oltre il mondo c’è un cosmo senza confini - cvm.an.it · tempi” di leopardi per tuffarci in...
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Armando Gnisci 11 settembre
La Transculturazione in aula
Oltre il mondo c’è
un cosmo senza confini
[Rûmî, 1207-1273 dell’E. V., poeta e mistico persiano, fondatore della
confraternita dei dervisci rotanti di Konya, Turchia]
Premessa: parlerò per inquadrare la poetica del libro a cura di A. Gnisci e C.
Cipollari, Una ricerca a prova d’aula. Per una revisione transculturale del curricolo
di italiano e di letteratura, pubblicato dalla casa editrice la Meridiana, nel 2012 e
dedicato al curriculum cosmico nelle aule primarie. Fornirò alcune riflessioni e
proposte perché questa impresa debba e possa continuare.
Chi guarda il cielo stellato di corpi celesti? O, in diversi modi di definire:
il cosmo infinito del mistico e poeta Rûmî, fondatore del sufismo e della
compagnia dei dervisci ruotanti, e l’indeterminato [ápeiron, Anassimandro
di Mileto, VI secolo avanti Cristo]. Entrambi nati e operanti in una terra
che ora è Turchia, nelle città di Konya e Mileto?
Il cielo diurno è dominato dalla luce aperta del sole, che illustra il
mondo e il suo diverso paesaggio – i ghiacci degli inuit, la steppa dei
mongoli, i giardini di Gerico, di Gerusalemme e del Libano, ma anche
dell’Andalusia e della Sicilia, le montagne dei tibetani e dell’introvabile
Shangri-la, le città dell’Europa, le foreste dell’Amazzonia e della Siberia, i
mari-oceano del nostro pianeta, che qualcuno chiama “l’arancia blu”.
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All’origine della nostra civiltà attuale, le Muse cantarono con “voce
concorde” per tramandare a noi attraverso il poeta Esiodo, VII secolo a.C.,
la storia della nascita del cosmo, nella Teogonia, che affianca la sua opera
maggiore, Le Opere e i Giorni. Quest’ultima canta la dignità degli
agricoltori, piuttosto e in alternativa a quella dei guerrieri, che comandano,
invece, sulla vita dei mortali; alla reggia dei Feaci i contadini non c’erano
ad ascoltare la narrazione del dopo-Troia, fatta da Ulisse, così come non
c’erano, i contadini, alla Assemblea rivoluzionaria francese della
Pallacorda, il 9 luglio del 1789.
Leopardi, nella “Ginestra”, scrive dal verso 161: “Seggo la notte [la stessa
postura del “sedendo e rimirando” ne “L’infinito”] e sulla mesta landa / in
purissimo azzurro / veggo dall’alto fiammeggiar di stelle… e quando miro
/ quegli ancor più senza alcun fin remoti / nodi quasi di stelle,…”.
Trasciniamo mentalmente il fiammeggiare delle stelle nella conca cosmica
del purissimo azzurro e leggiamo subito insieme, mentre vanno
fiammeggiando nella nostra mente, le stelle nell’azzurronotte nell’Ulisse
di Joyce. Joyce nella sua famosa opera del 1922, nel capitolo XVI,
intitolato “Itaca”, mostra come due adulti europei, nella sera annerata del
16 giugno del 1904 guardano dentro la notte: “…[Bloom e Stephen]
emersero in silenzio, doppiamente oscuri” e si trovarono di fronte allo
spettacolo del cielo notturno. Vedono nel buio del cielo “L’albero celeste
delle stelle carico di umidi frutti nottazzurri”. ”The evenventree of stars
hung with humid nightblue fruit”. Torniamo indietro ora, alla “qualità dei
tempi” di Leopardi per tuffarci in una pagina diversa, l’ultima della Critica
della Ragion Pratica di Kant, pubblicata nel 1788, dieci anni prima che
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Giacomino nascesse. Pensatori che guardano il cielo, anche per noi, e al
servizio della “Umana compagnia”.
Vi invito ad aiutarmi a trovare e a indicarmi donne poete-filosofe che
guardano il cielo stellato di “corpi celesti” (Anna Maria Ortese). Vi prego
di segnalarmi la loro presenza e le opere nelle quali appaia il cielo stellato,
vi ringrazio in anticipo, scrivetemi a [email protected] Approfitto
per dirvi che da ottobre farò un ciclo di incontri su ciò che noi mortali
chiamiamo “Senso delle cose” sulla web tv www.aliasnetwork.it
disponibili poi su you yube, e a chi voglia essere informato dalle news
della transculturazione, consiglio di entrare nella mailing-list della
Fin dall’inizio dell’evoluzione della nostra specie chiamiamo giorno il
regno della luce emessa dalla nostra stella arancione, mentre la notte è il
regno delle stelle azzurronotte. Gli umani, in un punto critico
dell’evoluzione liberarono le zampe anteriori dalla postura quadrupede e
ne fecero braccia e mani; le usarono per “costruire e rifinire cose nuove”,
per la caccia e poi per coltivare la terra. Allo stesso tempo scoprirono la
visione estrema vista dalla fronte aperta e libera che inaugurò la veduta del
filo dell’orizzonte e quindi della conca del cielo con le stelle, guardando
con la fronte all’in su, rivolta alla volta cosmica. Il nostro cane – come
Charles, l’amatissimo cane-persona di Emily Dickinson – non alza mai la
fronte verso l’alto e non sa che c’è il cielo e i suoi immensi frutti: umide le
stelle, argento-luna e il sole rovente. Furono i nostri lontani antichi:
cacciatori-raccoglitori, poi pastori e agricoltori, nomadi i primi, stanziali i
secondi; e poi i cittadini nelle città, quando queste cominciarono a riunire
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gruppi, clan e famiglie e persone a diventare i luoghi comuni sociali e
politici delle comunità stabilizzate e fervide, a scoprire l’altra metà del
cosmo, aprica nel cielo notturno.
