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Origine e ideologia del fascismo

a cura di

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Il fascismo, come movimento, nasce ufficialmente il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro, a Mi-lano. In una riunione di un centinaio tra ex combattenti e intellettuali Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento.

Ma prima di parlare del Programma formulato in quella sede e dei tratti generali del movimento, vale la pena di esaminare brevemente le premesse storiche che diedero al futuro duce ed ex esponen-te del Partito socialista la possibilità di intraprendere la sua tragica (purtroppo non solo per lui, ma per tutto il paese) avventura.

La crisi economica

Il diciannovesimo secolo si è chiuso travolto da una crisi desolante: la grande depressione (1873-1895). Per i paesi più avanzati è un’esperienza nuova nel suo genere, una crisi da sovrapproduzione (al contrario delle precedenti) che disegna il quadro di riferimento delle recessioni economiche futu-re. Il fenomeno sconcerta gli economisti del periodo perché a un imponente aumento della produt-tività (specialmente negli Stati Uniti e comunque nei paesi che hanno sviluppato nuove tecnologie produttive) corrispondono l’aumento della produzione e del Pil e il ribasso dei prezzi. Il problema nasce dalla mancanza di richiesta dei prodotti che vengono realizzati, dalla conseguente crisi delle grandi aziende, dal fallimento delle banche che le hanno finanziate, dall’enorme disoccupazione che si produce e dall’esorbitante squilibrio di ricchezza che si determina tra le classi sociali. Anche l’agri-coltura subisce una crisi analoga e la disoccupazione e le continue riduzioni salariali fanno divenire i problemi economici intollerabili per le classi subalterne.

La nascita nel 1864 dell’Associazione internazionale dei lavoratori - Prima internazionale (deno-minazione, quest’ultima, che viene presto assunta in seguito alla fuoriuscita di anarchici e mazziniani) e della Lega internazionale dei lavoratori (anarchica) hanno contribuito largamente a creare nelle masse operaie e contadine la coscienza di essere sfruttati dalla borghesia e dai reazionari dei vari pae-si. Inoltre, la breve e drammatica vicenda della Comune di Parigi (1871), durante la quale i cittadini, insorti sia contro l’occupazione straniera sia contro il proprio governo nazionale, hanno dimostrato la possibilità di realizzare una società diversa, più giusta e solidale, ha infiammato le speranze di tutti i lavoratori. Neppure la feroce repressione (così la descrive Lenin: «circa 30.000 parigini furono mas-sacrati dalla soldataglia scatenata, circa 45.000 furono arrestati; di questi ultimi molti furono uccisi in seguito; a migliaia furono gettati in carcere e deportati. In complesso, Parigi perdette circa 100.000 dei suoi figli, e fra essi i migliori operai di tutti i mestieri») riuscì a cancellare l’esempio della rivolta dalla memoria delle classi oppresse.

A causa della fame e della miseria e grazie al successo che hanno ottenuto tra le masse lavoratrici

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le idee socialiste e libertarie, sul finire del secolo si accendono un po’ dovunque rivolte e focolai di resi-stenza alla repressione padronale e poliziesca.

In Italia, in diverse situazioni, le richieste di pane e giustizia sociale vengono soffocate nel sangue. È il caso di Milano dove, nel 1898, la «Protesta dello sto-maco» è repressa dalle truppe al comando del gene-rale Bava Beccaris che, fra il 6 e il 9 maggio, ordina a più riprese di sparare colpi di artiglieria contro le barricate presidiate e di fucileria contro i dimostran-ti, provocando una strage. Oltre ai caduti tra la po-polazione (di cui non si è mai saputo il numero pre-ciso, ma che furono certamente più di cento) e agli oltre quattrocento feriti, va anche ricordato l’ignoto soldato fucilato sul posto per essersi rifiutato di fare fuoco sulla folla. Per il brillante intervento repressivo, Bava Beccaris viene premiato dal re Umberto I con la Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia e un seggio da senatore. Il 29 luglio del 1900, a Monza, l’anarchico Gaetano Bresci, un emigrato italiano rientrato dall’America con l’esplicito inten-to di vendicare i morti di Milano, premia a sua volta il sovrano per la sua disumanità uccidendolo a colpi di rivoltella.

