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Mensile di attualità e cultura. Anno II n°8 Ottobre 2011 - distribuzione gratuita L’Onorevole operaio: Grazie alla Camera potrò avere un figlio INTERVISTA A ANTONIO BOCCUZZI Etnacomics, gli eroi dei fumetti conquistano la Sicilia VISTI PER VOI A Jaffna tra i Tamil REPORTAGE TRA TAGLI E RIFORME, IL MONDO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA NON RIESCE A NASCONDERE LE GRANDI DIFFICOLTÀ IN CUI SI AGITA. FEDELI ALLA MEDIA, ANCHE GLI ATENEI CON SEDE A RAGUSA E SIRACUSA HANNO DELLE STORIE DA RACCONTARE. PURTROPPO NON SEMPRE A LIETO FINE. Università ricerca fallimento lavoro giovani giovani ricerca lavoro studenti futuro parentopoli futuro futuro ricerca facoltà ragusa parentopoli lavoro facoltà enna docenti catania fallimento enna enna tagli tagli ateneo siracusa modica decentramento ricerca futuro decentramento ricerca futuro enna noto messina noto enna futuro ricerca ricerca palermo noto parentopoli futuro ricerca ateneo ateneo giovani palermo tagli ricerca fallimento giovani studenti studenti parentopoli futuro facoltà enna docenti catania fallimento ateneo siracusa decentramento ricerca futuro palermo noto parentopoli futuro modica ricerca decentramento palermo tagli parentopoli

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Mensile di attualità e cultura. Anno II n°8 Ottobre 2011

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L’Onorevole operaio:Grazie alla Camera potrò avere un figlio

INTERVISTA A ANTONIO BOCCUZZI

Etnacomics, gli eroi dei fumetticonquistano la Sicilia

VISTI PER VOI

A Jaffna tra i TamilREPORTAGE

TRA TAGLI E RIFORME, IL MONDO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA NON RIESCE

A NASCONDERE LE GRANDI DIFFICOLTÀ IN CUI SI AGITA. FEDELI ALLA

MEDIA, ANCHE GLI ATENEI CON SEDE A RAGUSA E SIRACUSA HANNO

DELLE STORIE DA RACCONTARE. PURTROPPO NON SEMPRE A LIETO FINE.

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INTERVISTA

Grazie alla camera potrò

avere un fi gliodi Sebastiano Diamante

pag.28

IN COPERTINA

ONEditorialedi Santina Giannone 9

FERMO IMMAGINE 10

OFFRecuperare il senso per guardare avantidi Michelangelo Giansiracusa 58

AGENDA

Appuntamenti mensili di Ottobre

per cogliere il meglio del sud-est

Redazione Talè

pag.36

ATTUALITÀ

Scuola mia, scuola mia per

piccina che tu siadi Santina Giannone

e Sebastiano Diamante

pag.26

REPORTAGEA Jaff na tra i Tamildi Peppe Sessa 39

DOVE ERAVAMO RIMASTIDemoliti i mostri di cemento a Modicadi Rossana Spadaro 55

VISTI PER VOI / 2Festival del giornalismo targato“il clandestino“di Cristina Marini 50

LIBRIL’Acqua e il sale di Pinò. E altre storie di mare, di costa e d’amoredi Alessandra Brafa 56

Rebus Universitàdi Sebastiano Diamante, Santina Giannone, Ignazio Spadaro e Rossana Spadaro

pag.13

Page 5: Ottobre

Talè ••• Mensile di attualità e cultura. Anno II n°8 Ottobre 2011

LA CULTURA DELL’INFORMAZINEAnno II n°8 Ottobre 2011

DIRETTORE RESPONSABILE:Santina Giannone

[email protected]

Iscrizione al Tribunale di SiracusaReg. Trib. di Siracusa n. 7/2010

del 15 Luglio 2010Distribuzione gratuita

Articolo 2, comma 2, n. 4, DPR n. 633/1972

EDITORE:Arti Grafi che Fratantonio

REDAZIONE: Via Cassar Scalia, Pachino

Tel. 339 7047770Email: [email protected]

CAPOREDATTORE & DIRETTORE CREATIVOSebastiano Diamante

[email protected]

GRAFICA E IMPAGINAZIONE:Francesco Colombo

www.francescocolombo.it

STAMPA:Arti Grafi che Fratantonio

s.p. Pachino - Noto (SR)Tel. 0931. 594360Fax 0931. 591599

PUBBLICITÁ:Tel. 0931. 594360

AMMINISTRAZIONE:C.da Cozzi Pachino (SR)

Tel. 0931. 594360

www.taleweb.it

Talè è su cercaci!

Hanno collaborato a questo numero:Giovanna Alecci, Alessandra Brafa, Johnny

Cantamessa, Michelangelo Giansiracusa,

Cristina Marini, Francesco Rubino, Peppe

Sessa, Ignazio Spadaro, Rossana Spadaro

FOTOGRAFI:Francesco Di Martino, Vincenzo Papa

Valentino Cilmi

FOTO DI COPERTINA:Redazione

Si ringrazia:***

Manoscritti, foto, disegni o altro materiale inviato non verranno restituiti, anche se non

pubblicati.

VISTI PER VOI /1

Etna comics, gli eroi dei fumetti conquistano la Siciliadi Sebastiano Diamante

pag.48

/

SPORT

I leoniriprendonoa ruggiredi Paolo Interlando

pag.52

MUSICA

Gigi Cifarelli,una vita in Jazzdi Johnny Cantamessae Francesco Rubino

pag.46

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Talè . Ottobre 2011 7

1) Bartolo Fratantonio ([email protected])

Editore

2) Santina Giannone ([email protected])

Sa che non è un mondo per donne, tantomeno se vogliono fare insieme le professioniste e le mamme. Ma le sfi de impossibili la attraggono irrimediabilmente. Per questo si ostina a dirigere Talè, a frequentare master e corsi di specializzazione, a fondare agenzie di comunicazione e a rimanere in Sicilia, tutto con l’aiuto del suo super Iphone e delle sue preziose amiche. Prima o poi, in fondo, una di queste cose potrebbe anche riuscirle. Impresa a cui, invece, ha rinunciato da tempo, è quella di domare il suo grande amore, Anita, 5 anni, aspirante stilista: la decisione su come ci si veste la mattina spetta solo a lei.

3) Sebastiano Diamante ([email protected])

Classe 1978, scrive per il Giornale di Sicilia e odia i moralisti ed i moralizzatori. Alla costante ricerca del metodo con cui fare evacuare la vacuità, gli è stato assegnato l’incarico di direttore creativo perché è l’unico che può svolgere rimanendo comodamente seduto al Calamarò, in balia dei propri sbalzi d’umore. Confl ittuale e introverso, ogni tanto non riesce a nascondere dentro il suo cappotto di gelo di avere un’anima. Ma ci prova sempre.

4) Francesco Colombo ([email protected])

Innamorato dell’odore della carta stampata ed appassionato di fotografi a, ha una sola certezza nella vita: non potrebbe vivere senza il mare. E tra le partite di calcetto del giovedì sera, qualche accordo di chitarra ed il rombo della Ducati, si occupa dell’impaginazione e della grafi ca di Talè ed è l’unico che alle incalzanti richieste del direttore risponde “già fatto”. Serafi co.

5) Pippo Bufardeci ([email protected])

Ha scoperto di essere il più anziano dei collaboratori. Spera di essere anche il più saggio...ma ne farebbe volentieri a meno visto che spesso saggezza coincide con vecchiaia.

6) Ignazio Spadaro ([email protected])

Ha capito che deve decidersi: o frenare la propria innata attitudine al coinvolgimento nei più disparati progetti di cittadinanza attiva, associazionistici e culturali, o bluff are con se stesso acquistando una nuova agenda in cui annotare gli impegni che non stanno più nella prima. All’eterna ricerca del giusto compromesso tra la verità e il coraggio di raccontarla, è al momento ben felice di scrivere anzitutto per passione. In attesa di una luminosa carriera di giurista -o, chissà, di una bella dose di legnate.

7) Francesco Di Martino ([email protected])

Ha 2 numeri incredibili: quello dei suoi impegni e quello dei suoi contatti. Corre tutto il giorno e con lui è impossibile passeggiare senza

doversi fermare a salutare chiunque passi. Non ha vizi, a parte la Pepsi. Ha l’esigenza di avere un’opinione solo dopo aver visto e toccato di persona. E’ prima di tutto fotografo, ma lo si può trovare anche dietro una telecamera a girare un fi lm, su un palco a cantare, in un campo di basket ad arbitrare.

8) Giovanna Alecci ([email protected])

Dice di non avere nulla di interessante da raccontare di sé. Ama viaggiare, leggere, scrivere, stare con gli amici. Un tipo perfettamente normale se nel suo curriculum non ci fossero anche gli studi in lettere classiche. Sintomo spiccato di autolesionismo.

9) Rossana Spadaro ([email protected])

Da ragazza semplice e innamorata del mondo, crede fermamente nella verità e nel coraggio di scriverla. Da quando ha incontrato il giornalismo, è stato amore a prima vista; e intanto ha continuato a districarsi, con l’abilità di un consumato contorsionista, tra la vita privata, la parrocchia, gli interminabili tomi di Linguistica generale e i chiassosi pomeriggi da animatrice. Il suo obiettivo? Non slogarsi una spalla.

10) Johnny Cantamessa ([email protected])

Studente universitario a lunga scadenza, della serie “non è intelligente ma si applica”, musicista di scarso talento che si ostina a musicare, giornalista musicale free lance (?) di discutibile levatura artistica e morale.

11) Cettina Raudino ([email protected])

Sospesa tra terra e cielo, è l’anima terrena di Talè, a cui si dedica con la stessa passione con cui fa altre due cose: stare sul palcoscenico, cucinare il cous cous e crescere il suo gioiellino di dieci anni, Giovanni.

12) Vincenzo Papa ([email protected])

Predisposto geneticamente alla fotografi a con il vizio dell’architettura. Condizione irrimediabile. Cerca e trova, quasi sempre. Cattura l’essenza traducendo tempi, forme, virtù. Nonostante la supremazia delle sue tavole da disegno ossessionate da lui, sin dai tempi dell’adolescenza, riesce a farsi salvare dal suo obiettivo che, puntualmente lo riconsegna al mondo. O almeno crede.

13) Francesco Rubino ([email protected])

Insegna chitarra presso il Centro Formazione Musicale di Noto, la scuola da lui fondata, e Spazio Musica di Ragusa. Ha insegnato presso le varie sedi della Guitar Academy di Catania, Siracusa e Ragusa, all’”Accademia musicale del mediterraneo” di Augusta e CESM. È il direttore artistico del festival “Noto in Jazz”. E quando le luci del palco si spengono, diventa anche un impavido domatore di mountain bike!

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Santina GiannoneDIRETTORE RESPONSABILE

editorialeE’ curioso che a spiegarci la tesi del darwinismo sociale dove a sopravvivere e prosperare è il più forte,

debba essere un’escort.L’intervista a tale Terry De Nicolò, balzata ai disonori della cronaca solo perché ha osato fare vezzo

del malcostume dominante è una lezione di sociologia, con incursioni nell’antropologia, nell’estetica e nella morale pura.« Quando sei onesto non fai un grande business » /«Se sei racchia te ne stai a casa, la bellezza è un valore e in

quanto tale va pagato»/«Non puoi presentarti davanti all’imperatore con un fi lino di oro bianco al collo»Non c’è granchè, purtroppo, che mi sconvolge in queste parole.

La storia, la politica, la quotidianità ci hanno oramai svezzato a qualunque tipo di ingenui stupori.Quello che mi preoccupa, dinanzi a cotanto sfacciato incedere, è che il tam tam mediatico sembra quasi aver messo

in cattedra personaggi di questo tipo. Tutto è facile in un paese in cui, come dice lo scrittore Stefano Benni,

«ogni reazione dell’opinione pubblica dura tre giorni»:anche che le escort diventino docenti di vita.

Basta guardare ad una recente indagine, condotta su 16.128 universitari nel portale UniversiNet.it:il 57% delle ragazze e il 39% degli ragazzi sarebbero disposti a fare sesso col prof pur di passare l’esame.

Dinanzi all’incedere mediatico che diventa cattedra da cui pontifi care,la famiglia è ineffi cace, la scuola forse è assente, le altre agenzie educative del territorio sommerse.

In questa deriva apparentemente senza speranza,la corda per evitare di aff ogare giunge attraverso le parole di un giovane netino,

adesso in Inghilterra per studiare, Lorenzo Tringali, che, commentando la vicenda, nel suo blog scrive:«Torna in mente Nietzsche e il suo capovolgimento dei valori.

Quei Sacerdoti, forti nello spirito ma impotenti dinanzi ai Guerrieri, invidiosi di questi ultimi, elaborarono dei valori “alternativi” che portarono alla formazione di un’ umanità malata e decadente. Ma nei piani di Nietzsche questa umanità era

destinata a tramontare e ad essere sostituita dal celebre Übermensch (l’ Oltreuomo).Rispolveri i nomi dei cosiddetti “onorevoli” politici.

Nessuno risulta corrispondere alla descrizione dell’ Oltreuomo. Provi a dare un’occhiata alle “stelle nascenti” della politica italiana.

Nulla da fare.C’è uno specchio di fronte a te. Alzi lo sguardo e dietro vedi migliaia di ragazzi come te.

Giovani (dentro). Con valori (veri). Con la voglia di “rifare” l’ Italia. I nuovi Übermenschs. Ragazzi normali io direi.

Ma in fondo, ormai, in un paese dove tutto tende a sprofondare sempre più verso il basso, la superiorità risiede proprio nell’ essere “normali”».

Provate a chiedere a Terry De Nicolò chi fosse Nietzsche.Scommetto che non lo sa.

Queste si che sono parole degne di una lezione.

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10 Talè . Ottobre 2011

Rosolini, nasce la prima associazione marocchina del sud est

Bakir Azeddine

(s.g.) Sono cinque, quattro uomini e una donna i pionieri della prima associazione culturale marocchina che nasce a Rosolini. Un importante passo in avanti in un momento storico in cui il confronto tra le diverse culture è reso, oltre che necessario, urgente è stato compiuto da Bakir Azeddine in qualità di presidente, El Fathi El Houssine di vicepresidente, Moussayer Mohamed di segretario, Moussyere Ahmed di tesoriere e Akallal Fatima di consigliere, che hanno formalizzato la nascita dell’associazione lo scorso 22 luglio e ora muovono i primi passi in città per fare conoscere la nuova iniziativa e renderne operativi gli obiettivi manifestati nello statuto.Tra questi, innanzitutto, la crescita sociale, culturale, civile, nonché il benessere dei membri delle comunità marocchine del territorio in cui opera, muovendosi secondo i principi della solidarietà, della non violenza, del pacifi smo, dell’antirazzismo, delle pari opportunità, dello sviluppo sostenibile. Tra i primi progetti già

in cantiere la nascita di una scuola araba, aperta sia ai membri della comunità marocchina, ma anche agli italiani che vogliano avere accesso al mondo medio orientale attraverso la lingua.

Guardia di finanza di Noto, alla guida della Tenenza Campanella prende il posto di Di Giovanni

(s.d.) Cambio di guardia alla guida della tenenza di Noto delle Fiamme gialle: il tenente Diana Campanella ha sostituito il tenente Sebastiano Di Giovanni. Diana Campanella, abruzzese, anni 25, ha frequentato l’accademia della Guardia di fi nanza in cui ha conseguito la laurea in “Scienza della sicurezza economico e fi nanziaria”. Si tratta del primo reparto operativo per il tenente Campanella, che ha ricoperto l’incarico di comandante della compagnia della Scuola allievi fi nanzieri di Bari. Sebastiano Di Giovanni si occuperà di criminalità economica e andrà a comandare la

10 Talè . Ottobre 2011

Il Tenente Sebastiano Di Giovanni

sezione operativa “Altra criminalità economica” del Nucleo di polizia tributaria di Napoli. “Due anni belli e intensi – ha dichiarato il tenente Di Giovanni -, ricchi di grandi soddisfazioni. Ringrazio la procura di Siracusa, i superiori ed il comandante provinciale e gli uomini straordinari della tenenza di Noto, che con passione e dedizione fanno ogni giorno il proprio dovere al servizio della gente e dello Stato, e tutte le loro famiglie. Li porterò sempre nel cuore”. Tra le operazioni più importanti condotte negli ultimi 2 anni

dal tenente Di Giovanni ci sono quelle a contrasto dell’usura, i servizi a tutela del patrimonio ambientale contro l’abusivismo edilizio, il contrasto dello spaccio e della detenzione degli stupefacenti, le operazioni nel comparto tributario, contro la contraff azione e contro l’abusivismo commerciale.

Il pachinese Stefano Abbate sarà “Totò” nella fiction “I Cesaroni”

il piccolo Stefano Abbate tra Max Tortora e Claudio Amendola

(s.d.) Nato con la stoff a dell’attore. Stefano Abbate, 11 anni, interpreterà il ruolo del piccolo siciliano Totò nella fi ction “I Cesaroni 5” che andrà in onda sull’emittente televisiva “Canale 5” nel 2012. Il pachinese (nella foto con Max Tortora e Claudio Amendola) ha recitato tra i grandi del “piccolo schermo” durante le riprese delle puntate che si sono svolte a Cinecittà a Roma, dal 19 al 26 settembre. Nel curriculum di Stefano ci sono anche una passerella per giovani indossatori organizzata da Luca Napoli, il più bello d’Italia, che si è svolta a Catania ed il concorso “Bimbi belli show”, organizzato della “Ema for kids” di Antonella Cangemi ed Elena Rizza.

Il Tenente Diana Campanella

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Foto provina

Pietra su pietra,tre giorni di full immersion fra natura e arte

Dal 9 all’11 settembre workshop di scultura fra le roc-ce della cava del fi ume Manghisi: un evento realizzato dalle associazioni Collettivo Artisti Iblei, Gruppo Grot-te Cacyparis, Club 4x4 Val di Noto ed Escursioni Iblee. Duplice lo scopo: scoprire e valorizzare un’area di particolare pregio ambientale e storico e dare spazio ai talenti degli artisti iblei. I partecipanti hanno bivac-cato e convissuto (in modo sostenibile ed autogestito) in loco per tre giorni, condividendo la passione per la scultura, per la storia e per la documentazione (foto-video) dei luoghi e della kermesse. Abbastanza cospi-cua, nei tre giorni, l’affl uenza di persone che hanno partecipato all’incontro, fra cui il sindaco di Noto, dott. Corrado Bonfanti e del vicesindaco Pinuccio Genovesi. Signifi cativa è stata anche la performance musicale e teatrale degli Iblo Maldestri e Impostorici Iblei.

