugno 2000, elaborati dal DFE sotto la guida di Marina Masoni. In merito al bollo cantonale, il Consiglio di Stato proponeva una riduzione delle aliquote. La Commissione tri-butaria decise, tuttavia, di sostenere una via più netta, tanto da scrivere nel Rapporto di maggioranza (p. 51) che “in luogo della riduzione lineare del 25% di tutte le aliquote dell’imposta di bollo proposta dal Consiglio di Stato la Commissione ha deciso di adottare un nuovo articolo 55a LBol che prevede di abolire l’imposta di bollo, a partire dal 2004, sui contratti per scrittura privata, a partire dal 2006, sugli atti notarili e le cartelle ipotecarie e, a partire

[4] Si veda il seguente link: https://www4.ti.ch/poteri/gc/messaggi-e-atti/ricerca/risultati/dettaglio/?user_gcparlamento_pi8%5Battid%5D=103094 (consultato il 09.05.2020).[5] Si veda il seguente link: https://www4.ti.ch/poteri/gc/messaggi-e-atti/ricerca/risultati/dettaglio/?user_gcparlamento_pi8%5Battid%5D=87059 (consultato il 09.05.2020).[6] Si veda il seguente link: https://www4.ti.ch/poteri/gc/messaggi-e-atti/ricerca/risultati/dettaglio/?user_gcparlamento_pi8%5Battid%5D=84664 (consultato il 09.05.2020).

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dal 2008, sui documenti bancari”. I dibattimenti granconsigliari del 4 giugno 2002 condussero pertanto, come auspicato dalla maggioranza della Commissione tributaria (contraria solo la sinistra), al nuovo art. 55a LBol (“Abolizione dell’imposta”) del seguente tenore: “[l]’imposta di bollo sui contratti per scrittura privata è abolita per le imposte dovute a partire dall’anno 2004, quella sugli atti notarili e le cartelle ipotecarie per le imposte dovute a partire dall’anno 2006 e quella sui documenti bancari per le impo-ste dovute a partire dall’anno 2008”[7].

Solo due anni più tardi, lo stesso Consiglio di Stato (benché come noto senza l’adesione della allora ministra Marina Masoni, in quei mesi bloccata a letto dalla degenza a seguito di un infortunio) proponeva con il Messaggio n. 5589 (p. 16), del 15 ottobre 2004, la “reintroduzione/mantenimento dell’im-posta di bollo [sui] contratti per scrittura privata (dal 2005), [sugli] atti notarili e cartelle ipotecarie (dal 2006) [nonché sui] documenti bancari (dal 2008)”. Il Governo cantonale specificava che “la reintroduzione dell’imposta di bollo sui contratti per scrittura privata avrà un effetto limitato nel 2005 (0,7 milioni di franchi) e pieno dal 2006 (+ 21,8), anno per il quale si rinuncia anche all’abolizione dell’imposta di bollo sugli atti notarili e le cartelle ipotecarie (in totale 21,8 milioni di franchi). L’imposta di bollo è contabilizzata per cassa e non per competenza” (p. 42). Tale Messaggio venne evaso dal Gran Consiglio il 14 dicembre 2004 conducendo al particolare attuale tenore dell’art. 55a LBol[8] già esposto sopra.

V. ConclusioniL’imposta cantonale di bollo è una specificità ticinese estre-mamente dura a morire. Come l’araba fenice, questa imposta è stata addirittura capace nel passato di riemergere dalle proprie ceneri e di prosperare come non mai. Fino al 2019, le società a statuto speciale godevano di un’esenzione sog-gettiva ai fini dell’imposta di bollo sui contratti per scrittura privata. Con l’abolizione degli artt. 91-93 vLT a seguito dell’implementazione cantonale della RFFA votata dai citta-dini svizzeri il 19 maggio 2019, nel Messaggio n. 7684, del 10 luglio 2019, il Consiglio di Stato ticinese proponeva l’abroga-zione delle suddette esenzioni soggettive. Tuttavia, lo stesso Messaggio non prevedeva maggiori introiti dall’imposta di bollo, lasciando pertanto intuire la volontà del DFE e della Divisione delle contribuzioni di procedere con determinate modifiche di prassi tese ad evitare un’eccessiva imposizione ai fini del bollo cantonale delle ex società a statuto. Tale incer-tezza giuridica, che avrebbe in particolare potuto assumere piena rilevanza da qui a qualche anno a seguito dei naturali avvicendamenti in capo alla Divisione delle contribuzioni e al DFE, avrebbe rischiato di spingere le ex società a statuto spe-ciale fuori dal Cantone, di fatto vanificando l’intero esercizio di riforma fiscale teso al mantenimento sul territorio di tali grossi contribuenti.

Le lett. h e i dell’art. 7 cpv. 1 LBol, in vigore dal 1° gennaio 2020, sono il frutto di una concertazione molto ben riuscita tra l’Amministrazione, le varie forze politiche borghesi e i

[7] Pubblicato nel BU 2002/31, del 16 agosto 2002, p. 235.[8] Pubblicato nel BU 2005/6, dell’11 febbraio 2005, p. 54.

tecnici. Grazie al nuovo testo di legge, anche qualora questo fossile fiscale cantonale dovesse ancora avere lunga vita, non è pregiudicato il trattamento finora riservato a determinate tipologie di contribuenti. Anzi, la formulazione aperta per-metterà, se la prassi amministrativa lo vorrà, di estendere l’esenzione a contribuenti ai quali questa era finora preclusa, segnatamente a società orientate principalmente all’esporta-zione.

Diritto tributario svizzero

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246 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

Sebastiano Garufi GiulianiAvvocato, Dottore di ricercaProfessore a contratto di diritto tributario Università L. Bocconi, MilanoSenior Associate presso Altenburger Ltd legal + tax

La normativa interna svizzera si adegua alle nuove raccomandazioni del Forum globale in materia di scambio automatico di informazioni

LSAI: il Consiglio federale licenzia il messaggio di modifica

Il Consiglio federale propone di modificare la LSAI. A seguito di una procedura di consultazione conclusa a metà giugno 2019, la Svizzera si prepara ad adeguare la propria normativa interna alle raccomandazioni del Forum globale sulla traspa-renza e lo scambio di informazioni a fini fiscali. Il Parlamento dovrebbe esaminare il progetto ancora quest'anno e l’entrata in vigore delle nuove disposizioni non è attesa prima del 2021.

sulla trasparenza e sullo scambio di informazioni a fini fiscali e fa seguito ad una procedura di consultazione avviata a tal fine il 27 febbraio 2019[2].

Come noto, infatti, dal 1° gennaio 2017 la Svizzera attua lo standard globale per lo scambio di informazioni e gli istituti finanziari elvetici tenuti alla comunicazione raccolgono i dati relativi ai propri clienti residenti in Stati partner della Svizzera per lo scambio automatico, li comunicano all’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), che a sua volta li scambia una volta l’anno con le autorità competenti estere.

Tramite una procedura di valutazione tra pari (meglio nota con l’espressione inglese di “peer review process”), il Forum glo-bale monitora la corretta attuazione dello standard globale per lo scambio di informazioni nella normativa interna degli Stati. La Svizzera ha superato con successo il primo ciclo di valutazione in materia di scambio di informazioni su richiesta articolato in due fasi[3], ottenendo il giudizio di “ampiamente conforme” (“largely compliant”).

Nel 2016 ha avuto inizio il secondo ciclo di valutazione degli Stati, durante il quale il Forum globale valuta la qualità delle richieste delle autorità fiscali, le domande raggruppate, l’identificazione dei beneficiari effettivi, oltre che le misure

[2] Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI), Il Con-siglio federale avvia la consultazione sulla modifica delle basi giuridiche per lo scambio automatico di informazioni, Comunicato stampa, Berna, 27 febbraio 2019, in: https://www.sif.admin.ch/sif/it/home/dokumentation/medienmit-teilungen/medienmitteilung.msg-id-74136.html (consultato il 09.05.2020).[3] Il rapporto relativo alla fase 1 del Peer Review Process della Svizzera è sta-to pubblicato il 7 giugno 2011, mentre il secondo il 26 luglio 2016. Cfr. OCSE, Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Pur-poses Peer Reviews: Switzerland 2011: Phase 1: Legal and Regulatory Framework, Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Parigi 2011, in: https://doi.org/10.1787/9789264114661-en (consultato il 09.05.2020) e OCSE, Global Forum on Transparency and Exchan-ge of Information for Tax Purposes Peer Reviews: Switzerland 2016: Phase 2: Implementation of the Standard in Practice, Global Forum on Transparency and Exchange of Information for Tax Purposes, Parigi 2016, in: https://doi.org/10.1787/9789264258877-en (consultato il 09.05.2020).

I. IntroduzioneNella seduta del 20 novembre 2019, il Consiglio federale ha licenziato il messaggio concernente la modifica della legge federale sullo scambio automatico internazionale di informa-zioni ai fini fiscali (LSAI)[1]. Il progetto ha lo scopo di adeguare la normativa elvetica alle raccomandazioni del Forum globale

[1] Messaggio del Consiglio federale concernente la modifica della legge federa-le sullo scambio automatico internazionale di informazioni a fini fiscali, n. 19.075, del 20 novembre 2019, in: FF 2019 6759, https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2019/6759.pdf (consultato il 09.05.2020) (cit.: Messaggio LSAI).

I. Introduzione ......................................................................246II. Il contenuto del progetto di modifica della LSAI ...... 247A. Le modifiche in generale ...........................................................247B. Le modifiche in particolare .......................................................2471. Conto preesistente e nuovo conto ........................................2472. Comunioni di proprietari per piani e associazioni .......... 2483. Conti esclusi ................................................................................... 2484. Istituti finanziari residenti in Svizzera ..................................2495. Valori soglia in dollari americani .............................................2496. Obblighi di adeguata verifica e di autocertificazione ....2497. Trustee-documented trust ...................................................... 2528. Trasmissione e utilizzazione delle informazioni .............. 2529. Conservazione dei documenti ................................................ 25310. Stati che non garantiscono la confidenzialità e la sicu-rezza dei dati ...................................................................................... 253III. Conclusioni ...................................................................... 253

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247 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

Il 21 giugno 2019, l’Assemblea federale ha approvato la Legge federale che attua le raccomandazioni del Forum globale sulla trasparenza e sullo scambio di informazioni a fini fiscali[10], la quale stabilisce le note disposizioni, in vigore dal 1° novembre 2019, in materia di azioni al portatore[11].

Nella sua seduta del 20 novembre 2019, il Consiglio federale ha poi licenziato il già citato messaggio concernente la modi-fica della LSAI[12], mentre il 29 gennaio 2020 la Commissione ha approvato, senza modifiche e con 17 voti favorevoli e 7 contrari, il disegno di revisione parziale. Dopo l’esame del progetto da parte del Parlamento nel corso di quest’anno, le nuove disposizioni dovrebbero entrare in vigore dal 1° gen-naio 2021.

II. Il contenuto del progetto di modifica della LSAIA. Le modifiche in generaleCome evidenziato dal Consiglio federale nel già citato mes-saggio del 20 novembre 2019[13], il disegno di legge (D-LSAI) abroga la deroga per le comunioni di proprietari per piani, adegua gli obblighi di adeguata verifica oggi vigenti, traspone gli importi in dollari americani e stabilisce l’obbligo di conser-vazione dei documenti per gli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comunicazione. Inoltre, il D-LSAI ancora a livello legisla-tivo la prassi dell’iscrizione dei trust documentati dai trustee (“trustee-documented trust” [TDT]) e autorizza l’autorità com-petente a sospendere lo scambio automatico di informazioni con uno Stato partner, se quest’ultimo non soddisfa i requisiti dell’OCSE in materia di confidenzialità e sicurezza dei dati.

B. Le modifiche in particolare1. Conto preesistente e nuovo contoAi sensi dell’art. 2 cpv. 1 lett. i LSAI oggi in vigore, l’espressione “conto preesistente” si riferisce a un conto finanziario che il giorno antecedente l’applicazione dello scambio automatico di informazioni con uno Stato partner è gestito da un istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione. Il D-LSAI propone di modificare tale definizione riferendosi, invece, a un conto finanziario presso un istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione già aperto il giorno antecedente l’applicazione dello scambio automatico di informazioni con uno Stato partner.

Similmente, secondo l’art. 2 cpv. 1 lett. j LSAI oggi in vigore, l’espressione “nuovo conto” si riferisce a un conto finanziario gestito da un istituto finanziario svizzero tenuto alla comu-nicazione che viene aperto il giorno dell’applicazione dello scambio automatico di informazioni con uno Stato partner, o dopo tale data. Dopo la modifica, si designerà un conto finan-ziario aperto presso un istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione il giorno dell’applicazione dello scambio auto-matico di informazioni con uno Stato partner, o dopo tale data.

[10] RU 2019 3161.[11] Si veda più diffusamente sul tema Andrea Gamba/Luca Castiglioni, Le modifiche al CO e al CP con riferimento al tema delle azioni al portatore, in: NF 7-8/2019, pp. 361-369.[12] Messaggio LSAI (nota 1), 6759 ss.[13] Messaggio LSAI (nota 1), p. 6761.

adottate dagli Stati membri per attuare le raccomandazioni già formulate.

Il secondo ciclo di valutazione relativo alla Svizzera è iniziato a fine 2018[4]. Oggetto d’esame sono le basi giuridiche per lo scambio automatico (la Legge federale sullo scambio automatico internazionale di informazioni a fini fiscali [LSAI; RS 653.1][5], la relativa ordinanza di attuazione [Ordinanza sullo scambio automatico internazionale di informazioni a fini fiscali {OSAIn; RS 653.11}[6]], e la direttiva di attuazione dell’AFC[7]) e l’analisi si concentra, in particolare, sul rispetto delle prescrizioni in materia di confidenzialità e sicurezza dei dati, sui conti esclusi e sugli istituti finanziari non tenuti alla comunicazione, nonché sulle risorse amministrative e infor-matiche necessarie alla corretta applicazione dello scambio. La verifica si è conclusa il 6 aprile 2020 con il giudizio “ampia-mente conforme” (“largely compliant”). Dal relativo rapporto, di cui è stata resa notizia dal Dipartimento federale delle finanze (DFF)[8], emergono chiari miglioramenti, in partico-lare nell’ambito delle azioni al portatore e dell’efficienza dello scambio di informazioni nella prassi. In merito ad alcuni altri punti il Forum globale avrebbe, invece, formulato raccoman-dazioni.

Al fine di recepire le raccomandazioni sinora formulate dal Forum globale, come si accennava sopra, il 27 febbraio 2019 il Consiglio federale ha avviato la procedura di consultazione concernente la modifica della LSAI e della OSAIn, che si è conclusa il 12 giugno 2019 con l’accoglimento delle modifiche di legge proposte[9].

[4] SFI, Forum globale, Stato al 14 agosto 2019, in: https://www.sif.admin.ch/sif/it/home/multilateral/gremien/global_forum.html (consultato il 09.05.2020).[5] Questa legge, entrata in vigore dal 1° gennaio 2017, disciplina l’attuazio-ne dello scambio automatico di informazioni a fini fiscali tra la Svizzera e uno Stato partner secondo l’Accordo multilaterale del 29 ottobre 2014 tra Autorità Competenti concernente i Conti Finanziari (Accordo SAI; RS 0.653.1) e gli altri accordi internazionali che prevedono siffatta forma di cooperazione.[6] Questa ordinanza, pure entrata in vigore il 1° gennaio 2017, contiene le disposizioni esecutive in merito alla LSAI, definendo altri istituti finanziari non tenuti alla comunicazione, i conti esclusi e disciplina nel dettaglio gli obblighi di comunicazione e adeguata verifica degli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comunicazione. L’OSAIn prevede anche ulteriori disposizioni attuative dello scambio automatico, stabilisce i compiti dell’AFC e disciplina norme sull’orga-nizzazione e gestione del sistema di informazione.[7] AFC, Direttiva descrive e concretizza gli obblighi per gli istituti finanzia-ri svizzeri e altri soggetti interessati derivanti dalle basi giuridiche svizzere di attuazione dello standard globale per lo scambio automatico di informazioni, Berna, 23 gennaio 2019, in: https://www.estv.admin.ch/estv/it/home/inter-nationales-steuerrecht/fachinformationen/aia/publikationen/wegleitung.html (consultato il 09.05.2020).[8] DFF, Forum globale: giudizio positivo per la Svizzera, Comunicato stampa, Berna, 6 aprile 200, in: https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documen-tazione/comunicati-stampa.msg-id-78708.html (consultato il 09.05.2020).[9] DFF, Il Consiglio federale avvia la consultazione sulla modifica delle basi giu-ridiche per lo scambio automatico di informazioni, Comunicato stampa, Berna, 27 febbraio 2019, in: https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/documen-tazione/comunicati-stampa.msg-id-74136.html (consultato il 09.05.2020). Cfr. anche DFF, Rapporto esplicativo concernente la modifica della legge fede-rale e dell’ordinanza sullo scambio automatico internazionale di informazioni a fini fiscali, Berna, 27 febbraio 2019, in: https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/55939.pdf (consultato il 09.05.2020).

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248 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

3. Conti esclusiLo SCC esclude dall’ambito di applicazione dello scambio automatico di informazioni specifiche categorie di istituti finanziari e di conti, e con una clausola di salvaguardia con-sente altresì di esentare quegli altri istituti finanziari e quei conti che presentano un rischio ridotto di essere utilizzati a fini di evasione fiscale, purché abbiano caratteristiche sostan-zialmente simili a quelle degli istituti finanziari e dei conti esclusi descritti nello stesso SCC[14].

Come evidenziato dal Consiglio federale nel Messaggio del 20 novembre 2019[15], queste disposizioni derogatorie hanno grande peso nella valutazione del Forum globale relativa-mente alla correttezza con cui uno Stato partner attua nel diritto interno lo standard globale per lo scambio automatico di informazioni. È necessario indicare al Forum globale a quale categoria di istituti finanziari non tenuti alla comunicazione o di conti esclusi secondo lo SCC una disposizione derogatoria si riferisca e se le condizioni applicabili a tale categoria siano soddisfatte o se caratteristiche sostanzialmente simili garan-tiscano un rischio ridotto che la deroga sia utilizzata a fini di evasione fiscale.

In Svizzera le disposizioni derogatorie fondate sulle clausole di salvaguardia dello SCC sono state formulate tenendo conto anche delle disposizioni contenute nell’Accordo di cooperazione tra la Svizzera e gli Stati Uniti d’America per l’ap-plicazione della normativa FATCA (RS 0.672.933.63). Tuttavia, il Consiglio federale ha osservato che alcune deroghe previste dalla Svizzera non sarebbero state adottate da nessun altro Stato. Così, tenendo conto delle raccomandazioni formulate dal Forum globale nei confronti di quegli Stati che hanno previsto deroghe avvalendosi della clausola di salvaguardia, si è deciso di apportare le seguenti modifiche per rafforzare la certezza del diritto, evitare un’esposizione politica della Confederazione e non intaccare la credibilità della piazza finanziaria elvetica[16].

L’attuale formulazione dell’art. 4 cpv. 1 lett. a LSAI prevede che per conti esclusi che sono conti pensionistici o conti che presentano un rischio ridotto di essere utilizzati a fini di sottrazione d’imposta e che hanno caratteristiche sostanzial-mente simili ai conti esclusi secondo l’accordo applicabile si intendono segnatamente i conti nel quadro della previdenza professionale, compresi i contratti di assicurazione di gruppo, gestiti o detenuti da un istituto finanziario svizzero non tenuto alla comunicazione o da diversi istituti finanziari sviz-zeri non tenuti alla comunicazione. Il D-LSAI puntualizza che in tale categoria rientrano i conti nel quadro della previdenza professionale, compresi i contratti di assicurazione di gruppo (non più “gestiti”, ma) “aperti o detenuti presso uno o più istituti finanziari svizzeri non tenuti alla comunicazione”.

[14] OCSE, Standard for Automatic Exchange of Financial Account Infor-mation in Tax Matters, Parigi 2014, sez. VIII, parti B-C, in: https://doi.org/10.1787/9789264216525-en (consultato il 09.05.2020).[15] Messaggio LSAI (nota 1), p. 6770.[16] Messaggio LSAI (nota 1), pp. 6771-6773.

In sostanza, nell’attuale formulazione letterale delle due norme vi è il termine “gestire” con il quale ci si riferisce comunemente all’“amministrazione” o all’“amministrazione patri-moniale”, non già alla “tenuta” di un conto. Atteso che il termine oggi impiegato nella versione italiana della legge non equivale al tedesco “führen”, il D-LSAI propone un adeguamento della formulazione (“aperto presso”). Questa modifica riguarda ana-logamente anche il testo francese.

2. Comunioni di proprietari per piani e associazioniSecondo l’art. 3 cpv. 10 LSAI oggi in vigore, le comunioni di proprietari per piani costituite in base all’art. 712l cpv. 2 del Codice civile (CC; RS 210) sono considerate istituti finanziari non tenuti alla comunicazione.

L’art. 7 OSAIn precisa che sono istituti finanziari non tenuti alla comunicazione secondo l'art. 3 cpvv. 10 e 11 LSAI le comunioni di comproprietari se le quote di comproprietà sono intavolate nel registro fondiario secondo l’art. 23 dell’Ordinanza sul registro fondiario (ORF; RS 211.432.1), i comproprietari hanno convenuto un regolamento per l’uso e l’amministrazione secondo l’art. 647 CC in cui è stabilito che i valori patrimoniali finanziari amministrati dalla comunione di comproprietari sono utilizzati esclusivamente per spese riguardanti i beni in comproprietà e tale regolamento per l’uso e l’amministrazione è menzionato nel registro fondiario secondo l’art. 649a cpv. 2 CC.

Le citate disposizioni sono state inserite nella LSAI e nella OSAIn, perché in ragione della loro struttura e della loro fina-lità si ravvedeva un rischio pressoché nullo di elusione fiscale nell’utilizzo di tali fondi.

Il Forum globale ritiene, invero, che la citata disposizione nor-mativa sia obsoleta e che le comunioni di proprietari per piani non si qualificherebbero in nessun caso come istituti finan-ziari. Essi, quindi, secondo il Common Reporting Standard (CRS, in italiano: Standard comune di comunicazione di informazioni [SCC]) devono essere considerati sempre come “non-financial entities” e raccomanda, di conseguenza, alla Svizzera di abro-gare tale norma. Così, dall’entrata in vigore di tale modifica, le comunioni di proprietà per piani non si qualificano in ogni caso come istituti finanziari e l’abrogazione delle disposizioni citate non esplicherà alcun effetto sulla prassi.

Si propone anche l’abrogazione dell’art. 5 OSAIn, secondo cui sono considerate istituti finanziari non tenuti alla comunica-zione ai sensi dell’art. 3 cpv. 11 LSAI le associazioni che non si prefiggono uno scopo economico costituite e organizzate in Svizzera. Analogamente, si propongono di abrogare gli artt. 10 e 11 OSAIn, secondo cui gli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comunicazione possono trattare come esclusi i conti delle associazioni che non si prefiggono uno scopo economico, costituite e organizzate in Svizzera e i conti delle fondazioni costituite e organizzate in Svizzera, purché le fondazioni sod-disfino le condizioni di cui all’art. 6 lett. a e b OSAIn.

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249 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

La modifica si renderebbe necessaria in ragione della sosti-tuzione del termine “gestire” all’art. 2 cpv. 1 lett. i e j LSAI. È, inoltre, proposta la sostituzione del passaggio “è considerato residente in Svizzera” con “è considerato istituto finanziario svizzero” al fine di renderlo equivalente alle versioni tedesca e francese e riflettere più correttamente il contenuto della disposizione.

5. Valori soglia in dollari americaniLo SCC e il relativo Commentario contengono diversi valori soglia espressi in dollari americani sulla base dei quali può essere verificato se un conto debba essere identificato, comu-nicato oppure se sorgono gli obblighi di adeguata verifica semplificata. Nel momento in cui lo SCC è stato recepito nel diritto interno svizzero, si è provveduto a convertire tali importi in franchi sia nella LSAI sia nella OSAIn, tenendo conto della quasi totale parità del cambio franco svizzero-dollaro americano. Tuttavia, il Consiglio federale ha deciso di proporre la modifica in discorso per assicurare un’attuazione conforme dello standard globale anche a seguito di eventuali fluttuazioni monetarie.

Così, all’art. 10 cpv. 1 primo periodo si propone di introdurre l’obbligo in capo all’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione di convertire l’importo in dollari americani applicando il tasso di cambio a pronti per determinare il saldo o il valore di un conto finanziario o di qualsiasi altro importo. Si intende, dunque, abolire il meccanismo di verifica delle fluttuazioni monetarie previsto all’art. 30 OSAIn, secondo le cui attuali disposizioni il DFF stabilisce gli importi in franchi svizzeri corrispondenti agli importi in dollari americani indi-cati nell’accordo applicabile e nelle disposizioni alternative del Commentario dell’OCSE relativo allo SCC.

In maniera del tutto analoga, viene proposto di sostituire il riferimento alla valuta nazionale con i dollari americani all’at-tuale soglia di fr. 1’000 per i conti non rivendicati, di cui all’art. 14 OSAIn.

Dopo la modifica, dunque, gli importi in franchi dovranno essere espressi in dollari americani. Il meccanismo di verifica delle fluttuazioni monetarie diventerà obsoleto e a partire dall’entrate in vigore della modifica si utilizzeranno importi fissi per il calcolo dei valori soglia applicabili.

6. Obblighi di adeguata verifica e di autocertificazioneSecondo la sez. III, parte B, punto 1 SCC, per identificare i conti oggetto di comunicazione tra i conti preesistenti di per-sone fisiche, un istituto finanziario tenuto alla comunicazione può seguire la procedura di ricerca dell’indirizzo di residenza. Questa procedura è ammessa soltanto per i conti di importo non rilevante. La residenza fiscale è determinata sulla base di un indirizzo di residenza attestato da prove documentali, che deve essere attuale. La procedura di ricerca dell’indirizzo di residenza rappresenta una procedura semplificata per l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica.

Nell’ambito della procedura di ricerca dell’indirizzo di resi-denza, un istituto finanziario tenuto alla comunicazione può basarsi sulle prove documentali registrate nei suoi sistemi, che

Inoltre, tra i conti esclusi l’attuale lett. c del cpv. 1 dell’art. 4 LSAI annovera le forme riconosciute di previdenza, i contratti di previdenza vincolata conclusi con istituti d’assicurazione e le convenzioni di previdenza vincolata concluse con fonda-zioni bancarie in virtù dell’art. 82 cpv. 2 della Legge federale sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (LPP; RS 831.40).

Sono considerati come tali, ai sensi dell’art. 1 cpv 1 dell’Or-dinanza del 13 novembre 1985 sulla legittimazione alle deduzioni fiscali per i contributi a forme di previdenza rico-nosciute (OPP 3; RS 831.461.3), il contratto di previdenza vincolata concluso con gli istituti d’assicurazione e la con-venzione di previdenza vincolata conclusa con le fondazioni bancarie. Per meglio esplicitare che il contratto di previdenza vincolata e la convenzione di previdenza vincolata sono da intendersi come elenco esaustivo delle forme riconosciute di previdenza ai sensi dell’art. 82 cpv. 2 LPP, il D-LSAI propone di riformulare la citata lett. c includendo espressamente nella menzionata esclusione “le forme riconosciute di previdenza ai sensi dell’art. 82 cpv. 2 LPP, quali i contratti di previdenza vincolata conclusi con istituti d’assicurazione e le convenzioni di previdenza vincolata concluse con fondazioni bancarie”.

Viene, inoltre, riformulato il cpv. 2 dello stesso art. 4 che attual-mente prevede che per conti esclusi, che sono altri conti che presentano un rischio ridotto di essere utilizzati ai fini di sot-trazione fiscale, e i quali hanno caratteristiche sostanzialmente simili ai conti esclusi secondo l’accordo applicabile, si intendono, segnatamente, i conti gestiti o detenuti da un istituto finanzia-rio svizzero non tenuto alla comunicazione o da diversi istituti finanziari svizzeri non tenuti alla comunicazione (lett. a).

Con la riformulazione proposta il D-LSAI si stabilisce che per conti esclusi, che sono altri conti che presentano un rischio ridotto di essere utilizzati ai fini di sottrazione d’imposta, e che hanno caratteristiche sostanzialmente simili ai conti esclusi secondo l’accordo applicabile si intendono segnatamente i conti aperti o detenuti presso uno o più istituti finanziari svizzeri non tenuti alla comunicazione (lett. a). Viene, in sostanza, sostituito il termine “gestire” che comunemente si riferisce all’“amministrazione” o all’“amministrazione patri-moniale” e non alla “tenuta” del conto. Il termine, infatti, non equivale al tedesco “führen” e la formulazione deve pertanto essere adeguata (“aperto presso”). Questa modifica riguarda analogamente anche la versione francese. Inoltre, il termine “sottrazione fiscale” viene sostituito con “sottrazione d’imposta”, uniformando in questo modo il tenore della disposizione.

4. Istituti finanziari residenti in SvizzeraIl D-LSAI modifica la formulazione dell’art. 5 cpv. 3 LSAI che oggi prevede che un istituto finanziario residente in Svizzera e in uno o più altri Stati o territori è considerato residente in Svizzera in relazione ai conti finanziari che gestisce in Svizzera.

Secondo la futura formulazione della norma citata, un istituto finanziario residente in Svizzera e in uno o più altri Stati o territori è considerato istituto finanziario svizzero in relazione ai conti finanziari aperti presso lo stesso in Svizzera.

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250 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

dell’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione nel quadro della procedura di ricerca dell’indirizzo di residenza è considerato attuale per gli altri conti preesistenti di persone fisiche, diversi dai contratti di rendita, se negli ultimi sei anni il titolare del conto non ha avuto contatti con l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione che gestisce il conto in relazione a questo o qualsiasi altro suo conto presso tale istituto finanziario. La nuova futura formulazione richiede che negli ultimi sei anni il titolare del conto non abbia avuto contatti con l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comu-nicazione presso cui il conto è aperto in relazione a questo o qualsiasi altro suo conto presso tale istituto finanziario.

Viene modificata la formulazione del cpv. 8 dell’art. 11 che attualmente prevede che se entro 90 giorni dall’apertura di un nuovo conto non dispone del nome, dell’indirizzo e della data di nascita del titolare del conto e delle persone che esercitano il controllo, l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione chiude il conto. A tal fine dispone di un diritto di disdetta straordinario. È fatto salvo l’art. 9 LRD.

Nel Messaggio del 29 novembre 2019[18], il Consiglio federale riferisce che il Forum globale ritiene la possibilità di aprire un nuovo conto senza queste informazioni fondamentali incom-patibile con le prescrizioni dello SCC. Raccomanda pertanto di abrogare il cpv. 8 o di adeguarlo alla procedura stabilita dall’OCSE nel suo Commentario allo SCC[19].

Si evidenzia che le procedure previste alla sez. IV, parte A e alla sez. VI, parte A SCC per identificare i conti oggetto di comuni-cazione fra i nuovi conti di persone fisiche o enti impongono, nel quadro della procedura di apertura del conto, a un istituto finanziario tenuto alla comunicazione di acquisire un’autocer-tificazione. La plausibilità dell’autocertificazione deve essere confermata lo stesso giorno (cd. “day one process”). Nel suo Commentario allo SCC, l’OCSE precisa che, nell’impossibilità di eseguirla lo stesso giorno, ad es. perché effettuata da un servizio di backoffice (cd. “day two process”), la verifica della plausibilità deve essere conclusa al più tardi entro 90 giorni. L’OCSE aggiunge, inoltre, che in casi eccezionali l’istituto finanziario tenuto alla comunicazione può non disporre di un’autocertificazione al momento dell’apertura del conto. In questi casi deve però ottenerla il prima possibile, ma al più tardi entro 90 giorni, confermandone la plausibilità. Vista l’importanza dell’autocertificazione nella procedura di aper-tura di un conto, è lecito attendersi che gli Stati introducano nel loro diritto interno misure rigorose atte a garantire che al momento dell’apertura di un nuovo conto sia stata acquisita un’autocertificazione, fatti salvi i casi eccezionali citati e quelli di cui alla sez. VI, parte A, punto 1, lett b.

Le norme svizzere non contengono una disposizione che neghi esplicitamente l’apertura di un nuovo conto senza

[18] Messaggio LSAI (nota 1), p. 6777.[19] OCSE, CRS-related Frequently Asked Questions, FAQ 22 (timing of self-certifications), Stato al 4 settembre 2019, in: www.oecd.org/tax/auto-matic-exchange > CRS Implementation and Assistance > FAQs (consultato il 09.05.2020).

devono essere state rilasciate da un’autorità governativa (ad es. ufficio controllo abitanti, ufficio dello stato civile, amba-sciata o consolato; si considerano quindi validi documenti come carte di identità, patenti e permessi di soggiorno). Se le prove documentali non indicano alcun indirizzo o questo è incompleto, la condizione relativa alla documentazione è considerata soddisfatta anche se l’indirizzo attuale registrato nei sistemi dell’istituto finanziario tenuto alla comunicazione corrisponde all’indirizzo registrato in altre prove documentali rilasciate, ad es., da un’autorità governativa, o all’indirizzo registrato in un’autocertificazione del titolare del conto, pur-ché la compilazione intenzionale di un’autocertificazione falsa sia punibile.

Ai sensi del cpv. 5, il presupposto relativo alla documentazione è considerato soddisfatto se un indirizzo è rilevato nel quadro degli obblighi di adeguata verifica per la lotta contro il riciclag-gio di denaro con un modulo indicante che la comunicazione di un’informazione falsa è passibile di pena. Nella prassi tale modulo corrisponde al formulario A per l’accertamento dell’a-vente diritto economico.

La possibilità di basarsi unicamente sull’indirizzo registrato in un simile formulario senza un’ulteriore prova documentale rilasciata da un’autorità governativa è incompatibile con lo SCC. Il Forum globale raccomanda pertanto alla Svizzera di abrogare tale disposizione. Conseguentemente, il D-LSAI propone l’abrogazione dell’art. 11 cpv. 5 LSAI che attualmente prevede che un indirizzo, rilevato in virtù degli artt. 3 e 4 della Legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo (LRD; RS 955.0) con un modulo indicante che la comunicazione di un’informazione falsa è passibile di pena, è considerato fondato su prove docu-mentali nel quadro della procedura di ricerca dell’indirizzo di residenza.

Pertanto, a seguito della modifica e per la procedura di ricerca dell’indirizzo di residenza saranno applicabili le condizioni secondo la sez. III, parte B, punto 1 SCC[17] e del relativo Commentario. Gli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comuni-cazione possono, quindi, seppure in via sussidiaria, continuare a basarsi su un indirizzo rilevato nel quadro degli obblighi di adeguata verifica per la lotta contro il riciclaggio di denaro con un modulo indicante che la comunicazione intenzionale di un’informazione falsa è passibile di pena, purché siano soddisfatte le relative condizioni previste dallo SCC.

In ragione della sostituzione del termine “gestire” all’art. 2 cpv. 1 lett. i e j LSAI, si impone una modifica corrispondente anche al cpv. 6 lett. b dello stesso art. 11 nella parte in cui oggi al n. 2 prevede che un indirizzo registrato nei documenti

[17] La sez. III, parte B, punto 1 SCC prevede: “Lower Value Accounts. The fol-lowing procedures apply with respect to Lower Value Accounts. Residence Address. If the Reporting Financial Institution has in its records a current residence address for the individual Account Holder based on Documentary Evidence, the Reporting Financial Institution may treat the individual Account Holder as being a resident for tax purposes of the jurisdiction in which the address is located for purposes of determining whether such individual Account Holder is a Reportable Person”.

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251 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

allo SCC, in relazione a questi casi eccezionali si deve tenere conto delle specificità di un determinato settore, che non con-sentono di acquisire l’autocertificazione nello stesso giorno. A tal fine ci si orienterà in base alla prassi seguita negli altri Stati, in modo che la Svizzera attui lo scambio di informazioni in modo conforme allo standard, evitando al contempo che agli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comunicazione interessati siano imposti obblighi più severi rispetto a quelli di altri Stati. In questi casi l’istituto svizzero tenuto alla comunicazione deve ottenere l’autocertificazione mancante entro 90 giorni e confermarne la plausibilità. In caso contrario si applicano le misure di cui al cpv. 9 dello stesso art. 11, anch’esso oggetto di proposta di modifica.

L’attuale formulazione del citato cpv. 9, infatti, prevede che se entro 90 giorni dall’apertura di un nuovo conto non dispone delle necessarie informazioni secondo l’accordo applicabile e la presente legge, l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione blocca i movimenti del conto fino a quando dispone di tutte le informazioni. In presenza di motivi parti-colari per la mancanza delle informazioni, l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione può prorogare fino a un anno al massimo detto termine di 90 giorni.

Il D-LSAI propone di modificare la citata disposizione in modo da limitare il termine per acquisire le informazioni mancanti a 90 giorni. La proroga del termine fino a un anno al massimo non deve più essere possibile. Inoltre, precisa che un istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione può bloccare un conto oppure chiuderlo, se entro 90 giorni dall’apertura di un nuovo conto non dispone delle informazioni necessarie secondo l’accordo applicabile e la LSAI. Questa aggiunta si impone in ragione della modifica all’attuale cpv. 8.

Così, secondo la nuova formulazione proposta, se entro 90 giorni dall’apertura di un nuovo conto non dispone delle necessarie informazioni secondo l’accordo applicabile e la LSAI per la conferma della plausibilità dell’autocertificazione o, in un caso eccezionale di cui al cpv. 8 lett. b, non dispone dell’autocertificazione, l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione deve chiudere il conto o bloccare i movi-menti del conto fino all’ottenimento di tutte le informazioni. A tal fine dispone di un diritto di disdetta straordinario. Sono fatti salvi i casi di cui all’art. 9 LRD.

Con la nuova formulazione si precisa, quindi, che le necessarie informazioni secondo l’accordo applicabile e secondo la LSAI sono le informazioni necessarie alla conferma della plausibilità dell’autocertificazione. In questo modo si specifica che prima dell’apertura del conto si deve verificare la presenza delle informazioni essenziali menzionate. Pertanto, non si può, ad es., accettare un’autocertificazione priva di informazioni e aprire un nuovo conto sulla base di questa autocertificazione. Spetterà poi all’istituto finanziario verificare, nel quadro della conferma della plausibilità, se le indicazioni fornite siano corrette e se il titolare del conto debba consegnare ulteriori informazioni (ad es. un numero di identificazione fiscale). La plausibilità deve essere confermata sia in questi casi sia in quelli menzionati all’art. 11 cpv. 8 lett. b D-LSAI al più tardi

previo rilascio dell’autocertificazione. Il Forum globale critica questa lacuna normativa e raccomanda alla Svizzera di prevedere che l’apertura di un nuovo conto in assenza di un’autocertificazione sia ammessa soltanto in casi eccezio-nali. Si rende pertanto necessario precisare che in questi casi l’autocertificazione deve essere ottenuta il prima possibile, ma al più tardi 90 giorni dopo l’apertura del nuovo conto, confermandone la plausibilità.

Il nuovo cpv. 8 proposto dal D-LSAI, conformemente alla citata raccomandazione, prescrive che un istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione può aprire un nuovo conto in assenza di un’autocertificazione del titolare del conto soltanto:

a) se il titolare del conto è un ente e l’istituto finanziario svizzero può ragionevolmente determinare, in base alle informazioni in suo possesso o pubblicamente disponibili, che il titolare del conto non è una persona oggetto di comunicazione; oppure

b) in presenza di un altro caso eccezionale; in tal caso deve aver ottenuto l’autocertificazione entro 90 giorni e averne confermato la plausibilità; il Consiglio federale definisce i casi eccezionali.

Per effetto di tale proposta di modifica, quindi, l’autocertifi-cazione deve necessariamente essere sempre richiesta e nel caso la stessa non riporti le informazioni essenziali come il nome, l’indirizzo o la residenza fiscale, l’istituto finanziario non può aprire un nuovo conto. La deroga è ammessa soltanto nei due casi tassativamente indicati (cfr. sez. VI, parte A, punto 1, lett. b SCC).

Si evidenza che non sono oggetto di comunicazione ai sensi della sez. VIII, parte D, punto 2 SCC le società di capitali qua-lificate quotate in borsa, le società di capitali che sono enti collegati di una società di capitali qualificata quotata in borsa, gli enti statali, le organizzazioni internazionali, le banche centrali e gli istituti finanziari.

Sono considerate informazioni pubblicamente disponibili ai sensi del Commentario relativo alla sez. V, parte D, punto 1, lett. b SCC, ad es., le informazioni pubblicate da autorità o isti-tuzioni pubbliche (ad es. la “FATCA Foreign Financial Institution List” dell’Internal Revenue Service statunitense), le informazioni contenute in registri ufficiali pubblicamente accessibili (ad es. nel registro di commercio), le informazioni pubblicate da una borsa riconosciuta e tutte le classificazioni di enti stilate da un’associazione di categoria o da una Camera di commercio sulla base di uno standard industriale riconosciuto e pubblica-mente accessibile.

In base alle spiegazioni relative allo SCC, questi casi prevedono già oggi il diritto di rinunciare ad acquisire un’au-tocertificazione. Per maggiore chiarezza è opportuno sancire esplicitamente questo diritto nella LSAI (lett. a sopra citata).

Alla lett. b si fa riferimento ad altri casi eccezionali definiti dal Consiglio federale. Secondo le spiegazioni dell’OCSE relative

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252 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

istituto finanziario tenuto alla comunicazione e comunichi tutte le informazioni che devono essere comunicate secondo la sez. I SCC in relazione a tutti i conti oggetto di comunica-zione del trust. Questo è il cd. principio del Trustee - documented trust (TDT) che è stato ripreso all’art. 3 cpv. 9 LSAI. Il trustee deve comunicare l’informazione, così come lo farebbe il trust e, ai fini dell’identificazione del trust, indicarne il nome.

Nella prassi un trustee amministra in genere un numero elevato di trust. In questo caso non è possibile procedere a una comunicazione collettiva in suo nome per tutti i trust amministrati, senza indicare il nome dei trust, perché, secondo il Commentario relativo allo SCC, il nome del trust deve essere indicato in ogni caso.

Per garantire un’applicazione del principio TDT conforme allo standard, l’AFC ha chiarito nella Direttiva sullo scambio auto-matico di informazioni del 23 gennaio 2019[20] che il trustee deve iscrivere presso l’AFC il trust che segue il principio TDT, nonostante la classificazione del trust come istituto finanzia-rio svizzero non tenuto alla comunicazione, anteponendo la sigla “TDT=” al nome del trust.

