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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO
PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA
I PARADOSSI DELLA MEDICINA TRA SCIENZA E UMANITÀ 9 di Armido Rubino LA PRATICA MEDICA ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO 11 di Paolo Valerio MEDICALIZZAZIONE DELLA ‘MORTE’ 13 di Gianfranco Pecchinenda I PROGRESSI DELLA MEDICINA SCIENTIFICA 15 di Ivan Cavicchi LA MEDICINA PREDITTIVA ED I TEST GENETICI 17 di Francesco Salvatore LA CRISI DI COSCIENZA DELLA MEDICINA E LA MEDICINA NARRATIVA 19 di Franca Parizzi
Gli imponenti progressi scientifici dell’ultimo secolo e le conseguenti possibilità della medicina hanno determinato straordinari miglioramenti nelle
condizioni di salute delle popolazioni, del tutto inimmaginabili nella prima metà dell’ultimo secolo. Ciò malgrado, ovunque nel mondo e particolarmente nei Paesi più evoluti socialmente e scientificamente, i rapporti di fiducia fra
popolazioni e sistemi sanitari e tra medici e pazienti appaiono in crisi. La conflittualità in aumento e il crescente e diffuso ricorso alle cosiddette “medicine alternative e complementari” ne sono i segnali più evidenti.
Si tratta di un apparente paradosso che trova spiegazione – e conseguente potenziale inversione di tendenza – nel complesso intreccio tra aspetti
scientifici, tecnici, umani e relazionali della medicina.
Armido Rubino
Armido Rubino nasce a Napoli il 3 giugno 1937. Formazione � Università di Napoli e Parma Corso di laurea in Medicina e Chirurgia � 1961 Università degli Studi di Parma Laurea in Medicina e Chirurgia, 110/110 con lode � 1961/1964 Kinderspital dell’Università di Zurigo 3 anni di specializzazione in pediatria � 1968/1970 Università Harvard - Boston Usa 3 anni di specializzazione nella clinica e nella ricerca scientifica su problemi attinenti la pediatria
Attività Accademica � 1964/1971 Assistente Ordinario di Pediatria - Università di Sassari e di Napoli. � 1972/1979 Professore di Puericultura - II Facoltà di Medicina di Napoli. � 1980/2009 Professore Ordinario di Pediatria
Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Napoli Federico II. � 1989/2005 Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli Studi di Napoli Federico II. � Per 3 anni Direttore Istituto medico-chirurgico di Pediatria II
Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università degli Studi di Napoli Federico II. � Per 7 anni Direttore del Dipartimento di Pediatria
Università degli Studi di Napoli Federico II � Per 6 anni Direttore della Scuola di Specializzazione in Puericultura. � Per 6 anni Direttore del Dottorato di Ricerca in Scienze Pediatriche. � Socio della Dean’s European Academic Network. Attività scientifica � È autore di oltre 400 pubblicazioni scientifiche, sulle più importanti riviste pediatriche
internazionali. � È stato componente di Comitati Editoriali di riviste scientifiche internazionali e fondatore di
Italian Journal of Pediatrics, organo ufficiale della Società Italiana di Pediatria della quale è stato Redattore Capo e Direttore.
