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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO

PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA

E FU SUBITO LUCE… LASER 9di Massimo Inguscio

IL LASER E LA MISURA DEL TEMPO 11di Guglielmo Maria Tino

L’USO DEI LASER NELLA SPERIMENTAZIONE FLUIDODINAMICA 13di Giovanni Maria Carlomagno

GLI EFFETTI MECCANICI DELLA LUCE: DAGLI ATOMI AL DNA 16di Antonio Sasso

VORTICI DI LUCE 19di Enrico Santamato

LASER E OFTALMOLOGIA 22di Giovanni Cennamo

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Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo

www.comeallacorte.unina.it

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"La storia del laser insegna, ancora una volta,

che le grandi scoperte, spesso imprevedibili, sono il risultato

di curiosità, fantasia e sete di sapere tout-court...

la ricerca ha bisogno di tempo e fiducia"

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Massimo Inguscio, si laurea in Fisica alla Normale di Pisa nel 1972. È professore ordinario di Fisica della Materia dal 1986, prima presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II di Napoli e dal 1991 presso la Facoltà di Scienze MFN dell’Università degli Studi di Firenze. È stato co-fondatore dell'“European Laboratory for Non Linear Spectroscopy (LENS)” di Firenze, che ha diretto dal 1998 al 2004 e del Consiglio Direttivo del quale è membro. Il LENS, è riferimento internazionale per ricerche in fisica della materia e fa parte dell’European Research Infrastructure LASERLAB. È stato, tra l’altro, Presidente del Panel Costituenti Fondamentali della Materia dell’ERC, membro

dell’Advisory Group dell’ESA, della commissione FIRB del MIUR e Direttore del Dipartimento Materiali e Dispositivi del CNR. È attualmente Direttore del Dipartimento Scienze Fisiche e Tecnologie della Materia del CNR. Massimo Inguscio è socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei, dell’Istituto Lombardo (Accademia di Scienze e Lettere) di Milano, dell’Accademia Pontaniana, membro dell’ Academia Europaea e fellow della Opt. Soc. of America (OSA), della Am. Phys. Soc. (APS) e della Eur.Opt. Soc. (EOS). Per la sua attività di ricerca, Massimo Inguscio ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti in Italia e all’estero, fra cui i più recenti: Herbert Walther Aw. della OSA e della Deutsche Physik. Ges. (DFG); Premio Internazionale "Felice Pietro Chisesi and Caterina Tomassoni" (Università La Sapienza); ERC Advanced Grant (IDEAS); Ha soggiornato all’estero come visiting scientist in laboratori internazionali tra i quali NIST e JILA (Boulder, Colorado), Laboratoire de Spectroscopie Hertzienne (Ecole Normale Superieure, Paris), Institut d’Optique (Orsay), Max Planck Institute for Quantum Optics (Munich). L’attività di ricerca di Massimo Inguscio, a carattere prevalentemente sperimentale, riguarda l’interazione tra luce laser e materia e l’ottica quantistica (sviluppo di nuove tecniche di spettroscopia ad alta precisione e sensibilità, raffreddamento laser e manipolazione di gas quantistici degeneri bosonici e fermionici a temperature prossime allo zero assoluto. Massimo Inguscio è autore di più di 270 pubblicazioni su riviste di grande impatto e curatore di più di 10 libri. Per la Oxford University Press è recente autore (con L. Fallani) di: AtomicPhysics: precise measurements and ultracold matter.

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UNIVERSITÀ D STUDI DI NAPOLI FEDERICO II COME ALLA CORTE DI FEDERICO II E fu subito luce… laser

E FU SUBITO LUCE… LASER Massimo Inguscio Professore di Fisica della materia Università degli Studi di Firenze

Né io né Charlie avevamo mai sentito

parlare di distacco della retina nel 1960. Se

avessimo cercato di sviluppare nuove tecniche

per la medicina, non saremmo andati

cincischiando con l’emissione stimolata da atomi

eccitati.