Atteso che tale regolamentazione si è dimostrata valida nella prassi, si propone di introdurre il nuovo cpv. 4 all’art. 13, secondo cui il trustee deve iscrivere un trust secondo l’art. 3 cpv. 9, così come anche il nuovo cpv. 4 dell’art. 31 OSAIn, secondo cui il trustee deve anteporre la sigla “TDT=” al nome di un trust che deve essere iscritto secondo l’art. 13 cpv. 4 LSAI. L’art. 13 cpvv. 2 e 3 LSAI si applicano per analogia.

8. Trasmissione e utilizzazione delle informazioniSi propone di sostituire l’attuale formulazione del cpv. 1 dell’art. 15, secondo cui gli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comunicazione trasmettono annualmente per via elettronica all’AFC, entro sei mesi dalla fine dell’anno civile interessato, le dovute informazioni secondo l’accordo applicabile e le informazioni sui loro conti non documentati. Se non detiene conti oggetto di comunicazione, l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione segnala tale circostanza all’AFC entro lo stesso termine.

Secondo la nuova formulazione, invece, gli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comunicazione trasmettono annualmente per via elettronica all’AFC, entro sei mesi dalla fine dell’anno civile interessato, le dovute informazioni secondo l’accordo applicabile e le informazioni sui loro conti non documentati. Se presso l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunica-zione non sono aperti conti oggetto di comunicazione, esso segnala tale circostanza all’AFC entro lo stesso termine.

La modifica proposta si impone come conseguenza della sostituzione del termine “gestire” all’art. 2 cpv. 1 lett. i e j LSAI.

[20] AFC (nota 7).

90 giorni dopo l’apertura del nuovo conto. In caso contrario si adottano le misure di cui al cpv. 9 (i.e. chiusura del conto o blocco dei movimenti). Per i casi menzionati all’art. 11 cpv. 8 lett. b D-LSAI viene precisato che il termine di 90 giorni vale non solo per le informazioni necessarie alla conferma della plausibilità, ma anche all’ottenimento dell’autocertificazione.

Viene, inoltre, proposto di abrogare il cpv. 10 che attualmente prevede che il Consiglio federale disciplina le eccezioni previ-ste ai cpvv. 8 e 9. Si tratta di una modifica di coordinamento derivante dalle modifiche di cui al cpv. 8.

Sempre in merito agli obblighi di verifica, e con specifico riferimento alla precisazione delle regole supplementari di adeguata verifica, il D-LSAI propone di abrogare i cpvv. 2 e 4 dell’art. 12 LSAI che prevedono che il Consiglio federale stabilisce gli importi in franchi svizzeri corrispondenti agli importi in dollari americani indicati nell’accordo applicabile e nelle disposizioni alternative del Commentario OCSE relativo allo SCC e che gli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comu-nicazione possono scegliere se applicare gli importi in dollari americani o franchi svizzeri. La scelta è valida per tutti i conti dell’istituto finanziario e può essere modificata con effetto dal 1° gennaio dell’anno successivo.

La proposta di abrogazione si rende necessaria, dal momento che tali disposizioni diventano obsolete a seguito della modifica relativa alla valuta determinante, che – come sopra indicato – sarà unicamente in dollari americani.

Sempre con riferimento agli obblighi di adeguata verifica, si propone di modificare l’attuale art. 27 OSAIn che in tema di apertura di nuovi conti attualmente dispone che se entro 90 giorni dall’apertura di un nuovo conto oggetto di comunica-zione l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione non dispone del numero di identificazione fiscale del titolare del conto o della persona che esercita il controllo sull’ente, il conto debba essere bloccato impedendo tutti i movimenti. Fino alla scadenza del secondo anno civile dall’apertura del conto l’istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione deve adoperarsi in misura ragionevole per ottenere il numero d’identificazione fiscale dal titolare del conto o dalla persona che esercita il controllo sull’ente. Il futuro art. 27 OSAIn dovrebbe prevedere che un istituto finanziario svizzero tenuto alla comunicazione possa aprire un nuovo conto in assenza di un’autocertificazione del titolare del conto al momento dell’apertura in presenza dei seguenti casi eccezionali di cui all’art. 11 cpv. 8 lett. b LSAI:

a) il cambiamento dello stipulante per successione nelle assi-curazioni sulla vita di terzi;

b) il cambiamento del titolare del conto su ordine di un giu-dice o un’autorità.

7. Trustee-documented trustLa sez. VIII, parte B, punto 1, lett. e SCC prevede che un trust costituito secondo il diritto di una giurisdizione oggetto di comunicazione è considerato un istituto finanziario non tenuto alla comunicazione purché il trustee del trust sia un

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253 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

Secondo la sez. 7, par. 1, lett. b Accordo SAI, questi Stati partner notificano all’OCSE che, finché il piano di azione non sarà attuato e le misure previste non saranno convalidate, essi siano considerati temporaneamente come Stati che applicano lo scambio automatico di informazioni su base non reciproca. Gli Stati partner non dovranno intraprendere alcuna azione al riguardo, poiché lo scambio automatico di informazioni sarà di fatto sospeso in virtù del meccanismo intrinseco all’Accordo SAI.

Se esiste un accordo bilaterale sullo scambio di informazioni, la situazione è materialmente identica e si esige, tuttavia, che la parte contraente intervenga nei confronti dello Stato part-ner inadempiente e segnali la sospensione dello scambio di dati conformemente alle pertinenti disposizioni dell’accordo. In questo caso la sospensione dello scambio automatico di informazioni non è dettata da alcuna valutazione giuridica o politica delle circostanze, ma da fatti oggettivamente verifi-cabili, ovvero dalla presenza di un piano di azione del Forum globale. Per ragioni di economia procedurale è, quindi, oppor-tuno sgravare in questi casi il Consiglio federale e lasciare che sia l’AFC, in qualità di autorità competente, a sospendere lo scambio dei dati.

Si è, inoltre, scelto di dotare la norma di un carattere disposi-tivo obbligatorio, in modo tale che non sia riservato all’autorità svizzera competente alcun potere discrezionale.

Non appena lo Stato partner interessato avrà colmato le proprie lacune normative (circostanza convalidata successivamente dal Forum globale), i requisiti per lo scambio automatico di informazioni potranno ritenersi oggettivamente soddisfatti e l’autorità competente potrà revocare la sospensione dello scambio di dati. Una volta revocata la sospensione, le infor-mazioni relative ai conti finanziari raccolte durante il periodo di sospensione saranno scambiate conformemente a quanto disposto dall’accordo.

III. ConclusioniNell’ultimo decennio la Svizzera ha compiuto passi da gigante in materia di scambio di informazioni in materia fiscale, contribuendo con questo comportamento a preservare la credibilità della sua piazza finanziaria.

Il costante processo di monitoraggio da parte del Forum globale impone ovviamente un adattamento delle basi giu-ridiche già implementate, tenendo conto non soltanto delle peculiarità del sistema giuridico elvetico, ma anche e soprat-tutto delle disposizioni che di volta in volta vengono emanate e delle prassi che vengono sviluppate da altri Stati. Dalla fine del 2018 il Forum globale pubblica un rapporto annuale sullo stato dell’attuazione dello scambio di informazioni nei diversi ordinamenti, nel quale vengono di volta in volta evidenziate eventuali lacune nell’attuazione dello standard, esercitando inevitabilmente una forte pressione politica per garantire un livello molto elevato di aderenza allo standard.

9. Conservazione dei documentiSecondo il nm. 7 del Commentario relativo alla sez. IX SCC, il diritto interno deve contenere una disposizione che impone agli istituti finanziari tenuti alla comunicazione di conservare per almeno cinque anni a partire dalla trasmissione della comunicazione i documenti elaborati e i giustificativi ottenuti per adempiere agli obblighi previsti dallo scambio automatico di informazioni, come pure i documenti riguardanti le fasi di verifica eseguite.

La disposizione concernente la contabilità commerciale e la presentazione dei conti di cui all’art. 958f cpv. 1 del Codice delle obbligazioni (CO; RS 220) sancisce che i libri di com-mercio e i documenti contabili come pure la relazione sulla gestione e la relazione di revisione siano conservati per dieci anni. Inoltre, gli intermediari finanziari di cui all’art. 7 LRD devono allestire i documenti relativi alle transazioni effettuate e ai chiarimenti previsti dalla LRD in modo da consentire a terzi con competenze specifiche di formarsi un giudizio attendibile sulle transazioni e sulle relazioni d’affari come pure sull’ottemperanza alle disposizioni della LRD. Gli intermediari sono tenuti a conservare i documenti per almeno dieci anni a contare dalla cessazione della relazione d’affari o dalla conclusione della transazione. Tuttavia, il diritto svizzero non dispone di una disposizione esplicita in relazione allo scambio di informazioni. Inoltre, non è neppure chiaro se le disposi-zioni citate possano essere applicate ai documenti elaborati e ai giustificativi ottenuti nel quadro dell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica previsti dallo scambio automa-tico di informazioni. Il Forum globale denuncia questa lacuna e raccomanda di inserire nella LSAI una disposizione esplicita sull’obbligo di conservazione.

Viene, così, proposto di introdurre il nuovo art. 17a secondo cui gli istituti finanziari svizzeri tenuti alla comunicazione devono conservare, conformemente alle prescrizioni dell’art. 958f CO, i documenti che hanno elaborato e i giustificativi che hanno ottenuto per adempiere agli obblighi previsti dall’alle-gato all’Accordo SAI e dalla LSAI. Con tale disposizione, oltre a recepire le raccomandazioni del Forum globale, si garantisce coerenza tra la LSAI e il CO.

10. Stati che non garantiscono la confidenzialità e la sicu-rezza dei datiSi propone, da ultimo, l’inserimento di un nuovo cpv. 2 all’art. 31, secondo il quale se lo Stato partner non soddisfa i requisiti dell’OCSE in materia di confidenzialità e sicurezza dei dati, l’AFC ha il potere di sospendere lo scambio automatico di informazioni con questo Stato.

L’OCSE ha elaborato una prassi in materia di confidenzialità e sicurezza dei dati che impone agli Stati che non soddisfano i requisiti dello standard globale di effettuare lo scambio auto-matico su base non reciproca. Questo caso si verifica, ad es., quando a seguito della verifica del Forum globale del rispetto delle disposizioni sulla confidenzialità e sulla sicurezza dei dati, gli Stati interessati sono tenuti ad attuare un piano di azione contenente misure intese a eliminare le lacune identificate.

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254 maggio 2020

Diritto tributario svizzero

Alcune delle modifiche proposte alla LSAI e alla OSAIn hanno precipuo carattere tecnico, altre rappresentano mere puntua-lizzazioni letterali o di raccordo, altre ancora, invece, mirano ad attuare in maniera più sostanziale le raccomandazioni del Forum globale e a rafforzare la certezza del diritto. L’obiettivo indiscusso è che la Svizzera superi con successo la valutazione tra pari che avrà luogo nel corso di quest’anno.

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255 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Francesco TelchDottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti in MilanoMaster in Fiscalità Internazionale, Business School Sole 24Ore

Analisi delle disposizioni tributarie introdotte dal Legislatore italiano sul regime degli impatriati confrontate con quanto disposto dall’art. 24-bis TUIR

La relazione tra il regime degli impatriati e l’art. 24-bis TUIR, alla luce delle modificheintrodotte nel corso del 2019

Il regime tributario degli impatriati è posto a confronto con quanto disposto dall’art. 24-bis TUIR, riguardante la tas-sazione dei neo-residenti in Italia. Entrambe le norme sono state introdotte dal Legislatore con lo scopo, dichiarato, di incentivare lo sviluppo economico, scientifico e culturale (la motivazione principale è l’attrazione di gettito) e riguarda le persone fisiche che decidono, nel rispetto di determinati requisiti, di trasferire la propria residenza in Italia. Il presente lavoro mira ad evidenziare le agevolazioni fiscali analizzando anche i cambiamenti apportati dal D.L. n. 34/2019, conver-tito poi in Legge, in vigore dal 1° maggio 2019. Si propone, poi, un breve accenno alle regole che disciplinano le fattispecie di atleti professionisti e di titolari di pensione estera.

I. Introduzione: l’avvento dei regimi agevolati e la loro evoluzioneNegli ultimi anni il Legislatore italiano ha introdotto, all’interno del corpus normativo tributario, una serie di misure agevo-lative, volte ad attrarre l’ingresso od il rientro di lavoratori nel “Bel Paese”. Di particolare rilievo, anche per effetto delle modifiche che hanno subito nel corso dei mesi scorsi, sono le disposizioni riguardanti i cd. lavoratori impatriati[1], a cui è riconosciuto un regime di tassazione agevolata.

Rientrano in questa fattispecie le persone fisiche lavoratori dipendenti od autonomi, manager, lavoratori ad elevata spe-cializzazione e laureati, in possesso di specifici requisiti che trasferiscano la propria residenza fiscale nel territorio dello Stato italiano, dopo essere stati residenti all’estero.

Non rileva la nazionalità, perché possono essere cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea (UE) e non, con la sola eccezione che con gli Stati da cui essi provengono siano in vigore delle convenzioni contro le doppie imposizioni (CDI) o, in alternativa, un accordo sullo scambio di informazioni (in materia tributaria).

Come si evince, il Legislatore attribuisce, quindi, alla leva fiscale un ruolo fondamentale per rilanciare la competitività dell’Italia.

II. Il domicilio e la residenza fiscale: due concetti distintiPer comprendere al meglio le suddette disposizioni, lo scri-vente ritiene opportuno analizzare due aspetti: (i) il domicilio e (ii) la residenza fiscale. Infatti, i regimi di tassazione age-volata presuppongono il concetto di residenza fiscale, che si rinviene all’interno dell’art. 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui redditi (TUIR), il quale svolge la funzione di criterio di collegamento tra un soggetto ed il territorio di uno Stato.

[1] La normativa è stata introdotta dall’art. 16 del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 147/2015, pubblicato in: Gazzetta Ufficiale (G.U.) del 22 settembre 2015, n. 220.

I. Introduzione: l’avvento dei regimi agevolati e la loroevoluzione ............................................................................. 255II. Il domicilio e la residenza fiscale: due concetti distinti ................................................................................... 255III. Il regime degli impatriati: la sua evoluzione sino al D.L. n. 34/2019 .................................................................256A La modalità di fruizione da parte dei lavoratori dipendenti............................................................................................ 258B. La modalità di fruizione da parte dei lavoratori autonomi ............................................................................................. 258IV. Le novità di fine 2019 ....................................................258V. La relazione tra il regime degli impatriati e l’art. 24-bis TUIR ...............................................................258VI. La categoria degli sportivi professionisti e la “penalizzazione” della L. n. 58/2019............................. 259VII. La nuova disciplina fiscale per i titolari di pensione estera ...............................................................260VIII. I chiarimenti dell’Agenzia dell’Entrate ....................260IX. Conclusioni ...................................................................... 261

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256 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Il domicilio fiscale, al contrario, è una nozione di diritto formale volta a ridurre problemi legati alla competenza territoriale, ed è attribuito dal Comune in cui i cittadini sono iscritti nell’ana-grafe.

Per coloro che sono residenti all’estero, esso coincide con il luogo in cui il reddito è prodotto[7].

III. Il regime degli impatriati: la sua evoluzione sino al D.L. n. 34/2019Il Decreto Legge (D.L.) n. 34/2019 (noto anche come “Decreto Crescita”[8]), all’art. 5 è intervenuto sul regime degli impatriati apportando numerose semplificazioni, eliminando ogni rife-rimento all’attività lavorativa espletata, rimodulando i bonus, ampliando la platea dei destinatari; la stessa disposizione ha modificato anche la normativa riguardante gli sportivi profes-sionisti[9]. Per tanto, attualmente, ci sono vantaggi tributari per coloro che si trasferiscono in Italia, in funzione dei livelli reddituali e dell’attività svolta.

Ab origine il regime degli impatriati, di cui all’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015, si sostanziava in un’agevolazione avente carat-tere temporaneo[10], per alcune categorie di lavoratori[11], che trasferivano la propria residenza in Italia, permettendo un’imposizione dei loro redditi da lavoro (di fonte italiana) in misura parziale, pari al 50% dell’intero ammontare, per un arco temporale di cinque esercizi a condizione che:

a) non fossero stati residenti in Italia, nei cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento e si fossero impegnati a permanervi per almeno due anni;

b) prestassero l’attività lavorativa prevalentemente nel terri-torio italiano;

c) i destinatari rivestissero ruoli direttivi, ovvero fossero in possesso di requisiti di elevata qualificazione;

d) se titolari di un reddito da lavoro dipendente, svolgessero un’attività presso un’impresa residente, anche in veste di distaccati da impresa estera e rivestire ruoli direttivi o essere in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

Nel corso dei due anni successivi, questa disposizione ha subito modifiche, inizialmente per effetto della Legge (L.) n. 208/2015 (cd. “Legge di stabilità 2016”), poi a causa della L. n. 232/2016 (cd. “Legge di bilancio 2017”) e dei D.L. n. 244/2016, n. 50/2017 e n. 148/2017.

[7] Nell’ipotesi più plausibile in cui il reddito sia prodotto in diverse sedi, il domi-cilio è eletto nel Comune in cui è stato prodotto il reddito più elevato.[8] Formalmente la disposizione è rubricata “Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi”.[9] Per questa categoria di soggetti si veda, infra, cap. VI, appositamente dedicato.[10] Per effetto della Legge di Stabilità 2016 a decorrere dall’anno d’imposta 2017 la disciplina è divenuta a carattere strutturale.[11] L’art. 16 è composto da più commi, che disciplinano differenti tipologie di soggetti, quali: i manager ed i lavoratori con elevata qualificazione e specializza-zione (comma 1), i lavoratori impatriati autonomi (comma 1-bis), gli impatriati in possesso di laurea (comma 2).

La Legislazione italiana, in maniera similare alla maggior parte degli altri ordinamenti, sottopone a tassazione tutti i redditi posseduti, a livello domestico ed estero, conseguiti dai sog-getti residenti; questo in virtù del principio di tassazione del reddito mondiale[2] (cd. worldwide taxation) e, per coloro che non sono considerati residenti ai fini fiscali, solamente i redditi prodotti all’interno del territorio dello Stato, secondo quanto disposto dal principio di territorialità[3].

Sono considerati residenti nel territorio dello Stato le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta [4], alterna-tivamente:

◆ sono iscritte nell’Anagrafe della Popolazione Residente; ◆ hanno il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi dell’art.

43, comma 1, del Codice civile (c.c.), ovvero, la sede princi-pale dei propri affari ed interessi;

◆ hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 43, comma 2, c.c., ovvero, il proprio luogo di dimora abi-tuale[5].

Se si verifica uno dei suddetti requisiti, il contribuente si con-sidera fiscalmente residente per l’intero periodo di imposta (salva diversa previsione contenuta in alcune CDI che preve-dono il cd. “frazionamento” del periodo di imposta).

Seppur scarna, nella disposizione sopracitata si rinvengono sia l’elemento oggettivo, che è la permanenza in un dato luogo, sia l’elemento soggettivo, cioè l’intenzionalità di porre stabil-mente la propria dimora, che può essere desunta, secondo diverse pronunce della Cassazione, dalle abitudini di vita, dallo svolgimento delle relazioni sociali e dalle attività lavorative[6].

Accanto al concetto di residenza fiscale, corre in parallelo quello di domicilio fiscale, anche se si tratta di due ambiti distinti.

Come si evince, la residenza fiscale è una nozione di diritto tri-butario sostanziale, che determina la tassazione della totalità dei redditi del soggetto residente anche se prodotti al di fuori del territorio nazionale.

[2] Claudio Sacchetto, L’evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del reddito mondiale nel Paese di residenza, in: Rivista di Diritto Tri-butario Internazionale, vol. 5, n. 2/2001.[3] Roberto Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano 2009.[4] Si devono distinguere gli anni bisestili, da quelli composti da 365 giorni; per i primi si è considerati residenti se e soltanto se si risiede per almeno 184 giorni, mentre per i secondi è sufficiente essere sul territorio dello Stato per un periodo non inferiore a 183 giorni; ad es. un soggetto che si è trasferito in Italia dopo il 2 luglio 20XX (non bisestile), non può essere considerato fiscalmente residente in quell’esercizio.[5] Con la locuzione dimora abituale si fa riferimento ad una situazione di fat-to, poiché implica la verifica della presenza effettiva del soggetto nel luogo. È necessaria la permanenza (elemento oggettivo) in un determinato luogo e l’intenzione (elemento soggettivo) di fissare stabilmente la propria dimora, desumibile dalle abitudini di vita e dallo svolgimento delle relazioni sociali (si vedano, in particolare, le Sentenze della Cassazione n. 791/85, n. 961/15).[6] Si vedano due sentenze citate nella nota precedente.

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257 maggio 2020

Diritto tributario italiano

◆ il lavoratore ha un figlio minorenne o a carico anche in affido preadottivo[15];

◆ il lavoratore acquista un immobile residenziale in Italia dopo il trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti lo stesso (l’abitazione può essere acquistata direttamente dal lavoratore o dal coniuge o dai figli o dal convivente anche in comproprietà).

In questo quinquennio, la detassazione sale al 90% dell’am-montare del reddito per il lavoratore con almeno tre figli minorenni od a carico.

Di seguito si riporta una tabella di sintesi delle principali modiche.

Tabella 1: Una sintesi delle disposizioni principali

Impatto 2020 – 2024

Ulteriore impatto dal 2025

Beneficio fiscale Percentuale di esenzione del reddito imponibile IRPEF: 70%

Percentuale di esenzione del reddito imponibile IRPEF: 50%

Beneficio fiscale legato all’area geografica (Mezzogiorno)

Prevista un’esenzione del 90%

Nessuna agevolazione

Periodi di imposta di residenza all’estero

Due esercizi fiscali precedenti al tra-sferimento in Italia

Cinque esercizi fiscali precedenti al trasferimento in Italia

Ruoli di direzione e/o elevata qualificazione o specializzazione

Viene meno l’obbligo previsto dalla disciplina previgente

Obbligatorietà per il soggetto passivo di ricoprire ruoli apicali e/o avere una qualificazione

Analogamente, anche il regime previsto dall’art. 44 D.L. n. 78/2010, il cd. rientro dei cervelli, viene potenziato: (i) prolungando il periodo della durata del regime, che passa

disposizioni del presente articolo si applicano per ulteriori cinque periodi di imposta ai lavoratori con almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo. Le disposizioni del presente articolo si applicano per ulteriori cinque periodi di imposta anche nel caso in cui i lavoratori diventino proprietari di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti al trasferimento; l’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà. In entrambi i casi, i redditi di cui al comma 1, negli ulteriori cinque periodi di imposta, con-corrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare. Per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido preadottivo, i redditi di cui al comma 1, negli ulteriori cinque periodi di imposta, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 10 per cento del loro ammontare”.[15] Si segnala che nel corso di Telefisco 2020, l’Agenzia delle Entrate ha con-fermato l’applicazione delle norme agevolative sia nell’ipotesi in cui il figlio sia nato oppure sia stato adottato antecedentemente al rientro del lavoratore in Italia, sia nel caso in cui lo stesso sia nato od adottato successivamente, entro, comunque, la scadenza del primo quinquennio di fruizione dell’agevolazione.

Anche l’Agenzia dell’Entrate è intervenuta con alcuni chiari-menti contenuti nella Circolare n. 17 del 23 maggio 2017 e nella Risoluzione n. 51/E del 6 luglio 2018, con le quali sono stati eliminati dubbi interpretativi riguardanti diversi aspetti tra i quali il periodo minimo di residenza fiscale all’estero.

Però, è nel corso del 2019 che sono stati apportati dei cam-biamenti significativi, i quali hanno rimodulato la disciplina in questione attraverso:

1) il D.L. n. 34/2019;2) la L. n. 58/2019 di conversione del D.L. di cui al punto 1).

Partendo dal presupposto che la previgente formulazione continua a mantenere la propria efficacia, le modifiche apportate dal Decreto Crescita ampliano il perimetro di appli-cazione, la percentuale di reddito esente e l’ambito territoriale, prevedendo nello specifico che:

◆ i lavoratori non devono essere stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti la data di trasferimento;

◆ si impegnano a risiedervi per almeno un biennio; e ◆ l’attività lavorativa deve essere prestata, in prevalenza, nel

territorio italiano (come si evince, cade il requisito legato all’elevata qualificazione).

Le persone fisiche di qualunque nazionalità (quindi sia italiane sia estere) che trasferiscono o ritrasferiscono la residenza fiscale in Italia a decorrere dal 1° gennaio 2020 potranno, quindi, usufruire, per un arco temporale pari a cinque periodi d’imposta (a decorrere dall’esercizio in cui è avvenuto il tra-sferimento), di un’imposizione ai fini dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) pari al 30%[12] (quindi si attua un’esenzione del 70%) dei redditi di lavoro dipendente, assimi-lati a quelli di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, ed anche d’impresa (attività esercitata in forma individuale) esentando così il 70% dell’ammontare complessivo[13].

Se, per contro, il trasferimento avviene in una Regione del Mezzogiorno (Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia) è concesso di beneficiare di un’ulte-riore agevolazione che è riconducibile in un incremento della quota di esenzione sino a raggiungere il 90% (l’imposizione è, quindi, del solo 10% del reddito).

È concesso estendere l’arco temporale, per un totale com-plessivo di dieci periodi d’imposta con un reddito imponibile, per tale periodo, in misura pari al 50% (partendo dal sesto anno c’è una riduzione della base imponibile IRPEF, in luogo del 30% prevista per i primi cinque anni) nell’ipotesi in cui si verificassero le previsioni contenute nell’art. 16, comma 3-bis, D.Lgs. n. 147/2015[14], cioè:

[12] Giovanni Formica/Michele De Nicola, Regime degli “impatriati” ampliato e potenziato, ma meno conveniente per gli sportivi professionisti, in: Il fisco, n. 31, 6 agosto 2019.[13] Tale beneficio è esteso anche ai coloro che avviano un’attività d’impresa in Ita-lia, a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019.[14] L’art. 16, comma 3-bis, D.Lgs n. 147/2015 statuisce quanto segue: “Le

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258 maggio 2020

Diritto tributario italiano

B. La modalità di fruizione da parte dei lavoratori autonomiCome già accennato, anche i lavoratori autonomi possono accedere al regime fiscale di favore direttamente in sede di presentazione della propria dichiarazione dei redditi o, in alternativa, in sede di applicazione della ritenuta d’acconto operata dal committente ai sensi dell’art. 25 del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 600/1973, sui compensi percepiti.

In tal caso, analogamente a quanto previsto per i lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi sono tenuti a presentare una richiesta scritta ai propri committenti, che comprenda le medesime informazioni previste per i lavoratori subordinati di cui sopra.

Si precisa che, all’atto del pagamento del corrispettivo, il committente è tenuto ad operare la ritenuta del 20%, prevista dall’art. 25 D.P.R. n. 600/1973, sull’imponibile ridotto del 50%.

IV. Le novità di fine 2019Con la pubblicazione, in G.U. n. 301, del 24 dicembre 2019, della L. n. 157/2019, di conversione del D.L. n. 124/2019 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indif-feribili”, sono state anticipate al 2019 le novità previste per il regime degli impatriati, dei docenti e ricercatori, che ab origine avrebbero dovuto produrre i loro effetti nel corrente esercizio

Nello specifico, l’art. 13-ter della suddetta legge, rubricato “Agevolazioni fiscali per i lavoratori impatriati”, ha istituito il Fondo Controesodo al Ministero dell’Economia per un ammontare pari a 3 mio. di euro con decorrenza 2020, permettendo così di anticipare l’effetto delle agevolazioni previste al 30 aprile 2019.

La norma statuisce: “Le disposizioni di cui al comma 1, lettere a), b), c) e d), si applicano, a partire dal periodo d’imposta in corso, ai soggetti che a decorrere dal 30 aprile 2019 trasferiscono la resi-denza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e risultano beneficiari del regime previsto dall’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n.147”.

In altri termini, con la sostituzione del comma 2, dell’art. 5, D.L. n. 34/2019 (L. n. 58/2019), viene stabilito che le dispo-sizioni concernenti le agevolazioni fiscali per i lavoratori impatriati si applicano a partire dal 2019, per tutti coloro che hanno trasferito la residenza fiscale a far data dal 30 aprile 2019 ai sensi dell’art. 2 TUIR e risultano beneficiari del regime previsto dall’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015.

V. La relazione tra il regime degli impatriati e l’art. 24-bis TUIRL’avvento del Decreto Crescita configura il regime degli impa-triati come una valida alternativa (seppur con presupposti differenti per potervi accedere) al regime dei neo-residenti[17].

[17] Non si tratta di una specifica fattispecie italiana, in quanto il Legislatore ha tratto ispirazione da altre giurisdizioni estere quali ad es. quelle del Regno Unito, di Malta e del Portogallo (già consolidate), apportando significative differenze al fine di favorire, in primis, l’attrazione e, contestualmente, il radica-

da quattro a sei anni, (che si può incrementare sino a otto, undici o tredici anni in relazione alla presenza di figli minorenni ed all’acquisto di una abitazione in Italia); (ii) escludendo dalla formazione del reddito di lavoro dipendente od autonomo il 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori, che non rientrano nel calcolo della base imponibile dell’Impo-sta regionale sulle attività produttive (IRAP).

Il Decreto Crescita modifica anche l’ambito soggettivo per entrambi i regimi, introducendo il nuovo comma 5-ter. Si tratta di una delle novità di maggior interesse, poiché prevede che non sia più necessario essere stati iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE)[16] nei periodi trascorsi all’estero, ma sia sufficiente aver avuto la residenza fiscale in un altro Stato con cui l’Italia ha sottoscritto delle CDI.

Tale semplificazione viene esplicitamente riferita anche ai soggetti che siano rientrati in Italia alla data del 31 dicembre 2019 e che abbiano ricevuto contestazioni in merito a tale requisito, ai quali si applica il regime speciale nella formula-zione attuale.

A La modalità di fruizione da parte dei lavoratori dipendentiBisogna distinguere gli oneri che incombono sul datore di lavoro da quelli in capo al lavoratore; quest’ultimo, nella fat-tispecie in cui sia titolare di un rapporto di tipo subordinato, è tenuto a presentare una specifica richiesta scritta (anche in caso di seconda od ulteriore assunzione) al proprio datore, comprendente le seguenti informazioni:

◆ le proprie generalità (nome, cognome e data di nascita); ◆ il codice fiscale; ◆ data di rientro in Italia e di prima assunzione in Italia (in

caso di assunzioni successive o più rapporti di lavoro dipendente);

◆ una dichiarazione in cui attesta di possedere i requisiti previsti dal regime agevolativo;

◆ indicazione dell’attuale residenza in Italia; ◆ impegno a comunicare tempestivamente ogni variazione

della residenza prima del decorso del periodo minimo; ◆ dichiarazione di non beneficiare contemporaneamente

degli incentivi fiscali previsti dall’art. 44 D.L. n. 78/2010, dalla L. n. 238/2010 e dall’art. 24-bis TUIR.

Di contro, il datore di lavoro applica il beneficio dal periodo di paga successivo alla richiesta e, in sede di conguaglio, dalla data dell’assunzione mediante l’applicazione delle ritenute sull’imponibile, ridotto alla percentuale di reddito tassabile prevista dal regime agevolativo per il quale il lavoratore ha presentato la richiesta, al quale saranno commisurate le rela-tive detrazioni.

Del beneficio applicato, dovrà essere data evidenza nella Certificazione Unica (CU) del dipendente.

[16] Per quanto riguarda il requisito formale dell’iscrizione all’AIRE (art. 5, com-ma 1, lett. d), l’Agenzia delle Entrate in diverse occasioni aveva ribadito che la mancata iscrizione all’AIRE costituiva una causa ostativa al riconoscimento del beneficio fiscale.

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259 maggio 2020

Diritto tributario italiano

D.L. n. 78/2010 che riguardano gli incentivi fiscali per favorire il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero.

VI. La categoria degli sportivi professionisti e la “penaliz-zazione” della L. n. 58/2019Come già evidenziato, il Decreto Crescita ha ampliato il perimetro di applicazione del regime degli impatriati, elimi-nando le limitazioni, inizialmente previste, legate al titolo di studio. Però, in sede di conversione in legge non sono mancati ulteriori cambiamenti, che hanno ridisegnato profondamente la disciplina per una specifica categoria: quella degli sportivi professionisti[23].

Prima di affrontare la tematica, secondo lo scrivente è opportuno citare l’art. 2 L. n. 91/1981, che statuisce quanto segue: “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i diret-tori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualifica-zione dalle Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella profes-sionistica”.

Le Federazioni di cui sopra sono:

◆ la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) e le leghe di serie A, B e C;

◆ la Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.); ◆ la Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.), e ◆ la Federazione Italiana Golf (F.I.G.).

Di conseguenza, ai soggetti non appartenenti alle suddette federazioni non è concessa l’adozione del regime degli spor-tivi professionisti, ma possono beneficiare del regime ex art. 16 D.Lgs. n. 147/2015.

La L. n. 58/2019 ha convertito in legge il D.L. n. 34/2019 che ha limitato[24] per gli sportivi professionisti, a partire dal 1° gennaio 2020, l’imposizione al 50% dell’intero ammontare (in luogo del 30%), non prevedendo la riduzione al 10% dell’im-ponibile nell’ipotesi di trasferimento nel Mezzogiorno e in presenza di tre figli a carico non ancora maggiorenni.

Un “ostacolo” all’applicazione del suddetto regime agevolato (che non altera la convenienza), concerne il versamento di un importo pari allo 0,5% della base imponibile[25].

Le novelle disposizioni permettono, ai soggetti beneficiari, di ottenere un risparmio d’imposta sul proprio emolumento

[23] Cristiano Dell’oste/Giovanni Parente, Sconti fiscali fino al 90% per riconquistare gli italiani in fuga all’estero, Il Sole 24 Ore, 15 luglio 2019.[24] La legge di conversione ha introdotto all’art. 16 i commi 5-quarter e 5-quin-quies, con i quali ha “penalizzato” le disposizioni riguardanti i soggetti titolari di rapporti di lavoro di cui alla L. n. 91/1981, ovvero gli sportivi professionisti; la ratio del depotenziamento risiede nella volontà di non favorire ulteriormente coloro che svolgono un’attività generante un alto livello di reddito.[25] Le relative entrate verranno utilizzate per il potenziamento dei settori gio-vanili.

Lo scrivente ritiene opportuno effettuare una breve disamina di quest’ultima disciplina.

Introdotta, nell’ordinamento tributario italiano all’art. 24-bis TUIR, per effetto dell’art. 1, commi da 152 a 159, della L. n. 232/2016 (cd. “Legge di Bilancio 2017”), ed entrata in vigore il 1° gennaio 2017, la normativa dei neo-residenti prevede un regime fiscale speciale riservato alle persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia[18], purché, in almeno nove dei dieci periodi d’imposta che precedono l’inizio del periodo di validità dell’opzione, non siano state fiscalmente residenti in Italia, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, TUIR.

Non rileva la cittadinanza, l’accesso al regime è, infatti, consentito anche ai cittadini italiani, purché sia integrato il presupposto di residenza fiscale all’estero nell’ambito del citato periodo di tempo[19].

Si sostanzia nella possibilità di versare un’imposta sostitutiva forfettaria dell’IRPEF, sui redditi prodotti all’estero[20], in alternativa alla tassazione ordinaria, con l’opzione di esten-dere la sua efficacia anche ad uno dei propri familiari[21], previo anche il loro trasferimento sul suolo italico.

L’importo dell’imposta da versare all’erario ammonta ad euro 100’000 per il soggetto che ha richiesto l’agevolazione e ad euro 25’000 per ogni richiedente del nucleo familiare di cui all’art. 433 c.c., sempre nel rispetto delle condizioni di cui al comma 1 dell’art. 24-bis TUIR[22].

Come si evince, le differenze tra il regime degli impatriati e dei neo-residenti concernono gli aspetti sostanziali delle disci-pline, come l’applicazione di un’aliquota nel primo caso, ed una tantum nel secondo, oltre che l’arco temporale di validità.

Come è stato precisato nella Circolare 23 maggio 2017, n. 17 emessa dall’Agenzia delle Entrate, la norma ha voluto agevo-lare il trasferimento di interi nuclei familiari in Italia.

Si rammenta che per espressa previsione normativa, il regime agevolativo degli impatriati non è cumulabile né con le dispo-sizioni di cui all’art. 24-bis TUIR, né con quelle di cui all’art. 44

mento in Italia di nuovi nuclei familiari.[18] Luisa Corso/Gianluca Odetto, Regime dei neo domiciliati, Eutekne Schede di aggiornamento, Scheda n. 1201.01, n. 7, luglio 2017, p. 1471.[19] ODCEC, Gruppo di Studio Resident non domiciliated, Milano, 1/2017, p. 5.[20] Sono considerati prodotti all’estero i redditi disciplinati dall’art. 165, com-ma 2, TUIR ad eccezione delle plusvalenze realizzate tramite la cessione, a titolo oneroso, di partecipazioni qualificate, realizzate nei primi cinque periodi di imposta di validità dell’opzione, che rimangono soggette al regime ordinario di imposizione.[21] Soggetti a cui si estende sono: il coniuge o il componente di un’unione civi-le, i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi, i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, gli adottanti, i generi e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli e le sorelle.[22] Vale a dire, che non siano stati fiscalmente residenti in Italia per un arco temporale di almeno nove periodi d’imposta nel corso dei dieci precedenti l’i-nizio del periodo di validità dell’opzione e che trasferiscano la propria residenza fiscale in Italia.

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260 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Come si evince, l’adozione di uno dei suddetti regime richiede a monte un’analisi ad hoc, considerando alcuni aspetti, quali ad es. le fonti di reddito e la loro localizzazione (oltre alle disposizioni delle CDI).

Date le peculiarità del settore sportivo professionistico, in particolar modo quelle del mondo del calcio, resta opportuno un intervento dell’Amministrazione finanziaria che faccia maggior chiarezza, al fine di poter estendere codesto regime ad un più ampio numero di contribuenti.

VII. La nuova disciplina fiscale per i titolari di pensione esteraPer effetto dell’art. 1, commi 273-274, L. n. 145/2018, è stato introdotto l’art. 24-ter TUIR rubricato “Opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi delle persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera che trasferiscono la propria residenza fiscale nel Mezzogiorno”, che prevede un regime di imposizione sostitutiva[28] dell’IRPEF su base opzionale, per le persone fisiche che, titolari di pensioni estere di cui all’art. 49, comma 2, lett. a TUIR, trasferiscono la residenza nelle regioni del Mezzogiorno[29].

Possono aderirvi le persone fisiche che non siano state fiscal-mente residenti in Italia ai sensi dell’art. 2, comma 2, TUIR nei cinque esercizi fiscali antecedenti a quello in cui l’opzione diviene efficace.

VIII. I chiarimenti dell’Agenzia dell’EntrateCome si evince, la disciplina degli impatriati, per effetto delle molteplici casistiche, non è sempre di facile comprensione ed applicazione.

Al fine di renderla più facilmente applicabile, e per evitare fattispecie non espressamente normate, l’Amministrazione finanziaria si è pronunciata pubblicando alcune risposte ad istanze di interpello formulate da contribuenti, che sono pervenute nel corso del 2019 e nella prima parte del 2020[30].

Di seguito, sono analizzati (brevemente) le principali pronunce dell’Agenzia dell’Entrate:

◆ risposta all’istanza di interpello n. 283 del 19 luglio 2019: con questa pronuncia è stata chiarita sia l’incompatibilità tra il regime forfettario e quello degli impatriati, sia la non possi-bilità, per il lavoratore di ottenere le agevolazioni dall’anno del suo rientro se non debitamente richieste al proprio datore di lavoro ed in sede di dichiarazione dei redditi[31];

[28] Si applica sui redditi di natura estera di qualunque categoria, mediante l’applicazione di un’aliquota pari al 7% per ciascun periodo d’imposta per cui è valida l’opzione. L’imposta deve essere versata, in un’unica soluzione, entro il termine previsto per il versamento del saldo delle imposte sui redditi.[29] Antonio Longo, Pensionati al Sud, bonus a prova di trasferimento, in: Il Sole 24 Ore, 1° giugno 2019.[30] Antonio Tomassini/Antonio Longo, Gli interpelli ampliano la platea degli impatriati, in: Il Sole 24 Ore, 16 marzo 2020.[31] La risposta all’istanza di interpello n. 59 del 13 febbraio 2020, ha chiari-to che nell’ipotesi in cui il contribuente non abbia “formulato alcuna richiesta al proprio datore di lavoro nel periodo di imposta di rimpatrio, né nel periodo di imposta

percepito all’interno del territorio dello Stato italiano. Infatti, in precedenza, gli sportivi professionisti sarebbero stati sog-getti esclusivamente al regime dei neo-residenti, in luogo di quello ad hoc introdotto dal Legislatore nazionale.

Anche se, dopo un’attenta lettura delle disposizioni in mate-ria, appare evidente che si debba procedere a distinguere gli sportivi professionisti in due macro-categorie:

◆ coloro i quali sono titolari esclusivamente un reddito da lavoro subordinato, ai sensi degli artt. 49-51 TUIR (caso scuola, in quanto se si considerano i calciatori, essi sono spesso titolari di più tipologie di reddito); e

◆ coloro i quali sono percepiscono non soltanto l’ingaggio, conferito loro dalle società di appartenenza che detengono il cartellino, ma sono (al tempo stesso) titolari di altri redditi di fonte estera (ad es. sfruttamento, a livello commerciale dei diritti d’immagine, sponsor, redditi di natura finanziaria, ecc.).

Lo scrivente ritiene opportuno fornire un esempio di una possibile applicazione: si ipotizzi il caso di un calciatore pro-fessionista extra-comunitario (brasiliano od argentino), che ha avuto la residenza fiscale in uno Stato membro UE, poiché negli anni precedenti ha militato nel campionato estero di quella nazione (Liga Spagnola, o Ligue1 Francese) e viene ingaggiato dalla squadra dell’Internazionale Football Club di Milano (Inter F.C.) per giocare nelle proprie fila (si trasferisce fiscalmente a Milano in Italia).

Essendo tesserato per una società italiana egli percepisce un ingaggio ed eventuali compensi legati allo sfruttamento dei diritti d’immagine.

Se decidesse di optare per la normativa prevista per gli spor-tivi professionisti, il suo ingaggio sconterebbe un’esenzione fiscale pari al 50% per cinque anni; il club applicherebbe le ritenute sull’imponibile ridotto alla metà e verserebbe il con-tributo dello 0,5%.

Con riferimento ai diritti d’immagine si apre una querelle, in quanto si deve valutare:

◆ in primis, se il requisito dell’esercizio prevalente dell’attività nel territorio italiano sia soddisfatto; secondo la prassi professionale[26] questa tipologia rientra nella categoria redditi diversi ex art. 67, comma 1, lett. l TUIR;

◆ in secondo luogo, se i diritti siano stati ceduti al proprio club di appartenenza[27].