Il cielo stellato, e il cielo lunare, furono il corrispondente notturno
del pastore errante dell’Asia, del condottiero macedone e del generale
romano. E l’albero stellare fu lo spettacolo lontanissimo e vicinissimo
della notte a chi naviga o cammina o sta in una pagina narrativa. Non le
lucciole ci sono state tolte, come scriveva Pasolini, ma le stelle.
Dall’inquinamento umano del corpo celeste delle cose.
Pensai: perché non iniziare i bambini della scuola primaria alla conoscenza
del mondo partendo dalla volta stellare del cosmo ancora visibile sopra la
testa nostra, invece che con osservazioni sulla famiglia, i fratellini, il
quartiere, il territorio, gli amichetti ecc.; anche quelli, certi, ma partendo
insieme dallo spettacolo del luogo comune cosmico, invece che solo dal
tuo papà e la tua mamma? Alle mie 3 compagne insegnanti marchigiane,
capitanate da Giovanna Cipollari, l’idea piacque. Costruimmo insieme un
modulo curricolare cosmico e transdisciplinare che, dopo essere stato
provato in aula e accettato dai fanciulli con entusiasmo, è racchiuso in un
libro, questo.
Ora, non ci fermiamo più, perché abbiamo riconosciuto che questo
progetto-fatto cosmico è un punto iniziale, e che dai corpi celesti, dalle
stelle dobbiamo passare al mondo-tutto e ai grandi temi della storia della
nostra specie, coinvolgendo più da vicino anche i genitori, i fratelli e
sorelle, la tv e il pc eccetera. Come? passando a parlare con i bambini della
guerra, ad esempio. Ho pensato, infatti, a uno scambio di tematiche da
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proporre da parte dei bambini ai ragazzi liceali, e dai liceali ai bambini: le
DAC – dirò tra poco di cosa siano – per i giovanotti, e la guerra+il male,
per i bambini. Riprenderò questo punto verso la fine del mio discorso.
Cosa sono le DAC?
Le Domande Antropologiche Cosmologiche che ogni homo sapiens rivolge
a sé stesso fin dalla prima adolescenza, e alle quali la scuola non dà spazio
e riconoscenza, fisica, filosofica o letteraria; in questo caso, anzi, mi
sembra che la scuola lasci il terrestre-celeste, senza nemmeno vederlo, alla
catechistica cattolica.
Risaliamo a che cosa videro e pensarono i nostri antenati dell’Antica
Europa (Old Europe, secondo l’archeologa Marja Gimbutas, che si riferiva
ad una civiltà mediterranea e europea che visse dal 6500 al 3500 anni
prima dell’E.V.): i primi cosmologi mediterranei-greci furono i filosofi
della Scuola fisica di Mileto – Talete, Anassimandro e Anassimene – del
VI secolo e il poeta Esiodo del VII secolo, figura minore a fianco di
Omero, ma altrettanto importante nel canone letterario dell’Occidente; e
dopo di loro, Lucrezio, il grande poeta-filosofo latino del I secolo a.C. Si
tratta di quei filosofi che Giordano Bruno chiamava fisici a lui simili; i
fisici guardano e ripensano il cosmo, più che l’Essere, che riguarda
piuttosto i filosofi retorici e sfaccendati. I fisici per noi annoverano anche
gli antichi materialisti come Anassagora, e Empedocle, l’oscuro Eraclito,
ma anche Protagora il sofista antagonista di Socrate, e poi Epicuro e i suoi
seguaci, come lo stesso Lucrezio e Filodemo di Gadara. I fisici e i poeti fin
dall’inizio cercano e producono le DAC, non trattandole solo come
domande, ma anche come ipotesi immaginarie, scientifiche e poetiche al
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contempo, cosmovisioni: Perí Physeos & De Rerum Natura. Furono questi
i principî e le mappe primarie e incipienti della scienza dei mortali che
guardano-pensano il cosmo e la condizione umana dentro di esso, come i
vermi nel formaggio, con i vermi. Senza dimenticare Pitagora, il
matematico primo, e il Libro ebraico di Genesi, del più antico dei tre
monoteismi ebreo-occidentale-universaleuro-arabo, che narra la storia
della creazione del mondo e dell’umano e dell’uomo centrale, e Abramo, il
primo, patriarca comune ai tre monoteismi.
Le DAC sono Domande Antropologiche Cosmologiche antiche e costanti,
le conosciamo?, ma certo, sono attrezzi banali ormai da tanto tempo: Da
dove veniamo? Veniamo da altrove, forse? siamo frutto di una creazione
esterna al pianeta Terra-Gaia, siamo stati creati da dèi e dii, o perfino da
alieni antichissimi che atterrarono su Gaia e infilarono sulle sponde di un
terreno minerale, l’acqua e le primissime spore di vita; Chi siamo?