Quando la tradizione diventa

documentario,ecco i gelati di don

Giugginu

La troupe con “don Giugginu”

c.m.) Ha segnato l’infanzia di generazioni e generazioni di modicani con i suoi coni da passeggio, i suoi gelati “tutti i gusti”, la sua granita al limone, la musica del suo megafono e il suo dialetto verace. Il suo malinconico furgoncino di “Gelati e Granite” è rimasto l’unico ad attraversare ancora la città e adesso è diventato anche il protagonista di un documentario che racconta appunto la vita, le abitudini e i paesaggi di Don Giugginu, icona della città di Modica. La storia di un uomo con un furgoncino di gelati, che girando per un angolo di mondo caldo e barocco, diventa testimone privilegiato di storie e di passaggi. Così, in sette giorni di riprese, non un secondo delle abitudini quotidiane di Don Giugginu è stato scalfi to dall’avere avuto sempre al seguito, anche con un lungo lavoro di camera-car, Ivano Fachin e il suo direttore della fotografi a Luca La Vopa, insieme al fonico Alberto Migliore, all’assistente

operatore Lorenzo Sammito, all’assistente alla regia Federico D’Antona, e a Irene Belluardo di Opera comunicazione, che produce il documentario. Finite le riprese, inizierà a breve la fase del montaggio, che vedrà concretizzarsi la collaborazione con la band ragusana “Baciamolemani”, che generosamente ha off erto la sua partenership per realizzare la colonna sonora.

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In copertina

TRA TAGLI E RIFORME, IL MONDO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA NON

RIESCE A NASCONDERE LE GRANDI DIFFICOLTÀ IN CUI SI AGITA.

FEDELI ALLA MEDIA, ANCHE GLI ATENEI CON SEDE A RAGUSA E

SIRACUSA HANNO DELLE STORIE DA RACCONTARE. PURTROPPO

NON SEMPRE A LIETO FINE.

Non c’è bisogno di ricorrere ai numeri per renderci conto che la scuola e l’Università italiane sono messe male. Ogni giorno leggiamo sui giornali di proteste e cortei, ogni giorno ci destreggiamo tra repliche del ministro Gelmini che tenta di dare letture qualifi canti per l’istruzione alle vicende che accadono ed evidenze che, invece, ci dicono che questa qualità, forse, oggi è più una meta da raggiungere che un dato di partenza su cui poter contare. Fatto sta che anche i numeri parlano di una realtà in profonda crisi: secondo gli ultimi dati Ocse che riguardano il biennio 2008-2009, tra scuola e università spendiamo solo il 4,8% del nostro Pil, a pari merito con l’Ungheria e la Germania, la quale arriva a questo dato solo con i fondi pubblici, a cui poi vanno aggiunti ingenti capitali privati

UNIVERSITÀ

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14 Talè . Ottobre 2011

qui non conteggiati. Ci seguono Slo-vacchia e Repubblica Ceca, e oltre il dirupo dei non classifi cati, ovvero paesi che non hanno comunicato i propri dati (tra cui, guarda caso, la Grecia. Che pare non goda di ottima salute al momento!) Al diploma arriva l’81% dei ragazzi, cinque punti in meno rispetto alla media e cinque punti in meno anche per la percentuale dei laureati, che si attesta al 33%. Del resto, come po-trebbe essere altrimenti se il motore di questa grande nave, il corpo do-cente, è tra i mestieri più bistrattati e meno valorizzati? I maestri e profes-sori italiani guadagnano circa il 40% in meno rispetto ai colleghi europei e nel 2010 i loro stipendi sono dimi-nuiti dell’1%, mentre negli altri 33 paesi censiti dall’Ocse sono cresciuti del 7%. Un dato positivo, forse, sulle ore trascorse a scuola: fi no ai 14 anni gli studenti italiani passano seduti sui banchi ben 8.316 ore, un anno in-tero, contro le 6.732 ore, nove mesi, della media europea. Anche questo dato, purtroppo, diventa poco con-fortante se alla quantità non corri-sponde la qualità. I dati piangono anche se ci avviciniamo al mondo universitario: secondo una classifi ca stilata dalla rivista The Times Higher Education, nessuna università ita-liana fi gura tra le prime duecento del mondo. Gli Stati Uniti, invece, hanno decisamente i migliori atenei tanto che tra i primi duecento della lista ben 72 sono americani. Su 200 università al top, ben 82 sono del vecchio continente ma l’Italia non si qualifi ca con nessun istituto.Se avviciniamo la lente d’ingrandi-mento, del resto, troviamo i virus di tutti questi mali impiantati solida-mente anche nel tessuto universita-rio delle due province più a sud della Sicilia, Ragusa e Siracusa, dove tra ta-gli e cattiva gestione, molte Facoltà sono costrette a chiudere con grandi disagi da parte degli studenti.La squadra di Talè ha dunque rispol-verato i suoi zainetti e, armata di tac-cuino e penna, è andata a sbirciare dentro i nostri Atenei, per riportarne ritratto fedele ai nostri lettori. Ecco quanto abbiamo scoperto.

IL TITANICDEGLI IBLEI

DOPO UN LUMINOSO AVVIO, UNO DEI PIÙ FELICI ESPERIMENTI DI DECENTRAMENTO UNIVERSITARIO IN SICILIA COLA A PICCO, SOMMERSO DA DEBITI E POLEMICHE. MENTRE GLI UFFICIALI BRINDANO.

Aff annose riunioni notturne, infuocati botta e risposta mediatici, viaggi della speranza a Palermo e a Roma, inconfessati bracci di ferro politici e persino fuochi incrociati giudiziari: ci s’è messo proprio di tutto, da ultimo, a rendere il naufragio del decentramento universitario ragusano un’incredibile gazzarra, di quelle che solo il nostro felice angolo di Sud è tanto bravo a partorire.

UN ESORDIO ENTUSIASMANTE

Per ritrovare il bandolo di questa inestricabile matassa occorre riandare al 1993, anno a partire dal quale l’Università di Catania avrebbe gradualmente acconsentito all’apertura di sedi distaccate di ben sette facoltà: Medicina, Agraria, Lingue e Giurisprudenza nel capoluogo, Scienze Politiche ed Economia a Modica, Informatica a Comiso. Con i suoi diciotto corsi di laurea, si trattava di un edifi cio accademico di tutto rispetto e con tutte le carte in regola per puntare in alto, vista anche l’ottima risposta del territorio: basti pensare che nel 2005, e cioè poco prima che cominciasse lo stillicidio delle chiusure ad esaurimento, i vitalissimi distaccamenti iblei avrebbero tagliato il traguardo dei 5000 iscritti, con un trend annuale fortemente positivo. Il quale, peraltro, non si è mai interrotto, in termini percentili, neppure in seguito.

In copertina /Università 1

di Ignazio Spadaro

Nel ’95 vide la luce il Consorzio Universita-rio Ibleo, allo scopo di consolidare il decen-tramento universitario nel Ragusano ono-rando le (costosissime) parcelle dell’ateneo catanese; esborsi che, passato l’entusiasmo degli esordi, gli asfi ttici bilanci dell’Ente ben presto stentarono a sostenere. Specialmente quando tra le fi la dei consorziati venne il mo-mento delle defezioni: del Comune di Ispica e, soprattutto, dei due danarosissimi partner privati, la compagnia Citiesonline e la Banca agricola popolare di Ragusa. E neppure chi sulla barca ci rimase continuò a remare in egual misura: i comuni di Modica, Comiso e Vittoria, fi nanziariamente aff annati già in casa propria, praticamente smisero di contri-buire, mentre l’ultimo socio privato, l’Associa-zione “Libera università degli Iblei”, si rivelò un’impalcatura praticamente vuota. A restare col cerino in mano, insomma, furono (e sono tuttora) i soli Comune e Provincia di Ragusa.

IL SOGNO DEL QUARTO POLO

I quali, tuttavia, non si persero d’animo, tirando fuori dal cappello della Politica l’idea di un Quarto Polo universitario siciliano che permettesse di scaricare su una nuova università statale, e dunque sul Miur, tutto il peso economico del decentramento. Ineffi cienze e burocratismi a parte, tale ambizioso progetto si è scontrato da ultimo con lo stop varato in tal senso dal governo

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Berlusconi. Questi, infatti, ha applicato al settore accademico nazionale la stessa singolare fi losofi a del risparmio che la Regione Siciliana ha attuato nella sanità: e così, mentre si è inaugurata la stagione delle patenti ‘facili’ ai più improbabili atenei online o per corrispondenza, rigorosamente privati, si sono chiusi i rubinetti alle università statali, vietando che se ne costituissero di nuove ed anzi imponendo un rigoroso ridimensionamento a quelle già esistenti.Si sa, però, che se gli Italiani sono bravi a

fare le leggi, lo sono anche più ad eluderle. E così nel 2010 il dottor Giovanni Bocchieri, capo della Segreteria tecnica del Ministero, per togliere dalle ambasce il decentramen-to ragusano tirò fuori dal cassetto il prover-biale uovo di Colombo: vero era che non si potevano creare “nuove” università pub-bliche dal nulla -si prese a dire- ma ciò non impediva la statalizzazione di “preesistenti” università private. In men che non si dica gli occhi di tutti (compresi quelli dei Consorzi universitari siracusano e nisseno che non navigavano in acque migliori) si puntarono

sulla Kore di Enna.E il rettore della Kore, Salvo Andò, un ac-cordo in tal senso puntualmente lo sotto-scrisse, l’8 giugno 2010, salvo essere subito sconfessato dal suo intero Cda, geloso della propria indipendenza. Un diniego impopo-lare, certo, ma formalmente incontestabi-le: dopotutto la Kore era, ed è tuttora, una Fondazione privata, e in quanto tale non certo tenuta a perseguire gli interessi dei cittadini. A questi, semmai, devono pen-sarci le pubbliche amministrazioni. Come per esempio la Regione… la quale, tanto per dirlo, non solo nel 2004 ha dato un con-tributo decisivo alla costituzione proprio dell’ateneo ennese, ma da allora lo innaffi a con un gettito annuo stimato in ben 4 milio-ni di soldi pubblici, a fronte del milioncino scarso riservato a Ragusa.

SI CHIUDE

Ad ogni modo, dopo il nulla di fatto con Enna, i recenti tagli agli enti locali sono stati la falla di troppo nella già malconcia carena del Consorzio ibleo. E così, mentre il fi or fi ore della deputazione locale (di tutti, ma proprio tutti gli schieramenti politici) si calava, con consumata quanto silenziosa maestria, nei panni dei proverbiali roditori in fuga, l’intero edifi cio ha cominciato a sgretolarsi, sotto il peso dei debiti con Catania e malgrado qualche breve goff aggine giudiziaria del Cui: il 2010 ha visto la scomparsa di Informatica e il 2011 quella di Economia e Scienze Politiche, mentre Medicina aveva chiuso i battenti già nel 2009 dopo un’esperienza comunque infelice a causa della scarsa sintonia tra gli ospedali ragusani e il Policlinico etneo.Gli atti conclusivi di questa tragedia, poi, sono cronaca. Negli scorsi mesi, in risposta ai politici locali che avrebbero voluto sal-vare i corsi di laurea in Agraria e Giurispru-denza, il rettore catanese Antonino Recca

Ingresso della sede di Giurisprudenza a Ragusa (Foto © Vincenzo Micieli)

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ha replicato di considerare «già risolta» la questione, facendo valere l’accordo di tran-sazione col quale, il 21 giugno del 2010, il Consorzio aveva acconsentito alla chiusu-ra in blocco delle due sedi in cambio dello spostamento a Ragusa dell’intera facoltà di Lingue.Su pressione soprattutto degli studenti, il nuovo presidente del Cui Vincenzo Di Rai-mondo avviava allora un’intensa contrat-tazione con l’ateneo, riuscendo infi ne a strappargli, il 24 giugno scorso a Roma, la promessa di una parziale revisione dell’ac-cordo del 2009. L’intenzione dichiarata era assicurare la conclusione degli studi nella sede decentrata almeno agli studenti già iscritti; quella implicita guadagnare qual-che anno ancora al sogno del Quarto Polo. Unica condizione imposta da Recca il ri-spetto rigoroso di tutti gli impegni fi nanzia-ri, pregressi e futuri.L’ottenimento di questo «male minore», come ebbero a defi nirlo gli studenti, fece tirare a tutti un sospiro di sollievo. Troppo presto, però: infatti alla fi ne Catania non ne fece nulla, destando l’ira funesta, tra gli al-tri, del deputato Pdl Nino Minardo, rimasto l’ultimo vero patrono politico del proget-to universitario. Vi fu persino chi insinuò l’ipotesi di un sotterraneo «patto scellera-to» tra il presidente della Provincia Antoci (notoriamente insoff erente verso il decen-tramento) e il rettore Recca, in nome della comune fede Udc.

FACCIAMO I CONTI

Quali che siano state le reali intenzioni di ognuno, è certo comunque che al Magnifi co, conti alla mano, la maschera di proditorio genio del male e tiranno calcolatore proprio non si attaglia. In una formale diffi da di pagamento inviata agli inizi di settembre al Cui, infatti, fi gura che il Consorzio, a fronte di un debito complessivo di un milione e 450mila euro come prima rata per il 2010/2011, ha corrisposto all’Ateneo solo 150mila euro il 4 luglio e 200mila il 15 dello stesso mese. Inoltre dal medesimo documento si evince che la seconda rata, il cui termine di pagamento era scaduto il 30 giugno 2011, è stata saldata in notevole in ritardo e per di più, come direbbero a Roma, solo a mozzichi e bocconi: 300mila euro il 22 luglio e 450mila il 19 agosto scorsi. Tirando le somme, quindi, mancherebbero all’appello ben 350mila euro, da aggiungere agli altri 650mila che, a quanto pare, sarebbero ancora dovuti per gli anni accademici precedenti: diffi cile per il Consorzio, in queste condizioni, esigere da Catania ulteriore affi damento e, quindi, ulteriori anticipazioni pecuniarie. (Qualcun altro, nondimeno, qualcosa l’ha ottenuta: il Comune di Modica, che il 26 settembre scorso ha convinto l’ateneo ad abbuonargli ben cinque milioni di debiti su un totale di nove).Ma se da un canto le casse del Cui sembrano essere più vuote che mai, dall’altro, non c’è

che dire, all’ente ibleo deve proprio ricono-scersi il merito di tenere molto alla comodità dei propri iscritti: solo lo scorso febbraio, in-fatti, il Consorzio ha indetto una gara d’ap-palto per lavori di manutenzione della sede, con una base d’asta di ben 334.647 euro; senza contare che il 15 luglio precedente, e cioè poche settimane dopo la fi rma dell’ac-cordo che avrebbe ridotto l’utenza di circa mille unità, il medesimo ente ha dato l’ok all’assunzione a tempo indeterminato di ben cinquantuno lavoratori, approvando una pianta organica che ne prevede addirittura 144 totali, per un rapporto di un dipenden-te ogni due immatricolazioni… roba da far impallidire il più esclusivo dei college priva-ti. Come se non bastasse, sempre nel 2010 ventidue ex precari del Cui hanno adito le vie legali: se vinceranno, otterranno non solo di essere tutti assunti a tempo indetermina-to, ma anche di passare automaticamente a Comune e Provincia in caso di scioglimento dello stesso Consorzio.

UN’ESTATE ROVENTE

Quanto al fronte politico, quella appena trascorsa è stata un’estate rovente, visto che praticamente non c’è stato amministratore o deputato locale che non si sia gettato nella mischia denunciando responsabilità altrui, indignandosi o promettendo soluzioni. Primo fra tutti il presidente del Consiglio Provinciale Giovanni Occhipinti, che ha tuonato chiamando il sindaco Dipasquale e il presidente Antoci alla «rivolta» contro Recca, sottoscrivendo anche il documen-to in cui la Conferenza dei capigruppo al completo ha, lo scorso agosto, richiesto un «incontro urgente» con Catania allo scopo di «riprendere il dialogo interrotto». Per la cronaca, tale incontro non si è mai svolto, né pare che gli stessi consiglieri abbiano insisti-to perché si svolgesse.E del resto maggiore alacrità non pare aver-cela messa manco il deputato democra-tico Pippo Digiacomo, che pure in quegli stessi giorni aveva promesso di sollecitare l’intervento dell’onnipotente governatore, nonché compagno di coalizione, Raff aele Lombardo. (Il cui partito, va detto, era ri-masto grande escluso nella composizione dell’attuale Cda del Consorzio). Chissà, co-munque, se il volenteroso Digiacomo era a conoscenza del fatto che, mentre quaggiù lui si dedicava anima e corpo al salvataggio del progetto universitario ibleo, in quel di

Uno scorcio di Villa Cerami a Catania, sede centrale della Facoltà di Giurisprudenza

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Roma due parlamentari del suo stesso parti-to remavano attivamente contro, chiedendo al ministro Gelmini conto e ragione del man-cato blocco del decentramento di Lingue.Certo è che, se quell’incontro tra Provincia e Università fosse avvenuto, sarebbe stato cu-rioso: infatti a far naufragare il delicatissimo negoziato con l’ateneo era stato proprio il Consiglio Provinciale approvando a sorpre-sa, la notte del 22 luglio scorso, un emenda-mento al bilancio in cui decurtava la somma destinata al Consorzio di ben 350 mila euro, destinandoli a una congerie di piccole ma-nifestazioni sportive, sagre e feste di paese. L’opposizione defi nì la manovra «irrespon-sabile» e «fi lo-elettorale», vista anche la so-spetta prossimità alle Provinciali del 2012; ma non ci fu verso, e la maggioranza di cen-trodestra la approvò compatta: in poche ore, fi nivano in fumo mesi di trattative. «E questo -commenta amareggiato Alessandro Testo-ne, coordinatore del Comitato studentesco contro la chiusura di Giurisprudenza- dopo che i partiti ci avevano ripetutamente rassi-curato sul fatto che i 750 mila euro attribuiti al decentramento nella bozza presentata dalla Giunta non sarebbero stati scalfi ti».Per dovere di cronaca, va detto che in una successiva schermaglia con Antoci il presi-dente Occhipinti ha spiegato che in realtà il Consiglio si sarebbe semplicemente riserva-to di ripristinare quel capitolo di spesa di lì ad una trentina di giorni, attingendo ad una sorta di “tesoretto” di riserva. Dal canto loro, gli studenti fanno sapere di «non voler du-bitare della buona fede» dei consiglieri, ma «Se era davvero questa l’intenzione e vista la delicatezza delle trattative in corso -si inter-rogano- perché non rassicurare il Rettore e tirar fuori subito tutti i soldi?». Una domanda intelligente, che sarebbe bello girare a chi di dovere… se il bravo presidente Occhipinti non si negasse scrupolosamente ai nostri microfoni.