Così Arthur L. Schawlow parlava del

laser che, col transistor ed il calcolatore

elettronico, è simbolo della rivoluzione

tecnologica del secolo scorso. Il laser, frutto

della comprensione “quantistica” dell’interazione

tra luce e materia a livello microscopico, ha ben

presto superato i confini del pur vasto campo

dove era stato inventato, quello dell’ottica e

della fisica della materia, per inondare di luce

nuova, è il caso di dirlo, i campi più vari e

interdisciplinari, dalla chirurgia ai lettori di

compact disc, dalla creazione di stelle artificiali

per la guida dei telescopi alla telefonia in fibra.

Nell’immaginario collettivo, al laser viene

associata un’idea di potenza, persino da arma

letale. È vero, col laser si salda, si perfora, si

tagliano vele o montature di occhiali, ma si può

anche raffreddare la materia sin quasi allo zero

assoluto (273 gradi sotto zero). Alcuni dei più di

venti premi Nobel connessi al laser sono legati a

questa nuova frontiera dove realizziamo in

laboratorio le temperature più basse

dell’universo. Atomi “”ultrafreddi” diventano

nuovi “pendoli” con cui misurare il tempo. Le

velocissime “oscillazioni” della luce laser, milioni

di miliardi in un secondo, si “contano” con

precisione tale da costruire orologi atomici che,

se fossero stati messi in funzione al momento

del “big-bang”, oggi anticiperebbero o

ritarderebbero di pochi secondi soltanto. Ancora

più giù in temperatura, a pochi miliardesimi di

grado dallo zero assoluto, gli atomi perdono la

loro individualità di particelle e degenerano in

nuovi stati della materia, un condensato di Bose-

Einstein o un mare di Fermi. In questo modo la

meccanica quantistica che nel secolo scorso era

stata protagonista di un modo tutto nuovo di

capire la realtà a livello microscopico, diventa

spinta per una seconda possibile rivoluzione

tecnologica, questa volta determinando con le

sue leggi controintuitive il comportamento di

“oggetti” macroscopici. Verranno illustrati il

funzionamento in laboratorio di nuovi “simulatori

quantistici” così come i progressi verso una

nuova generazione di calcolatori quantistici. In

questo caso “bits” atomici sono manipolati da

luce laser. Sogni, si dirà, ma come ricorda Serge

Haroche - Premio Nobel 2012 appunto per aver

aperto nuove strade per l’informazione

quantistica - e come la stessa storia del laser

insegna, l’imprevedibilità delle grandi scoperte

sono spesso risultato di curiosità, fantasia e sete

di sapere tout-court... la ricerca ha bisogno di

tempo e fiducia.

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IL LASER E LA MISURA DEL TEMPO Guglielmo Maria Tino Professore di Fisica atomica Università degli Studi di Firenze

Fin dalla sua invenzione, il laser è noto

per avere un'elevata "purezza spettrale". Come

per uno strumento musicale, questo termine

indica quanto è pura la "nota" emessa, ossia

quanto è ben determinata la frequenza. Nel caso

del laser si tratta della frequenza con cui oscilla

il campo elettromagnetico dell'onda luminosa.

La luce può essere considerata come

un'onda elettromagnetica ma anche come fatta

di particelle dette fotoni. Come proposto da Bohr

nel 1913, esattamente 100 anni fa, un fotone

può indurre in un atomo la transizione tra due

livelli di energia E1 e E2 se è verificata la

condizione E2- E1=hf, in cui h è la costante detta

di Planck e f è la frequenza dell'onda

elettromagnetica.

Questi principi della fisica quantistica

sono alla base di quello che è in questi anni uno

degli sviluppi più impressionanti in fisica, gli

orologi atomici ottici. Un orologio ottico è basato

su un laser la cui frequenza viene riferita al

valore per cui si ha la transizione in un atomo. Il

tic-tac dell'orologio è allora costituito dall'oscil-

lazione dell'onda laser che avviene un milione di

miliardi di volte al secondo. Se si sceglie

un'opportuna transizione atomica, la frequenza

del laser può essere fissata in modo da emettere

una "nota perfetta". Per avere una frequenza

così stabile, l'atomo di riferimento non deve

muoversi perché altrimenti l'effetto Doppler

(quello dell'autombulanza...) porterebbe a una

variazione della frequenza. Di nuovo il laser ci

viene in aiuto: utilizzando la luce laser si riesce a

raffreddare un gas di atomi quasi allo zero

assoluto e a intrappolarli in modo che siano

praticamente fermi.