Mostrandi di essere capaci di porre il problema del “sapere di sapere” tra i
viventi, forse come e oltre gli dèi? Montaigne, due millenni dopo dei
filosofi e poeti primi dell’Occidente, sintetizzò il pensiero laico moderno,
nella domandina trascendentale e fondativa di ogni conoscenza critica:
Que sais-je?, Che so io? Che vuol dire: che so io adesso che sto qui a
chiedermerlo e a chiedertelo? In forza e nella forma della stesso
domandare Montaigne enunciò un concetto semplicissimo ma meta-critico,
che l’io concepisce per interrogarsi apertamente sul sapere di non sapere
(Socrate) che deve, però, trasformarsi in “sapere di sapere” e non nella
verità socratico-platonica. Il Sindaco di Bordeaux si interrogò sapendo di
essere un moderno, interrogandosi in maniera critica e storica nella
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“qualità dei (suoi) tempi”, come amava dire Machiavelli. Prima di Cartesio
e oltre il suo razionalismo astratto, del Cogito ergo sum! Io esisto se
qualcuno mi pensa e me lo dice, afferma invece lo scrittore Dževan
Karahsan, nel 1993, a Sarajevo assediata e bombardata: esisto se qualcuno
mi fa esistere, chiamandomi, volendomi, scrivendomi, curandomi. C’è
qualcuno in giro nel cosmo, oltre noi umani?; e infine: Dove stiamo
andando, volando con tutte le galassie in un cosmo sempre incipiente? E
seguendo la divulgazione della scienza fisica che nel secolo scorso ha
rivoluzionato le visioni del mondo e non solo del passato, ma anche
dell’intera umanità, su basi teoriche e sperimentali nuove, sorprendenti pur
se molto complesse e a volte insopportabili dalla ragione quotidiana. Ecco
le DAC. Ed ora accostiamole al PAC – il Principio Antropico
Cosmologico – che ho proposto alle insegnanti per inquadrare meglio il
nostro lavoro umanistico-cosmico. Il PAC può essere per noi una risposta
incerta ma cruciale e ineludibile, aperta all’intuizione intermittente della
mente-cuore dei non-fisici, e aperta da tutti i lati ai venti del pensiero e
degli eventi. E alle DAC, per noi non-scienziati.
Principio antropico? Ma non abbiamo smantellato e superato da
tempo l’Antropocentrismo? Non diamo forse ai gatti il patè e ai cani la
fisioterapia? Non direi così, il PAC non ripropone l’uomo al centro
dell’universo, ma ne riconosce la degnità della sua solitudine cosmica
come fonte e portato, al tempo stesso, della conoscenza. Si tratta, infatti, di
una ipotesi fisica e laica che risponde civilmente, oltre che
scientificamente, alle DAC, ma a tempo determinato e imprevedibile. Vale
a dire: fino a quando non incontreremo civiltà cosmiche diverse e
scambieremo tra noi (un nuovo “noi”) le nostre conoscenze e
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cosmovisioni, oltre e ormai non più la solo nostra. Sto pensando con voi
l’associazione tra DAC & PAC, più relatività, quantistica, stringhe ecc.
Tutte teorie aperte ancora, più o meno, alla prova sempre rinnovata e alla
prassi della falsificabilità.
A questo fardello meraviglioso, aggiungo che la nostra
immaginazione cosmica, nel ‘900 è stata ingrandita proprio
meravigliosamente dalla letteratura fantascientifica (SF, Science Fiction,
come dicono gli angloamericani). La SF ha ingrandito la nostra coscienza
di specie attraverso una immaginazione cosmica sfrenata e affascinante. Vi
consiglio di leggere uno dei “Classici” della collana “Urania” della
Mondadori, diretta da Fruttero & Lucentini, il romanzo di Fredric Brown,
Il vagabondo dello spazio del 1959, che narra di un “pezzo di roccia, del
diametro di un chilometro circa, che vagava libero nello spazio, un masso
vivente e cosciente…chiamiamolo un masso pensante e vagabondo nello
spazio, a cercare altre forme di vita…chiamiamolo Crag…”.
Anassimandro – astronomo, il primo geografo planetario e filosofo
della scuola di Mileto – si pone al principio del pensiero mediterraneo nel
secolo VI prima dell’Era Volgare, E.V., individuando due temi potenti
della riflessione sulla conoscenza e sulla coscienza critica della condizione
umana. Ci resta di lui solo un frammento di poche righe tramandatoci da
Simplicio, l’ultimo filosofo dell’Accademia platonica ad Atene, avverso al
cristianesimo. La grande Accademia fu chiusa nel 529 d. C.
dall’imperatore di Constantinopoli, Giustiniano. Simplicio riparò in Persia,
alla corte sassanide e continuò a fare il filosofo; qualche notizia del
pensiero di Anassimandro ci arriva anche dai libri di Aristotele e Aezio.
Egli fu il primo a pronunciare il pensiero principizio e lo nominò proprio
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come principio e/o inizio1 chiamandolo άρχή-arché, ma dandogli il
carattere dell’indeterminato e infinito: άπειρον. Contestualmente parlò
dell’ingiustizia-άδικίά come perenne e inamovibile regola della dismisura
del mondo umano.