[26] Antonio Tomassini/Antonio Longo, Opportunità criticità per i lavo-ratori “impatriati”: il caso degli sportivi professionisti, in: Corriere Tributario, n. 11/2019.[27] In questa fattispecie rientrano gli sportivi che militano nella fila della Società Sportiva Calcio Napoli, i quali spesso all’atto della stipula del contrat-to cedono i loro diritti d’immagine alla società stessa. In tal caso questi redditi rientrerebbero nella categoria di quelli da lavoro dipendente.

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261 maggio 2020

Diritto tributario italiano

cui questi siano assunti in Italia e contestualmente presentino i requisiti per avvalersi del regime di cui all’art. 24-bis TUIR, ovvero per la detassazione dei compensi di cui all’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, i dipendenti con una qualifica manageriale possono optare alternativamente per il regime degli impatriati, oppure avvalersi del versamento dell’imposta di euro 100’000 sui redditi di fonte estera per coloro che possiedono grandi patrimoni; l’elemento discriminante è il luogo (Paese) in cui i redditi sono stati prodotti.

Come si evince, con questa risposta l’Agenzia dell’Entrate ha cercato di fornire soluzioni di natura interpretativa, muoven-dosi dal principio di cassa[34] e non si discosta dalla soluzione proposta dall’istante.

IX. ConclusioniL’introduzione di disposizioni agevolative, all’interno del corpus normativo italiano, è volta principalmente ad attrare individui e nuclei familiari che dispongono di elevati patrimoni; a mag-gior ragione se si analizzano attentamente i cambiamenti apportati nel corso del tempo.

Il regime degli impatriati puntava a promuovere lo sviluppo economico e culturale del “Bel Paese”, mentre l’impianto normativo attuale, al contrario, appare avere un fine comple-tamente diverso[35], conferendo alle agevolazioni funzione carattere accessorio, rispetto a quanto inizialmente ideato.

Sin dall’origine, queste norme hanno suscitato polemiche in quanto, in primis costituiscono un regime ad hoc, quasi ad per-sonam per gli stranieri e per gli italiani abbienti rientranti dopo un periodo all’estero, ed in secondo luogo perché in alcuni degli Stati membri UE[36], e negli Stati Uniti d’America (USA) non vi sono agevolazioni volte ad attrarre soggetti in grado di sviluppare investimenti.

Situazione che ha diviso l’opinione pubblica in due filoni di pensiero: da un lato chi ritiene questo tipo d’imposizione solamente un mero strumento per incrementare le entrate tributarie, e contestualmente stimolare l’attività economica, mentre dall’altro coloro che concepiscono questi regimi una violazione dei principi di giustizia tributaria, sproporzionati alle agevolazioni.

Si rischia di innescare un “turismo fiscale”, allineando l’Italia a quegli Stati che puntano, quasi esclusivamente su una bassa tassazione.

[34] Secondo quanto disposto dal principio di cassa, i compensi assumono rilie-vo fiscale quando il lavoratore li percepisce effettivamente.[35] Con queste disposizioni si evince come al Legislatore stia molto a cuore la leva fiscale per rilanciare il Paese, e renderlo più attrattivo agli occhi di soggetti benestanti.[36] Fatta eccezione per Francia, Olanda, Portogallo e Spagna all’interno del territorio dell’UE e per gli ormai antichi ordinamenti tributari del Regno Unito e dell’Irlanda.

◆ risposta all’istanza di interpello n. 475 dell’8 novembre 2019: con questa pronuncia l’Amministrazione finanziaria ha sottolineato che i requisiti previsti per lo status di residenti (cfr. cap. II) sono tra loro alternativi, per cui è sufficiente la sussistenza di una soltanto delle condizioni, affinché un soggetto sia considerato fiscalmente residente in Italia;

◆ risposta all’istanza di interpello n. 479 dell’11 novembre 2019: viene affrontata la questione della residenza estera, in ottemperanza dei criteri previsti dalle CDI per coloro che trasferiscono la residenza a decorrere dal periodo d’im-posta 2020. Se il contribuente è in grado di dimostrare di essere stato residente in un territorio al di fuori dello Stato italiano, per gli anni di imposta 2018 e 2019, sulla base delle CDI e soddisfacendo gli altri requisiti richiesti dalla disciplina, egli potrà beneficiare dell’agevolazione, a decor-rere dall’anno di imposta 2020[32];

◆ risposta all’istanza di interpello n. 492, del 25 novembre 2019: con questa pronuncia l’Amministrazione finanziaria ha affrontato la casistica relativa ai lavoratori distaccati all’e-stero che sono successivamente rientrati in Italia.

Secondo l’Agenzia dell’Entrate, le disposizioni di favore sono applicabili soltanto se non sussiste un legame di continuità con la precedente posizione lavorativa; nel caso di specie, l’istante prima del suo rientro era inquadrato con la qualifica di impiegato, mentre successivamente (dal 1° luglio 2019) ha assunto il livello di quadro.

Ne consegue che, avendo ottenuto un ruolo aziendale diffe-rente, egli può beneficiare delle disposizioni agevolative.

Si sottolinea però che, a decorrere dal 1° gennaio 2020, le suddette interpretazioni non assumono valenza in quanto dal periodo d’imposta in essere, per poter beneficiare delle dispo-sizioni è sufficiente, dopo aver trasferito la propria residenza fiscale in Italia, instaurare un rapporto di lavoro con un datore stabilito nel territorio dello Stato e prestare la propria attività prevalentemente in Italia[33].

Più recente è la risposta all’istanza di interpello n. 78, del 27 febbraio 2020 formulata da un Gruppo internazionale attivo nel settore del private debt, equity e del credito, avente sede a Londra, in merito al trattamento fiscale dei piani di incentiva-zione monetari ed azionari destinati ai manager.

L’istante ha formulato domanda di interpello per comprendere quale sia il momento che rileva ai fini dell’imposizione delle imposte, legato ai piani di incentivazione che alcuni manager, dipendenti della società stessa, già detengono nell’ipotesi in

successivo, né ne ha dato evidenza nelle relative dichiarazioni dei redditi” non può usufruire delle agevolazioni per quegli anni (due), mentre non gli è preclusa la possibilità di beneficiare del regime per i restanti esercizi (tre), previo il rispetto dei suddetti requisiti di legge.[32] Si sottolinea di prestare attenzione, in quanto i redditi percepiti dalla per-sona fisica in Italia nel corso del 2019 non godono dell’agevolazione in oggetto, in quanto la stessa non era residente; diversamente per i redditi prodotti nel corso del 2020.[33] Daniela Ghislandi/Luca Barbieri, Impatriati, verso un più ampio campo d’applicazione del regime fiscale, in Il Sole 24 Ore, 17 dicembre 2019.

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262 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Non si nega lo sforzo fatto dall’Agenzia dell’Entrate nel pub-blicare alcune delle risposte alle istanze di interpello formulate da contribuenti, che potrebbero rientrare nel perimetro di applicazioni delle disposizioni in oggetto, ma permangono ancora incertezze interpretative che potrebbero dare adito ad errati comportamenti tributari.

Riprendendo una citazione di Alessandro Manzoni, “[…] ai posteri l’ardua sentenza”.

Inoltre, la scelta di costituire anche delle disposizioni per gli sportivi professionisti ha turbato non poco. Infatti, con riferimento al mondo del calcio professionistico della Serie A italiana, personaggi come Cristiano Ronaldo, Mario Balotelli, Diego Godin ed Antonio Conte possono beneficiare (non sap-piano se hanno aderito all’opzione) del regime dedicato alla loro categoria, suscitando malumore ed indignazione, visto l’andamento economico-finanziario in cui versa l’Italia.

Secondo lo scrivente, sarebbe stato più opportuno che il Legislatore avesse varato norme che favorissero gli investi-menti reali e rivolte a ridurre in maniera quantomeno stabile (se non significativa) il deficit di bilancio.

Come riportato da “Il Sole 24 Ore”[37], in data 28 marzo 2019, soltanto novantaquattro contribuenti, nel corso del 2018 hanno presentato la dichiarazione dei redditi avvalendosi delle suddette agevolazioni, evidenziando come sia necessario del tempo per trarre le opportune conclusioni; analogo discorso riguarda la riduzione dell’imposizione per i pensionati, inse-rita nell’ordinamento in maniera analoga a quanto fatto dal Portogallo.

Di seguito, una tabella riepilogativa delle percentuali di esen-zione ed imposizione dei redditi previste per i regimi oggetto del presente lavoro.

Tabella 2: Tabella riepilogativa delle percentuali di esenzione ed imposizione

dei redditi per ciascun regime

Regime % di esenzione % di imposizione

Impatriati 70% 30%

Impatriati (trasferimento nel Mezzogiorno)

90% 10%

Sportivi professionisti 50% 50%

Considerando la portata dei cambiamenti, ai fini dell’effettiva e soprattutto corretta applicazione, è opportuno attendere chiarimenti da parte dell’Agenzia dell’Entrate (come del resto già accaduto in passato) ed analizzare singolarmente ogni caso, per scongiurare possibili disconoscimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Ad es., sarebbero necessarie ulteriori precisazioni, in quanto permangono ancora dubbi, sull’applicabilità del regime degli impatriati da parte dei titolari di redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 53, comma 2, lett. d TUIR[38].

[37] Andrea Carli, Dichiarazioni 2018, 1,8 milioni di contribuenti hanno dovu-to restituire il bonus Renzi, in: Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2019.[38] Ci si riferisce alla fattispecie delle partecipazioni agli utili che spettano ai promotori ed ai soci fondatori delle società per azioni, in accomandita per azio-ni ed a responsabilità limitata.

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263 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Francesco BaccagliniMaster of Advanced Studies SUPSI in Tax LawAvvocato presso il family office Albacore Wealth Management SA, Lugano

In una recente consulenza giuridica, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiari-menti in merito alle tematiche fiscali sollevate dall’Associazione Italiana Private Banking in relazione alle gestioni patrimoniali dei cd. neo-residenti da parte di intermediari italiani

I criteri di territorialità nella fiscalità delle gestioni patrimoniali dei neo-residenti

In una recente risposta a una consulenza giuridica presentata dall’Associazione Italiana Private Banking, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in merito alla fisca-lità legata alla gestione patrimoniale da parte di intermediari italiani rivolta ai soggetti c.d. neo-residenti, ovvero coloro che hanno trasferito la residenza in Italia e si sono avvalsi dell’opzione di cui all’art. 24-bis TUIR. La consulenza fornisce chiarimenti su diversi aspetti che spaziano dalla tassazione dei redditi di capitale e diversi, all’applicazione dell’imposta di bollo, nonché alla fiscalità delle polizze vita e alle comu-nicazioni all’anagrafe tributaria e agli adempimenti ai fini del monitoraggio fiscale. Tali chiarimenti penalizzano per certi versi gli intermediari italiani a vantaggio di quelli esteri.

legati al regime fiscale delle gestioni patrimoniali effettuate da intermediari italiani a favore di soggetti che si sono avvalsi del regime dei c.d. neo-residenti (art. 24-bis TUIR).

La risposta (di seguito, per semplicità, la “Risposta”) fornita dall’Agenzia delle Entrate a dicembre 2019 contiene impor-tanti chiarimenti in merito a diversi aspetti che non erano stati affrontati dalla corposa Circolare n. 17/E, del 23 maggio 2017. L’Agenzia delle Entrate ha mantenuto per certi aspetti un approccio conservativo nella sua risposta con la conseguenza di ridurre l’attrattività delle gestioni patrimoniali da parte degli intermediari italiani. Per contro, specularmente aumenta l’attrattività delle gestioni offerte dagli intermediari stranieri.

Il presente contributo si focalizza sui chiarimenti offerti dalla risposta dell’Agenzia delle Entrate assumendo per scontati i meccanismi di funzionamento del regime di cui all’art. 24-bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), già affrontato sulle pagine di questa stessa rivista in numerose occasioni[1].

II. I criteri di territorialità del regime dei neo-residentiCome noto, il regime dei neo-residenti esteri dispone un’im-posta sostitutiva forfetaria pari a euro 100’000 (oltre a euro 25’000 per ogni ulteriore familiare) sui redditi esteri.

Ai fini delle imposte indirette o patrimoniali, gli asset esteri sono esclusi da:

[1] Sia consentito il rinvio a Francesco Baccaglini, Analisi comparata del regime globalista svizzero e neo-residente italiano, in: NF n. 10/2018, p. 444 ss.; Pietro Mastellone, L’Italia è bella per viverci... ma anche per morire!, in: NF n. 10/2018, p. 414 ss.; Giovanni Sassu, La tassazione forfettaria degli HNWIs neo-residenti in Italia, in: NF n. 10/2018, p. 422 ss.; Mario Tenore, Bre-vi riflessioni in merito all’applicabilità del regime dei neo-residenti agli sportivi professionisti, in: NF n. 10/2018, p. 434 ss.; Roberto Schiavolin, Sulla costi-tuzionalità dell’imposta sostitutiva italiana per i cd. “neo-residenti”, in: NF n. 10/2018, p. 438 ss.; Andrea Manzitti, Le agevolazioni fiscali ai “neo-residenti” tra il principio di eguaglianza e quello di capacità contributiva, in: NF n. 3/2020, p. 126 ss.; Andrea Tavecchio/Marco Calcagno, Il regime impositivo dei cd. “neo residenti”, in: NF n. 4/2017, p. 113 ss.; Pietro Mastellone, L’appeal della flat tax per attrarre gli HNWIs in Italia e la sua compatibilità con le regole dell’UE in: NF n. 5/2019, p. 232 ss.

I. IntroduzioneL’Associazione Italiana Private Banking (AIPB) raccoglie i maggiori operatori italiani del settore del private banking. Fra le sue attività vi è anche la promozione della cultura e della consulenza ai grandi patrimoni di famiglia. Nell’ambito di questa attività, ha presentato un’istanza per una consulenza giuridica all’Agenzia delle Entrate in merito a diversi aspetti

I. Introduzione ...................................................................... 263II. I criteri di territorialità del regime dei neo-residenti .... 263III. I criteri di territorialità dei redditi prodotti all’estero ................................................................................264A. La territorialità dei redditi di capitale ................................. 264B. La territorialità dei redditi diversi ......................................... 265C. I criteri di territorialità dei redditi dei globalisti: un’analisi comparata ....................................................................... 266IV. L’imposta di bollo vs. l’IVAFE ........................................ 267V. Le imposte di donazione e successione ......................268VI. Le polizze vita a contenuto finanziario ..................... 269VII. Le comunicazioni relative al monitoraggio fiscale e all’anagrafe tributaria ..................................................... 270VIII. Conclusioni ................................................................... 270

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264 maggio 2020

Diritto tributario italiano

L’approccio della lettura a specchio porta a risultati coerenti e di facile individuazione per alcune tipologie di redditi. Infatti, risulta evidente individuare i redditi di lavoro autonomo o dipendente che rientrano nell’ambito dell’art. 24-bis TUIR, posto che è sufficiente stabilire il luogo dove è svolta fisica-mente l’attività lavorativa. Allo stesso modo, i redditi fondiari sono prodotti nello Stato in cui è ubicato l’immobile, come i redditi di impresa sono considerati di fonte estera, se prodotti per il tramite di una stabile organizzazione collocata all’estero.

Invece, i redditi derivanti da attività finanziarie, oggetto della risoluzione a commento, presentano dei criteri di collegamento più articolati. A complicare l’identificazione contribuisce la dicotomia fra i criteri di territorialità dei redditi di capitale e quelli dei redditi diversi (capital gain), nonostante le attività finanziarie che li originano siano le medesime. Si pensi, ad es., alle azioni o alle obbligazioni in portafoglio che possono originare sia dividendi, rispettivamente interessi, che capital gain se vendute.

Come meglio illustrato oltre, tale duplicazione di criteri di collegamento può portare a risultati a volte non coerenti.

Infine, merita osservare che i criteri di collegamento previsti dallo Stato della fonte[4] o dalle convenzioni contro le doppie imposizioni (CDI) sono del tutto irrilevanti.

A. La territorialità dei redditi di capitaleL’individuazione del criterio territoriale relativo ai redditi di capitale è relativamente semplice in quanto stante il dato letterale della norma (art. 23, comma 1, lett. b TUIR), si con-siderano prodotti in Italia i redditi di capitale corrisposti da:

a) Stato italiano;b) soggetti residenti in Italia;c) stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.

Sfuggono alla regola appena menzionata, “gli interessi e gli altri proventi derivanti da depositi o conti correnti bancari e postali”, di cui si dirà più diffusamente oltre.

Al fine di chiarire la portata della norma, la Risposta richiama quanto già affermato nella Circolare del Ministero delle Finanze n. 207, del 26 ottobre 1999, ovvero che devono sus-sistere due condizioni concorrenti affinché il presupposto di imponibilità sia verificato in Italia:

◆ il reddito sia “prodotto” nel territorio dello Stato, ossia che l’impiego di capitale da cui derivano i proventi sia effet-tuato in Italia;

◆ l’effettiva corresponsione dei proventi stessi provenga dallo Stato, da un soggetto residente o da una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetti non residenti.

[4] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 2.

a) l’Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie Estere (IVAFE) e l’Imposta sul Valore degli Immobili all’Estero (IVIE);

b) l’imposta di successione e donazione;c) gli obblighi di monitoraggio fiscale (quadro RW della

dichiarazione fiscale).

La Risposta fornisce, quindi, chiarimenti sull’individuazione dei criteri di territorialità per ogni imposta e adempimento conseguente. Inoltre, presenta il pregio di affrontare anche il mutamento del criterio territoriale alla luce di due scenari alternativi, a secondo che le attività estere siano:

a) in custodia presso intermediari italiani;b) depositate in un conto all’estero, ma in gestione, ammini-

strazione o consulenza con intermediari italiani.

Non è affrontato il caso del subdeposito delle attività finan-ziarie in Italia o all’estero, che comunque si ritiene irrilevante sotto il profilo fiscale, posto che delle volte il contribuente non ne è a conoscenza[2]. Per quanto attiene alle gestioni patri-moniali con intermediari italiani, non è stato specificato quale regime si renda applicabile, potendo essere applicabili in linea di principio quello amministrato (di default) o quello gestito o dichiarativo, chiaramente limitatamente ai redditi imponibili ordinariamente.

III. I criteri di territorialità dei redditi prodotti all’esteroCome accennato, la norma (art. 24-bis, comma 1, TUIR) dispone che i soli redditi prodotti all’estero sono assoggettati all’imposta sostitutiva forfetaria. I redditi italiani seguono, invece, le regole ordinarie.

I redditi esteri vanno individuati secondo i criteri territoriali dettati dall’art. 165, comma 2, TUIR, ovvero la norma che disciplina il credito di imposta per le imposte pagate all’estero. A sua volta, tale comma dispone che “[i] redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’art. 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”. In altre parole, occorre procedere con una lettura a specchio della norma che individua i criteri di territorialità dei redditi prodotti in Italia da parte di soggetti non residenti, i quali sono tassati in Italia limitatamente ai redditi ivi prodotti.

Infatti, come già chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate a commento dell’art. 23 TUIR, “ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti, un reddito è da considerare come prodotto nel territorio dello Stato quando sia possibile stabilirne il collegamento con una fonte produttiva situata in Italia, sulla base di precisi parametri che il legislatore interno ha tipizzato. Reciprocamente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 165 del TUIR, un reddito si considera prodotto all’estero (ai fini dell’attribuzione del foreign tax credit ai residenti) soltanto nelle ipotesi esattamente speculari a quelle previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 23 del TUIR, a prescindere dai criteri di collegamento adottati dallo Stato della fonte”[3].

[2] Gianluca Bolelli/Alberto Calori/Marco Piazza, La tassazione delle rendite finanziarie, in: Il Sole 24 Ore, 2005, p. 397.[3] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E, del 23 maggio 2017, § 2.

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Diritto tributario italiano

L’istante ha cercato di far valere la tesi secondo cui i redditi debbano considerarsi realizzati all’estero sulla base della collocazione della fonte del reddito, ovvero per i titoli se il soggetto emittente è residente all’estero e per i contratti se la controparte è residente all’estero[8]. Ciò a prescindere dalla circostanza che i titoli siano depositati presso un intermedia-rio italiano o, se depositati all’estero, siano dati in gestione, amministrazione od oggetto di consulenza finanziaria con un intermediario italiano.

L’Agenzia delle Entrate, invece, non ha voluto scostarsi dalle interpretazioni fornite in passato[9] in merito all’interpreta-zione dell’art. 23, comma 1, lett. f, TUIR, il quale afferma che sono considerati prodotti nel territorio dello Stato “i redditi diversi derivanti […] da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di par-tecipazioni in società residenti, con esclusione […] delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti negoziate in mercati regolamentati, ovunque detenute”.

La norma contiene due criteri alternativi per individuare la territorialità delle plusvalenze generate dalla cessione di titoli:

◆ uno specifico per le sole partecipazioni in società residenti in Italia (salvo quelle non qualificate negoziate in mercati regolamentati);

◆ uno generico per tutti gli altri titoli che si trovano in Italia.

Con riferimento al primo criterio, l’Agenzia delle Entrate ha richiamato i chiarimenti forniti in passato sul tema. Pertanto, ai fini della imponibilità della plusvalenza risulta irrilevante il luogo in cui le partecipazioni in società residenti sono detenute, potendo trovarsi anche all’estero[10]. Ciò che conta è la residenza della società in Italia. Di fatto, secondo l’Amministrazione finanziaria si tratta di una “presunzione assoluta di territorialità”[11] e non di un autonomo criterio di territorialità.

Di conseguenza, le plusvalenze relative alla cessione di par-tecipazioni in società non residenti sono imponibili secondo il criterio generale, ovvero solo se i titoli o i diritti rappresenta-tivi delle partecipazioni si trovano in Italia. Lo stesso dicasi per le cessioni aventi ad oggetto partecipazioni non qualificate in società residenti negoziate in mercati regolamentati.

Analogamente, la Risposta chiarisce che i titoli non aventi natura partecipativa sono imponibili in Italia se qui si trovano, fatte salve le eccezioni previste dalla norma. Non assume rilevanza la circostanza che l’emittente sia residente in Italia o il luogo in cui i titoli sono stati emessi o sono negoziati.

[8] Secondo l’istante i criteri di territorialità dei redditi diversi avrebbero potuto allinearsi a quelli delle imposte di successione e donazione, vedi Paolo Ludovi-ci, Neo-residenti, dossier estero con intermediario italiano, Sole 24 Ore del 12 febbraio 2020.[9] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 7/E, del 6 ottobre 1999, § 1.3 e Circolare n. 165/E, del 24 giugno 1998, § 2.3.6.[10] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 165/E (nota 9), § 2.3.6.[11] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 165/E (nota 9), § 2.3.6 e Circolare n. 52/E, del 10 dicembre, 2004, § 5.

Pertanto, secondo l’Agenzia delle Entrate “è necessario che la corresponsione si riferisca ad un reddito che rappresenti, per il soggetto residente che lo eroga, l’adempimento del proprio obbligo contrattuale assunto, consistente nella remunerazione delle somme e dei valori ricevuti per l’impiego del capitale. Pertanto, per stabilirne l’imponibilità non è sufficiente che detti proventi siano soltanto materialmente “pagati” dai suddetti soggetti residenti quando essi svolgono la funzione di meri incaricati al pagamento”.

Già in passato, il Ministero delle Finanze nella Circolare n. 207/1999 (§ 1.2) aveva specificato “che se un soggetto residente si limita ad intervenire nel pagamento di un reddito di capitale di fonte estera (e cioè di redditi dovuti da soggetti non residenti e non prodotti nel territorio dello Stato) a favore di un soggetto non residente, non sostenendone, tra l’altro, il relativo onere, non possono considerarsi verificati i presupposti per attrarre ad imposizione detti redditi nel territorio dello Stato”.

Coerentemente, nella Risposta l’Agenzia delle Entrate ha affermato che ricadono nell’ambito di applicazione dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 24-bis TUIR i redditi di capitale corrispo-sti da Stati esteri o da soggetti non residenti “non solo nel caso in cui tali redditi siano riscossi all’estero, ma anche nel caso in cui le attività finanziarie estere, da cui gli stessi derivano siano oggetto di:

◆ un contratto di custodia con intermediari italiani; ◆ un contratto di gestione, amministrazione e consulenza con inter-

mediari italiani, pur essendo depositate presso un conto estero”

Alle medesime conclusioni deve giungersi anche riguardo agli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali che, ai sensi dell’ultimo periodo della lett. b, primo comma dell’art. 23 TUIR, non si considerano prodotti nel territorio dello Stato, anche qualora siano corrisposti da soggetti residenti o stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti[5].

L’Agenzia delle Entrate aveva avuto modo di chiarire che nonostante tali redditi fossero esclusi da tassazione in Italia ai sensi dell’art. 23 TUIR era comunque ammesso il credito di imposta ex art. 165 TUIR[6]. Pertanto, anche ai fini della lettura a specchio dell’art. 23 TUIR, tali redditi si considerano ricompresi nell’ambito dell’imposta forfetaria di cui all’art. 24-bis TUIR qualora corrisposti da soggetti esteri. Ciò in quanto costituiscono una deroga al criterio di territorialità, “non modificando il collegamento oggettivo tra la fonte produttiva del reddito ed il territorio dello Stato, non [ndr. facendo] venir meno la qualifica di “redditi prodotti all’estero” alle fattispecie in esame in situazione rovesciata”[7].

B. La territorialità dei redditi diversiCertamente uno degli aspetti più controversi della Risposta dell’Agenzia delle Entrate riguarda il tema dei redditi diversi generati dalle attività finanziarie, cioè i capital gain.

[5] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 2.[6] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 9/E, del 5 marzo 2015, § 2.1.[7] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 2..

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Diritto tributario italiano

enti commerciali, ma anche i diritti ed i titoli attraverso cui possono essere acquistate dette partecipazioni”[12].

Infine, è appena il caso di rammentare che i redditi diversi generati da partecipazioni qualificate in società non resi-denti (art. 67, comma 1, lett. c, TUIR) rimangono imponibili nel primo quinquennio di regime a prescindere dal luogo di deposito. Successivamente, valgono le regole illustrate sopra.

C. I criteri di territorialità dei redditi dei globalisti: un’analisi comparataÈ interessante notare come un problema del tutto analogo a quello posto dalla normativa italiana si era avuto in passato con riferimento alla normativa svizzera che disciplina il regime globalista a cui per altro il regime dei neo-residenti si ispira apertamente.

Il legislatore svizzero, per l’analogo regime dei globalisti (art. 14, cpv. 3, lett. d, n. 3 della Legge federale sull’imposta federale diretta [LIFD; RS 642.11]), ha incluso nel calcolo di controllo i redditi “proventi da capitale mobiliare collocato in Svizzera” (art. 14, cpv. 3, lett. d, n. 3 LIFD e art. 6, cpv. 6, lett. c, della Legge federale sull’armonizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni [LAID; RS 642.14]). Il testo è identico nelle tre versioni linguistiche e non costituisce quindi il frutto di un errore. Tuttavia, la dottrina[13] già da tempo sosteneva che in realtà il legislatore intendesse riferirsi ai proventi di fonte svizzera, come nel testo dell’art. 13, cpv. 6, lett. c, della Legge tributaria ticinese (LT; RL 640.100). Diversamente, “secondo il tenore letterale indicato nelle leggi federali sarebbe sufficiente collocare tutti i capitali svizzeri del contribuente al di fuori dei confini nazionali per evitare che rientrino nel calcolo di controllo”[14].

La conferma è arrivata con la Circolare dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) n. 44, del 24 luglio 2018, che al § 3.3.4 afferma quanto segue: “sono considerati proventi da capitale mobiliare collocato in Svizzera, i proventi della persona tassata secondo il dispendio che sono di fonte svizzera. Per proventi da fonte svizzera si deve intendere:

◆ in caso di diritti di credito, il domicilio o la sede del debitore si trova in Svizzera;

◆ in caso di diritti di partecipazione, la sede della società di capitali o della società cooperativa cui partecipa il contribuente imposto secondo il dispendio si trova in Svizzera”.

La Circolare AFC n. 44 precisa inoltre che “[i]l luogo, in Svizzera o all’estero, dove sono conservati questi diritti di partecipazione o di credito, nonché la valuta nella quale sono denominati, non sono decisivi”.

[12] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 165/E (nota 9), § 2.3.6[13] Samuele Vorpe, L’imposizione secondo il dispendio tra passato, presente e futuro, in: RtiD II-2013, p. 740 e Jean-Frederic Maraia, in: Yves Noël/Floren-ce Aubry Girardin (a cura di), Commentaire Romand, Impôt federal direct, 2a ed., Basilea 2017, N 84 ad art. 14 LIFD.[14] Vorpe (nota 13), p. 740.

Da ciò ne consegue che il soggetto neo-residente è imposto per i redditi diversi generati da attività finanziarie detenute in Italia. La Risposta chiarisce che in questa categoria rientrano le attività (partecipazioni in società non residenti o in società residenti non qualificate e negoziate in mercati regolamen-tati e titoli non partecipativi) detenute in un conto deposito presso un intermediario italiano.

Per contro, non sono imponibili, perché privi del collegamento territoriale con l’Italia, i redditi di fonte estera generati da attività finanziarie depositate all’estero, anche qualora un intermediario italiano:

a) eserciti la gestione (discrezionale) individuale del portafo-glio;

b) abbia un mandato di execution only degli ordini del cliente (senza potere discrezionale), compreso il caso di mandati fiduciari senza intestazione;

c) abbia un mandato di consulenza finanziaria e di monito-raggio degli investimenti (ad es: reporting, consolidato), ma senza alcun potere di movimentazione diretta delle attività.

L’Agenzia delle Entrate ha accolto, quindi, la tesi dell’istante secondo cui il cd. “rimpatrio giuridico”, ovvero l’affidamento a un intermediario italiano di un mandato di amministra-zione, gestione, custodia o deposito di attività all’estero non attragga in Italia il criterio di territorialità.

Sempre con riferimento al criterio di territorialità, occorre sottolineare che, stante il dato normativo, non rileva l’art. 5, comma 5, del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 461/1997, il quale stabilisce la non imponibilità dei redditi diversi generati da operazioni finanziarie diverse dalla cessione di partecipazioni qualificate. Quest’ultimo introduce un’esenzione per tali redditi non generalizzata, ma limitata ai soggetti residenti in Stati white list ai sensi del Decreto Ministeriale (D.M.), del 4 settembre 1996, cioè con i quali è in vigore un accordo per lo scambio di informazioni con l’Italia. Fra i redditi compresi nell’art. 5, comma 5, rientrano ad es. le partecipazioni non qualificate in società residenti i cui titoli non sono negoziati in mercati regolamentati. Per quelli negoziati vale l’eccezione dell’art. 23 TUIR, che è generalizzata, cioè a prescindere dalla circostanza che il soggetto si trovi in uno Stato white list.

Sotto il profilo oggettivo occorre sottolineare che la norma si riferisce a “beni”. La Risposta afferma che fra i beni rientrano i titoli di natura azionaria ed obbligazionaria. Incidentalmente, successivamente richiama i titoli “o i diritti rappresentativi della partecipazione” in società non residenti per affermare che questi sono imponibili se si trovano in Italia. L’Agenzia delle Entrate sembra, quindi, richiamare indirettamente i chiarimenti forniti in passato secondo cui “con il termine «parte-cipazione» il legislatore ha inteso riferirsi alla nozione recata dall’art. 81 [ndr. ora 67] del TUIR (espressamente richiamato dall’art. 20 [ndr. ora 23] dello stesso testo unico) e, pertanto, in essa debbono ricomprendersi non solo le azioni e ogni altra partecipazione al patrimonio delle società di persone (con la sola esclusione delle asso-ciazioni tra artisti e professionisti), delle società di capitali e degli

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267 maggio 2020

Diritto tributario italiano

intestazione ricadono nell’ambito di applicazione del tributo come già paventato da Assofiduciaria[17].

Stante la posizione dell’Agenzia delle Entrate, il regime del neo-residente porta alla conseguenza paradossale che un dossier composto solo da titoli esteri, ma intrattenuto con un intermediario italiano, è soggetto all’imposta di bollo. A contraris, un dossier titoli composto solo da titoli italiani (comprese azioni e obbligazioni di società italiane) presso un intermediario estero non è imponibile in capo ai neo-residenti perché ricade nell’ambito di applicazione dell’IVAFE. Analogamente a quanto analizzato sopra per i redditi diversi, il criterio territoriale è legato al luogo in cui sono detenute le attività finanziarie e non al luogo di origine del reddito.

La dicotomia fra il criterio della fonte del reddito e quello del luogo in cui sono depositate le attività finanziarie risulta ancora più paradossale nel caso in cui il neo-residente (o un suo familiare) abbia esercitato la facoltà di non avvalersi dell’imposta sostitutiva per i redditi prodotti in un determi-nato Stato ai sensi del comma 6, art. 24-bis TUIR.

Infatti, in tal caso l’Agenzia ha affermato che il neo-residente o i suoi familiari con riferimento “alle attività finanziarie detenute in tali Stati, saranno tenuti agli adempimenti previsti dalle normative sopra richiamate e a versare le imposte ordinariamente dovute”[18]. Ai fini dell’IVAFE rileva, quindi, lo Stato in cui sono detenute le attività finanziarie e non lo Stato in cui è collocata la fonte del reddito.

Di conseguenza, se si vuole esercitare l’opzione per il carve out di uno Stato dall’imposta sostitutiva per poter beneficiare della CDI in vigore fra l’Italia e tale Paese, tutti i redditi prove-nienti da tale Stato devono essere assoggettati a imposizione in via ordinaria. Si pensi ad es. al caso della Svizzera[19], ciò comporta che i dividendi pagati dalle società quotate al mercato di Zurigo sono imposti ordinariamente, ma le azioni sottostanti non sono soggette all’IVAFE se sono depositate in uno Stato diverso dalla Svizzera, come nel caso di una banca americana o inglese.

L’individuazione dello Stato estero in cui le attività finanziarie sono depositate ha solitamente scarsa rilevanza, posto che è sufficiente che le attività si trovino all’estero per far scattare il tributo. La rilevanza è limitata all’individuazione del codice dello Stato (di deposito) da indicare nel quadro RW e all’ap-plicazione del credito di imposta nell’ipotesi invero remota

[17] Nella circolare FLAT TAX_COM_2017_067, p. 4, Assofiduciaria aveva osservato che stante il dato letterale della norma “non rileva la condizione oggetti-va del bene, ma la condizione giuridica”.[18] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 5.2.[19] Un cittadino svizzero che trasferisse la residenza in Italia avvalendosi del regime dei neo-residenti potrebbe avere interesse a escludere la Svizzera dall’ambito dell’imposta forfetaria per poter essere considerato residente in Italia ai fini dell’art. 4, par. 5, lett. b della CDI in vigore fra Italia e Svizzera. Tale disposizione, pensata per i globalisti svizzeri, se letta a specchio può colpire i soggetti in regime ex art. 24-bis TUIR. Come nella cd. globale modificata, i red-diti di fonte italiana sono tassati ordinariamente, così nel regime neo-residente i redditi di fonte svizzera.

L’AFC non fornisce chiarimenti sulle ragioni dell’interpreta-zione della norma. Resta il fatto che ancorare il presupposto territoriale dell’imposizione al luogo in cui le attività finan-ziarie sono collocate presta il fianco a facili manovre elusive come osservato dalla citata dottrina.

IV. L’imposta di bollo vs. l’IVAFECome noto, il regime dei neo-residenti prevede l’esenzione dall’IVAFE (art. 19, comma 18, del Decreto Legge [D.L.] n. 201/2011) pari al 2 per mille o in misura fissa pari a euro 34,20 per i conti correnti la cui giacenza media sia superiore a euro 5’000 e dall’IVIE (art. 19, comma 13, D.L. n. 201/2011) in misura pari allo 0,76%.

L’IVAFE è un’imposta del tutto speculare all’imposta di bollo. Quest’ultima è applicata dagli intermediari italiani alle attività finanziarie detenute presso di loro o, se detenute all’estero, per il tramite dei quali i redditi sono riscossi.

Dalla sua introduzione, l’IVAFE ha subito modifiche nel corso degli anni per essere del tutto allineata all’imposta di bollo sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. Da ultimo, il recente Decreto Rilancio ha eliminato le ultime differenze fra le due imposte (cfr. art. 134 D.L. n. 34/2020) nel caso di società semplici ed enti non commerciali. A seguito di tali modifiche, si può affermare che ad oggi vige una perfetta alternatività fra i due tributi. Principio per altro già espresso dall’Agenzia delle Entrate nel Provvedimento n. 72442 del 5 giugno 2012 (§ 5) in cui ha stabilito che l’IVAFE non si rende applicabile alle “attività finanziarie oggetto di un contratto di amministrazione con una società fiduciaria residente o di gestione con un intermediario residente” in quanto sono soggette all’imposta di bollo[15].

Stando all’interpretazione dell’AIPB, vi è quindi una sostanziale unicità dei due tributi, posto che l’imposta di bollo e l’IVAFE presentano il medesimo presupposto impositivo[16]. Secondo tale assunto, l’esenzione prevista per l’IVAFE andrebbe, quindi, estesa anche all’imposta di bollo per coerenza sistematica nell’applicazione del tributo.

Nella Risposta, l’Agenzia delle Entrate si è limitata ad affer-mare in termini generali che il regime di cui all’art. 24-bis TUIR prevede l’esenzione dall’IVAFE e non dall’imposta di bollo. Per tanto, quest’ultima continua a rendersi applicabile laddove ricorrano i presupposti di cui all’art. 13, comma 2-ter, della Tariffa allegata al Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 642/1972.

Tale posizione diviene particolarmente penalizzante per gli intermediari italiani che sono tenuti ad applicare l’imposta di bollo anche qualora intervengano nella gestione e ammi-nistrazione di portafogli depositati all’estero. Allo stesso modo, l’amministrazione fiduciaria delle attività con o senza

[15] In senso conforme Agenzia delle Entrate, Circolare n. 28/E, del 2 luglio 2012, § 2.2.[16] Paolo Ludovici, In banca i neo-residenti scontano l’imposta di bollo, in: Sole 24 Ore, 13 maggio 2020.

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268 maggio 2020

Diritto tributario italiano

d) i titoli rappresentativi di merci esistenti nello Stato;e) i crediti, le cambiali, i vaglia cambiari e gli assegni di ogni specie, se il debitore, il trattario o l’emittente è residente nello Stato;f) i crediti garantiti su beni esistenti nello Stato fino a concorrenza del valore dei beni medesimi, indipendentemente dalla residenza del debitore”.

Secondo la Risposta si tratta di criteri territoriali speciali, prevalenti rispetto al criterio generale della collocazione dei beni e diritti in Italia. Di conseguenza, per tutti i menzionati beni e diritti si rendono applicabili le imposte di successione e donazione.

Sempre secondo la Risposta, la circostanza che le attività finanziarie siano oggetto di un contratto di deposito con un intermediario finanziario italiano (o estero con stabile organizzazione in Italia) non le attrae di per sé nell’ambito di applicazione delle imposte di successione e donazione. A maggior ragione, si deve concludere che non rilevi la circo-stanza che le attività finanziarie siano oggetto di gestione, amministrazione o consulenza da parte di un intermediario italiano a prescindere dal deposito in Italia o all’estero.

Ancora una volta, l’Agenzia ha applicato ai soggetti neo-resi-denti i medesi principi di imposizione adoperati per i soggetti non residenti.

Un aspetto importante che la Risposta ha mancato di chiarire riguarda l’ipotesi in cui venga esercitata l’opzione di esclu-sione dei redditi provenienti da uno o più Stati dall’imposta forfettaria ai sensi del comma 6 dell’art. 24-bis TUIR. In altra sede[20], l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che tale esclu-sione opera anche con riferimento alle imposte di donazione e successione, che tornano applicabili limitatamente allo Stato “optato”. La norma letteralmente non prevede una tale estensione, sebbene appaia condivisibile sotto il profilo logico sistematico. Tuttavia, l’Agenzia aveva mancato di chiarire se si rende applicabile il criterio generale dell’ubicazione dei beni nello Stato escluso dall’imposta forfetaria, oppure se valgano i criteri di territorialità speciali menzionati sopra per le attività finanziarie, ai quali si dovrebbero inoltre aggiungere “i beni e i diritti iscritti in pubblici registri dello Stato e i diritti reali di godimento ad essi relativi” e “i beni viaggianti in territorio estero con destinazione nello Stato o vincolati al regime doganale della temporanea esportazione” (rispettivamente lett. a e f, comma 3, art. 2 TUSD).

Sempre ragioni di ordine logico sistematico portano a rite-nere che debbano prevalere i criteri speciali rispetto a quello generale, che rimane comunque sussidiario per i beni che non ricadono nella casistica speciale.

Un ultimo caso particolare riguarda le donazioni dirette o indirette formate all’estero a favore di residenti in Italia[21]

[20] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 5.3.[21] Il concetto di residenza ai fini delle imposte di successione e donazione è da intendersi in senso civilistico e non fiscale. Di conseguenza, è irrilevante se il beneficiario si avvalga del regime di cui all’art. 24-bis TUIR oppure no.

che le attività finanziarie siano soggette a un’imposta patri-moniale all’estero. Infatti, il contribuente può reclamare “un credito d’imposta pari all’ammontare dell’eventuale imposta patri-moniale versata nello Stato in cui sono detenuti i prodotti finanziari, i conti correnti e i libretti di risparmio” (art. 19, comma 21, D.L. n. 201/2011). In altre parole, può essere portata in detrazione l’imposta patrimoniale applicata dal solo Stato in cui le attività sono depositate, mentre non sono accreditabili le eventuali imposte patrimoniali applicate in altri Stati, quali quello della fonte, di emissione del titolo o del mercato in cui il titolo è negoziato.

Si ritiene che anche il neo-residente possa, dunque, beneficiare del credito di imposta per le imposte patrimoniali pagate nello Stato in cui sono depositate le attività finanziarie, se questo Stato coincide con quello escluso dall’imposta forfetaria. Mentre, non è possibile beneficiare di tale credito di imposta se l’imposta patrimoniale è prelevata dallo Stato della fonte, se questo non coincide con lo Stato in cui sono depositate le attività finanziarie. Sotto questo profilo, l’imposta di bollo applicata dagli intermediari italiani è penalizzante in quanto non è previsto il meccanismo del credito di imposta in caso di imposta patrimoniale estera.

V. Le imposte di donazione e successioneIl regime dei neo-residenti prevede un’importante agevo-lazione relativa alle imposte di successione e donazione. Il criterio generale relativo ai soggetti residenti in Italia prevede, infatti, che tutti i beni e i diritti trasferiti ovunque esistenti rientrino nell’ambito di applicazione delle imposte (art. 2, comma 1, del Testo Unico sulle Successioni e Donazioni [TUSD]). Tuttavia, in deroga al criterio generale, nel caso dei soggetti che si avvalgono del regime di cui all’art. 24-bis TUIR l’imposta di successione e donazione “è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti esistenti nello Stato al momento della succes-sione o della donazione” (art. 1, comma 158, della Legge [L.] n. 232/2016).