� È fondatore della European Society for Pediatric Gastroenterology and Nutrition. � Socio di numerose Società scientifiche nazionali ed internazionali. � Presidente della Società Italiana di Pediatria. � Fino al 2008, Presidente del Collegio dei Professori Universitari di Pediatria. � Rappresentante della Società Italiana di Pediatria nella Confederazione dei Pediatri Europei-
CESP. � Presidente dell’Unione delle Società Europee di Pediatria oggi “European Paediatric
Association”. � Direttore Sanitario del Policlinico dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. � Presidente del Centro Studi del Ministero della Sanità. � Presidente della Commissione Infanzia del Ministero della Sanità, che promosse il primo
progetto obiettivo materno infantile in Italia. � Componente e Presidente del “Comitato Garanti” del Ministero dell’Università per i Progetti di
Ricerca di interesse nazionale. Attività attuali � Presidente della Società Italiana di Ricerca Pediatrica. � Past-President e Membro del Council della ‘European Paediatric Association’. � Membro rappresentante la ‘Regione Europea’ nel Comitato Direttivo della ‘International Paediatric Association’. � Chairman del Comitato Scientifico di ‘Europaediatrics 2011’ - Vienna.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II I paradossi della medicina tra scienza e umanità
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
I PARADOSSI DELLA MEDICINA TRA SCIENZA E UMANITÀ Armido Rubino già Professore di Pediatria Università degli Studi di Napoli Federico II
La Medicina, a partire dalla seconda
metà del novecento, è percorsa da due processi
in apparente contraddizione tra loro. Per un
verso c’è stata un’imponente esplosione di
conoscenze scientifiche, tale da accrescere
enormemente le possibilità di prevenzione,
diagnosi e cura delle malattie. Si è andata così
sviluppando una “medicina basata sull’evidenza”
che ha avuto straordinari effetti sulla Salute.
Basti riflettere sul contributo fornito al graduale
passaggio da una “attesa media di vita alla
nascita” di 43 anni nel 1901 fino a 79 anni per i
maschi e 84 per le femmine nel 2007 (dato
relativo all’Italia e tra i migliori al mondo).
Tuttavia – qui è l’apparente paradosso –
parallelamente si sviluppava una crisi segnata da
crescente sfiducia da parte delle popolazioni nei
confronti dei sistemi sanitari e da parte dei
pazienti nei confronti della Medicina.
I segni più evidenti della crisi sono due.
Anzitutto la crescente tendenza a denunciare i
comportamenti dei medici con la conseguente
conflittualità giudiziaria, che provoca una
pessima “medicina difensiva”, la quale a sua
volta accentua il calo di fiducia in un circolo
vizioso. Inoltre è crescente il ricorso alla
cosiddetta “medicina complementare e alterna-
tiva”: l’insieme di presidi, prodotti, pratiche e
sistemi di cura non considerati parte della
medicina convenzionale.
L’analisi delle cause dell’apparente
paradosso gira intorno al concetto che il
paziente, oggi come sempre, chiede al medico
sia competenza che disponibilità. Ma, mentre il
progresso scientifico ha elevato la competenza,
la disponibilità è entrata in crisi per diversi
motivi.
La proliferazione delle specialità, lo
sviluppo della tecnica e la moderna
organizzazione dei sistemi sanitari possono
ostacolare il dipanarsi del rapporto diretto fra
medico e paziente, fatto di anamnesi, dialogo,
partecipazione, reciproca comprensione.
La comunicazione elettronica, nella sua
tumultuosa evoluzione, consentendo a tutti
l’accesso alla conoscenza, espone tutti alle
opinioni più diverse non necessariamente
controllate, cosicché internet può essere di
grande ausilio ma anche disturbante sotto
l’aspetto dell’educazione sanitaria e della qualità
del rapporto fra medici e pazienti. Gli stessi
progressi offerti dalla scienza e dalla tecnica per
la cura delle malattie possono produrre attese
non realistiche, in quanto tali destinate a
divenire pretese e a essere deluse.
Come reagire a tale situazione? Le
proposte vanno da quella di un vero e proprio
“ripensamento della medicina” con
aggiornamento dello stesso paradigma
scientifico, fino all’introduzione di nuovi modelli
nella pratica e nella formazione, quali ad
esempio la “medicina narrativa” accanto alla
“medicina basata sull’evidenza”. In ogni caso
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II I paradossi della medicina tra scienza e umanità
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forti cambiamenti appaiono necessari, sia nelle
pratiche assistenziali che nei processi formativi,
nella consapevolezza che la Medicina, pur basata
su conoscenze scientifiche, consiste in un
intreccio di relazioni fra persone. C’è altrimenti il
rischio, se non la certezza, che si smarrisca il
concetto stesso di Medicina nel suo significato
più autentico: risposta al bisogno della persona
di chiedere aiuto nella sofferenza, nel dolore, nel
disagio, nell’ansia, e di ricevere comprensione,
consigli, informazioni, risposte. Perché la
risposta a tali bisogni resti fondamento della
Medicina, è importante che questa resti bene
ancorata sia alla cultura tecnico-scientifica sia a
quella umanistica e alla relazione fra le persone.