LASCIATI SOLI

«La verità è -sbotta Testone- che noi studenti siamo stati lasciati da soli a difendere il futuro nostro e quello del territorio: i politici, salvo qualche esigua e puntuale eccezione, hanno latitato sino all’ultimo, quando cioè i giochi erano ormai chiusi e non costava più nulla balzare sulla passerella con qualche bel comunicato stampa lanciando accuse a destra e a manca: dibattito che oggi non ha più senso. Anzi le dirò -aggiunge

piccato- che benché noi studenti ci siamo attenuti ad una rigorosissima apartiticità, siamo stati oggetto di attacchi di ogni tipo da parte della Politica». E anche se il coordinatore non aggiunge altro «per non alimentare polemiche», facendo quattro passi su facebook è facile scoprire che non solo, nel corso di una seduta, un esponente di maggioranza al Consiglio Provinciale

avrebbe defi nito i ragazzi del Comitato una «claque» [= codazzo di fan a pagamento, ndr], ma che in decine di post un esiguo gruppo di studenti, per lo più stabilmente impegnati in un partito di opposizione, per mesi si è accesamente scagliato contro i colleghi del movimento, giungendo persino a scagliargli -senza successo- i più improbabili sospetti di collaborazionismo o

Il cortile interno della facoltà di Giurisprudenza a Ragusa (Foto © Vincenzo Micieli)

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collusione politici. Anche i sindacati, populisti per natura, nel caso dell’università ragusana sono stati in-solitamente taciturni, se si esclude qualche tardiva dichiarazione della Cgil Ragusa (co-munque contraria a quelle della Cgil Cata-nia e, almeno in un primo momento, anche alla stessa Cisl).E un’imbelle calma piatta (salvo qualche sporadica telecronaca) almeno nel caso di Giurisprudenza sarebbe stata scrupolosa-mente osservata persino dagli stessi rap-presentanti istituzionali degli studenti nel Consiglio di Facoltà. Ma si sa, in una sede di-staccata i suff ragi da mungere sono troppo pochi per non dormirci la notte.

QUALCHE CERTEZZA

Di sicuro, insieme al decentramento, il Sudest non perde solo un eccezionale esperimento di università a misura di studente, un indotto di circa tre milioni di euro annui e un’occasione unica di formazione professionale oltre che accademica ma anche, soprattutto, la possibilità di assicurare a molti cittadini meritevoli il diritto allo studio. Perché, secondo lo stesso Comitato degli studenti, in questi tempi di crisi non sarebbero poche le famiglie che non potranno permettersi aff atto di mantenere i propri fi gli nel capoluogo etneo. Certo, come si sono aff rettati a brindare, pomposamente ed euforicamente, nelle stanze dei bottoni, a Ragusa resta ancora Lingue, dal 2011/2012 elevata (dopo forti

polemiche, anche giudiziarie) al rango di sede unica. Solo che, a diff erenza di quanto è accaduto ai “ragusani” di Agraria e Giurispru-denza, agli studenti di tale Facoltà già iscrit-ti presso la sede catanese sarà assicurata la conclusione dei propri studi in loco.Ma soprattutto, è sin troppo evidente che con una dote accademica ridotta così ai minimi termini sarà molto diffi cile, per il futuro, ot-tenere la nascita del Quarto Polo. Col rischio che a Catania, presto o tardi, si stanchino una volta per sempre di debiti ed eterne attese, e smontino baracca e burattini lasciando tut-ti quanti con un palmo di naso. Prospettiva che del resto sembra chiara agli stessi politi-ci, stando alle febbrili trattative dell’ultim’ora tese a rimpiazzare quello catanese, almeno a Ragusa, con un altro ateneo (forse Messina, già presente nella vicina Modica). Ma intanto i termini per le iscrizioni stanno per scadere, e considerazioni di prudenza hanno già in-dotto pressoché tutti gli studenti iblei a far vela verso la città dell’Elefante.«Dal canto nostro -aff erma Alessandro Testo-ne- come studenti speriamo ancora che un giorno i giovani fi gli di questa terra saranno visti come un “valore” e non più come una “spesa morta”, né abbiano ancora bisogno di allontanarsi dalle proprie radici per poter studiare. E perciò -conclude- noi auspichia-mo sinceramente che il progetto del Quarto Polo vada presto in porto».Porto che, tuttavia, a quanto pare dovrà aspettare ancora un bel po’. Visto che da un pezzo la nave che dovrebbe raggiungerlo è già bella che aff ondata.

Era il 1999 quando a Ragusa Ibla nasceva la facoltà di Lingue e Letterature Straniere, facente capo all’Università di Catania. Fin da

allora, gli studenti della Sicilia sud-orientale intenzionati a frequentare il corso più giovane dell’intero Ateneo catanese hanno avuto la possibilità di scegliere una sede più congeniale alle loro esigenze, non solo di natura geografi ca.Giovani provenienti anche dal resto della Sicilia sono stati infatti attirati dalla piccola facoltà iblea, sita in quel crocevia di turisti europei che la rende la sede ideale per il consolidarsi di una forma mentis aperta alla multiculturalità.Nel corso degli anni le frequenti minacce di chiusura hanno indotto invece parecchi aspiranti linguisti a preferire la sede catane-se della facoltà, sita presso l’ex Monastero dei Benedettini.L’inizio di quest’anno accademico vede il ca-povolgersi della situazione profi latasi fi no a poco tempo fa: Ragusa è divenuta sede unica della facoltà di Lingue e Letterature Straniere per l’Università di Catania, con il corso di laurea in Mediazione linguistica e interculturale. Alla sede catanese, ormai accorpata alla facoltà di Lettere e Filoso-fi a, rimangono i corsi di laurea in Lingue e culture europee, euroamericane e orientali e Lingue per la comunicazione internazio-nale.Un risultato sorprendente per i vertici del dipartimento ibleo: per ricostruire in breve le fasi di questo processo ci facciamo aiuta-re da Paolo Pavia, consigliere di facoltà sin dal 2008, il quale è stato uno dei principali sostenitori della causa ragusana.

Diversi anni di incertezza ed alla fi ne un

risultato più che favorevole per l’univer-

sità iblea. Quanti e quali ostacoli sono

stati aff rontati prima di arrivare a questo

traguardo?

Questa è una bella domanda. Già alla fi ne del 2008 la Facoltà era sprofondata in una grave crisi fi nanziaria, in conseguenza dei tagli operati dal Governo nazionale ai fondi per l’università. L’Ateneo non poteva più far

Il cortile interno della facoltà di Giurisprudenza a Ragusa (Foto © Vincenzo Micieli)

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LINGUE E

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ECCO COME SONO CAMBIATE LE SORTI DELLA “PICCOLA”SEDE A IBLA

fronte alle ingenti necessità che derivavano dal mantenimento di due sedi, Catania e Ra-gusa. Fin da allora cominciai a “fare le pulci” alla gestione del preside Famoso.Ho individuato così delle anomalie nella gestione economica della Facoltà che mi hanno indotto, nel febbraio del 2010, a ri-volgermi alla magistratura, denunciando gli sperperi e la mala gestione condotta sino a quel momento.A questo punto l’Ateneo non poteva esi-mersi dall’intervenire ed è stata fatta una scelta diffi cile: chiudere la sede di Catania, accorpandola con la Facoltà di Lettere, e rendere Ragusa unica sede della Facoltà di Lingue e Letterature straniere, rinnovando la convenzione tra il Consorzio universitario Ibleo e l’Università di Catania.Ciò ha consentito all’Ateneo di rientrare da una situazione che si era fatta estremamen-te diffi cile e complicata da gestire, non solo sul piano economico. È ovvio che a Catania non l’abbiano presa bene e devo ammet-tere che il loro impegno, nell’ostacolare il processo che ho delineato prima, è stato davvero tenace. Per fortuna siamo riusciti a superare fi no ad oggi tutti i problemi che si sono via via presentati. Speriamo di conti-nuare così, perché c’è ancora molto lavoro da fare.

Nuovo preside, nuove risorse. Quali sa-

ranno i vantaggi tangibili per gli stu-

denti della Facoltà di Ragusa a partire

da quest’anno accademico? E quali, se ci

saranno, gli eventuali svantaggi per gli

studenti di Catania e dintorni?

Quest’anno, per la prima volta in oltre dieci anni di vita della Facoltà, i concorsi per il re-clutamento di docenti e lettori madrelingua sono stati banditi e verranno espletati nei tempi regolamentari per garantire puntual-mente l’inizio delle lezioni e delle esercita-zioni linguistiche.Non avremo perciò le disfunzioni gravissi-me degli anni passati. Per gli studenti di Ca-tania non cambierà praticamente nulla dal

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di Rossana Spadaro

Università degli studi di Catania

punto di vista logistico, visto che rimarran-no all’interno del complesso monumentale dei Benedettini dove ha sede la Facoltà di Lettere e Filosofi a e dove era anche ospitata la Facoltà di Lingue mentre, sotto l’aspetto didattico, ritengo che la loro situazione po-trebbe migliorare notevolmente all’interno della Facoltà di Lettere.Faccio a loro l’augurio che possano prose-guire gli studi nel migliore dei modi ed otte-nere ciò che di meglio si aspettano.

All’inizio dello scorso anno accademico

sembrava che il numero di docenti uni-

versitari disponibili ad insegnare sta-

bilmente a Ragusa fosse troppo esiguo.

Cosa è cambiato da allora?

Un nucleo di docenti, devo dire con grande coraggio ed abnegazione, ha deciso di con-tinuare a lavorare a Ragusa. Ci sono stati poi alcuni passaggi da altre facoltà, ma l’Ateneo ha provveduto di recente ad integrare il cor-po docente della nuova Facoltà con un ban-do per il reclutamento di 13 ricercatori che presteranno la loro opera a Ragusa almeno per i prossimi cinque anni, con la possibilità per loro di diventare professori associati alla fi ne di questo periodo.A questi si aggiungono i docenti a contratto che terranno i corsi delle discipline comple-mentari ed i lettori madrelingua. Dunque, nessun problema su questo versante. Gli studenti potranno contare su un corpo do-cente stabile ed adeguato alle esigenze di una formazione di eccellenza.

Dal punto di vista politico se e quanto è

stato determinante l’interesse dei vertici

amministrativi della provincia iblea?

I politici hanno fatto la loro parte, mettendo soprattutto a disposizione le strutture ed i mezzi economici perché il progetto della nuova Facoltà si realizzasse.Mi auguro che tutto il lavoro fatto possa consolidarsi, soprattutto alimentando un dialogo costante e costruttivo con l’Univer-sità di Catania nella persona del Magnifi co Rettore, Antonino Recca, il quale fi no ad oggi, con la sua concretezza, ha dimostrato di avere a cuore questo progetto.Personalmente mi impegnerò a favorire questo dialogo, ma certamente sarò molto attento a che gli impegni reciproci vengano rispettati, nell’interesse degli studenti e di questo territorio.

Paolo Pavia

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LETTERATURE STRANIERE, PRIVILEGIO IBLEO

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LA CHIUSURA DI ECONOMIA E SCIENZE

DELL’AMMINISTRAZIONE DAL PUNTO DI VISTA DI UNO

STUDENTE: ECCO PERCHÉ L’UNIVERSITÀ DI CATANIA NON

HA PIÙ UNA SEDE A MODICA

UN SOGNODI SOLI 10 ANNI

Sono riuscite a resistere fi no ad aprile 2011 le sedi modicane delle facoltà di Economia e Scienze politiche dell’Università di Cata-nia, ricchezza per la Contea sin dal 2001. Un “sogno” per i 1200 iscritti al corso di laurea in Scienze dell’Amministrazione e del Governo (sia triennale che specialisti-ca) e per i circa 500 studenti di Economia Aziendale, i quali hanno potuto usufruire per un limitatissimo periodo di un bene troppo poco tutelato dalle amministra-zioni locali. Questo il parere di Giovanni Frasca, esponente del comitato di opposi-zione alla chiusura delle facoltà modicane. «La delegazione nacque nel 2009 - spiega Giovanni –, quando il Rettore dell’Univer-sità di Catania annunciò di voler chiudere la nostra sede per sopravvenute ragioni fi nanziarie». Pare, secondo le parole di Fra-sca, che l’amministrazione modicana fosse in debito di qualcosa come 7.200.000 euro nei confronti dell’Ateneo. Sin da allora la battaglia degli studenti si è svolta su due fronti: « Innanzitutto abbiamo chiesto un incontro con i nostri rappresentati politici e con l’attuale amministrazione per capire le ragioni del non pagamento della som-ma dovuta. In seguito sono cominciati i vari incontri (scontri) con il Rettore o i suoi sostituti per riuscire a raggiungere un ac-cordo». E l’accordo, seppur di ripiego, ha visto il mantenimento della Facoltà fi no, appunto, al 2011 e il tutoraggio per gli stu-denti di entrambe le triennali e le specia-listiche.Eppure la delusione nei confronti di un si-stema che ha trascurato gli studenti del ba-cino d’utenza ibleo è evidente nelle parole di Giovanni, il quale non manca di sottoli-neare: «In Italia molte sedi decentrate sono andate avanti utilizzando la tecnica del tutoraggio; ma credo che, nel caso speci-fi co, la facoltà sia stata chiusa per la scarsa capacità dei nostri rappresentanti di qual-siasi coalizione politica di trovare delle so-luzioni utili e soprattutto – continua ormai disilluso – a causa della loro mancata abilità di mediazione con il rettore, visto il forte attaccamento di ognuno al proprio colore di appartenenza (sarò troppo duro, ma fu proprio così)».Una vicenda che lascia l’amaro in bocca, ol-tre a ridurre concretamente le opportunità per le generazioni che si apprestano ad av-viare la loro formazione universitaria e ad impoverire culturalmente ed economica-mente la città-fulcro del mondo barocco.La città di Modica

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di Rossana Spadaro

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ARCHIMEDE“CHIAMA” IL QUARTOPOLONELLA SEDE DEL CAPOLUOGO SIRACUSANO È STATO TAGLIATO IL CORSO DI BENI CULTURALI E TECNOLOGIE DEL RESTAURO. ADESSO SI PUNTA SU ARCHITETTURA, SPERANDO NELLA NASCITA IN SICILIA DEL QUARTO ATENEO.

La “recisione” di un corso per puntare al quarto polo ed incrementare l’affl uenza di studenti. Quella di Architettura è una facoltà senza problemi economici, a detta dei membri del consorzio universitario “Ar-chimede” di Siracusa, che vuole mettersi al servizio del territorio per contribuire ad un salto di qualità a cui il Siracusano può e deve puntare. E del resto all’ “Archimede”, al centro di un braccio di ferro politico per sopprimerlo o salvarlo, ci si lecca ancora le ferite per la soppressione dei corsi di laurea

in Scienze dei Beni Culturali e Tecnologie Applicate al Restauro e alla Conservazione dei Beni Cultura. L’accordo di garantire il completamento del percorso di studi agli iscritti, ma la diminuzione dell’off erta forma-tiva è stato un sacrifi cio «fatto – ha spiegato il vicepresidente del consorzio, Giuseppina Ignaccolo -, in vista di un altro accordo sti-pulato con il Ministero per l’Istruzione, l’U-niversità e la Ricerca in vista di un quarto polo universitario che punterà a far nascere una seconda facoltà a Siracusa. Ma ancora il progetto è in alto mare». Da più di tre lustri a Siracusa ha messo piede l’università, a par-tire dall’anno accademico 1996/1997 con l’ attivazione della facoltà di Architettura e con la successiva istituzione, appunto, dei corsi di laurea in Scienze dei Beni Culturali, Tecnologie Applicate al Restauro e alla Con-servazione dei Beni Cultura (poi tagliati nel 2010) sotto il segno dell’ateneo catanese. Il consorzio universitario “Archimede” è at-tualmente presieduto da Roberto Meloni, il vice è Giuseppina Ignaccolo, il direttore

Luca Cannata ed i componenti del consiglio di amministrazione Dario Pulia, Antonino Burgio, Paola Azzaro, Filippo Sciuto e Marco Mastriani rappresentante degli studenti, e nasce dalla collaborazione tra il comune di Siracusa e la Provincia. La fi nalità è chiara : «La crescita e lo sviluppo nel territorio sira-cusano – ha raccontato Giuseppina Ignac-colo - di un sistema di istruzione di alto li-vello. Le attività del consorzio sono, infatti, dirette alla creazione e al sostentamento di percorsi di formazione universitaria e di ri-cerca applicata». Ma, adesso, si devono fare anche i conti con una «preoccupante dimi-nuzione – ha sottolineato il vicepresidente del consorzio -, degli studenti in città da quando sono stati tagliati i corsi di laurea». Per l’anno accademico dietro la porta le ri-chieste sono 400 ed i posti disponibili solo 100 e, intanto, si attende l’attivazione di un quarto polo fi glio della stretta collaborazio-ne tra le province ed i comuni di Siracusa, Ragusa ed Enna, grazie a cui sarebbe ga-rantita la presenza di due facoltà per ogni territorio provinciale. Siracusa ne attende una. «La mancata istituzione della seconda facoltà – ha continuato Ignaccolo - perché il Quarto polo non è stato attivato, ha de-terminato una diminuzione degli studenti. Il taglio ci preoccupa perché la presenza degli universitari a Siracusa è in calo». Dal punto di vista economico i bilanci, pare, non siano in rosso, anzi. «La situazione fi nanziaria del consorzio – ha garantito il vicepresidente -, è assolutamente serena e non ci sono pre-occupazioni. Stiamo sempre più puntando al potenziamento della facoltà di Architet-tura che non si muoverà da Siracusa. Quindi promuoviamo e sosteniamo tutte le inizia-tive che off rono una preparazione agli stu-denti con stage e laboratori». Degno di nota il First international meeting “Il messaggio di Archimede”, che si svolgerà dal 25 settem-bre al 5 ottobre a Siracusa. È la prima edizio-ne di un concorso aperto a tutte la facoltà di architettura nazionali ed estere, a cui hanno partecipato 130 studenti da tutto il mondo, in cui si discuterà della fi gura di “Archimede” e della promozione del territorio, e saranno premiati i vincitori del premio “Tecnologia, arte e scienza”. Per la sezione riservata ai siracusani hanno vinto degli studenti con un documentario sulla vecchia tonnara di Ortigia, mentre nella sezione “estera” si sono aggiudicati il primo premio degli studenti dell’università di New York con il lavoro “The land scape of Siracusa”.