La Legge istitutiva del regime dei neo-residenti non ha fornito i criteri di territorialità per stabilire quando i beni e i diritti si considerino esistenti in Italia.

A tale fine la Risposta ha ritenuto applicabili i medesimi criteri dettati in caso di successioni di soggetti non residenti o di donazioni da parte di donante non residente. Anche in tali fattispecie, infatti, l’imposta è dovuta limitatamente ai beni e ai diritti esistenti nel territorio dello Stato (art. 2, comma 2, TUSD).

La norma prevede inoltre una casistica di beni e diritti che si considerano in ogni caso esistenti in Italia (art. 2, comma 3, TUSD), in particolare:

“[…]b) le azioni o quote di società, nonché le quote di partecipazione in enti diversi dalle società, che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale;c) le obbligazioni e gli altri titoli in serie o di massa diversi dalle azioni, emessi dallo Stato o da società ed enti di cui alla lettera b);

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269 maggio 2020

Diritto tributario italiano

◆ Imposta sulle Riserve Matematiche (IRM), ovvero l’impo-sta pari allo 0,45% del valore delle riserve matematiche dei rami vita relative ai contratti di assicurazione stipulati con soggetti residenti in Italia di cui all’art. 1, comma 2-quin-quies, D.L. n. 209/2002;

◆ Imposta sul Valore dei Contratti Assicurativi (IVCA), ovvero l’imposta dello 0,45% applicata dall’intermediario italiano che interviene nella riscossione dei proventi della polizza nel caso in cui la compagnia non si avvalga della facoltà di provvedere agli adempimenti fiscali in Italia.

Nel caso dell’IRM, l’imposta è dovuta ogni anno fino a un mas-simo del 2,5% del valore delle riserve matematiche dei rami vita iscritte nel bilancio dell’esercizio. Tale massimo è ridotto dello 0,1% per ogni anno fino a 1,25% nel 2025.

Analogo meccanismo è previsto per l’IVCA, laddove il contraente deve fornire la provvista all’intermediario per pagare l’imposta.

Entrambe le citate imposte costituiscono un’anticipazione della ritenuta operata sulla riscossione dei proventi delle polizze, come anche chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 41/E, del 31 ottobre 2012. Di conseguenza, posto che i proventi delle polizze a contenuto finanziario stipulate con compagnie estere operanti in regime di LPS non sono imponibili in capo ai neo-residenti perché redditi di fonte estera, la Risposta ha chiarito che entrambe le imposte (IRM e IVCA) non sono dovute.

Per quanto attiene all’applicazione dell’imposta di bollo alle polizze in oggetto bisogna distinguere le due ipotesi in cui si rende applicabile:

◆ la compagnia assicurativa ha optato per l’applicazione dell’imposta in modo virtuale ex art. 3, comma 7, D.M. del 24 maggio 2012;

◆ l’intermediario italiano opera come sostituto di imposta sui redditi riscossi per il suo tramite.

Con riferimento alla prima ipotesi, l’AIPB aveva sostenuto che le polizze non fossero soggette all’imposta di bollo “in quanto il pre-supposto di tale imposta è la detenzione di strumenti finanziari in Italia”.

Sul tema, la Rispsota non ha preso una posizione specifica. Di conseguenza, valgono i chiarimenti sopra in merito all’appli-cazione dell’imposta di bollo sulle attività finanziarie. Si deve pertanto concludere che le polizze stipulate con compagnie estere cd. bioptate sono soggette all’imposta di bollo. Per completezza, si rammenta che in questo caso l’imposta è calcolata per anno, ma è riscossa al momento del rimborso o del riscatto (art. 3, comma 7, D.M. del 24 maggio 2012).

Alle medisime conclusioni si deve giungere nel caso di polizza i cui redditi sono riscossi tramite intermediario italiano, qualora la compagnia non sia optata.

Va, tuttavia, osservato che quest’ultima ipotesi esplica le sue funzioni nel caso di un soggetto residente in regime ordina-rio, il quale si vede sollevato dall’obbligo di compilazione del

(art. 55, comma 1-bis TUSD). Come chiarito recentemente, tale disposizione, non deroga ai criteri di territorialità dell’imposta di donazione previsti dall’art. 2 TUSD[22]. Di conseguenza, sono soggetti all’imposta di donazione “anche gli atti formati all’estero aventi ad oggetto beni diversi da immobili ed aziende esistenti nel territorio dello Stato, sempreché il donante sia residente nello Stato (articolo 2, comma 1, del TUS) ovvero, nel caso in cui il donante sia non residente, quando i beni siano esistenti nel territorio dello Stato (articolo 2, commi 2 e 3, del TUS)”.

Pertanto, anche in questo caso, si ritiene che valgano le regole esaminate sopra, ovvero si rendono applicabili i criteri di territorialità speciali, nel caso in cui il donante si avvalga del regime dei neo-residenti, anche qualora il beneficiario sia residente in Italia in regime ordinario o a sua volta in regime di cui all’art. 24-bis TUIR. La circostanza che l’atto sia formato in uno Stato escluso dall’imposta sostitutiva si ritiene che non assuma rilevanza. Dovrebbe, invece, risultare imponibile la donazione nel caso in cui il bene si trovi in tale Stato secondo i criteri di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 2 TUSD.

Infine, si rammenta che l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito in altra sede[23] che l’imposta di successione e donazione era dovuta anche sui beni dei familiari di cui all’art. 433 del codice civile (c.c.) ai quali è esteso il regime di cui all’art. 24-bis TUIR. Inoltre, l’imposta di donazione è dovuta anche ai beni apportati in trust.

VI. Le polizze vita a contenuto finanziarioLa Risposta fornisce chiarimenti in merito ai principali aspetti del regime fiscale delle polizze vita a contenuto finanziario[24] stipulate con compagnie estere operanti in Italia in regime di Libera Prestazione di Servizi (LPS).

Anzitutto, la Risposta ribadisce che i proventi da tali polizze vita rappresentano redditi di capitale di fonte estera, che rica-dono nell’ambito dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 24-bis TUIR. Inoltre, mantengono tale natura anche nel caso in cui i proventi della polizza siano riscossi per il tramite di un inter-mediario italiano (art. 26-ter, comma 3, D.P.R. n. 600/1973).

Sebbene la Risposta non lo affermi chiaramente, si deve concludere che il reddito generato da una polizza sottoscritta con una compagnia assicurativa che opera in regime di sta-bilimento e non in LPS sia soggetto a imposizione ordinaria perché considerato di fonte italiana.

La Risposta fornisce anche chiarimenti in merito a due impo-ste che colpiscono le polizze vita stipulate con compagnie operanti in regime di LPS in Italia:

[22] Agenzia delle Entrate, Risoluzione n. 310, del 24 luglio 2019[23] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 5.3.[24] Si tratta delle polizze diverse da quelle relative ai contratti aventi per oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente da qualsiasi causa deri-vante ovvero di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, nonché di quelle relative ai fondi pensione e ai contratti di assicura-zione di cui all’art. 9-ter D.Lgs. n. 124/1993 (art. 1, comma 2, D.L. n. 209/2002).

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270 maggio 2020

Diritto tributario italiano

presidio della disciplina antiriciclaggio ed esula di conseguenza dal regime fiscale dei neo-residenti.

VIII. ConclusioniLa Risposta ha il pregio di fornire importanti chiarimenti sui criteri di territorialità relativi all’imposizione delle attività finanziarie dei soggetti che si avvalgono del regime di cui all’art. 24-bis TUIR.

Posto che tale regime è volto a comprendere nell’imposta forfetaria la componente estera del patrimonio e a tassare ordinariamente la componente italiana, ne consegue che l’imposizione segue gli stessi principi di quella di un soggetto non residente.

Dall’analisi svolta sopra, risulta che il deposito delle attività finanziarie in Italia ha conseguenze sotto il profilo fiscale. Diversamente, la gestione patrimoniale, l’amministrazione o la consulenza da parte di intermediari italiani non ha con-seguenze nella misura in cui non intervengano in qualità di sostituti di imposta e le attività siano depositate all’estero.

Ciò ha conseguenze sulle gestioni patrimoniali i cui attivi sono depositati presso intermediari italiani. Fra gli aspetti negativi, tali gestioni sono soggette all’imposta di bollo e attraggono a tassazione i capital gain anche qualora abbiano ad oggetto attività finanziarie estere. È, invece, neutrale ai fini dei red-diti di capitale (dividendi, interessi, ecc.) di fonte estera, che rimangono assorbiti dall’imposta forfettaria e ai fini delle imposte di successione e donazione.

D’altra parte, i diversi criteri territoriali permettono di poter calibrare la collocazione delle gestioni minimizzando l’impatto fiscale, laddove si voglia escludere uno Stato dall’im-posta forfetaria. Tuttavia, tale aspetto aumenta l’attrattiva delle gestioni estere a discapito di quelle italiane. Neppure si possono invocare i criteri di collegamento previsti dallo Stato della fonte[27] o dalle CDI per ribaltare l’imponibilità delle gestioni patrimoniali posto che sono del tutto irrilevanti.

La Risposta conferma la non imponibilità in Italia dei redditti prodotti dalle polizze vita finanziarie emesse da compagnie assicurative estere che operano in regime di LPS in Italia. Di conseguenza, anche l’IRM e l’IVCA non sono dovute, atteso che si tratta di anticipazioni dell’imposta sui redditi. Per con-tro, l’imposta di bollo rimane applicabile anche se differita.

Infine, lo sgravio dagli obblighi di monitoraggio fiscale per le attività estere da parte dei neo-residenti (quadro RW) non è estendibile agli analoghi obblighi da parte degli intermediari, incluse le comunicazioni all’anagrafe tributaria.

[27] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 2.

quadro RW e di riportare i redditi in dichiarazione fiscale. Non si vede invece l’utilità di tale schema per un soggetto neo-residente.

Infine, nel caso in cui la compagnia estera non sia optata e non vi sia un intermediario italiano incaricato della riscossione, la polizza ricade nell’ambito di applicazione dell’IVAFE e non è quindi imponibile in capo al soggetto neo-residente.

Nel caso in cui la polizza sia stipulata con una compagnia assicurativa avente sede in uno Stato escluso dall’imposta sostitutiva, i proventi diventano imponibili e la polizza diviene soggetta all’IVAFE.

VII. Le comunicazioni relative al monitoraggio fiscale e all’anagrafe tributariaI soggetti neo-residenti non sono tenuti agli obblighi del monitoraggio fiscale degli investimenti e delle attività estere di natura finanziaria (art. 4 D.L. n. 167/1990), che si esplica con la compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi. L’esenzione vale per il soggetto principale e i fami-liari al seguito sia per il possessore diretto che per il titolare effettivo[25].

L’AIPB aveva suggerito che fosse possibile una deroga agli obblighi di comunicazione dei trasferimenti da e verso l’estero da parte degli intermediari italiani ai sensi dell’art. 1 D.L. n. 167/1990, posto che i redditi di fonte estera non sono impo-nibili in capo ai neo-residenti. Verrebbe quindi a mancare la ragione stessa delle comunicazioni da parte degli interme-diari.

La Risposta afferma che non sono previste deroghe a tali obblighi di comunicazione, poiché il dato letterale della norma si riferisce all’esenzione dagli obblighi dichiarativi relativi al solo monitoraggio fiscale da parte del contribuente. La conclusione è coerente con l’analogo regime dei soggetti non residenti, che intrattengono rapporti con gli intermediari italiani. Infatti, sono anch’essi soggetti alle comunicazioni di cui all’articolo 1 del D.L. n. 167/1990.

Va per altro aggiunto che l’esenzione dall’obbligo di moni-toraggio da parte dei neo-residenti subisce due importanti eccezioni[26]:

◆ le attività finanziarie detenute negli Stati per i quali è stata esercitata l’opzione per la tassazione ordinaria (art. 23, comma 5, TUIR);

◆ le partecipazioni qualificate in società estere per i primi cinque periodi di imposta di validità del regime.

Si tratta delle fattispecie che sono soggette a imposizione ordinaria. Alle medisime conclusioni giunge la Risposta con riferimento alle comunicazioni all’anagrafe tributaria dei conti di cui all’art. 7 D.P.R. n. 605/1973. Tale disposizione è posta a

[25] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 5.2.[26] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 17/E (nota 3), § 5.2.

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271 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Guido BeltrameDottore Commercialista,Fiduciario Commercialista,Revisore Legale in Italia,Perito Revisore – ASR

Ultime interpretazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate con alcune forzature, purtroppo

Aggiornamenti sulla tassazione delle rendite AVS e LPP in Italia

Sempre più spesso le persone, al termine della loro attività lavorativa, decidono di trasferirsi in un altro Paese per vivere da pensionati in un luogo che, per varie ragioni, ritengono più congeniale alle loro esigenze. E, se il Portogallo, è una delle mete più ambite (stante la ridotta imposizione delle rendite pensionistiche maturate all’estero), i passaggi tra Svizzera e Italia sono sempre più frequenti. Nonostante gli artt. 18 e 19 CDI CH-ITA disciplinino la tassazione delle pensioni maturate in un Paese ma incassate nell’altro, nel tempo le autorità italiane sono intervenute ripetutamente sul tema per fare chiarezza sulla corretta tassazione delle rendite svizzere incassate da residenti nella Penisola. In questo contesto si inseriscono i tre recenti documenti di prassi oggetto della presente trattazione.

Prima di entrare nello specifico dell’analisi dei casi in oggetto, si ritiene utile un rapido escursus dell’evoluzione normativa con riguardo all’imposizione della corresponsione di “pensioni” elvetiche a soggetti residenti in Italia senza, peraltro, voler ripercorrere il significato e la struttura dei “tre pilastri” svizzeri. Una normativa, quella italiana, che fino all’emanazione del Decreto Legge (D.L.) n. 50/2017 non certo aveva brillato per chiarezza e linearità, dovendosi aggrappare ad interpretazioni discutibili dal punto di vista del diritto tributario quali la rispo-sta fornita, con la Circolare dell’Agenzia delle Entrate dell’11 agosto 2015 n. 30/E, emanata in occasione della Voluntary Disclosure, e con il D.L. n. 153/2015 dove venne forzatamente inserita, all’art. 2, la lett. b che recitava quanto segue: “b) l’ammontare di tutte le prestazioni corrisposte dalla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità Svizzera (LPP), in qualunque forma erogate, sono assoggettate, ai fini delle imposte dirette, su istanza del contribuente, all’aliquota del 5 per cento.”

Già in un precedente articolo pubblicato su questa rivisita, si ebbe modo di censurare sia l’intervento legislativo sia la presa di posizione dell’Agenzia delle Entrate[1].

Non si vuole certo qui riproporre pedissequamente le motivazioni sostenute allora, ma è di tutta evidenza che, se successivamente (i.e. con il D.L. n. 50/2017) si è reso necessario inserire una norma specifica nell’ordinamento italiano, le criti-che mosse allora non paiono del tutto infondate non foss’altro per la violazione della Legge (L.) n. 212/2000 (più comune-mente conosciuta come “Statuto del contribuente”) che all’art. 3 recita quanto segue, con riferimento all’efficacia temporale delle norme tributarie: “1. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”.

[1] Guido Beltrame, La tassazione delle rendite AVS e LPP in Italia, in: NF 7-8/2016, pp. 13-16.

I. Il vuoto normativo vigente sino all’adozione del D.L. n. 50/2017Sembrava che, con le due prese di posizione (la risposta all’in-terpello n. 904-255/2019 da parte della Direzione Regionale della Lombardia e la risposta all’interpello n. 286 da parte della Divisione Contribuenti della Direzione Centrale Persone Fisiche, Lavoratori Autonomi ed Enti non Commerciali), l’Agenzia delle Entrate, tornata ad occuparsi del trattamento fiscale riservato alle rendite AVS e LPP corrisposte da enti pen-sionistici elvetici a soggetti residenti fiscalmente in Italia, ne avesse definitivamente stabilito il corretto trattamento fiscale.

Ma, ancora una volta, purtroppo per tutti gli operatori, ciò che sembrava ormai assodato è stato rimesso in discussione dalla Risoluzione n. 3, del 27 gennaio 2020.

I. Il vuoto normativo vigente sino all’adozione del D.L. n. 50/2017 ............................................................... 271II. La tassazione dei contributi previdenziali previstadall’art. 55-quinques D.L. n. 50/2017 ............................... 272III. Le recenti posizioni dell’Agenzia delle Entrate ......... 272

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272 maggio 2020

Diritto tributario italiano

(cd. “monitoraggio fiscale”) della dichiarazione italiana e assoggettati all’Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE)?

Con risposta ad interpello n. 904-255/2019, del 20 febbraio 2019, la Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate ricorda come la normativa tributaria italiana stabilisca che costituiscono redditi di lavoro dipendente “le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati” (art. 49, comma 2, lett. a del Testo Unico delle Imposte sui Redditi [TUIR]) e, pertanto, anche le prestazioni professionali rice-vute, derivanti dalla costituzione di una forma previdenziale obbligatoria (LPP), vengono qualificate come pensioni. Infatti, le stesse, rientrano a tutti gli effetti nella categoria fiscale dei redditi di lavoro dipendente come in precedenza indicato a nulla rilevando la diversa modalità di erogazione (in forma capitale o in forma di rendita).

Inquadrata correttamente la natura del reddito percepito, occorre fare un secondo passo per “armonizzare” la normativa italiana con la Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata tra Italia e Svizzera (CDI CH-ITA) e firmata a Roma il 9 marzo 1976 (ratificata con la L. n. 943/1978) che all’art. 18 recita: “Fatte salve le disposizioni dell’articolo 19, le pensioni e le altre remunerazioni analoghe, pagate ad un residente di uno Stato contraente in relazione ad un cessato impiego, sono imponibili soltanto in questo Stato”.

Pertanto, ad eccezione di alcune pensioni erogate dagli Enti analiticamente indicati nell’art. 19 CDI CH-ITA, alle somme corrisposte in Italia da enti pensionistici svizzeri trova piena applicazione l’art. 76, comma 1-bis, L. n. 413/1991 (richiamato in precedenza) che ha, in pratica, uniformato il trattamento fiscale afferente alle somme corrisposte quale “secondo pilastro” al trattamento fiscale originariamente previsto per le rendite AVS. Tale trattamento prevede che, se le somme sono riscosse tramite un intermediario finanziario italiano, le stesse siano assoggettate alla ritenuta convenzionale, a titolo di imposta, nella misura del 5%, senza doverle riportare nella dichiarazione dei redditi italiana. Qualora, invece, l’accredito della rendita non venga canalizzato in Italia, continua la Direzione Regionale, sarà onere del contribuente dichiarare la rendita nella sua dichiarazione fiscale nella Sez. V del quadro RM, riportando la causale “I” e applicando la ritenuta del 5%, in quanto una diversa modalità di tassazione genererebbe “una ingiustificata disparità di trattamento connessa alle sole moda-lità di incasso della rendita […]” e ancora “l’assoggettamento ad imposizione ordinaria costituirebbe un trattamento discriminatorio, fondato sul mero luogo di incasso del reddito e non su una differenza di capacità contributiva”. Argomentazioni assolutamente cor-rette, condivisibili e fondate sui pilastri costituzionali italiani, nonché del diritto tributario.

Resta ferma la possibilità per il contribuente di optare per il regime ordinario di tassazione avendo però, a questo punto (e solo in questa ipotesi) il diritto a fruire del credito d’imposta sul reddito estero per quanto trattenuto dalle autorità fiscali dell’altro Stato.

La Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015 e l’art. 2 lett. b D.L. n. 153/2015, richiamati in precedenza andavano a disciplinare, invece, con effetto retroattivo, l’imposizione fiscale delle ren-dite previdenziali liquidate su conti correnti detenuti presso gli istituti di credito svizzeri.

II. La tassazione dei contributi previdenziali prevista dall’art. 55-quinques D.L. n. 50/2017La modifica normativa introdotta dall’art. 55-quinquies con-cernente le disposizioni in materia di contributi previdenziali dei lavoratori transfrontalieri, in vigore dal 24 giugno 2017, del D.L. n. 50/2017 modificato dalla L. n. 96/2017, si riteneva avesse posto finalmente un punto fermo sull’interpretazione stabilendo che: “all’articolo 76 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: 1-bis. La ritenuta di cui al comma 1 è applicata dagli intermediari finanziari italiani che intervengono nel pagamento anche sulle somme corrisposte in Italia da parte della gestione della previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità svizzera (LPP), ivi comprese le prestazioni erogate dagli enti o istituti svizzeri di prepensionamento, maturate sulla base anche di contributi previdenziali tassati alla fonte in Svizzera e in qualunque forma erogate”.

La misura della ritenuta, cui fa riferimento la norma, è una ritenuta “unica” (mistero per cui non sia stata chiamata più correttamente ritenuta a titolo d’imposta) stabilita nella misura del 5%, ma la vera novità è rappresentata dalle parole “in qualunque forma erogate”, locuzione totalmente assente nell’art. 76 L. n. 413/1991: “Le rendite corrisposte in Italia da parte della assicurazione invalidità, vecchiaia e superstiti Svizzera (AVS), maturata sulla base anche di contributi previden-ziali tassati alla fonte in Svizzera, sono assoggettate a ritenuta unica del 5 per cento da parte degli istituti italiani, quali sostituti d’ imposta, per il cui tramite l’AVS Svizzera le eroga ai beneficiari in Italia. Le rendite, giusta l’accordo tra Italia e Svizzera del 3 ottobre 1974, di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 386, non formano più oggetto di denuncia fiscale in Italia”.

III. Le recenti posizioni dell’Agenzia delle EntrateFatta questa doverosa premessa, entriamo nel merito dei primi due documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate.

Con il primo interpello, un contribuente, iscritto all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE) per tredici anni, al momento di tornare in Italia terminato il suo periodo lavorativo in Svizzera, decide di richiedere l’accredito in un'unica soluzione della sua LPP (cd. “secondo pilastro”), accredito che avviene su un conto corrente svizzero. Il chiarimento che il contribuente richiede si articola su due punti:

1) avendo riscosso l’intera rendita in un'unica soluzione (optando per quella modalità di pagamento in luogo della corresponsione mensile) ed essendo stata la stessa accre-ditata su di un conto corrente svizzero, con quale modalità dev’essere tassata la rendita, anche in considerazione del fatto che è già stata assoggettata all’imposta alla fonte?

2) gli interessi maturati sul conto corrente presso la banca elvetica devono essere dichiarati nel Modello Unico e le somme accreditate devono essere indicate nel quadro RW

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273 maggio 2020

Diritto tributario italiano

n. 50/2017) non è poi stata trasfusa, in sede di modifica, nell’art. 76, comma 1-bis non può essere motivo di diversa interpretazione anche perché, rubrica legis non est lex, nei casi in cui si evinca un contrasto logico con il contenuto della norma.

Pertanto la disposizione in argomento è applicabile a tutti i soggetti che percepiscono somme, corrisposte in Italia da parte della previdenza professionale (LPP) indipendentemente dalla figura del lavoratore che le percepisce.

Pertanto la norma trova un’applicazione generalizzata e assolutamente condivisibile che sgombra, tra l’altro, il campo da ogni possibile futuro contenzioso per erogazioni di rendite “LPP” in favore di lavoratori “frontalieri con rientro settimanale” sui quali l’Amministrazione finanziaria italiana ha, ancora oggi, interpretazioni ondivaghe della loro qualifica di “frontaliere a tutti gli effetti” soprattutto nel caso in cui l’attività lavorativa non venga svolta in uno dei Cantoni confinanti con l’Italia.

Difficilmente si sarebbe potuto sostenere diversamente per-ché, se si fosse data una lettura iper restrittiva della norma, si sarebbe creata disparità di trattamento impositivo tra due soggetti percettori del medesimo reddito (rendita LPP) in virtù meramente del fatto che, durante la loro attività lavorativa in Svizzera, uno fosse frontaliere e l’altro no.

Sembrava tutto chiarito senza ulteriori possibilità di dubbi o diverse interpretazioni; l’Agenzia con i due documenti di prassi illustrati dimostrava di voler, giustamente, applicare una tas-sazione univoca alle rendite AVS e LPP indipendentemente dal soggetto che le percepisce (ex-frontaliere o non ex-frontaliere) e indipendentemente dalle modalità di percezione (attraverso canalizzazione in Italia o versamento su conto detenuto in Svizzera – o altrove). Invece, come un fulmine a ciel sereno, è arrivata la Risoluzione n. 3/E, del 27 gennaio 2020, emessa dalla Direzione Centrale Persone Fisiche, Lavoratori Autonomi ed Enti non Commerciali.

In questa Risoluzione, l’Agenzia delle Entrate, prende le mosse dall’interpello presentato da un cittadino italiano che ha pre-stato la propria attività lavorativa in Svizzera (invero per un breve periodo) dove sono stati versati i contributi AVS e LPP. Il montante contributivo è stato poi trasferito su di un conto di “libero passaggio 2° pilastro”.

Ricorrendo i presupposti per richiedere il riscatto del capitale previdenziale già accumulato (al netto della parte che sarà disponibile solo al compimento del 60° anno di età – così riporta la risoluzione), l’istante chiede di sapere quale sia il corretto regime fiscale applicabile alla somma percepita una tantum e versata su di un conto corrente svizzero da parte dell’Istituto collettore.

Dopo la tradizionale introduzione da parte dell’Agenzia delle Entrate, tendente a spiegare la fattispecie, essa inizia ad argomentare sul fatto che, siccome le rendite AVS vengono canalizzate in Italia attraverso determinati istituti di credito, mentre le prestazioni LPP sono “direttamente corrisposte ai

In maniera imprecisa, conclude l’Agenzia delle Entrate, il con-tribuente che optasse per l’assoggettamento all’aliquota del 5%, “potrà chiedere il rimborso di quanto eventualmente trattenuto dalle autorità fiscali elvetiche secondo le modalità previste dall’arti-colo 29 della vigente Convenzione tra Italia e Svizzera”.

Si è detto impropriamente perché l’art. 29 CDI CH-ITA parla in maniera generica delle imposte, nel caso di specie, viceversa l’istanza di rimborso dovrà essere presentata all’autorità fiscale cantonale facendo però attenzione a non rivolgersi al Cantone dove il contribuente era residente prima della partenza, bensì all’autorità fiscale cantonale della sede dell’ente pensionistico che ha erogato la rendita, così come generalmente indicato sull’attestato rilasciato al momento dell’erogazione della rendita stessa.

La risposta all’interpello si conclude, segnalando la necessità di dichiarare gli interessi maturati sulle somme depositate all’estero (al lordo dell’eventuale ritenuta subita in Svizzera), quali redditi di capitale di cui all’art. 44, comma 1, lett. a TUIR, nella Sez. V del quadro RM del Modello Unico applicando la medesima ritenuta alla quale sono assoggettati oggi gli inte-ressi attivi in Italia.

Il secondo documento di prassi oggetto della presente tratta-zione (risposta all’interpello n. 286, del 19 luglio 2019), parte dalla posizione di un contribuente, residente in Svizzera che decide di trasferirsi in Italia e, ferma restando l’ormai acclarata disposizione convenzionale secondo la quale le pensioni deb-bano essere (in caso di trasferimento da uno Stato a all’altro) erogate al lordo da parte dell’ente di partenza e tassate nel nuovo Stato di residenza, si domanda se, anche in questo caso, trovi applicazione il già citato art. 55-quinquies D.L. n. 50/2017 che ha introdotto il comma 1-bis all’art. 76 L. n. 413/1991.

Il dubbio del contribuente deriva dal fatto che l’art. 55-quin-quies è stato inserito, in sede di conversione, sotto la rubrica “Disposizioni in materia di contributi previdenziali dei lavoratori transfrontalieri” e, pertanto, si domanda se la tassazione indicata nel predetto art. 76 comma 1-bis trovi applicazione solo nei confronti dei lavoratori transfrontalieri e non anche di coloro che non erano frontalieri e si trovano nell’esigenza di dover sottoporre a tassazione in Italia l’erogazione, sotto forma di capitale, del “secondo pilastro” svizzero (LPP).

Nella sua risposta, l’Agenzia delle Entrate, fatta la premessa che non può essere oggetto di interpello un quesito in merito all’effettiva residenza fiscale di un contribuente ai sensi dell’art. 11 L. n. 212/2000 (commentato nella Circolare n. 9 del 1° aprile 2016), prosegue evidenziando che le disposizioni dell’art. 76, comma 1-bis, L. n. 413/1991 si riferiscono generi-camente alle somme corrisposte in Italia da enti previdenziali svizzeri (LPP), senza alcuna delimitazione riguardo ai soggetti percettori, a nulla rilevando la loro posizione di “frontaliere” o “non frontaliere” avuta negli anni di lavoro svolti nella confe-derazione.

L’osservazione che la rubrica “Disposizioni in materia di contributi previdenziali dei lavoratori transfrontalieri” (art. 55- quinquies D.L.

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274 maggio 2020

Diritto tributario italiano

fondato sul mero luogo di incasso del reddito e non su una diffe-renza di capacità contributiva”;

2) analogamente la seconda censura sarebbe rilevabile in una modalità di tassazione che prenda a riferimento il “mero luogo di incasso” principio che non trova esplicita previ-sione in nessun articolo del TUIR italiano;

3) tipologia di reddito diversa in considerazione del mero luogo di erogazione. In più di una circostanza, è stata la stessa Agenzia delle Entrate ad assimilare, correttamente, sia le rendite LPP che AVS, ai redditi da pensione “italiani”, per-tanto, è oltremodo fuorviante e illogico che ora vengano assimilate al trattamento di fine rapporto (art. 17, comma 1, lett. a TUIR) obbligando, di fatto, il contribuente ad assoggettare la LPP riscossa in Svizzera a tassazione sepa-rata (tra l’altro in presenza di norme imperative svizzere che obbligano certi accrediti solo su conti correnti elvetici).

Gli argomenti difensivi, pertanto, nel caso si dovesse andare in giudizio davanti alle Commissioni Tributarie sarebbero più di uno ma, purtroppo, tant’è l’Agenzia ha preso la sua strada che, ancora una volta, sembra perseguire più obiettivi di get-tito piuttosto che di equilibrio e correttezza fiscale.

beneficiari, mediante accreditamento sui rispettivi conti correnti aperti in Italia”, questa diversità è la dimostrazione, in sintesi, di un possibile diverso trattamento fiscale da applicare, anche perché, prosegue l’Agenzia delle Entrate “la ritenuta unica prevista dal comma 1-bis in esame [ndr. dell’art. 76 L. n. 413/1991] per le prestazioni LPP vada applicata dall’intermediario laddove gli venga conferito uno specifico incarico da parte del soggetto erogante ovvero del percipiente”.

Una presa di posizione che si presta, in particolare, a due critiche:

◆ la prima è che non può certo essere il soggetto erogante svizzero a stabilire quale ritenuta debba applicare l’inter-mediario italiano;

◆ la seconda è che solo il soggetto percipiente può stabilire la misura della ritenuta in quanto, come argomentato in precedenza, la rendita LPP è una delle tipologie di reddito che il contribuente può, liberamente, decidere se assog-gettare a tassazione sostitutiva, 5%, ovvero a tassazione ordinaria e, pertanto, è solo il contribuente che può fornire le corrette informazioni all’intermediario finanziario ita-liano.

L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate risulta, pertanto, quantomeno censurabile dal punto di vista norma-tivo e logico.

Prosegue l’Agenzia delle Entrate sostenendo, in maniera infondata, che la risposta citata in precedenza e contenuta nella Circolare n. 30/E dell’11 agosto 2015, riguardava esclu-sivamente la procedura di Voluntary Disclosure. Ma, in quella risposta, veniva anche indicato che il contribuente avrebbe dovuto indicare, per l’anno 2014 (quindi, nel Modello Unico 2015) la rendita LPP percepita in Svizzera a dimostrazione del fatto che la fattispecie non riguardava solo le procedure di Voluntary Disclosure, ma voleva indicare la strada da seguire nel futuro post Voluntary Disclosure.

Infine, il documento di prassi arriva a sostenere che le pre-stazioni LPP non erogate per il tramite di un intermediario residente (i.e. italiano) non possano essere assoggettate alla ritenuta del 5%, ma debbano essere assoggettate a tassazione separata ai sensi dell’art. 17 comma 1 lett. a. Per sostenere tale tesi, l’Agenzia delle Entrare sostiene che “[i]l tenore della dispo-sizione normativa, dunque, induce a valorizzare il tracciamento del flusso finanziario, per il tramite di un intermediario residente, quale elemento necessario per l’applicazione della norma agevolativa”.

La prima domanda che sorge spontanea sarebbe: “ma lo scambio di informazioni con le banche elvetiche non è anch’esso tracciamento del flusso finanziario”?

Nel dettaglio, la risposta dell’Agenzia delle Entrate risulta censurabile su almeno tre punti:

1) violazione dell’art. 53 della Costituzione italiana con riguardo alla capacità contributiva dei cittadini. A tal proposito basterebbe richiamare le parole della Direzione Regionale della Lombardia “[…] trattamento discriminatorio,

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275 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Alessio SpitaleriDottore Commercialista in BolzanoResearch Fellow, Working Party on Tax & Legal Matters

Gli obblighi fiscali alla luce dei più recenti indirizzi di prassi dell’Agenzia delle Entrate

Imposte sui redditi degli intermediari finanziari non residenti operanti in Italia

La crescente attenzione da parte degli operatori alla corretta tassazione dei redditi prodotti in Italia da parte di istituti di credito non residenti, testimoniata anche dalle diverse rispo-ste ad interpelli presentanti sul tema e rese note nel corso del biennio 2018/2019, è stata accentuata dalla recente cam-pagna di controlli, messa in atto dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza. Diversi istituti di credito svizzeri e monegaschi operanti con clientela italiana hanno infatti ricevuto questionari ed inviti - basati anche sulle informazioni raccolte dalle diverse edizioni di voluntary disclosure - fina-lizzati a verificare il corretto adempimento degli obblighi tributari in Italia. Il contributo si propone di individuare, anche alla luce dei recenti indirizzi di prassi, gli obblighi tributari verso l’Amministrazione finanziaria italiana di un interme-diario non residente e privo di stabile organizzazione in Italia, analizzando in particolare le diverse fattispecie secondo la normativa tributaria italiana e la CDI tra Italia e Svizzera.

I. PremessaCome noto, in Italia, l’esercizio dell’attività bancaria è riser-vato agli intermediari che, rispettando i requisiti richiesti dal Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 385/1993 (cd. “Testo Unico Bancario”, nel proseguo anche “TUB”), ottengono apposita autorizzazione dalla Banca d’Italia. In particolare, la sud-detta attività non è riservata esclusivamente ai soggetti che abbiano in Italia la propria sede legale, ma è altresì consentita ai soggetti che abbiano sede legale e amministrazione cen-trale in uno Stato membro dell’Unione europea (UE) diverso dall’Italia o in uno Stato extra-UE[1]. Difatti, gli intermediari non residenti in Italia hanno la possibilità di operarvi, previa autorizzazione da parte dell’Autorità, alternativamente tra-mite una succursale (art. 15 TUB), oppure in regime di libera prestazione di servizi (art. 16 TUB).

Tralasciando gli aspetti di natura regolamentare, si segnala che le attività esercitate da parte di una banca estera nel Bel Paese, potrebbero dare adito ad obblighi di natura fiscale in Italia, per il solo fatto di detenere rapporti finanziari con controparti fiscalmente residenti in Italia[2], a prescindere dall’effettiva presenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato e/o dal “regime autorizzativo” da essa adottato.

Mentre le banche che hanno sede in Italia sono considerate fiscalmente residenti in Italia e, pertanto, quivi pacificamente assoggettate all’imposta sul reddito di impresa ovunque prodotto, maggiori analisi devono essere effettuate con riferimento agli obblighi fiscali a carico delle banche estere che operano in Italia oppure, più in generale, che operano nei confronti di clientela residente in Italia.

[1] Nonostante tra le condizioni espressamente previste dall’art. 14 TUB “la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica”.[2] Si pensi, ad es., al caso di rapporti di finanziamento instaurati con soggetti fiscalmente residenti in Svizzera e successivamente trasferitisi in Italia, oppu-re proseguiti – a seguito di successione – con soggetti fiscalmente residenti in Italia.

Amedeo RizzoAccademic Fellow, Università Bocconi (Milano)Research Fellow, Working Party on Tax & Legal Matters

I. Premessa ............................................................................ 275II. La tassazione in Italia dei redditi prodotti da banche non residenti prive di stabile organizzazione .. 276A. Gli interessi pagati sui prestiti erogati a sostituti d’imposta ..............................................................................................276B. Gli interessi pagati sui prestiti erogati a soggetti non sostituti d’imposta .................................................................. 277III. Gli obblighi di sostituzione tributaria per una banca estera priva di stabile organizzazione in Italia .. 278IV. La stabile organizzazione in Italia di banca estera: cenni ......................................................................... 278V. I recenti accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza .......................... 279VI. Conclusioni ..................................................................... 279

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276 maggio 2020

Diritto tributario italiano

professionale. Come meglio enucleato nel seguito, laddove gli interessi non siano corrisposti da un sostituto d’impo-sta, la banca non residente è tenuta ad assoggettare ad imposizione i redditi prodotti in Italia presentando apposita dichiarazione.

A. Gli interessi pagati sui prestiti erogati a sostituti d’impostaIn caso di finanziamenti erogati a soggetti che operano in qualità di sostituto d’imposta in base all’art. 23 del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 600/1973, gli stessi opereranno una ritenuta a titolo di imposta nella misura (attuale) del 26%, all’atto del pagamento degli interessi alla banca non residente priva di stabile organizzazione in Italia.

Tuttavia, in presenza di una CDI, l’aliquota prevista dal diritto interno italiano del 26% potrebbe essere disapplicata in presenza di condizioni più favorevoli (i.e. aliquota conven-zionale ridotta). In tal caso, il soggetto estero dovrà, quindi, chiedere l’applicazione delle disposizioni convenzionali tra-mite il completamento dell’apposito “Modello B – Interessi” approvato dall’Agenzia delle Entrate[7]. Nello specifico, l’art. 11, par. 2, della Convenzione tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni e per regolare talune altre questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio (CDI CH-ITA; RS 0.672.945.41) con-sente all’Italia – in qualità di Stato della fonte – di tassare gli interessi all’aliquota massima del 12,5%.

In questo caso, dunque, l’obbligazione tributaria della banca estera priva di stabile organizzazione in Italia si esaurisce con l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta da parte del sostituto d’imposta residente in Italia, senza la necessità – da parte del soggetto estero – di presentare una dichiarazione dei redditi.

Ai sensi dell’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 nessuna ritenuta viene, invece, operata sugli interessi pagati dalle imprese italiane in forza di contratti di finanziamento a medio lungo termine agli enti creditizi europei[8]. In particolare, il regime di esenzione è accordato sotto il profilo soggettivo[9], tra gli altri, agli enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’UE[10] soggetti a forme di vigilanza negli Stati esteri nei quali sono istituititi.

[7] Cfr. Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 84404/2013.[8] Tale misura, volta a favorire l’accesso a forme di finanziamento estere da parte delle imprese italiane, è stata introdotta con l’art. 22 del Decreto Legge (D.L.) n. 91/2014, convertito con modificazioni dalla Legge (L.) n. 116/2014.[9] Con la Risposta n. 423 del 24 ottobre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha riba-dito (cfr. anche Risoluzione n. 79/E 2019) che per l’applicazione del regime di esenzione in commento non occorre verificare la natura del beneficiario effet-tivo degli interessi, ma è necessario verificare che il percettore degli interessi rientri nell’ambito soggettivo di applicazione della norma.[10] Sul tema in dottrina è stato evidenziato come il regime di esenzione della ritenuta sia applicabile non solo alle banche con sede legale nell’UE, ma anche agli enti creditizi residenti in Stati extra-UE aventi stabile organizzazione in uno Stato membro dell’UE, così come previsto dal TUB. La norma, infatti, indi-vidua gli enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’UE senza alcun espresso riferimento alla sede legale dell’ente e/o nemmeno alla residenza fiscale dello stesso. Cfr. Andrea Di Dio, Esenzione da ritenuta sigli interessi da finanziamen-to: limiti e condizioni del regime agevolativo, in: Il Fisco, n. 46/2016.

II. La tassazione in Italia dei redditi prodotti da banche non residenti prive di stabile organizzazioneIn linea di principio, una banca estera priva di stabile organizzazione in Italia[3] sarà assoggettata ad imposta limitatamente ai redditi prodotti in Italia[4], ad esclusione dei redditi esenti da imposta, nonché di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva – secondo la disciplina prevista per la specifica natura di reddito prodotta[5] – così come previsto dal combinato disposto dagli artt. 151 e 23 del Testo Unico delle imposte sui Redditi (TUIR).

Per i servizi resi la banca viene remunerata mediante: (i) commissioni e/o (ii) interessi. In riguardo, considerato che gli interessi corrisposti a fronte di finanziamenti e/o mutui sono qualificabili come redditi di capitale ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a, TUIR è necessario fare riferimento – per quanto riguarda i percettori non residenti – a quanto dispo-sto dal citato art. 23, comma 1, lett. b, TUIR, secondo cui si considerano prodotti nel territorio dello Stato “i redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni di soggetti non residenti, con esclusione di interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali”. Tutti i redditi di capitale pagati da soggetti fiscalmente residenti in Italia a soggetti non residenti si considerano, dunque, prodotti in Italia e quivi devono essere assoggettati ad imposta[6].

In linea di principio, tali redditi di capitale sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ai sensi dell’art. 26, comma 5, TUIR secondo l’aliquota di imposta prevista dalla Legge e salva l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni (CDI) nella misura in cui siano previste condizioni più favorevoli. Con l’applicazione della ritenuta alla fonte, si esaurisce la pretesa tributaria italiana senza obblighi aggiun-tivi in capo alla banca estera.