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LA PRATICA MEDICA ALLE SOGLIE DEL TERZO MILLENNIO Paolo Valerio Professore di Psicologia clinica Università degli Studi di Napoli Federico II
Negli ultimi decenni il lavoro del medico
è andato incontro a radicali cambiamenti
connessi alle trasformazioni della nostra società
ed al progresso tecnologico che hanno
consentito alla medicina di raggiungere
straordinari risultati. Ne sono derivate
conseguenze sul rapporto che il paziente
stabilisce con il medico e sull’organizzazione
dell’assistenza sanitaria. La diffusione delle
conoscenze anche attraverso internet, il
controllo sociale sull’operato del medico, il
carattere sempre meno carismatico della sua
figura, la presenza di condizioni in cui la stessa
conoscenza scientifica è sempre meno connotata
da certezze e meno garante di verità oggettive,
l’aziendalizzazione delle istituzioni sanitarie che
ha comportato l’affermarsi di criteri economici
anche alla base delle decisioni cliniche, hanno
messo in crisi il ruolo del medico a cui il paziente
non sempre si rivolge con fiducia come
generalmente accadeva in passato. D’altra
parte, lo sviluppo delle biotecnologie e la loro
applicazione in vari campi della medicina
(trapianti d’organo, manipolazione di materiale
genetico, pratiche di procreazione assistita,
eutanasia) hanno fatto sì che il medico si trovi
spesso di fronte a delicate scelte decisionali e sia
impegnato in un rapporto col paziente in cui
entrambi sono attivamente coinvolti. Il medico,
pertanto, è chiamato sempre più spesso a
svolgere compiti o a risolvere problemi che non
sono di esclusiva natura medica e che non sono
riducibili ai concetti di malattia, cura e
guarigione, ma riguardano scelte esistenziali,
posizioni etiche, bisogni psicologici e
problematiche psicosociali. Si va sempre più
sviluppando quella che potremmo definire
“medicina del benessere”, nella quale il medico è
chiamato non tanto ad eliminare una malattia o
a sanare un organo ammalato, bensì a
soddisfare un desiderio, per esempio quello di
gravidanza, di una coppia che non riesce ad
avere figli per via naturale. In tali situazioni gli
stessi concetti di malattia e salute si rivelano di
non facile ed univoca definizione, andando al di
là dello specifico campo medico. Pertanto, in
assenza di un’adeguata e specifica formazione,
c’è il rischio che si verifichi la medicalizzazione di
aspetti della vita personale e vengano ignorate e
sottovalutate le componenti emozionali di cui il
medico non è sempre in grado di farsi carico.
Recenti casi di cronaca (penso al caso Englaro)
hanno reso noi tutti consapevoli delle implica-
zioni di ordine medico legale, etico, sociale e
psicologico connesse ai progressi della moderna
medicina. Da ciò deriva che la pratica medica
alle soglie del terzo millennio non possa più fare
riferimento a verità universalmente condivise ed
avverta il bisogno di rivolgersi ad altri saperi e
valori che guidino le sue scelte e fissino i limiti
delle sue possibilità. Tutto ciò è testimoniato
dall’attenzione sempre maggiore prestata nelle
Facoltà Mediche all’insegnamento delle Scienze
Umane, sollecitata sia dai progressi della
medicina sia dall’esigenza di recuperare nella
formazione del medico quelle irrinunciabili
dimensioni umanistiche che un approccio di tipo
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tecnicistico aveva inizialmente messo da parte.