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di Sebastiano Diamante

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BENVENUTI NELL’OASI A MISURA DI STUDENTE

NEL MARE IN TEMPESTA DELLE UNIVERSITÀ, L’ECCEZIONE CHE CONFERMA LA REGOLA È IL CUMO DI NOTO, CHE CON BILANCI SANI E

ALLARGAMENTO DELL’OFFERTA FORMATIVA PUNTA ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE E ALLA RICERCA.

Quando ogni anno i revisori dei conti del Cumo, il Consorzio Universitario del Mediter-raneo Orientale con sede a Noto, chiudono i conti per il tradizionale consuntivo, attestan-do degli avanzi di bilancio che si aggirano oltre il centinaio di migliaia di euro (e a volte rischiando anche il raddoppio!), chiedono ai dirigenti quale sia il segreto di tale miracolo.Già, perché oggi, stretti tra la morsa della cri-si e le cesoie dei tagli eff erati alle Università, rimanere a galla rappresenta già un’eccezio-

ne alla terribile regola dei conti in rosso a cui si allineano gli Atenei, grandi o piccoli che siano. Chiudere addirittura il conto consun-tivo con degli avanzi di bilancio che di anno in anno permangono o lievitano, sfi ora pra-ticamente il miracolo.A risolvere ogni dubbio, svelando gli ingre-dienti della presunta pozione magica che in tanti acquisterebbero a peso d’oro, giunge serafi ca la risposta della signora Nella Aglie-co, segretaria e factotum del Cumo :«Basta

sapersi fare i conti. Scrivere in una colonna quello che entra e in un’altra quello che esce. E far si che la cifra della seconda colonna sia sempre inferiore alla prima». Una politica del rigore assolutamente perseguita e sostenu-ta dall’amministratore delegato Salvatore Cavallo, un fi sico prestato all’arte della ge-stione.A dirla così sembrerebbe l’uovo di Colombo. Ma anche al Cumo, unico consorzio universi-tario delle province di Siracusa e Ragusa ad

Un momento di un incontro interculturale con i docenti di Università americane

Il Presidente Antonio Pennisi

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di Santina Giannone

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aver ampliato la sua off erta formativa anzi-ché averla ristretta, sanno quanto è diffi cile tenere dritta la barra del timone e quanti sa-crifi ci occorrano per non vedere naufragare le buone intenzioni. Fatto sta che ad oggi i dirigenti pare ci siano riusciti, nonostante i cinque Comuni che fanno parte del Consor-zio non paghino sempre in maniera esatta-mente puntuale; nonostante nel 2011 sia il primo anno che al consorzio giungano delle sovvenzioni regionali e negli anni preceden-ti hanno dovuto farcela da soli; nonostante i tempi non siano dei migliori per fare investi-menti in cultura e ricerca.Eppure tra le ultime decisioni assunte dal consiglio di amministrazione c’è quella di

investire parte del gruzzoletto proprio in assegni per giovani ricercatori a partire dal 2013, sfi dando le intemperie del momento storico. E da due anni alla Facoltà primigenia di Scienze della Formazione si è aggiunta quella di Scienze della Comunicazione, che da quest’anno saranno accolte sotto il tetto dello stesso Dipartimento, in collegamento con l’Università degli Studi di Messina.Fu proprio il connubio tra i cinque Comuni della zona sud (Avola, Noto, Rosolini, Pa-chino e Portopalo di Capo Passero), insie-me al Cenacolo Domenicano e alla Banca di Credito Popolare di Pachino a decretare l’unione di intenti con l’Ateneo Messinese nel 2001, dando vita alla Facoltà di Scienze

Tra le caratteristiche distintive del Cumo c’è quella di realizzare molteplici e in-

teressanti progetti destinati ad approfondire l’off erta formativa delle Facoltà ed

allo stesso tempo di gettare il ponte verso Università prestigiose europee ed in-

ternazionali.

Tanto è stato fatto nell’ambito della sostenibilità energetica, su cui è stato avviato

un progetto in collaborazioni con università europee, i cui docenti hanno fatto vi-

sita al territorio per stilare dei progetti realizzabili grazie alla ricerca. Altro settore

approfondito è quello della mediazione interculturale, su cui il Cumo da tempo si

spende grazie alla partnership con il Centro di Mediazione Internazionale che ha

sede a Noto, una Università parigina ed una di Gerusalemme. Porte aperte, infi ne,

anche agli scambi interculturali, con la Summer School che quest’anno ha ospita-

to, per la prima volta, trenta studenti americani, che hanno fatto visita al territorio

per un mese, approfondendo le tematiche legate alla cultura classica.

Notevoli, poi, i servizi del consorzio: dallo Sba, il Sistema Bibliotecario di Ateneo,

accessibile per gli studenti, alla grande biblioteca con oltre 3 mila testi antichi,

dono di una nobile famiglia calabrese.

dell’Educazione con sede nel centro storico di Noto. Negli anni il consorzio è cresciuto e si è raff orzato fi no a giungere, nel giugno 2009, al passo fatidico che ne ha decretato il trasferimento nell’attuale sede, l’ex ricovero curato da alcune religiose, palazzo Giavan-ti, nel frattempo sontuosamente restaurato grazie a dei fondi regionali. Qui, in queste aule bianche di calce e di sapere, ad oggi studiano oltre 2 mila studenti, suddivisi nei due corsi di Laurea triennale, in un Master in Tecnologie di Formazione e di Comunicazio-ne per i Beni turistici ed antropologici, e, da quest’anno, anche nel biennio di Laurea Ma-gistrale. Una piccola oasi di serenità a misura di studente in cui compiere in maniera line-are un percorso di studi, grazie anche alla direzione della Facoltà del Preside Antonino Pennisi, che in rappresentanza dell’Ateneo di Messina tanto ha voluto scommettere sul territorio netino, decentrando risorse umane e progetti. Una ricchezza raff orzata da uno staff motivato, che ha nutrito di passione il proprio lavoro come per allevare un fi glio: questo il paragone che più spesso si ritrova nelle parole del personale che vi lavora. La costituzione in Consorzio, certamente, ha avvantaggiato lo snellimento delle spese, in quanto ogni Comune provvede non solo al pagamento di una quota annua, ma anche alla copertura dei costi di parte del perso-nale. Gli organi dello statuto, come i revisori dei conti, il direttore e il ragioniere, sono poi rappresentati dai funzionari che svolgono le stesse mansioni nei Comuni e che, ogni due anni, ruotano. Un meccanismo ben oliato, dunque, che pare aver riscosso la soddi-sfazione degli stessi sindaci al punto che, quando nella scorsa primavera i dirigenti del Cumo, consapevoli del momentaccio per gli Enti locali, proposero di abbassare la quota fi nanziaria a carico dei Comuni, l’allora pre-sidente del Consorzio, l’ex sindaco di Noto Corrado Valvo, rispedì al mittente l’idea con la controproposta di indirizzare l’eventuale surplus verso attività di sviluppo e ricerca. Neppure la proverbiale prodigalità dei po-litici, dunque, è riuscita ad averla vinta sul-la politica di rigore del Consorzio. Prima di spendere un solo euro la signora Nella conta e riconta gli spiccioli rimasti in cassa. «Io a casa mia faccio così- ammette lapidaria- e funziona».Forse dovremmo darne notizia a chi gestisce Comuni, Province, Regioni. Magari potrebbe interessare loro un bignami su come produr-re risultati senza indebitare gli Enti.

PROGETTI E DINTORNI

La sede del Cumo, palazzo Giavanti

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26 Talè . Ottobre 2011

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Attualità

di Santina Giannone e Sebastiano Diamante

Tra casi di cattiva gestione e problemi insormontabili, esistono anche delle

belle storie e degli esempi ammirevoli tra i banchi. Eccone alcuni.S

iamo abituati a sentirne di tutti i colori sul suo conto e a considerarla una nave in piena tempesta che, tra uno spruzzo ed un’ondata rischia ad ogni momento di naufragare. Eppure, se si rie-sce a rinunciare a quel tocco

di catastrofi smo con cui l’attualità colora ogni giorno le nostre lenti per guardare il mondo, c’è anche il rischio di scoprire che non va poi tutto così male.Ma che, anzi, esiste un mondo “scuola” dove permane la passione e la tenacia come tentativo di guida di quei coraggiosi che, nel percorso formativo di ciascun alunno, vogliono essere un modello umano, ancor prima che una guida nel periglioso mare del sapere. E per trovarli, non occorre andare lontano. Basta guarda-re il piccolo istituto comprensivo accanto della porta, o gli istituti superiori che sono disseminati nel nostro territorio che, ogni anno, con tanti progetti, tentano di far entrare un po’ di vita “concreta” sui banchi ed insegnare ai ragazzi che, dai libri è vero che si impara la vita, ma è sulle pagine che occorre poi che essa torni per diventare profi cuo specchio a sé stessa.Talè è così andata in giro a raccogliere qualche piccola ma signifi cativa esperien-za per raccontare, una volta tanto, anche le luci positive che illuminano il pianeta scuola.

“R…estate a scuola”, quando al mare ci

si va con le maestre- C’è sempre il dubbio, durante la festa di chiusura di “R…estate

Un momento della scuola estiva

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Talè . Ottobre 2011 27

a scuola”- anche quest’anno che oramai è la sesta edizione del progetto che tiene tutto luglio ben 100 bambini a scuola- se ad essere più contenti e soddisfatti dell’esperienza siano gli alunni o i genitori. A guardare le facce contente e i sorrisi disseminati un po’ ovunque la contesa è ardua. Perché in eff etti il progetto “R…estate a scuola”, inaugurato grazie all’idea dell’insegnante Corradina Nanì del II istituto comprensivo “Santa Alessandra” di Rosolini e portato avanti in questi sei anni grazie all’ammirevole tenacia delle colleghe maestre che danno la propria disponibilità, pare avere trovato la formula giusta per accontentare proprio tutti. Ogni anno per l’intero mese di luglio 100 bam-bini dai 5 agli 11 anni sono impegnati in attività ludico e ricreative che soffi ano via la disposizione canonica dei banchi, per renderli tavolo da disegno o da ping pong, palco su cui esibirsi, tavolo da taglio e cuci-to… un’esperienza multiforme, insomma, che ogni anno sceglie un tema “sociale” predominante, declinandolo poi nelle sue varie sfumature pratico-artistiche. Quest’anno il “diverso” è stato compagno dei cento bambini partecipanti attraverso la simpatica fi gura di alieni, che giorno dopo giorno con la loro storia hanno inse-gnato ai piccoli studenti estivi ad apprez-zare chi è lontano da noi per geografi a, razza e cultura, senza per questo negargli una comunanza di sentire che ci rende tutti uomini. Ad intervallare le attività nei locali scolastici c’erano momenti di cinefo-rum, gare sportive, oltre che gite al mare, molto apprezzate dai bambini, che in tal

modo non si vedevano negare la parte più bella dell’estate, esaltandola anzi con tante attività in più. Anche per un progetto così bello e socialmente interessante, tirare la carretta non è aff are da poco. Ogni anno reperire gli striminziti fondi necessari alle spese vive è un’impresa e spesso gran parte del materiale didattico per i bambini viene fornito da sponsor privati. Non sem-pre, tuttavia, la partecipazione è massima: basti citare il caso di un grosso marchio della grande distribuzione siciliana che si è rifi utato di sponsorizzare il progetto, con-tribuendovi con l’acqua naturale necessa-ria ai bambini per quel mese. Mancanza a cui ha riparato, per fortuna, un anonimo benefattore. “La fortuna aiuta gli audaci”, forse, non è solo un modo di dire.A fi ne luglio, per la tradizionale festa di chiusura, le maestre sono dunque stanche, ma soddisfatte di aver rinunciato a parte delle loro vacanze per rendere più belle e interessante quelle dei cento bambini. I balli, i canti, i momenti condivisi sono scrigni di perle preziose, che intrave-di baluginare nel loro sguardo, a cui non rinuncerebbero per niente al mondo.

La parola d’ordine nelle scuole di Pachi-

no è “Integrazione- Attraverso la cultura, la danza, il cibo, l’arte. Negli ultimi anni scolastici gli istituti comprensivi e superiori pachinesi si sono distinti per iniziative ex-tracurriculari dedicate esclusivamente alla ricerca dell’integrazione razziale, grazie ad una sensibilità spiccata al fenomeno dei dirigenti scolastici. Ed anche ad una profi cua collaborazione con il Servizio di

mediazione comunale dei Servizi sociali, che ha coinvolto i quattro istituti compren-sivi “Silvio Pellico”, Carmelo Sgroi”, Giovanni Verga” e “Vitaliano Brancati” nei progetti “Il gusto della pace” e “A ritmo di pace”, in cui la cucina tipica, la danza e le musiche sono state utilizzate come strumenti che favoriscono l’integrazione. Anche tra i banchi dell’istituto superiore “Michelange-lo Bartolo” studenti ed insegnanti hanno lavorato all’integrazione. Una delle espe-rienze più signifi cative è stata la realizza-zione del cortometraggio “La scorsa notte ha diluviato”, che parla della storia di una liceale musulmana che scopre un mondo nuovo all’interno di un oratorio. E riesce a convivere con due culture sociali e religio-se. Ma tra le attività della scuola superiore c’è anche quella dei “corti”, grazie ad una stretta collaborazione con la manifestazio-ne “Giff oni fi lm festival”, che ha portato una rappresentanza di studenti del “Bartolo” a far parte della giuria la scorsa estate. Tra le iniziative che “funzionano” il “Pellico online”, il giornalino del primo istituto comprensivo “Silvio Pellico”, con tanto di redazione, che quest’anno ha festeggiato il decimo anniversario. Ed anche “Il grillo parlante”, un progetto del “Pellico” per combattere la dispersione scolastica con laboratori di lettura e lezioni multimediali con gli studenti. Degna di nota anche l’ “In-terazione armonica” promossa dal quarto istituto comprensivo “Vitaliano Brancati”, che ha coinvolto le mamme degli studenti, fi nite sui banchi ad assistere a lezioni di mediazione culturale per gestire i rapporti confl ittuali con i fi gli e le istituzioni.

Il progetto “A ritmo di pace” Un altro momento del progetto “R...estate a scuola”

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28 Talè . Ottobre 2011

GRAZIE ALLA CAMERA POTRÒ AVERE UN FIGLIO

Intervista

di Sebastiano Diamante

Dal rogo della Thyssen a cui è sopravvissuto all’elezione a Montecitorio col Partito Democratico. Ecco come è

cambiata la vita di Antonio Boccuzzi

Il parlamento “fermo”, la legge eletto-rale da cambiare ed una casta da com-battere. L’onorevole operaio Antonio Boccuzzi dal primo agosto è stato li-cenziato dalla Thyssen Krupp, ma grazie

allo scranno di Montecitorio adesso potrà godersi un fi glio. Il trentasettenne scampa-to al rogo delle acciaierie di Torino il 6 di-cembre del 2007 è stato eletto alle elezioni politiche del 2008 al Parlamento, poiché ca-polista del Partito Democratico in Piemon-te. A distanza di qualche mese dal trauma subito a causa dell’incendio nell’azienda in cui lavorava da 12 anni sino alla Camera dei deputati, in cui siede orgogliosamente con sette stelle appuntate al petto. Una per ogni compagno di lavoro che non riuscì a salvarsi nell’inferno di fuoco della Thyssen. Sette stelle che gli ricordano da dove è ve-nuto e dove vuole andare, in maniera chia-ra e senza fronzoli con in mano la bandiera di un lavoro sicuro, dignitoso e in cui non si rischia la morte. Il parlamentare nazionale, licenziato dalle acciaierie, assieme a tutti gli altri dipendenti perché si è concluso il pe-riodo di cassa integrazione in deroga, sca-duto il 31 luglio scorso, da quando la Thys-senKrupp ha chiuso a Torino, ha trascorso la sua vacanza tra Portopalo e Pachino, la terra che ha dato i natali alla moglie Giusy ed ha raccontato a Talè la sua storia. Sen-za riuscire a nascondere il pancione della

moglie che darà alla luce ad ottobre la loro primogenita.

Quando accadono drammi di tale enti-

tà, sul momento c’è tanta mobilitazione,

ma poi si spalanca l’oblio. Quale è la sua

sensazione oggi rispetto al nome Thys-

senKroup?

La Thyssen evoca ormai soltanto l’eco della tragedia, nonostante sia una multinaziona-le che ha moltissimi interessi nel mondo. Forse il ricordo legato alla morte di sette lavoratori è stato utile perché l’attenzione rimanesse sul processo, altrimenti tutto sarebbe fi nito come gli altri incidenti sul lavoro: se ne parla nel momento in cui accadono e immediatamente dopo tutto viene dimenticato. Ed è grave dimenticare, perché esistono molte altre tragedie e qui in Sicilia ce n’è stata una altrettanto impor-tante avvenuta immediatamente dopo la Thyssen, a Mineo, che non ha ricevuto la stessa attenzione mediatica. Penso che il contributo dato da giornali e televisioni al processo Thyssen è risultato determinante per giungere, in primo grado ad un giu-dizio di omicidio volontario nei confronti dell’amministratore delegato dell’azienda. Cosa che sino ad ora non era mai avvenuta.

Un dramma che ha creato più scalpore

forse perché qualcuno è sopravvissuto?