Protagora, il sofista ricordato da Platone nel dialogo a lui intitolato,
sostiene che l’uomo è l’unica misura di tutte cose… E così, per noi di
oggi, e non solo per la “qualità dei tempi” dei filosofi greci, il pensiero di
Protagora si collega al PAC perché ci induce a pensare che la dimensione
umana è quella mediana tra il macrocosmo indeterminato e immenso,
come le stelle giganti e le galassie e ogni altro celeste immenso, e il
microcosmo della materia, l’infinitamente piccolo-nano, atomi, elettroni,
quanti e quark, bosoni, come quello di Higgs ecc.
Ho proposto alle insegnanti il PAC per spiegare le costanti
principizie della mia cosmovisione poetica che ha prodotto la messa in
opera del nostro comune lavoro umanistico & cosmico. Se ne sono
impadronite. Il PAC sembra che faccia ottenere per noi le risposte, aperte
da tutti i lati ai venti del pensiero, alle DAC che conosciamo. Le mie
maestre hanno accettato e hanno iniettato, con prudenza e arte della
semplificazione, ai bambini elementari il PAC.
Il principio antropico pronuncia il senso del mondo e del futuro
1 Dice la mia Signora, Lady Emily Dickinson: “Gli inizi sono sempre più spaventosi della fine,
perché è un’identità vacillante quella su cui si fondano”. È ciò che dissero i nostri antenati : il caos
primario, e oggi: l’universo fluente che era prima del Big Bang di questo universo ecc.
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Ho proposto il PAC, dopo anni di mia ruminazione di questa teoria
cosmologica odierna e bizzarra, come dicono alcuni fisici, che non so
capire bene dal punto di vista scientifico e matematico, e anche quotidiano,
ma che mi sorprende e mi commuove quando sfida la zona grigia tra i
limiti suoi propri e il possibile incontro con la filosofia neo-umanistica e
con l’immaginario scatenato dal Novecento e dal suo “genere”, la
Fantascienza. Il PAC mi ha folgorato una ventina di anni fa e mi ha portato
a ripensarlo e a mostrarlo come “orizzonte” del discorso della coscienza di
specie e del senso del mondo. Un discorso che è diventato possibile nel
XX secolo dell’EV e che riunisce – nella sua caratteristica e distinzione
all’interno del pensiero della complessità – l’immaginario scientifico con
quello letterario e artistico. Di cosa stiamo parlando, allora?
Il concetto e il nome di “Principio Antropico Cosmologico” vennero
coniati nel 1973 dal fisico Brandon Carter che, in un convegno per la
celebrazione dell’anniversario della nascita di Copernico, cercava di
mettere in guardia dall’uso eccessivo del principio copernicano da parte di
astronomi e cosmologi. E cioè buttando via la condizione umana in
assoluto detronizzandola, giustamente, dalla postazione centrale
nell’universo. Carter si proponeva di riportare all’attenzione degli
scienziati la constatazione che l’universo e le sue leggi non possono non
essere compatibili con la nostra esistenza. Carter passava, quindi, a trattare
di Principio Antropico debole e di Principio Antropico forte.
Il debole afferma che la nostra posizione nel cosmo è quella di
(unici) osservatori e di teorici-cosmologi e che questa costante condizione
umana è necessaria e privilegiata. Esistono, infatti, connessioni tra
l’esistenza dell’uomo sulla terra e alcune caratteristiche cruciali del cosmo
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da noi abitato e come oggi è conosciuto. Il forte sostiene che il nostro
universo, e le costanti fondamentali che lo caratterizzano, deve essere tale
da permettere la creazione di osservatori all’interno di esso stesso e ad un
certo stadio della sua esistenza: la specie umana, infatti, attraverso i suoi
fisici è arrivata a pensare e divulgare la scienza del Novecento e il PAC. Il
PAC equivarrebbe ad una concezione globale e complessa che si può
sintetizzare parafrasando e riformulando il famoso principio cartesiano,
così: Cogito ergo mundus talis est.
Il Principio Antropico forte, così come enunciato da Carter, intende
sottolineare che noi viviamo in un universo che di fatto ha permesso e va
permettendo l’esistenza della vita come noi la conosciamo e come si è
evoluta fino alla bio&coscienza umana attuale che permette e promette che
la conoscenza umana arrivi a concepire il “fatto che esista un cosmo come
questo qui”, mediante il ri-conoscerlo scientificamente. E che il
riconoscerlo certifica il posto umano nel cosmo, l’“ultima linea rerum”,
come afferma Orazio, che propone questa perfetta immagine poetica,
invece, per designare la Mors, PAC e morte sono limiti estremi della
conoscenza attuale, biologica e cosmologica. Facciamo, trepidamente, un
esempio: se una o più delle costanti fisiche fondamentali avessero avuto un
valore differente alla nascita dell’universo, allora non si sarebbero formate
le stelle, né le galassie, né i pianeti e la vita come la conosciamo non
sarebbe stata possibile. Sarebbe stato un altro universo, o tanti altri
universi. Questo universo c’è perché, nel senso di “dato che”, noi ne
facciamo parte e ne siamo i testimoni, gli scienziati e i “pensatori senza
pensieri conclusivi” (Wallace Stevens, un altro scienziato del Novecento?