Alla luce di tali considerazioni il Dipartimento di
Diritto dei rapporti civili ed economico-sociali e
quello di Neuroscienze dell’Università degli Studi
di Napoli Federico II hanno promosso l’attivazio-
ne di un Centro Interdipartimentale per lo Studio
della Comunicazione in Medicina, finalizzato ad
affrontare tale tematica con metodo scientifico e
con taglio interdisciplinare.
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MEDICALIZZAZIONE DELLA ‘MORTE’ Gianfranco Pecchinenda Professore di Sociologia della conoscenza Università degli Studi di Napoli Federico II
Nella letteratura sociologica ci si riferisce
in genere al concetto di medicalizzazione della
società per indicare quel processo attraverso il
quale un numero sempre maggiore di attività
umane viene sottoposto al controllo continuo e
costante da parte delle istituzioni mediche. Sul
fatto che nel corso degli ultimi decenni, con
un’accentuazione sempre crescente, abbiamo
assistito a un incremento serrato di tale
processo, esistono indicatori straripanti: dalle
indagini prenatali sin dalle primissime settimane
dal concepimento, alle sempre più ricorrenti e
diversificate analisi e controlli ripetuti ciclica-
mente, che si protraggono lungo l’intero arco
della nostra esistenza. Se a questo checkup
diretto sul corpo aggiungiamo la pressione
derivante dalla straordinaria diffusione di
pubblicazioni e programmi d’informazione e di
fiction incentrati sui temi della medicina, ci si
rende conto di quanto la nostra società stia
effettivamente diventando sempre più
medicalizzata. Tra le molteplici possibili
motivazioni che hanno condotto all’affermarsi di
questo processo – tra le quali giocano un ruolo
certamente non irrilevante gli interessi di
carattere politico-economico connessi alla spesa
pubblica per gli investimenti nel settore della
sanità – c’è un elemento di carattere simbolico
difficilmente trascurabile: la scienza medica
rappresenta per molti aspetti l’ultimo baluardo
eretto dalle società occidentali per difendere se
stesse dalla ossessionante quanto inevitabile
idea della morte. È sulla medicina, infatti, che
sono state trasferite tutte le residue speranze
dell’inestinguibile desiderio umano di poter
vincere l’ancestrale battaglia contro la Nera
Signora. E il medico, con il suo sapere scienti-
fico, si è venuto sempre più immedesimando,
nell’immaginario collettivo, con colui che difende
dalla morte. E questo perché, in modo più o
meno latente, ma profondamente sentito, la
nostra cultura socializza i suoi membri all’idea
secondo cui non si muore perché si deve morire,
ma si muore per un accidente o per un suo
equivalente: la malattia. E l’accidente e la
malattia sono per principio evitabili. Forse non
oggi, non subito, però certamente domani. Negli
annuali statistici, sotto la voce “cause di morte”,
appaiono tutte indicazioni generalmente
risolvibili con un po’ di prudenza (non fumare,
mangiare sano, evitare lo stress, non correre in
auto, evitare gli alcolici, etc.) oppure, in quanto
malattie diagnosticate, prima o poi guaribili.
L’imperativo categorico diventa allora resistere,
combattere: milioni di persone nei laboratori di
tutto il mondo lavorano per noi. Si fanno calcoli
probabilistici che somigliano a bollettini di una
guerra inevitabilmente vittoriosa, bollettini
diffusi spettacolarmente dai mezzi di
comunicazione di massa: X anni per il vaccino
che ci libererà dall’AIDS; Y anni per la cura
definitiva. N mesi per mettere a punto il vaccino
contro l’ultimo temibile virus individuato, Z anni
per debellarlo per sempre. Basta ricordare che il
morbillo, la tubercolosi, la poliomielite
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appartengono oramai al passato. Ufficialmente
l’immortalità (religiosamente parlando) è bandi-
ta; di fatto (nel discorso medico-scientifico) essa
viene riproposta attraverso l’idea del prolunga-
mento “senza fine” della vita. Sostenuta da
questa idea così profondamente radicata, “la
medicalizzazione della società” si diffonde
inesorabilmente e noi tutti ci sentiamo tenuti a
curare la nostra salute; il dovere diviene anche
morale ed ogni trasgressione si associa
inevitabilmente ad un qualche senso di colpa.