Sicuramente. Credo che se nessuno fosse sopravvissuto a quella tragedia, nessuno avrebbe potuto raccontare ciò che è ac-caduto quella notte ed anche nei giorni precedenti che hanno portato all’inciden-te. È gravissimo che sia dovuta accadere una disgrazia per far ricordare all’opinione pubblica che esiste ancora la fi gura dell’o-peraio nel nostro Paese. O comunque della persona che lavora e fatica ad arrivare a fi ne mese.

Come ci si sente dall’essere catapultati

dalla vita da operaio alla “casta”? Che

eff etto le ha fatto essere seduto in Parla-

mento, considerando che molti di quelli

che in questo periodo storico vi si trovano

politici di vecchia data o fi gli e parenti di

politici, oppure ex vallette?

Sicuramente l’impatto è notevole ed io l’ho avuto: ma per la Camera in quanto istituzio-ne e non per i personaggi che c’erano. Mi ha impressionato particolarmente il senso aulico di quel luogo. Pensare che su quei seggi si sono seduti politici “veri” come Aldo Moro, Enrico Berlinguer e tanti altri. Se ti soff ermi a rifl ettere sullo spessore di quegli uomini, diventa ancor più notevole la distanza rispetto a ciò che è la politica

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Talè . Ottobre 2011 29

« Non si può vivere con una bomba ad orologeria

continuamente in tasca,perché il “tic tac” prima o poisi ferma e la bomba scoppia »

Foto di: Sebastiano Diamante

Le vite spezzate di ArpinoQuanto accaduto ad Arpino in provincia di Frosino-

ne, non può e non deve essere soltanto l’ennesima

tragedia di cui si parla per lo spazio di un momento

che non è possibile quantifi care tanto è irrilevante.

Certo,il nostro Paese, così come il resto d’Europa vive

oggi un grave momento, ma questo non può essere

l’ennesimo alibi che oscura tragedie e drammi di vite

spezzate, portate via, sacrifi cate al lavoro. Il lavoro,

mezzo un tempo per realizzare i sogni .

Oggi il sogno è il lavoro stesso.

Mio padre arrivò a Torino con il sogno in tasca di riu-

scire a trovare un posto in quella che allora era anco-

ra considerata una grande “mamma” la Fiat.

I giovani di oggi vivono costantemente con l’incubo

del termine di innumerevoli e infi niti contratti e a

questa esigenza ,alla conferma di quei contratti sa-

crifi cano anche la loro incolumità,la loro sicurezza.

Tutto ciò non è accettabile in un Paese che vuol man-

tenere un minimo di parvenza di civiltà.

Occorre che tutte le forze politiche e sociali tornino

in maniera prepotente sull’argomento ,esigendo

e costruendo percorsi per la corretta e piena ap-

plicazione delle leggi,che nonostante lo squallido

tentativo di totale arretramento da parte di questa

maggioranza,siamo riusciti a mantenere in piedi.

Cari amici e compagni di articolo 21 ,credo sia arri-

vato il momento di rimettere in marcia la carovana

per il lavoro sicuro ,da troppo tempo ferma. La tra-

gedia che si è consumata ieri ad Arpino richiama tutti

,ma noi non lo abbiamo dimenticato neppure per un

istante ,ad un’attenzione e a sollecitazioni nuove e

vigorose verso questo governo ,che reo di occupar-

si solo dei guai giudiziari del premier ,esclude dalla

propria agenda politica i problemi del lavoro e della

sicurezza sullo stesso .

Se fosse suffi ciente volersi bene ,come pensa il

ministro Sacconi,per scampare a infortuni sul

lavoro,vivremmo probabilmente nel migliore dei

mondi possibile ,ma i racconti e le favole, lasciamoli

a chi sa scriverli e raccontarle, noi abbiamo bisogno

di ben altro.

di Antonio Boccuzzi

Antonio Boccuzziin Piazza Vittorio Emanuele a Pachino

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30 Talè . Ottobre 2011

oggi, in cui c’è gente che scambia la propria coscienza e la propria dignità con interes-si privati. E questo è assolutamente grave per chi nella politica crede veramente. Non sono un nostalgico, ma sento la mancanza di politici di rilievo che potrebbero dare un contributo importante al Paese. Ed in que-sto sistema io penso di essere un’anomalia, parlando di fi gure che mancano in Parla-mento, come quella dell’operaio. Per tale motivo credo che bisogna stare attenti a non farsi fagocitare da una “casta”, che pro-vo a combattere dall’interno. A distanza di pochi mesi, dall’essere scam-

pato ad una tragedia alla candidatura del

Pd alla Camera, proposta da Veltroni du-

rante le elezioni politiche del 2008. Che

cosa ha trovato uguale dal Parlamento

alla fabbrica e cosa è diametralmente op-

posto?

Faccio molta fatica a pensare cosa possa essere uguale tra la fabbrica, il mondo del lavoro in generale, e quella che è la vita in Parlamento. Credo che esista un’enorme di-stanza e in molti casi una totale amnesia di chi sta seduto sugli scranni di Montecitorio e palazzo Madama verso quelli che sono i problemi reali del lavoro nel nostro Paese. Anche perché, probabilmente, c’è l’incon-

sapevolezza di quello che accade davvero e di come si soff re lavorando e facendo fatica ad arrivare alla metà del mese. La distanza è enorme, quindi. E non è solo economica ma di esigenze: quelle che provengono da un solo uomo da una parte e dall’altra quelle del popolo, di cui ci si dovrebbe oc-cupare. E questo suscita insoff erenza verso la classe politica che viene defi nita “casta”.

Parlava di un sistema autoreferenziale

che si alimenta e decide per se. Come si

può arrestare questo meccanismo che, co-

munque, è deleterio per la base. Il popolo

ha un eff ettivo potere dirompente o sia-

mo destinati sempre ad essere in balia di

questo fenomeno?

Viviamo in un periodo politico e storico molto delicato. C’è un’insoff erenza non solo verso la politica, ma anche verso il sindacato e la chiesa e su queste tematiche tanti sono i dibattiti sui social network. Ma sono con-vinto che in Italia non può accadere quello che è successo in Spagna ed in Inghilterra, anche perché esiste un dibattito civile e molto colto tra la popolazione. Il rischio di una forma di rivolta contro la “casta” è, co-munque, enorme. Anche perché con questa legge elettorale si fa fatica a dare la voce alle persone che vivono i problemi di tutti i gior-

ni. Credo che per dare davvero una sterzata a questa nazione bisogna cambiare la legge elettorale e dare l’opportunità alle persone di scegliere i propri rappresentanti politici. E poi puntare a ridurre i benefi t economici ma non con off erte “spot”, bisogna farlo real-mente partendo dalle pensioni. Ci vuole un ricambio generazionale all’interno delle isti-tuzioni e bisogna iniziare a pensare ad una contribuzione come quella dell’Inps, che possa dare un riconoscimento economico pensionistico, ma nel momento in cui si ver-sa un numero di anni suffi ciente, come nel caso dei lavoratori che si spaccano la schie-na tutti i giorni.

Perché sono tutti contrari alla legge elet-

torale attuale, in Parlamento, ma non si

riesce a fare nulla per modifi carla?

Che sia una “porcata” lo ha detto lo stesso Calderoli, colui che l’ha partorita. Assolu-tamente non democratica, che non dà alle persone la possibilità di essere veramente rappresentate e di avere un contatto reale con i parlamentari. Io ed altri deputati in Piemonte abbiamo provato a farci portavoci delle sensazioni del popolo, della necessità di potere scegliere i propri rappresentan-ti. Ma bisogna ridurre i parlamentari, per iniziare a snellire un Parlamento che è pra-ticamente fermo. In tre anni di legislatura abbiamo fatto molto molto poco e votato solo decreti governativi su proposte di legge dei deputati. È un’anomalia, e si lavora poco anche nelle commissioni: questo è un tabù da sfatare, perché c’è chi si nasconde dietro il lavoro in commissione. Sono componente della commissione parlamentare Lavoro e forse è una delle poche in cui si concretiz-za e, per giunta, gli altri deputati ci irridono per il nostro impegno. Alla Camera abbia-mo votato 41 provvedimenti con la fi ducia, questo vuol dire che non c’è stato dibattito parlamentare, né nelle commissioni e tanto meno in aula.

Come ha vissuto il giorno dopo l’ elezione?

Durante la conferenza stampa per la mia candidatura, Walter Veltroni mi salutò già come “l’onorevole Boccuzzi”. Per un partito come il Pd in Piemonte era scontato che sarei stato eletto. Ho vissuto in maniera particolare tutto il percorso, anche perché ne avevo contemporaneamente aperto uno ben più importante che riguardava

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Talè . Ottobre 2011 31

le indagini in corso, le deposizioni e tutti gli aspetti legati al processo. E forse non mi sono neanche reso conto di quello che stava accadendo dal punto di vista politico, ma non solo. Per ovvie ragioni la mia vita è stata completamente stravolta, cambiata dal momento delle elezioni. Nonostante fosse un’ elezione scontata ho fatto una miriade di iniziative in tutta Italia perché, anche se questa legge elettorale impone i parlamentari, ritenevo giusto esporre il programma del Pd, in cui c’era un aspetto legato alla sicurezza sul lavoro che io chiesi di inserire altrimenti non avrei accettato la candidatura. Forse anche in questo sono stato visto come un “extraterrestre”. Ero e sono convinto di avere un debito nei con-fronti delle persone che non ci sono più e di chi ha incidenti sul luogo di lavoro, ecco perché non ho accettato senza condizioni.

Cosa le piacerebbe raccontare a sua fi glia

di questa esperienza politica?

In questo percorso qualche risultato l’ho avuto ed è legato alla legge sulla sicurezza sul lavoro, ma il percorso da fare è ancora lungo. Vorrei poter raccontare a mia fi glia di un’ Italia dove non esiste più il precaria-to, dove un giovane non sa che cosa deve fare della propria vita e non può decidere neanche di avere un fi glio. Nel mio percor-so lavorativo spesso ho dovuto rinunciare all’idea di avere un bambino perché con mia moglie non avevamo la possibilità di farlo: ora ce l’ho e forse , da quando sono deputato, dal punto di vista economico, l’unica cosa di cui sono contento è che po-tremo crescere nostra fi glia dignitosamen-te. Ma la situazione che vivono gran parte dei giovani del nostro Paese è disastrosa. È assurdo che il mercato del lavoro sia detta-to da ritmi che ti portano nella condizione di dover svolgere qualsiasi tipo di lavoro con il rischio di essere spedito a casa a fi ne mese, perché le aziende non hanno alcuna agevolazione nell’assunzione. Non si può vivere con una bomba ad orologeria conti-nuamente in tasca, perché il “tic tac” prima o poi si ferma e la bomba scoppia. In que-sto spero di poter off rire un Paese diverso a mia fi glia e ai fi gli dei giovani di oggi. Vorrebbe continuare la sua esperienza

politica?

Spero possa deciderlo la gente, magari at-

traverso le elezioni primarie. Penso sia una forma molto democratica scegliere i propri candidati, e tutte le candidature dei parla-mentari dovrebbero passare attraverso le primarie. Se attuate, risulterebbe una scelta intelligente, lungimirante e salutare per un partito che in questo momento qualche problema ce l’ha.

Cosa serve alla Sicilia per ripartire?

Torno ogni anno in questo angolo di Sicilia

sia perché ha dato le origini a mia moglie e anche perché mi sono innamorato del ter-ritorio. La Sicilia è una regione eccezionale che ha tantissime risorse ed il problema più grande è che sono mal gestite. Non si valo-rizzano le ricchezze che questo territorio ha e può off rire. Dal punto di vista del lavoro, la cosa che più mi preoccupa è venire a co-noscenza che ci sono tantissimi giovani che per pochissimi euro passano intere giorna-te sul posto di lavoro. Bisognerebbe contra-stare il lavoro nero ed il caporalato.

Nelle foto l’uomo

che è sopravvissuto

al rogo della

Thyssenkrupp

Antonio Boccuzzi

© 2011 Salvatore Contino

Page 32: Ottobre

32 Talè . Ottobre 2011

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Presentazione

L’organizzazione di Produttori FARO, che proprio quest’anno com-pie trent’anni di attività, riunisce circa novanta aziende agrico-

le specializzate nella produzione di ortofrutta di qualità tipica

dell’area sud orientale siciliana (comuni di Pachino, Portopalo di C.P. e Noto, provincia di Siracusa), ed è tra le aziende fondatrici del Consorzio di Tutela IGP Pomodoro di Pachino.

Mission Nata perseguendo uno spirito mutualistico di ottimizzazione delle risorse in forma di cooperativa, e verso il quale rappresenta un vero punto di riferimento economico. Come recita nella presentazione del suo sito web (www.coopfaro.it):

“Miriamo a far crescere il fatturato per fare crescere la quali-

tà della vita delle famiglie dei nostri soci, per intervenire sul

territorio, per migliorare la comunità e il comprensorio dove

operiamo. Vendere di più per aumentare la sicurezza dei no-

stri agricoltori, per tutelare la salute loro e quella di chi ama

consumare i nostri prodotti....

e ancora:

“...La O.P. faro non è solo una azienda agricola, ma prima di

tutto una comunità di persone che vivono lo stesso territorio,

che condividono insieme le stagioni ricche e le annate diffi cili,

con la stessa missione: sfruttare al meglio le risorse straordi-

narie di un territorio di produzione, quello ubicato nella estre-

ma punta meridionale della Sicilia, unico in Europa per clima

e per la vocazione alle coltivazioni di primaticci di qualità.”

Sulla base dei propri principi improntati alla sinergia degli operatori e delle risorse, ha perseguito anche verso le altre aziende del terri-torio politiche di collaborazione. E’ stata in questo modo protago-nista della nascita e dello sviluppo dell’economia ortofrutticola che ha interessato in modo massiccio il territorio negli ultimi decenni, ed è stata tra le aziende promotrici dell’attuale Consorzio di Tutela IGP Pomodoro di Pachino, di cui è attualmente socia.

E’stata la prima struttura ad essere riconosciuta come Organiz-

zazione di Produttori con apposito decreto regionale.

Dichiarazione del Presidente Corrado Petralito:

“ll 2011 festeggeremo insieme il trentesimo anniversario del-

la FARO.

Sarà l’occasione per rifl ettere sul signifi cato di una struttura

che è cresciuta nel tempo, diventando quella che è oggi: una

realtà ben strutturata, presente sul mercato e autorevole sul

territorio.

Un esempio brillante di associazionismo e di volontà di lavo-

rare insieme, anche quando questo ha comportato qualche

sacrifi cio personale.”

Recapiti telefonici e indirizzi email reperibili all’indirizzo internet: www.coopfaro.it

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L’azienda

90 soci, circa 80 dipendenti, 8 milioni di eurodi fatturato: ecco in sintesi i numeri della O.P. FARO.

Ciclo produttivoFARO Segue e assiste i propri soci produttoriin fase tecnico-agrono-mica e nella pianifi cazione stagionale delle loro produzioni in vista della successiva collocazione sui mercati. Si occupa della lavorazio-ne del prodotto conferito e gestisce il confezionamento presso il centro di lavorazione ubicato presso il magazzino di Portopalo di Capo Passero, per poi curarne successivamente la spedizione e la distribuzione geografi ca.

La lavorazione e confezionamento dei prodotti viene eff ettuata su in un magazzino di mq 1600 di proprietà della cooperativa provvi-sto di impianto di condizionamento e di una cella frigo per lo stoc-caggio del prodotto fi nito, strutturato in quattro diverse unità:

1. Un corpo centrale dalla superfi cie totale di 1200 mq suddi-

viso in due comparti: - comparto logistico dedicato allo scari-

co della merce - comparto produttivo dedicato alla lavorazio-

ne del prodotto

2. Una palazzina uffi ci di circa 150 mq disposta su due livelli ,

dotata oltre che degli uffi ci amministrativi anche di un’ampia

sala riunioni.

3. Un magazzino di circa 300 mq destinato alla vendita di pro-

dotti utili all’agricoltura per i soci.

4. Una struttura retraibile posta nella parte posteriore del

magazzino destinata alla logistica degli imballaggi.

La lavorazione viene eff ettuata attraverso: 3 linee di lavorazio-

ne per il pomodoro ciliegino dotate in totale di 50 postazioni,

tali linee oltre a disporre di un nastro elettronico, sono dotate

di bilance elettroniche; una linea di Organizzazione di Produt-

tori L’azienda lavorazione per il pomodoro costoluto dotata di

un calibratore ottico in grado di selezionare il prodotto sia per

dimensione che per colore; due celle frigorifere per complessivi

mq 95,48, 4 Transpallett.

MarketingLa FARO garantisce piani di fornitura affi dabili, concordati con la propria base produttiva sulla base delle esigenze dei propri clienti. I piani colturali vengono redatti tenendo conto degli accordi di forni-tura, e possono venire adattati alle necessità varietali e quantitative del committente. Su base concordata può elaborare confezioni e linee di prodotto personalizzate.Dotata di una propria rete di distribuzione, La FARO è nelle condi-zioni di consegnare nell’arco delle 48 ore successive alla raccolta e al confezionamento su tutto il territorio nazionale, attraverso il tra-sporto su gomma con mezzi termocondizionati.

QualitàLa O.P. FARO è costantemente impegnata sul fronte del controllo qualità, a monte della fi liera: una equipe di tecnici agronomi sono stabilmente impegnati per mantenere alto lo standard qualitativo.

Tenendo fede a precisi punti fermi in termini di correttezza e rispetto del consumatore, dell’ambiente e dei partners (certifi cata GLOBAL

GAP), oggi la O.P. Faro può contare su una struttura evoluta sotto il profi lo tecnico e commerciale, un parco clienti stabile distribuitosu tutto il territorio nazionale e su alcuni paesi della comunità eu-ropea.

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Page 36: Ottobre

36 Talè . Ottobre 2011

[email protected]

Segnala i tuoiappuntamenti

scrivendo a:

EXPOGEPSalone della gelateria,pasticceria ed enologiaLe ciminiere (CT)

SAGRA DEL MOSTORosolini (SR)

PALERMO VS. LECCECalcio serie AStadio BarberaPalermo

OTTOBRATA ZAFFERANESE2, 9, 16, 23, 30 Ottobre 2011Zafferana Etnea (CT)

2 OttobreSAGRA DELL’UVA

9 OttobreSAGRA DEL MIELE

16 OttobreSAGRA DELLE MELE DELL’ETNA

23 Ottobre SAGRA DEI FUNGHI

30 Ottobre SAGRA DELLE CASTAGNE

La locanda di Roberto Pappalardo & co.