Ai fini della presente analisi, occorre però evidenziare che i soggetti che operano in qualità di sostituto di imposta sono solamente quelli individuati all’art. 23, comma 1, TUIR e, in particolare, gli enti e le società di cui all’art. 73 TUIR, le società e associazioni di cui all’art. 5 TUIR e le persone fisiche esercenti attività di impresa commerciale, agricola o

[3] Sul punto si ricorda che, come analizzato infra (cap. IV), l’esistenza di una stabile organizzazione oltre a dover essere verificata sotto il profilo formale – ovvero verificando che non sia stata ufficialmente costituita alcuna stabile organizzazione in Italia – dovrà essere accertata anche sotto il profilo sostan-ziale nel senso di verificare che le modalità di conduzione dell’attività bancaria in Italia non siano tali da integrare una delle casistiche di stabile organizzazione cd. “materiale” o cd. “personale” previste dall’art. 162 del TUIR.[4] A norma dell’art. 3 TUIR, i soggetti residenti in Italia sono tassati sui redditi ovunque prodotti nel mondo secondo il cd. “worldwide taxation principle”, mentre i soggetti non residenti sono tassati limitatamente ai redditi che, ai sensi della normativa italiana, si considerano prodotto in Italia.[5] Si ricorda, infatti, che i redditi prodotti in Italia da un soggetto non residen-te, privo di stabile organizzazione in Italia, ancorché esercente all’estero attività di impresa, non produrrà in Italia reddito di impresa ai sensi dell’art. 23 comma 1 lett. e).[6] “In linea generale tutti i redditi di capitale percepiti da soggetti non residenti, com-presi quelli realizzati nell’esercizio di attività commerciale senza stabile organizzazione in Italia, sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta”. Cfr. Risoluzione 89/E 2012 e Risposta n. 41 del 23 ottobre 2018.

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277 maggio 2020

Diritto tributario italiano

L’Agenzia delle Entrate ha recentemente confermato l’o-rientamento dottrinale[16] secondo cui la banca estera può beneficiare del trattamento convenzionale più favorevole anche in relazione agli interessi corrisposti da soggetti privati sprovvisti della qualifica di sostituto d’imposta, applicando direttamente in dichiarazione dei redditi l’aliquota convenzio-nale in luogo dell’aliquota ordinaria IRES (Imposta sul Reddito delle Società). Stando alle indicazioni contenute nella Risposta n. 41 del 23 novembre 2018 e relative agli interessi percepiti da una banca svizzera nel corso dell’anno 2017 a fronte di finanziamenti concessi a persone fisiche residenti in Italia, la banca può applicare direttamente l’aliquota convenzionale indicando l’aliquota del 12,5% in colonna 2 Quadro RN7 del Modello Redditi SC[17].

L’aliquota convenzionale si applica anche in questo caso, come nel precedente, dal momento che la CDI CH-ITA non contiene specificazioni sulla presenza o meno di sostituti di imposta. In tal caso, l’Italia – in quanto Stato della fonte e non della residenza – vede il proprio diritto impositivo limitato sugli interessi verso lo Stato di residenza, vale a dire la Svizzera[18]. Esistono, tuttavia, due principali condizioni che devono sussi-stere affinché valga la restrizione impositiva:

1) la prima è che non vi sia nella pratica una stabile organiz-zazione della banca estera in territorio italiano[19];

2) la seconda, volta ad evitare situazioni abusive, è che la banca estera sia l’effettivo beneficiario degli interessi con-fluiti all’estero[20].

chiarire che la società fiduciaria può applicare la ritenuta secondo l’eventuale aliquota convenzionale ridotta, pur permanendo l’obbligo in capo alla stessa di conservare ed esibire o trasmettere dietro richiesta dell’Agenzia delle Entrate la documentazione comprovante la sussistenza delle condizioni necessarie per fruire del regime convenzionale.[16] Cfr. Marco Piazza/Alessandro Saini, Interessi, benefici fiscali allargati, in: Sole 24 Ore, 2 giugno 2015.[17] Si segnala per completezza che tale indicazione non è stata riportata nel-la casistica contenuta nelle istruzioni alla compilazione del Modello Redditi SC 2019 in relazione ai redditi assoggettati ad aliquota ridotta.[18] Secondo l’art. 11, par. 1, CDI CH-ITA lo Stato che ha diritto primario a tassare è quello della residenza. La possibilità di ritenuta rappresenta, infatti, un’eccezione alla regola.[19] A tal riguardo, si veda infra, Cap. IV.[20] Per un’analisi ampia sul tema del cd. “beneficiario effettivo” si rimanda a Richard Collier, Clarity, opacity and beneficial ownership, in: British Tax Review, n. 6/2011, pp. 684-704. Cfr. anche Indofood International Finance Ltd. v. JP Morgan Chase Bank NA (2006) 8 ITLR 653, che rappresenta un caso estremo, ma molto attuale, nell’individuazione del beneficiario effettivo in una situazione di pagamento di interessi passivi.

Sotto il profilo oggettivo, invece, la normativa richiede che i finanziamenti[11]:

a) siano erogati a soggetti che esercitano nel territorio dello Stato attività d’impresa, quali società ed enti commerciali, imprenditori individuali residenti in Italia, nonché stabili organizzazioni in Italia di società ed enti non residenti, come individuati dall’art. 73, comma 1, lett. a e b, TUIR[12];

b) abbiano una durata contrattuale di medio o lungo termine, ovvero superiore a diciotto mesi in analogia a quanto previsto dall’art. 15 D.P.R. n. 601/1973 ai fini dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti.

Nel rispetto dei predetti requisiti, dunque, nessuna ritenuta sarà applicata agli interessi corrisposti alla banca non resi-dente priva di stabile organizzazione in Italia con l’effetto che gli interessi su tali finanziamenti non vengono assoggettati a tassazione in Italia[13].

Ricorrendo i richiamati presupposti, anche nel caso di disap-plicazione della ritenuta alla fonte previsto dal citato art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973, la banca estera potrà considerarsi legittimamente esonerata dagli obblighi dichia-rativi[14] in relazione a tali redditi.

B. Gli interessi pagati sui prestiti erogati a soggetti non sostituti d’impostaIn caso di finanziamenti erogati a persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa, gli interessi pagati alla banca estera priva di stabile organizzazione in Italia, in linea di principio, non subiranno alcuna ritenuta alla fonte e, pertanto, l’inter-mediario estero sarà tenuto a presentare una dichiarazione dei redditi come soggetto non residente indicando l’ammon-tare degli interessi percepiti da parte dei soggetti fiscalmente residenti in Italia e versando le imposte dovute secondo le ordinarie scadenze di Legge.

Diversamente, qualora la persona fisica abbia conferito il rapporto bancario nell’ambito di un rapporto fiduciario – ovvero nel caso in cui il pagamento degli interessi venga effettuato dalla società fiduciaria residente in Italia, in luogo della singola persona fisica – la stessa sarà tenuta ad operare la ritenuta prevista dall’art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973 (eventualmente ridotta secondo le disposizioni di natura con-venzionale[15]).

[11] Cfr. Risoluzione n. 76/E 2019.[12] Ne consegue che gli enti non commerciali e gli altri soggetti non esercenti attività di impresa di cui alla lett. c dell’art. 73, comma 1, TUIR rientranti tra i sostituti d’imposta di cui all’art. 23, D.P.R. n. 600/1973 devono, invece, applicare la ritenuta di cui al citato art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973.[13] Cfr. Risoluzione n. 84/E 2016, secondo la quale “[…] considerato che l’e-sclusione prevista dal coma 5-bis del citato art. 26 del DPR 600/1973 concerne una ritenuta a titolo d’imposta e che la stessa ha carattere di prelievo definitivo per l’e-spressa previsione contenuta nel citato comma 1 dell’art. 151 del TUIR, si ritiene che gli interessi sui finanziamenti a medio e lungo termine erogati dalla banca istante non debbano essere assoggettati a tassazione in Italia”.[14] Cfr. Risoluzione n. 84/E 2016.[15] L’obbligo da parte della società fiduciaria di applicare la citata ritenuta era già stato confermato dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate nella Risolu-zione n. 89/E 2012. In quell’occasione l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di

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278 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Pertanto, in assenza delle condizioni dettate dalla richiamata circolare, le banche non residenti, benché soggettivamente incluse nell’ambito della C.M., possono considerarsi ogget-tivamente escluse sia dalle ritenute sui redditi da lavoro dipendente, che da quelle sui redditi finanziari.

IV. La stabile organizzazione in Italia di banca estera: cenniAi fini della presente analisi, appare di fondamentale impor-tanza identificare le fattispecie che portano all’identificazione di una stabile organizzazione all’interno del territorio dello Stato italiano. A tal proposito, come rammentato dalla stessa Agenzia delle Entrate all’interno della Risposta n. 379/2019, la sussistenza di stabile organizzazione o di attività d’impresa in Italia è una fattispecie da valutare, la cui verifica è compito esclusivo dell’Amministrazione finanziaria[21]. Dinamica, quest’ultima, che non può di certo rassicurare un qualsiasi intermediario svizzero in merito alla concreta applicabilità di quanto riportato nella richiamata risposta in quanto, qualora venisse rilevata una stabile organizzazione in Italia, le conse-guenze fiscali sarebbero diametralmente opposte.

In questo contesto, va ricordato che ogni potenziale con-tatto tra un ufficiale della banca estera e la clientela italiana avvenuto sul territorio italiano può essere analizzato dall’Am-ministrazione finanziaria come un elemento di sussistenza di una stabile organizzazione personale. Infatti, a norma dell’art. 162, commi da 6 a 8, TUIR, nonché dell’art. 5, par. 5 CDI CH-ITA, esistono numerose circostanze tali per cui una banca estera potrebbe integrare una fattispecie di stabile organiz-zazione personale. Nello specifico, qualora vi sia un soggetto formalmente o economicamente collegato alla banca estera, operante sul territorio italiano, che concluda abitualmente contratti a nome della banca estera o che gestisca la con-clusione, nella sostanza, dei contratti che vincolano la banca. L’eccezione alla regola si ha nel caso in cui – come dettato dell’art. 162, comma 7 TUIR – l’agente della banca estera sia indipendente da questa e agisca per la banca solamente nell’ambito della propria ordinaria attività. Al di là delle soglie di controllo stabilite dal comma 7-bis, l’indipendenza del sog-getto va riscontrata de facto, verificando materialmente che l’agente non abbia la banca estera come unico cliente o che la banca estera non rappresenti un cliente così rilevante da mettere in dubbio l’indipendenza economica dell’agente.

Da un punto di vista pratico, le esemplificazioni riportate all’interno del Commentario OCSE al Modello di Convenzione fiscale (M-OCSE) aiutano a tracciare i punti principali che dovrebbero essere considerati nell’analisi di sussistenza di una stabile organizzazione. Una volta stabilita la non indi-pendenza dell’agente, occorre esaminare: (i) l’abitualità con cui tale soggetto esercita attività sul territorio italiano e (ii) l’autorità contrattuale del soggetto sul territorio italiano.

[21] Come si legge nell’ultimo paragrafo della Risposta n. 379 dell'11 settem-bre 2019: “[d]a ultimo, si fa presente che la sussistenza di una stabile organizzazione […] costituisce una circostanza di fatto non valutabile in sede di interpello e, pertanto, resta impregiudicato il potere dell’Amministrazione finanziaria volto a verificare la cor-rettezza dei fatti rappresentati nell’istanza”.

Tabella 1: Sintesi della tassazione su finanziamenti di una banca estera priva

di una stabile organizzazione in Italia

Tassazione interessi su finanziamenti di banca

estera priva di una stabile organizzazione in Italia

Percettore Pagatore fiscalmente

residente in Italia

Ritenuta a titolo

d’imposta

Obblighi dichiarativi

banca

Banca estera priva di stabile organizzazione

in Italia

Persona fisica non

imprenditore

No Si

Sostituto d’im-posta (società

fiduciaria)

Si No

Tassazione interessi su finanziamenti a medio lungo termine di banca stabilita in uno Stato membro

dell’UE priva di una stabile organizzazione in Italia

Percettore Pagatore fiscalmente

residente in Italia

Ritenuta a titolo

d’imposta

Obblighi dichiarativi

banca

Banca estera priva di stabile organizzazione

in Italia

Sostituto d’imposta eser-cente attività

d’impresa

No No

Sostituto d’imposta non esercente atti-vità d’impresa

Si No

III. Gli obblighi di sostituzione tributaria per una banca estera priva di stabile organizzazione in ItaliaNell’ambito della Risposta n. 379 dell’11 settembre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di chiarire altresì che nessun obbligo di sostituzione d’imposta incombe sulla banca estera non residente priva di stabile organizzazione in Italia che, oltre ad erogare finanziamenti a soggetti fiscalmente residenti in Italia, intervenga nella riscossione di interessi, dividendi e proventi assimilati su titoli emessi da soggetti residenti. In tal senso, la banca estera che – oltre a erogare un finanziamento al cliente fiscalmente residente in Italia – gestisce o ha in deposito un conto titoli per conto dello stesso cliente, non dovrà operare alcuna ritenuta sui redditi di natura finanziaria pagati allo stesso.

Nonostante le banche non residenti nel territorio dello Stato rientrino, in linea di principio, tra i soggetti di cui all’art. 23 comma 1, D.P.R. n. 600/1973, questi assumono la qualifica di sostituto d’imposta limitatamente ai redditi corrisposti da una stabile organizzazione o base fissa in Italia così come chiarito dalla Circolare ministeriale (C.M.) n. 326 del 23 dicembre 1997, al par. 3.1.

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Diritto tributario italiano

ma anche per saggiare le modalità di gestione dell’attività bancaria in Italia, esponendo le stesse al rischio di contesta-zione di stabile organizzazione in Italia.

Questa situazione genera in particolare due profili di criticità: da una parte, vi è un forte rischio di rilevare un’omessa dichia-razione nei casi in cui la banca estera, non avendo immaginato di avere una stabile organizzazione in Italia, si sia considerata esentata dall’obbligo di dichiarazione. A questo si affiancano i rischi di responsabilità di tax governance e di infrazione della normativa sulle attività bancarie e sull’antiriciclaggio[25]. Dall’altra parte, una volta rilevata la stabile organizzazione in Italia, sorge il tema dell’attribuzione degli utili conseguiti. Infatti, le considerazioni relative alla stabile organizzazione personale valgono solamente ai fini dell’individuazione di una presenza stabile in Italia. Una volta che questa viene rilevata, l’attribuzione degli utili alla stabile viene effettuata seguendo i criteri previsti dall’art. 7 M-OCSE, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Nel caso della CDI CH-ITA, il criterio da seguire è quello di attribuire gli utili che la stabile organizzazione avrebbe prodotto se fosse stata un’impresa “distinta e sepa-rata”, in piena indipendenza dalla banca estera[26].

VI. ConclusioniI recenti chiarimenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate possono certamente favorire la corretta compliance degli intermediari finanziari esteri e, in particolare, delle banche che, operando in Italia o più semplicemente con clientela italiana (i.e. fiscalmente residente in Italia), sono soggette ad obblighi dichiarativi ed impositivi in relazione agli interessi pagati da soggetti fiscalmente residenti in Italia che non agiscono in qualità di sostituto d’imposta.

In questo contesto, l’attività di compliance di cui alle dispo-sizioni in materia di scambio automatico di informazioni, in particolare concernenti il CRS, potrebbero rappresentare un “autogoal” ai fini dell’accertamento di violazioni in materia di tassazione dei redditi prodotti in Italia, proprio perché l’eventuale comunicazione delle consistenze e dei redditi di natura finanziaria pagati dall’intermediario estero al soggetto fiscalmente residente in Italia – nell’ambito dello scambio di informazioni fiscali – potrebbe, infatti, svelare l’esistenza di rapporti di finanziamento e fare emergere una possibile omessa dichiarazione dei redditi prodotti in Italia dal mede-simo soggetto ai sensi del combinato disposto degli artt. 151 e 23 TUIR. Allo stesso modo, anche dalle informazioni che saranno fornite all’Agenzia delle Entrate da parte dell’Am-ministrazione federale delle contribuzioni (AFC) concernenti

[25] Anche le succursali italiane sono tenute a tali adempimenti. Per un appro-fondimento si rimanda al Provvedimento del Direttore Generale della Banca d'Italia del 26 marzo 2019 recante le disposizioni in materia di organizzazione, procedure e controlli interni volti a prevenire l'utilizzo degli intermediari a fini di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.[26] Nel settore bancario e finanziario in genere, la determinazione degli utili derivanti da un’operatività “distinta e separata” dalla banca estera risulta molto complessa per via delle attribuzioni di capitale, di personale e soprattutto dei rischi che devono essere effettuate. Sul tema, si consiglia la seguente analisi Richard Collier/John Vella, Five Core Problems in the Attribution of Profits to Permanent Establishments, in: World Tax Journal, n. 5/2019, pp. 159-187.

L’autorità contrattuale non si limita al potere di firma in rappresentanza della banca estera. Ai fini della verifica del requisito, è sufficiente che l’agente sia in grado di negoziare gli elementi principali del contratto e che la banca estera firmi senza modifiche sostanziali al contratto. Pertanto, se un soggetto alle dipendenze della banca estera è abitualmente coinvolto nelle negoziazioni dei contratti con clienti italiani, sul territorio dello Stato italiano, questo può configurarsi come una stabile organizzazione personale in Italia, anche in assenza di potere di firma da parte del soggetto. La materia-lità della negoziazione è comunque un aspetto fondamentale della categorizzazione. Il Commentario OCSE esclude esplici-tamente la riconducibilità a questo tipo di situazioni nei casi in cui il soggetto effettui mere attività di promozione e marketing dei prodotti sul territorio italiano[22].

Va comunque considerato che non tutte le situazioni di intermediazione possono dar vita a stabile organizzazione personale in Italia. Come si legge nel Commentario OCSE[23], le attività intermedie a basso rischio (“low-risk distributor”) non rilevano ai fini della definizione di stabile organizzazione, per assenza di autorità contrattuale del soggetto. Pertanto, qualora la banca estera si avvalesse di società intermedie, residenti in Italia, operanti a pieno titolo come intermediari dei servizi della banca estera in Italia, queste società interme-die non sarebbero considerate agenti ai fini della rilevazione di una stabile organizzazione personale. In questo caso, può essere rilevante la modalità di retribuzione del soggetto inter-posto, che potrebbe incidere sul rischio da esso sostenuto. Infatti, se la remunerazione non si lega in alcun modo ai pro-fitti della banca estera relativamente ai servizi offerti, appare evidente che il rischio sostenuto dall’intermediario si abbassi, e con esso il rischio di rilevare una stabile organizzazione per-sonale. In questi casi, fatta eccezione per le situazioni ritenute abusive[24], si può smentire l’ipotesi di stabile organizzazione personale.

V. I recenti accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di FinanzaGrazie anche alle informazioni raccolte nelle recenti edizioni di voluntary disclosure e allo scambio automatico di informa-zioni fiscali tra i Paesi aderenti al Common Reporting Standard (CRS), l’Agenzia delle Entrate italiana è entrata in possesso di molti dati relativi alle attività finanziarie ed ai depositi bancari detenuti all’estero dai soggetti fiscalmente residenti in Italia e, di conseguenza, d’informazioni relative all’entità dell’attività svolta dalle banche estere con la clientela italiana. Tali infor-mazioni sono state recentemente utilizzate dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza non solo per effettuare controlli circa il corretto assolvimento degli obblighi tributari in Italia dagli intermediari privi di stabile organizzazione, con particolare riferimento alle imposte sui redditi di fonte italiana,

[22] Cfr. Commentario OCSE, versione 2017, par. 89 ad art. 5 M-OCSE.[23] Cfr. Commentario OCSE, versione 2017, par. 96 ad art. 5 M-OCSE.[24] L’abuso del diritto ai fini della riduzione del carico fiscale e, in particolare, della doppia non imposizione, attraverso l’uso delle CDI è uno degli elemen-ti che senza dubbio può portare l’Amministrazione finanziaria di uno Stato a derogare ai principi contenuti nella CDI.

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280 maggio 2020

Diritto tributario italiano

i clienti italiani di banche svizzere nell’ambito delle recenti domande raggruppate – che si basano sull’art. 27 CDI CH-ITA e sul relativo Protocollo aggiuntivo, nonché conformemente all’accordo amichevole sottoscritto il 2 marzo 2017 tra le due amministrazioni[27], potrebbero emergere gli elementi in base ai quali l’Agenzia delle Entrate potrebbe rivolgere diret-tamente alle banche interessate la propria attività di controllo.

In aggiunta, la crescente sensibilità in merito alla corretta tas-sazione dei redditi prodotti da soggetti aventi sede all’estero, spinta anche dalle misure elaborate nell’ambito del progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) di matrice OCSE, nonché in base alle disposizioni contenute nella Convenzione multila-terale BEPS, costringe ad una puntuale analisi delle concrete modalità di gestione dell’attività bancaria in Italia. L’esistenza di una stabile organizzazione sotto il profilo fiscale in Italia prescinde, infatti, dal regime autorizzativo (libera prestazione di servizi o stabilimento) individuato per l’esercizio dell’attività bancaria in Italia.

[27] Cfr. Agreement between the competent authorities of the Swiss Confe-deration and Italy on exchange of information through group request, firmato a Roma il 27 febbraio 2017 e a Berna il 2 marzo 2017 dalle competenti auto-rità amministrative in materia fiscale. L’accordo è in vigore dal 2 marzo 2017 ed è disponibile al seguente link: http://www.finanze.it/export/sites/finanze/it/.content/Documenti/Varie/CAA-ITALY-SWITZERLAND-GROUP-REQUEST-SIGNED.pdf (consultato il 09.05.2020). Cfr. anche il comunicato stampa del Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, Comunicato n. 39, Roma, 14 marzo 2017, in: http://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/it/.content/Documenti/Varie/Accordo_Italia-Svizzera_su_scambio_informazioni.pdf (consultato il 09.05.2020).

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281 maggio 2020

Diritto tributario italiano

Diego ZucalMaster in Diritto Tributario, IpsoaAvvocato specializzato in diritto tributario, Studio Legale Tosi, Vicenza.

Con il D.L. n. 124/2019 il legislatore ha introdotto la misura della confisca per sproporzione in ambito penal-tributario

La confisca per sproporzione fa il suo ingresso nel diritto penal-tributario italiano

La confisca per sproporzione (detta anche “allargata”) è una misura ablatoria inizialmente sorta per contrastare i reati di criminalità organizzata, poi estesa a numerosi delitti di particolare allarme sociale. Fra di essi il legislatore italiano ha recentemente inserito i reati fiscali connotati da fraudolenza. La misura prevede che al contribuente, in caso di condanna o patteggiamento, siano confiscati il “denaro”, i “beni” e le “altre utilità” di cui risulti titolare o avente la disponibilità, anche per interposta persona, in misura sproporzionata rispetto al red-dito dichiarato o all’attività svolta. Si presume, in sostanza, che il patrimonio del condannato sproporzionato al reddito dichiarato sia il frutto di precedenti reati della medesima spe-cie di quello già accertato. Il presente contributo ha l’obiettivo di analizzare i principali elementi di criticità della confisca per sproporzione in campo penal-tributario.

Tale forma di confisca consiste nell’esproprio dell’intero patrimonio del soggetto che, al ricorrere di determinati presupposti, sia condannato per uno dei seguenti reati: (i) dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per ope-razioni inesistenti; (ii) dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; (iii) emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti; e, infine, (iv) sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte[1].

Il neo introdotto art. 12-ter del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 74/2000[2] prevede, in particolare, che “nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti di seguito indicati, si applica l’articolo 240-bis del codice penale quando:

a) l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a euro due-centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 2;

b) l’imposta evasa è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 3;

c) l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 8;

d) l’ammontare delle imposte, delle sanzioni e degli interessi è supe-riore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 11, comma 1;

e) l’ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 11, comma 2”.

[1] Oltre a questi reati la confisca allargata è anche prevista nei casi di con-trabbando aggravato, ossia nelle ipotesi di evasione dei diritti di confine (tipicamente i dazi) attuata nelle forme previste dall’art. 295-bis del Testo Uni-co della Legislazione Doganale (TULD). Ed invero l’art. 301, comma 5-bis del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 43/1973, prevede che “nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall’articolo 295, secondo com-ma, si applica l’articolo 240-bis del codice penale”.[2] Contenente la disciplina dei reati tributari in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

I. Inquadramento normativoL’art. 39 del Decreto Legge (D.L.) n. 124/2019, convertito, con modificazioni, dalla Legge di conversione (L.) n. 157/2019, ha disposto l’applicazione della confisca cd. “per sproporzione” (anche detta “allargata”) ai reati fiscali di natura fraudolenta.

I. Inquadramento normativo ............................................281II. La finalità della confisca per sproporzione ................282III. La natura della confisca per sproporzione ................282IV. I presupposti di applicazione della misura ................ 283A. La condanna per uno dei reati-presupposto ................... 283B. La titolarità/disponibilità di beni anche per interposta persona .......................................................................... 284C. La sproporzione tra beni e reddito dichiarato o proventi dell’attività economica esercitata ....................... 284D. La mancata giustificazione circa la provenienza lecita dei beni.................................................................................................. 284V. Le criticità della confisca per sproporzione ...............284VI. Soluzioni pratiche .......................................................... 285

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282 maggio 2020

Diritto tributario italiano

dallo Stato, laddove non ne fosse puntualmente ricostruita la provenienza lecita.

Nel corso del tempo, tuttavia, l’ambito di applicazione della misura in commento si è enormemente dilatato, fino ad essere inserita, nel 2018, nella parte generale del codice penale (art. 240-bis c.p.)[4].

L’elenco dei delitti per i quali è prevista, oggi, la confisca allargata è folto ed eterogeneo: ai “classici” reati di criminalità organiz-zata, si sono affiancati, fra gli altri, quelli di terrorismo, eversione dell’ordine costituzionale, peculato, malversazione, concussione, corruzione, contraffazione, disastro ambientale, prostituzione minorile, pornografia minorile e virtuale, estorsione, usura, ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio, reati informatici e, da ultimo, anche quelli fiscali connotati da fraudolenza.

III. La natura della confisca per sproporzioneLa giurisprudenza di legittimità ritiene che la confisca per sproporzione sia una misura di sicurezza atipica. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha, infatti, stabilito che “ci si trova dinanzi ad una misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva, parallela all’affine misura di prevenzione antimafia intro-dotta dalla legge 32 maggio 1965, n. 575”[5].

Nel definire l’istituto in esame “misura di sicurezza” i Supremi Giudici hanno evidentemente privilegiato l’aspetto della collocazione topografica della norma (inserita nella parte del c.p. dedicata, appunto, alle “misure di sicurezza patrimoniali”), anziché gli effetti che la stessa genera in capo al destinatario, i quali sono senza dubbio di carattere afflittivo, come a breve sarà chiarito.

La prima conseguenza di siffatta classificazione è quella di rendere la misura in esame retroattiva, vale a dire applicabile anche alle controversie già in essere, posto che l’art. 200 c.p. prevede che “le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione”.

Nel settore penal-tributario, tuttavia, l’art. 39, comma 1-bis D.L. n. 124/2019 ha specificatamente previsto che la confisca per sproporzione si applichi “esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

La misura ablativa in commento, pertanto, potrà essere applicata solo in relazione a fatti commessi a decorrere dal 25 dicembre 2019. Con la necessaria specificazione che, in tali casi, la confisca potrà riguardare beni di cui il reo abbia acquisito la titolarità anche in epoca antecedente alla data di entrata in vigore della norma, dal momento che la citata

[4] L’art. 240-bis (“confisca in casi particolari”) è stato inserito nel codice pena-le dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 21/2018. In precedenza, le varie ipotesi di confisca per sproporzione erano inserite in varie disposizioni sparse della legi-slazione penale.[5] Cass.SS.UU. 17 dicembre 2013, n. 920. Tale indirizzo è stato successi-vamente confermato da ulteriori pronunce della Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. 24 settembre 2018, n. 40985 e Cass. 19 aprile 2018, n. 17700).

La norma penal-tributaria fa, dunque, espresso rinvio all’art. 240-bis del codice penale (c.p.), contenete i presupposti applicativi della confisca per sproporzione. Tale disposizione prevede che “è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la prove-nienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”.

L’istituto della confisca per sproporzione si applica, dunque, ogniqualvolta il reo, o l'interposta persona, risulti titolare di un patrimonio “non in linea” con il reddito dichiarato.

Appare chiaro come la norma testé menzionata sia fondata su una presunzione, ossia che il condannato, oltre al reato accertato, ne abbia commessi altri, la cui prova è costituita dalla disponibilità, in capo allo stesso, di beni in misura spro-porzionata rispetto al reddito dichiarato.

La presunzione, a ben vedere, è duplice: la prima, è che il sog-getto abbia, appunto, commesso altri reati rispetto a quello accertato; la seconda, è che da tali supposti delitti sia derivato un accrescimento del patrimonio del reo.

II. La finalità della confisca per sproporzioneNella sua originaria previsione (art. 12-sexies D.L. n. 306/1992) l’istituto della confisca per sproporzione era stato concepito quale misura straordinaria di contrasto alla criminalità orga-nizzata di stampo mafioso.

I patrimoni dei soggetti appartenenti alle organizzazioni di stampo mafioso si caratterizzavano (e si caratterizzano), infatti, per un accrescimento costante nel tempo, non colle-gabile ad uno specifico fatto-reato. L’accumulazione illecita di ricchezza (e conseguente potere) non era, dunque, frutto di uno o più delitti, ma di una condotta di vita tout court crimi-nale.

Dopo la strage di Capaci (23 maggio 1992) il legislatore decise, pertanto, di disancorare la confisca dal prezzo, pro-dotto o profitto ricollegabile al singolo fatto criminoso[3]. La scelta fu quella di dare alla magistratura uno strumento con il quale espropriare tutti i beni del condannato per reati di mafia, laddove questi fossero giudicati sproporzionati rispetto al reddito dichiarato.

Si trattava, quindi, di una misura punitiva a carattere straordi-nario, fondata su un ragionamento molto lineare: se il mafioso possiede beni dei quali non sappia giustificare la fonte lecita, allora è ragionevole ritenere che questi provengono da reati commessi nel passato.

La loro confisca rappresentava un segnale inequivoco: il patri-monio del mafioso poteva essere interamente espropriato

[3] Si veda l’art. 12-sexies D.L. n. 306/1992 (“ipotesi particolari di confisca”) del D.L. n. 306/1992, convertito con modificazioni in Legge (L.) n. 356/1992.

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283 maggio 2020

Diritto tributario italiano

◆ omessa dichiarazione, con imposta evasa superiore a euro 100’000;

◆ dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, con impo-sta evasa superiore a 100’000;

◆ indebita compensazione avente ad oggetto crediti non spettanti o inesistenti superiori a euro 100’000.

La scelta del legislatore, in sede di conversione, è stata quella di espungere dal catalogo dei reati-presupposto le figure delittuose non connotate da “mezzi fraudolenti”, ossia da condotte artificiose tese a falsificare la rappresentazione della realtà, ostacolando l’attività di accertamento.

Nondimeno, non può sfuggire che le fattispecie di cui sopra potrebbero rientrate, sebbene in via indiretta, nel novero dei reati-presupposto per il tramite del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11 D.Lgs. n. 74/2000.

Chi, infatti, realizza atti simulatori (cessioni di cespiti, dona-zioni, trasferimenti di azienda, ecc.) volti a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, lo fa per sottrarsi al pagamento di debiti fiscali scaturenti da condotte non neces-sariamente sussumibili all’interno delle fattispecie delittuose previste dall’art. 12-ter D.Lgs. n. 74/2000.

Facciamo un esempio, supponendo la situazione del con-tribuente che abbia occultato di dichiarare ricavi. Il reato commesso, superate le soglie di punibilità, sarebbe quello di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000.

Se, tuttavia, il contribuente, a fronte di un debito superiore a euro 100’000 (calcolato, si badi, considerando anche interessi e sanzioni), simuli atti fraudolenti per sottrarre i suoi beni da azioni esecutive del Fisco, tale condotta aprirà le porte alla confisca per sproporzione, sebbene l’evasione sia frutto di una dichiarazione infedele non ricompresa nel novero dei reati-presupposto.

Con la particolarità che tale infedele dichiarazione potrebbe finanche non integrare il delitto di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 74/2000 per mancato raggiungimento della soglia di puni-bilità[8]. Con la conseguenza che un’evasione di imposta non integrante reato, laddove unita alla sottrazione fraudolenta de qua, sottoporrà il contribuente al procedimento di analisi del suo patrimonio, onde verificare se questo sia sproporzionato rispetto al reddito dichiarato nei precedenti anni di imposta, con conseguenze notevoli (delle quali si dirà a beve) in tema di “riapertura” dei termini di accertamento.

[8] Ed invero l’art. 4 (“dichiarazione infedele”) D.Lgs. n. 74/2000 prevede che “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni”.

irretroattività non opera in relazione alla tipologia di beni confiscabili, ma con esclusivo riferimento al fatto-tipico penalmente perseguito.

IV. I presupposti di applicazione della misuraVeniamo ora all’analisi della norma che ha introdotto la misura in esame all’interno del panorama del diritto penal-tributario italiano. Si tratta, lo abbiamo visto, dell’art.12-ter D.Lgs. n. 74/2000, il quale prevede l’applicazione della confisca per sproporzione al ricorrere congiunto dei seguenti presuppo-sti[6]:

a) condanna per uno dei reati fiscali indicati nell’art. 12-ter D.Lgs. n. 74/2000;

b) titolarità/disponibilità di beni, anche per interposta per-sona;

c) sproporzione tra detti beni ed il reddito fiscalmente dichiarato o i proventi derivanti dall’attività economica esercitata;

d) in caso di sproporzione, mancata giustificazione della lecita provenienza dei cespiti.

Si procede ora al separato approfondimento di ciascuno dei sopra detti presupposti, al fine di sottolinearne gli aspetti più delicati e suscettibili di tensioni a livello interpretativo.

A. La condanna per uno dei reati-presuppostoI cd. “reati-presupposto” per i quali è prevista l’obbligatoria applicazione della confisca allargata sono i seguenti:

◆ dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, quando gli elementi passivi fittizi sono superiori a euro 200’000;

◆ dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, quando l’imposta evasa è superiore a euro 100’000;

◆ emissione di fatture per operazioni inesistenti, quando l’importo non corrispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a euro 200’000;

◆ sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. In questo caso sono previste due soglie: la prima, quando la simulazione o gli altri atti fraudolenti, posti in essere al fine di rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, riguardano un debito fiscale (imposte, sanzioni e interessi) superiori a euro 100’000; la seconda, quando all’interno di una procedura di transazione gli elementi attivi inferiori a quelli reali, o gli elementi passivi fittizi, sono superiori a euro 200’000.

L’elenco dei reati-presupposto è stato ridotto rispetto a quelli previsti dall’originario D.L. n. 124/2019[7]. Prima della conver-sione in Legge, invero, era stata prevista l’applicabilità della confisca in commento anche ai seguenti reati fiscali:

[6] Mario Romano/Giovanni Grasso/Tullio Padovani, Commentario siste-matico del codice penale, Milano 2011, p. 637 ss.[7] Nella sua versione ante conversione, non era nemmeno prevista l’attuale clausola di irretroattività della misura, di talché anche a reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge in commento poteva essere applicata la nuova misura ablativa.

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Diritto tributario italiano

non detenuto in istituti di credito, ecc.), anch’essi sottoponibili a confisca.

Nonostante il tentativo della giurisprudenza, di cui sopra si è fatto cenno, di delimitare i confini semantici del termine “sproporzione”, la vaghezza di tale enunciato non può dirsi certo superata, con la conseguenza che il reo sarà assog-gettato alla più ampia discrezionalità del magistrato, il quale potrà giudicare “sproporzionato” qualsiasi scostamento fra reddito dichiarato e beni posseduti.

Ciò in quanto in materia penal-tributaria non esiste, contra-riamente a quanto previsto in campo fiscale[13], alcuna “zona di tolleranza” all’interno della quale il patrimonio del soggetto possa ritersi – ex lege – sottratto alla misura della confisca allargata.

D. La mancata giustificazione circa la provenienza lecita dei beniPer evitare la confisca dei beni giudicati “sproporzionati”, il contribuente condannato dovrà provare che gli stessi sono stati acquistati grazie ad atti o fonti non reddituali o esentasse (disinvestimenti cui sono seguite plusvalenze esenti, eredità, donazioni, vincite di gioco, ecc.).

Con la specificazione che tali redditi non possono essere il frutto di precedente evasione, come espressamente disposto dall’art. 240-bis c.p.: “in ogni caso, il condannato non può giustifi-care la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”.

Sul punto, preme evidenziare che secondo un recente orien-tamento della Cassazione l’adesione a eventuali condoni fiscali non giustifica la legittima provenienza del bene spro-porzionato al reddito giacché, pur configurandosi l’adesione al condono quale causa di non punibilità, lo stesso non incide sull’illiceità originaria della condotta[14].

V. Le criticità della confisca per sproporzioneIl primo e più macroscopico profilo di criticità della misura in esame concerne il superamento del principio di non colpevo-lezza di cui all’art. 27, secondo comma della Costituzione, ai sensi del quale “l’ imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Ed invero la confisca colpisce i beni del contribuente sulla base della presunzione che essi siano il frutto di precedenti reati, o meglio di precedenti evasioni, delle quali, tuttavia, non vi è stato alcun accertamento, né in sede amministrativa né in sede giudiziaria (penale o tributaria).

[13] L’art. 38, comma 6, del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) n. 600/1973, prevede, in materia di accertamento sintetico, che “la deter-minazione sintetica del reddito complessivo di cui ai precedenti commi è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato”.[14] Cass. 6 febbraio 2018, n. 10765.

B. La titolarità/disponibilità di beni anche per interposta personaCon riferimento al secondo presupposto, particolarmente delicata è la questione relativa ai beni nella titolarità di un soggetto terzo. In questi casi, infatti, la confisca è una misura capace di incidere su diritti soggettivi di una persona estranea al fatto-reato, la cui unica “responsabilità” potrebbe essere quella di avere rapporti di amicizia o parentela con il contri-buente condannato.

Posta dinanzi a tale problematica, la giurisprudenza ha precisato che spetta all’accusa dimostrare che il terzo inte-statario si è prestato per favorire la conservazione dei beni del condannato[9]. Il giudice dell’esecuzione[10], a sua volta, dovrà motivare il provvedimento confiscatorio con elementi fattuali in grado di evidenziare la titolarità solo apparente dei beni. Tra questi potranno considerarsi, appunto, i rapporti di coniugio, di parentela e amicizia[11], ovvero le modalità di trasferimento dei beni (donazione), la vicinanza temporale tra l’atto di disposizione e la commissione da parte del dante causa di un reato, ecc.

Il rischio sotteso alla confisca di beni nella titolarità di soggetti terzi è, senza dubbio, quello di provvedimenti non fondati su prove rigorose e univoche, ma su semplici indizi, ovvero motivati secondo il principio del “non poteva non sapere” visti, supponiamo, i rapporti di parentela fra terzo e reo.

C. La sproporzione tra beni e reddito dichiarato o proventi dell’attività economica esercitataIn relazione a questo presupposto, specifica questione si pone con riferimento al concetto di “sproporzione” del patrimonio. Tale elemento, privo di ulteriori specificazioni, configura una sorta di clausola aperta, mediante la quale si devolve alla discrezionalità del magistrato la delimitazione semantica del termine.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, intervenuta sul punto, ha stabilito che il concetto di “sproporzione” rimanda non a una qualsiasi difformità tra reddito e capitalizzazione, ma ad un “incongruo squilibrio” tra questi, da valutarsi secondo le comuni regole di esperienza[12].

La “sproporzione”, in particolare, va rapportata al reddito del condannato al momento dell’acquisito dei singoli cespiti. Ciò significa che il patrimonio del contribuente dovrà essere ricostruito per singolo periodo di imposta, onde verificare se in tale annualità, e nelle precedenti, i redditi dichiarati fossero sufficienti a coprire la spesa sostenuta. Tale operazione, se appare relativamente semplice in relazione ai beni registrati presso pubblici registri, diventa più complessa per quelli non registrati di ingente valore (gioielli, opere d’arte, mobili, denaro

[9] Cass. 23 marzo 2011, n. 17287.[10] L’art. 183-quater delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (c.p.p.) prevede che il magistrato competente ad applicare la confisca per sproporzione è il giudice dell’esecuzione.[11] Cass. 24 ottobre 2012, n. 44534.[12] Cass. SS.UU. n. 920/2013.

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Diritto tributario italiano

e «ingiustificato» di cui l’agente dispone ad una ulteriore attività criminosa rimasta «sommersa»”[15].

L’operatore economico previdente, pertanto, al fine di tutelare il proprio patrimonio da future azioni confiscatorie, applicabili a un numero sempre più elevato di fattispecie, dovrà di volta in volta documentare, per ogni bene di valore considerevole, la fonte (reddituale o negoziale) che ha permesso l’acquisto del medesimo. Dovrà, quindi, precostituirsi la prova della legittima fonte di provenienza del cespite. Medesima cautela si impone anche per i beni che entrano a far parte del patrimonio dei parenti più stretti, anch’essi potenzialmente espropriabili per le ragioni sopra viste.

L’obiettivo è quello di evitare difficoltà di ricostruzione delle fonti che hanno permesso l’acquisto dei beni, come tipica-mente accade quando il patrimonio si sia accumulato nel corso di innumerevoli anni.

[15] Corte Costituzionale, sent. 21 febbraio 2018, n. 33.

Sotto un profilo prettamente fiscale, l’impatto più rilevante si riscontra nel settore dell’accertamento. Ed invero l’attuale disciplina prevede che gli avvisi di accertamento debbano essere notificati entro determinati termini, fissati a pena di decadenza. Precisamente, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichia-razione ovvero, nei casi di omessa presentazione della stessa, entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata (artt. 43 D.P.R. n. 600/1973 e 57 D.P.R. n. 633/1972).

La ragione di tale limitazione è la seguente: il contribuente non può rimanere in balia sine die del potere accertativo dell’Amministrazione finanziaria. Lo impongono esigenze di certezza del diritto, inconciliabili con pretese del Fisco (le quali, è bene ricordare, non sono sempre legittime) relative ad annualità troppo risalenti nel tempo. La stabilità delle situazioni giuridiche e dei diritti soggettivi acquisiti dai contri-buenti prevalgono, sotto un profilo assiologico, sulla corretta determinazione dell’obbligazione tributaria.

La certezza del diritto, quindi, garantisce il patrimonio del soggetto dagli effetti a cui mira l’accertamento, ossia il pagamento delle imposte suppostamene evase unitamente al versamento di interessi e sanzioni, in Italia assai elevate.

Ebbene, la confisca per sproporzione, indirettamente, fa sì che gli effetti tipici dell’accertamento impo-esattivo siano conse-guiti mediante l’esproprio dei beni del contribuente (mobili e immobili), a prescindere dall’annualità in cui i medesimi sono stati acquisiti. In sostanza, il patrimonio del contribuente potrà essere confiscato anche laddove lo stesso sia il “frutto” di redditi non sottoposti a tassazione, sebbene non più accer-tabili per lo spirare dei termini decadenziali di accertamento di cui sopra si è detto.

VI. Soluzioni praticheLa confisca per sproporzione ha, lo si è visto, effetti dirompenti. Essa, invero, superato il preliminare vaglio di “sproporzione” del reddito posseduto dal soggetto, non conosce limiti di applicabilità.