No, scoprirete più in là chi è). E all’inverso: la conoscenza umana si è
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evoluta fino a conoscere sempre meglio la “natura” dell’universo stesso, da
Anassimandro al PAC. Questo ultimo argomento scientifico rappresenta la
vetta sintetica della conoscenza della conoscenza della modernità e della
fisica strabiliante del XX secolo: dalla Relatività ai quanti, dal Big Bang ai
buchi neri, come dice Steven Hawking.
Nel 1986 venne pubblicata la Bibbia del PAC, The Anthropic
Cosmological Principle del fisico inglese John D. Barrow e del
matematico USA Frank J. Tipler, il più esteso lavoro sul Principio
Antropico e sulle sue implicazioni nelle varie scienze e nel pensiero
umanistico (Il libro è stato tradotto in italiano con il titolo Il principio
antropico, Milano, Adelphi, 2002).
Barrow e Tipler descrivono tre versioni del Principio Antropico, con
qualche differenza rispetto a Carter.
Il “Principio Antropico Debole” afferma che i valori osservati di tutte
le costanti fisiche e cosmologiche del nostro universo non sono equamente
probabili ma assumono valori limitati dal prerequisito che esistono luoghi
dove la vita basata sul carbonio può evolvere e dal prerequisito che
l’universo sia già abbastanza vecchio da aver permesso ciò.
Il “Principio Antropico Forte” afferma che l’universo deve avere
quelle proprietà che permettono alla vita intelligente di svilupparsi al suo
interno e, ad un certo punto della sua storia, per riconoscersi in una
cosmologia antropica condivisa nei suoi principi.
Il “Principio Antropico Ultimo” afferma che deve necessariamente
svilupparsi una elaborazione intelligente dell’informazione dell’universo e
che, una volta apparsa, questa non si estinguerà mai.
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Barrow e Tipler discutono il Principio Antropico allo scopo di
enunciare le coincidenze apparentemente incredibili che permettono
l’esistenza del nostro universo e della vita intelligente dentro di esso, e
quindi questo è il ruolo della specie umana all’interno di esso, senza enfasi
antropocentrica. Infatti, dicono gli autori, tutte le caratteristiche
dell’universo in cui viviamo dipendono dai valori di un insieme di costanti
cosmologiche fondamentali che, allo stato attuale della conoscenze, sono
fra loro ancora indipendenti.
L’esistenza dell’universo dipende da variazioni infinitesimali di
questi valori; l’esistenza dell’universo così come lo sviluppo della vita
sulla Terra e lo sviluppo della vita intelligente. È perciò fondamentale
studiare la struttura attuale di questo universo tenendo in gioco anche le
condizioni materiali alla base della nostra esistenza.
Il fisico John Archibald Wheeler ha suggerito una versione
alternativa del Principio Antropico Forte, aggiungendo che gli osservatori
sono necessari all’esistenza dell’universo, in quanto sono necessari alla
sua, dell’universo stesso, conoscenza. Gli osservatori di un universo
partecipano attivamente alla sua stessa esistenza, insomma. Sono i
portatori della coscienza&conoscenza del cosmo che si di dà a conoscere
a se stesso.
Il Principio Antropico, nelle sue varie versioni, sembra riconnettere,
come pensava Carter, l’uomo all’universo e l’universo all’uomo,
connessione che sembrava oscillare e non definirsi mai nella scienza
moderna inaugurata dalla “qualità dei tempi” di Copernico, Keplero,
Galileo e Newton e in poi. Punto Omega – secondo la visione del gesuita-
cosmologo Teilhard de Chardin, morto nel 1955, che ha proposto una
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teoria teologica del cosmo che precede, su altre vie, il PAC – sarebbe la
meta finale del cosmo e del suo germoglio principale, la specie umana. Il
Punto Omega è la redenzione estrema, connessa con il ricongiungimento
nuovissimo e finale della divinità con l’uomo e viceversa, il Cristo-
Universale, secondo de Chardin2.