A Firenze, per esempio, partendo da

esperimenti che avevamo iniziato 20 anni fa

presso il Dipartimento di Fisica di Napoli,

abbiamo recentemente realizzato un orologio

atomico ottico con atomi di stronzio raffreddati e

intrappolati con luce laser. Con un sistema di

fibre ottiche l'orologio verrà collegato ad altri

simili che si stanno sviluppando in Europa

creando una rete di orologi di altissima

precisione sincronizzati tra di loro.

Per avere un'idea di cosa si riesce a

ottenere oggi nei laboratori, un orologio ottico

sbaglierebbe di meno di un secondo su un tempo

dell'ordine dell'età dell'universo. Questo è 100-

1000 volte meglio dei migliori orologi finora

realizzati.

A cosa può servire tutto questo? La

migliore risposta è quella che fu data proprio a

proposito del laser: "una soluzione alla ricerca di

un problema". Gli inventori del laser non

avrebbero mai immaginato che la loro scoperta

avrebbe rivoluzionato campi tanto diversi e

risolto tanti problemi.

La misura accurata del tempo ha sempre

giocato un ruolo molto importante per diverse

applicazioni e in particolare nella navigazione.

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Orologio atomico ottico sviluppato dal gruppo del prof. Guglielmo Tino presso il laboratorio LENS e il Dipartimento di Fisica dell'Università degli Studi di Firenze.

Utilizzando atomi di stronzio intrappolati e raffreddati quasi allo zero assoluto dalla luce laser, sono stati realizzati un orologio atomico ottico e un

nuovo sensore quantistico per misure di altissima precisione del tempo e della gravità.

Come già avviene per il GPS, si può immaginare

che orologi molto più precisi saranno importanti

per la futura navigazione nello spazio. Gli orologi

atomici ottici stanno già aprendo prospettive

finora impensabili quale lo studio in laboratorio

della relatività generale che prevede che lo

spazio-tempo sia influenzato dalla gravità.

Metodi simili vengono utilizzati per realizzare

nuovi sensori quantistici, gli interferometri

atomici basati sul dualismo onda particella per

un atomo, con cui si può studiare la gravità e

magari in futuro rivelare le onde gravitazionali.

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L’USO DEI LASER NELLA SPERIMENTAZIONE FLUIDODINAMICA Giovanni Maria Carlomagno Già Professore di Gasdinamica Università degli Studi di Napoli Federico II

Nella fluidodinamica, la caratterizzazione

dei campi di moto risulta fondamentale.

Dapprima, ciò è stato eseguito soprattutto con

l'uso di sonde immerse nella corrente, la cui

influenza sul campo non si può eliminare del

tutto. Ci sono, poi, casi (fiamme, plasma, fluidi

aggressivi) nei quali è difficile inserire una sonda

nella corrente. In questi casi, ma non solo, si

ricorre a tecniche di misura ottiche. Queste

ultime, peraltro grazie all’impiego del laser,

hanno dischiuso una estesa gamma di metodi

molto accurati e insostituibili. I metodi ottici

sfruttano le peculiari caratteristiche dei fasci di

luce laser: alcuni utilizzano la loro grande

capacità di collimazione, altri le più complesse

caratteristiche di coerenza spaziale e temporale,

altri ancora la concentrazione di potenza.