Tale dato deve essere letto in uno con il fatto che i reati-presupposto, per i quali è applicabile la misura in commento, sono in permanente aumento. Ogniqualvolta, invero, il legi-slatore individua reati di particolare allarme sociale, gli stessi possono essere inseriti nella lista di cui all’art. 240-bis c.p. Non è da escludere, quindi, che nel futuro possano rientrate nel novero anche reati non necessariamente legati all’accumulo di ricchezza illecita, quali infortuni sul lavoro, tutela della privacy, ecc.

E ciò sebbene tale possibilità sia stata già stigmatizzata dalla Corte Costituzionale, la quale ha auspicato che il catalogo di reati-presupposto resti saldamente ancorato a “tipologie e modalità di fatti in sé sintomatiche di un illecito arricchimento del loro autore, che trascenda la singola vicenda giudizialmente accertata, così da poter veramente annettere il patrimonio «sproporzionato»

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286 maggio 2020

Diritto societario

Massimiliano MaestrettiAvvocato, Managing Partner dellostudio legale Kellerhals Carrard Lugano

Possibili applicazioni e modalità operative per collegare i diritti connessi alle parteci-pazioni societarie ai token: competenze decisionali e requisiti formali

La tokenizzazione di azioni, tra sviluppi dottrinari e novità normative

Per quanto allo stato non esista ancora una legge federale che regoli la possibilità di incorporare partecipazioni socie-tarie in token, la dottrina ritiene possibile, a condizione che i documenti societari non contengano previsioni ostative e previa delibera degli organi competenti, la creazione di un collegamento inscindibile contrattuale per far sì che le stesse non possano essere trasferite se non unitamente al token che le incorpora. Parimenti è possibile, inoltre, la registrazione di partecipazioni tokenizzate e rispettivi titolari in un libro delle azioni digitale tenuto e aggiornato direttamente sulla blockchain, purché nel rispetto degli obblighi identificativi di legge. Da ultimo, per transazioni semplici e per cui non vengono prestate garanzie ulteriori a quelle ex lege e a condi-zione che vi sia il consenso della società, è stata ammessa la possibilità che il trasferimento di partecipazioni tokenizzate avvenga direttamente attraverso la registrazione dell’opera-zione sul registro distribuito.

I. IntroduzioneLa digitalizzazione è uno dei motori principali dell’innovazione e rappresenta, sul lungo termine, la chiave di volta della com-petitività dell’economia nazionale svizzera[1]. In quest’ottica, non si può non concordare come le innumerevoli potenzialità delle nuove tecnologie informatiche possano trovare applica-zione anche nella gestione delle pratiche societarie.

Nel diritto societario il supporto cartaceo e documentale è attualmente ancora dominante e la tecnologia sarebbe il trampolino di lancio ideale per l’ottimizzazione delle risorse con inevitabili conseguenti benefici anche in termini di velo-cità e sostenibilità, senza tuttavia rinunciare a trasparenza e certezza. Tra gli sviluppi più rilevanti e potenzialmente più promettenti della digitalizzazione rientra senza dubbio la tecnologia della blockchain.

II. La tecnologia blockchain: cenni sul funzionamentoAl fine di meglio comprendere i possibili riflessi che questa nuova tecnologia potrebbe avere in ambito di diritto socie-tario, vengono sinteticamente descritti di seguito i processi informatici sottesi al suo funzionamento[2].

[1] Dipartimento federale delle finanze (DFF), Rapporto esplicativo per la procedura di consultazione sulla Legge federale sull’adeguamento del diritto federale agli sviluppi della tecnologia di registro distribuito, disponibile sul sito internet della Confederazione Svizzera, Berna, 22 marzo 2019, p. 5, in: https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/56204.pdf (consultato il 09.05.2020).[2] Capitolo realizzato grazie al prezioso contributo dell’esperto di blockchain e diritto digitale Lars Schlichting, Partner dello studio legale Kellerhals Carrard

Lorenza FerroAvvocato, Senior Associatedello studio legale Kellerhals Carrard Lugano

I. Introduzione ......................................................................286II. La tecnologia blockchain: cenni sul funzionamento ..286A. La blockchain ................................................................................ 287B. I token e i coin ............................................................................... 287C. Lo smart contract ....................................................................... 288III. La tecnologia blockchain e le società di capitali ......288IV. Le azioni incorporate in token .....................................289A. Dalle cartevalori ai token ......................................................... 289B. Le azioni emesse come diritti valore ................................... 290C. Il collegamento contrattuale .................................................. 290V. La procedura di incorporazione ................................... 291A. La competenza decisionale ..................................................... 291B. L’adeguamento statutario necessario ................................ 291C. L’adeguamento statutario facoltativo e la pubblicità del collegamento .............................................................................. 291D. L’emissione di nuove azioni o conversione di azioni esistenti ................................................................................................ 292E. L’identificazione degli azionisti ...............................................293VI. Il trasferimento delle azioni incorporate in token ..294A. Lo smart contract e la forma scritta: problemi

e soluzioni .............................................................................294B. Il trasferimento tramite la cessione di contratto ........... 295VII. Il pegno e altri diritti di garanzia sulle azioni tokenizzate ...........................................................................296VIII. Lo status legislativo in Svizzera e i possibili sviluppi ..................................................................................296IX. Conclusioni ...................................................................... 297

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287 maggio 2020

Diritto societario

Ciò avviene a seguito di un processo di validazione compiuto da specifici partecipanti della rete, chiamati miners, che devono risolvere un complesso problema matematico per generare un blocco, il cui risultato sarà condiviso dagli altri utenti, chiamati nodi, che tengono un registro di tutti i blocchi generati.

B. I token e i coinLe unità informative iscritte in un registro basato sulla tecno-logia di registro distribuito sono designate con il termine “coin” o “token”. Un coin o un token può essere visto come un insieme di informazioni digitali registrate su una blockchain, trasferibili tramite un protocollo, in grado di conferire un diritto di pro-prietà sulle informazioni stesse al soggetto che lo possiede.

Un token, quindi, nello specifico, è un asset digitale basato sulla blockchain che può essere scambiato tra due parti senza che sia necessaria l’azione di un intermediario. Mentre il coin è l’elemento originale della blockchain (ad es. bitcoin per la blockchain Bitcoin o Ether per la blockchain Ethereum), il token è una rappresentazione specifica determinata dall’emittente, come ad es. un token che rappresenta delle azioni.

Esistono diverse tipologie di token determinate sia dal tipo di approccio tecnologico sia dal tipo di utilizzo. L’autorità di vigilanza su mercato finanziario svizzero (FINMA), dopo aver considerato che allo stato non esiste una classificazione generalmente riconosciuta dei token, ha distinto i token in tre categorie, basandosi su un approccio orientato alla funzione economica[6]:

◆ token di pagamento (payment token): sinonimo di semplici “criptovalute”, utilizzati come classici mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi, caratterizzati dal fatto che trasferiscono valori senza conferire diritto nei confronti di un emittente;

◆ token di utilizzo (utility token): permettono di accedere a un servizio digitale offerto da un emittente terzo tramite un’infrastruttura blockchain;

◆ token d’investimento (asset token): rappresentano diritti patrimoniali o sociali (in caso di diritto societario) nei confronti dell’emittente (ad es. un’azione, un’obbligazione o uno strumento finanziario derivato).

Poiché le singole classificazioni dei token non si escludono necessariamente a vicenda, sarà possibile avere dei token che contengono caratteristiche appartenenti a più categorie e dovranno conseguentemente essere qualificati come token ibridi (quarta categoria).

Questi token non possono essere applicati direttamente sulla blockchain dal momento che, generalmente, la blockchain processa unicamente transazioni nel proprio coin (come Ether sulla blockchain Ethereum e bitcoin sulla blockchain Bitcoin). Per questa ragione le transazioni che coinvolgono dei token

[6] FINMA, Guida pratica per il trattamento delle richieste inerenti all’as-soggettamento in riferimento alle initial coin offering (ICO), Edizione del 16 febbraio 2018, p. 2 ss.

A. La blockchainLa blockchain è una tecnologia informatica che permette a due o più utenti di trasferire informazioni tramite la trasmissione di un token attraverso la rete internet, aderendo a un protocollo informatico che dispone le regole di trasferimento e automa-tizza il procedimento attraverso la crittografia, un sistema di sicurezza che permette il trasferimento dell’informazione solo se riconosciuto come valido dal protocollo informatico stesso[3]. Vi sono attualmente diversi tipi di blockchain:

◆ la blockchain pubblica (permissionless), un registro pubblico e condiviso dai partecipanti, non organizzato sotto un con-trollo accentrato, o sotto l’egida di una autorità, ma creato, incrementato e gestito dagli stessi utenti della rete su un piano di parità (secondo una modalità “peer to peer”)[4];

◆ la blockchain privata (permissioned), in cui un limitato gruppo di attori mantiene il potere di accesso, controllo e aggiunta di transazioni nel registro[5];

◆ la blockchain federata, dove solo un gruppo di persone con-trolla in modo completo e totale la blockchain;

◆ la blockchain ibrida, una combinazione degli elementi delle blockchain pubbliche e private che offre un accesso ristretto ai partecipanti.

La blockchain è pertanto un registro distribuito (distributed ledger), al quale può accedere una determinata categoria di utenti di un dato circuito virtuale, che, a sua volta, rappre-senta una comunità (reale) di persone (community). Il registro è strutturato come una catena di blocchi, ciascuno contenente una o più transazioni.

L’elemento digitale contenuto nel blocco e oggetto del tra-sferimento viene denominato token (se rappresenta un bene o valore digitale) o coin (se è il token originale della blockchain di riferimento). Esso non è una copia o replica di un origi-nale, come avviene per un qualsiasi file trasmesso per posta elettronica o condiviso tra più terminali di una rete o su più supporti, ma è un elemento unico: ciò impedisce che quell’og-getto possa essere speso o scambiato più volte.

Le transazioni su blockchain sono immutabili, una volta che la validità di un blocco è confermata, lo stesso riceve un’indicazione temporale che non può più essere modificata o cancellata.

Le transazioni effettuate su una blockchain pubblica sono visi-bili su tutta la rete, ma l’identità della parte che l’ha effettuata è protetta con mezzi crittografici a doppia chiave (una privata che serve a “firmare” il dato e una pubblica utile a decrittare i dati): soltanto la chiave pubblica, infatti, sarà individuabile mentre la password associata alla stessa (chiave privata) rimarrà protetta.

Lugano SA.[3] Mario Passaretta, Blockchain: la circolazione della partecipazione sociale, in: Quotidiano Giuridico Pluris Cedam Utet Giuridica del 16 aprile 2019, p. 1.[4] Francesco Di Giovanni, Intelligenza Artificiale e diritto – attività contrat-tuale e Intelligenza Artificiale, in: Giur. It., 2019, p. 4.[5] Philip Boucher, Come la tecnologia blockchain può cambiarci la vita, pub-blicato dal Servizio di ricerca del Parlamento Europeo, 2017, p. 5.

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288 maggio 2020

Diritto societario

scarso valore concesso a chi ha acquistato un utility token offerto durante una ICO.

Di recente, tuttavia, la dottrina ha iniziato a valutare altri possibili utilizzi di questa tecnologia, utilizzi collegati a istituti già noti e per cui, quindi, non sarebbe stato necessario capire la caratteristica e l’estensione del diritto in sé ma unicamente la modalità di collegamento digitale con la blockchain[13]. La blockchain si avvia, quindi, verso una nuova era e il suo potenziale consente di prospettarne un’applicazione al diritto societario.

In ambito di società di capitali tre sembrerebbero le principali questioni in merito all’utilizzo della tecnologia blockchain: se la medesima possa trovare spazio sia con riferimento alle società anonime che a quelle a garanzia limitata, se sia preferibile emettere azioni nominative o al portatore, e se la disciplina sia applicabile soltanto alle azioni o anche a strumenti simili, quali i buoni di partecipazione.

La prima domanda sembrerebbe avere risposta negativa. La società a garanzia limitata, infatti, è caratterizzata da una forte componente personale, le quote sociali non sono fungibili (vertretbar) e una mancata emissione di certificati, non sembrerebbe dar luogo a un diritto valore ai sensi dell’art. 973c CO[14].

Inoltre, la normativa in tema di società a garanzia limitata, proprio per sua natura di società che predilige il carattere personale, prevede dei meccanismi di disclosure e trasparenza (obbligatorio, ad es., comunicare i nominativi di tutti i soci e le relative modifiche al registro di commercio) che sem-brerebbero mal conciliarsi con il mercato dei capitali e con i requisiti di snellezza e celerità che caratterizzano le opera-zioni su blockchain tramite token a cui, allo stato, dovrebbero aggiungersi inevitabili comunicazioni cartacee con l’Ufficio dei registri.

Sembrerebbe, di contro, possibile assimilare da un punto di vista concettuale le azioni e i buoni di partecipazione.

Il buono di partecipazione, infatti, da un punto di vista con-cettuale, si differenzia dall’azione per lo più per il fatto che il medesimo non garantisce al suo possessore diritti di voto (ex art. 656a CO e 656c CO). Al di là di questo, lo stesso non è dissimile all’azione: deve essere liberato dietro un apporto (sia esso in natura, in contante o tramite compensazione), il valore nominale determina la creazione di una capitale sociale di “partecipazione”, ed al possessore sono garantiti diritti patri-moniali proporzionalmente al numero di buoni posseduti[15].

[13] Jacques Iffland/Alessandra Läser, Die Tokenisierung von Effekten, in: GesKR 2018, p. 418.[14] Harald Bärtschi, 2. Begründung / 2.1 Verpfändung und verwandte Insti-tute / 2.1.3-2.1.9, 2012, p. 296 ss.[15] Rita Trigo Trindade, N 4 ad art. 656a CO, in: Pierre Tercier/Marc Amstutz/Rita Trigo Trindade (a cura di), Code des obligations II, Commentaire romand, Basilea 2017.

devono essere gestite attraverso un’applicazione: lo smart contract[7].

C. Lo smart contractContrariamente a quanto suggerito dal proprio nome, lo smart contract non è un contratto nel senso proprio che viene attribuito dal Codice delle obbligazioni (CO; RS 220), bensì una tecnologia computerizzata per l’esecuzione di un contratto. Lo smart contract è, quindi, un programma per elaboratore, un software[8], che opera su tecnologie basate su registri distri-buiti, che permette l’esecuzione di transazioni sulla base di un algoritmo, e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse, secondo la struttura “if this … then that”[9].

Un programma, quindi, che consente al sistema, ove inserito in una blockchain, di reagire unicamente qualora e quando si siano verificate le condizioni nello stesso[10].

Il controllo sulla sussistenza o meno di tali condizioni, neces-sarie affinché venga eseguito lo smart contract, può essere affidato alla stessa blockchain, che in tal caso conterrà al suo interno le informazioni necessarie e sufficienti all’auto-ese-cuzione dello smart contract (ad es., se lo smart contract riceve in entrata un transazione in Ether, trasmetterà questi Ether al wallet di una controparte e dei nuovi token, ad es. il token che rappresenta un’azione, al wallet da cui è entrata la tran-sazione originale), oppure può essere affidata a determinati “oracles”, programmi che non appartengono alla blockchain e che comunicano l’avvenuto soddisfacimento delle condizioni dedotte nello smart contract (ad es. un sito internet che fornisce informazioni sul volo degli aerei a favore di uno smart contract per le assicurazioni viaggi, un sito sui prezzi di borsa per uno smart contract sui derivati)[11].

Lo smart contract è, quindi, un programma informatico che risiede in tale registro e che esegue una o più transazioni preim-postate il cui risultato viene poi iscritto nel registro stesso[12].

III. La tecnologia blockchain e le società di capitaliLe possibili applicazioni in ambito di diritto societario di questa tecnologia sono già state esplorate in passato, ad es. tramite le ICO (initial coin offering), ma il fenomeno, dopo l’entusiasmo iniziale del periodo 2017-2018, ha subito un considerevole rallentamento prevalentemente dovuto ai pochi diritti e allo

[7] PwC Report, How do ICOs work? – launching your ICO in Switzerland, 2018, p. 5.[8] Lukas Müller/Reto Seiler, Smart Contracts aus Sicht des Vertragsrechts, in: AJP/PJA 2019, p. 317 e dottrina ivi citata.[9] Confederazione Svizzera, Federal Council Report, Legal Framework for distributed ledger technology and blockchain in Switzerland, 14 dicem-bre 2018, p. 80, in: https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/55153.pdf (consultato il 09.05.2020).[10] Müller/Seiler (nota 8), p. 318 e dottrina ivi citata nella nota 16.[11] Per una descrizione esaustiva Michele Giaccaglia, Considerazioni su blockchain e smart contracts oltre le criptovalute, in: Contratto e Impresa, 2019, p. 4.[12] Luca Brunoni/Louise Bonadio, Initial Coin Offering (ICO) e criptovalute: investire e raccogliere fondi grazie alla blockchain, in: NF 11/2018, p. 477.

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Una cartavalori, secondo la definizione che ne viene data all’art. 965 CO, è “[…] ogni documento nel quale un diritto è incorporato si da non poter essere né esercitato né trasferito senza il documento medesimo”.

Abbiamo visto in precedenza che un token è essenzial-mente un’iscrizione in un registro decentralizzato; si tratta, quindi, fondamentalmente di un procedimento tecnico-informatico[21]. Da un punto di vista funzionale, il token si configurerebbe come l’equivalente moderno del certificato azionario, il documento cioè a cui i diritti sono collegati in modo che l’uno non possa essere trasferito senza l’altro, che però, anziché essere emesso in forma cartacea, viene emesso su supporto digitale. Il controllo sulla chiave privata darebbe al titolare lo stesso controllo sul token del possessore del certifi-cato azionario[22].

Il contenuto del menzionato art. 965 CO sembrerebbe sod-disfare concettualmente il collegamento imprescindibile che in questa sede si vuole perseguire. Sembrerebbe, tuttavia, mostrare limiti pratici nella parte in cui prevede unicamente la possibilità di rendere inscindibilmente collegato un diritto con un “documento”.

Nonostante la dottrina abbia esteso in via interpretativa il concetto di “documento” ritenendo che, in determinate circo-stanze, detto supporto possa anche non essere un certificato cartaceo (è stato considerato, ad es. come supporto adeguato anche un CD rom, un DVD o una chiavetta USB) è, tuttavia, ritenuta fondamentale l’esistenza un supporto tangibile in cui possa essere incorporata l’informazione (anche in formato digitale, ma purché caricata su un apparecchio esterno quale un tablet, uno smartphone o un computer)[23].

Ne consegue che, poiché di fatto il token non rappresenta – rectius non sarebbe efficiente se fosse rappresentato da – un supporto fisico materiale, ai medesimi non sembrerebbe potersi applicare la normativa sulle carte valori (art. 965 ss. CO). Per quanto concettualmente non sarebbe da escludersi, infatti, materializzare un gettone digitale andrebbe contro all’idea in sé del token che attraverso l’incorporazione in oggetto fisico, perderebbe il vantaggio della dematerializza-zione che il medesimo intende perseguire (proprio qui sta in realtà l’innovazione stessa!).

Occorrerà, quindi, valutare una strada alternativa per creare il collegamento tra il token e i diritti nel medesimo incorporati al fine di stabilire un legame indissolubile tra gli stessi equi-valente a quello previsto dall’art. 965 CO per le cartevalori in modo che i diritti partecipativi e il loro contenitore (il token)

[21] Cfr., supra, cap. II.B.[22] Iffland/Läser (nota 13), p. 419.[23] Per Robert Furter, N 3 ad art. 965-1155 CO, in: Heinrich Honsell/Nadim Peter Vogt/Rolf Watter (a cura di), Wertpapierrecht, Bucheffektengesetz und Haager Wertpapier-Übereinkommen, Art. 965-1186 OR. Art. 108a-108d IPRG, Basilea 2012, non deve essere necessario ad es. che venga apposta la fir-ma autografa sulla cartavalore.

Ne consegue che, quando in questa trattazione si farà riferi-mento alla disciplina applicabile alle azioni si potrà di riflesso considerare il ragionamento valido anche rispetto ai buoni di partecipazione nel limite delle caratteristiche di questo stru-mento e tenendo presente le differenze di cui sopra rispetto alle azioni[16].

Fondamentalmente irrilevante, invece, un’analisi in merito alla possibilità di tokenizzare le azioni al portatore. Le azioni al portatore, infatti, sono state oggetto di recenti interventi normativi mirati a determinarne la soppressione entro il 30 aprile 2021 (salvo che le stesse siano quotate in borsa o rive-stano la forma di titoli contabili)[17].

Da ultimo, occorre precisare che, sebbene i giuristi coinvolti si stiano sempre più orientando verso la stessa direzione inter-pretativa, allo stato non esiste una soluzione univocamente accettata e cristallizzata in una norma di portata federale, sebbene vi siano discussioni in corso e l’argomento sia all’or-dine del giorno di consultazioni di gruppi di lavoro creati ad hoc[18]. Occorrerà, pertanto, procedere in via interpretativa e tramite applicazione analogica di norme di diritto contrat-tuale e societario esistenti.

IV. Le azioni incorporate in tokenA. Dalle cartevalori ai tokenSecondo quanto previsto dall’art. 622 CO, al momento dell’e-missione le azioni posso essere, alternativamente, incorporate in un certificato azionario individuale o cumulativo (carta-valore – papier valeur), non incorporate in un certificato[19] o ancora possono essere emesse come diritti valori ai sensi dell’art. 973c CO (diritti valori – droit valeur)[20].

[16] Ove si volessero incorporare buoni di partecipazione in token e venisse adottato uno smart contract complesso che consentisse anche di esercitare i diritti partecipativi collegati alla partecipazione (ad es. pagamento del divi-dendo) occorrerà programmare il software tenendo conto delle peculiarità del buono di partecipazione (i.e. assenza di diritto di voto).[17] Con provvedimento legislativo adottato il 21 giugno 2019, in vigore dal 1° novembre 2019, a parziale modifica e integrazione del CO in vigore, è stata decretata la soppressione del diritto di emettere e detenere azioni al portato-re. In esecuzione di quanto sopra, entro e non oltre il 30 aprile 2021, tutte le società che detengono azioni al portatore non ammesse dovranno convertirle in azioni nominative. A decorrere dal 1° maggio 2021, indipendentemente da eventuali previsioni statutarie contrarie, le azioni al portatore non ammesse saranno convertite automaticamente e l’Ufficio di registro di commercio com-petente provvederà d’ufficio alle modifiche dell’iscrizione. Cfr. Andrea Gamba/Luca Castiglioni, Le modifiche al CO e al CP con riferimento al tema delle azio-ni al portatore, in: NF 7-8/2019, pp. 361-369.[18] Swiss Legal Tech Association, Data, Blockchain and Smart Contracts – Proposal for a robust and forward looking Swiss ecysystem, Regulaytory Task Force Report, 2018.[19] Il Codice delle obbligazioni non contiene alcuna previsione avente ad oggetto l’obbligo della società di emettere fisicamente le azioni ed incor-porarle in un certificato azionario e la possibilità di emetterli o meno viene generalmente disciplinata dallo statuto. Da precisare che, anche nei casi in cui lo statuto prevede la facoltà della società di non incorporare le azioni in un certificato (papier valuer) è sempre fatto salvo il diritto di ciascun azionista di ottenere un’attestazione che conferma la sua qualità di azionista (Carlo Lom-bardini, N 19-22 ad art. 622 CO, in: Tercier/Amstutz/Trigo Trindade (nota 15).[20] Cfr., infra, cap. IV.B.

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quanto previsto dall’art. 965 CO, i due istituiti fossero inscin-dibilmente collegati e che il trasferimento di uno non potesse prescindere dal trasferimento dell’altro come se fossero un tutt’uno.

C. Il collegamento contrattualeMentre i diritti collegati alle carte valori e al trasferimento delle partecipazioni societarie ivi incorporate beneficiano di una disciplina specifica contenuta nel CO, i diritti valore vengono equiparati, da un punto di vista giuridico, ai titoli di credito (artt. 164 ss. CO) e le norme applicabili agli stessi sono applicabili per analogia.

La circostanza trova conferma nello stesso art. 973c cpv. 4 CO, ai sensi del quale “[i]l trasferimento di diritti valori necessita di una dichiarazione scritta di cessione. La loro costituzione in pegno sottostà alle disposizioni concernenti il diritto di pegno sui crediti”.

Come suggerito dalla dottrina[30], quindi, nel silenzio della legge, la possibilità di collegare azioni emesse come diritti valore ad un token dovrà essere ricercata in via interpretativa all’interno della disciplina di cui ai titoli di credito, conside-rando come creditore del rapporto sinallagmatico l’azionista e come debitore la società.

Ai sensi dell’art. 164 cpv. 1 CO un credito può essere ceduto senza il consenso del debitore salvo diverso accordo delle parti (“il creditore può cedere il suo credito, anche senza il consenso del debitore, se non vi osta la legge, la convenzione, […]”).

L’inciso “salvo diverso accordo delle parti” (cd. pacto de non cedendo) lascia intendere che ciascun debitore ha il diritto di escludere – o limitare al verificarsi di particolari condizioni – la possibilità di cedere il credito nei propri confronti.

La dottrina ha chiarito che il pacto de non cedendo è general-mente opponibile ai terzi salvo che il terzo in buona fede “abbia acquistato il credito sulla fede di un riconoscimento scritto che non menziona la proibizione della cessione […]” (art. 164 cpv. 2 CO)[31].

Il potere discrezionale delle parti in quest’ambito, come ha chiarito la dottrina, è piuttosto esteso. La limitazione della possibilità di effettuare la cessione può essere, ad es., totale o parziale, oppure connessa al verificarsi di determinate circo-stanze (ad es. temporalmente o con riguardo a determinate persone).

Ma allora, come sostenuto da autorevole dottrina, a maiore ad minus: se è possibile escludere o limitare la possibilità di cedere il credito al verificarsi di determinate condizioni, sarà allora possibile individuare come condizione necessaria il fatto che il credito in questione (rectius la partecipazione societaria emessa come diritto valore) venga trasferita unitamente al

[30] Hans Caspar Van Der Crone/Martin Monsch/Luzius Meisser, Aktien-Token, in: GesKR, 2019, p. 5.[31] Thomas Probst, N 34 ad art. 164 CO, in: Luc Thévenoz/Franz Werro (a cura di), Code des obligations I, Commentaire romand, 2a ed., Basilea 2012.

rappresentino un’unica entità giuridica[24].

B. Le azioni emesse come diritti valoreIl CO offre una valida alternativa per i casi in cui i diritti non siano incorporati in un supporto materiale e tangibile nell’art. 973c che regola i titoli non incorporati in un certificato fisico e, conseguentemente, dematerializzati: i diritti valore[25].

I diritti valore hanno la stessa funzione dei diritti incorporati in carta valore ma, a differenza di questi ultimi, non presen-tano alcun collegamento con un oggetto sul quale possono essere esercitati diritti reali[26]. Recita, in particolare, il primo comma dell’art. 973c CO: “[i]l debitore può emettere diritti con la stessa funzione di titoli di credito (diritti valori) o sostituire con diritti valori titoli di credito o certificati globali fungibili […]”.

In ambito di azioni, si ha un diritto valore quando le azioni non sono incorporate in un certificato e i diritti relativi alle azioni vengono cristallizzati tramite la registrazione in uno specifico registro elettronico che ha la funzione di legittimarne l’esi-stenza in maniera uguale all’incorporazione dell’azione in una cartavalore[27]. I diritti valore, infatti, come prevede la stessa norma in commento “sono costituiti con l’iscrizione nel registro e sono effettivi soltanto in conformità di tale iscrizione”. Detto regi-stro, che secondo la dottrina dovrà essere tenuto in formato digitale[28], potrà anche, come espressamente confermato dalla FINMA, essere tenuto su blockchain[29].

Nonostante da una prima lettura sembrerebbe che questo “contenitore giuridico” possa sembrare più adeguato del prece-dente, la soluzione è meno evidente di quanto possa apparire. L’art. 973c CO, infatti, in tendenza totalmente opposta all’art. 965 CO, per natura e definizione, fa sua la dematerializzazione, prescindendo, quindi, del tutto da un qualsiasi collegamento giuridico con uno strumento o un supporto.

Nonostante quindi il fatto che i diritti valore vengano costituiti attraverso l’iscrizione in un apposito registro digitale lasce-rebbe pensare che gli stessi siano compatibili con la tecnologia del registro distribuito e della blockchain in cui, come visto in precedenza, possono essere iscritte informazioni in modo sicuro e immutabile, in ragione del fatto che i diritti valore per loro natura prescindono da un collegamento funzionale con un supporto, malgrado gli stessi possano essere creati sulla blockchain, un collegamento diretto ex lege con i token al pari di quello delle carte valori, non sembrerebbe sussistere per se.Si è, quindi, interrogata la dottrina su come si potessero mettere in contatto le due realtà: la partecipazione societaria emessa come diritto valore e il token, affinché, in analogia a

[24] Iffland/Läser (nota 13), p. 419.[25] Francois Bohnet, N 3 ad art. 965-973c CO, in: Tercier/Amstutz/Trigo Trindade (nota 15).[26] Francois Bohnet/Lino Hänni, N 4 ad art. 973c CO, in: Tercier/Amstutz/Trigo Trindade (nota 15).[27] Bohnet/Hänni (nota 26), N 5 ad art. 973c CO.[28] Bohnet/Hänni (nota 26), N 14 ad art. 973c CO.[29] FINMA, Guide pratique pour les questions d’assujettissement concernant les initial coin offerings (ICO), Edizione del 16 febbraio 2018, p. 4.

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devono avere la forma dei diritti valore ai sensi dell’art. 973c CO, eventuali azioni emesse in forma diversa dovranno, quindi, essere preventivamente convertite.

Ai sensi dell’art. 973c cpv. 1 CO, affinché una società possa emettere azioni sotto forma di diritti valore è necessario che lo statuto della stessa preveda questa facoltà (“[i]l debitore può emettere diritti con la stessa funzione di titoli di credito (diritti valori) o sostituire con diritti valori titoli di credito o certificati globali fungibili affidati a un solo depositario, sempre che le condizioni d’emissione o gli statuti societari lo prevedano o i deponenti abbiano dato il loro consenso”).

Prima di procedere in tal senso, quindi, sarà necessario veri-ficare che gli statuti siano conformi, in caso contrario sarà necessario alternativamente: procedere con una modifica dello statuto sociale, ovvero, ottenere il consenso espresso dei titolari della partecipazione cui fa riferimento, secondo la dottrina, il termine “depositanti”[35].

A ciò si aggiunge il fatto che, come visto, una delle caratte-ristiche principali delle azioni emesse come diritti valore è la “dematerializzazione”. La possibilità di ciascun azionista di chiedere in qualsiasi momento l’emissione da parte della società di un certificato che incorpora la propria parteci-pazione dovrà, conseguentemente, essere espressamente esclusa nello statuto[36].

Questa disposizione è necessaria in quanto l’incorporazione di una partecipazione in un token è un procedimento non solo legislativo, ma anche tecnico, necessario per collegare materialmente tramite smart contract la partecipazione. Abbiamo visto, inoltre, che le operazioni su blockchain sono per loro caratteristica immutabili. Sarebbe, quindi, ottimale che l’eventuale decisione di svincolare le azioni dai token rimanesse nelle piene facoltà del CdA senza che quest’ultimo sia esposto al rischio di doverlo fare per casu sulla base delle richieste di singoli azionisti[37]. Sarebbe, in ogni caso, sempre garantito il diritto dell’azionista di chiedere e ricevere un’atte-stazione in cui la società dichiara il numero di partecipazioni detenute[38].

C. L’adeguamento statutario facoltativo e la pubblicità del collegamentoPiù articolato il discorso in merito all’eventuale obbligo di pubblicità della decisione di incorporare le partecipazioni in token e il conseguente limite contrattuale secondo cui la partecipazione incorporata in token non potrà essere valida-mente trasferita disgiuntamente dal token stesso.

[35] Bohnet/Hänni (nota 26), N 18 ad art. 973c CO.[36] La dottrina ha precisato che, nonostante non vi sia una previsione espres-sa in tal senso, l’eventuale soppressione del diritto di ciascun azionista di chiedere la stampa del certificato azionario deve essere prevista in una clausola statutaria (Lombardini [nota 19], N 22 ad art. 622 CO).[37] Capital Market and Technology Association, Blueprint for the tokenization of shares of Swiss corporations, 2018, p. 6.[38] Lombardini (nota 19), N 22 ad art. 622 CO.

suo contenitore (il token) pena l’invalidità del trasferimento[32]. Il debitore (la società) potrà, quindi, opporre la validità della cessione della partecipazione emessa come diritto valore effettuata disgiuntamente dal token in cui è stata contrattual-mente incorporata.

V. La procedura di incorporazioneL’incorporazione di azioni in token è un procedimento da attuarsi in più fasi e richiede, inter alia, che i documenti costi-tutivi e regolatori della società in questione siano strutturati in maniera tale da non contenere previsioni incompatibili con la tokenizzazione.

A. La competenza decisionaleChiarita la possibilità di incorporare le azioni emesse come diritti valore in token occorrerà ora valutare quale sia l’organo competente a deliberare questo collegamento contrattuale e secondo quali modalità.

Di principio, tutte le decisioni che riguardano i soci e le rispettive partecipazioni sono di competenza dell’Assemblea generale degli azionisti (AG). Si pensi, ad es., alla conversione di azioni da nominative al portatore (art. 622 CO), al raggruppa-mento o alla divisione di azioni in titoli dal maggiore o minore valore nominale (art. 623 CO) alla delibera di incremento del numero di azioni tramite l’aumento di capitale nominale della società (art. 650 CO).

Ai sensi dell’art. 698 CO, cpv. 2, cfr. 6, spettano, inoltre, all’AG le delibere “sulle materia riservate alla competenza della stessa dalla legge o dallo statuto” tra cui rientra “l’approvazione e la modificazione dello statuto” (art. 698 cpv. 2 cifra 1 CO).

Non vi è dubbio, pertanto, che (come verrà meglio approfon-dito, infra, cap. V.B), ogni qualvolta che lo statuto della società che intende incorporare azioni in token presenti dei limiti fun-zionali all’implementazione del procedimento che dovranno essere oggetto di eliminazione o modifica, la competenza per la deliberazione delle modifica apparterà all’AG, che dovrà tenersi davanti a notaio[33].

L’emissione delle azioni, di contro, è di competenza del Consiglio di amministrazione (CdA). Per quanto, infatti, questa competenza non figuri tra quelle inalienabili del CdA elencate all’art. 716a CO, la dottrina, tuttavia, è concorde nel ritenere che questa attribuzione sia di competenza dello stesso[34] pur nell’ambito del perimetro dettato dallo statuto la cui deter-minazione, come visto, compete all’AG. La competenza di deliberare il collegamento contrattuale spetta, quindi, al CdA.

B. L’adeguamento statutario necessarioCome abbiamo visto in precedenza, affinché le azioni possano essere contrattualmente collegate con i token, le medesime

[32] Van Der Crone/Monsch/Meisser (nota 30), p. 5.[33] Ex art. 647 CO “ogni deliberazione dell’assemblea generale o del Consiglio di amministrazione che modifichi lo statuto deve risultare da un atto pubblico ed essere iscritto al registro di commercio”.[34] Lombardini (nota 19), N 19 ad art. 622 CO

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nominale della stessa e dell’eventuale esistenza di limitazioni al trasferimento (nei limiti di quanto previsto dall’art. 685b CO).

Debitamente interrogato, l’Ufficio federale del registro di commercio ha ritenuto ammissibile indicare nello statuto che il CdA ha il diritto di collegare contrattualmente le azioni emesse in forma di diritti valore a token. Secondo il parere dell’autorità federale questa indicazione non viola i limiti posti dal diritto societario[40].

D. L’emissione di nuove azioni o conversione di azioni esi-stentiAi sensi del diritto svizzero ciascuna società emette le proprie azioni al momento della costituzione ovvero successivamente tramite delibere di aumenti di capitale. Una volta emesse, le azioni non sono immutabili, la forma, il valore nominale, cosi come il numero e le caratteristiche delle stesse possono essere modificate durante il corso della vita sociale tramite delibere ad hoc degli organi preposti della società.

L’AG può, ad es., deliberare la conversione di azioni da nomina-tive al portatore (art. 622 CO), raggruppare o dividere azioni in titoli dal maggiore o minore valore nominale (art. 623 CO) e deliberare l’incremento del numero di azioni deliberando l’aumento di capitale nominale della società (art. 650 CO).

Ci si chiede a questo punto se, al fine di raggiungere lo scopo di tokenizzare le azioni, sia preferibile emettere in sede di aumento di capitale azioni nuove da incorporare in token ovvero utilizzare azioni già emesse (o convertite) come diritti valore e, poi, in uno step successivo incorporarle contrattual-mente in un token.

Di per sé entrambe le modalità sono perseguibili restando inteso che le considerazioni svolte in precedenza (requisiti statutari, collegamento contrattuale, ecc.) trovano applica-zione indistintamente per entrambe le modalità. Più semplice a livello procedurale la conversione di azioni già emesse. Una volta allineati i documenti societari in conformità a quanto sopra, infatti, sarà sufficiente una delibera del CdA che disponga l’incorporazione, tramite contratto, di azioni già esistenti emesse sotto forma di diritti valori in token[41].

Da precisare in questo contesto che, pur non essendo obbli-gatorio tokenizzare tutte le azioni, essendo possibile che diversi format di azioni coesistano, sembrerebbe conveniente da un punto di vista pratico che tutte vengano convertite[42].

Differente, anche se egualmente possibile, l’emissione ex novo di azioni a condizione che siano tenute a mente le seguenti precisazioni. Affinché nuove azioni siano emesse occorrerà che sia convocata un’AG che deliberi, davanti a notaio e, quindi, nella forma di atto pubblico, che il capitale della società sia aumentato nella misura desiderata (art. 650 CO).

[40] Consiglio federale, Basi giuridiche per le tecnologie di registro distribuito e blockchain in Svizzera, Rapporto, Berna, 14 dicembre 2018, p. 52.[41] Cfr., supra, cap. V.B e V.C.[42] Capital Market and Technology Association (nota 37).

In assenza di disciplina espressa in materia occorrerà pro-cedere in via di applicazione analogica di principi dettati per regolare situazioni simili. In questo caso, tuttavia, ci si troverà di fronte ad almeno due disposizioni apparentemente con-traddittorie tra loro.

Secondo l’art. 627 cpv. 1 cifra 8 CO, tutte le limitazioni alla trasferibilità delle azioni nominative devono essere indicate in statuto a pena di inefficacia. La disposizione è diretta a pro-teggere la buona fede dei terzi che potrebbero erroneamente fare affidamento sul principio generale di libera trasferibilità delle azioni nominative.

Su questa base si potrebbe argomentare che in considera-zione del fatto che l’incorporazione dell’azione in un token, in qualche modo va a modificare le modalità classiche di tra-sferimento delle azioni, questa debba trovare inevitabilmente spazio nello statuto sociale a pena di inefficacia.

A questa ipotesi, tuttavia, sembrerebbe opporsi il disposto dell’art. 685b cpv. 7 CO che prevede l’incompatibilità con il diritto delle società anonime e, quindi, l’impossibilità di iscri-vere in statuto, le clausole che comportano degli obblighi per l’azionista intenzionato a vendere le proprie azioni che vanno oltre quelli previsti dalla legge[39].

Sulla base di questa previsione, applicata generalmente in modo restrittivo, sembrerebbe, quindi, escludersi la possibi-lità di menzionare il collegamento in statuto e risulterebbe sufficiente che lo statuto sia strutturato, entro i limiti posti dall’attuale diritto, in modo da permettere questa procedura (dematerializzazione del titolo emesso come “diritti valori” ed esclusione della possibilità per l’azionista di richiedere l’emis-sione dell’azione), senza, tuttavia, menzionare espressamente la tokenizzazione, il cui concetto è attualmente estraneo al CO.

Alla data di questo contributo, da quanto risulta agli scriventi, soltanto un numero limitato di società hanno ottenuto l’ap-provazione da parte del registro di commercio all’iscrizione di uno statuto che fa espresso riferimento alla tokenizzazione delle azioni.

L'argomentazione presentata agli organi preposti a deci-dere a supporto della legittimità di includere un riferimento diretto alla tokenizzazione delle azioni in statuto trovava fondamento sul generale diritto di trasparenza e obbligo di informare i terzi in buona fede di caratteristiche intrinseche delle partecipazioni societarie, così come sono informati del fatto che l’azione sia nominativa o al portatore, del valore

[39] Ex multis, Comunicazione dell’Ufficio del registro di commercio all’atten-zione dei notai, 12 maggio 2017, ai sensi del quale il Registro ha ulteriormente chiarito, inter alia, che le iscrizioni di statuti contenti clausole che contengo-no diritti preferenziali in senso stretto a favore degli azionisti possono essere sospesi o rigettati. Nella nota è stata richiamata la pressoché unanime dottrina, inclusi Heinrich Honsell/Nadim Peter Vogt/Rolf Watter, Basler Kom-mentar Obligationenrecht II, 5a ed., Basilea 2016, N 20 ad art. 685b CO; Peter Bockli, Schweizer Aktienrecht, 4a ed., Zurigo 2009, N 697 ad §6, Peter Forst-moser/Arthur Meier-Hayoz/Peter Nobel, Schweizerisches Aktienrecht, Berna 1996, n. 265, p. 144.

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Diritto societario

Abbiamo visto, inoltre, che è parimenti onere della società che ha emesso diritti valori tenere un registro che identifichi i titolari degli stessi. I diritti valore, infatti, “sono costituiti con l’iscrizione nel registro e sono effettivi soltanto in conformità di tale iscrizione”. Detto registro, secondo la dottrina potrà essere tenuto in formato digitale[45] oltre che, come espressamente confermato dalla FINMA, su blockchain[46].

Il registro dei diritti valore deve contenere il numero e il valore nominale dei diritti emessi, così come indicazione dei loro creditori. L’iscrizione nel registro dei titolari di diritti valori ha efficacia costitutiva soltanto al momento della prima iscri-zione, le iscrizioni successive, al pari di quanto avviene per il libro soci, hanno unicamente valore dichiarativo[47].

È stato ritenuto dalla dottrina che ogni qualvolta i diritti valore sono emessi da una società, è possibile che in luogo di due registri distinti, delle azioni e quello dei diritti valori, se ne tenga uno unico a condizione che si precisi la natura del registro[48].

Come visto supra, tuttavia, tanto il libro delle azioni, quanto quello dei titolari di diritti valore, devono indicare delle informazioni di carattere minimo prescritte dalla legge atte a consentire alla società di indentificare in modo puntuale il titolare delle partecipazioni essendo colui che nei confronti della stessa vanta anche delle pretese di credito.