Affascinato dalla cosmologia del secolo XX, da umanista laico e
letterario, pronuncio una riflessione personale da dentro la mia ricezione e
riformulazione umanistica della debolezza e/o fortezza del PAC. Per
trovare una strada di mezzo tra queste definizioni scientifiche, ma per noi
anche immaginarie – lo stesso Barrow ha trattato molto dell’immaginario
– nel senso estremo del termine, ma senza evocare divinità assolute e tristi
o Antichi Alieni). Sostengo che tra il PAC debole e quello forte è possibile
intuire ed enunciare una proposta mediana che, tra l’altro, abbatte il
principio del PA- Ultimo della inestinguibilità della conoscenza portata dal
PAC. Perché, fino a quando noi umani non incontreremo civiltà aliene
extra-terrestri, dobbiamo educarci a pensare nel PAC debole, e cioè, nella
postazione che Wallace Stevens propone quando dice che siamo “pensatori
senza pensieri conclusivi / in un cosmo sempre incipiente” (“Montagna a
luglio”). Il PAC può aiutare scienziati e cittadini a realizzare insieme una
cosmovisione democratica per cui noi tutti possiamo pensare il cosmo
infinito vicino, anzi a fianco e insieme, agli scienziati cosmologi. Quando
e se incontrassimo civiltà aliene, il nostro PAC si trasformerebbe in una
carta di presentazione della nostra civiltà come inconclusa ed aperta, e
allora, proprio allora, confrontabile con altre menti-storie e non soltanto
col silenzio cosmico inestinguibile, nel cui cammino solitario camminiamo
2 Barrow e Tipler esaminano il pensiero del gesuita.
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da soli, e aggiungo: “almeno fino ad ora”. Proporremmo agli alieni una
mutua comparazione per poter costruire insieme una cosmologia po-etica
in comune, come scrisse Lucrezio: ita res accendent lumina rebus [Libro
I] e inter se mortales mutua vivunt [Libro II]; se anche loro fossero mortali
come noi. Oppure, così con loro conversando, sorprenderemmo i nostri
ospiti, e/o loro sorprenderebbero noi, imprevedibilmente e dal più fondo e
in continuazione, nel raccontarci tutte le nostre storie e commentandole
insieme. Penso che questa riflessione rappresenti un passo in avanti, non
certo per la scienza cosmologica, per i fisici sarebbe solo un prodotto
immaginario strapazzino – come dice Collodi – una applicazione
superflua; ma per la ragione neo-umanistica che mi muove a pensare
sempre a favore di tutti, può essere un utensile immaginario per pensare
alle DAC tutte insieme e insieme con tutti, con una quota più alta di
scienza fantastica.
[questa scheda sul PAC è stata composta da Maria Paola Silvagni per il mio libro L’educazione del
te, Sinnos 2009; e da me implementata e ripensata nell’agosto-settembre del 2012]
Infine, propongo di aggiungere a DAC&PAC la Gilania. Di cosa si tratta?
Di una po-etica generale e di una ermeneutica storica dello sviluppo della
civiltà europea a cominciare dal X millennio prima dell’Era Volgare,
proposta da una studiosa euro-nordamericana, Riane Eisler nel 1987,
nell’opera Il Calice la Spada. La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad
oggi. Un libro tradotto in Italia nel 1996 e riedito nel 2011 dalla casa
editrice Forum di Udine, curato da Antonella Riem. In questo volume
Eisler si rifa alle scoperte della archeologa Marija Gimbutas – di origine
lituana e poi attiva come ricercatrice e docente nelle università USA di
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Harvard e UCLA – che a partire dei suoi scavi nell’Europa sud-orientale,
propose l’esistenza di una Antica Europa/Old Europe precedente alle
invasioni di quei popoli che lei chiama Kurgan, guerrieri e devastatori,
che corrispondono a quelli che noi continuiamo a definire come indo-
europei. Essi smantellarono la civiltà mediterranea orientale dell’Antica
Europa precedente, basata sul legame sociale della partnership di donne e
uomini, in un ambiente, che io chiamo “scialle di calore femminile”
(seguendo Wallace Stevens) – tessuto dalla Grande Dea. Dal 4000 inizia
nel Mediterraneo l’irruzione dei popoli kurgan, pastori nomadi, bellicosi e
dominatori maschili, in varie ondate successive. Eisler parte dalla “ipotesi
kurgan” di Gimbutas per rileggere la storia antica e moderna europea come
una successione di armate violenze portatrici di guerre invasioni e
saccheggi, di popoli patriarcali e androcentrici. Successivamente e man
mano le due civiltà si fusero e man mano l’Antica Europa fu dimenticata.
Diventammo tutti indo-europeizzati. A questa rimozione si oppose e si
oppone nel tempo un pensiero-azione, di volta in volta, memore della
civiltà della pace e della partnership sessuale e sociale reale nei tre
millenni tra il 6500 e il 3500. Eisler non propone un ritorno all’antico, ma
chiarisce passato e presente puntando sul futuro di una nuova umanità che
vivrà nella condizione partecipativa di donne e uomini tra loro pari e in
armonia, come direbbe Ungaretti. Se non così, il mondo di domani sarebbe
solo un incubo, peggiore di quello in cui viviamo oggi. A questa ipotesi
generale Eisler dà il nome di Gilania3. Eisler propone inoltre un vero e
3 La nuova parola-visione è prodotta da una connessione, così definita nel “Glossario mutuale” curato da
Stefano Mercanti a p. 407 del libro di Eisler, “Gilania: indica l’uguaglianza di status tra i due sessi come
presupposto per un’evoluzione culturale intrecciata che tenga conto della totalità della società umana; è una
struttura di pensiero e di organizzazione sociale che ha caratterizzato civiltà fiorenti come quella cretese-
minoica, contraddistinta da rispetto, solidarietà e interconnessione creativa fra uomo e donna. Il termine
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proprio quadro educativo eutopico nella cosmovisione gilanica e nella
società del partenariato, che si riassume in una premessa generale:
“bisogna soprattutto collegare gli studi scolastici alle grandi domande
esistenziali”, e in quattro componenti formative che costruiscono una
educazione alla cultura pacifica e di cura, a venire: “le relazioni
nell’infanzia, le relazioni di genere, le relazioni economiche e l’insieme di
storie, credenze e spiritualità trasmesse culturalmente” (p. 404).