Via Garibaldi, 276 Zaff erana Etnea (CT)

Tel. 347 1423955

La Fenice di Russo

Via cassone s.p. Etna Zaff erana Etnea (CT)

tel. 095 7082907 Cell. 392 2342675

Montecarlo dolciumi Via Cassone, 2

Via Garibaldi, 337 Zaff erana Etnea (CT)

Tel. 095 7081751

Airone wellness Hotel

Via cassone, 67 Zaff erana Etnea (CT)

Tel. 095 7081819

MANGIARE E DORMIREIBLA BUSKERS

Festa artisti di stradaRagusa

TERZO MEETING DE L’ARSENALERagusa Ibla (RG)

Page 37: Ottobre

Talè . Ottobre 2011 37

MARCO TRAVAGLIOh 19.00Teatro MassimoPalermo

MARCO TRAVAGLIOh 19.00

Teatro MassimoPalermo

SAGRA DELLA MOSTARDAE DEL FICO D’INDIAMilitello in Val di Catania (CT)

EXPOGEPSalone della gelateria,pasticceria ed enologiaLe ciminiere (CT)

SAGRA DEL PISTACCHIO DI BRONTE XXII EDIZIONE

Bronte (CT)

AGRIMONTANAI SAPORI DEGLI IBLEI

Palazzolo Acreide (SR)

SAGRA DEL FUNGO DELL’ETNAPedara (CT)

SAGRA DEL FUNGO DELL’ETNAPedara (CT)

SAGRA DEL FUNGO DELL’ETNAPedara (CT)

CATANIA VS. INTERCalcio serie AStadio MassiminoCatania

CATANIA VS. NAPOLICalcio serie AStadio MassiminoCatania

PALERMO VS. SIENACALCIO SERIE AStadio BarberaPalermo

SAGRA DELLA MOSTARDAE DEL FICO D’INDIA

Militello in Val di Catania (CT)

SAGRA DEL PISTACCHIO DI BRONTE XXII EDIZIONEBronte (CT)

SAGRA DEL FUNGO DELL’ETNAPedara (CT)

SAGRA DELLA MOSTARDAE DEL FICO D’INDIAMilitello in Val di Catania (CT)

SAGRA DEL PISTACCHIO DI BRONTE XXII EDIZIONE

Bronte (CT)

SAGRA DEL PISTACCHIO DI BRONTE XXII EDIZIONEBronte (CT)

EXPOGEPSalone della gelateria,pasticceria ed enologiaLe ciminiere (CT)

EXPOGEPSalone della gelateria,

pasticceria ed enologiaLe ciminiere (CT)

IBLA BUSKERSFesta artisti di strada

Ragusa

IBLA BUSKERSFesta artisti di stradaRagusa

IBLA BUSKERSFesta artisti di strada

Ragusa

IBLA BUSKERSFesta artisti di stradaRagusa

LINEA 77Mercati Generali

Catania

DOMENICA 23 OTTOBRE 2011

MODÀh 21.00PalatupparelloAcireale (CT)

TERZO MEETING DE L’ARSENALERagusa Ibla (RG)

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Talè . Ottobre 2011 39

A Jaffna tra i

Reportage

TamilIn seguito a un invito, nell’agosto 2011

ho avuto occasione di visitare lo Sri Lanka. Pochi giorni prima della partenza, il Governo sri-lankese ha reso noto che per gli stranieri non sarebbe stato più

necessario il permesso del Ministero degli Interni per visitare il nord del paese, il

territorio dei Tamil.

Trent’anni di guerra tra lo Sla - lo Sri-Lanka Army - e i guerriglieri delle Tigri Tamil dell’Ltte – Liberation Tigers of Tamil Eelam - hanno reso inaccessibile la regione a nord del paese, isolandola dal resto del mondo. Le radici del malcontento che ha causato la guerra sono lontane e aff ondano nel periodo coloniale. Gli inglesi, ultimi europei a comandare nell’isola, trattarono parimenti singalesi e tamil, dividendo e assegnando in parti uguali gli incarichi amministrativi che permisero ad alcune famiglie di arricchirsi e conseguentemente a una parte della popolazione di diventare élite grazie all’accesso agli studi e agli incarichi più prestigiosi al fi anco dei colonizzatori. Nel 1948, quando gli inglesi se ne andarono, tamil e singalesi si dividevano ancora in pari numero l’accesso all’università e agli incarichi dirigenziali. Ma gli inglesi non avevano tenuto conto di un dettaglio. Numericamente i singalesi rappresentavano la larga maggioranza della popolazione e i tamil una ristretta minoranza: quella suddivisione paritaria costituiva un’anomalia e per i singalesi andava sanata nel più breve tempo possibile. Il nuovo parlamento, inevitabilmente a maggioranza singalese, condusse una politica discriminatoria nei confronti dei tamil, imponendo forti limiti all’accesso all’università e agli incarichi pubblici con l’obiettivo di ristabilire le proporzioni. Lo slogan Sinhala only, solo

di Peppe Sessa

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Raccolgo qualche sorriso malinconico e una calda stretta di mano, ma la paura di parlare e raccontare è più forte o forse– chissà – è voglia di dimenticare

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singalesi, scandì campagne politiche e manifestazioni di piazza, creando crescente malcontento tra i tamil.Trovando chiuse le porte di accesso alle università di casa, gli studenti tamil più ricchi si recavano all’estero: Parigi, Londra, Beirut. Ma quegli anni erano ricchi di ideologia e fermenti politici anche in Europa. Gli incontri con altri movimenti indipendentisti furono inevitabili: hezbollah libanesi, membri del Pfl p – Popular Front for the Liberation of Palestine e probabilmente organizzazioni europee. In patria il movimento indipendentista aveva già fatto proseliti e quando le elezioni politiche confermarono le prospettive di emarginazione del popolo tamil, la miscela fu micidiale: iniziarono gli addestramenti in India e in Medio Oriente al fi anco di palestinesi, siriani e libanesi e partì la macchina dei fi nanziamenti dei tamil residenti all’estero, già costretti a emigrare per la crisi: Europa, Canada e Usa, Australia e Singapore. Milioni e milioni di rupie, visto il cambio vantaggioso, per acquistare armi, addestrare la guerriglia e aiutare la popolazione stremata. Il resto di questa storia si dipana tra manipolazioni e controspionaggio, interessi politici e fi nanziari internazionali, ambigui comportamenti e interessi personali dei leader di entrambe le parti.Dopo tante fasi alterne, nel 2009 lo Sla ha avuto il sopravvento massacrando in pochi mesi almeno trentamila persone tra civili e guerriglieri e macchiandosi di gravi crimini contro la popolazione e i para-militari tamil. Sparizioni e fosse comuni, cecchini sui civili, scudi umani. Secondo il governo norvegese, che per lungo tempo ha presieduto gli infruttuosi colloqui di pace, donne, anziani e bambini non sono stati risparmiati dalla carnefi cina né dalle torture, dagli stupri e dalle esecuzioni sommarie. Nel frattempo la popolazione civile singalese, ignara di quanto succedeva al nord, con una sapiente e mirata campagna governativa di disinformazione, si convinceva che i tamil in guerra altro non erano che pochi psicopatici sanguinari. Questa perlomeno è la risposta ricevuta alle domande poste a singalesi del sud e del centro del paese. Dal canto suo, il governo di Colombo nega e disconosce i documenti fi lmati sul campo.Musica a palla, l’autobus rumoroso e scassato ha i fi nestrini rotti. Polvere e calura danno la sgradevole sensazione di stare all’aria aperta. Lasciamo i lunari dagoba e le scimmie di

Anuradhapura e a venti chilometri orari percorriamo la A9, semidistrutta dalle mine sino alla vivace Vavuniya, dove c’è appena il tempo per mangiare fright rice da un sacchetto di plastica e cambiare mezzo per Jaff na. Anche nel secondo tratto la strada è un cantiere, con decine di operai intenti a ricostruire i ponti fatti saltare durante la guerra o a riprendere il manto stradale. Sosta al Tempio di Ankaran per una veloce off erta a un barbuto sacerdote e ripartenza verso la savana del nord. La sosta al check point è più lunga del previsto, perché devo rispondere alle domande dei militari. Alla fi ne raggiungo l’autobus cento metri più avanti, mi guadagno il sorriso degli altri passeggeri, già sorpresi per l’insolita presenza occidentale e ripartiamo. Superiamo bazar all’aperto, bungalow ancora presidiati dai militari o trasformati in abitazione dai civili. Dopo le rovine di Kilinochchi, le tombe ai bordi della strada si fanno frequenti e per lunghi tratti le segnalazioni di terreno minato sono pressoché continue. All’arrivo a Jaff na, la stupefacente quantità di mutilati rivelerà le conseguenze delle mine disseminate ovunque.Trascorro lunghe ore nella libreria cittadina, ricostruita dopo l’incendio. Il giro per i quartieri a est del forte, lungo Main Street, fa male. Abitazioni sventrate, pareti ridotte a gruviera dalle pallottole. Chiedo, spiegazioni, cerco testimonianze. Raccolgo qualche sorriso malinconico e una calda stretta di mano, ma la paura di parlare e raccontare è più forte o forse – chissà – è voglia di dimenticare. Un padre di famiglia mi è riconoscente per quel che sto facendo, ma rientra in casa. Soprattutto in periferia, le tombe sono numerose tra un edifi cio e l’altro. Non fa impressione questo, perché è un’abitudine in tutto il paese, ma che le date della morte incise su gruppi di lapidi vicine siano sempre le stesse. La battaglia è passata da lì e quello è il risultato. I militari sri-lankesi sono appostati di guardia agli incroci, ai ponti, ai distributori di carburante e nei pressi di alcune abitazioni abbandonate. Sono quelle dei capi della guerriglia o che per qualche motivo non devono essere restituite alla popolazione tamil. Scatto diverse foto. I militari non gradiscono, uno accenna a una reazione, ma mi dileguo velocemente ed evito complicazioni. Ho il privilegio di essere un occidentale, ma è meglio non tirare la corda. I militari sanno di essere una forza di occupazione e come

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IL RIPOSO DEI MARTIRI

Il Mavira Thuyillim Illam è un cimitero tamil e il nome signifi ca Casa del Riposo dei Mar-tiri. Nel 1995 lo SLA ne distrusse le lapidi, ma le Tigri riconquistarono la regione e risiste-marono il cimitero. Lì sono sotterrati solo guerriglieri, oltre duemila. Ogni stelo d’erba, ogni forma di vita in quel cimitero sono nati dal sangue e dalle carni dei combattenti. Per il popolo tamil è un luogo sacro dal for-te valore simbolico. Quasi tutti in quest’area hanno parenti, fi gli, fratelli, cugini sepolti in quel campo. A fi ne novembre di ogni anno ricorre il Giorno dei Martiri, in cui tamil da tutto lo Sri Lanka, anche chi non ha parenti

sepolti al Mavira Thuyillim Illam, compiono un pellegrinaggio e una commovente ve-glia illuminata da migliaia di lampade a olio, una per lapide, per celebrare chi ha dato la vita per l’ideale tamil: uno stato libero e indipendente, non costretto a elemosinare infrastrutture e parità di trattamento.Lasciamo la stazione degli autobus e im-bocchiamo la Point Pedro Rd. Superiamo il Nalluk Kandaswamy Kovil dove ieri ho assistito a una lunga e istruttiva puja e per-corriamo una lunga strada ai margini della parte più urbanizzata. Dopo un po’ realizzo che il driver sta girando tondo tondo lungo la strada. Una caserma, alcuni appezzamen-ti coltivati e un paio di abitazioni costitu-iscono l’alternativa a manghi, palme e ba-nani. Ci risiamo, non è una novità neanche questa. Non sa neanche dove dobbiamo andare, ma intanto si è assicurato il cliente. Vediamo cosa si inventa adesso. Lo costrin-go a fermare due giovani lungo la strada. L’abbigliamento elegante mi fa pensare a persone che conoscono l’inglese e così è. In qualche modo mi spiegano che il driver non può andare vicino al Mavira Thuyillim Illam perché i militari non vogliono stra-nieri intorno e che lui rischia grosso se mi conduce lì. Per visitare il Mavira Thuyillim

Illam bisogna raggiungere la caserma e lui ha paura dei militari. Riesco a rassicurarlo. Ripartiamo e ci fermiamo lungo la strada in corrispondenza della traversina che condu-ce alla caserma. I militari stanno di guardia all’imbocco della stradina. Parlo col soldato, che dopo avermi osservato come fossi un marziano, viste le mie insistenze si decide a parlare via radio con le guardie in caserma. Un occidentale chiede di visitare la caserma. Lascio lì mia moglie e il driver in compagnia dei soldati e mi incammino. I cinquecento metri della traversa sono lunghissimi e per un po’ le sentinelle mi puntano coi loro fu-cili. Dopo un po’ all’unisono abbassano le armi. Mi rassereno e continuo lentamente e con le braccia larghe e bene in vista.L’accoglienza è cordiale. Vengo perquisito e ricevuto dal comandante della caserma, che parla inglese. Mi chiede cosa faccia lì, la na-zionalità, se sono giornalista o un politico. Per distendere la tensione – soprattutto mia – rispondo e commento la fi ne della guer-ra. La domanda successiva è su come abbia raggiunto la caserma.«Con un autobus» rispondo, ricordando gli occhi imploranti del driver quando mi sono avviato verso la caserma.«Qui non arrivano autobus». Il sangue mi si

tali sono avvertiti dalla popolazione civile. Questa, pur sollevata dalla fi ne della guerra, non gradisce né l’epilogo né la presenza dei nemici di trent’anni. La conseguenza è che i militari sono ancora costretti a girare in pieno assetto di guerra – mitragliatori col colpo in canna e bombe a mano appese alla cintura – senza perdere d’occhio quel che succede intorno, con licenza di sparare a vista al minimo allarme. Non gradiscono le foto, ma io sono occidentale e le dichiarazioni del governo sri-lankese parlano chiaro: la circolazione è libera e il divieto di fotografi e è limitato agli obiettivi sensibili.L’indomani mattina presto, temperatura già alta, nei pressi della stazione degli autobus che qui chiamano Bus Stand, i tuk tuk drivers fanno capannello e attendono i clienti. Con due bianchi lo scompiglio è assicurato. D’altronde, a Jaff na non abbiamo ancora incontrato occidentali e i pochi che passano da queste parti si spostano a bordo dei gipponi dell’Onu o delle Ong. Poco importa. Un driver ci viene incontro, ci sorride e ci chiede dove siamo diretti, ma non capiamo subito perché parla in tamil. Iniziamo bene. Del gruppetto di autisti solo uno parla inglese e pure male. La contrattazione è lunga. In questa fase i drivers, ma questa non è una novità, hanno la prerogativa di rendere qualsiasi destinazione lontana e diffi cile da raggiungere, salvo poi semplifi care tutto una volta concordato il prezzo. Ci dicono pure che al Mavira Thuyillim Illam – è quello il posto - non si può andare, che è chiuso. «Portami là e fammelo vedere lo stesso», rispondo. Spuntiamo una tariff a ragionevole, ma non col driver che parla inglese, che probabilmente voleva far pesare il vantaggio di conoscere la nostra lingua.

Lì sono sotterrati solo guerriglieri,oltre duemila. Ogni stelo d’erba, ogni forma di vita in quel cimitero sono nati dal sangue e dalle carni dei combattenti.

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gela, ma riesco a rispondere senza indugi che c’è una fermata non lontana. Lui annui-sce e a quel punto prendo l’iniziativa. «C’è un cimitero qui vicino.. un cimitero di guerriglieri tamil».«Un cimitero? Non ne so nulla, non mi risul-ta».«Sì, un cimitero di guerriglieri tamil, si chia-ma Mavira Thuyillim Illam» e gli mostro un documento come prova. È scritto in italia-no. Prova a leggere, sorridiamo di fronte alle diffi coltà linguistiche.«E perché lei è interessato a un cimitero ta-mil? Ci sono già tante tombe in giro».Con tono più deciso, gli rispondo che sono interessato ai tamil quanto ai singalesi e che dopo aver visitato il sud e la Hill Country, desidero visitare la terra dei tamil, dato che il governo ha dato il permesso agli occiden-tali. «O forse non è così?». Tergiversa, mi chiede del Sud e della Hill Country, che non ho ancora visitato. Invento qualcosa e quan-do riprendo il discorso, per lui non cambia nulla. Lì non c’è alcun cimitero, ma solo una caserma. Chiedo di visitare la caserma, ma la risposta è identica alla precedente: ci sono tante caserme in tutto lo Sri Lanka, perché proprio quella? Meglio quella centrale del 51-esimo distretto, da cui dipendono tutte le altre. Quella è lontana e ormai mi trovo lì a Jaff na: mi piacerebbe visitare proprio questa in cui mi trovo. Il colloquio continua così per oltre un’ora sin quando il coman-dante non telefona alla centrale del 51-esi-mo spiegando la mia presenza. Al telefono parla in inglese: buon segno in termini di trasparenza, mi dico. Dopo un po’ squilla il telefono e dall’altra parte arriva una raffi ca di domande: chi sono, da dove arrivo, estre-mi del passaporto, quali oggetti ho con me – già consegnati alla sentinella all’ingresso – e cosa voglio visitare di preciso. Altri venti minuti per elaborare le informazioni acqui-

site, dopo di che arriva la risposta: non pos-so visitare l’interno della caserma, ma posso percorrerne il perimetro. Me l’aspettavo. Ma il cimitero? Il comandante quasi si scusa, di-cendomi che lui è solo un soldato e queste decisioni non dipendono da lui.Il caldo umido è asfi ssiante e la luce del mezzogiorno accecante. Percorriamo i primi metri l’uno accanto all’altro: il comandante e tre soldati armati mi stanno appiccicati. Il muretto è basso e il comandante mi mostra gli alloggi, la palestra e il salone di ritrovo. Le aiuole fi orite e i vialetti separano l’un l’altro gli edifi ci dalle pareti in legno ancora linde e dai colori vivaci. D’altronde la caser-ma è certamente successiva al 2009, perché sino ad allora il territorio era controllato dal-le truppe tamil, provo a spiegarmi mentre osservo un paio di militari al lavoro.I tre soldati si attardano e noi due rimania-mo soli mentre il comandante mi indica la mensa. È l’ultima occasione.«Dov’è il cimitero?» gli domando a brucia-pelo e guardandolo dritto negli occhi.«There’s no anymore», mi risponde a bassa voce continuando a passeggiare come se nulla fosse. Non c’è più.«L’avete raso al suolo? Avete distrutto tutte le tombe?»