Inizialmente, il laser è stato utilizzato

solo come sorgente luminosa nei metodi basati

sulla densità del fluido. Questi metodi

consentono di rilevare variazioni di densità

dovute a variazioni di temperatura, e/o di

velocità, e/o di composizione. La variazione della

densità produce una variazione dell'indice di

rifrazione del fluido che, a sua volta, cambia la

velocità di propagazione della luce e influenza la

traiettoria (rifrazione) e la fase dei raggi

luminosi che lo attraversano. Adeguati sistemi

ottici consentono di rilevare alternativamente lo

spostamento (metodo delle ombre, shadograph),

o la deflessione (schlieren e interferometro

differenziale), o il ritardo di fase (interferometro)

dei raggi mediante variazioni della luminosità o

del colore sull'immagine ottenuta. Essi sono

rispettivamente sensibili ai gradienti dei

gradienti della densità, ai gradienti di densità e

alla densità stessa. Nelle tre immagini della

figura sono mostrate l’aura, che circonda ogni

essere umano, intorno a una ragazza

(shadograph), la presa d’aria di un turbojet

supersonica a Mach 2 (schlieren) e lo sviluppo di

una piuma termica che ricorda quella che segue

un’esplosione atomica. Nell’ultimo caso, a ogni

frangia (linea nera) corrisponde una data

temperatura del fluido.

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Un esempio più familiare è costituito

dall’immagine della fiamma di una candela dove,

ancora una volta, a ogni frangia corrisponde una

determinata temperatura dei prodotti della

combustione.

Nella sperimentazione fluidodinamica, il

laser non è stato solo utilizzato come sorgente

luminosa, ma ha anche generato lo sviluppo di

metodi completamente nuovi come

l’anemometria laser doppler (LDA), l'olografia, la

Particle Image Velocimetry (PIV) e

l'interferometria olografica.

L’aria e molti fluidi sono trasparenti alle

radiazioni luminose e non si vedono; però alcuni

metodi ottici possono essere adoperati se il

fluido è inseminato con particelle (seeding) che

diffondono la luce impingente su di esse.

Affinché le particelle operino come indicatori

della velocità del fluido, anche quando questa

varia rapidamente nel tempo (turbolenza), esse

debbono avere un’inerzia molto bassa, quindi

bassa densità e, specialmente, basso volume

(diametro di alcuni micron).

La LDA misura la velocità del fluido dalla

differenza di frequenza tra la luce che colpisce la

particella in moto e quella da essa diffusa e

ricevuta dal rilevatore (effetto Doppler). La

misura è puntuale (in un punto). Nella PIV

invece, due lame di luce (laser sheets)

consecutive illuminano una sezione del campo di

moto e, dallo spazio percorso nell’intervallo di

tempo che separa le due immagini successive, si

misura la velocità delle particelle. A differenza

della LDA, la PIV consente l'esame di una intera

sezione del campo di moto e quindi la misura

della velocità sull’intero piano. In genere, si

misurano le due componenti della velocità nel

piano illuminato ma, con un approccio

stereoscopico (due telecamere, Stereo PIV), è

possibile ottenere anche la terza componente. La

conoscenza dettagliata del campo dei vettori

velocità consente anche di ricavare le traiettorie

istantanee delle particelle di fluido alcune delle

0 0.5 1 1.5 2 2.50

0.5

1

1.5

2

2.5 0.109

0.088

0.067

0.046

0.024

0.003

-0.018

-0.039

-0.061

-0.082

-0.103

-0.124

-0.146

-0.167

-0.188

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quali sono riportate in figura per un getto

impingente su una parete con la connessa

vorticità indicata dai differenti colori. Da pochi

anni a questa parte e grazie anche all’avvento di

laser pulsati di elevata potenza, la PIV si è

evoluta nella Tomo PIV che consente di misurare

i vettori velocità, tempo risolti, non solo su un

piano ma addirittura in un dato volume del

campo di moto. Misura tridimensionale (tre

componenti) in un campo tridimensionale

(volume) della quale è riportato un esempio in

figura per lo stesso getto impingente su una

parete. Si notano i vortici toroidali che

circondano il getto effluente dall’ugello posto in

alto e come essi si fratturino nell’impatto con la

parete. Tutto ciò porterà a una migliore com-

prensione di alcuni fenomeni che avvengono nei

campi fluidodinamici (in particolare della turbo-

lenza) e a una migliore taratura dei metodi

numerici cui la sperimentazione è sempre

necessaria.

Occorre poi osservare che quanto sopra

riportato, soprattutto nel caso della PIV, risulta

possibile a fronte di un sostanziale apporto di

natura computazionale per elaborare le immagini

ottenute. Naturalmente, questo breve appunto

non intende essere esaustivo nella descrizione

dell’impiego dei laser negli studi di fluido-

dinamica, ma ne rappresenta alcuni passi

salienti.