La prima guerra mondiale (imperialista)

Come spesso è accaduto nella storia, anche questa volta la crisi economica è destinata a sfociare nella guerra. Molti elementi si sommano: la necessità per il capitalismo finanziario di aprire nuovi mercati e accapparrarsi nuovi prodotti, l’urgenza di riconvertire la produzione stagnante in altre forme industriali (per esempio in campo militare), la possibilità di dare con l’arruolamento allargato una parvenza di risposta alla disoccupazione di massa che affligge i paesi industriali, la divisione tra i partiti socialisti e comunisti dei vari paesi che si concretizza nel dibattito interno alla Seconda Inter-nazionale tra chi ripudia la guerra e chi asseconda le mire imperialiste dei rispettivi paesi.

Si scatena tutto il repertorio della demagogia sciovinista: dalle rivendicazioni territoriali nazionali alle pretese coloniali, al patriottismo aggressivo.

La guerra è nell’aria e scoppia dopo l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca erede al trono d’Austria Francesco Ferdinando per mano del nazionalista serbo Gavrilo Princip. L’invasione della Serbia

da parte dell’Austria e l’avanzata verso Parigi at-traverso il Belgio delle armate germaniche sono le prime azioni belliche del conflitto.

L’Italia in un primo tempo reclama la possibili-tà di rimanere neutrale, poiché l’alleanza di cui fa parte con gli imperi centrali dovrebbe avere sol-tanto scopi difensivi. In realtà, il primo ministro Salandra conduce trattative segrete con entrambi i contendenti, deciso a schierarsi con chi gli garan-tirà la consegna all’Italia dei territori del Nordest, cui gli italiani aspirano fin dall’epoca risorgimen-tale.

Con il Patto di Londra, firmato dal ministro Sonnino all’insaputa del Parlamento, l’Italia ade-

Il bivacco delle truppe di Bava Beccaris in piaza Duomo a Milano.

Fanti in trincea al fronte.

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risce all’Intesa, l’alleanza di cui fanno parte Francia e Inghilterra. Il 23 maggio 1915, l’Italia dichiara guerra all’Austria. In breve il conflitto si trasforma in una guerra mondiale, cui partecipano tra gli altri anche Stati Uniti, Turchia, Russia e Giappone. La guerra lampo dei primi mesi si trasforma ben presto in una lunga e massacrante guerra di trincea.

Richiamati al fronte, i lavoratori vivono in prima persona la drammaticità del conflitto e comincia-no a nutrire ostilità sia verso i comandi che gestiscono la guerra in modo folle e assassino anche verso i propri eserciti, sia contro gli interventisti che tanto hanno spinto per l’entrata in combattimento dell’Italia.

Nel 1917 accadono due fatti emblematici: la Rivoluzione russa e la rotta italiana a Caporetto.La prima crea un precedente inaspettato e diventa immediatamente un punto di riferimento

per le forze di ispirazione socialista di tutta Europa. La seconda mostra in pieno l’incapacità dei comandi italiani e l’assoluta voglia di disimpegno dei soldati che languono e muoiono nelle trincee. In effetti, dopo lo sfondamento della prima linea, che produce un numero enorme di morti, feriti e prigionieri (circa 600.000 uomini), centinaia di migliaia di soldati girano le spalle al fronte ces-sando di combattere. Scriverà Pietro Secchia: «Caporetto fu il risultato non soltanto di una lunga serie di errori politici e militari, ma una vera e propria ‘rivolta’, spontanea, primitiva sin che si vuole, senza obiettivi se non quello di ‘tornare a casa’, ma fu una rivolta» (Pietro Secchia, Le armi del fascismo, Feltrinelli, 1971).

Non a caso, al fine di riconquistare il favore dei soldati e per poter fermare il nemico al Piave, il governo è costretto, fra l’altro, a mettere mano a una legge che prenda in considerazione il passaggio delle terre ai contadini che le lavorano e a prospettare per il dopoguerra riforme sociali e la convoca-zione di una Assemblea Costituente.

Nel 1918 la guerra finisce con la vittoria delle forze dell’Intesa, i soldati tornano dal fronte, ritro-vano le consuete difficoltà di sopravvivenza, ma si preparano ad affrontarle con una nuova coscienza. È evidente che la guerra ha ulteriormente arricchito padroni e proprietari e impoverito il paese. Ma le idee socialiste, sotto la spinta della rivoluzione bolscevica, hanno ormai dilagato ovunque. Parte l’offensiva per la conquista delle otto ore lavorative e del «sabato inglese» (soltanto quattro ore di lavoro). Le prime lotte nascono nelle fabbriche tessili del biellese, che conquistano l’obiettivo per tutto il settore a livello nazionale usando l’arma dello sciopero generale.