Il complesso teorico e poetico composto da me tra DAC-PAC e in
connessione con l’eutopia di una Antica Europa pacifica guidata dalle
donne in un regime di mutualità – come nell’Antica Creta, in Sardegna e
nell’Italia meridionale, nell’Europa orientale e centrale – formano la Via
futura della Gilania. Una via ancora molto impervia che cambierebbe la
mente, il cuore e l’ethos degli umani, formando “indomabili credenze” per
delineare e produrre un futuro mondo migliore. “Indomabili”, perché non
si tratta di dogmi o di verità astratte, esotiche, utopiche4 e fantastiche, ma
di antiche e persistenti forme vitali soppresse e dimenticate, che
prefigurano tuttora e con forza un mondo migliore. Tutto ciò viene detto
oggi (nella nostra qualità dei tempi) in un mondo, come il nostro ora, che è
kurganissimo e perfettamente violento, corrotto, criminale, opprimente e
ingiusto. Per me, si tratta del peggiore possibile dei mondi della storia
umana.
deriva combinazione dei prefissi greci, “gi” (gyné) ‘donna’, e “an” (andros) ‘uomo’, generalmente utilizzati
per significare il femminile e il maschile, e connessi dal fonema “l”, iniziale del termine inglese linking
(unione) e in greco dal verbo lyein (spiegare o risolvere) o lyo (sciogliere e liberare) . 4 Utopia vuol dire un pensiero ideale di società umane “senza luogo”, ou-topos dall’antico greco; “eutopia” vuol dire
eu-topos, un mondo migliore da costruire insieme.
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Propongo di accogliere il pensiero di Gimbutas e di Eisler con le parole di
due poeti del tempo lungo occidentale che hanno immaginato
preziosamente la figura di una condizione umana migliore e possibile, un
po’ vicina, per me, a quella che ha proposto Riane Eisler.
Wallace Stevens,
Questo è dunque l’incontro più intenso,
È in tale pensiero che ci raccogliamo
Fuori da ogni indifferenza, in una cosa:
Entro una cosa sola, un solo scialle
Che ci stringiamo intorno, essendo poveri: un calore,
Luce, potere, l’influsso prodigioso
…….
Facciamo un’abitazione nell’aria della sera
Tale che starvi insieme è sufficiente.
“Final Soliloquy of the Interior Paramour”
in The Rock
ne Il mondo come meditazione, trad. e cura di Massimo Bacigalupo,
Parma, Guanda 1986
Ecco che ci è apparso ricomposto lo scialle/shawl e svelata la poeticità di
Wallace Stevens, uno dei miei Maestri della poesia mondiale del
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Novecento, insieme a Wisława Szymborska (WS anch’ella) e Borges, a
Montale e Pessoa, a Seamus Heaney e Derek Walcott, a Aimé Césaire e
Josif Brodski…
E, risalendo all’indietro verso l’antico:
Tito Lucrezio Caro,
[…] così l’insieme delle cose si rinnova
sempre, e i mortali vivono mutuamente le cose tra loro in comune
[…] sic rerum summa novatur
semper, et inter se mortales mutua vivunt
De rerum natura, II, 75-765
Lucrezio – poeta-filosofo epicureo del primo secolo prima dell’avvento di
Cristo – è stato dimenticato in Europa per un millennio e mezzo, osannato
da pochi e trascurato da molti; Wallace Stevens è valutato come uno dei
più grandi poeti anglo-americani del Novecento, ma anche come un
compositore di versi filosofico e astratto-meditativo. A noi servono molto
per pensare meglio, insieme a Eisler un mondo gilanico. Credo anche che
loro due abbiano scritto per tutti – non come “universali” ma da mutui –
per le donne e per gli uomini e per tutti gli altri, anche non-umani, come il
5 “De rerum natura” era il titolo che i poeti latini davano alle opere sulla natura delle cose, ed equivale letteralmente al
titolo in greco di “Perí Physeos”.
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cane che ti aspetta fiducioso o il gatto che si allontana e non si sa come,
sorride; lo testimonia Alice nel paese delle Meraviglie. Come Saffo e
Emily Dickinson, o Leopardi e Hölderlin: solo se e quando diventiamo un
colloquio (Hölderlin) e solo quando torniamo all’ “… l’onesto e netto /
Conversar cittadino, / E giustizia e pietade…” (Leopardi, “Ginestra”, ma
anche Confucio e Buddha), e solo poeticamente potremo “salvarci l’un
l’altro”, come ha scritto sui rotoli di Ercolano il filosofo epicureo
Filodemo di Gadara, vissuto nella stessa “qualità dei tempi” di Lucrezio.
DAC&PAC&GILANIA formano insieme quella che chiamo, per me, la
Porta sull’Orizzonte del mondo e nel cosmo. Vi invito a tenerne conto nei
vostri pensieri e vi auguro di trarne l’accesso a una via nuova e ulteriore,
come fa il Dalai Lama quando concepisce e scrive il suo pensiero laico e
umanistico, oltre la religione, Beyond Religion 2012, data anche della
traduzione italiana da Sperling & Kupfer.
Credo, da uomo libero, che ognuno di noi dovrebbe darsi il compito di
costruire nella vita la propria po-etica, confrontandola costantemente con i
suoi simili e con i saperi veri dell’umanità, e non solo aggiornandosi sulle
mille novità-merci telematiche. Aprendola anche e addirittura alla
singolare possibilità di un colloquio con civiltà aliene. È solo per questa
via che si può diventare anche-poetici. E questo vale specialmente per noi
docenti umanisti quasi più facilmente, per educare i bambini e i giovani,
ma anche gli anziani, all’idea-azione di una civiltà migliore: eutopica.