Non mi risponde e continua a camminare lentamente.«Ma quando è successo? La caserma è qui proprio per questo motivo?»Mi porge la mano con la solita cordialità: «La visita è fi nita, mi lasci andare ai miei impe-gni» mi dice mentre inverte il senso di mar-cia eludendo ogni mia velleità di approfon-dimento. Con la stessa cordialità mi off rono un bicchiere d’acqua e mi rimandano indie-tro, questa volta senza puntarmi coi fucili.A sera in albergo incontrerò due funzionari Onu che confermeranno le mie conclusio-ni: per cancellare un luogo dal forte valore simbolico, il cimitero è stato raso al suolo e vi hanno costruito una caserma per evitare i pellegrinaggi e il rinsaldarsi dello spirito indipendentista. Non so, non credo che la pace possa passare da azioni del genere. Credo che la conquista di quella caserma di-venterebbe il primo obbiettivo della guerri-glia tamil, se un giorno dovesse riprendere. Non del tutto immotivata è la decisione del governo sri-lankese, dal suo punto di vista.Dal canto mio, consapevole di poter raccon-tare l’accaduto solo perché sono un occi-dentale, dedico questa pagine a tutti coloro che sono morti per un ideale di fratellanza, uguaglianza e libertà.

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Musica

di Johnny Cantamessa e Francesco Rubino

Ci sono luoghi dove Euterpe, musa della musica, è più viva che altrove. Scenari mitici, immersi tra le pietre intrise di storia. Pietre che vediamo tutti i giorni e che nella loro unione formano palazzi, chiese e teatri naturali di sconfi nata bellezza.C’è un posto nel sud est della Sicilia che riesce a sublimare la magia dell’architettura barocca alla musica: Noto. Come da qualche anno a questa parte il comune netino promuove “Noto In Jazz”, manifestazione ideata e diretta dall’inse-gnante di chitarra Francesco Rubino, che ormai è diventata una tradizione delle calde estati del luogo.La location è quanto di meglio possa off rire il centro storico, il sagrato del S.S Salvatore ultimato nel 1802. Un grande spiazzale ai piedi della basilica che si aff accia sul corso Vittorio Emanuele che fa godere agli spet-tatori uno spettacolo monumentale senza pari: la Cattedrale, la chiesa di Santa Chiara con annesso il convento delle Clarisse e il Municipio. Il palco allestito per gli spettacoli musicali è sempre sobrio ed elegante, tale da non off endere le delicate costruzioni intorno. Quest’anno, tra i tanti ospiti nazionali ed internazionali, se né distinto uno che ha mo-nopolizzato per tanto tempo il mio lettore mp3. Lui è Gigi Cifarelli, chitarrista, classe 1955 ed è senza dubbio uno dei più autore-voli chitarristi jazz italiani. Nonostante abbia alle spalle la pubblicazione di soli quattro dischi, dal 1985 ad oggi, Gigi continua ad essere rispettato e stimato nell’ambiente jazz. Chitarrista dalla tenera età di sette anni, capisce che la musica può diventare qualco-sa di più solo a 23.La lista delle sue collaborazioni è prati-camente sterminata e spazia da nomi internazionali di alto calibro fi no a talenti di casa nostra.Così, per saperne di più, Talè ha incontrato Gigi Cifarelli.

Lo sport, in particolare il ciclismo, hanno

un ruolo fondamentale nella tua vita.

Quali sono i punti di contatto con la

musica?

Fondamentale forse è un po’ esagerato, sono delle forze sinergiche. Ovviamente se mi trovassi a scegliere tra le cose più importanti, per me la prima sarebbe sicura-mente Adriana, mia moglie. Poi ci sarebbe la musica, ma non voglio fare una classifi -ca. Certamente lo sport è tra le cose a cui

rinuncerei meno volentieri. Se, per fare un esempio, dovessi perdere un arto, sceglierei sicuramente una gamba, così potrei conti-nuare a suonare e magari anche pedalare come il mio amico Fabrizio Macchi.Il ciclismo è una fonte espressiva molto più legata alla nostra infanzia e al bambino che gioca a vincere. Io penso di praticarlo in ma-niera abbastanza sana, mi piace l’agonismo ma alla fi ne della gara mi piace pensare di essermi divertito, di essere sano fi sicamente e contento che alla mia età possa ancora fare cose legate alla mia infanzia. La musica, poi, è un’espressione eterna che ti porti dentro per sempre, non ha età.

Non trovi che nella musica, talvolta ci sia

una competizione che danneggi l’arte in

sé?

Ma è come nel ciclismo o negli altri sport. Quando la competizione è sana, costrutti-va e, nel momento in cui fi nisce la gara si trasforma nel rispetto e nella stima per l’av-versario, direi che è inequivocabilmente un momento di crescita. Poi è come la gelosia o la modestia: nella dose giusta tiene viva le cose, quando si esagera ammazza i rapporti e le persone.

Dopo tanti anni di carriera, quali sono i

tuoi stimoli musicali?

La gente che trovo quando vado in giro a suonare, i miei allievi, il bene che ricevo da chi mi ascolta.

Quando hai cominciato cosa ti spingeva

ad andare avanti?

Il sogno. Quello da cui ti risvegli un giorno, quando ti chiedi a cosa è servito tutto quello che hai fatto, tutte le tue energie e i tuoi sacrifi ci. Però grazie alla musica conosco adesso molta gente che vale tanto. Però pro-vo un po’ di rammarico quando vedo gente che, pur valendo poco, viene presa in gran considerazione e ha una grande visibilità. Non è un fatto puramente di visibilità. Te lo spiego con un esempio: è come quando hai aiutato un amico, hai fatto di tutto per lui e poi un giorno vedi un altro tizio che viene adorato dal tuo amico solo perché gli dà qualcosa di interessante e diverso, mentre tu vieni trattato come uno di quelli che se non ci fossero stati, sarebbe stato lo stesso.

Tempo addietro una famosa testata

giornalistica musicale francese ti defi nì

come il George Benson europeo. Ti danno

fastidio questi paragoni?

Beh, sarebbe come dire che non somiglio a mio padre! Io a tutti i miei allievi, quando vengono a lezione, faccio studiare certe cose. Ma capita che loro mi dicano: “Io non voglio copiare nessuno perchè voglio essere personale”. Questa è una stupidaggine enor-me. Io non ho deciso di suonare in un certo modo in modo che la gente mi riconosca in mezzo a mille. E’ solo una cosa che un giorno ti ritrovi a fare.

In passato hai dichiarato che ti piace

vivere ogni giorno con la coscienza che

potrebbe essere l’ultimo. Non è ango-

sciante?

Beh, è così. E’ angosciante in tutti i sensi, come quando continui a pensare che prima o poi dovrai morire. Mio papà diceva: “Dove-te morire tutti, forse anche io!”. Quando stai bene ti senti immune dalla morte e anche da tante altre cose, come la malattia, che forse è peggio. E’ angosciante se ci pensi tutti i giorni, ma se dai il giusto peso a quanto accade capisci il perché devi goderti ogni momento della vita. Se cominci avendo un atteggiamento positivo, questa sensazione ti fa sentire più leggero e fortunato. E’ uno status che tu non ti puoi imporre, ma devi raggiungerlo gradualmente. Se nella tua vita non hai visto certe cose da vicino, da dentro questa con-dizione non riesci sicuramente a viverla.

Qual è la collaborazione che ricordi con

più piacere?

Direi Brian Auger. E’ uno di quei musicisti con cui ho diviso tanto e con cui mi sono trovato bene perché all’epoca rappresen-tava qualcosa che mi piaceva, un grandis-simo artista. Quando ci siamo conosciuti, suonavo al Capolinea, locale storico del jazz. Lui era là, ma io non lo riconobbi subito. Quando mi chiese di suonare con lui risposi che sarei andato volentieri, visto quello che mi off riva la possibilità, ma non potevo per-ché in quel periodo lavoravo in una scuola. Così mentre stavo tornando sul palco per suonare, un mio amico mi disse che era Brian Auger. Tornai indietro, lo abbracciai e gli dissi che era stato uno dei miei idoli da ragazzino. Mi riservai di dargli una risposta entro un paio di giorni. Andai a scuola e mi licenziai. Adesso posso dire di aver fatto bene, ma allora non lo sapevo. Il mio discor-so era sempre quello: se dico di no e muoio tra una settimana?

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Cifarelli,azzGigi

Intervista al „GeorgeBenson europeo‰, cheinsegue gli accordi sullacresta del tempo

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Visti per voi / 1

di Sebastiano Diamante

C’erano Lara Croft, Jack Sparrow con tutti i pirati dei Caraibi ed il conte Dracula. Ma anche Cenerentola, le tavole del

“Che”, Sampei, i “primi” 300 numeri di Dylan Dog, gli eroi di Star Wars e poi le armi dei guerrieri medievali, Lupus in tabula, gli scacchi e i videogames. Un connubio di passioni, diverse e collaterali o, come preferiscono gli organizzatori, «una serie di mondi che improvvisamente collidono e si stimolano a vicenda. In cui dominano la fantasia, il ritorno all’infanzia e l’ arte». È tutto questo Etnacomics, il primo festival siciliano interamente dedicato al fumetto, al cinema d’azione, al gioco ed ai videogames che si è svolto dal 9 all’11 settembre al centro fi eristico

“Le ciminiere” di Catania. Un evento patrocinato, oltre dalla Provincia e dal Comune di Catania, direttamente dal “Lucca Comics & Games”, uno dei festival di categoria più importanti del mondo. Performance, area games, conferenze, workshop musica e tanti ospiti per dar vita ad una tre giorni che ha accolto a sè migliaia di giovani e meno giovani appassionati di fumetti e giochi, che sono accorsi nella città etnea da ogni angolo dell’Isola. «L’idea di organizzare il festival - ha raccontato Alessio Riolo coordinatore generale di Etnacomics - è nata qualche anno fa. Sentivamo l’esigenza di regalare a quei lettori siciliani abituati sempre a spostarsi in giro per l’Italia e l’Europa per seguire festival di questo genere,

1) Dario Cherubino e Alessio Riolo 2) Star Wars 3) Le tavole di Parrillo 4) Jack Sparrow 5) Giochi da tavolo 6) Guerrieri e pirati 7) Fumettisti al lavoro 8) Le 300 tavole di Dylan Dog 9) Lara Croft 10) Da sinistra A. Zito, A. Pavone, A. Riolo, A. Mannino, L.Parrillo, D. Cherubino

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un evento a due passi da casa. E dopo l’incontro con Antonio Mannino, direttore generale della Executive manager Medea communications, dalle idee siamo passati ai fatti. Grazie anche al sostegno di “Lucca Comics & Games». Tra gli ospiti che hanno messo la loro esperienza a disposizione degli organizzatori della prima edizione di “Etnacomics” ci sono stati, per l’area “Fumetto e illustrazione” Massimo Asaro, Niccolò Assirelli, Simone Bianchi, Lelio Bonaccorso, Alessandro Bottero, Moreno Burattini, Fabio Celoni, Rob Di Salvo, Marco Failla, Giuseppe Franzella, Matteo Giurlanda, Emanuele Gizzi, Gianluca Gugliotta, Joevito Nuccio, Lucio Parrillo, Angelo Pavone, Rita Porretto, Rosario Raho, Marco Rizzo, Maurizio Rosenzweig, Emiliano Santalucia, Matteo Scalera, Luigi Siniscalchi, Luigi Albertelli, la band “La mente di Tetsuya”, Vince Tempera, Silvio Pozzoli e Giorgio Vanni. Tra gli ospiti dell’area “Animazione e doppiaggio” c’erano “Gualtiero Cannarisi, Fabrizio Mazzotta e Yoshiko Watanabe, per “Gioco e videogame” Spartaco Albertarelli e Mark Tedin e per “Cosplayer” Lu Chan, Alessandro Stante e Giorgia Vecchini. «La Sicilia – ha sottolineato Dario Cherubino, coordinatore area Comics -, non è il posto più adatto per eventi come questo. Non perché manchino gli appassionati, ma perché la maggior parte delle case editrici si trova al nord e spostarsi nel profondo sud risulta diffi coltoso, soprattutto per una “prima edizione” in cui le cifre non esistono e non ci sono possibilità di paragone». Però tutto ciò è accaduto, ed i siciliani non si sono lasciati scappare l’occasione.

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Visti per voi / 2

di Cristina Marini

Festival del Giornalismo, targato LA TERZA EDIZIONE DEL FESTIVAL MODICANO SI

RICONFERMA COME UN INTERESSANTE MOMENTO PER ACCEDERE AL DIBATTITO. E LIBERARE DALLA POLVERE DELL’ABITUDINE UN LAVORO DIFFICILE

E IMPEGNATIVO COME QUELLO DI CHI FA INFORMAZIONE

Essere grandi giornalisti non vuol dire solo trattare temi di caratura ampia, discutere di guerre, carestie, argomenti che suscitano l’attenzione delle nazioni

e del mondo.Vuol dire innanzitutto parlare e scrivere “ad altezza d’uomo”, essere giornalisti “residenti”, vivere cioè il proprio contesto, conoscerlo, esplorarlo, farlo proprio, con le luci e le ombre che da questo impegno possono derivarne. Esporre i fatti senza “gridarli”, ma senza neppure avvolgerli nella patina della superfi cialità o della dimenticanza.Questa la grande lezione di Giacomo di Girolamo, certamente giornalista “ad altezza d’uomo” e “residente“ a Marsala, dove dirige Radio RMC101 e il sito www.marsala.it, oltre ad alternare collaborazioni con la stampa nazionale e dedicarsi alla scrittura di libri d’inchiesta, come l’ultimo, “Matteo Messina Denaro. L’invisibile”, edito da Editori Riuniti nella collana “Report”. E di Girolamo è stato solo uno dei tanti ospiti della terza edizione del Festival del Giornalismo che ogni anno a fi ne agosto la redazione del giornale modicano “Il Clandestino con permesso di

soggiorno” organizza a Modica, aprendo lo scenario su tematiche interessanti, ma soprattutto smuovendo le acque, troppo spesso stagnanti, attorno ad un mestiere che in provincia rischia di essere vittima dell’abi-tudine e della routine.«Essere giornalisti di provincia non vuol dire essere giornalisti provinciali- ha sottolineato lo spumeggiante Di Girolamo- e su questa consapevolezza ciascuno deve fondare quotidianamente il proprio lavoro». Tanti i workshop proposti ai partecipanti, oltre quello del “Giornalismo ad altezza d’uomo” : dal giornalismo di inchiesta di stampo econo-mico, condotto da Alfredo Faieta, giornalista de “Il fatto quotidiano”, a quello sul “Fotogior-nalismo: il dovere di testimoniare, le nuove tecnologie, l’etica” curato da Nicola Baldieri, fotografo free lance. Un’intera sezione, curata dall’associazione L’Arsenale, Federazione Siciliana delle Arti e delle Musica, è stata riser-vata alla musica e all’arte:“Cantare le storie” con Cesare Basile e “La realtà dalla fi nestra del teatro” con Giuseppe Massa della compagnia

“Sutta Scupa” ne sono stati due esempi.Tanti anche i momenti di incontro e dibattito con grandi nomi del giornalismo, da Attilio Bolzoni a Riccardo Orioles ad Alfi o Sciacca.L’evento, ben riuscito, è stato poi condito da qualche inevitabile polemica sul coin-volgimento dei giornalisti locali che, a dirla tutta, latitavano, probabilmente ritenendo il Festival un evento minore. La passione e la caparbietà dello staff de “Il clandestino”, in-

vece, hanno colto nel segno nel proporre tre giorni di stimoli con personaggi di valore e competenti. Concentrarsi sul contenuto, del resto, è sempre la scelta vincente. La facilità con cui si etichetta ciò che ci circonda come provinciale, soprattutto se fatto con passione e buoni risultati, forse, è il primo sintomo di un preoccupante provincialismo.Ma questo non occorreva che ce lo confes-sasse Di Girolamo.

Giacomo Di Girolamo I ragazzi de Il Clandestino

Il pubblico del Festival del giornalismo

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Sport

di Paolo Interlando

II Leoni Leoniriprendonoriprendono

a ruggirea ruggireTorna il campionato di calcio e

bisogna ricominciare a fare i conti con la classifica e le ambizioni. Il Siracusa ha iniziato

nel migliore dei modi la seconda stagione consecutiva in Prima divisione, il Noto ha esonerato Lombardo alla

seconda giornata e Leonzio ed Avola “annaspano”.