Da un punto di vista prettamente tecnico, di contro, affinché un token sia associato alla blockchain dell’azionista è necessario unicamente che quest’ultimo comunichi l’indirizzo blockchain a cui vincolare il token.

Da qui lo spunto per una considerazione ulteriore. Quali sono le informazioni che il titolare di una partecipazione incorpo-rata in un token deve comunicare alla società e come far sì che lo stesso le comunichi?

La questione è di minore rilievo per i casi in cui gli statuti della società coinvolta contengono l’obbligo di ottenere l’approva-zione della società in caso di trasferimento di partecipazioni. In queste circostanze, infatti, la richiesta di approvazione, per il cui ottenimento è necessario rendere noti i dettagli del potenziale acquirente alla società, può essere ritenuta equi-valente in principio ad una domanda di iscrizione nel registro, dal momento che la mancata richiesta di approvazione costi-tuisce inevitabilmente una rinuncia a essere iscritto nel libro degli azionisti[49].

Differente il caso in cui lo statuto non contiene l’obbligo di ottenere la preventiva approvazione della società. La richiesta di registrazione, infatti, è un atto di parte che deve

[45] Bohnet/Hänni (nota 26), N 14 ad art. 973c CO e dottrina ivi richiamata.[46] FINMA (nota 29), p. 4.[47] Bohnet/Hänni (nota 26), N 12 ad art. 973c CO.[48] Ines Pöschel/Karim Maizar, N 38 ad art. 973c CO, in: Honsell/Vogt/Wat-ter (nota 23).[49] Trigo Trindade (nota 15), N 26 ad art. 686 CO.

L’AG sarà seguita da un CdA, sempre da tenersi davanti a notaio, che andrà a concretizzare l’aumento, emetterà le azioni, e formulerà istanza di iscrizione dello stesso al competente registro di commercio (art. 652g CO). In sede di delibera di concretizzazione dell’aumento di capitale i nuovi azionisti dovranno sottoscrivere le schede di sottoscrizione in cui dovrà essere indicata la promessa di pagamento di quanto dovuto per la liberazione delle azioni. Occorrerà, tuttavia, tenere conto che l’iscrizione dell’aumento di capitale ha efficacia costitutiva. Ne consegue che le azioni potranno essere emesse unicamente una volta che l’aumento sarà stato iscritto (art. 643 CO).

Eventuali azioni emesse prima dell’iscrizione sono nulle in base all’art. 644 cpv. 1 CO e la responsabilità per i danni con-seguenti sarà in capo alla società ex art. 644 cpv. 2 CO.

Sarà, pertanto, di fondamentale importanza che il contratto per l’incorporazione non abbia data antecedente a quello dell’iscrizione a registro di commercio e che, in ogni caso, i token non siano trasferibili prima della suddetta iscrizione.

E. L’identificazione degli azionistiIn ambito di azioni nominative, l’art. 686 CO prevede che ogni società che ha emesso azioni nominative tenga, sotto la responsabilità del CdA, “un libro delle azioni, che indica il nome e l’indirizzo dei proprietari e degli usufruttuari delle azioni nominative” tenendo presente che “[l]’iscrizione nel libro delle azioni ha luogo soltanto ove sia provato l’acquisto in proprietà dell’azione”.

Il libro, pur non essendo pubblico e potendo essere consul-tato unicamente dal CdA, secondo le direttive del Gruppo di azione finanziaria internazionale contro il riciclaggio di denaro (GAFI), deve essere conservato in modo tale che possa essere accessibile in ogni momento da parte delle autorità penali e amministrative della federazione[43]. Scopo del libro delle azioni è, appunto, mettere in relazione ciascuna azione emessa con il rispettivo titolare. Lo stesso deve, quindi, con-tenere obbligatoriamente le informazioni minime richieste dall’articolo menzionato e deve essere aggiornato ogni qual volta intervenga una variazione nella proprietà delle parte-cipazioni o dei dati in ragione del fatto che “nei confronti della società si ritiene azionista soltanto chi è registrato nel libro delle azioni” (art. 686 cpv. 4 CO).

La tenuta del libro è obbligatoria. Il registro deve avere forma scritta, la forma elettronica è in ogni caso ammessa e diffusa e il Consiglio federale ha implicitamente riconosciuto la possi-bilità che sia tenuto su blockchain avendolo ammesso per altri registri simili, incluso il registro di commercio[44].

[43] Trigo Trindade (nota 15), N 1 ad art. 686 CO.[44] Consiglio federale, Legal frameworkfor distributed ledger technology and blockchain in Switzerland, Rapporto, Berna, 7 dicembre 2018, p. 80 in cui si ammette che è giuridicamente possibile tenere registri (anche con implica-zione pubblica come il registro di commercio) facendo ricorso alla tecnologia blockchain (Theoretically, it would be conceivable to maintain such registers with the help of blockchain technology).

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Diritto societario

La registrazione nel libro delle azioni non potrebbe compen-sare in alcun modo alla mancanza di forma scritta in quanto l’iscrizione nel libro delle azioni ha efficacia – come visto supra – unicamente dichiarativa e non sanerebbe il vizio di forma[55].

Poiché, come esaminato, il trasferimento di azioni emesse come diritti valore richiede la presenza di una dichiarazione di cessione avente forma scritta, pena l’invalidità del trasferi-mento, occorrerà valutare se il trasferimento eventualmente effettuato su un registro distribuito tramite tecnologia blockchain e smart contract possa essere considerato come avente forma scritta.

A. Lo smart contract e la forma scritta: problemi e solu-zioniCome visto in precedenza lo smart contract non si riferisce ad un contratto nel senso giuridico del termine, bensì a un pro-gramma informatico che genera azioni sotto forma di codice. Ci si chiede, pertanto, se queste azioni, ove costituiscano una manifestazione di consenso, siano valide ed efficaci ai sensi della legge applicabile ove quest’ultima richieda la presenza di requisiti di forma particolari per la validità dell’accordo[56].

In generale il principio normalmente applicato è quello della libertà delle forme (art. 11 CO). Ne consegue che la validità di un atto giuridico non dipende dalla forma con cui la volontà è stata manifestata e, pertanto, anche la manifestazione tra-mite smart contract su blockchain è considerata valida, efficace e produttiva di effetti giuridici[57].

In deroga al principio generale, tuttavia, la legge permette alle parti si sottoporre la validità di un accordo a una particolare forma (art. 16 CO). Altre volte ancora, è la legge stessa che impone determinati requisiti di forma affinché il contratto sia valido ed efficace, come, ad es., in caso di cessione di titolo di credito per cui è obbligatoria la forma scritta ai sensi dell’art. 165 CO.

La dottrina è pacifica nel ritenere che l’iscrizione di una transazione sulla blockchain non sia sufficiente a considerare rispettati i requisiti della forma scritta a meno che la stessa non contenga una firma elettronica qualificata[58]. La semplice aggiunta di una firma crittografica non è di per sé, quindi, sufficiente[59].

Come precisato dalla stessa FINMA, infatti, affinché una firma elettronica possa essere considerata come un valido sostituto della firma autografa, è necessario che la medesima rispetti

[55] Rigo Trindade (nota 15), N 16 ad art. 686 CO.[56] Christoph Müller, Les «Smart Contracts» en droit des obligations suis-se, p. 84, in: https://www.unine.ch/files/live/sites/christoph.mueller/files/Publications/Les%20smart%20contracts%20en%20droit%20des%20obliga-tions%20suisse.pdf (consultato il 09.05.2020).[57] Müller (nota 56), p. 84.[58] Apposta, quindi, secondo le modalità di cui alla Legge federale sui servizi di certificazione nel campo della firma elettronica e di altre applicazioni di certifi-cati digitali (FiEle; RS 943.03).[59] Müller (nota 56), p. 86.

necessariamente provenire dall’interessato, non è possibile per la società procedere ex officio eccezion fatta per la prima sottoscrizione in caso di aumenti di capitale[50].

Sarà, quindi, fondamentale, che il CdA preveda, conte-stualmente alla decisione con cui delibera il collegamento contrattuale tra partecipazioni e token, un regolamento di organizzazione con cui stabilisce l’obbligo per ciascun azionista di comunicare alla società, unitamente all’indirizzo blockchain a cui associare il token, le informazioni necessarie di cui agli artt. 686 CO e 697c CO affinché possa essere adegua-tamente registrato nei libri sociali della società.

Cosa fare però se l’azionista non adempie? In questo caso si verificherà un disallineamento tra la situazione effettiva (azioni di proprietà del cessionario) e quella risultante del libro delle azioni (azioni risultanti ancora come di proprietà del cedente). L’art. 686 cpv. 4 CO, come accennato, prevede che “ai sensi della società si considera azionista o usufruttuario soltanto chi è iscritto nel libro delle azioni”, ma le conseguenze della man-cata puntuale registrazione non sono dettagliate nell’articolo in esame. Poiché rispetto alla società si considera azionista e, conseguentemente, sarà legittimato ad esercitare i diritti sociali (voto, informazione [art. 696 CO], azione sociale [artt. 706 e 736 cpv. 4 CO]) e patrimoniali (come il diritto al perce-pire il dividendo o l’opzione di sottoscrizione di azioni di nuova emissione), soltanto chi risulta regolarmente iscritto[51], lo sdoppiamento potrebbe generare un problema.

In ragione del fatto che, come visto, la richiesta di registrazione è un atto di parte che deve necessariamente provenire dall’in-teressato, una parte della dottrina ha suggerito di ovviare al problema prevedendo nello statuto societario una previsione che vincoli ogni azionista a dichiarare obbligatoriamente le informazioni necessarie alla propria identificazione[52].

VI. Il trasferimento delle azioni incorporate in tokenSi è visto in precedenza come le azioni tokenizzate debbano essere emesse come diritti valori e che sia possibile collegare i diritti valore ai token contrattualmente in modo che la parte-cipazione ed il token siano collegati inscindibilmente così che non sia possibile trasferire l’uno senza l’altro.

Di regola, il trasferimento delle azioni, emesse come diritti valore, segue le regole della cessione di crediti. Dovranno esserci, quindi, un titolo che ne attesti il trasferimento (ad es. un contratto di vendita) e una dichiarazione di cessione da effettuarsi in forma scritta ai sensi dell’art. 165 cpv. 1 CO a pena di inefficacia[53]. Ne consegue, quindi, che per il trasferi-mento di azioni incorporate in token non sembrerebbe essere sufficiente di per sé il mero trasferimento materiale del token o della chiave privata al medesimo associata affinché avvenga il trasferimento anche del diritto allo stesso collegato[54].

[50] Trigo Trindade (nota 15), N 17 ad art. 686 CO.[51] Trigo Trindade (nota 15), N 10 ad art. 686 CO.[52] Capital Market and Technology Association (nota 37).[53] Bohnet/Hänni (nota 26), N 23 ad art. 973c CO.[54] Van Der Crone/Monsch/Meisser (nota 30), p. 11.

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Diritto societario

incauto, bensì per promuovere la certezza giuridica nell’in-teresse del debitore ceduto e dei creditori del debitore ceduto[65]. Ove, quindi, il debitore ceduto partecipasse all’o-perazione, la certezza giuridica non rischierebbe più di essere pregiudicata. Da qui l’ipotesi di trasferire la partecipazione nella forma, anziché della cessione di credito, della cessione di contratto.

A differenza della cessione di credito, che si limita a trasferire soltanto un credito, la cessione di contratto persegue uno scopo più complesso. L’operazione, infatti, non si limita a trasferire soltanto un credito, bensì l’intero rapporto contrat-tuale, includendovi, quindi, sia attivi che passivi, a favore di un terzo.

Sfortunatamente, il diritto svizzero non prevede norme espressamente dirette a regolare la disciplina del trasferi-mento del contratto, a differenza di quanto avviene in altre giurisdizioni[66]. Ciononostante, la cessione del contratto è generalmente ammessa a condizione che si fondi sull’accordo di tutte le parti coinvolte[67].

Essendo obbligatoriamente richiesta la prestazione del consenso di tutte le parti coinvolte[68], il problema della protezione del debitore ceduto verrebbe superata dalla prestazione del consenso dello stesso e il requisito della forma scritta a garanzia di quest’ultimo diverrebbe superflua essendo il medesimo parte stessa della transazione[69].

A ciò si aggiunge il fatto che il Tribunale federale ha stabilito che, in tema di cessione del contratto, il principio della libertà di forma ex art. 11 CO prevale sul requisito di forma scritta di cui all'art. 165 cpv. 1 CO proprio in ragione del fatto che in quest’ultimo caso il debitore è estromesso dall’operazione, mentre nel primo è parte attiva dell’operazione[70].

Questa impostazione trova implicita conferma nel tenore letterale dell’art. 164 cpv. 1 CO dettato in tema di cessione di crediti che, infatti, specifica come il procedimento di cui allo stesso si riferisca alla cessione di un credito “senza il consenso del debitore”. La cessione di credito effettuata in conformità a questa previsione, infatti, ha natura di atto di disposizione bilaterale e trova il proprio fondamento nella manifestazione di volontà unicamente del cedente e del cessionario[71]. Da cui deriva il requisito di forma di cui all’art. 165 cpv. 1 CO. L’impostazione di cui sopra, tuttavia, non impone necessaria-mente alle parti che la transazione sia strutturata in modo

[65] Ex multis sentenza TF n. 4A_423/2009 del 4 febbraio 2010 consid. 6.3.1; DTF 122 III 361 consid. 4c.[66] In Italia, ad es., l’art. 1406 del codice civile, prevede che “[c]iascuna parte può sostituire a sé un terzo (1) nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corri-spettive, se queste non sono state ancora eseguite (2), purché l’altra parte vi consenta”.[67] DTF 125 III 226; DTF 105 III 11 consid. 4; Probst (nota 31), N 10 ad art. 165 CO.[68] Martin Weber/Philipp Chian, M&A Transactions of banks – From Sprint to Hurdle race, 2014, p. 2.[69] Van Der Crone/Monsch/Meisser (nota 30), p. 11.[70] Sentenza TF n. 5C.51/2004 del 28 maggio 2004 consid. 3.1.[71] DTF 84 II 355 consid 1.

dei precisi requisiti di forma. La sottoscrizione elettronica è un procedimento tecnico che permette di garantire l’autenticità di un documento, di un messaggio o di altri dati elettronici. Si basa su un’infrastruttura di certificazione gestita da presta-tori di servizi di certificazione. In Svizzera sono equiparate alle firme autografe esclusivamente firme elettroniche qualificate collegate a una marca temporale qualificata[60].

È fatto notorio, tuttavia, che allo stato attuale il processo di applicazione di una firma elettronica qualificata è raramente conosciuto e/o utilizzato a causa delle difficoltà pratiche col-legate all’ottenimento.

Sembrerebbe, quindi, in conclusione, escludersi la possibilità di utilizzare la tecnologia blockchain per effettuare validamente ed efficacemente un trasferimento di partecipazione come cessione di credito[61].

Malgrado quanto sopra, tuttavia, nulla vieta alle parti di completare la transazione rilevante nel rispetto dei requisiti di forma (in questo caso contratto scritto) al di fuori della blockchain prevendendo nel contratto l’impegno di iscrivere la transazione successivamente nella blockchain, di regola iscri-vendo solo l’hash del contratto, creando il cd. “digital twin”[62]. Una possibilità alternativa potrebbe essere rappresentata dalla cessione di contratto ("Vertragsübernahme") da utilizzare in sostituzione della cessione di credito[63].

B. Il trasferimento tramite la cessione di contrattoIl requisito di forma imposto dall’art. 165 cpv. 1 CO per la vali-dità della cessione dei crediti ("ab substantiam") deriva dal fatto che, non essendo gli stessi incorporati in un bene materiale, la legge non riconosce una presunzione di possesso in capo al promittente venditore (ex art. 930 Codice civile [CC; RS 210], il possessore di un bene è il proprietario presunto)[64]. Nell’ottica della certezza giuridica, quindi, non c’è da stupirsi come il legislatore abbia deciso di imporre il requisito di forma scritta per la validità del trasferimento.

La dottrina ha chiarito che questo requisito di forma non è stato imposto per garantire il cessionario da un acquisto

[60] FINMA, Domande frequenti sulla Piattaforma di trasmissione del dicem-bre 2019, p. 4.[61] Segnaliamo tuttavia che il mercato sta lavorando allo stato allo sviluppo di piattaforme in grado di garantire la validità di questo procedimento.[62] Un “digital twin”, o duplicato digitale, è la rappresentazione virtua-le di un oggetto che nella realtà ha la forma fisica (Tim Weingärtner, Tokenization of physical assets and the impact of IoT and AI, p. 1, in: https://www.eublockchainforum.eu/sites/default/files/research-paper/convergen-ce_of_blockchain_ai_and_iot_academic_2.pdf [consultato il 09.05.2020]).[63] Questa posizione, tuttavia, è stata parzialmente criticata in un recente articolo di dottrina pubblicato da Bruno Pasquier/Jean-Marie Ayer, Les ICO «industrielles» Obstacles au transfert d’actions sur la blockchain et alternatives, in: AJP/PJA 4/2019. Gli autori hanno precisato che, in considerazione del fatto che nel caso in esame i token incorporano anche diritti sociali tipici dell’azioni-sta, la procedura di trasferimento, almeno fintanto che una modifica legislativa ad hoc sarà adottata, non può prescindere dal rispettare i requisiti minimi detta-ti dal CO in tema di trasferimento delle partecipazioni (i.e. in caso di azioni non incorporate in un certificato azionario l’atto scritto di cessione).[64] Probst (nota 31), N 1 ad art. 165 CO.

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VII. Il pegno e altri diritti di garanzia sulle azioni tokeniz-zateLa disciplina del pegno in diritto svizzero, prevede che il bene oggetto del pegno venga consegnato al creditore pena l’invalidità della costituzione. Lo spossessamento è, infatti, requisito costitutivo della dazione in pegno in tutti casi in cui esiste materialmente una res trasferibile. Mentre, per il titolo azionario incorporato in una carta valori, il problema è minore (sussistendo un supporto materia da consegnare), la circostanza è più complessa in caso di azioni non incorporate in un certificato o emesse come diritti valori.

La dottrina ha precisato che anche in questo caso la nor-mativa di riferimento è quella applicabile ai titoli di credito e, quindi, l’art. 900 CC[73]. Prevede la norma, in particolare che la costituzione di pegno di partecipazioni societarie non incorporate in certificati dovrà essere fatta attraverso contratto avente forma scritta a pena di invalidità[74]. Non si tratta, quindi, di una forma scritta unicamente ab probationem, bensì ab substantiam.

Come discusso in precedenza, tuttavia, la forma scritta è de facto inconciliabile con la gestione delle operazioni tramite blockchain. Allo stato attuale, quindi, non sembrerebbe possibile costituire un contratto di pegno su partecipazioni societarie in modo valido ed efficace direttamente sulla blockchain.

VIII. Lo status legislativo in Svizzera e i possibili sviluppiCome accennato, le autorità si stanno sempre di più attivando al fine di verificare lo status quo dell’evoluzione tecnologica, i possibili benefici per la collettività e le modalità con cui even-tualmente ratificare in diritto la prassi che si sta affermando.

Secondo il Consiglio federale, lo sviluppo rapidissimo, e tuttora in corso, di una tecnologia specifica, non giustifica un adegua-mento profondo del quadro normativo né l’introduzione di un’esaustiva legge ad hoc. Il quadro normativo svizzero attuale è stato ritenuto sufficientemente flessibile pur sussistendo singoli ambiti normativi per i quali sembrerebbe necessario un adeguamento mirato per aumentare la certezza del diritto e superare gli ostacoli posti alle applicazioni basate su tecnolo-gie blockchain.

In quest’ottica, il Consiglio federale ha avviato consultazioni dirette a perfezionare le condizioni quadro per le imprese attive nel settore delle tecnologie di registro distribuito e blockchain e ha emanato un avamprogetto progetto di legge con stato al 22 marzo 2019 unitamente a un primo rapporto esplicativo[75].

[73] Bohnet/Hänni (nota 26), N 26 s. ad art. 973c CO.[74] Nicolas De Gottrau/Benedict Foex, in: N 31 ad art. 900 CC, in: Pascal Pichonnaz/Bénédict Foëx/Den Piotet, (a cura di), Code Civil II, Commentaire romand, Basilea 2016.[75] DFF, Rapporto esplicativo per la procedura di consultazione sulla Legge federale sull’adeguamento del diritto federale agli sviluppi della tecnologia di registro distribuito, Berna, 22 marzo 2019, in: https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/56204.pdf (consultato il 09.05.2020).

bilaterale. L’operazione potrà, quindi, seguire la forma ordi-naria con la partecipazione del debitore in applicazione delle disposizioni ordinarie del diritto contrattuale.

Chiarito quanto sopra occorrerà quindi, da un punto di vista pratico, valutare come strutturare la cessione di partecipa-zioni societarie incorporate in token con il coinvolgimento del debitore.

In ambito di diritto societario la società rappresenta il debi-tore nel rapporto sinallagmatico con ciascun azionista che, di contro, verso la stessa, vanta una posizione creditoria. In caso di cessione, conseguentemente, il promissario venditore rap-presenta il cedente, il promissario acquirente il cessionario e il debitore della prestazione sarà la società. Si tratterà, quindi, di capire come la stessa possa essere coinvolta nella cessione delle partecipazioni societarie in modo da superare il requisito della forma scritta ab substantiam.

Due le possibili interpretazioni sul punto: in primis, ai sensi dell’art. 685a cpv. 1 CO “lo statuto può stabilire che il trasferi-mento delle azioni nominative richieda l’approvazione della società”. Ove, lo statuto della società, quindi, contenesse l’obbligo di notifica di ogni trasferimento, il consenso del debitore sarebbe da ritenersi prestato ogni qualvolta il trasferimento risulti approvato. Questa possibilità, da un certo punto di vista più garantista in quanto il consenso della società sarebbe da esprimere formalmente, incontra tuttavia difficoltà dal punto di vista pratico in quanto, nel tempo necessario per la società per prestare la propria approvazione (o per il trascorrere del tempo a seguito del quale il silenzio varrà come assenso) potrebbero succedersi vari proprietari, con la conseguenza che inevitabilmente eventuali azionisti non farebbero in tempo ad essere approvati prima di ritrasferire la parteci-pazione, generando così eventuale incertezza sull’effettiva composizione societaria. Ci si chiede, quindi, se sia possibile ipotizzare una forma di consenso a priori o implicito.

Abbiamo visto supra che il registro blockchain sui cui vengono registrati i token viene gestito dalla società, essendo nella responsabilità del CdA quella di aggiornare periodicamente il libro soci. In quest’ottica, quindi, il coinvolgimento della società sarebbe di per sé già garantito dalla struttura del registro distribuito e il consenso potrebbe ritenersi prestato a priori, implicitamente, nel momento in cui la blockchain viene programmata in modo da consentire il trasferimento digitale delle partecipazioni incorporate in token[72].

Sulla base di quanto sopra, quindi, sembrerebbe potersi concludere nel senso di ammettere la possibilità di trasferire partecipazioni societarie incorporate in token unicamente attraverso la registrazione dell’operazione su blockchain.

[72] Van Der Crone/Monsch/Meisser (nota 30), p. 12.

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capoverso che “[i]l debitore di un diritto valore registrato è autorizzato e tenuto ad adempiere la prestazione unicamente nei confronti del creditore legittimato dal registro dei diritti valori nonché dietro pertinente adeguamento del registro […]” pre-cisando che “[i]l debitore, qualora non gli sia imputabile dolo o negligenza grave, si libera soddisfacendo alla scadenza il creditore legittimato dal registro di diritti valori, anche se il creditore legit-timato non è quello effettivo […]”;

◆ di introdurre un nuovo art. 973g CO che prevederebbe che “[u]na garanzia può essere costituita senza trasferimento del diritto valore registrato se: (1) la garanzia è visibile nel registro dei diritti valore; e (2) è assicurato che il beneficiario della garan-zia non altrimenti soddisfatto usufruisca del diritto esclusivo di disporre del diritto valore […]”.

In sintesi, quindi, verrebbe formalizzata la possibilità di regi-strazione elettronica di diritti che garantiscano le funzioni dei titoli di credito[80]. Accertato che il registro distribuito rispetti determinate condizioni, lo stesso svolgerebbe le funzioni tra-dizionalmente espletate dai titoli di credito[81].

L’effettiva implementazione di queste modifiche legislative, se pur ancora allo stadio iniziale, risolverebbe la maggior parte delle difficoltà evidenziate sino ad ora dalla dottrina e riportate in questo articolo, ragion per cui un’adozione veloce è decisamente auspicata[82].

In questo modo, infatti, si rafforzerebbe la certezza giuridica collegata all’emissione e gestione di valori patrimoniali basati sulla tecnologia del registro distribuito ("distributed ledger technology").

IX. ConclusioniAbbiamo qui esaminato la possibilità per una società anonima svizzera di emettere azioni incorporate in token, attraverso la forma del collegamento contrattuale, e appurato la possibilità di trasferire le azioni tokenizzate attraverso una semplice regi-strazione della transazione nel registro distribuito.

Abbiamo, inoltre, discusso di come il Consiglio federale guardi con favore lo sviluppo di questa tecnologia e le possibilità che la medesima offre nell’ambito del diritto societario al punto che sono in corso progetti legislativi concreti, che potrebbero essere finalizzati entro la fine dell’anno in corso, per la cristal-lizzazione delle posizioni dottrinarie fin qui discusse.

Ciò chiarito, tuttavia, non ci si può esimere dal riflettere su quali siano, nella pratica del diritto societario, i profili applica-tivi del procedimento qui descritto.

[80] Per completezza segnaliamo che la modifica del diritto in materia di titoli di credito disciplina soltanto il trasferimento negoziale di diritti valori. Non con-templa invece le modalità di acquisizione di un diritto mediante un altro titolo giuridico (ad es. successione a titolo universale).[81] Per tutte, DFF (nota 75), p. 12 ss.[82] Per completezza, viene segnalato come, nello scontento di parte della dottrina e dei professionisti del settore, la nuova legge si riferisca unicamente ai security token, mancando ogni riferimento a payment token e utility token che rimangono, quindi, allo stato, privi di regolamentazione formale.

La consultazione è giunta al termine a fine giugno 2019[76]. Il rapporto sui risultati della consultazione è stato distribuito dal DFF il 27 novembre 2019[77]. Contestualmente al rapporto, il Consiglio federale ha emanato un progetto di legge con medesima data, pubblicato unitamente ad un messaggio esplicativo[78]. Salvo ulteriori modifiche rispetto alla propo-sta di legge attualmente in discussione, la nuova normativa, che si basa sostanzialmente sulle riflessioni dottrinarie supra analizzate, andrà a cristallizzare in articoli di codice le consi-derazioni qui sviluppate in “via interpretativa”.

Il punto fondamentale della nuova normativa sarà la possi-bilità di registrare diritti valori sulla blockchain attraverso un accordo contrattuale. La responsabilità civile per l’infor-mazione corretta sulle modalità operative e l’integrità del registro ricadrà sul debitore (i.e. la società) che sarà tenuta ad informare tutti gli acquirenti (anche quelli potenziali) sulle modalità operative del registro e sulle misure per proteggerne l’operatività e l’integrità, evidenziando ovviamente anche i rischi tecnici connessi alla registrazione.

La base statutaria sarà prevista dalla stessa legge e, pertanto, iscritta senza contestazioni dal registro di commercio, ma le parti interessate dovranno comunque prestare il proprio consenso alla registrazione su blockchain. Sarà pertanto necessario predisporre una sorta di contratto di emissione.

La validità del trasferimento tramite blockchain per i diritti valore incorporati in un token verrà ufficializzata. Le modalità precise del trasferimento dipenderanno però dal registro e dal meccanismo di consenso scelto. Sarà, pertanto, fondamentale che l’accordo di registrazione chiarisca questo punto.

Il progetto di legge, così come modificato a seguito della conclusione delle consultazioni, proporrebbe in particolare di adeguare il CO prevedendo inter alia[79]:

◆ di introdurre un nuovo art. 973d CO il cui primo capoverso prevederebbe che “[i] diritti valori hanno carattere di titolo di credito se in virtù di un accordo tra le parti: (1) sono iscritti in un registro basato sulla tecnologia di registro distribuito (TRD); e (2) possono essere fatti valere e trasferiti a terzi soltanto attraverso detto registro […]”;

◆ di introdurre sempre nel nuovo art. 973d CO al secondo

[76] DFF, Il Consiglio federale avvia la consultazione concernente il migliora-mento delle condizioni quadro per le tecnologie blockchain e TRD, Comunicato stampa, Berna, 22 marzo 2019, in: https://www.efd.admin.ch/efd/it/home/dokumentation/nsb-news_list.msg-id-74420.html (consultato il 09.05.2020).[77] DFF, Procedura di consultazione concernente la legge federale sull’a-deguamento del diritto federale agli sviluppi della tecnologia di registro distribuito, Berna, 27 novembre 2019 in: https://www.newsd.admin.ch/new-sd/message/attachments/59309.pdf (consultato il 09.05.2020).[78] Messaggio del Consiglio federale concernente la legge federale sull’a-deguamento del diritto federale agli sviluppi della tecnologia di registro distribuito, n. 19.074, del 27 novembre 2019, in: FF 2020 221, https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2020/221.pdf (consultato il 09.05.2020).[79] Disegno di Legge federale sull’adeguamento del diritto federale agli svi-luppi della tecnologia del registro distribuito, stato al 27 novembre 2019, in: FF 2020 315, https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2020/315.pdf (con-sultato il 09.05.2020).

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298 maggio 2020

Diritto societario

I limiti tecnici inevitabilmente collegati alla tecnologia del registro distribuito, infatti, sembrerebbero allo stato limitarne l’applicabilità alle transazioni strutturalmente più semplici (per quanto destinate ad un ampio raggio di destinatari) restando, invece, apparentemente preclusa per le operazioni di Mergers & Acquisitions (M&A) più complesse in cui i desiderata delle parti coinvolte difficilmente possono essere riassunti in una transazione registrata sulla blockchain.

Si pensi, ad es., alle complesse operazioni di investimento in società, i cui contratti generalmente si dispiegano per pagine e pagine con lo scopo di regolare i diritti e i privilegi riservati all’investitore o le compravendite di pacchetti azionari di società strutturate in cui altrettante clausole vengono utiliz-zate per prestare garanzie ulteriori rispetto a quelle garantite dalla legge di riferimento.

Queste transazioni, per loro natura, allo stato si presentano ancora troppo complesse per permettere alle parti interes-sate di tradurle in una formula digitale secondo il principio del “if this … then that”.

Se il percorso intrapreso dal Legislatore, adeguatamente supportato dall’evoluzione tecnologica, continuasse in questa direzione, tuttavia, non sembrerebbe potersi escludere che in futuro non troppo lontano la possibilità di utilizzo della tec-nologia del registro distribuito possa espandersi e coinvolgere man mano operazioni sempre più complesse.

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299 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

Samuele VorpeResponsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI

La questione a sapere se uno Stato violi il principio della buona fede nell’ipotesi prevista dall’art. 7 lett. c LAAF va decisa in funzione delle circostanze del singolo caso

L’ assistenza amministrativa in caso di dati rubati

Sentenza TF n. 2C_648/2017 del 17 luglio 2018, A., B., C. Ltd. e D Ltd. contro AFC; Assistenza amministrativa in materia fiscale, dati rubati, principio della buona fede (art. 7 lett. c LAAF).Si può fondamentalmente entrare nel merito di una domanda di assistenza amministrativa, che si basa su dei dati d’origine delittuosa, se lo Stato richiedente non li ha acquistati con lo scopo di utilizzarli successivamente per una simile domanda. La questione a sapere se uno Stato violi il principio della buona fede (art. 7 lett. c LAAF) va decisa in funzione delle circostanze del singolo caso. La CDI fra la Svizzera e l’India non contiene un impegno secondo il quale lo Stato richiedente debba fornire un’assicurazione di non presentare una domanda basata su delle informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. Nelle relazioni internazionali la buona fede di uno Stato è presunta. Per rapporto all’assistenza ammini-strativa in materia fiscale, ciò significa che non vi è motivo di dubitare, in linea di principio, della correttezza della descri-zione dei fatti come pure delle dichiarazioni di altri Stati. In tale contesto, non è determinante che l’autorità richiedente abbia effettivamente rifiutato una risposta di merito, rispetti-vamente che non abbia risposto in modo conforme alla verità, ciò che l’istanza inferiore ha totalmente perso di vista.(traduzione a cura di Fernando Ghiringhelli)

I. I fattiA. La richiesta del MIF indiano all’AFC per ottenere le infor-mazioni bancarie concernenti i suoi residentiIl 27 marzo 2015, il Ministero indiano delle finanze (MIF) ha indirizzato all’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) una domanda di assistenza amministrativa concernente A. e B. basata sulla Convenzione del 2 novembre 1994 tra la Confederazione Svizzera e la Repubblica dell’India per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito (CDI CH-IN; RS 0.672.942.31). Nella sua richiesta di informazioni, il MIF indica che, sulla base delle indagini effettuate dalle autorità fiscali indiane, e secondo informazioni ottenute dalle Isole Vergini britanniche (IVB) in base all’Accordo sullo scambio di informa-zioni fiscali fra l’India e le IVB, le due persone, A. e B., fiscalmente imponibili in India, non avrebbero dichiarato determinati averi detenuti al di fuori dell’India come, invece, avrebbero dovuto fare conformemente al diritto indiano relativo all’imposizione del reddito. In dettaglio, il MIF indica quanto segue: B. sarebbe il settlor dell’E-Trust domiciliato alle IVB. Secondo l’atto costitutivo del trust ottenuto dalle autorità delle IVB, B. ed i suoi parenti, in particolare A., sarebbero i beneficiari del trust. L’E-Trust sarebbe il beneficiario economico delle società D. Ltd., C. Ltd., F. Ltd. e G. Ltd., tutte domiciliate alle IVB.

Il 20 luglio 2015, queste quattro società avrebbero preso la decisione di aprire dei conti bancari presso la banca H. La decisione autorizzava due persone a firmare con la direttrice

I. I fatti ...................................................................................299A. La richiesta del MIF indiano all’AFC per ottenere le informazioni bancarie concernenti i suoi residenti ........ 299B. L’AFC accorda assistenza amministrativa al MIF indiano .................................................................................................. 300C. Contro la decisione dell’AFC viene inoltrato un ricorso al TAF che lo respinge ..................................................................... 300II. Il ricorso al Tribunale federale ......................................300A. Contro la decisione del TAF viene inoltrato ricorso al Tribunale federale ........................................................................ 300B. I ricorrenti sostengono che la domanda indiana si fonda su informazioni ottenute illecitamente (caso Falciani)..... 300C. Il TAF ritiene che non si sia violato il principio

presunto della buona fede ............................................................ 300D. Le precisazioni dell’Alta Corte sul principio della buona fede ................................................................................ 301E. Il principio della buona fede quando si ricevono dati rubati ..................................................................................................... 301F. Lo Stato richiedente è tenuto a fornire delle garanzie allo Stato richiesto? .......................................................................... 302G. Le condizioni che giustificano lo scambio di informazioni dei dati rubati ..................................................... 302H. La decisione del Tribunale federale ...................................... 303

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300 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

B. I ricorrenti sostengono che la domanda indiana si fonda su informazioni ottenute illecitamente (caso Falciani)L’autorità inferiore ha lasciato aperta la questione a sapere se le informazioni menzionate dal MIF in relazione alla pre-sente domanda di assistenza amministrativa, ottenute dalla Francia, siano effettivamente quelle notoriamente rubate da Falciani alla banca H. ad U.[1]. Anche se ciò fosse stato il caso e la domanda presentasse un nesso di causalità con le infor-mazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero, mancherebbe, per pronunciare una non entrata nel merito della domanda ai sensi dell’art. 7 lett. c della Legge federale sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (LAAF; RS 651.1), una violazione sufficiente, da parte dello Stato richiedente, del principio della buona fede vigente nell’ambito del diritto pubblico internazionale.

Oltre ad un’applicazione impropria dell’art. 7 lett. c LAAF, i ricorrenti lamentano, un accertamento arbitrario dei fatti sotto diversi aspetti. A loro dire, sarebbe, infatti, a torto che l’istanza inferiore non ha adeguatamente considerato il fatto che l’insieme delle informazioni che stanno alla base della richiesta delle autorità indiane scaturirebbe da reati punibili. Essa avrebbe, inoltre, a torto, mancato di considerare la circostanza che le autorità indiane, malgrado una domanda dell’AFC, non avrebbero fornito sufficienti informazioni sulla provenienza dei dati che hanno condotto alla domanda di assistenza amministrativa. In relazione a tali elementi, i ricorrenti non sarebbero stati sentiti su numerosi argomenti ed il loro corrispondente diritto è sarebbe quindi stato violato (art. 29 cpv. 2 della Costituzione federale [Cost.; RS 101]). L’autorità inferiore avrebbe pure mescolato la cronologia degli avvenimenti.

Perlomeno per quanto concerne la provenienza delittuosa dei dati, la valutazione giuridica effettuata dell’istanza inferiore considera ugualmente lo stato dei fatti, così come addotto dai ricorrenti, vale a dire che essa si applica pure nel caso in cui la domanda dovesse effettivamente basarsi su dati ottenuti illegalmente.

C. Il TAF ritiene che non si sia violato il principio presunto della buona fedeL’istanza inferiore ha motivato la propria conclusione come segue: vi è certamente una parte della dottrina che sostiene l’opinione secondo la quale l’uso di dati rubati da parte di uno Stato richiedente contravviene di per sé al principio della buona fede. Malgrado ciò, e tenuto conto della più recente giurisprudenza del Tribunale federale, tale opinione non può però essere seguita. Il fatto che lo Stato che chiede l’assistenza amministrativa abbia acquisito i dati rubati direttamente da chi li ha sottratti ed inoltrato la propria domanda basandosi su di essi, non significa ancora, di per sé, che detto Stato violerebbe il principio della buona fede. In considerazione di questo apprezzamento del Tribunale federale, tanto più in un caso come quello a giudizio, la semplice acquisizione e l’uti-lizzazione di dati rubati in vista di presentare una domanda

[1] DTF 143 II 224 consid. 5.1.

comune alle quattro società, vale a dire I. Inc., nonché a gestire i conti in nome delle quattro società. Secondo il MIF, sussiste il fondato sospetto che A. e B., tenuto conto delle loro relazioni con le suddette società, non abbiano dichiarato elementi di reddito imponibili in India. Con la sua domanda, il MIF sollecita numerose informazioni relative ai conti detenuti presso la banca H. da parte delle suddette quattro società per il periodo dal 1° aprile 1998 al 31 marzo 2015.

B. L’AFC accorda assistenza amministrativa al MIF indianoNel corso della procedura, l’AFC ha invitato la banca H. a for-nire diverse informazioni per il periodo dal 1. aprile 2011 al 31 marzo 2014. La banca H. ha ossequiato tale richiesta. Dopo che l’AFC aveva loro indicato quali informazioni intendeva trasmettere al MIF, A., B. e le società D. Ltd. e C. Ltd. hanno sostenuto, nell’ambito dell’ulteriore corrispondenza scam-biata con l’AFC, che l’assistenza amministrativa non poteva essere concessa dato che la domanda del 27 marzo 2015 si fondava su delle informazioni rubate presso la banca H.

Il 3 gennaio 2017, l’AFC ha emanato una decisione finale nei confronti di A., B. e delle società D. Ltd. e C. Ltd. Essa ha rite-nuto che l’assistenza amministrativa al MIF andasse concessa nei confronti di A. e di B. per il periodo dal 1° aprile 2011 al 31 marzo 2014. L’AFC elencava, quindi, le informazioni ed i documenti che dovevano essere trasmessi. Essa evidenziava, inoltre, che avrebbe reso attento il MIF sul fatto che le infor-mazioni ottenute dovevano rimanere confidenziali e potevano essere comunicate unicamente a persone o autorità coinvolte nella determinazione, nella riscossione o nell’amministrazione, nelle procedure o in azioni penali o nelle decisioni su ricorso relativi alle imposte menzionate all’art. 26 CDI CH-IN, e che questi avrebbero potuto utilizzare le informazioni trasmesse unicamente a tali fini.

C. Contro la decisione dell’AFC viene inoltrato un ricorso al TAF che lo respingeIl 2 febbraio 2017 A., B., D. Ltd. e C. Ltd. hanno inoltrato ricorso contro la decisione dell’AFC al Tribunale amministra-tivo federale (TAF). Con decisione incidentale del 23 marzo 2017, il TAF ha invitato l’AFC a produrre i documenti relativi ad una discussione avvenuta con le autorità indiane in data 19 agosto 2016. L’AFC ha dato seguito a questo invito con scritto del 6 aprile 2017. Con decisione incidentale del 25 aprile 2017, il TAF ha accordato ad A., B., D. Ltd. e C. Ltd, da un canto, un accesso limitato all’annesso 1 dello scritto dell’AFC e, dall’al-tro, un accesso completo al relativo annesso 4. Con decisione finale del 5 luglio 2017, il TAF ha respinto il ricorso.

II. Il ricorso al Tribunale federaleA. Contro la decisione del TAF viene inoltrato ricorso al Tribunale federaleIn data 17 luglio 2017, A., B., D. Ltd. e C. Ltd hanno inoltrato un ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale. I ricorrenti hanno chiesto che la decisione impugnata e la decisione finale dell’AFC del 3 gennaio 2017 fossero annul-late e che non si fosse entrato nel merito della domanda di assistenza amministrativa indiana, rispettivamente che l’assi-stenza amministrativa richiesta dovesse essere rifiutata.

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301 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

D’altro canto, contrariamente all’avviso di numerosi autori, la sola utilizzazione di dati ottenuti illegalmente da parte dello Stato richiedente non costituisce un comportamento contra-rio alla buona fede[6]. Non vi è spazio per simili valutazioni di carattere generale, dovendo, invece, riferirsi all’insieme delle circostanze concrete del caso per analizzare un’eventuale violazione del principio della buona fede, a meno che lo Stato richiedente medesimo abbia acquistato i dati ottenuti illegal-mente. Ciò non può tuttavia essere presunto, dal momento che nella sentenza penale resa nel caso Hervé Falciani la vendita alla Francia dei dati rubati non è stata dimostrata[7]. Non è pertanto fondamentalmente criticabile che le consi-derazioni dell’istanza inferiore si focalizzino sulla questione a sapere se, nel presente caso (specifico), il comportamento dell’India sia compatibile con il principio della buona fede.