L’umanità di oggi crede sempre di meno ai catechismi monoteisti, e gli dei
antichi sono dimenticati da secoli. Il vuoto della assenza di divinità
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religiose deve essere pulito e riempito dalla nostra nuova conoscenza
umanistica, dalla costellazione DAC&PAC&GILANIA, ad esempio, dal
Dalai Lama e dalla Pacha Mama dei popoli indigeni meso-sudamericani e
da tanti altri che ci invitano a ragionare così, tutti insieme.
Propongo, per quanto riguarda la sperimentazione formativa dei docenti
provata in aula del curriculum di italiano&letteratura, di organizzare un
seminario nel 2012-2013 di approfondimento dell’idea formativa di
“cosmovisione po-etica” per tutti noi che lavoriamo nella conoscenza e
nella formazione di formatori e quindi delle nuove generazioni. È già
pronto un pacchetto di nuove prove in aula, sul “diventare po-etico”
mediante un approccio di “creatività critica”, perché la poesia è la “Grande
Maestra della Finezza” (J. Brodskij). Inoltre affronteremo più da vicino la
costellazione DAC-PAC-Gilania e altre cosmovisioni e teorie-azioni che
lavorano insieme transculturalmente sulle frontiere mobili del neo-
umanesimo che oggi non è più una prerogativa monopolistica della cultura
europea, ma una alleanza mondiale e plurale, e quindi, in contatto con le
po-etiche caraibiche e latino-américane, cinesi e indiane, e altre ancora,
per la costruzione in partnership di una educazione transculturale. Il
seminario, per docenti della scuola primaria e secondaria, dovrebbe
costruire 2 moduli di programma incrociati: “Dalle elementari ai Licei e
viceversa”: 1) i Bambini elementari propongono agli Adolescenti grandi la
strada della conoscenza cosmologica: DAC&PAC&Gilania per la didattica
nelle scuole superiori; 2) proposta scambiata e interconnessa con un tema
adulto da proporre alle classi primarie, sul “portato terrestre di
ingiustizia+male+guerra nel mondo”, dai grandi adolescenti delle superiori
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ai bambini seri nella loro differenza da noi adulti, a volte e diversamente
seri. (Si sa che i bambini hanno facilmente pensieri intermittenti, a volte
geniali, mentre noi ne abbiamo bizzarramente pochissimi, se pure ne
abbiamo. La nostra serietà è ottenuta da questo appiattimento sul denaro e
il successo, quella dei bambini sembra venire dalla saggezza
dell’imprevedibile).
In ultimo, vi informo di un recentissimo spunto culturale e politico su
cui potremmo pensare e agire anche noi: il governo Hollande in Francia ha
avviato il progetto di una nuova “materia” da insegnare nella scuola
secondaria: “la “morale laica”, fondata su idee di umanità e di ragione”; il
punto cruciale però, è: con quale metodo? I francesi cominciano a
discuterlo, visto che non si può insegnare “morale” come se fosse
matematica o grammatica. La mia idea è che possiamo prendere questa
ipotesi culturale riformatrice dell’educazione, anche per il futuro
dell’Europa, dalla politica francese immaginando di costruire, fatta una
preliminare esplorazione e condivisione dei valori, della storia e della
creatività critica di base per costruire un “curricolo morale”, portandolo in
aula con una strategia non dottrinaria e universalistica – la cultura gallica
soffre ancora di cartesianesimo e di universalismo illuminato, così come
noialtri italiani soffriamo di non sapere pensare la laicità come valore
primario – in un modo transculturale. Premessa: i valori morali nella
Costituzione italiana e la morale del secolo XXI; 1) comparazione delle
laicità mondiali – Confucio, Lao Tze, Buddha, Dalai Lama attuale, con i 3
Monoteismi, più agnosticismo, nuovo-umanesimo, filosofia occidentale
ecc.; 2) un progetto transdisciplinare: letteratura, storia, geografia-
ecologia, diritto, filosofia, fisica cosmologica; 3) soprattutto attraverso le
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opere d’arte che saranno i testi-base esemplari e originari, il metodo e la
via per leggere insieme i modi di presentarsi e di venire rappresentati dei
valori morali e politici tra gli umani, non attraverso i testi legislativi,
ideologici e edificanti, ma attraverso le opere d’arte del mondo:
Letteratura, Teatro, Cinema, Arti visive e Musica – dai personaggi e le
azioni di Esiodo&Omero&Eschilo a quelli di Stendhal e Dostoevskij, da
Shakespeare, Montaigne e Cervantes a Bach e Stravinskij, da Fellini e
Tarkovski a un film come Monsieur Lazhar ecc. Una educazione
laica&po-etica, dove po-etica significa creatività critica della finezza, per
sia per l’artista che per il cittadino, insieme. Il progetto francese non
riguarda la scuola primaria. Noi, invece, la cerchiamo e la rivalorizziamo,
proponendo che dentro di essa si debba e si possa cominciare ad operare
attraverso l’immaginario, dei miti e delle arti verso una poiesis mondiale e
laica, con personaggi come Pinocchio e il Piccolo Principe, o il Venerdì di
Robinson riscritto da Michel Tournier. Vi ringrazio per il vostro ascolto
generoso. Teniamoci in contatto.