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GLI EFFETTI MECCANICI DELLA LUCE: DAGLI ATOMI AL DNA

Antonio Sasso Professore di Fisica della materia Università degli Studi di Napoli Federico II

È ben noto che la luce trasporta energia.

Già Archimede lo aveva intuito costruendo i suoi

specchi ustori per incendiare le navi romane. In

natura i quanti di luce (fotoni) costituiscono il

carburante del processo di fotosintesi

clorofilliana che trasforma anidride carbonica e

acqua in glucosio, uno dei processi alla base

della vita sulla Terra.

Meno noti sono, invece, gli aspetti

meccanici della luce, ovvero la sua capacità di

esercitare forze o momenti sui corpi, ossia di

muovere e ruotare oggetti. Fu l’astronomo

tedesco Johannes Kepler (1571-1631) che, per

la prima volta, attribuì la formazione delle code

delle comete al cosiddetto “vento solare” che

spinge i micro-cristalli di ghiaccio che circondano

il nucleo della cometa (fig. 1). Solo alcuni secoli

dopo, J. Clerk Maxwell (1831-1879) spiegò con

la sua teoria elettromagnetica come la

radiazione elettromagnetica fosse in grado di

produrre una “pressione di radiazione” sui corpi.

In termini quantistici, a ciascun fotone di energia

h è associata una quantità di moto pari a h /c,

essendo h la costante di Planck, la frequenza

della radiazione e c la velocità della luce. Quan-

do i fotoni sono riflessi o attraversano un corpo,

rilasciano parte di questa quantità di moto e, per

la seconda legge di Newton, esercitano una forza

su di esso. Ciò significa che quando siamo

esposti alla luce solare, oltre a riscaldarci (e

abbronzarci) siamo sottoposti ad una forza

meccanica. Tuttavia, tale forza è estremamente

piccola rispetto alla forza peso che ci tiene legati

alla Terra, quindi risulta impercettibile ai nostri

sensi.

Le cose cambiano drasticamente quando

consideriamo oggetti di massa molto più piccola

come, ad esempio, atomi o anche oggetti di

dimensione micrometrica.

In quest’affascinante avventura scientifi-

ca il laser ha avuto un ruolo determinante grazie

alle sue peculiari proprietà di monocromaticità,

di direzionalità e di elevata intensità. Sfruttando

la quantità di moto trasportata da fasci laser è

oggi possibile manipolare atomi e molecole

rallentandoli quasi da arrestarli del tutto. Ciò ha

portato, a partire dalla materia gassosa, alla

realizzazione di un nuovo stato della materia,

previsto dalla teoria quantistica ma osservato

soltanto in particolari sistemi (elio liquido e

fenomeni di superfluidità). Questi sistemi,

realizzati per la prima volta nel 1995 da Eric

Cornell (premio Nobel per la Fisica 2001), vanno

sotto il nome di condensati di Bose-Einstein e le

tecniche per ottenerli prendono il nome di

raffreddamento laser (laser cooling).

Ma gli effetti meccanici della luce

risultano efficaci anche per manipolare oggetti di

dimensioni molto maggiori di quelle atomiche.

Infatti è oggi possibile controllare la posizione di

particelle di dimensioni che vanno dalle decine di

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nanometri (1 nm = 10-9 m) fino ad alcune

decine di micrometri (1 m = 10-6 m). Queste

dimensioni sono prossime a quelle del mondo

macroscopico e, per questo, sembra quasi

realizzarsi l’idea fantascientifica nel film Star

Trek di spostare oggetti con la luce (fig. 1).

La possibilità di poter manipolare oggetti

di dimensioni micrometriche non costituisce un

mero fatto speculativo perché queste tecniche

sono state estese con successo alla biologia.