Come ha efficacemente scritto Susan Sontag, “là
dove un tempo era il medico che conduceva il
suo bellum contra morbum, la guerra contro la
malattia, è subentrata oggi l’intera società”:
come soldati sul campo di battaglia, non ci resta
così che obbedire e combattere, prevenire e
curarci.
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I PROGRESSI DELLA MEDICINA SCIENTIFICA Ivan Cavicchi Professore di Filosofia della medicina Università degli Studi di Roma Tor Vergata
Probabilmente un grande paradosso del
nostro tempo è disporre di un progresso
scientifico in medicina senza precedenti e nello
stesso tempo soffrire di un grave conflitto
sociale con i cittadini segnato da una parte dalla
crescita del contenzioso legale e dall'altra dai
comportamenti professionali sempre più
opportunistici. Perché i cittadini sono scontenti
della medicina, nonostante i suoi progressi?
Perché gli operatori si difendono dai cittadini? La
risposta è semplice: perché i progressi della
medicina scientifica avvengono a paradigma
invariante, cioè dentro un’idea di scienza che è
andata bene per gran parte dell'800 e gran parte
del 900, ma che ora è visibilmente inadeguata. A
renderla inadeguata è quella che genericamente
si chiama società "post-industriale" cioè una
società che non intende più essere curata a
partire da un sintomo e meno che mai essere
ridotta a sintomo, una società che chiede a gran
voce relazioni per partecipare alle decisioni di
cura, una società che rifiuta la visione
incomplessa che riduce il malato sostanzialmen-
te a un mucchietto di cellule, una società che
non è più fatta da pazienti ma da "esigenti" che
hanno imparato la strada del tribunale. Ad
aggravare la situazione nel mentre la medicina si
scontra con le sue invarianze con il cambiamen-
to sociale, ci sono i limiti economici, quindi le
aziende, che tentano in ogni modo di
subordinare l'autonomia medica, il giudizio
clinico, la scelta dei trattamenti, ai propri limiti
di bilancio. Per cui il medico oggi si trova in una
scomoda posizione tra i cittadini esigenti che lo
vorrebbero più "umano" e le aziende che lo
vorrebbero soprattutto più "osservante" dei
budget. Il grande paradosso si risolve
ripensando la pratica medica alla luce sia della
domanda sociale sia delle esigenze di bilancio.
Ma non è facile. In tutti questi anni sono state
privilegiate le politiche di compatibilità e di
razionalizzazione, il che vuol dire che
sostanzialmente quando è andata bene abbiamo
migliorato senza cambiare, quando è andata
male ci siamo limitati a rendere il diritto alla
salute una variabile dei disavanzi regionali.
Comunque in costanza di modelli. Invece è
proprio la sfida dei modelli che bisogna
affrontare, ormai abbiamo capito che riorganiz-
zare i contenitori senza ripensare i contenuti, è
un finto cambiamento, che non si possono
cambiare i servizi a parità di professioni, e che la
società chiede un altro genere di medicina. Lo
testimonia la grande crescita delle medicine
complementari che come pratiche empiriche non
possono competere con la scienza medica, ma
che hanno apparati filosofici di sostegno che la
medicina scientifica non ha. Il più grande
esempio di contraddizione sanitaria è l'ospedale,
vale a dire il servizio più riorganizzato, più
deospedalizzato, più contestato, il più preso di
mira dalle politiche di risparmio, e che ancora
continua ad essere definito come modello da una
legge del ‘68 che riorganizza il modello di
ospedale del primo ‘900. Abbiamo fatto
monoblocchi, dipartimenti, area ad alta intensità
di cura, ma in costanza di modelli e di
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ospedalieri. Cosa vuol dire ripensare un
modello? Vuol dire ripensare le concatenazioni
che vi sono tra questa società, il modo di
conoscere della medicina e il modo di operare.