Origine e sviluppo del fascismo italiano

Non è difficile capire in quale direzione la situazione stia evolvendo. I successi delle sinistre, le lotte operaie e contadine, la mobilitazione popolare mostrano una strada che a breve porterà alla

contrapposizione aperta tra capitale e lavoro. Siamo alle soglie del «Biennio rosso», delle oc-cupazioni delle fabbriche (soprattutto a Torino), delle manifestazioni di sostegno alla Russia so-vietica e del boicottaggio ai tentativi occidentali di intervenire con le armi contro la patria della rivoluzione.

È in questo clima che nasce il fascismo. Nella milanese piazza San Sepolcro, nella sala di Pa-lazzo Castani messa a disposizione dal Circolo degli Interessi industriali e commerciali, i fede-lissimi di Mussolini si presentano con un pro-gramma demagogico che contiene alcuni degli obiettivi più cari ai lavoratori italiani: il suffragio Un gruppo di camicie nere.

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universale per uomini e donne a partire dai 18 anni; la convocazione di un’Assemblea Costituente. A fianco di queste appaiono rivendicazioni più proprie del fascismo, come la formazione di una struttu-ra corporativa con poteri legislativi nei vari settori (industria, trasporti, comunicazioni eccetera). Poi, le richieste sociali: la giornata di otto ore lavorative, i minimi di paga, l’affidamento alle organizza-zioni proletarie della gestione di industrie e servizi pubblici, una riforma previdenziale che vorrebbe diminuire da 65 a 55 l’età pensionabile.

Quelle militari: la costituzione di una milizia difensiva e il disarmo generale, la nazionalizzazione delle fabbriche d’armi. E quelle finanziarie: imposta progressiva sul capitale con carattere di espro-priazione delle ricchezze, il sequestro dell’85% dei profitti di guerra, la gestione cooperativa della produzione agricola e la concessione delle terre ai contadini.

Nel film La marcia su Roma, di Dino Risi, un sempre più disincantato partecipante alla marcia (Ugo Tognazzi), constatando l’effettiva pratica dei fascisti, cancella uno per uno da un foglio su cui li ha appuntati tutti gli articoli del programma di San Sepolcro. È una sintetica rappresentazione di quanto gli italiani dovettero verificare rispetto alle vere intenzioni dei fascisti che, negli anni in cui tra le masse si diffondevano le idee democratiche e socialiste, scatenarono una sanguinosa offensiva proprio nei confronti degli operai e dei contadini che pretendevano di rappresentare nel programma di Milano. Camere del lavoro, Case del popolo, Leghe agricole, sedi di partiti e giornali della sinistra furono attaccati e devastati. Chiunque osasse opporsi alle violenze veniva ucciso o ferito gravemente sotto lo sguardo benevolo o l’attiva collaborazione delle forze dell’ordine, il regio esercito e i carabinieri.

Il 23 luglio 1921, dalle pagine dell’Ordine Nuovo Antonio Gramsci così descrive la situazione: «Nei 365 giorni dell’anno 1920, 2.500 italiani (uomini, donne, bambini e vecchi) hanno trovato la morte nelle vie e nelle piazze, sotto il piombo della pubblica sicurezza e del fascismo. Nei trascorsi 200 giorni di questo barbarico 1921, circa 1.500 italiani sono stati uccisi dal piombo, dal pugnale, dalla mazza ferrata fascista, circa 40.000 liberi cittadini della democratica Italia sono stati bastonati, storpiati, feriti; circa altri 20.000 liberissimi cittadini della democraticissima Italia sono stati esiliati con bandi regolari, o costretti a fuggire con le minacce dalle loro sedi di lavoro e vagolano per il territorio nazionale, senza difesa, senza impiego, senza famiglia; circa 300 amministrazioni comunali sono state costrette a dimettersi; una ventina di giornali, socialisti, comunisti, repubblicani, popolari sono stati distrutti; centinaia e centinaia di Camere del lavoro, di case del popolo, di cooperative, di sezioni socialiste e comuniste sono state saccheggiate e incendiate; 15 milioni di popolazione ita-liana dell’Emilia, del Polesine, delle Romagne, della Toscana, dell’Umbria, del Veneto, della Lom-bardia sono stati tenuti permanentemente sotto il dominio di bande armate che hanno incendiato, hanno saccheggiato, hanno bastonato impunemente, hanno violato i domicili, insultato le donne e i vecchi, hanno ridotto alla fame e alla disperazione centinaia di famiglie, hanno calpestato tutti i sentimenti popolari, dalla religione alla famiglia, hanno fatto impazzire per il terrore e morire dei bambini e dei vecchi. Tutto questo è stato permesso dalle autorità ufficiali, è stato o taciuto o esal-tato dai giornali».