Oggi è infatti possibile manipolare con la luce,

quindi senza nessun contatto meccanico e senza

danneggiamenti termici, singole cellule o,

addirittura, singole molecole di DNA con

conseguenze affascinanti per lo sviluppo della

biologia e della medicina. Questi sistemi vengo-

no chiamati “pinzette ottiche” (optical tweezers)

(fig. 2) e sono alla base di metodi d’indagine

oramai assai diffusi in esperimenti di

biomedicina avanzati e che mirano, ad esempio,

alla diagnosi precoce su base di singola cellula di

malattie come il cancro, o alla possibilità di

selezionare uno specifico tipo di cellule. L’utilizzo

delle pinzette ottiche ha anche permesso di

studiare in modo quantitativo motori micro- e

nano-metrici che regolano i movimenti nel

nostro corpo a livello molecolare (molecular

motors) come, ad esempio, il movimento

flagellare dei batteri, il sistema actina-miosina

presente nei sarcomeri dei muscoli o il traffico di

proteine all’interno del citoplasma delle cellule

(fig. 2).

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Fig.2 (A) Un’immagine suggestiva di una pinzetta ottica. A differenza di una comune micro-pipette

usata in biologia in una pinzetta ottica non vi è alcun contatto meccanico. (B) Una cellula intrappolata con pinzette ottiche e manipolata con altri fasci laser che fanno da forbici laser (laser

scissor). (C) Esempio di motore molecolare actina-miosina. Il filamento di actina viene teso con due pinzette ottiche mentre la miosina, legata ad una terza sferetta, cammina lungo il filamento in presenza di ATP.

Fig.1 (A) Formazione della coda di una cometa quando si avvicina al sole. Ad un’analisi attenta si osservano in

realtà due code: una è prodotta dalla pressione di radiazione, la seconda da particelle ionizzate. (B) Un’immagine del fiim “Star Trek” con capitan Spoke dove fasci di luce sono in grado di spostare oggetti

Sole

cometa

(A) (B)

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VORTICI DI LUCE Enrico Santamato Professore di Ottica quantistica Università degli Studi di Napoli Federico II

Gli antichi yogi indiani indicano con il

nome “vortici di luce” (o “chakra”, che significa

“ruota” in sanscrito) i vortici perenni generati dai

flussi di energia vibrazionale che compongono i

nostri corpi. Oggi i vortici di luce sono una

realtà. Non si tratta dei “chakra” tantrici, bensì

di veri e propri vortici di luce o, più in generale,

di vortici di energia elettromagnetica generati in

laboratorio. Sebbene le equazioni fondamentali

dell’elettromagnetismo di Maxwell (1865)

prevedessero la loro esistenza, la scoperta e i

primi studi sperimentali sui vortici di luce

risalgono a una ventina di anni fa (Allen et al.,

1992).

Da allora le tecniche di generazione,

manipolazione e analisi dei vortici di luce sono

notevolmente migliorate e il numero di applica-

zioni ha continuato crescere e, probabilmente,

continuerà a crescere in futuro. I vortici di luce

hanno proprietà davvero inaspettate. Nei fasci a

vortice, per esempio, i raggi di luce non

viaggiano in linea retta, ma spiraleggiano

attorno all’asse del fascio creando, appunto, un

vortice. Il numero di lunghezze d’onda in cui un

raggio di luce del vortice compie un giro

completo attorno all’asse del fascio è un numero

intero, che caratterizza la “vorticità” (o “carica

topologica”) del vortice. I vortici ottici possono

avere elicità destra o sinistra. Per convenzione, i

vortici con elicità sinistra hanno vorticità positiva

(un cavatappi che gira nel verso del vortice

procede lungo la direzione di propagazione del

fascio) e quelli con elicità destra hanno vorticità

negativa. Al centro del vortice il campo

elettromagnetico si annulla, creando un profilo

d’intensità dalla caratteristica forma a ciambella.