Oggi la questione dei modelli non è più un
affaire interno della medicina, e meno che mai è
solo una questione di organizzazione. Essa è la
ridefinizione dei mutati rapporti tra etica, scienza
e economia. Per questo il problema si dice ha
delle valenze paradigmatiche. Credo che sia
giunto il momento di ammettere che qualcosa di
vecchio si sta logorando mentre ancora non
abbiamo idea di cosa di nuovo dovremmo
mettere in campo.
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LA MEDICINA PREDITTIVA ED I TEST GENETICI Francesco Salvatore già Professore di Biochimica umana Università degli Studi di Napoli Federico II
Una delle principali difficoltà nel divenire
della Medicina è stata quella riguardante i
tentativi di conciliare da un lato la Medicina
Clinica, basata sulla patologia prevalente, che è
anche rivolta alla collettività e/o a gruppi di
individui e, dall’altro lato la Medicina con
approccio olistico nei confronti del singolo
individuo nelle sue caratteristiche complessive
personali (età, genere, fisiopatologia, etc.).
Se per cinquant’anni circa l’enfasi è stata
sulla ricerca, a volte spasmodica, dei principi e
della prassi dell’evidence based medicine, la
individuazione delle linee più importanti, e
declamate come conclusive, sulla decifrazione
del genoma umano, ha invece iniziato, e qui
l’avverbio paradossalmente è particolarmente
centrato mi sembra, lo studio sempre più
approfondito della Medicina Personalizzata, cioè
quello a livello del singolo individuo.
In che modo, allora, lo studio del
genoma e quello dei test genetici hanno prodotto
questa situazione che potrebbe apparire
paradossale. Per due ragioni, l’una è basata sulla
opportunità di rafforzare e rendere
indispensabile il rapporto medico-paziente, come
sta dimostrando molto bene la pratica della
consulenza genetica, l’altra è data dalla
possibilità che da tratti genetici a livello di loci
genomici è iniziato lo studio della predisposizio-
ne alla malattia, ad alcune complicanze di essa,
all’analisi del rischio di malattie poligeniche e/o
multifattoriali. Questa predittività rilevata dai
test genetici è diventata ormai già molto
rilevante.
Malauguratamente il concetto di rischio
non sempre è ben compreso nella sua essenza.
Infatti, ogni diagnosi di malattia ha insito in sé
un concetto di rischio (e ancor più quando il
medico formula la prognosi).
In realtà anche la predisposizione geneti-
ca indica un rischio. È quindi molto importante
che anche il paziente riesca a comprendere
esattamente cosa significa rischio: non vuol dire
certezza assoluta di andare incontro a quella
determinata malattia o a quella determinata
prognosi o all’inverso di escluderla, ma significa
avere una probabilità, spesso misurabile in
termini numerici (ad es. dallo 0,1 al 99,9 %) di
poterne essere affetto o di poterla acquisire.
La medicina predittiva elabora dunque
probabilità diagnostica: in alcuni casi ci indica la
malattia, in altri solo la predisposizione. Man
mano che passiamo dallo studio delle malattie
monogeniche allo studio delle malattie
complesse è chiaro che questa predisposizione
diventa più difficile ad essere calcolata.
Altro discorso riguardante la predisposi-
zione, e perciò la medicina predittiva, e di qui
quella personalizzata, è quello relativo alla
risposta ai farmaci, cioè quello della
farmacogenomica; l’ultima ad essere stata
riconosciuta è anche la predisposizione all’effetto
dei nutrienti, ovvero la nutrigenomica, tutte
basate sui test genetici. Con i test genetici nasce
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così la figura del medico "predittivo": un
consigliere dei soggetti sani per gestire e
mantenere il "capitale salute". Così come oltre
venti anni fa già diceva Jean Dausset, premio
Nobel per la Medicina.