Il fascismo: il movimento diventa Stato

Nel cosiddetto Biennio rosso, i venti di rivolta sociale scuotono l’Italia. Nel 1919 divampano in tutto il paese moti contro il carovita. Nel giugno del 1920 scoppia ad Ancona la rivolta armata dei bersaglieri dell’11° reggimento, che rifiutano di imbarcarsi per partecipare all’occupazione dell’Al-bania. Gli ufficiali vengono arrestati dai rivoltosi e tre soldati socialisti e un anarchico tengono un comizio ai commilitoni, inneggiando alla rivoluzione russa. La truppa e molti operai armati occupano la città erigendo barricate, pronti a fronteggiare la repressione. Per porre fine all’insurrezione, alcune torpediniere bombardano la città dal mare. La rivolta dilaga nelle Marche e in Romagna e viene de-finitivamente sedata solo con l’intervento massiccio di esercito, polizia e carabinieri. A Torino, nella

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notte tra l’1 e il 2 settembre, al fine di preve-nire la serrata padronale minacciata contro gli scioperi in corso, gli operai occupano in armi le fabbriche. Alcune di queste vengono adibite alla produzione di armi per l’autodifesa. L’oc-cupazione è gestita dai Consigli di fabbrica, momenti di direzione politica all’interno delle fabbriche, ispirati dall’Ordine Nuovo di Anto-nio Gramsci.

Il movimento dilaga in tutto il Nord e sembra avviarsi a scelte rivoluzionarie, ma la direzione del Partito socialista non è neppure in grado di immaginare uno sbocco di questo tipo, perché non si muove nella logica di cambiare il Paese, ma di ottenere un buon contratto di lavoro. In seguito a questo atteggiamento della direzione

socialista e del sindacato, dopo una ventina di giorni l’occupazione deve essere interrotta. La sfiducia di molti lavoratori verso le scelte rinunciatarie socialiste sarà uno dei motivi per la scissione del 1921 al congresso del Psi a Livorno, da cui avrà origine il Partito comunista.

Nonostante gli esiti, la paura per i padroni è stata grande ed è anche per questo che il rapporto con i fascisti, visti come forza brutale di repressione antipopolare, si cementa ancora di più. Il ca-pitalismo industriale, agricolo e finanziario ha trovato il cavallo su cui puntare: Benito Mussolini. È con queste protezioni che il fascismo trova pieno riconoscimento e spazio per ottenere il potere. La marcia su Roma è solo l’atto formale di un patto già concluso tra il capitalismo e il fascismo, di cui il re si preoccupa di essere l’incostituzionale garante, dando il posto di primo ministro al leader di un raggruppamento parlamentare assolutamente minoritario.

Il fascismo entra così nei palazzi del potere, che renderà di sua esclusiva proprietà nel 1924, grazie a una legge maggioritaria truffaldina e all’indomani di elezioni costellate di brogli elettorali. Giacomo Matteotti, il parlamentare socialista che denuncia i brogli, viene ucciso dai sicari della banda del fa-scista Amerigo Dumini. Poco dopo, Mussolini rivendica la piena responsabilità di quanto accaduto. È l’inizio di un periodo nefasto, fatto di propaganda altisonante, di tribunali speciali, di persecuzioni, morte e confino per gli oppositori, di tragiche imprese guerresche che sfoceranno nella dichiarazione di guerra al fianco nel nazismo e, finalmente, nella caduta del regime e poi dell’ultimo feroce incubo: la Repubblica di Salò.