Nella sentenza del 17 marzo 2017[8], la domanda di assi-stenza amministrativa non si basava unicamente su dei dati ottenuti illegalmente; la Francia aveva pure fornito alla Svizzera l’assicurazione esplicita di non voler utilizzare i dati rubati da Falciani. Per tale motivo, l’ulteriore fatto di basare la domanda di assistenza amministrativa sui dati litigiosi costituiva, in quello specifico frangente, un comportamento contrario alla buona fede da parte della Francia. Lo stesso var-rebbe nel caso in cui lo Stato richiedente si fosse impegnato a non utilizzare i dati rubati ottenuti in modo passivo e non rispettasse tale impegno. Dalla sentenza citata non sarebbe per contro lecito desumere che un comportamento contrario alla buona fede possa esistere unicamente in caso di mancato rispetto di assicurazioni fornite precedentemente. Il principio della buona fede sarebbe svuotato del suo significato se fosse dapprima necessario stipulare un accordo esplicito di non voler adottare un determinato comportamento affinché, in seguito, tale comportamento possa essere considerato come contrario alla buona fede. Di conseguenza, perlomeno l’acqui-sto di dati ottenuti illegalmente e una domanda di assistenza amministrativa basata su di essi costituiscono ugualmente una violazione del principio della buona fede anche quando lo Stato richiedente non ha preventivamente ed espressamente assicurato di rinunciare ad un tale comportamento.

E. Il principio della buona fede quando si ricevono dati rubatiCi si può chiedere se una violazione del principio della buona fede debba essere di per sé ammessa quando i dati otte-nuti illegalmente sono trasmessi ad altri Stati nel quadro dell’assistenza amministrativa spontanea e poi si inoltra una domanda di assistenza amministrativa. Tale questione è dibattuta in dottrina[9]. Nella misura in cui non è stato

[6] Cfr. Andrea Opel, Wider die Amtshilfe bei Datenklau: Gestohlene Daten sind gestohlene Daten, in: Jusletter del 23 novembre 2015, nm. 44; Robert Weyeneth, Der nationale und internationale ordre public im Rahmen der grenzüberschreitenden Amtshilfe in Steuersachen, p. 208 s.; Daniel Holenstein, in: Martin Zweifel/Michael Beusch/René Matteotti (a cura di), Kommentar zum schweizerischen Steuerrecht, Internationales Steuerrecht, Basilea 2015, N 304 ad art. 26 M-OCSE.[7] Sentenza definitiva del Tribunale penale federale del 27 novembre 2016, TPF 2016 28.[8] DTF 143 II 224.[9] Holenstein (nota 6), N 304 ad art. 26 M-OCSE; Opel (nota 6), nm. 45.

non costituisce una violazione del principio della buona fede idoneo ad escludere l’assistenza amministrativa. È d’altronde incontestato che lo Stato richiedente non ha acquisito le informazioni (eventualmente) in un rapporto di causalità con la domanda – si tratterebbe dei dati rubati da Hervé Falciani mediante reati punibili secondo il diritto svizzero – diretta-mente dal “ladro dei dati”, bensì legalmente o attraverso lo strumento dell'assistenza amministrativa con un Paese terzo (la Francia).

Secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, anche uno Stato che ha acquisito dati rubati direttamente dal “ladro” potrebbe, in linea di principio (vale a dire sotto riserva di una violazione del principio della buona fede) utilizzarli “atti-vamente” per una domanda indirizzata alla Svizzera. Ecco perché, nel caso specifico, dove la domanda si basa su delle informazioni provenienti da reati punibili secondo il diritto svizzero che sono state però trasmesse allo Stato richiedente da parte di uno Stato terzo (la Francia, apapunto) per mezzo dell’assistenza amministrativa, non è determinante la circo-stanza che la trasmissione dei dati da parte dello Stato terzo sia intervenuta spontaneamente o su domanda dello Stato che richiede (ora) l’assistenza amministrativa alla Svizzera. La domanda a sapere se l’India abbia ottenuto dalla Francia i dati rubati nel quadro dell’assistenza amministrativa spontanea – come ritenuto dall’AFC – può, quindi, rimanere aperta.

D. Le precisazioni dell’Alta Corte sul principio della buona fedeCon riferimento all’assistenza amministrativa in materia fiscale, uno Stato che acquista dei dati bancari svizzeri per utilizzarli in seguito nel quadro di una domanda di assistenza amministrativa, adotta un comportamento che non è com-patibile con il principio della buona fede. L’eventualità che uno Stato abbia violato il principio della buona fede nel quadro di quanto previsto dall’art. 7 lett. c LAAF va determinato secondo le circostanze concrete del caso specifico.

Da un lato, sulla base della giurisprudenza[2] e contraria-mente all’avviso dell’AFC, non si può desumere che la mera utilizzazione di dati ottenuti illegalmente non corrisponda ad una violazione del principio della buona fede. Con la revi-sione dell’art. 7 lett. c LAAF[3] è stato in effetti proposto di entrare nel merito “se lo Stato richiedente fonda la sua domanda su informazioni ottenute originariamente in seguito a reati secondo il diritto svizzero ma di cui è entrato in possesso tramite una procedura di assistenza amministrativa, e dunque non mediante un compor-tamento attivo”[4]. Tale modifica dell’art. 7 lett. c LAAF non è tuttavia entrata in vigore[5].

[2] DTF 143 II 224.[3] Si veda in particolare Legge sull’assistenza amministrativa fiscale. Modifica, oggetto n. 16.050, in: https://www.parlament.ch/it/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20160050 (consultato il 09.05.2020).[4] Messaggio del 10 giugno 2016 concernente una modifica della legge sull’assistenza amministrativa fiscale, in: FF 2016 4561, p. 4562, https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2016/4561.pdf (consultato il 09.05.2020).[5] Sia il Consiglio nazionale, in data 20 marzo 2019, sia il Consiglio degli Stati, in data 5 giugno 2019, hanno deciso di non entrare in materia.

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302 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

I ricorrenti sostengono che la violazione della buona fede risiede precisamente nel fatto che l’India non ha fornito garanzie sufficienti di non basare la propria domanda su delle informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero, malgrado avesse l’obbligo di farlo. Il “buon senso” implica che non sarebbe stato difficile, per l’autorità richiedente, indicare da dove provenissero le informazioni pertinenti per la domanda. Se, malgrado un invito formale da parte dell’AFC, lo Stato richiedente rifiuta scientemente e senza motivo di rilasciare un’assicurazione esplicita, ciò andrebbe considerato come un comportamento contrario alla buona fede. Incomberebbe alle autorità indiane giustifi-care e confermare che la loro domanda non si basa su delle informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. Non spetta ai ricorrenti provare il contrario. Essi non potrebbero sapere e giustificare meglio di quanto lo possano fare le autorità indiane quando, e in che modo, i dati rubati siano loro pervenuti.

L’art. 7 lett. c LAAF non giustificherebbe la concessione dell’as-sistenza se lo Stato richiedente, in caso di dubbi sulla legalità dell’acquisizione dei dati che stanno alla base della domanda, non fornisse, su richiesta delle autorità svizzere, un’indicazione esplicita che i dati non sono di provenienza delittuosa. L’art. 7 lett. c LAAF esigerebbe che lo Stato richiedente fornisca delle informazioni in modo esaustivo ed onesto. Nel caso in que-stione, lo Stato indiano avrebbe rifiutato una simile conferma, violando così il principio della buona fede.

G. Le condizioni che giustificano lo scambio di informazioni dei dati rubatiCome già indicato, e contrariamente all’avviso dei ricorrenti, si può in principio entrare nel merito di domande che si basano su dei dati d’origine delittuosa fintantoché lo Stato richiedente non li ha acquistati allo scopo di utilizzarli successivamente per una domanda di assistenza amministrativa. La questione a sapere se uno Stato violi il principio della buona fede nell’i-potesi di cui all’art. 7 lett. c LAAF va risolta in funzione delle circostanze del caso di specie. L’art. 7 lett. c LAAF concretizza il principio della buona fede nel diritto internazionale con rife-rimento a delle informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. Esso non ha una portata propria, se non nella misura in cui obbliga la Svizzera a rifiutare di entrare nel merito quando la domanda d’assistenza è formulata in modo contrario alla buona fede, laddove solo questo principio di diritto internazionale renderebbe possibile un simile rifiuto di entrare nel merito della domanda di assistenza ammini-strativa[11].

La formulazione unilaterale dell’applicazione del principio dell’affidamento può essere opposta allo Stato richiedente unicamente se[12]:

a) un corrispondente riferimento è stato incluso nell’accordo bilaterale (o nel relativo protocollo), ossia che lo Stato

[11] DTF 143 II 224 consid. 6.2; Sentenza del TF n. 2C_1042/2016 del 12 giu-gno 2018 consid. 5.3.1.[12] DTF 143 II 224 consid 6.2.

possibile stabilire che la Francia avesse già acquistato i dati da Falciani, le considerazioni sviluppate dall’istanza inferiore non prestano fondamentalmente il fianco a critica. La questione a sapere se l’India abbia o meno ottenuto i dati litigiosi nel qua-dro dell’assistenza amministrativa spontanea con la Francia può, quindi, in concreto rimanere indecisa.

F. Lo Stato richiedente è tenuto a fornire delle garanzie allo Stato richiesto?Le contestazioni fattuali dei ricorrenti, che riguardano la provenienza delittuosa dei dati e l’ordine cronologico del loro utilizzo, non hanno, quindi, la pertinenza necessaria per influenzare l’esito della causa. Ciò include anche la violazione del diritto di essere sentito invocata nel gravame, che è rilevante solo se, e nella misura in cui, può essere determi-nante per l’esito del procedimento[10]. In queste circostanze, non è quindi importante che l’India abbia ottenuto delle informazioni complementari essenziali dal MIF, sulle quali la domanda avrebbe alternativamente potuto basarsi, poiché la motivazione dell’istanza inferiore si dimostra sufficiente pure nell’ipotesi per la quale la domanda fosse fondata esclusiva-mente sui dati forniti dalla Francia.

In mancanza di prove in merito ad un acquisto di dati bancari svizzeri da parte di uno Stato, si può rifiutare di entrare nel merito della specifica domanda di assistenza amministrativa unicamente se il comportamento dello Stato richiedente si rivelasse comunque contrario al principio della buona fede per altri motivi.

Come già ritenuto dal TAF, l’India non ha fornito, nella specifica procedura, alcuna garanzia che la domanda non fosse fondata su delle informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. Nella sua domanda di assistenza ammini-strativa del 27 marzo 2015, il MIF non avrebbe garantito di rinunciare ad utilizzare delle informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. Una simile assicura-zione da parte delle autorità indiane non risulta nemmeno dalle dichiarazioni congiunte del 15 ottobre 2014 e del 15 giugno 2016 del Revenue Secretary indiano e del Segretario di Stato svizzero addetto alle questioni finanziarie internazionali dell’epoca. Nel giugno del 2016, le autorità indiane avrebbero nuovamente indicato alle autorità svizzere che l’uso di dati rubati secondo il diritto svizzero per la domanda indiana non era in linea di principio contrario al rispetto degli obblighi dell’assistenza amministrativa della Svizzera. Per la domanda litigiosa, l’India non avrebbe garantito alla Svizzera di rinun-ciare all’uso di informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. Una tale garanzia non risulta nem-meno dalla sezione “Progress on 7 (c)”, contenuta nell’incarto, relativa alla discussione fra l’AFC e le autorità indiane del 19 agosto 2016. Queste constatazioni dell’istanza inferiore non vengono rimesse in discussione davanti al Tribunale federale dai ricorrenti. In tal senso, non vi è violazione del principio della buona fede a motivo del fatto che lo Stato richiedente avrebbe oltrepassato un’assicurazione data.

[10] DTF 137 II 122 consid. 3.4.

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303 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzero

effettivamente rifiutato una risposta di merito, rispettiva-mente che non abbia risposto in modo conforme alla verità, ciò che l’istanza inferiore avrebbe totalmente perso di vista. Una correzione di questa carenza nei fatti non sarebbe in ogni caso rilevante per l'esito della decisione. In considerazione di quanto esposto in precedenza, li ricorso si avvera totalmente infondato e dev’essere respinto nella misura in cui è ricevibile.

contraente ha accettato tale riserva, eb) è accertato che lo Stato contraente ha violato il principio

della buona fede. Determinare se una tale violazione si sia verificata va valutato alla luce della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati (CVDT; RS 0.111).

H. La decisione del Tribunale federaleNel caso a giudizio, l’art. 7 lett. c LAAF ha, quindi, una por-tata limitata. Determinante è, infatti, la CDI CH-IN in quanto accordo di diritto pubblico internazionale fra la Svizzera e l’India. La cifra 10, lett. b del Protocollo alla CDI CH-IN non esige che lo Stato richiedente fornisca indicazioni sulla pro-venienza dei dati su cui si basa la domanda. È vero che sin dalla primavera del 2010 la Svizzera sottolinea, nell’ambito dei negoziati per la conclusione delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, che non intende accordare alcun scambio di informazioni in caso di domande fondate su dati acquisiti illegalmente[13]. Tuttavia, tale riserva non si trova (ancora) nel protocollo CDI CH-IN.

La CDI CH-IN non contiene nemmeno l’impegno dello Stato richiedente di fornire l’impegno di non presentare delle domande basate su informazioni ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. Nelle relazioni interna-zionali la buona fede di uno Stato è presunta. In relazione all’assistenza amministrativa in materia fiscale, ciò significa che non vi è in linea di principio alcun motivo di dubitare della correttezza e del rispetto della descrizione della situazione di fatto e delle dichiarazioni di altri Stati[14]. In caso di seri dubbi, il principio dell’affidamento non esclude la possibilità di chiedere un chiarimento allo Stato richiedente[15].

Il TAF ha, di conseguenza, ritenuto che spettava all’AFC, in caso di dubbio sulla provenienza legale delle informazioni contenute nella domanda di assistenza amministrativa, esi-gere dallo Stato richiedente un’assicurazione esplicita che le informazioni sulle quali si basa la domanda non fossero state ottenute mediante reati punibili secondo il diritto svizzero. In particolare, secondo l’istanza inferiore, non deve di per sé essere considerato come contrario alla buona fede il fatto che lo Stato richiedente non abbia rilasciato, malgrado una richiesta in tal senso dell’AFC, un’assicurazione esplicita. Questo argomento è convincente, tanto più che l’India non si è impegnata a rilasciare una simile assicurazione nella CDI CH-IN.

In questo contesto non è determinante, come, invece, soste-nuto dai ricorrenti, che il MIF, in una lettera del 29 luglio 2016 a seguito di una richiesta dell’AFC dell’11 marzo 2016, abbia

[13] Cfr. la presa di posizione del Consiglio federale del 16 maggio 2012 in relazione all’interpellanza del 16 marzo 2012, depositata dall’on. Luzi Stamm, n. 12.3302, dal titolo “Impiego nelle procedure fiscali di dati bancari rubati”; risposta alla domanda 3, in: https://www.parlament.ch/it/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20123302 (consultato il 09.05.2020); Opel (nota 6), nm. 4 nota 13 e nm. 23 nota 64.[14] DTF 143 II 224 consid. 6.3; DTF 202 consid. 8.7.1; DTF 142 II 161 consid. 2.1.3; DTF 128 II 407 consid. 3.2, 4.3.1 e 4.3.3.[15] DTF 143 II 202 consid. 8.7.1.

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304 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

Paolo PolastriAvvocato in Modena e FerraraMembro della Commissione Diritto Tributario dell’Unione Avvocati Europei (U.A.E.)

Possibili effetti della recente pronuncia della CGUE

Profili IVA del distacco di personale

Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Ordinanza n. 2385 del 29 gennaio 2019; CGUE, sentenza causa n. C-94/19 dell’11 marzo 2020.La CGUE a seguito di rinvio da parte della Corte di Cassazione Italiana con l’Ordinanza n. 2385 del 29 gennaio 2019 ha deciso l’incompatibilità con il diritto euro-unionale dell’e-sclusione IVA per i distacchi di personale, prevista dall’art. 8, comma 36, L. n. 67/1988 ove la distaccante addebiti esclusivamente il costo del personale distaccato senza mag-giorazioni. L’articolo esamina le norme interne e comunitarie rilevanti e la giurisprudenza interna e comunitaria in materia, analizzando le possibili conseguenze della pronuncia di incompatibilità comunitaria.

personale, consistenti nella esecuzione del rapporto lavo-rativo presso un soggetto diverso dal datore di lavoro, a condizione che il distaccante ricavi quale corrispettivo solo il rimborso del costo del personale distaccato, senza che venga applicato alcun onere aggiuntivo (ad es. spese amministrative o di gestione).

In particolare, l’Ordinanza di rinvio rileva che l’art. 9 della VI Direttiva IVA n. 77/388/CEE, rifusa nella Direttiva n. 2006/112, art. 56, prevede che tra le operazioni rilevanti ai fini IVA, che ne costituiscono il presupposto oggettivo di cui all’art. 2 della medesima Direttiva, rientrino anche le prestazioni di messa a disposizione di personale, indipendentemente dalla entità del rimborso o corrispettivo percepito dal soggetto che mette a disposizione i propri lavoratori ad un soggetto terzo.

Quindi, il tema centrale riportato dall’Ordinanza di rinvio risultava essere la compatibilità con il diritto europeo della non rilevanza IVA delle operazioni di distacco di personale, prevista dall’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988.

II. Il diritto italianoNon pare superfluo interrogarsi sulle caratteristiche del con-tratto e del rapporto tra distaccante ed utilizzatore, affinché si possa qualificare il contratto quale distacco di personale perché, come spesso accade, la fiscalità è una conseguenza della qualificazione civilistica del rapporto o contratto.

I requisiti del distacco sono stati normati dall’art. 30 del Decreto Legislativo (D.Lgs.) n. 276/2003 (cd. “Legge Biagi”)[2] che testualmente prevede: “[l]’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”. I requisiti sono stati, quindi, individuati, anche dalla prassi Ministeriale[3]

[2] Cfr. https://def.finanze.it (consultato il 09.05.2020).[3] Cfr. Circ. Min. Lavoro n. 3 del 15 gennaio 2004, in: https://www.cliclavoro.gov.it/Normative/Circolare_MLPS_15_gennaio_2004_n.3.pdf (consultato il 09.05.2020).

I. Introduzione: l’Ordinanza di rinvioLa Suprema Corte di Cassazione italiana con l’Ordinanza n. 2385 del 29 gennaio 2019[1] ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) la questione circa la compatibilità con il diritto dell’Unione europea (UE) della norma interna contenuta nell’art. 8, comma 36, della Legge (L.) n. 67/1988 (Legge di Bilancio 1989).

Tale norma prevede la non rilevanza dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per le prestazioni di distacco o comando di

[1] Reperibile sul sito: http://www.italgiure.giustizia.it/sncass (consultato il 09.05.2020).

I. Introduzione: l’Ordinanza di rinvio ...............................304II. Il diritto italiano...............................................................304III. Il diritto europeo ............................................................306IV. La sentenza della Corte di Giustizia (causa n. C-94/19) ................................................................307V. Le conseguenze della declaratoria di incompatibilità con il diritto europeo .........................307

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305 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

della natura dell’operazione[4].

Dal tenore letterale della norma si dovrebbe propendere per qualificare l’operazione come fuori campo IVA, essendo la non rilevanza sinonimo di non applicabilità dell’imposta. La prassi sin da prima dell’introduzione dell’articolo in esame ha definito come fuori campo il prestito di personale con adde-bito pari al costo del personale (comprensivo di oneri fiscali e previdenziali)[5].

Nello stesso solco si sono poste la giurisprudenza di legitti-mità e di merito, affermando la qualificazione dell’operazione come esclusa dal campo IVA[6].

Posto che il compenso superiore al costo del lavoro oggetto di distacco è sempre stato considerato imponibile IVA per intero, cosa accade nel caso in cui il rimborso ricevuto dal distaccante sia inferiore al detto limite del costo della prestazione lavora-tiva e relativi oneri accessori?

Dottrina e giurisprudenza[7] sembravano aver individuato anche in tale ipotesi la configurabilità dell’esclusione ai fini IVA, argomentando che trattasi di ipotesi minore del rimborso riconosciuto in presenza della equivalenza tra quantum pagato dall’utilizzatore e costo del lavoro e, quindi, la conformità alla ratio della norma, poiché trattasi pur sempre di rimborso non integrale del detto costo, mentre il rimborso eccedente il detto costo si configurerebbe come corrispettivo ulteriore e non come rimborso.

Successivamente la Cassazione a Sezioni Unite, con la sen-tenza n. 23021/2011[8] operò un vero e proprio overruling affermando che la norma agevolativa interna non consente

[4] In estrema sintesi le operazioni fuori campo non prevedono obbligo di fatturazione registrazione e pagamento dell’IVA e non rientrano nel volume d’affari complessivo ai fini della determinazione della percentuale di detrai-bilità dell’imposta pagata sugli acquisti previsto dall’19-bis del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R. n. 633/72 [cd. “pro-rata”]). Le operazioni non imponibili, diversamente, comportano obbligo di fatturazione e registrazione, ma non comportano l’obbligo di pagamento dell’imposta relativa, non modifi-cano il “pro-rata” di detrazione. Le operazioni esenti comportano un obbligo di fatturazione e di registrazione, ma non comportano un obbligo di pagamento dell’imposta relativa. Si modifica il “pro-rata” di detrazione abbassando la per-centuale di detraibilità.[5] Cfr. Min. Fin. Ris. del 5 luglio 1973 n. 502712 in cui alle condizioni sopra riportate l’operazione realizzata tra società appartenenti allo stesso gruppo, veniva qualificata come “non realizzano i presupposti per l’applicazione dell’IVA” e, successivamente, Ris. n. 500160 del 19 febbraio 1974; Ris. n. 152/E/III-7-665 del 5 giugno 1995 e Ris. n. 346/E del 5 agosto 2002, in: Banca Dati “IPSOA-BigSuite”.[6] Cfr. Cass. Sent. n. 1788 del 6 marzo 1996.[7] Significativa la Cass., Sez. V, Sent. n. 19129 del 7 settembre 2010, in: Ban-ca Dati “IPSOABigSuite”, in cui per decidere sul quantum di detraibilità dell’IVA di un’operazione di distacco di personale la Suprema Corte affermava essere detraibile e, quindi, rimborsabile, solo l’IVA sull’importo eccedente quello del costo del lavoro ed oneri fiscali e contributivi e, conseguentemente, l’irrilevanza IVA del rimborso inferiore al detto costo, non potendo configurare corrispettivo per un servizio, con una sorta di franchigia corrispondente al costo del persona-le al lordo degli oneri contributivi e fiscali.[8] Cass., SS.UU., sent. n. 23021 del 7 novembre 2011, in: Banca Dati “IPSO-ABigSuite e in: GT – Giurisprudenza Tributaria, Milano, n. 2/2012, p. 97, con commento di Paolo Centore, Il distacco di personale fra norma nazionale e comunitaria.

e sono i seguenti: (i) interesse del datore di lavoro distaccante presti la propria opera presso altro soggetto; (ii) temporaneità del distacco; (iii) permanenza della titolarità del rapporto di lavoro in capo al datore di lavoro distaccante; (iv) svolgimento di un’attività determinata da parte del lavoratore distaccato.

La detta prassi ministeriale ha specificato che la temporaneità consiste nella non definitività del rapporto indipendente-mente dalla entità della durata del periodo di distacco, fermo restando che tale durata sia funzionale alla persistenza dell’interesse del distaccante. Il requisito dell’interesse veniva interpretato in maniera ampia dal Ministero come consistente in qualsiasi interesse produttivo del distaccante che non coin-cida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui e che perduri per tutta la durata del distacco.

L’elemento dell’interesse è anche il tratto distintivo che dif-ferenzia il distacco dalla somministrazione poiché mentre il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione a fini di lucro, il distaccante soddisfa un inte-resse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata.

Devono pertanto essere tenuti in debita considerazione, qualora si debba valutare la sussistenza e la legittimità di un rapporto di distacco, anche i rapporti contrattuali diversi da quello di distacco e gli eventuali rapporti di partecipazione societaria sussistenti tra distaccante ed utilizzatore al fine di individuare la sussistenza dell’interesse richiesto dalla norma ai fini del distacco, oltre che la temporaneità dello stesso. Per quanto sinora esposto, la forma scritta, sebbene non richie-sta a pena di nullità del “contratto” di distacco, è vivamente consigliata al fine di dare evidenza anche a terzi delle ragioni, interessi e durata del contratto, per evitare di dover ricostruire tali elementi a distanza di anni in fase di verifica sulla base di elementi extra-contabili.

In assenza dei detti requisiti le conseguenze in capo al distac-cante ed all’utilizzatore non sono di poco conto. Verrebbe disconosciuta la validità o l’opponibilità del distacco e l’ope-razione verrebbe riqualificata come prestazione di servizi generica. Questa impostazione comporta, oltre alle sanzioni giuslavoristiche per appalto illecito o, peggio, somministra-zione abusiva di personale, anche le altre conseguenze e sanzioni in ambito giuslavoristico e previdenziale.

Lato fiscale e tributario il distacco è destinatario di un tratta-mento particolare che si va qui appresso ad illustrare.

L’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988 prevede, infatti, testual-mente che “[n]on sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”. Per cogliere la por-tata della norma occorre pertanto interpretare cosa debba intendersi per non rilevanza IVA, ovvero se ci si trovi di fronte ad una operazione fuori campo IVA, esente o non imponibile, poiché come noto le conseguenze, sia in tema di fatturazione, che di incidenza sul pro-rata di detrazione variano a seconda

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306 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

stesso tempo la mobilità delle imprese e professionisti nell’UE, il tutto nel rispetto dell’equità e della concorrenza.

Le principali fonti regolatrici di rango europeo attualmente vigenti in materia sono la Direttiva n. 2014/67/UE e la Direttiva n. 2018/957/UE.

La Direttiva n. 2014/67/UE relativa all’applicazione di norme crea un quadro giuridico comune ed un’attuazione, un’appli-cazione ed un rispetto più uniforme delle norme comuni. In particolare ha importanti scopi definitori dei vari istituti giu-ridici coinvolti nel distacco di personale, associati ad una più efficace ed effettiva collaborazione tra le Autorità competenti in materia dei vari Stati membri.

La Direttiva n. 2018/957/UE è l’ultima revisione dell’originaria Direttiva n. 1996/71/CE relativa al distacco dei lavoratori. Essa regolamenta: il distacco di lunga durata (fino a dodici mesi); la retribuzione dei lavoratori distaccati; le condizioni di lavoro; il lavoro temporaneo mediante agenzia interinale e detta una specifica regolamentazione per il settore dei trasporti[11].

Dal punto di vista fiscale, come intuibile dalle argomentazioni espresse in precedenza, a livello europeo il distacco di perso-nale ha importanti riflessi in campo IVA.

La VI Direttiva e la Direttiva n. 2006/112/UE che le succede prevedono che tra le prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA vi siano anche la messa a disposizione di personale, espressa-mente previste dall’art. 56 Direttiva n. 2006/112/UE.

In particolare, il detto articolo nell’individuare regole parti-colari in merito alla territorialità (luogo di effettuazione) di particolari prestazioni di servizi incluse in campo IVA, svolte verso destinatari extra-UE o tra operatori intracomunitari residenti in Paesi diversi, menziona espressamente la messa a disposizione di personale al comma 1, lett. f.

Inoltre, sempre a conferma dell’inclusione nel campo applica-tivo dell’IVA delle prestazioni di servizi di messa a disposizione di personale, sta anche l’Allegato X, Parte B, n. 2 lett. g Direttiva n. 112/2006/CE che prevede la possibilità per gli Stati membri di continuare ad esentare le dette operazioni se poste in essere in favore di un soggetto passivo. Giova notare che la possibilità prevista dalla norma riguarda l’esenzione di tutte le dette operazioni senza aver riguardo ai limiti quantitativi del rimborso/corrispettivo corrisposto dall’utilizzatore.

Proprio per quanto attiene l’aspetto quantitativo/qualitativo della misura del rimborso all’impresa distaccante e la sua commisurazione al costo del lavoro al lordo degli oneri fiscali

[11] Per un approfondimento in merito alle prospettive di evoluzione delle politiche europee in materia di lavoro e di distacco in particolare si rinvia allo studio elaborato dal Parlamento europeo del giugno 2016 intitolato “Posting of workers directive - current situation and challenges” disponibile sul sito del Parla-mento Europeo al seguente link: http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/579001/IPOL_STU(2016)579001_EN.pdf (consultato il 09.05.2020).

interpretazione estensiva o analogica e, pertanto, anche l’ipotesi di addebito di un costo inferiore a quello del costo del lavoro comprensivo di oneri fiscali e contributivi costituisce fattispecie assoggettabile ed imponibile ai fini IVA.

Le argomentazioni delle Sezioni Unite prendevano anche in considerazione il confronto tra la norma riguardante l’esclusione IVA del distacco del personale e quella successiva-mente introdotta dall’art. 26-bis, L. n. 196/1997 che prevede l’esclusione dalla base imponibile IVA dei rimborsi pagati dall’utilizzatore in favore delle imprese fornitrici di prestatori d’opera di lavoro temporaneo in misura pari agli “oneri retri-butivi e previdenziali”, effettivamente sostenuti dall’impresa fornitrice.

La disposizione pare ad un primo esame simile quella dell’art. 8, comma 36, L. n. 67/1988[9]. Tuttavia ad un esame più appro-fondito si nota che la non rilevanza della norma sul distacco nell’art. 26-bis anzidetto diviene esclusione da base imponibile IVA, pare quindi più ragionevole in tal caso propendere per la qualificazione di tali operazioni in termini di non imponibilità piuttosto che di operazioni fuori campo IVA. In secondo luogo, pare proprio che l’art. 26-bis configuri una franchigia indipendente dall’effettivo quantum pagato all’impresa forni-trice e che giustifichi una scomposizione dell’operazione, in parte imponibile ed in parte non. Diversamente l’art. 8 Legge di Bilancio 1998 non prevede tale bivalenza dell’operazione di distacco lasciando unicamente l’alternativa tra esclusione IVA o assoggettamento, e conseguente imponibilità IVA.

Mantenendo il focus sui profili fiscali, potrebbe essere conte-stata la operata esclusione dell’IVA da parte del distaccante, con ripresa dell’IVA sugli importi pagati dall’utilizzatore, anche se corrispondenti unicamente al costo del lavoro sostenuto per i lavoratori distaccati, in quanto l’operazione non è configurabile opponibile al fisco quale distacco e, pertanto, trattandosi di prestazione di servizi generica, diventerebbe soggetta ed imponibile IVA indipendentemente dall’importo corrisposto al distaccante.

III. Il diritto europeoLa libera circolazione dei lavoratori e della prestazione di servizi costituisce una delle libertà fondamentali del mercato unico europeo, che costituisce a sua volta uno dei pilastri fondamentali del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE). Proprio per tale ragione l’UE ha emanato normative europee (direttive principalmente) con lo scopo di creare una base giu-ridica unitaria per il distacco transfrontaliero dei lavoratori ed evitare differenze e trattamenti deteriori dei lavoratori nello svolgimento del distacco al contempo favorendo la produtti-vità e competitività delle imprese[10].

In particolare, il TFUE agli artt. 54 e da 56 a 63 prevedono appunto la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi all’interno del mercato unico europeo, garantendo allo

[9] Cfr. https://def.finanze.it/ (consultato il 09.05.2020).[10] Cfr. senza presunzione di esaustività le Direttive n. 96/71/CE e n. 2014/67/UE in: https://eur-lex.europa.eu/ (consultato il 09.05.2020).

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307 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

IV. La sentenza della Corte di Giustizia (causa n. C-94/19)La Corte di Giustizia dell’UE (CGUE) con la sentenza dell’11 marzo 2020 nella, causa n. C-94/19, ha deciso in ordine alla questione pregiudiziale sopra evidenziata.

La motivazione della CGUE prende le mosse dall’analisi dei presupposti generali dell’imposta con riferimento alle prestazioni di servizi, confermando quanto già illustrato nel precedente paragrafo in merito all’inclusione delle operazioni di distacco di personale all’interno della base imponibile dell’Imposta quali prestazioni di servizi ai sensi dell’art. 6, della VI° Direttiva IVA n. 77/388/CEE, rifusa nella Direttiva n. 2006/112[16].

Come tale, l’operazione diventa rilevante ed imponibile se effettuata a titolo oneroso. La CGUE, richiamando il proprio precedente orientamento afferma che il presupposto è soddisfatto qualora “ricorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servi-zio prestato al beneficiario. Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto”[17].

Nel caso sottoposto alla CGUE il costo rimborsato alla distaccante, come prevede la norma interna, era parificato al costo per retribuzione e trattenute del lavoratore distaccato. La CGUE, disattendendo il diverso orientamento espresso dalla Commissione europea, ritiene sussistente l’onerosità dell’operazione essendo presente un nesso diretto tra le con-troprestazioni (messa a disposizione del lavoratore e rimborso da parte del distaccante)[18].

Il nesso diretto infatti sussiste, indipendentemente dalla quantificazione della pattuizione, quando le prestazioni si condizionano reciprocamente e cioè che una sia effettuata a condizione che lo sia anche l’altra e viceversa. Spetta pertanto al giudice del rinvio accertare nel merito che il distacco ed il rimborso erano condizionati reciprocamente. In altri termini, l’esenzione potrebbe spettare solo qualora fosse in concreto dimostrabile che il distacco sarebbe stato posto in essere dalla distaccante anche in assenza o indipendentemente dal rimborso delle spese del lavoratore distaccato. Circostanza che appare difficilmente riscontrabile in presenza di contratti di distacco con prestazioni corrispettive vincolanti per le parti.

V. Le conseguenze della declaratoria di incompatibilità con il diritto europeoSulla base della decisione della Corte di Lussemburgo salvo eccezioni di non facile individuazione consegue l’assogget-tamento ed imponibilità IVA delle prestazioni di distacco di personale con riaddebito dei soli costi del lavoro comprensivi di oneri fiscali e previdenziali sostenuti dal distaccante.

[16] Cfr. CGUE, sentenza causa C-94/19, punto 18.[17] Cfr. CGUE, sentenza causa C-94/19, punto 21.[18] Cfr. CGUE, sentenza causa C-94/19, punti 24-30.

e contributivi, che costituisce come visto in precedenza ele-mento fondamentale per l’esclusione IVA operata dalla norma interna affinché si tratti appunto di mero rimborso e non di corrispettivo, tale distinzione non si rileva nel diritto europeo.

In particolare, la CGUE ha affermato che costituisce corrispet-tivo di una prestazione, che viene pertanto qualificata come a titolo oneroso, lo scambio tra la detta prestazione ed una controprestazione da parte del cessionario, senza la neces-sità che lo scambio sia lucrativo o a valori di mercato[12]. In sostanza, la circostanza che un’operazione economica sia svolta verso un prezzo uguale, superiore o inferiore al prezzo di costo è di per sé ininfluente ai fini della qualificazione di tale operazione come “negozio a titolo oneroso” e, conseguen-temente, soggetta ad IVA secondo quanto previsto dall’art. 2 Direttiva n. 2006/112/UE, a meno che lo scarto tra i costi sostenuti e la somma ricevuta come corrispettivo sia partico-larmente rilevante[13].

In tal caso, infatti, ritorna la questione già affrontata in precedenza circa la qualificazione della controprestazione dell’utilizzatore (il pagamento) quale corrispettivo ovvero quale semplice rimborso o contributo volontario e, va da sé, dell’onerosità o meno della prestazione.

Senza voler approfondire nel dettaglio cosa intenda la CGUE per differenza particolarmente rilevante e su come essa vada calcolata, pare facilmente intuibile che in caso di rimborso esattamente pari al costo sostenuto dalla distaccante una sproporzione particolarmente rilevante non vi sia affatto, anzi vi sarebbe una perfetta proporzione.

Si intuisce pertanto la fondatezza dei dubbi di legittimità euro-unionale della norma interna avanzati dalla Suprema Corte.

A dire il vero, come sottolineato dalla migliore dottrina[14], si potrebbe ipotizzare anche un secondo probabile motivo di dubbia legittimità della norma interna.

La giurisprudenza della CGUE[15] ha, infatti, in precedenza affermato che il distacco e la messa a disposizione di personale riguardano sia il personale dipendente che il personale auto-nomo messo a disposizione dal distaccante. La norma interna prevedendo un trattamento differenziato a seconda della natura del rapporto intercorrente tra il personale distaccato ed il distaccante sarebbe incompatibile con il diritto comuni-tario per violazione del principio di disparità di trattamento.

[12] Cfr., in particolare, CGUE, sentenze del 3 marzo 1994, Tolsma, C-16/93, EU:C:1994:80, punto 14; del 5 giugno 1997, SDC, C-2/95, EU:C:1997:278, punti 45, e del 26 giugno 2003, MKG-Kraftfahrzeuge-Factoring, C-305/01, EU:C:2003:377, punto 47; dell’8 marzo 1988, Apple and Pear Development Council, C-102/86, EU:C:1988:120, punto 12, e del 20 gennaio 2005, Hotel Scan-dic Gåsabäck, C-412/03, EU:C:2005:47, punto 22.[13] Cfr. CGUE, sentenza del 2 maggio 2016, causa C-520/14.[14] Centore (nota 8), p. 97, con note comparative anche con altri Paesi.[15] Cfr. in tal senso: CGUE, sentenze del 26 gennaio 2012, causa C-218/10, ADV Allround Vermittlungs AG, par. 32, in: www.curia.europa.eu (consultato il 09.05.2020); sentenza del 14 giugno 2007, causa C-434/05, Horizon College, in: Banca Dati “IPSOABigSuite”.

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308 maggio 2020

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell'UE

Pertanto, una sentenza interpretativa resa a seguito di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, non potrà mai essere invocata dallo Stato per la disapplicazione di una norma interna in contrasto con le norme di una Direttiva e sulla base di questa per richiedere ai singoli il pagamento di una maggiore impo-sta. La norma interna sarà destinata a trovare applicazione fintantoché non verrà adeguata dallo Stato spontaneamente o a seguito di procedura d’infrazione. In tal senso anche la giurisprudenza europea[21].

A parere di chi scrive, inoltre, non è possibile configurare il regime interno di esenzione previsto per il distacco di per-sonale alla stregua di un aiuto di Stato con relativo obbligo di recupero da parte dello Stato membro per due ordini di ragioni. In primo luogo perché dell’esenzione IVA beneficiano principalmente i consumatori finali e non le imprese che distaccano e si avvalgono dei lavoratori. Questo in ragione della neutralità per i cessionari soggetti passivi IVA per i quali l’operazione è sostanzialmente neutrale, sia che questa sia imponibile o esente. Infatti, se l’operazione fosse esente al mancato pagamento dell’imposta sui distacchi, si accompa-gnerebbe una riduzione dell’IVA per il distaccante e la parte di lVA indetraibile sugli acquisti sarebbe comunque deducibile ai fini delle imposte dirette. Se spostiamo l’attenzione sull’utiliz-zatore, invece, in caso di esenzione non sarebbe dovuta l’IVA in rivalsa sugli acquisti al distaccante e, conseguentemente si troverebbe ragionevolmente ad avere un maggior onere fiscale in quanto non avrebbe IVA a credito da detrarre dall’Iva a debito dovuta sulle prestazioni di servizi e cessioni di beni poste in essere.

Se l’operazione fosse, invece, imponibile il distaccante non subirebbe conseguenze sull’IVA detraibile e l’utilizzatore potrebbe detrarre l’IVA pagata in rivalsa al distaccante.

In conclusione, anche a seguito della sentenza della CGUE che ha dichiarato incompatibile con il diritto dell’UE il regime di esenzione di cui all’articolo 8, comma 35, L. n. 67/1988, i rap-porti pregressi non possono essere travolti da tale pronuncia e l’esenzione in parola deve trovare applicazione sino alla modifica della fonte normativa interna.

[21] Cfr. in particolare CGCE, sentenza del 5 luglio 2007, causa C-321/05, Hans Markus Kofoed c. Skatteministeriet, in quanto resa in materia fiscale.

Ciò posto, quali sono le conseguenze per i contribuenti che avevano fatto legittimo affidamento sulla norma fino ad oggi ed esentato i distacchi di personale? E soprattutto: da quando troverà efficacia la sentenza interpretativa siffatta nell’ordi-namento italiano?

Come noto le sentenze interpretative a seguito di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE emesse dalla CGUE hanno una efficacia diretta nel giudizio che ha originato il rinvio, oltre che erga omnes come affermato a chiare lettere sia dalla stessa CGUE sia dalla Corte Costituzionale[19]. Queste, infatti, hanno elevato i principi giurispruenziali con diretta applicabilità negli ordinamenti degli Stati membri e configu-rabilità della procedura di infrazione (art. 258 TFUE) nel caso di mancato adeguamento normativo interno alle sentenze.

Per quanto attiene all’efficacia temporale delle sentenze della CGUE, di regola queste hanno efficacia ex tunc (da allora), quindi con effetto retroattivo ai rapporti ancora non definitivi.

Sorge quindi il dubbio di come debbano essere regolati i rap-porti tutt’oggi non definitivi perché ancora potenzialmente accertabili dall’Amministrazione finanziaria e se quest’ultima possa far leva su di una sentenza interpretativa “a suo favore” per poter richiedere il pagamento dell’IVA sui distacchi effet-tuati in annualità precedenti.

La risposta non può che essere negativa.

La giurisprudenza della CGUE in merito all’effetto diretto delle Direttive, anche qualora non tempestivamente e corret-tamente trasposte, ha infatti affermato tale vis delle norme europee solo se invocate dal singolo nei confronti dello Stato o di un ente che possa considerarsi propagazione dello stesso (cd. efficacia “verticale”) escludendo di conseguenza per le Direttive effetti diretti nei rapporti tra i singoli (efficacia “oriz-zontale”) e su invocazione dello Stato nei confronti dei singoli (cd. efficacia “verticale inversa”).

Ciò in quanto il presupposto per affermare l’effetto diretto della Direttiva richiede innanzitutto un inadempimento da parte dello Stato membro nella tempestiva e corretta traspo-sizione, quindi, una sorta di colpa sub specie della negligenza o imperizia nell’esercizio dell’attività legislativa. Ne risulta l'irrazionale conseguenza che lo stato possa approfittare di una situazione di illegittimità della norma interna dallo stesso Stato provocata in senso lato: quest’ultimo aveva tutti i mezzi e poteri per poter recepire correttamente il diritto europeo e se non lo ha fatto non può invocarlo successivamente in suo favore.

Si noti, infatti, che la tardiva o errata trasposizione delle direttive, per pacifica giurisprudenza della CGUE, giustifica il risarcimento dei danni patiti del singolo leso[20].

[19] Cfr. Corte Cost., sentenze n. 113 del 1985 e n. 39 del 1989.[20] Cfr. CGUE, sentenze del 19 novembre 1991, cause riunite C 6/90 e C 9/90, Frankovich; cfr. anche Daniele Gallo, L’Efficacia Diretta del Diritto dell’Unione Europea negli Ordinamenti nazionali, Milano 2018, p. 361 ss.

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