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LA CRISI DI COSCIENZA DELLA
MEDICINA E LA MEDICINA NARRATIVA Dottoressa Franca Parizzi Consiglio Direttivo Società Italiana di Pedagogia Medica (SIPeM)
Soltanto sessant’anni fa le conoscenze
scientifiche sulle quali si basava la professione
medica erano enormemente inferiori rispetto a
oggi e il conforto, l’ascolto, il sostegno
psicologico del paziente erano ancora elementi
fondamentali dell’arte medica. Oggi la Medicina
ha raggiunto traguardi notevoli nella diagnosi e
nella terapia di molte malattie, un tempo non
riconosciute, ritenute inguaribili o incurabili, ma,
nonostante tutto questo, paradossalmente è
aumentata l’insoddisfazione da parte dei pazienti
e parallelamente si è osservato un crescente
ricorso alle cosiddette “Medicine alternative”.
Tutto questo ha imposto ai medici una profonda
riflessione sul loro ruolo e sul senso della loro
professione. Oggi il medico vive una fase storica
e sociale di profondo disagio. L’enorme
progresso delle conoscenze scientifiche ha
portato alla frammentazione della Medicina nelle
varie specializzazioni e iperspecializzazioni, alla
disattenzione alla persona malata nella sua
globalità e soggettività, alla caratterizzazione del
ruolo del medico come tecnico-scienziato e alla
diffusione del mito dell’onnipotenza della
Medicina, la cui immediata conseguenza è una
sempre minor capacità - sia da parte dei pazienti
che dei medici - di accettare la malattia come
evento che fa parte della vita. La gestione
aziendale delle strutture e dei servizi sanitari,
ponendosi come obiettivo prioritario il
contenimento dei costi, ha praticamente privato
i medici di ogni ruolo decisionale nelle politiche
sanitarie. Sottoposto a forti sollecitazioni sul
controllo del tipo, del numero e del tempo di
erogazione delle prestazioni, il medico oggi
riesce a dedicare al paziente un tempo ridotto.
Tutto questo ha contribuito alla confusione o alla
perdita della spinta motivazionale e dell’identità
professionale del medico, che possono essere
ritrovate solo attraverso l’alleanza con il paziente
e il recupero della dimensione umana della
Medicina. Probabilmente è proprio questa “crisi
di identità” (o “crisi di coscienza”?) della
Medicina il motivo per cui si è andata
affermando la “Medicina narrativa”, una sorta di
corrente di pensiero nata di recente nel mondo
della Medicina e oggetto di crescente interesse.
Non si tratta di un nuovo modo di “fare
Medicina”, ma soltanto l’espressione della
percezione di un bisogno: da parte dei medici di
ritrovare il senso del proprio ruolo, di ristabilire
l’alleanza con i pazienti, di recuperare il tempo
perduto; da parte dei pazienti di far sentire la
propria voce. Il racconto, la narrazione e
l’ascolto sono elementi fondamentali per la
relazione tra le persone e per il reciproco
riconoscimento d’identità, dignità e rispetto.
Questo vale anche nel rapporto medico-
paziente. Prestare attenzione, saper ascoltare,
saper accogliere la storia che il paziente
racconta è il solo modo per collocarlo e
comprenderlo nel suo specifico contesto, per
individuare la vera radice della sua sofferenza,
per “prendersi cura” di lui, un compito ben più
vasto e complesso della diagnosi e della terapia,
perché ha come obiettivo la qualità della vita,
non soltanto la guarigione o il miglioramento dei
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sintomi. E il ruolo del medico nella qualità della
vita della persona che si affida alle sue cure è
certamente rilevante. L’ascolto della storia del
paziente fornisce preziose informazioni non
soltanto sulla malattia, ma soprattutto sul
vissuto della persona malata, consente di
coglierne i bisogni, le aspettative, le domande,
di cercare insieme risposte e soluzioni, di
personalizzare la cura, di creare un’alleanza tra
medico e paziente. Tutto questo richiede troppo
tempo? Forse richiede solo maggiore
disponibilità umana e attenzione. Forse è più
importante la qualità che non la quantità di
tempo che il medico deve dedicare al paziente.
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