Il primo antifascismo

Non bisogna pensare che le violenze dei fascisti della prima ora non abbiano trovato ostacoli. Molto spesso sedi di partiti e Camere del lavoro, Case del popolo e fabbriche furono difesi in armi. E in alcune situazioni si arrivò addirittura al combattimento campale. Per fronteggiare gli squadristi, anarchici e socialisti si mobilitarono dando vita a formazioni di difesa proletaria dai nomi evocativi: Guardie rosse, Gruppi rivoluzionari di azione, Figli di nessuno, Lupi rossi eccetera. Dal 1921, molte di queste formazioni locali si coagularono attorno agli Arditi del popolo, gruppo al quale aderirono ex-ufficiali, alcuni partecipanti all’impresa di Fiume condotta da D’Annunzio (la vocazione comu-nista di costoro è legata al particolare rapporto di simpatia intercorso tra i volontari fiumani e la Russia sovietica durante il periodo della cosiddetta Reggenza del Carnaro, la creazione cioè di una piccola zona indipendente che costrinse l’Italia e la Iugoslavia ad affrontare la questione di Fiume nel Trattato di Rapallo), anarchici e comunisti (questi ultimi nonostante il veto del partito, allora diretto

Mussolini e i «quadrumviri» alla marcia su Roma.

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da Amedeo Bordiga, ma con l’aperto incoraggia-mento di Antonio Gramsci).

Tra le tante imprese degli Arditi del popolo, la più éclatante è certamente quella ricordata come la Battaglia di Parma. Il 1° agosto del 1922 viene proclamato dall’Alleanza del lavoro uno sciope-ro generale nazionale. I fascisti lanciano un ul-timatum ai lavoratori: lo sciopero deve cessare. Nei giorni successivi le violenze fasciste dilagano ovunque. A Parma, i cui abitanti non hanno ac-cettato l’ordine fascista, si è già deciso di inflig-gere una punizione esemplare. Nella notte tra l’1 e il 2 agosto giungono nei pressi di Parma 20.000 fascisti al comando di Italo Balbo, decisi a oc-cupare la città. Le autorità cittadine ritirano le truppe regolari presenti nella zona per lasciare mano libera ai fascisti, convinti che basterà la loro forza per aver ragione dei rivoltosi. Ma a Parma è particolarmente forte un gruppo composto da ex arditi di guerra e militanti anarchici e comunisti. E sono proprio gli Arditi del Popolo a organizzare con l’aiuto degli operai e della cittadinanza, la difesa della città. Il 6 agosto i fascisti, incapaci di in-frangere le difese devono ritirarsi. Hanno subito molte perdite: 39 morti e 150 feriti contro i 5 morti e qualche ferito nelle file dei parmensi. La ritirata è confusa. Ricorda il comandante degli Arditi del Popolo Guido Picelli: «Non fu una ritirata ma addirittura lo sbandamento di una massa di uomini che prese d’assalto tutti i mezzi di trasporto, si gettò nelle strade e nelle campagne, come se temesse di essere inseguita». Solo dopo il subentro dell’esercito in forze e l’instaurazione dello stato d’asse-dio, i rivoltosi accettano di rimuovere le barricate.

L’antifascismo farà sentire la sua voce anche in parlamento fino al 1924. Poi, dopo l’assassinio Matteotti, e la breve parentesi dell’Aventino (costituito dalla autoconvocazione dei deputati antifa-scisti al di fuori del parlamento), gli antifascisti perseguitati dal regime dovettero sempre più dedi-care le proprie energie alla propaganda clandestina e alla conservazione di strutture clandestine di opposizione.

Caratteristiche fondamentali dell’ideologia fascista

Come abbiamo detto, i primi sostenitori del fascismo furono i grandi industriali, gli agrari, i ban-chieri, che certo non pensavano di aprirgli la strada al potere, ma piuttosto di servirsene temporane-amente per la repressione delle lotte dei lavoratori. In realtà, il fascismo non smetterà la sua dipen-denza dal capitalismo più aggressivo neppure dopo la salita al potere di Mussolini, anzi si dedicherà, di concerto con i padroni, alla rapina nei confronti delle masse popolari.