Sebbene il campo di un vortice di luce sia

oscillante e abbia le proprietà di ogni altra onda

elettromagnetica, il suo centro è un punto

singolare (una singolarità anche dal punto di

vista matematico!) e non è soggetto ai fenomeni

caratteristici delle onde come la diffrazione. A

ogni fotone del vortice è associato un momento

angolare orbitale (OAM) pari al valore intero

della sua vorticità in unità di ( = 1,05×10 34

N m s) è l’unità fondamentale di momento

angolare). Il momento angolare orbitale

trasportato dal vortice non deve essere confuso

con il momento angolare “di spin” (SAM)

associato alla polarizzazione circolare destra o

sinistra della luce. A differenza dell’OAM il SAM

può assumere solo i due valori ± per fotone ed

è conosciuto da molto tempo grazie agli studi

pionieristici di Poynting (1909) e alle misure

optomeccaniche di Beth (1936). Il momento

angolare del vortice e quello della polarizzazione

circolare sono indipendenti l’uno dall’altro e

possono essere sommati e/o sottratti tra loro.

Alla luce delle notevoli e, per certi versi,

sorprendenti proprietà dei vortici di luce, appare

credibile il fatto che la possibilità della loro

esistenza, pur prevista dalla teoria

elettromagnetica maxwelliana, sia stata

trascurata per più di un secolo. Le peculiarità dei

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vortici elettromagnetici hanno destato un grande

interesse nella comunità scientifica,

incoraggiando studi approfonditi di fisica di base

e la messa a punto di nuove tecnologie per la

loro generazione, manipolazione e rivelazione.

Ben presto sono apparse applicazioni dei vortici

ottici in campi anche molto distanti tra loro. Una

delle prime applicazioni è stata la realizzazione

di micromotori ottici (micropompe ottiche, ad

esempio) che sfruttano la pressione di radiazione

del vortice per trasmettere momento angolare e

mettere così in rotazione attorno all’asse del

fascio particelle micrometriche intrappolate in

una pinza ottica. Oggi è possibile intrappolare

otticamente piccole particelle come pollini o

cellule (globuli rossi, ad esempio) e ruotarli a

piacere sotto il microscopio per studiarli da ogni

angolazione. Sempre nell’ambito della micro-

scopia ottica, l’assenza di diffrazione del-

l’”occhio” del vortice ha permesso di sviluppare

una tecnica di microscopia ottica in fluorescenza

con risoluzione molto al di sotto della lunghezza

d’onda (fino a 40 nm). Sull’assenza di diffrazione

e sul campo rigorosamente nullo nel centro del

vortice si basa anche la coronografia, una

nuovissima tecnica ottica che rende un

telescopio capace di individuare i pianeti

extrasolari. Successivamente si è studiato il

problema dei vortici ottici dal punto di vista del

campo quantizzato. Da questi studi sono nate

nuove trappole per atomi freddi e studi

fondamentali sui vortici nei condensati di Bose-

Einstein e su altre eccitazioni collettive dei

materiali come polaritoni e plasmoni di super-

ficie. Ma l’applicazione forse più promettente del

momento angolare dei vortici quantizzati è

quella nel campo delle telecomunicazioni dove si

pensa di sfruttare lo spettro infinito e discreto

dell’OAM per codificare grandi quantità di

informazione in un singolo fotone. Recenti

proposte in questo campo comprendono l’uso

dell’OAM per telecomunicazioni satellitari e

terrestri, per più efficienti protocolli di

crittografia quantistica e per comunicazioni

ultraveloci in fibra ottica. Recentemente si è

riusciti a generare vortici di luce direttamente in

un chip integrato di silicio e con tale dispositivo

si è riusciti a inviare fino a 1,6 terabit al secondo

in fibra ottica. Sono ormai in molti a credere la

grande quantità di bit che il vortice permette di

codificare in ogni fotone porterà a una nuova

generazione di connessioni web in fibra con

velocità molto maggiori dell’attuale ADSL. Ma

non c’è dubbio che molte altre applicazioni dei

vortici ottici sono lì che aspettano di essere

scoperte. Basti pensare che solo dal nostro

ateneo sono nati in pochi anni brevetti basati sui

vortici di luce che vanno da dispositivi per

misurazioni ultrasensibili di angolo a dispositivi

per comunicazione tra satelliti insensibili alla loro

rotazione, a filtri elettrici e magnetici in grado di

generare in un normale microscopio elettronico

fasci di elettroni polarizzati (con gli spin, cioè,

tutti paralleli tra loro).