Il mondo del calcio riaccende i motori, dopo una lunga pausa estiva, e sono tante le realtà siracusane impegnate nei cam-pionati professionistici e dilettantistici. In

‘prima linea’ troviamo gli azzurri del presi-dente Luigi Salvoldi che con quattro punti nelle prime due giornate occupano il quinto posto del girone “B” di Lega Pro Prima divisio-ne e si candidato uffi cialmente a conquistare

un posto nei play off . La squadra, quest’anno affi data al tecnico Andrea Sottil (ex difensore centrale del Catania), è stata raff orzata ulte-riormente rispetto allo scorso anno. Dopo le partenze di Nicola Mancino, autentico golea-dor della squadra azzurra, e Giovanni Iodice, capitano della squadra per sei anni, il Siracu-sa ha ingaggiato l’esperto e veterano centro-campista, Davide Baiocco, con un passato nelle fi le di Juventus, Catania e Brescia, An-drea Pippa ed Adriano Montalto, entrambi ex Salernitana, l’ex reggino Francesco Zizzari. Ed anche Mohamed Fofana, con un passato nella Spal, oltre al ritorno di Luigi Calabrese, ex Noto, Modica, e appunto, Siracusa. Una campagna acquisti ‘faraonica’, quella curata dal team del direttore sportivo Laneri, che punta con lungimiranza alla vittoria fi nale nel campionato di Prima divisione. Ritorna-re in B signifi cherebbe tanto per la città, che quest’anno non ha fatto mancare l’appoggio al presidente Salvoldi, battendo il record di abbonamenti rispetto agli scorsi anni. Guar-dando al ‘passato’, il Siracusa ha debuttato nei cadetti nel 1946-47 in casa contro il Fog-

gia battuto 3-0 e a fi ne stagione è riuscito a salvarsi per un solo punto sull’ Alba Traste-vere. Al secondo anno ha ottenuto il quinto posto assieme all’ Empoli, mentre nei restan-ti non ha oltrepassato la zona medio-bassa della classifi ca, ad eccezione di due stagioni: la 1950-51, quando la squadra aretusea ha disputato un ottimo campionato piazzando-si al quinto posto e sfi orando la serie A, e la seconda (1952-53) quando è arrivata penul-tima con 27 punti è retrocessa (fatale lo 0 a 0 contro il Piombino di Ferruccio Valcareggi in casa all’ ultima giornata). L’esperienza nella serie cadetta del Siracusa è stata, comunque, positiva e tra i vecchi ricordi ci sono le vitto-rie con avversari più blasonati e più quotati come Cagliari, Genoa, Napoli, Parma e Vero-na, ed anche nei derby con Catania, Messina e Palermo (andò a vincere persino in casa dei rosanero e dei peloritani rispettivamente per 0-1 nel 1947-48 e con lo stesso risultato nel 1951-52). Per aspettare un Siracusa vera-mente competitivo per la B bisogna atten-dere fi no al 1960-61 quando sulla panchina azzurra sedette Čestmír Vycpálek, ex cen-

Spinelli e Herzan

Foto

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trocampista e, successivamente, allenatore della Juventus nonché zio di Zdeněk Zeman, che portò la squadra a disputare un torneo al di sopra delle aspettative concludendo terza con 44 punti in carniere, torneo che non viene ripetuto nelle annate successive. Anzi, la società dovette far fronte a diffi col-tà economiche: la compagine azzurra è sta-ta infatti la prima ad aver protestato contro la mancata retribuzione non scendendo in campo, successe durante la stagione 1964-65.. Nel 1967-68, dopo 45 anni trascorsi fra la B e la C, si materializzò ciò che già avvenne nel 1956-57, ovvero la prima retrocessione in serie D al tempo annullata con il ripescaggio in sostituzione del Pavia escluso in estate. E nell’ultimo triennio il sogno di un Siracusa importante riaffi ora con una squadra costru-ita per tornare tra le grandi del panorama calcistico nazionale. In serie D occhi puntati sulla compagine gra-nata del Noto calcio, che dopo la salvezza in exstremis della scorsa stagione, nella fi nale play out contro la Rossanese, quest’anno mira, per bocca del presidente Giovanni Musso, ad un campionato da play-off . La squadra, quasi integralmente rinnovata, con la conferma del capitano Ciccio Montalto, ha cominciato il torneo con il licatese Angelo Lombardo, storico vice del boemo Zdenek Zeman, che è stato anche allenatore in C 1 con l’Ancona e osservatore internazionale in Brasile, Argentina e Perù di Torino, Real Madrid e Siena. Lombardo è stato esonera-

to alla seconda giornata con i granata scon-fi tti in entrambe le gare e con zero punti in classifi ca. A sostituirlo è stato Mario Di Nola, campano, ex allenatore della Turris lo scorso anno, che ha fi rmato per il Noto nel tenta-tivo di ridare una scossa alla squadra che, comunque, è il fanalino di coda con 1 solo punto in classifi ca. Nuovo è anche il direttore sportivo dei granata, il netino Corrado Con-ti, storica bandiera negli anni ‘70 del team granata. Per la presidenza, invece, ha lasciato il posto Corrado Bonfanti, divenuto sindaco della città barocca. La rosa conta 24 giocatori con un età media di 24 anni. Ecco tutti i gio-catori che compongono la rosa 2011-2012. Portieri : Gaetano Farò, Christian Sanfi lippo. Difensori: Oreste Aguglia, Nello Gambi, Alessandro Itri, Valerio Mezzapelle, Francesco Montalto, Mattia Micalizzi, Giuseppe Misuraca. Centro-campisti: Giovanni Biondo, Antonino Caruso, Francesco Cocuzza, Antonio Cordisco Fabio Leggiero, Salvatore Mincic, Giuseppe Ponzio Sal-vatore Santuccio, Antonio Scarpitta, Carlo Temponi. At-taccanti: Luca Barberi, Mario Fontanella, Christian Iannelli, Mauricio Villa. Il Noto nelle prime uscite stagionali ha perso di misura in coppa con i ‘cugini’ del Palazzolo e poi

nelle prime due giornate di campionato. Ma il gioco visto è diff erente rispetto allo scorso anno, con una squadra che corre e suda la maglia fi no alla fi ne, un gruppo grintoso. Le siracusane protagoniste del torneo di Eccel-lenza sono l’Avola calcio, che ha cominciato con una vittoria ed un pareggio il campiona-to e la Leonzio, che ha già rinunciato a due gare per la crisi societaria e con altre due ri-nunce rischierebbe la radiazione. La società lentinese, neopromossa, ha cominciato la stagione con il tecnico Seby Catania, che ha vestito le maglie della Rari Nantes e del Real Avola e con una squadra che avrebbe punta-to alla salvezza. Alla prima uscita stagionale La Leonzio ha dato fi lo da torcere agli uomini di De Leo (Real Avola), pareggiando in casa e in trasferta, per la coppa, e sbagliando suc-cessivante solo ai rigori. Una rosa costruita con tutto rispetto che vanta anche uomini di categoria superiore (vedi Agliano, ex Noto; Guastella, ex Real Avola), anche se a causa del tracollo societario, molti giocatori hanno già lasciato la società lentinese. In casa Avo-la Calcio, dopo il cambio di denominazione, la squadra ha cambiato anche presidente e direttore sportivo. Il massimo dirigente del sodalizio è l’imprenditore avolese Antonino Dugo; alla costruzione della squadra, invece, ci penserà il direttore Antonio Marletta, ex Ragusa. La formazione messa a disposizione di mister Giovanni De Leo tenterà l’assalto ai primi posti della classifi ca per sperare in una promozione. Gli ultimi acquisti sono: Vincen-zo Craccò, ex Noto e Trapani, Giuseppe Ca-sisa, fratello di Matteo (che milita nell’Avola), con dei passati in prima e seconda divisione, e Matteo Latino, estremo difensore preleva-to dal vivaio siracusano.

Temponi del Noto e Bonarrigo del Palazzolo

A fi ne gara

i giocatori

salutano i tifosi

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Demoliti i mostridi cemento a

Dove eravamo rimasti

di Rossana Spadaro

L’inchiesta sui Fantasmi di cemento pubblicata dal nostro mensile nel numero di Febbraio si era occupata, fra gli altri, dei tre edifi ci mai comple-

tati siti da più di vent’anni nei pressi del Polo Commerciale di Modica (Rg).I ruderi presentavano diverse disomogenei-tà strutturali e costituivano dunque un peri-colo, oltre che un elemento di forte degrado, per il quartiere Treppiedi Nord.

Avevamo chiesto lumi al presidente dello Iacp [Istituto Autonomo Case Popolari, ndr] Giovanni Cultrera, il quale ci aveva annunciato l’imminente demolizione delle strutture.Ebbene, dopo poco più di 7 mesi e 3 rinvii consecutivi, il 4 Settembre ha avuto luogo l’implosione dei palazzi in questione. Gli ecomostri sono stati rasi al suolo contempo-raneamente, in seguito all’evacuazione delle

zone circostanti. Una domenica mattina di dirette tv, ombrel-loni sul terrazzo e obiettivi pronti a immor-talare l’attimo: l’applauso dei cittadini è scat-tato nei secondi immediatamente successivi al crollo, mentre qualche buon osservatore si chiedeva il perché della sinistra torsione della più imponente delle tre strutture. Svanite le polveri, sono stati accertati dei danni all’edifi cio adiacente causati, sembra, dal crollo avvenuto in maniera diversa dal previsto, proprio per le disomogeneità sopracitate.Si attende dunque lo sgombero totale delle macerie e il reimpiego dell’area, dove pare sorgeranno anche dei locali commerciali.

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Le macerie e l’edifi cio lievemente danneggiato

L’immagine dei secondi successivi al crollo

Il momento dell’implosione dei ruderi123

Foto di: Francesco Ragusa

Sette mesi e tre rinvii,ma i mostri di cemento di Modica non esistono piu '

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Libri

di Alessandra Brafa

L’ACQUAE IL SALEDI PINÒ

GdS edizioni240 pagine, 2011, € 15,00

E altre storie di mare,di costa e d’amore

Approda in libreria L’acqua e il sale di Pinò e altre storie di mare, di costa e d’amore (Gds, Edizioni). Opera seconda di Nicola Colombo, l’autore pro-

pone una serie di dieci racconti dalla ge-stazione decennale, racchiusi in una corni-ce narrativa che trova nel mare il comune denominatore. Il mare è vitale per i suoi protagonisti, essenziale alla loro vita fatta di amore e di lotta, di sconfi tta e di vittoria, di arrivi e di partenze. Il mare diventa una categoria dello spirito dei personaggi del-le storie - Basilio, Pinò, il Barracane, Fran-co Antonio, Gina e Silvana – che ne sono “prigionieri” o forse naufraghi. Il mare e la terra, così come il respiro e il sogno, non sono mere metafore di un racconto che pretende di essere realistico, bensì sono la loro vita. Quella vita che si trasforma nel passaggio dalla terra al mare e nel ritor-no dal mare alla terra. Il mare è qui inteso come il sangue vitale, come la placenta, come ciò da cui tutto ha inizio e in cui si troverà la meritata fi ne. Il mare non è sem-plice acqua mischiata col sale, cambia al mutare del vento e segue lo stato d’animo

di chi lo osserva e lo vive. Il mare stermi-nato, impossibile da misurare, ineff abile da descrivere, attiva rifl essioni e anticipa temi come quello della memoria, del non-luo-go, dell’arrivo, della partenza, dell’amore e dell’esistenza.La memoria dei protagonisti è utile per sopravvivere, per vivere, per sperare. Si trovano a confrontarsi con un passato reso perfetto dalla distanza temporale, con un futuro incerto in cui si aspira alla pace e con un presente diverso, a tratti frustrante ma ancora speranzoso, in cui si ha la sensa-zione di non appartenere a nessuno spa-zio, se non a quello mutevole e in eterno divenire del mare.

“La memoria è ingannevole e matrigna. Però ci serve per sognare, per non di-menticare i fantasmi di noi stessi e delle nostre cose.”

Il non- luogo dei marinai è una costante della loro professione. Vanno e vengono, cambiano città, conoscono porti e perso-ne. Dimenticano e ricordano, idealizzano e distruggono. Mille avventure di uomini

che salpano in una distesa d’acqua in cerca di risposte a dubbi esistenziali. Tutto vio-lentato. La conclusione per alcuni di loro che tornano al paese natale è però amara: estranei in patria, non troveranno i luoghi coltivati nel fi lo di una memoria-balia del ricordo. Il marinaio parte, convinto che il paese lo aspetti, il mare no. Una volta tor-nati sono stranieri, smarriti in una distesa arida di pensieri: da dove vengono? Dove vanno? Cosa cercano? In fondo,

“è un rosario di spine la vita del mari-naio”.

La partenza, drammatica ma sentita e vo-luta da chi lascia casa per rincorrere un sogno, per rispondere alla vocazione, essa “non fu decisione improvvisa, di un’ora, di un minuto e nemmeno di un attimo. Fu cullata nel tempo e consumata negli anni.” Il dover andare e il poter restare, il dissidio interiore: disseccarsi nella stasi o rifi orire nell’unica via di fuga che rimane? La rispo-sta, la speranza sta nel libretto di naviga-zione. Averlo è la vita. Uomini che soff rono quella partenza-abbandono senza luogo e

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senza piacere. Lo stesso ritorno agognato dopo l’assenza che nelle pagine di L’acqua e il sale di Pinò è magistralmente descritto dall’io-narrante attraverso frasi dirette, po-etiche, concluse che non lasciano spazio a commenti.

“Il respiro di quella grande superfi cie nerastra si confondeva con le sue idee, il suo sguardo, il suo desiderio: quello di poter partire per dover tornare”.

L’amore, il sentimento passionale. L’orga-smo del marinaio però non è fatto solo di gemiti, esso è raggiunto nella simbiosi, nel ricongiungimento al vero grande amore:

il mare. Se nell’abbraccio con la persona amata o con l’amante di turno si sublima il sentimento; è nell’abbraccio panico che conduce alla morte che si trova la pace. Ecco che il mare diviene sinonimo di vita, di morte, di approdo, di amore. È nel mare che i marinai trovano la loro serenità. È il mare che sognano di osservare poco prima di spirare.

“Aspetti di morire osservando il mare, nella tua casa che ti fa da davanzale sul mare e il tuo stato d’animo è un tutt’uno col mare che ti parla”.

Nicola Colombo racconta così storie di rotte

perdute, di vite arenate, di esistenze spezza-te, di amori lasciati e non ritrovati, di perso-naggi leggendari e luoghi straordinari, con una scrittura densa di riferimenti letterari - da Isabel Allende a Francisco Coloane, dal Cesare Pavese di Mari del Sud ad Antonio Tabucchi, da Vincenzo Consolo allo scritto-re modicano Franco Antonio Belgiorno – e con la capacità aff abulatrice di chi ha cono-sciuto gli oceani del mondo e ne tramanda le voci ai giovani marinai.Leggere sarà come navigare e perdersi nei pensieri di Colombo. Un mare a tratti oscu-ro, a tratti limpido, in cui parla l’animo uma-no, in cui -in una landa di parole poetiche e universali- sarà dolce naufragare.

Nicola Colombo, l’autoreNicola Colombo, 53 anni, è nato

e vive a Pozzallo (RG). Laureato

in Filosofi a all’Università degli

Studi di Catania nel 1982, è

stato vincitore di una Borsa

di studio in Giornalismo della

FIEG-FNSI con stages fornativi a

La Sicilia di Catania, all’Agenzia

Ansa di Palermo, a Il Piccolo di

Trieste. Ha ideato e realizzato

giornali locali di informazione e

una rivista letteraria. È stato Vi-

cesindaco e Assessore alla Cul-

tura del Comune di Pozzallo. Nel

1997 ha pubblicato il romanzo

Il paese delle stelle, Meeting

Edizioni. Impegnato nel sociale,

lavora a Modica (Rg).

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OffRecuperare il senso per

GUARDARE AVANTI

L’Italia vive un momento storico molto particolare, una crisi eco-nomica non ancora superata,

specie nel sud del paese, una crisi valoriale e sociale molto profonda. Nessuno rappre-senta più nulla, a volte nemmeno sé stesso. Le nostre istituzioni, la bandiera, la storia, la politica, la famiglia, la cultura, ogni cosa ha perso signifi cato. E’ come se tutto fosse stato divorato e svuotato dall’interno. Sentiamo, allora, l’esigenza di recuperare signifi cato alle cose che contano; quasi sentissimo il bi-sogno di relitti galleggianti nel mare in tem-pesta dopo il naufragio. Crediamo che oggi la gente abbia bisogno di questo: della sicu-rezza dei punti di riferimento, del profumo rassicurante della propria casa. Paradossal-mente, in questo preciso momento storico, guardare avanti signifi ca restituire un nome alle cose, spiegarle, giustifi carne l’esisten-za. A cominciare proprio dal signifi cato che hanno le elezioni. Bisogna ripartire da zero. Bisogna spiegare alla gente l’importanza del voto, quanto sia stato e quanto sia impor-tante votare, di cosa sia la democrazia, a che serve eleggere un rappresentante, di cosa signifi chi un programma elettorale, di cosa vuol dire verifi care l’operato di un’ammini-strazione. La svolta di partecipazione refe-rendaria, al di là delle tematiche aff rontate, dello scorso 12 e 13 giugno, rappresenta una prima risposta a questa esigenza che viene dal basso. La politica adesso deve coglierne il signifi cato e dare delle risposte, ma crediamo

Sindaco di Ferladi Michelangelo Giansiracusa

che ancora una volta non sia preparata, non sia all’altezza, sia disorientata. La confusione istituzionale di Pontida e la mancanza di va-lide alternative oggi segnano il tratto di que-sto disorientamento. Dobbiamo costruire un futuro per i nostri fi gli, per i nostri nipoti, e se non lo facciamo con forza noi, adesso, non lo faranno altri per noi. Non possiamo dele-gare il futuro. Lo dobbiamo rendere migliore. Bisogna destrutturare ogni cosa, ritornare al nocciolo, togliere qualunque orpello, essere semplici e diretti. Ma bisogna avere il corag-gio di essere impopolari. Perché inseguire il consenso a tutti i costi ci ha portato a que-sta devastazione. Oggi, se noi operassimo con l’unico obbiettivo di essere rieletti o di ottenere consenso ai fi ni elettorali, faremmo un grave errore di valutazione oltre che un danno alle nostre comunità. Non dovremo operare con l’intenzione di non scontentare i pochi ma con l’unico obbiettivo di rendere migliori le città guardando al bene comune. Il bene immediato dovrà lasciare spazio alla visione successiva. E’una rivoluzione che avrà necessità degli sforzi e dei sacrifi ci di tutti. La politica non insegue il consenso, costruisce valori e azioni diretti a scopi comuni e nobili. Per essere davvero all’altezza di queste no-stre ambizioni dobbiamo mettere il cuore al di là dell’ostacolo. Saltare, aggirare, superare l’ostacolo. E gli ostacoli sono e saranno nu-merosi e di varia natura. Dobbiamo superare gli steccati ideologici, vincere la cieca voglia di distruggere a prescindere, superare i pre-

giudizi. Vogliamo ritornare ai valori e su que-sti costruire le nostre azioni. I valori saranno quelli della condivisione, del confronto, della partecipazione e della trasparenza. Per rag-giungere questo obiettivo è necessario che ognuno di noi esprima il meglio di sé stesso secondo le proprie capacità e secondo il pro-prio ruolo. Dovrà sempre legarci il senso di appartenenza a questo paese. Solo in questo modo comunità diventeranno contagiose di terra e di domani.

Michelangelo Giansiracusa

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