Il populismo demagogico del Programma di San Sepolcro, lascia ben presto il posto alle caratte-ristiche più proprie del fascismo, come il culto della gerarchia e l’affermazione dell’ineguaglianza. Tutto deve essere nelle mani e al servizio del duce, l’uomo della provvidenza, infallibile condottiero, custode dell’assetto classista della società. (L’idea del capo incontrastato, sarà poi condivisa dal mo-vimento nazional-socialista e, successivamente, da altri fascismi in tutta Europa).

Il movimento prima e lo Stato fascista poi assumono sempre più un atteggiamento militarista e i diversi strati della popolazione vengono organizzati fin dall’infanzia in strutture militari e paramilitari (Balilla, Giovani italiane, Figli della lupa, Arditi, Avanguardisti).

Molto prima del 1938, anno di introduzione delle leggi razziali antisemite mutuate dal nazismo, il razzismo dilaga nel corso delle avventure in Libia, Etiopia ed Eritrea, paesi in cui il fascismo intende

Il giornale degli Arditi del popolo.

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competere con le grandi potenze coloniali, conducendo guerre sanguinose. Nella propaganda come nella libelli-stica e perfino nei fumetti e nella satira, le popolazioni africane vengono descritte come razze inferiori, da co-mandare e a volte da eliminare fisicamente.

L’antisemitismo si manifesta come pedissequa imi-tazione di quello nazista. Julius Evola, uno dei più noti pensatori fascisti, cercherà, senza successo di dargli di-gnità intellettuale, attingendo alla concezione esoterica tedesca di cui erano partecipi molti gerarchi nazisti e lo stesso Hitler, che vedeva un mortale nemico nella tradi-zione sapienziale ebraica. Questa concezione ebbe un peso importante nella politica antisemitica nazista che portò all’Olocausto. Ma in Italia è soltanto la paura della diversità e il bisogno di capri espiatori rispetto alla diffi-cile situazione economica a oscurare le coscienze e a far diffondere il razzismo.

Intanto, si impone ancor più che nei tempi passati, il maschilismo: in uno stato guerriero gli omosessuali han-no vita molto difficile e le donne vengono considerate uti-li soltanto per la riproduzione e la crescita dei figli.

Una caratteristica del fascismo che resterà legata soltanto alle sue origini è l’anticattolicesimo. Ai tempi dello squadrismo della prima ora, i cattolici erano visti solo come avversari politici in grado di organizzare una certa resistenza al fascismo, soprattutto nelle campagne. In effetti, al pari del resto degli antifascisti, molti credenti e preti furono vittime di bastonature, aggressioni, ferimenti e assassinii. Ma una volta salito al potere, il fascismo riesce, attraverso i Patti Lateranensi, a ottenere dalle alte sfere vaticane il riconoscimento della sua legalità e Mussolini diviene, seppure a modo suo, un difensore della fede. D’ora in poi, prima delle repressioni e delle battaglie, i manipoli avranno il conforto delle benedizioni ecclesiastiche.

Nonostante apra alla religione, il fascismo non rinuncia a crearsi una propria pseudoreligione: la mistica fascista. Se ne occupa in prima persona il fratello del duce, Arnaldo. A Milano viene fondata la Scuola di Mistica fascista, che dal 1930 al 1943 si sforzerà di dare una base spirituale all’attività politica del regime. Capisaldi della mistica fascista sono la mitizzazione della figura di Mussolini e di alcuni membri della sua famiglia (i genitori, Arnaldo) e il tentativo di identificare una razza italica parte della famiglia indoeuropea. Alcuni dei teorici della scuola cercano di definirla dal punto di vista puramente biologico, mentre Evola tenta di dimostrarne l’esistenza come idea e come mito (come sempre attingendo ispirazione alle credenze germaniche). Il riferimento è anche alle posizioni di in-tellettuali tedeschi più o meno compromessi con il nazismo: Heidegger, Jünger e altri.

Infine, il fascismo lancia tutta la sua aggressività nei confronti del suo nemico giurato: il comuni-smo. Oppone alla sua concezione classista una diversa visione sociale in cui, attraverso le Corpora-zioni di mestiere, tutti i protagonisti dell’economia, dai padroni, ai lavoratori, allo Stato, collaborano all’individuazione del miglior modo di produzione. Un’altra costruzione demagogica che nasconde lo sfruttamento dei lavoratori, la negazione di ogni diritto, la limitazione dei salari e la logica del massimo profitto.

Una copertina della rivista «La difesa della razza».