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Tipico profilo a ciambella di un vortice ottico

Interferogramma di un vortice ottico

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LASER E OFTALMOLOGIA Giovanni Cennamo Professore di Malattie apparato visivo Università degli Studi di Napoli Federico II

In oftalmologia si utilizzano principal-

mente l'Argon laser, il Nd:YAG laser, il laser a

diodi e il laser ad Eccimeri.

L'Argon laser produce una radiazione

compresa nella parte blu/verde dello spettro.

Tali lunghezze d'onda vengono ben trasmesse

dai mezzi diottrici del bulbo e ben assorbite

dall'epitelio pigmentato, pigmenti ematici, vasi

retinici. Determinano una fotocoagulazione dei

tessuti colpiti. Il laser ad Argon è comunemente

utilizzato nella delimitazione di zone retiniche

periferiche degenerate o caratterizzate dalla

presenza di fori o rotture, allo scopo di prevenire

il distacco di retina. Sempre il meccanismo della

fotocoagulazione Argon viene utilizzato in

numerose patologie vascolari della retina,

laddove per sofferenza delle arterie e/o delle

vene tributarie si determinano lesioni tissutali

anche irreversibili. Ad esempio nella retinopatia

diabetica l'azione coagulante diretta sulle zone

ischemiche può preservare la retina sana.

Lo YAG laser emette nello spettro

dell'infrarosso e viene utilizzato soprattutto per il

suo effetto foto-meccanico, dirompente sui

tessuti che colpisce. Esplica anche un’azione

termica. L'effetto ionizzante-meccanico dello

Nd:YAG laser viene sfruttato in diversi quadri

clinici. Primo fra tutti la così detta cataratta

secondaria o opacizzazione della capsula

posteriore. Tale quadro insorge alcune settimane

dopo l'intervento di asportazione del cristallino

catarattoso con impianto di IOL (lente

intraoculare). La membrana fisiologica sulla

quale la IOL viene adagiata può opacizzarsi con

notevole impedimento visivo. Focalizzando il

raggio laser su tale struttura si può produrre una

breccia centrale che consente il ripristino della

visione ottimale da parte del paziente. Altra

indicazione di utilizzo frequente dello YAG laser è

il glaucoma ad angolo stretto o chiuso, dove

attraverso l'azione del laser si determina un foro

nell'iride al fine di ripristinare la normale

idrodinamica oculare. Tale iridotomia può anche

avere significato preventivo nell'occhio sano.

I laser ad Eccimeri emettono radiazioni

nel campo dell'ultravioletto e interagiscono con i

tessuti attraverso un effetto fotochimico,

determinando anche la dissoluzione dei legami

chimici. Tale laser ha la potenzialità di

vaporizzare ad ogni impulso uno strato di

tessuto di pochi Armstrong senza danneggiare i

tessuti circostanti con effetto termico. Nella

pratica oftalmologica, tali apparecchi vengono

utilizzati nella correzione delle ametropie e in

particolare della miopia. Si esegue una vera e

propria fresatura della parte centrale "ottica "

della cornea di uno spessore pari a compensare

le diottrie in eccesso. Tale appiattimento della

superficie corneale diviene possibile e

atraumatico per le particolari caratteristiche di

tale raggio che dissolvendo frazioni piccolissime

di tessuto, non intacca il territorio circostante, e

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permette un agevole e rapido processo di

cicatrizzazione e di riepitelizzazione.

Il laser pulsato a femtosecondi (FEMTO)

utilizza luce infrarossa con spots della grandezza

di pochi micron e di breve durata, inferiore

rispetto ai laser ad eccimeri. Lo spot del

femtolaser crea un taglio senza usare la lama:

agendo con un movimento curvilineo all’interno

del tessuto, fa resezioni piccolissime. Applicazio-

zioni di tale nuovissima tecnologia sono la

chirurgia refrattiva e la chirurgia della cataratta.

La termoterapia trans-pupillare è utilizzata nel

trattamento del melanoma della coroide. II

riscaldamento a circa 45°-60°C del tumore

mediante un laser a infrarosso attraverso la

pupilla determina la necrosi tumorale. Tale

metodica è generalmente utilizzata in

associazione alla radioterapia.

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